Per
una politica del terzo millennio
Autori vari
INTRODUZIONE STORICO PROSPETTICA
1.2. Il percorso storico della socializzazione
2.2 Breve
analisi economica del marxismo leninista
2.3 Filosofia
della socializzazione
2.4 Le critiche alla socializzazione
2.5
Differenze del distributismo rispetto al marxismo
2.6 La ripartizione delle ricchezze ed il consumismo
2.7 Le crisi economiche e le guerre
2.8 Dirigismo
marxista e meritocrazia
3.2
INVESTIMENTI PRODUTTIVI E GESTIONE DEL RISPARMIO
3.10 SERVIZI
PUBBLICI E GESTIONE DELLE LICENZE
3.11 IL NUOVO
SISTEMA PENSIONISTICO
FISCALITA’ MONETARIA E PROGRAMMAZIONE ECONOMICA
4.2 Amministrazione dell’inquinamento e dello spreco
energetico
4.3 Razionalizzazione della mobilità
ORGANIZZAZIONE DELLO STATO SOCIALIZZATO:
CORPORATIVISMO E DEMOCRAZIA ORGANICA
5.1 Il sistema
politico si baserà sul corporativismo e sulla sua estensione “democrazia
organica”.
Come si sa molte opere
saggistiche o romanzate traggono origine, o quantomeno spunto, da particolari
esperienze di vita dello scrittore. Quest’opera, sebbene sia stata originata
dalla consapevolezza del vuoto totale finora esistente nella nicchia che si propone
di riempire, anche ad essa possono essere applicati degli aneddoti concernenti
esperienze personali. A partire da una generica constatazione, che come
iniziatore dell’opera sento di dover esprimere, partendo dalla constatazione
che in questo mondo, mi sento di essere come un Alice nel paese delle
meraviglie. Per uno come me non potrebbe essere altrimenti.
Tra i ricordi personali del periodo della scuola elementare ne è
riemerso uno in particolare che presenterò come aneddoto. Questo riguarda una
lezione in cui la maestra fece
vedere in una foto il quadro “campo di grano” di Van Gogh,
chiedendoci al contempo di scrivere un breve tema sulle impressioni riportate
in quella bucolica visione. Prima di scrivere il tema i commenti verbali dei
vari alunni erano stati in maggior parte sfavorevoli quando non proprio
insolenti, complessivamente molto netti (come spesso lo sono a quell’età) e
simili ad un colorito “uno schifo, sarei più bravo io”. Orbene, quando arrivò
il momento nel quale la maestra ci lesse i temi elaborati dai vari alunni della
classe, rimasi assolutamente allibito. I commenti presentati dagli alunni e
letti ad alta voce dalla maestra riportavano invariabilmente commenti che
recitavano “il pittore ha usato la tecnica bla bla bla, il chiaroscuro bla bla
bla, il colore qua, il colore là bla bla”. Naturalmente quando arrivò il
momento di leggere quello che avevo scritto io la faccia della maestra inorridì.
Coerente con quanto anch’io avevo espresso in precedenza, nel tema liquidai
coraggiosamente l’opera del pittore in due righe di commento, scrivendo che
“quel quadro fa schifo e un bambino di tre anni lo avrebbe dipinto meglio”. Il
che, secondo me, era così. La conclusione fu che gli altri furono lodati ed io
fui mandato dal direttore come punizione. E pensare che solo poco tempo prima
lei stessa ci aveva letto la fiaba del “Re nudo”. Oggi con orgoglio posso dire
di essere stato l’unico bambino a far notare a tutti gli adulti attorno a me
che “il Re era nudo”. Con questo non si vuole giudicare il pittore Van Gogh ed
i suoi lavori, ma criticare una maestra che pretende tutti debbano uniformarsi
ai suoi imperscrutabili gusti, di qualunque tipo essi siano.
Non fraintendete, non voglio presentarlo come una causa di quel che sono
diventato, ma come un sintomo di quel che già ero.
“Se per relativismo deve
intendersi il dispregio per le categorie fisse, per gli uomini che si credono
portatori di una verità obiettiva immortale, per gli statici che si adagiano
invece di tormentarsi e rinovvellarsi incessantemente, per quelli che si
vantano di essere sempre uguali a se stessi, niente è più relativistico della
mentalità e dell’attività fascista” (Benito Mussolini, “Il Popolo
d’Italia”, 22 novembre 1921)
Se c’è invece qualcosa che posso presentare come “concausa” del mio percorso formativo, questo fu un fumetto tratto da “Il giornalino”, il quale illustrava la resistenza a Berlino all’approssimarsi dell’arrivo dei soldati russi nell’aprile del 1945. Ai civili disperati, perfino a bambini, venivano consegnate armi per difendere la loro città. Era la prima volta che vedevo i tedeschi raffigurati nella seconda guerra mondiale come persone anziché come “quasi bestie”… ciò mi fece riflettere intensamente… se finora (avrò avuto 10 anni) mi hanno mentito presentandomi i tedeschi in vesti disumane, e la vittoria russo-americana come una liberazione per tutta l’umanità, attesa perfino dai tedeschi stessi, quante altre favole mi tengono ancora in sospeso? Dopo babbo natale, pure questo? Come posso continuare a credere agli adulti? Probabilmente anche questo tipo di esperienze mi permise successivamente di riuscire ad osservare con un giusto spirito critico il funzionamento del mondo che mi circondava, notandovi l’assoluta e dal mio punto di vista incredibile mancanza di lucidità nella stragrande maggioranza delle persone, che di conseguenza si rivelava anche nel voto politico e quindi nei criteri di gestione della società a tutti i livelli ed in tutti gli ambiti amministrativi. -------qui attilio???------- Una particolare propensione per la cosa pubblica (e in particolare dal punto di vista ecologico) mi portava a studiare materie quali l’urbanistica e la topografia.
Alla caduta del muro di Berlino, nella mia ingenuità di dodicenne, credevo sarebbe seguita la scomparsa definitiva del comunismo anche dalle menti del cosiddetto Occidente (a prescindere che l’auspicassi o meno). Dovrebbe essere possibile immaginare lo sgomento che ebbi nell’apprendere i risultati delle prime elezioni che seguivo, quelle del 1992. Mi venne da rabbrividire al rendermi conto per la prima volta tra che gente ottenebrata ero capitato in questa vita. A cominciare dai miei stessi genitori. Il pensiero che mi balenò alla mente fu che il mondo intero dovesse essere preda di una ipnosi collettiva; non riuscivo a darmi altra spiegazione più sensata di questa. Ma perché io dovevo essere l’unico “non ipnotizzato”? “Ne esisteranno anche altri?”, mi chiedevo conseguentemente. Oppure, pensai, sono io ad essere fuori posto? Ad essere anormale? Questo dubbio è stato per me una costante, e come ovvia conseguenza probabilmente una certezza per molti di quelli che mi conoscono. Dato che mi era difficile adeguarmi a quella che io vedevo come un’inconcepibile follia collettiva quella determinata/finalizzata all’egoismo menefreghista che contraddistingueva praticamente tutti quelli che mi circondavano, dalla quale potevo escludere solamente me stesso.
“In un’epoca di pazzia,
credersi immuni dalla pazzia è una forma di pazzia” (Saul Bellow)
Ma ancor più restai sconvolto dalle elezioni comunali della mia città, nel 1993; città da sempre chiaramente malgovernata. Nelle prime elezioni dirette per il sindaco essa votava a stragrande maggioranza quei partiti eredi o riferibili a quelli appena usciti da un fallimento politico mondiale che definire “immane” è riduttivo. A torto o ragione, vedevo ciò come una follia che mi era difficile comprendere se non ricorrendo all’ipotesi della cristallizzazione politica dei votanti, ipotesi che veniva avvalorata dalle spiegazioni ricevute in proposito: “voto comunista perché me l’ha detto il mio papà sul letto di morte”, “perché da piccolo mi piaceva la festa dell’Unità”, “perché i comunisti sono per i lavoratori”. Quest’ultima in particolare, alla luce delle immagini che in quei tempi giungevano dall’est europeo, mi suonava proprio come beffarda. Lo stereotipo su cui gongolano i fanatici dei centri sociali, è quello di Venezia come la città più antifascista d’Italia; ma sembrano dimenticare o non valutare che, contemporaneamente, e non certo a caso, corrisponde pure alla città più stupida ed ignorante d’Italia; non lo affermo campandolo in aria come opinione personale: nel mio quartiere fino al 1995 non c’era nemmeno una libreria degna di questo nome (ve n’era una specializzata solamente in testi scolastici ed una in libri erotici a metà prezzo); in quell’anno tra l’incredulità generale ne aprì una vera; il commento generale, ironico, fu “se ne sentiva proprio il bisogno, chissà quanto durerà”; difatti durò ben poco, nonostante la sempre maggior domanda di guide turistiche per le Seychelles, Maldive, ed altri posti esotici di vacanza prediletti dai ricchi “comunisti” veneziani. Successivamente ne aprì un’altra, in posizione più strategica, in modo da poter essere visibile a turisti e pendolari, che rappresentavano difatti l’unica clientela; ma nonostante ciò anche questa non durò molto. Indicativo è che commenti analogamente ironici ci furono quando bruciò il teatro “La fenice”: “non sapremo più dove andare la sera”. Dopotutto non potrebbe essere altrimenti per una città la cui massima espressione culturale è stata finora identificata con i “Pitura freska”.
Ma non si fraintenda, questo sedicente antifascismo veneziano non è determinato da vera fede ideologica, ma da qualunquismo, vuoto ideologico. Questo la differenzia rispetto alla società di una città ideologizzata come Bologna, nella quale la ricerca del consenso ideologico induce perlomeno un’efficiente amministrazione locale. Necessità che per gli amministratori del vuoto ideologico veneziano non sussiste. Il motto “piove, governo ladro” sta alla base della politica veneziana più che di ogni altra città. Non certo prerogativa degli elettori di sinistra, beninteso, è un ------------ trasversale. Questo il motivo per cui il vecchio sindaco stesso, Massimo Cacciari, può essere considerato il principale assertore di quanto detto, a conferma di come non possa essere interpretata come una mia opinione personale, ma come un dato di fatto evidente a più persone. A cominciare dal primo cittadino proprio da essi eletto.
“Il guaio con la maggioranza della gente non è la sua ignoranza, ma il fatto che la gente non sa di essere ignorante” (Josh Billings)
Non mi capacitavo della mentalità di questa città, e la confrontavo con le altre. Una città pregna di possibilità di sviluppo, era invece bloccata a causa della stupidità dei suoi abitanti; stupidità, unita a spudorata e cieca ingordigia: stupefacente è che nel 2010 questi osarono addirittura ardire di candidare una simile città a sede di giochi olimpici!!! Rifiutata, per buona sorte dell’istituzione olimpica. Il comune di Venezia potrebbe essere anche solo un piccolo esempio della sociologia politica umana. Ma, a mio vedere, finora il peggiore. E mi duole terribilmente ammetterlo, essendo la mia città. Ma forse è proprio avendo sotto gli occhi il “non plus ultra” della stupidità fonte di inefficienza che ho potuto analizzarlo empiricamente giorno dopo giorno. Non tutto il male viene per nuocere, insomma.
Ovviamente l’esempio di Venezia è estendibile a livelli minori per ogni città d’Italia, e del mondo. Un normale indicatore delle possibilità economiche di una città è dato dal numero degli abitanti che essa può sostenere. Per questo motivo una città come Trieste ha risentito notevolmente della perdita del retroterra come potenzialità e si è fermata nella crescita demografica più che ogni altra città italiana. Differentemente, sotto questo punto di vista la cifra di 300.000 abitanti per un comune dalle potenzialità strategiche come quello di Venezia appare sottosviluppato: certamente, se Venezia fosse abitata, ad esempio, da veronesi o bolognesi, da persone con una mentalità veronese o bolognese, oggi avrebbe perlomeno 500.000 abitanti. Un altro indicatore della “vitalità” di una città è dato dalla tifoseria calcistica, ed in questo notoriamente una città come Venezia scompare al confronto con città anche più piccole quali Padova, Vicenza, Verona, e Treviso. “Veneziani gran signori” è un proverbio che si addice perfettamente a questi eterni “parvenu[1]” che disdegnano il lavoro di operaio e muratore (tipicamente svolti da campagnoli) per concentrarsi nel truffare i turisti. A cui fa fronte un’imponente massa di dipendenti pubblici come ammortizzatore sociale la cui inefficienza e furbizia è proverbiale e stereotipata, tanto che perlomeno fino a qualche anno fa la pratica di incatenarsi negli uffici pubblici e cospargersi di benzina per poter ottenere qualcosa di ritenuto “dovuto” era normale. Un sistema basato su quest------- due -------, il privato dominato dalla malavita, ed il pubblico utilizzato assistenzialmente--------------. Spendendo poi i lauti guadagni in viaggi nei luoghi più esotici ed in cocaina. Votando per gli ultimi residuati di un ideologia scomparsa dal resto del mondo, un’ideologia che se venisse veramente applicata, le truffe ai turisti, la cocaina, le camicie e gli occhiali griffati, ed i viaggi alle Maldive, i trafficoni veneziani “levantini” se li potrebbero solo sognare. Ma loro, evidentemente, non lo sanno. Questa consapevolezza mi allontanava sempre più dai miei concittadini, al punto che spesso dovevo fingere stupidità ed ignoranza per non estraniarmi. Ma non potevo evitare di osservare con facies stuporosa tutto quello che di incomprensibilmente assurdo accadeva intorno a me.
“Quando sei capace, mostra incapacità. Quando sei attivo, mostra inattività. Quando sei vicino, fai in modo che gli altri pensino che tu sia lontano” (Sun Tzu)
Ma non si fraintenda: quest---- non riguarda solo la politica. Se così fosse sarebbe facilmente ignorabile e sorvolabile: “chi è causa del suo mal pianga se stesso”. Invece riguarda tutti gli ambiti ----sociali--------- a cominciare dalla psicologia del singolo. E sotto questo punto di vista ho spesso assistito a ragionamenti inconcepibili.
Fuori posto e fuori dalla norma,
certamente, ma “quali erano il posto e la norma giusti?”. Purtroppo per me
questo non era importante; quello che aveva importanza è che essendo l’unico
diverso da tutti gli altri -----non potevo pretendere di avere una qualche voce
in capitolo che fosse minimamente influente. Solo successivamente sono venuto a conoscenza che questa visione del
mondo non è una mia prerogativa, anzi è addirittura il tema fondante del
romanzo “Delitto e castigo” di Fëdor Dostoevskij. Ma a differenza del protagonista di quel
romanzo, buon auspicio ne ho avuto nell’essere dotato di un pragmatismo
estremo, che mi ha certamente evitato di considerarmi io quello giusto anziché
“tutti gli altri”. Se da un lato ciò può avermi evitato il debordamento nel
narcisismo come il protagonista del romanzo, dall’altro lato me ne ha causati
di simili ma collaterali, dato che ho sempre visto come unica soluzione
possibile a questa (e altre) diatriba che mi assillava, l’eliminazione di me.
“Occhio non vede, cuore non duole”.
Da Wikipedia: In “Delitto e castigo” nel protagonista Raskol’nikov viene marcato il rifiuto dello
stato delle cose, della società e delle regole vigenti, e quindi si dimostra
contro tutti gli altri, che sono la maggioranza. Da ciò sorge una domanda:
quindi qual’è veramente il bene e quale il male? Cosa giusto e cosa sbagliato?
Da questa domanda matura il concetto di “grande uomo” (spesso assimilato alla
teoria di Oltreuomo di Friedrich Nietzsche). Raskol’nikov matura la convinzione
che l’umanità sia divisa in due categorie: quella “ordinaria”, costituita dalla
netta maggioranza, e quella straordinaria, ristretta a casi eccezionali, e di
quest’ultima prende come esempio Napoleone, il quale è riuscito a oltrepassare
le leggi morali alle quali la gente ordinaria deve sottostare: infatti tale
personaggio ha portato grandi benefici all’umanità, anche se attraverso guerre
e tantissimi morti. Raskol’nikov, mancando di pragmatismo, commette l’omicidio
credendo di appartenere alla categoria “straordinaria”, e quindi a suo vedere
impunibile a livelli di trascendenza, perciò crede sia più che lecito uccidere
la vecchia usuraia convinto delle buone ragioni di ciò, ma scoprirà ben presto
che non è così e che, come tutti i “comuni mortali”, dovrà espiare le sue pene
seppur emanate da persone mentalmente e moralmente inferiori a lui. Questo
senso di onnipotenza è spesso alla base di omicidi futili, il cui più recente
caso è stato quello dell’omicidio di Marta Russo. La maggioranza dell’umanità
potrà certamente essere piuttosto stupida rispetto ad una minoranza, e certe
persone (come l’usuraia del romanzo) potranno pure essere considerate ------deleterie------
all’umanità, ma ciò non garantisce l’impunità di un atto ritenuto giusto e
necessario, anche quando lo fosse effettivamente. -------per quel che mi
riguarda non ho mai percepito alcun senso di impunità, anzi tutt’altro. Tutt’al
più ho sempre contato nel valore della persona nel giudicarla, più che dei
reati in sé. Non sapevo quanto mi sbagliavo. Ho sempre notato un accanimento verso
i deboli, di qualunque tipo fosse la debolezza, ma c’è da dire mai giunto al
punto in cui ai forti sarebbe stato possibile giungere, e di questo
personalmente gliene ho sempre riconosciuto un merito. Per questo motivo (in
assenza del quale avrebbe potuto maturare un sentimento misantropico) viceversa
in me è cresciuta un’estrema gratitudine per la tolleranza che la società aveva
verso di me, fattore che ha originato una estrema filantropia. Cosa che ho
cercato di esprimere nell’impegno politico, cioè in quello che poteva
abbracciare l’intera società e non quindi solo un ristretto gruppo di
bisognosi.
“Io amo l’umanità... E’ la gente che non sopporto!” (C.
Schultz)
Mal me ne incolse, in una società dove l’impegno politico è considerato
un interesse personale e che quindi presume che per tutti debba essere dettato
così. E soprattutto dove il parteggiare per una parte considerata
“politicamente scorretta” (nonostante, o forse proprio per questo, sia la
migliore per il bene di tutti) viene identificato come minimo derivato da
fuorviamento quando non da malvagità o -----------------------.
Ho trovato anche in Filippo Tommaso Marinetti un’interessante fautore e
precursore del mio modo di vedere le cose.
“Le anime pure sanno riconoscersi tra loro... anche nei
sentieri più oscuri della vita” (Maria De Angelis)
Questa maggiore perspicacia influiva --------------- e mi portava ad
osservare con incredulità epistemologicamente il livello di civiltà e
tecnologia raggiunto da un’umanità la cui analisi sociologica mi avrebbe
alternativamente portato ad ipotizzare un livello da età della pietra, in
assenza della effettiva realtà che invece osservavo! E mi chiedevo di
conseguenza: se nonostante tale stupidità che generalmente contraddistingue le
persone, siamo arrivati fin qui dove siamo ora, se tutti non fossero stupidi
come sono a quale livello saremmo oggi? La risposta me l’ha data
successivamente l’enciclopedia on line Wikipedia: in essa la collaborazione si
basa nel tentativo continuo di far eliminare gli altri utenti contributori, per
acquisire meriti ed elevarsi eliminando i concorrenti. Ciò nonostante essa ha
raggiunto apici qualitativi elevati. C’è da chiedersi se ciò sia merito di
questa competizione disonesta, oppure se ------- nonostante questo modus
operandi. Se la “collaborazione” fosse basata veramente sulla collaborazione
anziché sulla delegittimazione dei concorrenti, Wikipedia sarebbe migliore o
peggiore? Per la società vale lo stesso discorso. Ed una risposta provo a darla
io: se avessi dovuto sprecare tempo ed energie per svolgere un compito quale la
società avrebbe voluto relegarmi, un compito che chiunque altro avrebbe potuto
svolgere, tipo distribuire volantini pubblicitari o asfaltare strade, oggi
questo testo non esisterebbe.
Tuttociò influiva particolarmente nella mia condotta scolastica, in particolar modo allorquando intravedevo un assoluta incongruenza nel tipo di materie insegnate e nella composizione dei programmi di studio: quelle superflue innalzate al rango di fondamentali, quelle essenziali completamente ignorate[2]. Posso chiarire con un aneddoto: alle scuole medie non sapevo fare le divisioni in decimale; quando avevo tale necessità, le facevo in binario, sistema per me più semplice. Una mia particolare idiosincrasia verso la coercizione soppresse in me ogni impegno scolastico, al punto da farmi rifiutare per principio l’apprendimento imposto (condizione psicologica che ho scoperto solo in seguito essere per nulla rara fra gli scolari).
“Ho fatto in modo che la scuola non interferisse con la mia istruzione” (Mark Twain)
Questo mi fu di notevole impedimento nello sviluppare la capacità di esprimere in parole, sia verbali che scritte, i miei pensieri; alla pari di un musicista prima che venisse inventata la scrittura della musica.
“Dopo il silenzio ciò che si avvicina di più nell’esprimere ciò che non si può esprimere è la musica” (A.L. Huxley)
Ho sempre maledetto questa mia incapacità che mi ha sempre impedito di poter trascrivere e comunicare un’attività elaborativa mentale che mi azzardo a definire fervida, talmente fervida da arrivare spesso ad un passo dal blocco[3]. Ma come fanno notare anche i letterati Franco Mancini e Theodor Adorno “la verità non è mai proporzionale alla comunicabilità”. Per questo mi appello alla comprensione del lettore se troverà questo testo difettoso in sintassi ed in lessico. Ho scovato ed inserito numerose citazioni di autori, che mi hanno reso ulteriormente consapevole di non essere l’unico a portare questa particolare visione del mondo: in pratica ho scoperto l’acqua calda.
“Più sappiamo, più impariamo che non sappiamo niente” (Ayn
Rand)
Ma un “acqua calda” culturalmente dispersa in mille rivoli tra tutti gli intellettuali mondiali di diverse epoche. Ho sempre desiderato che tutti questi rivoli si riunissero in un’unico fiume. La difficoltà è consistita proprio nel riunirle in un filo metrico. Per fortuna ho trovato eccellenti collaboratori che mi hanno spinto e sostenuto nel portare avanti il lavoro. Le altre persone come me “non ottenebrate”. ---- o perspicaci??------ Da cui è uscita quest’opera a più mani, di cui io sono stato solo l’iniziatore.
El Fundador
PREFAZIONE
Oggi il più evidente esempio della mancanza di logica e razionalità nel pensiero (e quindi nel comportamento) umano si denota nelle code automobilistiche in autostrada. Ogni essere vivente dotato di un certo livello di raziocinio ovviamente attenderebbe a motore spento che l’agglomerato di auto che lo precede avanzi fino al limite di visibilità per riaccendere il motore e percorrere quella distanza in un colpo solo assieme al proprio agglomerato per poi spegnere il motore ed attendere che l’agglomerato precedente avanzi nuovamente di una distanza decente (sistema safety car). O meglio, un’insieme, una mente collettiva, una società di persone imporrebbe il comportamento razionale a sé stessa e di conseguenza agli altri. Invece per qualche incomprensibile motivo il cervello umano medio odierno (e quindi anche quello collettivo) pone in attuazione un comportamento esente da ogni ragionamento logico e da ogni senso razionale: tenere il motore acceso in modo da poter avanzare contemporaneamente alla macchina che lo precede (sistema “fisarmonica”), come se in questo modo si potesse procedere più velocemente anziché alla stessa velocità della prassi razionale.
“Gli uomini
credono volentieri ciò che desiderano sia vero” (Gaio
Giulio Cesare)
E se qualcuno
pensasse di poter contestare ciò, faremo un altro esempio similare: fino a
pochi anni fa se si avevano i fari accesi di giorno ogni auto che si incrociava
lo segnalava per gentilezza con un colpo di abbaglianti. Oggi che la legge ha
imposto di tenere i fari accesi di giorno, quell’abitudine si è persa, anzi a
volte accade incredibilmente proprio l’opposto, che si segnali quando i fari
sono spenti! Ora, dato un uguale contesto, in una data epoca si attuano
comportamenti esattamente opposti rispetto ad un’altra epoca. Quale tra le due
epoche “ha ragione”? Oppure vi possono essere diverse opinioni ciascuna valida
a seconda dei rispettivi pro e contro? Come per ogni opinione, anche questa ha
generato dei veri e propri fanatici. I fanatici delle code a fisarmonica
e dei fari accesi di giorno sono invariabilmente, guarda caso, anche quelli che
sostengono che il motore appena acceso debba essere fatto scaldare il più
velocemente possibile anziché il più lentamente. Verrebbe da chiedersi come si
regolerebbero di fronte ad un ipotetico motore adiabatico… Comunque,
una cosa certa è che se venisse reso noto il costo maggiore in carburante
necessario a mantenere accesi i fari, molto probabilmente molti dei sostenitori
dei fari accesi di giorno cambierebbero opinione… eccetto i fanatici, si
intende, quelli sempre presenti in ogni campo. Le “teste dure”.
“Non troverai mai la verità se
non sei disposto ad accettare anche ciò che non ti aspetti” (Eraclito)
Ma dato che
oggi la legge ha voluto stabilire quale opinione sia quella giusta, ciò è
impedito. -----qui frase da appunti??-------
L’analisi non termina qui, ma è
di introduzione allo scopo socio-politico di questo esempio: in tali casi
l’eventuale unica persona che attua i comportamenti sensati viene fatta oggetto
di riprovazione da tutti gli altri automobilisti, per qualche apparentemente
incomprensibile motivo estremamente convinti di avere ragione loro, e
ingagliarditi per il solo fatto di essere adeguati al comportamento sociologico
della maggioranza (del branco, diremmo zoologicamente) e/o della cosiddetta
“Legge”. Chi ha ragione? Nessuno, diranno i neutrali; si
tratta solo di opinioni, diranno. Frasi tipo:
“Conoscere non è arrivare ad
una verità assolutamente certa, ma dialogare con l’incertezza” (Edgar
Morin)
Certo, il manicheismo non è un sentimento giusto. Ma alle leggi della fisica le opinioni degli uomini non interessano. In seguito ad una dilatazione termica troppo repentina il metallo di cui è fatto il motore può creparsi, e al metallo non interessa proprio un bel nulla se una persona sia di opinione diversa.
“Gli uomini
sono sempre contro la ragione, quando la ragione è contro di loro” (Claude
Adrien Helvetius)
A tutto ha dato un ordine che fosse più scorrevole per la logica
dell’apprendimento umano. Niente ha accolto che non fosse secondo la mente
delle Fonti. Questo lavoro immenso e prezioso si chiama
«istituzionalizzazione». Tutto quello che documentatamente raccolto ha cercato
di penetrare, aiutandosi coi principî del buon senso umano, nella misura in cui
era consono alle Fonti o addirittura derivato da esse, tutto questo costituisce
la parte «speculativa» della Teologia, senza della quale la parte sopra
descritta (positiva) non aprirebbe sufficientemente il suo significato alla
intelligenza umana. Intendiamoci bene: non ha accolto le filosofie transeunti,
ma il buon senso umano, quello assunto da Dio stesso nell’atto di calare la Sua
Rivelazione nelle forme concettuali a noi solite.
Rivedere: Ed ecco la finale interessante: tutto questo, per la serietà
del procedimento, ossia del metodo, non permette di fare quello che si vuole,
quello che comoda, quello che mette a vento secondo le mode transeunti. Per
questo la Teologia speculativa è venuta a noia; meglio è dilettarsi sulle
«variazioni» estranee al metodo. Altro appannaggio che assicura la qualifica
ambita di «progressista». Un principio decantato in tutti i modi dal
progressismo è quello di accogliere tutto il pensiero via via fluente, cercare
di adeguare a quello il messaggio cristiano e, se occorre, fare secondo quello,
via via, una reinterpretazione della rivelazione divina. Chi non accede a
questo punto di vista è un trito conservatore, un vecchio inutile rudere, al
quale nessuna persona colta crederà più. Abbiamo detto il fatto in forma
assolutamente cruda; molti, che amano essere progressisti, un punto di vista
del genere amano presentarlo in dosi variabili, anche omeopatiche, sì da
permettere sempre una tempestiva ritirata strategica. La parentela tra il
progressismo ed il relativismo, ossia il modernismo condannato, è una parentela
troppo vergognosa per gloriarsene. Le premesse della Fede (apologetica) non si
dimostrano più. La ragione? È stata già detta e scende logica dalle sue
premesse: abbiamo visto che il progressismo accetta il relativismo (anche
quando smentisce, nei suoi più pavidi e i meno aperti cultori). Abbiamo visto
che per questo non esiste verità obiettiva. Dobbiamo dedurne che la questione
della Fede è una mera questione di fede devozionale, insufflata dal sentimento
(modernismo); che c’è dunque da dimostrare? Niente.
Questo è il progressismo. Molti anni innanzi non riuscivamo a capire
perché uno scrittore di non troppa vaglia non volesse sentir parlare di
«apologetica»; ora abbiamo capito. Ma non che lui lo sapesse, non era da tanto;
era manovrato da chi tacendo lo sapeva. Il silenzio in fatto di apologetica,
che si sente tutto intorno, le meraviglie sincere espresse a chi ritiene sempre
necessaria la apologetica, il fingere di ignorare la sequela logica dei
«perché» della mente degli uomini, indica fin dove è entrato il modernismo
anche in uomini integerrimi ed onesti. Si guardi bene e, soprattutto, si lasci
da parte l’inutile erudizione, usando la propria testa, e si vedrà che tutto il
progressismo è venato di modernismo. Forse il rifiuto della apologetica ne è la
manifestazione più rivelatrice. Citare, sì; ragionare, no! Perché la ragione e
il suo valore non può venire accolta dal modernista. Ci voleva poi tanto a
capirlo? I figli che elogiano in casa quelli che hanno fatto andare in rovina i
vecchi, che tengono bordone coi persecutori dei propri parenti, si chiamano
«degeneri». Evidentemente la capacità logica di distinguere tra un ideologia e
gli uomini che la conducono fa al tutto difetto.
Molti errori si affermano, si difendono, si divulgano, non tanto per se
stessi, ma solo per far dispetto a qualcuno. Essi sono semplicemente lo sfogo
delle più bambinesche passioni umane. Tutto fa brodo e, elogiando un po’ i
ribelli, sostenendo un po’ gli sbandati, rivoltando le cose a modo proprio, si
fanno le vendette, si manifestano le invidie, si rendono noti i disappunti di
quelli che credono di non esser potuti «arrivare»; soprattutto, nella gran
fiera, si fanno meglio i propri comodi. I peggiori! Ovunque si vogliono le
Assemblee: esse indichino, esse decidano. La ragione? Il numero diluisce e fa
scomparire — così credono — uno che comandi, il regolamento che limiti. Autorità
e regolamenti sono strumenti — oltre tutto — anche giuridici. Poiché non pochi
capiscono come vanno a finire le Assemblee cercano di restringere ed usare
qualcosa che rassomigli ad una «assemblea ridotta» con qualche regolamento e
con un responsabile. Sì, parliamo di «responsabili», perché il terrore di
macchiarsi di giudiricismo è tale che non si vuole più sentir chiamarsi
«presidente», termine troppo giuridico, e ci si salva con una semplice
variazione lessicale. Altra forma è l’uso maldestro della «base». Diciamo
maldestro perché il termine può essere usato anche in senso buono. Ma l’uso più
ricorrente è quello in cui il timore del temutissimo giuridicismo è tale da far
paventare le «responsabilità» (termine giuridico, oltreché morale) e pertanto
tutto si scarica sulla «base». Non diciamo affatto che i termini, qui proposti
come esempio della posizione avversa al giuridicismo, siano cattivi.
Tutt’altro! Diciamo solo che mascherano sulla bocca di taluni una debolezza.
Per parlare chiaro diciamo che mascherano facilmente una «ipocrisia». Molti — e
lo si osserva nei gruppuscoli, anche minori — temono di dirsi «capo» o
«presidente», ma aspirano in ogni modo, anche violento, a fare i «tiranni». La
verità è tutta qui: gli uomini liberi si tengono a freno, in modo da realizzare
una compatibile vita sociale solo in due modi: «la violenza o la legge».
Ricordiamo che la paura è un riflesso della violenza.
Abbiamo parlato del «progressismo», non del «progresso». Il primo
cammina a grandi passi, quando non c’è già arrivato, verso la eresia, lo
scisma, l’apostasia, la scollatura di tutto. Il secondo va rispettato come è
sempre stato rispettato, nelle sue leggi fisiologiche che rinnovano
l’organismo, ma non lo alterano, né lo distruggono. La parola «progresso» va
difesa dalla contaminazione con la parola «progressismo». Questo è una accolta
di perversioni, di errori e di viltà; quello è un segno di vita degli spiriti
migliori.
Da appunti testo che inizia con: La filosofia conduce alla verità? O
meglio, ci si chiede se il conseguimento della verità sia lo scopo della
filosofia. In tal caso, la speculazione filosofica, proprio ---- e testo che
inizia con: Lo scienziato, secondo Popper, non va alla ricerca
Si pensi ad esempio al dottor Ignác Fülöp Semmelweis, vissuto tra Vienna e Budapest a metà ’800. Egli veniva accanitamente perseguitato dai suoi colleghi per via della sua tesi in cui sosteneva che medici ed infermieri in ospedale dovessero lavarsi le mani; egli aveva infatti riscontrato empiricamente che la mortalità per infezioni diminuiva drasticamente in seguito a tale pratica, ma non aveva le prove per dimostrarne i motivi (solo nel 1879 Pasteur verificherà l’esistenza dei microrganismi). Alla fine, esasperato, fu rinchiuso in un manicomio. Come pensate si possa sentire una persona consapevole di star facendo il bene di tutti, e che per questo viene assalita da quelle stesse persone di cui sta cercando di far il bene? Con un muro davanti, un muro troppo alto per tentare di scavalcarlo.
“Lavar la testa all’asino si spreca acqua e sapone”
La solitudine “sociologica” a cui abbiamo fatto riferimento in precedenza può quindi essere dimostrata anche ricordando semplici situazioni storiche, note o meno note. Esempi di personalità o collettività refrattarie ad ogni pur minimo concetto di logica tanto da lasciare esterrefatti chi oggi li osservi con cognizione, e l’ostracismo spesso attuato verso chi non si adegua all’irrazionalità ma si strugge nel tentativo di aprire gli occhi ai ciechi.
“Non voglio sentirmi intelligente guardando dei cretini, voglio sentirmi cretino guardando persone intelligenti” (Franco Battiato)
I primi sono come quegli economisti che cercavano di far credere che
l’aumento dei prezzi dopo l’introduzione dell’euro fosse dovuto a quei pochi
centesimi di differenza nel cambio tra lira ed euro che venivano arrotondati
dai venditori al minuto. Una spiegazione che avrebbe potuto reggere, solo se
non fosse stato che i prezzi applicati dai negozianti non erano aumentati di
qualche punto percentuale, ma erano letteralmente raddoppiati. Inevitabile fare
un accostamento con gli insider trader possessori di azioni di uno “schema
Ponzi” che contrastano chi sveli lo schema. C’è chi lo fa per interesse, ma c’è
anche chi lo fa perché è un emerito cretino che vuole mettere il becco in cose
che nemmeno si sforza di comprendere, fungendo con ciò da “utile idiota”.
“Meno si ha da riflettere, più si parla” (Montesquieu)
Essi sono i cosiddetti “debunker”. Così come ci saranno i diretti
interessati che architetteranno ogni tipo di bugia per impedire alla verità di
venir conosciuta, ci saranno gli investitori ipnotizzati da una specie di
sindrome di Stoccolma terrorizzati di perdere l’intero investimento, che
contrasteranno ------------- sperando che non sia vero ciò che -----------------,
e ci saranno i disinteressati che crederanno di avere il dovere di mettere il
becco solo perché hanno la bocca per emettere suoni.
“La causa principale del diffondersi dell’ignoranza di massa è il fatto che tutti sanno leggere e scrivere” (De Vries)
Quando salterà fuori il primo pazzo a dire “guardate che questi non stanno producendo niente, stanno solo fregando l’ultimo arrivato, bruciano foglie secche per far uscire del fumo dalla ciminiera”, l’accanimento verso esso ------------------------------. -----quelli che soffiano nella bolla------- più grande è la bolla, e più distruttiva sarà l’esplosione.
E quale miglior strategia di difesa per i vari “Ponzi” e “Madoff” se non mettere in giro voci di presunta bolla su ogni altra compagnia in modo da far passare i pazzi per quelli che gridano “al lupo al lupo!”? Tale descrizione corrisponde perfettamente anche ai debunker storici.
“L’ideale senza dubbio cambia, ma i suoi nemici, purtroppo,
sono sempre gli stessi” (Jean Rostand)
Non è il caso di assumere la sufficienza che il buon don Ferrante assumeva
quando dissertava sulle strane parole “sostanza” ed “accidente” ricavandone
l’inesistenza della peste. Prassi
che raggiungono l’apoteosi nei discorsi degli anti-nuclearisti: tipica quella
di inserire varie affermazioni corrette e concordabili, a cui seguono
però associazioni illogiche e senza senso ma fatte in modo così furbamente
contraddittorio che le menti più influenzabili si sforzano a trovare una logica
prendendo per vera la “conclusione” e scartano la premessa (che invece è
l’informazione giusta). Infatti altrimenti perché precisare una cosa “vera” che
però non c’entra, penserebbe il debole mentalmente? Quindi l’unica logica che
troverebbe non è nel mettere sotto critica la carta stampata (una mente
influenzabile se vede informazioni stampate su carta, crede che siano il verbo
divino), bensì nell’accettare l’implicita informazione tra le righe. Un
perfetto esempio di sottile lavaggio del cervello. ---qui da pag. 62 appunti su carta?-----
“Non discutere mai, poiché non convinceresti nessuno. Le opinioni sono come i chiodi: più ci si picchia sopra, più entrano in profondità” (Dumas figlio)
Ma quello a cui regolarmente si trovano davanti i singoli individui razionali è in verità soltanto un muro debole e marcio, abbattibile con una semplice spinta. Ecco il grande difetto che la razionalità imputa ai “non ottenebrati” (evitiamo di usare il termine “illuminati”, sinonimo scippato da certuni personaggi che corrispondono casomai all’esatto opposto del “lume della ragione”): non essere in grado di capire come dare quella spinta. Noi ci stiamo provando, riunendo le nostre elaborazioni in questo libro. -----scopo della politica------- Per far scoppiare una bolla non serve una trave, basta uno spillo. Lo scopo della politica oggi sembra essere il salvaguardare la bolla dagli spilli che cercano di salvare il salvabile. ---- il sistema lasciarlo cadere o salvare? ----qui frase distruggere è facile – ricostruire difficile??
Il sistema va chiaramente demolito e solo dalla morte di questo decadente occidente plutocratico potrà uscire all’attacco quell’Europa tradizionale che ha resistito assediata dal giacobinismo odierno dentro le sue foreste e le sue montagne più interne... Quando le falsità e le menzogne che intessano la nostra era verranno stralciate solo gli uomini migliori riusciranno a trascinare l’umanità verso un nuovo giorno. Per questo solo una aristoi armata di coerenza, di coesione e di diacronia potrà riuscire nella completa trasformazione del sistema. Che cos’è il sistema? L’insieme delle istituzioni e delle leggi che hanno legittimità in un territorio e che regolamentano tutti i campi come: politica, cultura ed economia. La nazione non è altro che l’insieme degli individui caratterizzati dalla medesima etnia e cultura in un dato territorio. Il Sistema è un gioco di azioni e reazioni che si annullano per restare così com’è. Non è il blocco monolitico che alcuni immaginano. ---- bande di agitatori, populisti e demagoghi ne aizzino il popolo disperato; poi subentrerà la milizia a resettare il “sistema”.------
“Il cittadino di uno Stato democratico esprime col voto la sua impotenza” (Gian Piero Lepore)
Per quanto pilotata e plutocratica esiste la democrazia ed è la debolezza del sistema occidentale poiché da la possibilità di cambiamento ad un vulgus che non vive di conoscenze ma di istinti. Pilotare le paure ( e qua ci vuole una elité ) verso la fine del sistema stesso ( quindi la distruzione di tutte le istituzioni per la creazione di nuove ).
“Accettare la civiltà quale essa è significa praticamente accettare la decadenza” (George Orwell)
La società odierna ci mostra questi muri come dei valichi
insormontabili castrando a priori il sentimento critico del singolo cittadino,
attraverso la pratica della ghettizzazione del “diverso”, del “non omologato”
alla conformità della democrazia liberale come unico sistema possibile. Proprio
la casta politica, attraverso le sue propaggini mediatiche, è fondamentale in
questa opera conformista. Diverso è chi non si intruppa negli schemi classici
di destra-centro-sinistra. Diverso è chi non è un estimatore della
nazione-guida Stati Uniti. Diverso è chi si prova a sostenere la tesi che vi
siano stati sovrani liberi di operare le proprie scelte, in particolare energetiche.
Diverso è chi considera che quello che sta accadendo da 58 anni in Palestina
sia una pulizia etnica. Diverso è chi ritiene che nell’ultima guerra non
abbiano vinto i buoni. Diverso è chi ritiene che un accordo energetico con la
Libia sia necessario, nonostante i comportamenti “pittoreschi” del suo
presidente Gheddafi.
La differenza è questa: loro concependo il male lo riversano come in
uno specchio su altri, i quali sono solitamente quelli che non essendo capaci
di concepire il male si trovano svantaggiati nel saper fronteggiare ciò. Questi
nei -------- vedono non dei malvagi, ma dei fuorviati idioti.
“E’ sempre l’esistenza del presunto male che giustifica
l’esistenza del presunto bene. Ma tutto è, per l’appunto, una presunzione”
(----------------------)
Il Libero Pensiero e’ ormai “razzialmente” considerato come Male Assoluto.
La politica oggi è identificata unicamente come lotta di parte, quasi come una guerra santa tra religioni. Sembra ci sia una sola regola per gli uomini politici di tutto il mondo: quando sei al potere non devi dire le stesse cose che affermi quando sei all’opposizione. ----incoerenza---- Questa consapevolezza conferma l’asserzione che oggi il significato della politica è capovolto rispetto ai suoi scopi naturali. La politica dovrebbe essere il sapersi occupare dei problemi degli altri come se fossero propri. Pia illusione in questa società. Il punto è che i problemi degli altri sono già problemi propri! Ma ben pochi lo capiscono, in un mondo dove filantropo viene considerato chi gode ed approfitta della stupidità degli altri, mentre chi se ne strugge e la critica diventa il misantropo additato e perseguitato.
“L’amore per il popolo è vocazione aristocratica. Il democratico lo ama soltanto in periodo elettorale” (Nicolás Gómez Dávila)
Non serve certo ricorrere all’esempio degli infortuni sul lavoro e relative pensioni di invalidità. Oggi chi vuole la costruzione a Venezia di un’inutile metropolitana sublagunare dal percorso totalmente assurdo, è il buono; chi ne è contrario o fa notare l’esistenza di un percorso più razionale coi flussi di traffico, è il cattivo. Chi abusa dei beni pubblici è il buono o il furbo, chi li rispetta è il cattivo o lo stupido. Questo perché solo pochi eletti riescono a capire che nel “tutti” sono compresi loro stessi. ----altri esempi?----i beni pubblici---inquinare lago----abusare di acqua pubblica---- Oggi è valutato in un miliardo e duecento milioni il numero delle persone che soffre la fame. Gli ambientalisti estremisti neo-maltusiani che auspicano un’epidemia che riduca la pressione umana sul pianeta possono essere considerati egoisti? Non si vede perché, dato che essi certamente non si escludono dalla lista non essendo certo dei privilegiati immuni da qualunque malattia! L’amministrazione pubblica non è un problema di ciascuno solo dal punto di vista dei beni pubblici, che pagano visibilmente tutti. Anche i beni privati: quando un automobile viene distrutta non è il proprietario a perderne il valore, ma tutti. Viene a mancare un automobile ad un potenziale utilizzatore. Viene distrutto il tempo ed il lavoro di chi ne ha permesso la produzione. Acquistare un automobile costerà di più, a tutti.
“Solidarietà significa integrità corporativa: i doveri che ci aspettiamo dagli altri e i diritti che chiediamo per gli altri. E l’atteggiamento di solidarietà va di pari passo con il dovere dell’opposizione (…). Lungi dal mettersi ai margini della comunità, coloro che si oppongono a tutto ciò trovano la propria dimensione costruttiva all’interno d’essa” (Karol Woitila)
Una persona che consapevole di aver trovato alla nascita questo mondo già pronto, vuole perlomeno ricambiare questa benevolenza, migliorandolo per tutti, mentre altri non fanno altro che pretendere spudoratamente privilegi senza dimostrare alcuna gratitudine in cambio, peggiorandolo anziché migliorandolo, e il paradossale è che ne ricevono meriti anziché rimproveri. Quelli che buttano le cartacce per terra anziché nel cestino, per intenderci banalmente.
“Chiunque riceve la protezione della società le è debitore per il beneficio ricevuto” (John Stuart Mill)
L’unico a ricevere sfacciati rimproveri gratuiti è colui il quale butta le cartacce nel cestino anziché per terra. Il filantropo che a causa di ciò viene perfino vilipeso come “scemo” per la sua apprensività, qualora provasse ad adeguarsi al comportamento degli altri non potrebbe farlo altro che imitandolo grossolanamente, apparendo egli stesso come il peggiore dei misantropi! Guai quando provasse una prima volta a buttare una carta per terra! L’accanimento sarebbe oltre ogni immaginazione! E non potrebbe far altro che ascoltare il ritornello regolarmente con rassegnato stupore e sopracciglia aggrottate, osservando impotente questa e altre aberrazioni piccole e grandi che costellano il percorso di questa società umana e le singole vite. Parafrasando una frase di Giuseppe Stalin:
“Una cartaccia per terra è una tragedia, un milione di cartacce per terra è statistica”
Niccolò Macchiavelli nella “Mandragola” fa notare la differenza tra chi crede nel bene comune e chi invece è abituato a farlo perché non ha mai avuto la possibilità di scegliere diversamente. Il “bene” frutto di una riflessione e di un percorso individuale, diventa parte integrante dell’individuo che mai potrà abbandonarlo senza tradire se stesso. Chi invece segue l’“indottrinamento” sociale finisce per scegliere il “male” non appena può e questo succede perché il bene non è parte della coscienza della persona ma una arbitraria imposizione sociale che viene concepita non come un qualcosa di realmente buono ma come una sorta di “forma di controllo” ed annientamento della volontà individuale.
“L’occasione fa l’uomo ladro”
In questo prendono senso le regole delle religioni, sorta di primordiali linee guida sociali. In sostanza la gente comune non agisce nel bene perché lo ha ritenuto giusto dopo una riflessione, ma per abitudine o paura, quando non per tornaconto diretto. Certamente per essi è impossibile concepire l’esistenza di persone che si comportano bene non per coercizione ma perché sanno che è la cosa giusta per tutti, compresi loro stessi. Lecito è chiedersi come gli irrazionali possano permettersi di giudicare chi per scelta e dopo riflessione opta per il bene, ma nell’agire ha magari causato involontariamente qualcosa che tutti i veri maligni “mummificati” giudicano come “male”.
“Vi è un grado di falsità incallita, che si chiama coscienza pulita” (Friedrich Nietzsche)
Il concetto comune di “onestà” è certamente una delle maggiori ipocrisie della società. Essere onesti per paura della prigione è ben diverso dall’essere filantropi per empatia, immedesimazione. Filantropia intesa nel senso letterale del termine, non nel corrotto senso comune di “beneficenza” ovvero determinata unicamente dall’egocentrismo. Per i più empatici, essere definiti onesti equivale ad un insulto, perché indica la considerazione di un giudizio, il quale presuppone implicitamente la possibilità eventuale di definizione opposta. E dato che per essi il concetto comune di disonestà non sussiste, allo stesso modo non può sussistere un concetto opposto. Dove sta la differenza tra il “ladro” che ruba un panino e l’“onesto” che nei buffet si riempie la borsa di tutto ciò che può arraffare? Solo nella concezione popolare convenzionale. Solo nella giustizia istituzionale. Solo nell’opinione. Non nei risultati fattivi.
«Se mi sono dato al furto non è per guadagno o per amore del denaro, ma per una questione di principio, di diritto. Preferisco conservare la mia libertà, la mia indipendenza, la mia dignità di uomo, invece di farmi l’artefice della fortuna del mio padrone. In termini più crudi, senza eufemismi, preferisco essere ladro che essere derubato. Certo anch’io condanno il fatto che un uomo s’impadronisca violentemente e con l’astuzia del frutto dell’altrui lavoro. Ma è proprio per questo che ho fatto la guerra ai ricchi, ladri dei beni dei poveri. Anch’io sarei felice di vivere in una società dove ogni furto fosse impossibile. Non approvo il furto, e l’ho impiegato soltanto come mezzo di rivolta per combattere il più iniquo di tutti i furti: la proprietà individuale. Per eliminare un effetto, bisogna, preventivamente, distruggere la causa. Se esiste il furto è perché “tutto” appartiene solamente a “qualcuno”. La lotta scomparirà solo quando gli uomini metteranno in comune gioie e pene, lavori e ricchezze, quando tutto apparterrà a tutti» (Alexandre Marius Jacob)
Si pensi alla cosiddetta “giustizia intra-carceraria”, culminante nelle lettere di solidarietà scritte dai detenuti ai parenti di determinati tipi di vittime. Come poter considerare uno scippatore che si considera moralmente migliore dei coniugi di Erba?
Il campione di quest------- lo abbiamo in Vallanzasca – superbo esempio di antipatia spontanea --- di cui abbiamo l’esempio nell’episodio dell’orologio marca Rolex oggetto di scommessa con un ispettore di polizia, il quale solo per rispetto della proprietà evitò di gettare l’oggetto giustamente nel cestino dei rifiuti.
“La moralità è il letto d’un fiume asciutto dove starnazzano le papere” (----------------)
----qualcos’altro?------ Questo
discorso non vuole ovviamente introdurre ad un’apologia del reato, ma alla
ricerca di una soluzione alla causa originaria di tutti i reati. Non è nemmeno
una ricerca di soluzione “all’anarchica”, ma
-- --- --. Non è la demagogia dei marxisti che sembra vivano in un altro
pianeta dove le leggi fisiche e matematiche non valgano. ----------. Per ridistribuire la ricchezza bisogna prima
crearla.
Il problema fondamentale, come si sarà intuito, non sta nel livello di
progresso intellettivo raggiunto dalla media delle persone o il suo livello
massimo. Sta in chi guida la società, come e perché. E da questo punto di
vista, la critica al sistema sociale odierno è inevitabile. Non una trita
critica qualunquista.
“Il fatto che un’opinione sia
ampiamente condivisa, non è affatto una prova che non sia completamente
assurda. Anzi, considerata la stupidità della maggioranza degli uomini, è più
probabile che un’opinione diffusa sia cretina anziché sensata” (Bertrand Russell)
Nella società la guida culturale è determinata si dalla maggioranza, ma anch’essa si accosta sul carisma dei dominanti. Purtroppo il problema è che non è il vero valore qualitativo a determinare tale carisma scambiato erroneamente per “merito”; anzi solitamente sono i meno meritevoli a tenere il coltello dalla parte del manico. Li si può anche sovrastare moralmente, guardare dall’alto in basso, evidenziarne gli errori, ma sempre in balìa di essi si sussiste; privi di voce in capitolo, castrati, repressi, impotenti.
“Chiunque sfidi l’ortodossia dominante viene ridotto al silenzio con sorprendente efficacia. Un’opinione genuinamente anticonformista non ottiene quasi mai la giusta considerazione” (George Orwell)
Tanto varrebbe quindi evitare di opporvisi e lasciarsi andare, aggregandosi all’obnubilamento generale. Facile dirlo, ma difficile farlo. Ci si può autoimporre -----modestia-------, ma regolarmente davanti ai sempre sotto-------- impatti con l’assurdità del mondo ------- si viene da esso tirati fuori a --------.
La società pretende di trattare tutti secondo le sue regole, anche quelli che non le accettano e non le hanno mai sottoscritte. Certo, le regole sono necessarie e devono essere valide per tutti. Ma chi è che le decide? Il “pubblico” è fatto da un insieme di persone, ignoranti e meno ignoranti. Anche la democrazia opera su un principio statistico simile: la collettività è mediamente più “saggia” del singolo (anche se ci sono individui molto più saggi della collettività). Il problema come sempre è quello di ricordarsi che anche se, da un lato esistono persone meglio adatte di altre per prendere decisioni, come nel governo di una nazione, o sedere al vertice di un albo professionale o in una commissione di valutazione, anche se esistono queste persone, non c’è alcuna garanzia che siano queste persone ad occupare quelle posizioni. Ed è effettivamente raro trovare una persona che ricopra il posto più adatto ad essa. Di conseguenza, oggi a causa di questa alterazione delle attribuzioni, alla fine, sul lungo termine, le decisioni prese da un collettivo si rilevano migliori di quella di un singolo od una oligarchia saliti al potere per interesse proprio e grazie all’astuzia. Qualora certe regole stabilite dalla maggioranza siano aberranti, alle persone che riescono a rendersene conto, la causa non è la democrazia in sé, ma ciò che la rende oggi come oggi necessaria. Certo se lasciamo le cose in mano al collettivo i risultati non sono affatto peggiori di quelli che sono oggi come oggi.
“I nove decimi delle attività di un governo moderno sono dannose; dunque, peggio son svolte, meglio è” (Bertrand Russell) O su Ed il “think tank” (o mainstream???)?
Il punto fondamentale quindi deve essere porre le basi che consentano di identificare una valida alternativa al sistema democratico parlamentare. Come si legge anche nella Bibbia, non si può costruire una casa partendo dal tetto!
----qualcosa su meritocrazia qui ----------
E’ vero che molti cittadini non sanno gestirsi, ma se non gli viene insegnato e dato la possibilità di provarsi le cose non migliorano di sicuro. L’esempio classico è l’assemblea condominiale (nel caso ideale in cui non sia pilotata da condomini chiassosi o rissosi sostenuti da una claque prepotente). Il singolo condomino, preso individualmente non ne sa molto su svariati degli argomenti che riguardano il condominio. Ma se uno della minoranza di “svegli” espone una argomentazione, una idea, una soluzione migliore, la sa riconoscere e farsela propria. Quindi, alla fine, una assemblea condominiale fatta tra persone tranquille, anche se rappresentino lo strato medio sociale italiano, incluso quelli che secondo alcuni, solo perché privi di titoli di scuola, non dovrebbe neanche scegliere, in realtà prende decisioni di qualità superiore a quelle dell’amministratore autoritario o che si fa gli interessi suoi. Naturalmente il requisito è che i condomini si comportino da persone mature, siano abituate a decidere in assemblea, e non cresciuti una vita in un rapporto di sudditanza con il potere, l’amministratore ed il capo reparto in fabbrica o in ufficio (Paolo Villaggio ha rispecchiato un personaggio che è molto italiano ... anche se un po’ esagerato). Ovvio che se “molliamo” le redini, all’inizio c’è un po’ di sbandamento, ma man mano le gente impara ed il risultato è solo in miglioramento delle cose. Il punto quindi è che in teoria la democrazia potrebbe non solo funzionare, ma che in un sistema sociale come quello odierno si rivela necessaria come male minore. Ma in pratica la realtà ci dimostra come a decidere le opzioni da votare siano regolarmente dei cretini, e che l’opzione più votata dagli elettori li renda degni di tali capi----------------.
“Nelle democrazie, i governanti raramente sono peggiori dei governati” (Roberto Gervaso)
Biagio Antonacci è l’emblema di come una scelta affidata alla massa finisca per essere inevitabilmente quella più assurda. La democrazia potrebbe funzionare solo se -----tutti i cittadini fossero omologati su livelli intellettivi identici, ma ciò non è possibile, ed anche quando si volesse realizzarlo restringendo il diritto di voto ad un certo gruppo ciò andrebbe contro ai fondamenti attuali del concetto di democrazia. -----------Quindi non quella parlamentare. La ----- che si intravede è l’utilizzo di un diverso tipo di democrazia. Quello che difatti non riescono a capire né i sostenitori dell’ideologia della democrazia, né i suoi critici, è che il parlamentarismo non detiene il monopolio del concetto di democrazia!
“Le repubbliche democratiche mettono lo spirito di corte alla portata della maggioranza e lo fanno penetrare simultaneamente in tutte le classi”. Non è una corte verticale, come nelle aristocrazie, ma laterale: “ciascuno fa il ruffiano con tutti” ----- A. de TOCQUEVILLE, La democrazia in america, Milano, Rizzoli, 1992 in R. STENGEL, Manuale del leccaculo, Fazi Editore, Roma, 2004, p. 204.—
E le basi della democrazia oggi intesa, ----esempi-------. In definitiva il principio su cui si basa è -------. Questo principio è fuorviante e falso. Nel terzo millennio possiamo ben dire che, anche accettando obtortocollo la buona fede di chi intende una democrazia come una opportunità di coinvolgere ampiamente i cittadini nella gestione della vita societaria, questo tentativo è miseramente fallito in una “degenerazione individualistica e anarchistico-plebea” ---- Cfr. F.G. FREDA, Platone. Lo Stato secondo giustizia, Edizioni di Ar, Padova, 1996, p. 10. -----. La democrazia è soltanto un comitato di affari in cui pochi tenutari del potere e gestori di apparati partitici - al guinzaglio di agenzie esterne forti e condizionanti le decisioni politiche - gestiscono la vita dei sudditi indipendentemente dalle volontà individuali, gratificando le voglie più basse dei singoli e contro il benessere degli stessi. Per quanto riguarda l’attuazione del ----- politico (nella fattispecie la democrazia) nel campo del lavoro, poi, siamo alla menzogna più sfacciata, in un sistema che ha rinunciato al minimo delle tutele, con un precariato in continua espansione ed una flessibilità demotivante e depressogena. Sembra che per i fanatici della democrazia essa vada bene applicata a qualunque cosa, fuorché alla base stessa della società: il lavoro! Ma puntualizzarlo è una folle utopia.
“Tutto ciò che ha valore nella società umana, dipende dalle opportunità di progredire che vengono accordate ad ogni individuo” (Albert Einstein)
Oggi l’organizzazione del lavoro è antitetica ad ogni concetto di democrazia, anzi è proprio l’apoteosi de ---------------------. Ma sembra a tutti andar bene così. Per quanto riguarda la libertà, poi, l’unica libertà lasciata aperta nel sistema lavorativo è quella di morire di fame. Alle persone sveglie appare inconcepibile come da un lato ci si accanisca furentemente sulla democrazia nella politica, tutto sommato superflua in quanto vaga e vasta, e dall’altro lato si tolleri o si approvi ampiamente la totale assenza di democrazia e di libertà nell’ambito fondamentale della società che riguarda le sfere personali di sostentamento quale è il lavoro!
Così come la maestra auspicava un consenso totalitario sui suoi gusti artistici, esistono tutt’oggi una miriade di professori monotematici che vorrebbero ------- l’esempio più comune è quello dei fanatici delle contrite gite ad Auschwitz anziché al campanile di Giotto. C’è da chiedersi a quando l’ora scolastica appositamente dedicata? ------sussiego--------- guai, regolarmente, a quei rari studenti che osassero asserire la nudità del Re!
Tra l’altro, in tutte le ultime discussioni è mancata del tutto una domanda fondamentale che solo una volta mi è stata posta diverso tempo fa, ovvero cosa spinga a sostenere le tesi revisioniste. La risposta è abbastanza semplice. Prima di tutto teniamo presente che la stragrande maggioranza delle persone comuni non è nemmeno a conoscenza di queste, quindi non ha nemmeno la possibilità di accedervi. Mi riferisco a chi non ha un computer con internet, ovviamente. Ovviamente a moltissimi altri può non interessare proprio il tema. Bene, assodato questo, teniamo presente che fin da bambini praticamente tutti vengono informati (anche a scuola) della tesi ufficiale dell’olocausto, e nel presupporre che esistano tutt’oggi nazisti un bambino non potrebbe altro che immaginare che questi si dicano contenti e sostenitori dell’avvenimento dell’olocausto, a rigor di logica. E’ possibile immaginare lo stupore in un bambino allorquando venga a sapere che non è affatto così. Si chiederà inevitabilmente: “ma allora perché me l’hanno lasciato credere?” e soprattutto “ma se i neonazisti non fanno apologia dell’olocausto ed anzi lo deprecano loro per primi, perché vengono attaccati dagli altri, ed in maniera così furente???????”. Sarebbe comprensibile difatti un tale accanimento verso uno che dicesse “Hitler ha fatto bene”, ma è difficilmente comprensibile verso uno che dice “io non credo possibile che qualcuno abbia organizzato e attuato ciò”. Inoltre, cosa ancor più grave, agli occhi di un revisionista l’accanimento furente col quale i sostenitori dello sterminio avversano la ricerca storica sull’argomento non può che apparire come una speranza che lo sterminio sia avvenuto veramente. Checchè i sostenitori dello sterminio ne dicano è consequenziale che vengano identificati in tal modo, in mancanza di altra plausibile spiegazione razionale del loro accanimento. Quindi a questo punto un bambino divenuto consapevole di ciò non potrebbe altro che notare l’inversione delle parti buono/cattivo, e chiedersi se sia giusto ciò.
Perché nessuno mai pone la più ovvia e fondamentale delle domande? Evidentemente perché presuppone già da sé la risposta. Una risposta completamente fasulla e basata sul pregiudizio, confondendo causa ed effetto.
“La tristezza mentale determina la caparbietà: non crediamo facilmente a ciò che si trova al di là del nostro campo visivo. Le menti mediocri condannano abitualmente tutto ciò che oltrepassa le loro capacità” (La Rochefoucauld)
La conseguenza che ne ricaviamo è che, prima di, e per poter, eliminare l’inefficiente ed iniquo sistema politico demo-parlamentare si deve demolire e ricostruire le basi della società, ovvero ristabilirla sotto un egida meritocratica. Per questo la base di una tale democrazia deve essere l’organicismo. ---nota organicismo qui?----
“Non potrei definire come sono entrato nella lotta. Forse come un uomo che, sorpreso dal fuoco che divora una casa, getta la giacca e balza al soccorso di quelli in preda alle fiamme” (Corneliu Zelea Codreanu) ----- qui o su Venezia?-----
“A chi nulla è stato dato, nulla può essere richiesto” (Henry Fielding)
Non è concepibile non pretendere di essere trattato come si tratta gli altri. Uno che non ruba non può non pretendere che non gli si rubi. Uno che tratta gli altri con rispetto non riesce a concepire che gli altri non lo trattino con rispetto. Ma quando ciò venga violato non si può ribattere con argomentazioni che si rivelano regolarmente nulla più che “lavare la testa all’asino”. Lo si può sopportare, assuefarsi, ma è difficile accettarlo ed adeguarsi. Un mondo capovolto ed iniquo, astioso e acrimonioso, sapientemente descritto alcuni anni fa dal cantante Antoine nella sua canzone “Pietre”.
“Riflettere è considerevolmente laborioso, ecco perché molta gente preferisce giudicare” (José Ortega y Gasset)
Sicuramente i coniugi Romano a suo tempo avranno deprecato l’omicidio dei coniugi Maso. Tutti pontificano guardando la pagliuzza nell’occhio altrui; finché non gli piomba una trave nel proprio. E non è detto che ciò accada per scelta. Come Alice nel paese delle meraviglie, è facile aver a che fare prima o poi con la “Regina” della società, e trovarsi in sua balìa, anche contro la propria volontà. Non circoscriviamo questi pensieri solo agli autori di questa opera, in quanto certamente esisteranno molte altre persone, magari anche più degne del nostro misero campione, pervase dagli stessi nostri intimi contrasti e consce come noi delle incongruenze di questo mondo; elaboriamo questo testo anche per loro, immaginando che siano nelle stesse condizioni comuni a molti altri, e, come noi, vedano le cose senza occhiali affumicati, osservandole in silenzio, come abbiamo dovuto fare anche noi fino ad ora.
“Colui che si affida
totalmente ai suoi simili appare loro come un individuo inutile ed egoista; ma
chi si concede parzialmente ad essi viene definito un benefattore e un
filantropo” (Henry David Thoreau) ---spostare
su??---
Ora vorremmo provare a rompere quel silenzio fino ad oggi solo interrotto brevemente dai frastuoni inconcludenti delle giovani generazioni moderne i cui movimenti sembrano contraddistinti soltanto da puerili fremiti consumistici ed estetici. Nessuno sembra preoccuparsi di ---------, anzi, nessuno sembra notarlo. Questo è ciò su cui contano i ----furbi------approfittatori ed i loro numerosi burattini.
“Tutte le leggi umane, non quelle divine, sono il risultato di uno sforzo di uomini. Altri uomini vengono, modificano, aboliscono, perfezionano. Non ci vuole nulla ad abolire. Distruggere è facile, ma ricostruire è difficile” (-----------------------)
unire in qualche modo???
Il pensiero politico-ideologico degli uomini non si discosta dal pensiero “automobilistico” già menzionato. Come un gregge in cui ogni bestia imita all’unisono il comportamento della maggioranza. Oggi che internet ha aperto ampie possibilità di espressione e di “spinta sui muri” --------, il riferimento ai cosiddetti “debunker”[4], i sorreggitori dei “muri”, è chiaro. Voler seguire appositamente un comportamento errato può anche essere accettabile, ma volerlo convintamente imporre agli altri e magari voler pure avere ragione verso chi non lo attua è un altro discorso. L’ignoranza non è una colpa. Ma solo gli stupidi non riconoscono la propria ignoranza e pretendono di avere ragione a priori. La differenza sta nell’argomentarla e provarla, la ragione. Non è la stupidità in sé ad infastidire. Nemmeno la stupidità è una colpa ma lo diventa quando uno stupido in torto pretende pure di avere ragione. Soprattutto quando davanti l’evidenza argomentata e provata. E vi assicuriamo che chi, come noi, sa recepire ------- vi assiste continuamente, a volte ribellandosi, quando possibile farlo. Non potrebbe essere altrimenti, nell’incapacità di accettare la stupidità che circonda le nostre vite e il nostro ambiente politico in particolare.
“Ecco quello che mi manda in
bestia: la gente stupida non sa della propria stupidità” (George Bernard Shaw)
Non si intende sputare sentenze campate in aria. Più e più indicatori di stupidità sussistono nella società. Uno, per quanto banale, è estremamente esemplare, ed è il concetto comune di riposo: lodato è chi si sveglia alle 6 di mattina, deprecato chi alle 12; eppure si presume che entrambi abbiano dormito lo stesso numero di ore, quelle mediamente necessarie a tutti, ne più ne meno. E quando qualcuno ha bisogno effettivamente di dormire più ore (perché di bisogno si tratta, non di volontà!), esso viene deprecato anziché lodato! Cosa si può dire di una società che depreca chi durante la veglia ha un’attività mentale maggiore (che è la causa della maggior necessità di riposo cerebrale) e loda chi avendola minore ha minor necessità di riposo? Questo è l’esempio campione del livello intellettivo di questa società dominata dagli stolti.
Difficilmente essi potrebbero capire cosa possa voler dire per un vero “alfa[5]” sentirsi considerare parassita dai falsi “alfa”, i quali sono essi i veri parassiti… Ribadiamo di non accampare in aria come un’opinione personale queste affermazioni. E per questo esempi non mancano. Quando la stupidità è superficiale è pure tollerabile; ma quando diventa una “stupidità militante” allora diventa fastidiosa. L’esempio tipico di quest’ultimo caso è in quelli che rifiutando la religione impostagli alla nascita da adulti si “sbattezzano”, dando così essi stessi avvallo di importanza alla stessa ritualità di quella religione che vorrebbero delegittimare. Danno importanza ad una cosa che invece dal loro punto di vista dovrebbero voler ridimensionare. Bisognerebbe che imparassero il concetto “ogni pubblicità è buona pubblicità”. ---paragonarlo con altro---- Questo non è neppure il peggior esempio, altri li troverete sparsi nel testo. Un paese nel quale quando dei neogenitori hanno scarse disponibilità economiche, anziché come logica vorrebbe, metterli nella condizione di guadagnare di più, gli tolgono il bambino con questa motivazione[6]! Come se poi la colpa del basso guadagno potesse essere dei genitori, e non proprio anche di quell’istituzione stessa che si permette poi pure di decidere su di loro e sul loro figlio! --qui?
Se questi banali esempi non
bastassero, tutti possono prendersi uno di quei quotidiani distribuiti
gratuitamente e leggersi la pagina dei commenti inviati per sms… difficile
negare di trovare in essi l’apoteosi dell’imbecillità a livelli altrimenti
inimmaginabili. E quelle sono le persone a cui permettiamo di votare alle
elezioni politiche, amministrative e nei referendum.
Ma ribellarsi, ovvero esprimere e diffondere la propria opinione,
cercando semplicemente di “far notare” le incongruenze, non sempre è possibile.
Soprattutto quando si è sommersi da una massa di opinioni inutili e assurde.
Quando possibile, arduo è contare che non capiti perlomeno uno, di “bastian
contrario”. Ed il consenso popolare, raramente pende verso la parte giusta.
Spesso si accanisce fino al limite del ---------. Esempi di martiri vittime
della stupidità umana ne abbiamo molti, a cominciare da Ipazia di Alessandria,
recentemente protagonista delle cronache culturali grazie ad un film fin troppo
boicottato. Purtroppo nonostante i secoli trascorsi il mondo è cambiato ben
poco da allora, sotto questo punto di vista.
Come classificare la differenza tra chi dalla stupidità altrui vuole e sa trarne profitto (le sette religiose, i maghi, i casinò, i venditori di suonerie, ecc), e chi invece se ne strugge? Come poter giustificare chi si dimostra forte solo coi deboli e debole coi forti? Chi si aggrega ai branchi? Come poter tollerare il fatto che sia regolarmente la disonestà a pagare, mentre la filantropia vera viene vilipesa? Non la filantropia dei disonesti, quella di chi dona dopo aver rubato, per acquisire meriti o credendo così di potersi salvare l’anima. Ma quella di chi non può donare nulla perché non ha nulla, ma quel poco che può fare lo mette a disposizione. Ed a volte rischia perfino la galera per questo, magari beccandosi pure del parassita dai veri parassiti della società, o del misantropo dai veri misantropi… e se pensate che ciò sia raro, vi sbagliate.
“Se c’è qualcuno di tendenza liberale che dice che tali considerazioni come quelle qui sopra sono immorali, gli farò le seguenti domande: è possibile [avere] la minima speranza di guidare le masse con dei consigli e degli argomenti ragionevoli, quando si può fare qualsiasi obiezione o contraddizione, per quanto possa essere insensata, e quando una tale obiezione può essere maggiormente apprezzata dalla gente, i cui poteri di ragionare sono superficiali? Gli uomini nelle masse, che sono motivati solo dalle passioni meschine, dalle convinzioni misere, dai costumi e dalle tradizioni; cadono in preda al dissenso di parte, che impedisce qualunque forma di accordo, anche in base ad un’argomentazione perfettamente ragionevole” (dal “pamphlet contro Napoleone III” di Maurice Joly)
Non tutti noteranno un nesso con la religione cristiana. Il più importante messaggio intrinseco che ci ha lasciato il sacrificio di Cristo invece è proprio questo, lui che è stato condannato e crocifisso per volere di chi temeva per i propri privilegi immeritati, e con l’avvallo della maggioranza del popolo accecata dal fanatismo strumentale. Ma sembra che oggi questo messaggio non sia ancora stato recepito, visto che i farisei prosperano alla grande. Ma non si fraintenda quanto letto finora: è statisticamente ovvio che in una società metà dei suoi cittadini saranno classificabili come più intelligenti e l’altra metà meno.
“Non si governano angeli nel Cielo, ma uomini sulla terra, che sono come sono, con tutti i loro limiti e non come qualche utopista o sottospecie di idealista vorrebbe che fossero” (Antonio de Oliveira Salazar)
Nessuno qui vuole biasimare chi “non ci arriva”. Ma è difficilmente accettabile che a dirigere ogni ambito della società sia generalmente una classe appartenente alla fascia della metà meno intelligente, e che come automatica conseguenza esclusivista siano i più intelligenti ad essere messi nell’ultimo gradino della scala sociale come dei paria, tanto più in basso quanto maggiore è l’intelligenza. Nessuno di noi scriventi pretende o ha mai preteso vantare superiorità, anzi qualcuno avrebbe piuttosto desiderato proprio l’opposto. Non di essere più stupidi, ma che lo fossero di meno gli altri, in modo da non dover sentire sulle spalle tutto il peso inesprimibile di una responsabilità sociale percepita proprio come tale. Come un impotente genitore di un incontrollabile bambino gigantesco. Ma purtroppo ogni giorno che passa un tassello si aggiunge alla consapevolezza della stupidità che ci circonda, fin nelle più piccole questioni, facendo “cadere le braccia” ogni volta nonostante l’abitudine che si dovrebbe aver maturato.
“I cretini sono sempre più ingegnosi delle precauzioni che si prendono per impedirgli di nuocere” (Legge di Murphy)
Come simbolo dell’incongruenza delle scelte politiche odierne, oltre al progetto di metropolitana sublagunare, come non poter citare la scelta dello smantellamento dei tratti a 2 corsie della SS 1 Aurelia? Per appaiarvi una nuova autostrada a pagamento, forse prendendo spunto dal film “Chi ha incastrato Roger Rabbit”... Il muro davanti alle persone razionali si alza sempre di più. Tanto da far arrivare qualcuno al proposito di farsi lobotomizzare pur di poter a seguito di ciò provare quello che gli altri chiamano “felicità” e che non tutti sono sicuri di aver mai provato.
“Il problema dell’umanità è che gli sciocchi e i fanatici sono estremamente sicuri di loro stessi, mentre le persone più sagge sono piene di dubbi” (Bertrand Russell)
La società odierna può essere riassunta anche con un banale ma calzante esempio etologico: il cuculo. Il comportamento atipico di quest’uccello, che non cova il suo uovo ma lo depone nel nido di altri uccelli, i quali lo covano con amore, e nel momento in cui si schiude, il pulcino del cuculo spinge fuori dal nido gli altri pulcini, facendo in modo che i genitori “adottivi” accudiscano solo lui, anche quando divenisse più grosso di loro. Una curiosa coincidenza utile da far notare, dato che ciò corrisponde appieno alla gerarchizzazione della società odierna dove nelle attribuzioni non è il merito ad essere vincente, ma la competizione sfociante nell’arrivismo più aggressivo. L’esempio non termina qui: un pericoloso nemico degli uccelli è il serpente. Talvolta capita che un serpente visiti un nido mangiandosi le uova; statisticamente in percentuale uguale sia nel nido dove vi sia un pulcino di cuculo, sia dove non vi sia. Nel paragonarlo alla società odierna, in essa è come se il serpente capitasse solo nei nidi contenenti uova di uccello originale e non in quelli dove il cuculo ha deposto. Ovvero: non c’è mai un binario elettrificato a portata di zampillo quando agli scemi scappa la pipì. Forse non è immediatamente comprensibile la metafora della giustizia della società degli uomini che c’è in questi esempi, ma contiamo che alla fine della lettura di questo libro lo divenga. E se così non avvenisse, esistono già in commercio diversi testi sulle cosiddette “leggi di Murphy” che possono chiarirlo. Oppure il classico “Fantozzi”, insuperabile analisi sociologica della società italiana.
“Chi possiede arte e scienza, ha religione. Chi non le possiede, abbia religione” (Johann Wolfgang von Goethe) ---qui???----
Spostando il discorso su di un terreno metafisico possiamo inevitabilmente anche considerare che tutte queste consapevolezze possono portare un individuo a non prendere nemmeno mai in considerazione il concetto stesso di “Dio”, razionalmente. Ma irrazionalmente l’emozione può prevalere sul raziocinio, e davanti alle aberrazioni ed alle ingiustizie che accadono davanti agli occhi non è concepibile obiettivamente accettare che si limiti tutto a “questo”. Ma un dubbio che può sorgere comprensibilmente è: se questo fosse il mondo auspicato da un Dio, questo Dio sarebbe un Dio malvagio, ovverosia un diavolo. Come altro si potrebbe definire un Dio che si diverte continuamente a fare sadiche scommesse sulla pelle dei suoi “figli”, come nel caso di Giobbe? Ma nella vita vera il lieto fine non esiste mai. Le disgrazie non hanno mai motivi reconditi. Le puerili scuse accampate dalle varie religioni lasciano il tempo che trovano. “Quel che avviene”, non sempre “conviene”. La religione come legislazione primordiale alla base delle regole di vita è certamente necessaria, ma non dovrebbe essere un dogma causa stessa di ---- tragedie ed ingiustizie-----, vedi lapidazioni e crudeli macellazioni. Non intendiamo mettere in discussione l’esistenza o meno di un’entità divina. Ma non possiamo evitare di chiederci i motivi per i quali essa permetta all’uomo di essere talmente imperfetto nelle sue manifestazioni. E comunque, perché permetta a poche persone di riuscire a notarlo, fonte di ulteriore sofferenza per esse.
Eppure il mondo di oggi appare alla maggioranza delle persone come buono, se non il migliore possibile, e nel complesso di civiltà le sue basi vengono ampiamente percepite come fondate. Nulla di quanto necessario manca al soddisfacimento esistenziale, poco turba le coscienze e tutti si sentono liberi, o meglio, recepiscono questo sistema sociale come garante la massima libertà possibile. Qualunque seccatura che turbi il quieto vivere “occidentale” viene liquidato come malvagità ed ostacolato nei modi pudicamente possibili. Governanti che tutelano i loro paesi sovrani quali Iran o Corea del Nord vengono definiti dittatori o mostruosità aberranti da eliminare, in nome della libertà occidentale. Chi abbia fornito all’Occidente la fiaccola della bontà, non è dato.
“Non è la libertà che manca. Mancano gli uomini liberi” (Leo Longanesi)
Ma nessuno ragiona con lungimiranza. Prendiamo ad esempio un tema fondamentale di questo libro, l’economia: un’economia come è pure quella italiana, un mix keynesiano di consociativismo e statalismo assistenziale e clientelare, dove corruzione, lavoro sommerso ed evasione fiscale sono ciecamente considerati motori dell’economia, e dove gli interessi personali inducono inefficienze inconcepibili, illeciti e sprechi, ha dentro di sé i geni del declino sociale. Ricchezza presunta o fittizia, sostenuta in buona parte attraverso l’accumulo continuo di debiti nominali, posticipando l’inevitabile resa dei conti, finché tale “bolla” regge. Vedremmo, se tutti si precipitassero a ritirare simultaneamente i propri crediti, a quale valore reale precipiterebbero i contanti: a carta straccia. Una società fondata sulle bugie dove andrà a parare alla fine? Un sistema politico che si basa sulla menzogna dimostra un declino che in persone razionali dovrebbe essere come una pulce nell’orecchio, spingendole a prenderne le distanze e a cercare ogni verità, sugli eventi contemporanei ma anche sui fatti storici.
“La Verità vi renderà liberi” (Gesù Cristo)
L’ipocrisia umana raggiunge l’apoteosi nella vaghezza interpretativa dei reati contro la prostituzione. Basterebbe semplicemente rendere effettivamente reato la prostituzione e condannare chi la esercita. Ma dato che questo eliminerebbe la prostituzione, e nessuno vuole veramente eliminarla, i politici sotto la forte pressione dei pochi bigotti, sono costretti ad arrabattarsi con palliativi e “specchi per allodole”, come il punire i clienti, il che come è ovvio equivale a punire il vicino di casa del criminale anziché il criminale stesso. Viene spontaneo da chiedersi, seguendo questa logica, perché allora non si vada ancora più a monte delle responsabilità indirette punendo il vero mandante, ovvero tutte le donne italiane. Che magari sono pure le prime a lamentarsi. Se esse non fossero così snob non ci sarebbe certo bisogno di prostituzione di ragazzine romene o bulgare. Per quanto nel suo piccolo, un chiaro esempio dell’incongruenza delle leggi italiane riguarda anche l’arresto di Brigitta Bulgari per essersi spogliata davanti a dei maschi minorenni. Quasi ne fossero stati questi ultimi le vittime… non dovrebbero certo servire commenti.
“Se non state attenti, i media vi faranno odiare le persone che vengono oppresse e amare quelle che opprimono!” (Malcom X)
Paradossalmente tutte queste critiche alla società odierna potrebbero sembrare dettate da rancore, equivalenti allo sputare nel piatto dove si mangia, invece il quadro è ben diverso, ma non si fraintenda: non si vuole sostenere che tutti debbano avere razione uguale. La natura purtroppo non ha creato tutti gli uomini uguali.
“E’ in conformità all’ordine stabilito da Dio che nella società umana esistono principi e plebei, padroni e proletari, ricchi e poveri, colti e ignoranti” (Pio X)
Il nostro “sputo” è verso quelli che da questo piatto cucinato anche da altri prendono a sbafo più di quanto si meritino, perché consentitogli dagli altri commensali più ingenui. Che viceversa, spinti in questo dai più furbi, impediscono ai veri meritevoli, ai veri individui “alfa”, capaci di cucinare per tutti pietanze più succulente, di accostarsi più di tanto, mentre, punto ancor più fondamentale, tollerano addirittura che i furbi spreconi gettino il cibo per terra! Ma nemmeno qui sta il punto, sebbene sia anch’esso rilevante. La critica principale è che oltretutto in questo trogolo di società siano gli ingordi immeritevoli a permettersi addirittura di far la morale agli individui moralmente sovrastanti! Col gregge belante a far da coro. Oltre al danno, rigorosamente la beffa.
“Perché prima di giudicare il criminale o l’innocente, saranno i giudici che bisognerà radunare immediatamente [...] Essi saranno a loro volta alla sbarra del giudizio [...] Radunateli qui i giudici, nel recinto della grande stalla. Per giudicarli, vi avverto, noi avremo i Santi. [...] I giudici vanno infine al tribunale del Gran giorno [...] Non piangete “uomini per bene”, saranno giudicati anch’essi[7]: ma ora per cominciare dobbiamo parlare di questi altri [...] Gli avversari di una volta per oggi sono d’accordo, i giusti trascinati al rogo sono vicini ai delinquenti comuni, perché i giudici saranno giudicati da colpevoli ed innocenti [...] Alla Suprema Corte d’Appello non saranno sempre gli stessi, o fratelli dalle gelide carceri, che saranno dalla parte di chi vince [...] Essi vedranno il grande Condannato, Re di tutti i condannati terreni aprire per giudici e giudicati il tempo del Grande cambio” (Robert Brasillach, tratto da “Il giudizio dei giudici”, 13 Gennaio 1945)
Il problema ha origine dal fatto che i furbi, avendo a che fare quasi sempre con stupidi, ed essendolo fondamentalmente loro stessi, credono che tali lo siano tutti, e si regolano di conseguenza. Naturale è quindi l’incomprensione reciproca quando uno stupido furbo si ritrova davanti una persona raziocinante. Tale ragionamento può essere esemplificato con il meccanismo dei punti patente, apoteosi dell’iniquità livellante, data l’ovvia maggior probabilità statistica di vederli decurtati non ai guidatori peggiori, ma a quelli che percorrono il maggior numero di chilometri. A prescindere dal personale rispetto delle regole. Ovviamente il tutore delle leggi che applica la sanzione non può essere a conoscenza del senso civico e del numero di chilometri percorsi dal sanzionato, per cui si regola, comprensibilmente, sia chiaro, nel medesimo modo sia con gli sconsiderati che con i ligi.
“Per il narcisista il mondo è uno specchio, mentre per l’individualista primitivo era una terra di nessuno da modellare secondo la sua volontà” (Christopher Lasch)
----- queste -----affermazioni--- potrebbero apparire equivalenti a
spingerci verso il desiderio di una società omologata, quasi Orwelliana. Ma è
proprio questo il punto: la tipologia di società che stanno costruendo i
Burocrati Mondiali assomiglia molto più a
quella prospettata da Huxley nel
suo “Mondo Nuovo” piuttosto che ad una comunità meritocratica. La critica
principale che facciamo alla modernità globale è che in questo momento di
decadimento sociale e morale (quello economico è solo il risultato finale) sono
proprio i rappresentanti del “Bene Assoluto” a sopravvivere, mentre il gregge
al pascolo si accontenta delle briciole…finché ci saranno.
“Appena può dichiararsi libero l’uomo si sente condizionato. Quando ha il coraggio di dichiararsi condizionato si sente libero” (Johann Wolfgang von Goethe)
----come unire????---------
Nella società massificata (o meglio, de-individualizzata) ognuno è una piccola ruota dell’ingranaggio. Le colpe ed i meriti sono di tutti e di nessuno.
Il problema quindi non sta tanto nei comportamenti individuali, ma in quelli collettivi. Per ristabilire le gerarchie “predestinate” non è necessario cambiare la mentalità di tutte le persone. Basterebbe che una buona volta per tutte un vero alfa riuscisse a prendere le redini della società, e portasse con sé al comando i suoi simili di rango. Per il bene di tutti. Cosa che è oggi assolutamente impedita dalle modalità con le quali il sistema democratico è applicato.
“Guai ai popoli che non sopportano la superiorità dei loro grandi uomini! Più sventurati ancora quelli la cui politica non è ordinata in modo da permettere agli uomini di raro valore di servire la loro nazione!” (Antonio de Oliveira Salazar)
Ma non si confondano i vari termini “elite”, “aristocrazia”, “rango”, ---------- il nostro ------ è la meritocrazia, che un tempo si chiamava aristocrazia (aristocrazia = governo dei migliori) democrazia (democrazia = governo del popolo) – aristocrazia/meritocrazia e democrazia non sono ossimori. Possono esserlo nella visione ----ottusa dei----------.
<<Soprattutto ciò che conta è il formare o riformare un adeguato “Spirito Aristocratico” che per noi significa “orgoglio” di poter servire la nazione sotto il peso di più gravi responsabilità, “coscienza” di tali responsabilità, “volontarismo” nell’addossarcele scevro da ogni calcolo e da ogni secondo fine. Oggi mentre sembra che sua Maestà la Massa (come la definì il Duce in un lontano giorno) mascherata da veli più o meno adeguati tenti di riprendere il suo trono, è necessario riporre l’accento sull’elemento diseguaglianza, che il fascismo ha posto come cardine della sua dottrina. Bisogna combattere a oltranza la massa se si vuole, come noi vogliamo, raggiungere l’elevazione delle masse. Soltanto la diseguaglianza può portarci all’aristocrazia. Soltanto l’aristocrazia (s’intenda non l’élite) può sublimare e concretare quelle virtù che sono immanenti alle masse e può svolgere quell’opera di educazione, per cui queste, con un processo di autocoscienza, giungono a riconoscersi e a ritrovarsi in essa>> (Eugenio Scalfari su Roma Fascista, 16 luglio 1942)
Il sistema democratico attuale implica in sé stesso che una persona migliore non possa riuscire ad emergere tra la massa (massa per stessa convenzione statistica più stupida della relativa elite), come dovremmo oramai aver capito a questo punto. Ma sembra che oggi la gente preferisca eleggere “da sé” un completo idiota peggiore di loro ed essere amministrata da cani, piuttosto che delegare ad un “aristocrazia intellettuale” la guida della società. Se è lecito adottare l’adagio “quando non ci sono i cavalli, si fan trottare gli asini”, mai dovrebbe valere “gli asini avanti e i cavalli dietro”. In nome di un presunto egualitarismo si preferisce vivere in un sistema peggiore di quello potenzialmente possibile. Questa falsa credenza dell’uguaglianza gli è stata, e gli è, conculcata proprio dai più stupidi, unico loro mezzo per accedere al potere, tramite il cosiddetto “illuminismo” ed in particolar modo a partire dal momento della rivoluzione francese. Che difatti si è visto come debordò…
“Il qualunquismo e l’ipocrisia del falso perbenismo sono le piaghe maggiori che fanno della società un coacervo di egoismi. Altro che Comunità, Popolo etc. E coloro che dovrebbero rappresentare la ‘classe dirigente’ non sono altro che i peggiori: i più ‘furbi’, gli arrivisti, gli speculatori, gli ‘spericolati’, gli amministratori fraudolenti della cosa pubblica. In ogni campo, in ogni dove” (Paolo Caratossidis)
Il termine per designare i più stupidi oggi è divenuto “furbizia”, trasformato in un accezione adeguatamente positiva ritagliata sui propri interessi, rispetto al significato vero di furbizia, caratteristica peculiare dell’inferiorità intellettiva. Serve come stratagemma agli stupidi per “elevarsi” presuntamente. Gli alfa non hanno bisogno per proprio soddisfacimento di “furbizia”. Di un carisma basato su una percezione empatica alterata dalla furbizia propria del sedicente alfa e dalla suggestionabilità di tutti gli altri. Non dovrebbe servire citare esempi attuali quali Fabrizio Corona identificato come idolo ed esempio dal popolo ottenebrato. E’ più utile alla società un idiot savant, o un Fabrizio Corona? Ed un “Elisabetto” Tulliani? Con il corollario dei vari “furbetti del quartierino” oggi identificati anch’essi come modelli positivi dalle masse di giovani.
“La disperazione è bugiarda quanto la speranza. Solo una cosa conta: diventare ciò che si è e fare ciò che si deve” (---------)
Non sarebbe un problema se ciò non si riflettesse nella politica, ovvero in quello che guida la società. E con essa nell’economia. E’ proprio quest’ultima a subire i più poderosi ---assalti-------- da questo ---- sistema --------. Non è un caso che molti la dipingano quasi come stregoneria.
“Nel nostro tempo la sventura consiste nell’analfabetismo economico, così come l’incapacità di leggere la semplice stampa era la sventura dei secoli precedenti” (Ezra Pound)
I sistemi di informazione sono quotidianamente zeppi di inutili diatribe che analizzano in maniera superficiale e fittizia una mole di differenti problematiche, al punto che oramai quelle che sono aberrazioni del sistema politico-economico vengono accettate come ineluttabile norma.
La necessità di questa nostra opera è stata valutata ritenendo che esista già una soluzione per risolvere tutti quei singoli problemi sui quali il dibattito politico annaspa, ed essa si esplica nello studiare un’unica ed articolata proposta, prima di tutto economica, in secondo luogo politica, che faciliti automaticamente la risoluzione in blocco di tutte quelle apparentemente scollegate problematiche sociali. Le comuni argomentazioni di ampia divulgazione sono generalmente fondate sull’ignoranza diffusa fra la popolazione in merito alle questioni economiche, e sulla conseguente necessità da parte della classe politica di barcamenarsi per far quadrare i conti e mantenere lo “status quo” attraverso imbonitrici strategie cerchiobottiste (tra cui le cadenzate “manovre economiche”) basate perlopiù sulla demagogia populista volta ad appagare le necessità pretese dal volgo maggioritario.
“Il demagogo è uno che predica dottrine che sa false a gente che sa cretina” (Henry Louis Mencken)
Sintomatico il fatto che ormai si parli di Federalismo Leghista da oltre 20 anni, dopo che il medesimo partito è stato almeno per 3 volte al Governo del paese! ---spostare su discorsi da bar?----
La visione di come l’interpretazione del funzionamento dell’economia sia stravolta nelle menti popolari ci viene principalmente dalla concezione di “lavoro” così come viene convenzionalmente intesa: l’errore viene perpetuato addirittura fino agli uffici di collocamento (ed equivalenti), nei quali viene interpretata come “offerta” di lavoro quella situazione dove l’impresa “offre” collocazione alla forza-lavoro, mentre logico è l’opposto, ovvero l’offerta viene dalla “risorsa lavoro” nei confronti della “domanda” che è quella che proviene dalle imprese. Il capovolgimento di questi concetti perfino ai livelli istituzionali ci offre perlomeno l’idea di come la visione dell’economia sia del tutto distorta nelle opinioni e nelle concezioni della massa, e quali conseguenze sociali e politiche comporti ciò. Un’elitè che riesca ad emergervi, anche ove non si riconosca nella mentalità della massa, non può far altro che dovervisi adattare per mantenerne il consenso, col risultato di consentire ai più scaltri (poiché disponibili al compromesso) di poterne approfittare continuativamente.
“Fa dell’uomo una mezza donna e della donna un mezzo uomo. Così governerai facilmente su mezze cose” (Mao Tse Tung)
I più furbi di conseguenza hanno tutto l’interesse a mantenere lo “status quo” metapolitico e culturale, limitando scientemente la diffusione di nozioni che aiutino la comprensione dei temi economici-politici, e fondando il mantenimento dei poteri sul concetto “panem et circenses”[8]. Che è un concetto certamente giusto, ma poco lungimirante. Se oggi tutti adorano la società in cui vivono, contemporaneamente deprecano le tragedie che si sono verificate nel passato. Si da per presunto che anche prima di ognuna di quelle tragedie i governi si basassero su “panem et circenses” e che il popolo l’adorasse, quindi niente impedisce che quelle tragedie si ripetano. Anche la maggioranza dei tedeschi fino al 1945 era convinta che il Führer avesse fatto il bene della gente, mentre invece stava scavando loro la fossa. Il fatto è che i dittatori (compresi quelli democratici odierni) vogliono garantirsi anche il futuro, non lo lasciano libero, prevengono le trasformazioni a loro sgradite e un bel giorno... patatrac. E’ un po’ la faccenda del ritratto di Dorian Gray. E non è un ipotesi remota, dato che una nazione ha già minacciato ufficialmente che le sue testate nucleari sono puntate sulle città europee. Non si può dire quale sia questa nazione, dato che essa è considerata bonariamente da tutto il popolino come “l’unica democrazia del medio oriente”, e sia adusa a colpire direttamente chiunque la contrasti efficacemente. Tutti l’adorano, nonostante esso sia di gran lunga lo Stato che più di ogni altro meriti la definizione clintoniana di “canaglia” tanto usata proprio da esso verso qualunque altro Stato accenni a rompergli le uova nel paniere. Oggi tutti hanno pane e circensi solo perché, e fino a che ne trae giovamento, questa lo permette. E trae questo suo potere proprio sull’ignoranza altrui.
“Bisogna capire che tutta la moda letteraria e tutto il sistema giornalistico controllato all’usurocrazia mondiale è indirizzato a mantenere l’ignoranza pubblica del sistema usurocratico e dei suoi meccanismi” (Ezra Pound)
Tale situazione è il frutto di un
lavaggio cerebrale continuo ed incessante che indubbiamente ha dato e continua
a dare i suoi frutti. Oggi tutti hanno i loro capienti Panem (almeno fino ad
ora e non in tutte le parti del globo) e i loro giochi circensi propedeutici e
scientificamente studiati che assumono forme diverse da quelle che avevano ai
tempi dell’Impero Romano. Oggi i
Circenses si chiamano telefoni cellulari, social network, reality-show, tv
satellitari, il tutto in nome di uno stordimento totale che annichilisce gli
individui senza che se ne rendano minimamente conto. Ed a pagare il conto più
salato sono proprio le giovani generazioni, “normalizzate” ormai fin dalla
tenera età all’egoistico consumismo più sfrenato e alla precarietà
culturale largamente diffusa. Non ci
scagliamo contro il progresso (ci mancherebbe!), ma contro chi opera per
utilizzarlo nell’interesse non di tutti, ma di determinati gruppi di potere. ----esempi???--------
e lo fa --------come?---------.
“Il capitalismo è una cosa positiva se hai capitali, una fregatura se non li hai” (Lapalisse?????)
Noi vogliamo far superare questa indecente prassi e proporre qualcosa di concreto, possibilmente comprensibile, e realisticamente praticabile. Non sarà un compito certamente di facile comprensione e ne siamo perfettamente consci vista la complessità degli argomenti, ma è nostro dovere provarci, una volta verificato che in effetti finora niente di simile è mai stato seriamente e concretamente proposto. Ad eminenti “consulenti” e menti sopraffine che ricalcano il panorama politico non servirebbe scervellarsi ed arrabattarsi spasmodicamente quando le soluzioni già esistono sotto il proprio naso, laddove noi stessi le abbiamo facilmente trovate. Ed il fatto che queste evidenti soluzioni siano volutamente ignorate è in chiara funzione del loro boicottaggio culturale, visto che, come chiara prova, allorquando emerse esse sono accanitamente represse dagli attuali detentori dei poteri; ciò ci rende implicitamente quantomeno l’idea effettiva della potenzialità che questi per primi danno a dette teorie economico-politiche, così temute da chi si ostina a non voler “mollare l’osso” da chiarirci l’altrimenti inspiegabile accanimento di cui sono perennemente fatte oggetto.
“In ogni caso il giusto è sempre identico all’utile del più
forte” (Trasimaco)
Alla luce di ciò ne ricaviamo che tutti i singoli problemi che attanagliano la società potrebbero essere risolti non attraverso una miriade di singole soluzioni isolate e contingenti una per ognuno di essi come è prassi di ogni governo, ma interamente in blocco tramite un’unica soluzione basilare che come conseguenza renda possibile applicare facilmente singole soluzioni per ogni singola necessità. Assodato ciò, il punto di partenza deve essere quello di permettere la delega della guida delle Nazioni a persone le cui capacità siano effettive, e non affibbiate da una massa ignorante mediante elezioni generalizzate di candidati avulsi dalla realtà ed imposti dalle fazioni politiche sulla base della presentabilità esteriore e tarati sulla loro dote “economica”, ovvero di quanto denaro siano capaci di portare “in cassa” al partito. E’ solo dalla critica alla filosofia del vigente sistema politico “democratico” quale necessario sostegno del sistema economico liberista che si può ricavarne un’alternativa.
“La politica non ha niente in comune con la morale. Il governante che si lascia guidare dalla morale non è un politico abile, e quindi, il suo trono è precario. Colui che desidera governare deve far ricorso all’astuzia ed alla finzione. Le grandi qualità nazionali, come la franchezza e l’onestà, sono dei difetti in politica. Il nostro diritto sta nella forza. La parola “diritto” è un pensiero astratto, e non è dimostrata da nulla. La parola vuol dire nient’altro che: datemi quello che voglio che lo possa dimostrare che sono più forte di voi: attaccare col diritto dei forti, e gettare ai venti tutte le forze esistenti di ordine e di controllo, per ricostruire tutte le istituzioni e per diventare il capo supremo di quelli che ci hanno lasciato i diritti del loro potere, avendoli, con il loro liberalismo, volontariamente deposti” (dal “pamphlet contro Napoleone III” di Maurice Joly)
Perciò davanti ai quotidiani e più o meno comprovati difetti endemici del sistema economico imperante, quel liberalcapitalismo dagli ingenui quasi perennemente considerato in crisi terminale, ed al riscontrato fallimento delle sbilenche teorie alternative ad esso, per lo più pianificatrici, dirigiste, e protezioniste, pensiamo sia arrivato il momento di proporre ed aggiornare una concezione economica storicamente obliata e politicamente boicottata: la socializzazione delle imprese. E con essa il suo sistema socio-politico quale unica alternativa alla democrazia liberale: il corporativismo.
“Le domande alle quali è più difficile rispondere sono quelle la cui risposta è più ovvia” (George Bernard Shaw)
Sia chiaro che l’analisi che vi proponiamo non è una ricerca originale, ma è la riunificazione di tutta una serie di teorie, modelli, concetti già esistenti e ruotanti attorno alle filosofie facenti capo alla cosiddetta “Terza Via”. Sgombriamo ogni possibile dubbio: questo saggio non vuole essere una trita “interpretazione del fascismo” e tantomeno vuole essere la “bibbia” del neofascismo, semmai appunto la riunificazione di tutta una serie di varie proposte che non ebbero il loro preciso compimento in epoche passate, rianalizzando in particolare la loro base economica: la teoria distributista, traendo spunto da tutti i movimenti che l’hanno considerata finora. Vogliamo rendere più chiaro questo concetto con una frase di Pietrangelo Buttafuoco[9]: “io non sono fascista, ma la conoscenza di quelle prospettive inedite mi ha permesso di leggere e studiare in orizzonti altrimenti inaccessibili”. Se ne deduce la consapevolezza della persistenza di un restringimento culturale che pervade tutte quelle persone ancora oggi permeate da sentimenti ideologici di un fanatismo dove prevale il rifiuto di voler capire, derivato dal pregiudizio manicheo intriso di paranoia complottista, che oggi impedisce di “guardare oltre il proprio naso” e di prendere serenamente in considerazione proposte potenzialmente valide ma scartate a priori in quanto ciecamente etichettate come originate dal “male”.
“Le streghe hanno smesso di esistere quando noi abbiamo smesso di bruciarle” (Voltaire)
Lo schema di queste ideologie segue gli stati d’animo che si vivono nel nostro tormentato secolo e pertanto hanno più un carattere di rivelazione della nostra situazione concreta che un vero contenuto oggettivo e permanente. Si fa di qualcuno o di qualcosa il simbolo del male solo perché incapaci di affrontare il male della nostra epoca. Se ne fa un ------ Il male che tutti portano ma che cercano di stigmatizzare deviandolo verso parafulmini ------. -------ostracismo------ manicheismo ------. Oppure per mantenere il potere dividendo l’avversario, “divide et impera”, e facendo scornare vicendevolmente i due ---------.
I burattini de ---- “gatekeepers” ---- Gli intellettuali radical-chic francesi tipo Jane Birkin, il peggio del peggio ---- invasati paranoici refrattari alla logica ed al buon senso ipnotizzati come sono dalle spudorate falsità di cui si auto-convincono essi stessi ----- “mamme antifasciste” ------ riottosi -----
L’unico di essi a cui si può riconoscere il merito di aver cercato di capire -------- è Pier Paolo Pasolini, che in più di un occasione accusò gli antifascisti di essere in realtà quello che loro immaginavano essere il fascismo e i fascisti. E si accanivano contro i fascisti nient’altro che per esorcizzare ed autoreprimere la malvagità che essi (e solo essi, se ne ricava) covavano dentro di sé. Egli accusò gli intellettuali, leader dell’Acculturazione con la A maiuscola, di non solo “toccare le anime”, ma di “succhiarle al centro”. Ironizzò sull’antifascismo “gratificante ed eletto” e derise “la paura degli intellettuali comunisti” simile al protagonista del “Deserto dei tartari”; ne deprecò la loro tendenza a riunirsi in aggressivi “branchi”. ---- Da: Marcello Veneziani “L’antinovecento”, ed. Mondadori--------.
“Se volessi diventare cattolico o fascista non potrei perché ormai la campana non è più sempre la stessa e i padri non ridono, come nei rami di pioggia, negli occhi dei loro bambini” (Pier Paolo Pasolini)
“Piangono il morto” dicendo che oggi non c’è questo e non c’è quello, che ----------------. Ma non ci arrivano a considerare che quella che criticano è la società che loro hanno plasmato e voluto?! “informare per resistere”, a che cavolo dovrebbero aver da resistere gli antifascisti, che possono suonarsela e cantarsela senza che nessuno li critichi???? resistere a chi visto che sono loro a comandare il mondo???? Ad avere in mano le redini culturali e dell’informazione!
Tra loro non ci sono liberi pensieri, ma pensieri uguali, ciò che dice il primo tutti gli vanno a ruota dietro. Sono persone che non riescono a farsi un idea propria delle cose che succedono. Devono essere supportati a vicenda per credere che sia la loro verità. Difatti puntano su assiomi cari a qualche pensatore dell’Ottocento o del Novecento. Vanno secondo il vento che tira. Il “sociologismo”, derivando da un principio stilizzato dal “timorato” Mounier, di fatto si ispira al marxismo, del quale la povera gente ha già esaurito la esperienza che non ha invece ancora illuminato i suoi più o meno stanchi assertori.
Si creano nemici su misura. Come poter tralasciare la canea che uscì quando il sindaco di Venezia osò proporre di invitare Ernst Jünger per il suo centesimo compleanno? Jünger pur non schierandosi contro il nazionalsocialismo, si schierò nettamente contro Hitler. Heidegger e Spengler lo stesso.
E’ nota la tattica di ripetere una bugia talmente tante volte da far crollare le difese mentali dei più deboli mentalmente. L’unico motivo per cui le posizioni dogmatiche e reazionarie degli antifascisti si salvano è che manca il contraddittorio nei media collettivi. Se la suonano e se la cantano tra loro, da decenni oramai. E basta veramente poco per svelare le bugie, che hanno in effetti gambine veramente corte, talmente prive di ogni senso logico sono. E’ solo la totale censura verso chi si oppone ai dogmi reazionari ed oscurantisti che permette agli antifascisti di prosperare.
Sintomatico è il fatto che oggi si sia reso necessario coniare una parola adeguata per definire ------: Gatekeepers Tutti i personaggi che hanno particolare rilievo positivo sui media di massa sono potenzialmente gatekeepers - Il termine gatekeeping è stato ampiamente usato per descrivere il meccanismo con cui avvengono le scelte nel lavoro mediale, specialmente le decisioni se lasciare filtrare (keeping) o meno una particolare notizia attraverso i “cancelli” (gate) di un mezzo di informazione.
“L’uomo è un animale credulone e deve credere in qualcosa. In assenza di buone basi per le sue convinzioni, si accontenterà di basi cattive” (Bertrand Russell)
Il problema si pone sul “chi” manovra il gatekeeping…
Credenza diffusa è che nelle democrazie odierne, a differenza delle dittature, non esistano né censura né repressione del dissenso. ------- sebbene regolarmente fantomatiche reportistiche internazionali ci propongano continuamente l’aggiornamento di resoconti da dove si evincerebbe che la censura regni ancora nelle dittature o nelle democrazie non compiute ---- quasi a contrapporlo con le democrazie dove invece parrebbe implicita l’assenza di qualunque meccanismo censorio ----- credenza che assume livelli di vera superstizione---- Questa convinzione non corrisponde a realtà: esse solo solamente applicate in modo subdolo. La censura nel nuovo millennio ha preso la forma di viscidi atteggiamenti: non attraverso organismi ufficiali (come invece avviene in Cina), ma attraverso “delegati” autonomi ed inconsapevoli; la censura attraverso il monopolio culturale che ne esclude chiunque non l’“autoapprovi” (ci si perdoni il pleonasmo, ma esso è imprescindibile), con il boicottaggio della diffusione, con la delegittimazione personale e la derisione di qualunque opinione ne esuli (“strategia del branco”), e la repressione è affidata proprio alle persone più influenzabili ed ingenuamente inclini (i famigerati “utili idioti” noti come “debunker”) a credere alle falsità diffuse dai manipolatori culturali, i quali sono i veri complottisti.
“Le attività intellettuali sono ormai ridotte a merci e il pensiero stesso è pura ragione strumentale i cui prodotti, con il progresso tecnico, forniscono ai gruppi sociale che ne dispongono una immensa superiorità sul resto della popolazione. D’altra parte il processo di utilizzazione dei prodotti intellettuali attraverso i nuovi mezzi tecnici li sottopone a forme di adattamento e di controllo che rendono addirittura superflua la censura[10]”
Di conseguenza le teorie dei veri complottisti imperano nei media, e divengono dogmi, spesso debordando in vere farneticazioni basate su assurdità inconcepibili, o altri esempi di squilibrio mentale. Con tutti gli ottenebrati a pendere dalle loro labbra. Ma si pensi al solo 11 settembre 2001! Il fatto che esistano ancora persone persuase dell’incredibile versione precotta esplicitamente basata sul nulla più totale lo conferma! Ed i pontificatori ne hanno buon gioco a manovrare per i propri interessi questa massa di persone capaci di credere così ciecamente a palesi falsità inventate di sana pianta non si sa nemmeno da chi!
“Non si può spiegare quanto sia grande l’autorità di un dotto di professione, allorché vuol dimostrare agli altri le cose di cui sono già persuasi” (Alessandro Manzoni)
Essi, i burattinai ed i burattini della novella censura, sono quelli che oggi ucciderebbero di nuovo Ipazia. Come gli automobilisti accodati che insultano l’unico che attua un comportamento razionale che dovrebbe essere la norma fondata sulla logica. Il sistema di censura odierno è ben diverso da quello classico: è più subdolo, in quanto si basa soprattutto sulla delega alla strategia del branco nota come necessità del consenso da parte dell’opinione pubblica, cosa che la rende non immediatamente identificabile come censura vera e propria. Una censura inconsapevole, in quanto rende le persone sinceramente convinte che le “censure” (sotto qualunque forma compaiano) che si attuano siano giuste, e la partecipazione al linciaggio di branco come una propria precisa volontà anziché come suggestione psicagogica; l’esempio più vicino e banale è l’avvallo del divieto di ricostituzione del partito fascista da parte di persone che si dicono seguaci dei precetti della democrazia liberale. Ma si arriva a veri e propri parossismi giustificabili obiettivamente solamente ricorrendo alla psico-patologia. Ne abbiamo l’evidente misurazione nei sorrisi sardonici dei partigiani in quelle foto dove sbeffeggiano le ausiliarie della Rsi. Così come sulle modalità occorse alla salma di Benito Mussolini in piazzale Loreto, sulle quali, i “linciatori morali” ancor oggi ne menano pure vanto anziché vergognarsene come sarebbe logico aspettarsi da persone sane di mente. Culminando con il mito della “resa dei conti”, purtroppo verso le persone sbagliate, come vedremo più avanti ---- con il proposito che non sia finita a piazzale Loreto, rivelando apertamente il loro interesse in ciò unicamente nel loro astio misantropico di origine prettamente narcisista. Fino ad arrivare come risultato al punto che una carica istituzionale locale perviene a dichiarare candidamente in televisione che di fascisti “ne sono stati uccisi troppo pochi”[11]. Ed una nazionale (Umberto Bossi) si propone di andare a prenderli “casa per casa”. E “dulcis in fundo”, il taglio di un bosco per il solo motivo che visto dall’alto appare a forma di svastica viene ampiamente tollerato da quelli che solitamente si dicono ecologisti. L’aspetto tragico di questa incoscienza è che generalmente induce gli astanti a tendere perlomeno a tollerare normalmente certe aberrazioni come fossero moralmente corrette o comunque accettabili. Ovviamente le persone che prendono parte al massacro sono convinte di farlo di propria volontà, e non di esserne spinte con metodi plagiatori che poco si differenziano dall’ipnosi, strumentalizzate ad hoc dai diretti interessati. Il farsesco è che a volte hanno pure l’impudenza di “mettere il loro cappello” agli altri, ovvero rivoltare ciò imputandolo a chi non si adegua a loro!
“Se qualcuno mi chiede cos’è un libero governo, io rispondo che esso è, ad ogni fine pratico, ciò che il popolo pensa che sia” (Edmund Burke)
Ed a sostegno della tecnica plagiatoria, la mole di bugie è immensa e spudorata all’inverosimile. Dalle più grandi della storia alle più piccole della quotidianità. Non tutte sono immediatamente identificabili come tali, soprattutto per quanto riguarda quelle minori e locali. Ma proprio in quanto tali la loro diffusione è talmente ampia e quotidiana che è impossibile censirle. Ma il materiale per fare una generalizzazione di certo non manca… In certi giornali sistematicamente un aggressione subita da 3 persone proditoriamente ad opera di 20, quando i 3 sono, ad esempio, etichettati come fascisti, diventa come minimo rissa, quando addirittura i ruoli non vengono presentati invertiti; e se osassero intervenire, come è loro normale compito, dei poliziotti o dei carabinieri, essi diventerebbero complici dei 3 aggrediti. E’ regolarmente così. Ed il bello è che a nessuno si storce il naso, cosicché i giornali possono permettersi impunemente di perpetuare queste aberranti ed incredibili mistificazioni. Anzi, ciò fa in modo che paradossalmente questi violenti aggressori possano arrivare addirittura ad imputare costantemente agli aggrediti (“mettergli il cappello”) questa loro tipica prassi di aggredire sempre in rapporto di dieci a uno! Il tipico bue che dice cornuto all’asino, insomma. E guai se il papà di un aggredito osasse intervenire in difesa del figlio minorenne vittima di agguato sotto casa ad opera di 3 energumeni! Essi verrebbero presentati come le vittime dall’amico giornalista, aggrediti loro da padre e figlio addirittura!
“I media sono l’entità più potente della terra. Hanno il potere di trasformare l’innocente in colpevole e il colpevole in innocente, e questo si che è potere, perché così si controlla la mente delle masse” (Malcolm X)
Quando il tribunale rimette a posto le cose (dato che i tribunali, almeno loro si, devono basarsi su fatti veri e non inventati), la prassi del giornale è guardarsi bene dal darne notizia; soprattutto quando l’aggressore condannato è il nipote del sindaco. I due esempi non sono astratti, il riferimento è ad episodi realmente avvenuti, a Venezia, uno nel 2005, l’altro nel 1998. Ed il giornale in questione è lo stesso che nei primi mesi del 2010 ha ripetutamente tessuto le lodi di un ladro “in pensione”. ----come unire???----- questa è la gente che si lamenta della censura nelle dittature.
“Il postulato democratico è che i media sono indipendenti, e hanno il compito di scoprire e riferire la verità, non già di presentare il mondo come i potenti desiderano che venga percepito” (Noam Chomsky)
L’uomo progredisce tecnologicamente e scientificamente, ma la mentalità di retaggio animalesco sembra permanere immutata nelle epoche. Come non pensare a quando ----- anni fa gli alessandrini uccisero il parabolano Ammonio per futili motivi, Cirillo si prodigò immediatamente per fornire una versione dei fatti opposta a quella vera, arrivando perfino a cambiargli nome ed elevandolo a martire, come se fosse morto per difendere la sua fede. “Ma chi aveva senno, anche se cristiano, non approvò l’intrigo di Cirillo. Sapeva, infatti, che Ammonio era stato punito per la sua temerarietà e non era morto sotto le torture per costringerlo a negare Cristo”. Infatti, lo stesso Cirillo “si adoperò per far dimenticare al più presto l’accaduto con il silenzio[12]”.
“Alla fine non è che un altro mattone nel muro” (Pink Floid)
Ed oggi? Che dire di titoli tipo “teste rasate accoltellano immigrato”, per scoprire, leggendo l’articolo, che si trattava di Hare Krishna? O la sbandieratissima “brutale aggressione” subita da un intera scolaresca in gita a Dachau ad opera dei “naziskin”. Ad opera di numero 2 (due) “naziskin”, leggendo meglio... Od il credito elettorale dato ad un politico veneziano auto-vandalizzatosi con lo spray il pianerottolo di svastiche? In certi giornalacci privi di ogni pudore, un servizio di polizia messo a protezione di tre militanti di un partito neofascista intenti in un volantinaggio in una zona ostile, diventa finalizzato a “tenere a bada” i fascisti; anziché a proteggere proprio questi ultimi… Una frase dal ben esplicito significato quale “o con noi o contro di noi” diventa paradossalmente “sibillina”. La potenza delle parole. Chi potrà smentirle?
“Le parole non sono innocenti” (Adriano Pessina)
In un documentario di Current tv intitolato “L’ascesa degli estremismi” è interessante vedere come dei gruppi di sinistra chiamati “patria socialista” e “rash” facciano tranquillamente addestramenti paramilitari e apologia della violenza come metodo di lotta politica senza che ciò venga presentato come anomalo. Sarebbe interessante vedere cosa ne sarebbe stato detto se la stessa cosa fosse successa per un gruppo non di sinistra. Esclusa la Lega Nord, che pur non essendo di sinistra, anch’ella può permettersi di vomitare odio impunemente. Basti pensare a quella frase ignobile che pronunciò Bossi nel 1994, in perfetta linea con quelli della “resa dei conti” sopradetta, ed il tono ributtante di quel “mai”. Difficile immaginare come tali aberrazioni possano suonare alle orecchie dei suoi fanatici irretiti. Eppure una marmaglia di gente lo adora come un idolo, ipnotizzata dalle sue movenze e dalla sua retorica. L’esperienza di Hitler non ha quindi insegnato proprio nulla? Dato che è difficile vedere una differenza tra le due personalità. Magari alle stesse persone che Hitler deprecano, alla faccia della coerenza. -----qui???---- Sembra che in questo mondo sia possibile affermare qualunque sproposito, anche il più scellerato, a patto di non essere etichettato come “fascista”. Marchiati con questa etichetta anche la più blanda facezia diventa una perfidia, ed il più retto proposito diventa quantomeno un “subdolo inganno” (l’esempio più tipico è il distorcere come antisemitismo il sostegno umanitario alla causa palestinese). --------manicheismo--------
Odio riassunto magistralmente dalle canzoni dei “99 posse” ----- su bava alla bocca Centro sociali – violenza innata ---- rancore incomprensibile.
Solo chi non è offuscato dal pregiudizio manicheo riesce a vedere l’“anima oscura” che si cela negli apostoli dell’odio e del plagio psicologico. Gli stessi che magari deprecando uno come Hitler, si comportano allo stesso identico modo! E non di rado vantano pure propositi non dissimili. carichi d’incontenibile odio che riversano su ---- mirati capri espiatori----- Il tutto più che tollerato dai media, che da un lato omettono, e dall’altro accentuano tutto a loro uso e consumo. Manovrando la semantica come dei ---perfetti---- direttori d’orchestra. “Ironia” ed “astio” sono due concetti inconciliabili e ben definiti nel loro significato, eppure nulla vieta ad un giornalista di usare il termine “ironia” per definire i rancorosi grugniti di quei soliti prepotenti che si scagliano astiosamente con la bava alla bocca contro una legittima manifestazione politica che il giornalista stesso nei giorni precedenti ha contribuito a criminalizzare gettando benzina sul fuoco arrivando arbitrariamente a definirla “arrogante”; non si sa bene arrogante sulla base di cosa, ed il giornalista di certo non lo spiega. Poi si lamentano se qualcuno li definisce i veri terroristi. Cos’è un terrorista, se non uno che diffonde terrore? E certi tipi di giornalisti, non fanno forse questo? Non serve certo andare a rivangare il can can che montarono sull’antrace nel 2001. Un caso più recente riguarda una manifestazione in piazza Navona a Roma, quando in tutti i telegiornali furono mandate in onda le immagini di 10 ragazzi dell’associazione “Blocco studentesco” che brandivano bastoni, apparentemente puntati verso il nulla; difatti i giornalisti si erano guardati bene dal ruotare le telecamere per far vedere le 3-400 persone che partendo dall’altro lato della piazza erano corse all’assalto verso di loro provocando tale reazione difensiva.
“I video li sappiamo vedere tutti. […] C’è stato l’arrivo in piazza dei vecchi nostalgici dell’antifascismo militante, quelli che non tollerano una protesta unitaria degli studenti. E i vecchi, con la loro bava alla bocca in cerca di un nemico da colpire e isolare, hanno dirottato la loro rabbia sull’unica vera novità della contestazione” (Il secolo d’Italia)
Un po’ come se una partita di calcio fosse inquadrata interamente dal centrocampo verso una sola delle porte, cosicché nessuno riesca a capire nulla della partita. Anzi, il colmo viene raggiunto nelle immagini che da fisse si spostano repentinamente a nascondere la vista degli aggressori quando nel campo visivo entra qualcuno di essi lanciando sedie prese da un bar, testimoniando in tal modo esplicitamente l’intenzionalità dei cameraman nell’agire così. “Peggio il taccone che il buco” insomma. Ma paradossale è la situazione nella quale da un lato si vuole presentare quelli del blocco studentesco come criminali, e dall’altro li si accusa di connivenza con la polizia! Ma che ci si decida almeno! Se ne ricava quindi la conferma già esposta, che qualunque cosa oppure il suo esatto contrario si faccia, chi ha l’etichetta di fascista è “male”, chi ha l’etichetta di antifascista è “bene”. Si badi che l’accusa di connivenza con la polizia è basata sul fatto che i poliziotti chiamavano per nome quelli di blocco studentesco. Nei video non andati in tv si vede come la stessa cosa valga anche verso gli aggressori, ovvero verso quelli di sinistra. ---comprensibile che chi debba controllare qualcuno ne conosca perlomeno il nome! Naturalmente ad essere portati in Questura furono solo i 10 aggrediti. La sera il “servizio di vigilanza del partito di Rifondazione Comunista[13]”, programma solitamente dedicato alla ricerca di persone scomparse, non si capisce ancora per quale motivo dedicò un servizio a questo episodio… Se non è terrorismo questo…
“Le menzogne possono farti fare una carriera grandiosa” (David
Icke)
Questi bugiardi impenitenti hanno poi pure l’insolenza di insistere, lamentandosi se i calunniati si recano nella sede Rai a protestare!
L’abitudine di capovolgere le colpe non si ferma alle aggressioni fisiche; uno slogan usato dai no-global contro l’annuale cerimonia della Lega Nord a Venezia è “Venezia è casa mia, e a casa mia non ti voglio”, ma come abbiamo appena visto sembra che i giornalisti veneziani abbiano deciso unilateralmente di invertire il significato semantico del termine “arroganza”. Bisogna informare l’“accademia della crusca”, in modo che possa modificare i suoi dizionari…
Ed a rinfocolare la loro arroganza ci si mettono pure i comuni cittadini: indimenticabile quella donna che intervistata dal tg3 veneto sui disagi causatigli da una manifestazione dei no global davanti l’aula bunker di Mestre invece di prendersela coi no global se la prendeva con la presenza dell’aula bunker vicino alla sua casa...
Gli ottusi trovano sempre scuse capziose (sembra le vadino a cercare col lumicino…), come il divieto di circolazione in piazza Navona (che non si comprende quale pertinenza possa avere con un ipotetica giustificazione dell’aggressione di massa… magari sarebbe bastato un vigile a fare la multa, no?), od un immaginaria ed inventata di sana pianta sparizione di referti medici, o la mancanza di un fossile che colleghi una certa tappa evolutiva all’altra. Oppure tentare di giustificare un aggressione (ovviamente col solito metodo dieci contro uno) impestando i muri della città con la foto dell’aggredito che indossa un casco ad una manifestazione, cosa che non poteva che ritorcersi contro agli aggressori in quanto l’aggressione stessa in sé subita portava a giustificargli retroattivamente l’uso cautelativo del casco, con la dovuta precisazione poi emersa che non era la prima volta che subiva aggressioni simili, tanto che in quel caso anche i giornalisti dovettero evitare i loro oramai stereotipati capovolgimenti dei fatti. Anche per via delle decine di testimoni oculari… Chissà come avranno rosicato in quel caso… Ovviamente per i no-global quelli che si arrampicano sugli specchi sono gli altri, non proprio loro… -------sempre certi dell’impunità--------
Ce ne sarebbero di esempi, tra quelli noti e tanti altri rimasti ignoti… Come non rimandare la memoria alla campagna diffamatoria sulle responsabilità del rogo di Primavalle? Ogni appiglio, anche il più squallidamente non concernente, davanti all’evidenza più lampante della loro colpa e menzogna per ribaltare le palesi responsabilità. Rimane solo da sperare che, allorquando la gente si sveglierà, tutte queste piccole e grandi menzogne e mistificazioni si ritorcano contro a questi disonesti consapevoli di esserlo. Tanto più massiccio diverrà il muro, e tanto più rumore farà crollando. Allorché forse questi maestri nella sapiente arte del lessico lo perderanno questo brutto vizio di distorcere le parole ed i fatti a loro interesse ideologico e professionale.
“Calunniate, calunniate, qualche cosa resterà” (Voltaire)
L’apoteosi dell’impudica superficialità venne raggiunta quando Giovanna Botteri in diretta dal G8 di Genova del 2001, di fronte ai violenti disordini ed a una conseguente carica della polizia disse “ma non stanno facendo niente”, correggendosi subito dopo essersi ricordata di essere in televisione e non alla radio dicendo “stanno solo lanciando delle pietre”. Inevitabile farne un accostamento col caso sopraesposto di piazza Navona, vero funerale del senso della decenza giornalistica, dove a commento delle immagini di ragazzi ventenni si odono puerili frasi che li descrivono come quarantenni. Un pò come quei testimoni oculari che dichiarano che nei campi di concentramento tedeschi “il cielo era perennemente oscurato da denso fumo nero e lingue di fuoco uscivano dai camini”, ignorando il fatto che la fotografia aerea era stata inventata da un pezzo e nessuna foto ripresa dagli aerei americani mostra un tale scenario infernale. Il bello è che nelle immagini del lato opposto di Piazza Navona, immagini mai mandate in televisione, si vede chiaramente che l’avanguardia degli aggressori, o meglio, i fomentatori laterali, sono i tipici ultimi residuati sessantottini e dell’autonomia anni ’70-’80, e la stessa commentatrice che cerca di far passare i ragazzini del blocco studentesco per vecchi è lei stessa un ultraquarantenne!
Se poi gli viene proibito di proiettare un documentario “taglia e cuci” tipo “Nazirock” che fa volutamente apparire la parte avversa in maniera completamente fuori dalla realtà hanno pure la faccia tosta di lamentarsi! Invece di vergognarsi della propria falsità!
---spostare?-àEd a proposito della Botteri e di errori in seguito emendati, l’11 settembre 2001 tutti i telegiornali riportarono come parole del capo dei pompieri di New York che il WTC 7 (la terza torre crollata senza apparente motivo) era stata fatta implodere da loro con una demolizione controllata, dichiarazione oggi introvabile se non nella memoria delle poche persone che ci fecero caso al momento. Dato che tale ipotesi non poteva reggere (minare un grattacielo in 2 ore?), la notizia è stata semplicemente cancellata da ogni archivio, tanto che nemmeno in quel calderone che è internet se ne trova traccia. E chi si ricorda che i media davano la cifra di 25.000 morti? Pochi storcono il naso davanti alla cifra definitiva di 2.700, chiedendosi per quale ragione quel giorno nel WTC vi era solo un decimo delle persone solitamente presenti.
“La verità è un
pesce d’argento che guizza dalle mani” (proverbio cinese) ß
spostare?----
Davanti a certi prototipi di persone rabbiose e sprezzanti, rigonfie di puro odio, la cui visione simbolica l’abbiamo avuta anche in televisione quando un’invasato politico comunista aggredì Alessandra Mussolini pronunciando delle frasi inequivocabili ed irripetibili, il cui solo pensiero fa rimanere esterrefatti davanti a tale ingiustificabile ed immotivato astio eruttato con la convinzione di “aver ragione”. Il punto è che se questa gentaglia è contenta e perfino orgogliosa di odiare il mondo (perché così è alla fin fine) e vorrebbe eliminare fisicamente chiunque non gli aggradi, beh, è una loro opinione, e per quanto aberrante va rispettata. Ma che venga ad accusare le sue vittime di essere gli aggressori, come il bue che dice cornuto all’asino, allora non è più accettabile! Ed è sempre così, regolarmente! E’ incredibile come riescano ad arrampicarsi sugli specchi in tal modo e incolpando regolarmente gli altri delle proprie colpe, senza un minimo di pudore. E’ inconcepibile poter comprendere chi cerca mille scuse per giustificare i propri “buoni” e invece si accanisce imperterrito contro i propri “cattivi” sputando inconcepibili falsità.
“La guerra dell’inimicizia assoluta non conosce alcuna limitazione. Trova il suo senso e la sua legittimità proprio nella volontà di arrivare alle estreme conseguenze. La sola questione è dunque questa: esiste un nemico assoluto, e chi è in concreto?” (Carl Schmitt)
E buon gioco ne hanno finchè avranno in mano la capacità di determinare cosa è vero e cosa non lo è, con tutti gli spettatori a pendere dalle loro labbra. Uno che li conosce bene, come può conoscerli solo uno che è stato uno di loro, Giampaolo Pansa, li definisce con il termine quantomai azzeccato di “gendarmi della memoria”.
“Oggi la sconfitta politica della sinistra, battuta dal centrodestra, ha inacidito l’antifascismo rosso. I suoi cattivi umori l’hanno spinto a chiudersi in se stesso, come in un bunker assediato da alieni sbarcati sulla terra da un’astronave. Lo constato da molti segnali. E non soltanto dal rifiuto testardo dei miei libri revisionisti […] Le tante sinistre sono convinte di essere le uniche a possedere la verità sulla guerra civile e su molte altre cose. Questo vizio le rende arroganti, supponenti, boriose. Fingono di non trovarsi al lumicino. E si scagliano a testa bassa contro chiunque non accetti le loro parole d’ordine” (Giampaolo Pansa)
La presentazione semplicistica e
unilaterale della Seconda Guerra Mondiale ancor oggi in voga, serve
perfettamente a legittimare o quantomeno a giustificare ----aberrazioni---- che
in alternativa verrebbero deprecate anche dall’uomo comune ------ Finchè
-------. Tutti hanno sentito parlare di Joseph Mengele, nessuno del sovietico
Isidor Cederbaum, operante nel medesimo settore professionale. Il quale non era
certo da meno del primo nei metodi, anzi! E questo è solo un minimo esempio. E’
incredibile come queste persone riescano a passare dalla più pietosa contrizione per -------------, al
più esagitato livore verso ------------. I
fatti sgradevoli sono stati relegati in un dimenticatoio orwelliano, e i pochi
libri che hanno cercato di presentare la verità sono stati o ignorati o
malevolmente irrisi. Alla generazione cresciuta in quest’infausta era di
crociate laiche è stato fatto un accurato lavaggio del cervello sulle basi
storiche delle questioni internazionali e sul ruolo esercitato in esse dagli
Stati Uniti e dal loro cervello sito a Wall Street. E’ emerso poco, ammesso che
sia emerso qualcosa, oltre i limiti informativi e intellettuali della colorita
ma ingannevole retorica del Presidente Roosevelt sul “Giorno dell’Infamia”.
E’
stato detto spesso che questo blackout storico è oggi un complotto sinistro e
deliberato per ostacolare la verità e mortificare la storia. Ciò è
indubbiamente vero rispetto al programma e alle attività di certi gruppi
minoritari e di certe organizzazioni ideologiche che hanno un particolare
interesse a perpetuare la mitologia dell’epoca di guerra. Ma, in gran parte, è
più il risultato involontario di quasi tre decenni dell’indottrinamento nato
dalla propaganda bellica e interventista. Anche gli storici più professionali,
che hanno iniziato la carriera accademica dopo il 1937, hanno accettato
automaticamente come verità le distorsioni dell’interventismo bellico e
pre-bellico.
il fatto che socializzazione e
fiscalità monetaria siano completamente ignorate nei libri di testo
L’attuale
blackout è più una reazione automatica al lavaggio del cervello che una
cospirazione perversa. Ma tutto ciò non rende meno difficile resistere o
vincere. Il fatto stesso che la gente comune sia convinta di sapere e di saper
giudicare da sé è ----maggior ostacolo----- alla verità. Cosicché soventemente
si punta più sui metodi di studio e di giudizio che su -----. ----oro
colato-----
“Nello studiare un filosofo
l’atteggiamento giusto non è né di reverenza né di disprezzo, bensì prima una
specie di ipotetica adesione perché sia possibile capire ciò che egli sente, e
credere nelle sue teorie, e dopo un risveglio dell’atteggiamento critico il più
possibile simile allo stato d’animo d’una persona che sta abbandonando le
opinioni che fino allora ha sostenuto. Il disprezzo ostacola la prima parte di
questo processo e la reverenza la seconda. Due cose bisogna ricordare: che un
uomo, le cui opinioni e teorie son degne di essere studiate, si può presumere
abbia posseduto una certa intelligenza; e che d’altra parte è probabile che
nessuno sia mai arrivato alla verità completa e definitiva su un soggetto
qualsiasi. Quando un uomo intelligente esprime un punto di vista che ci sembra
evidentemente assurdo, non dobbiamo tentare di dimostrare che in qualche modo
la cosa è vera, ma dovremo provare a capire come mai sia successo che a lui sia
sembrata vera. Questo esercizio della fantasia storica e psicologica allarga
subito il campo del nostro pensiero, e ci aiuta a comprendere quanto sciocchi
sembreranno molti dei nostri pregiudizi che ci sono cari ad un’età di diversa
forma mentis” (Bertrand Russell)
Da tutte le parti si punta sempre sulla conta dei morti, su chi ne ha fatti di più e su chi ha iniziato; e la colpa viene addossata anche a chi è nato 50 anni dopo, perpetuando così l’odio anche nelle nuove generazioni. Secondo loro in Istria avrebbero dovuto esserci ben 10.000 criminali di guerra italiani, peggio che a Norimberga...
Niente di cui potersi stupire. Dopotutto sono gli stessi che sono stati addirittura capaci di inventare di sana pianta un’intera “Gestapo” italiana… o meglio, di affibbiargli arbitrariamente un nome di loro maggior gradimento. E’ il caso della fantasiosa “Ovra”, acronimo tempestivamente coniato subito dopo la guerra (secondo i testimoni dai quali è originata tale sigla, accennato scherzosamente da Mussolini in un occasione) ed oggi preso per veritiero perfino dai fascisti stessi! Indicativo è che sul suo significato letterale non esista unanimità interpretativa e ci si dibatta ancor oggi, incomprensibilmente dato che ovviamente un tale organismo di polizia esisteva comunque, come in ogni altro paese civile del mondo (e come esiste anche oggi in Italia, col nome Digos), ma si chiamava notoriamente “servizio investigativo politico”, come anche precisò Sandro Pertini a Francesco Cossiga nel 1979 in una polemica basata sulle accuse che i metodi del Sip fossero stati più umani di quelli della polizia “democratica” in quel momento affidata a Cossiga in qualità di presidente del consiglio[14]. Ovviamente appare quantomai risibile il fatto parallelo che si tenti di accreditare come agenti dell’Ovra un numero spropositato di persone, delle quali sembra nessuna fosse a conoscenza del nome dell’organizzazione di cui faceva parte! Nemmeno il suo capo!
Davanti questi esempi come si può -------? E queste persone che ------- hanno come ------unificante ------ antifascismo ----antifascisti------ se esiste una giustizia storica, un giorno non lontano i veri responsabili della seconda guerra mondiale (i quali già ora staranno bruciando all’inferno, se esiste un Dio) saranno visti peggio di quanto fino ad oggi siano stati visti gli sconfitti, in quanto hanno perfino assecondato la finta di passare per i buoni. Se, come dicono i cappellani delle carceri, chi non paga adesso pagherà dopo e con gli interessi. Tanto più massiccio sarà il muro, tanto più rumore farà quando cadrà. E a giudicare da come ultimamente si stanno agitando per tenerlo in piedi, non dovrebbe mancare molto.
Non auspichiamo che si estingua
un idea, ci mancherebbe, ma che si estingua l’intolleranza ed il senso di
superiorità tipico di questa gente tronfia e snob, questo si. Quale onore gli
farebbe ritornare coi piedi per terra! Tanto di cappello al primo di essi che
ammettesse di parlare a nome di un ideologia che ha commesso errori e crimini,
che però rivendicando le sue ragioni fosse pronta a confrontarsi alla pari con
le altre sul futuro ed a valutare il valore delle loro proposte. No, dall’alto
dei loro miti si sentono indubitabilmente superiorissimi a tutti gli altri, e
perfino ai loro stessi compagni bollandoli a comodo come “deviazionisti”! C’è
da domandarsi: se non avessero avuto tutto il peso della loro orribile storia
politica alle spalle, personaggi come la Belillo cosa si crederebbero oggi?
Probabilmente dei semi-Dei.
“Sono un marxista, caro mio, e
come tale devo conservare la mia vita per la causa, quella degli altri conta
fino a un certo punto” (Piero Calamandrei[15])
L’aspetto terrificante è che ancor oggi sono loro a mantenere imperscrutabilmente le redini culturali della società, e quindi questa società accecata non riesce a vedere la vera anima oscura di questi boriosi personaggi che appaiono come angioletti nei mezzi di informazione. Il classico esempio è il noto misantropo Sandro Pertini, immortalato bonariamente in una famosa canzonetta di Toto Cutugno. Ci è toccato pure sorbircelo nell’immagine festosa di quello che fu il prezzo del silenzio su 166 morti. Per fortuna oggi si stanno pian piano estinguendo, finalmente, dopo 65 anni di menzogne! E la gente sembra si stia risvegliando, e cominci a scandagliare con maggior competenza certe “anime belle”. E allora vedremo quali saranno le statue che saranno abbattute…
“La verità storica è una favola convenzionale” (Napoleone Bonaparte)
Noi continuiamo a confidare nel risveglio delle coscienze. Oramai sempre più noto e appurato è come l’antifascismo si regga da sempre sulle menzogne. Altrimenti non si reggerebbe, ipso, facto. Forse è proprio per l’acqua alla gola che sentono, se ora gli invasati si mettono a sbraitare ancor più forte di prima. I veri revisionisti sono loro, che la storia l’hanno “riscritta”, sia che ciò sia stato fatto fin dall’inizio o successivamente non cambia nulla al torto marcio che portano come falsificatori. E rode il fatto che siano i veri “revisori” originari, loro, ad accusare di revisionismo quelli che invece conoscono e cercano di far emergere la verità vera e logica! E non contenti, come se non fosse bastata la “revisione” originaria, negli ultimi anni si sono messi con ancor maggiore accanimento a riscrivere la storia a loro comodo. Ogni tanto capita fuori qualcosa di nuovo, per poi affievolirsi lentamente come una qualsiasi moda. Inutile fare esempi che abbiamo sotto gli occhi pressoché quotidianamente. Tanto di cappello, quindi, al comitato centrale del partito comunista greco, che conscio di ciò scrive:
“Signori deputati, La vostra
campagna anticomunista e la riscrittura della storia sono funzionali
all’attacco che l’Unione europea e i suoi governi hanno lanciato contro i
diritti dei popoli per assicurare il profitto dei monopoli. Preferite le
persone soggiogate e disorientate per tutelare il vostro potere da reazioni
popolari future. Non avrete successo. La storia può avere due versioni, quella
scritta dai popoli e quella scritta dagli sfruttatori. Sono versioni
discordanti per quanto si provi a conciliarle” (dalla lettera aperta del partito comunista greco ai
13 deputati europei del “Gruppo per la conciliazione della Storia europea”, 15
aprile 2010)
Tale asserzione, seppur espressa con l’intenzione di esprimere un
concetto a loro specifico uso, ha comunque colpito nel segno il nocciolo
della questione.
Ma purtroppo rimane tutto confinato in una nicchia; la maggior parte delle persone mai vi avrà accesso. Rimarranno sempre in balìa dell’auto-censura mistificatoria auto-indotta nel popolo emotivamente sensibile alla propaganda ed al terrore; questo è ben noto soprattutto ai frequentatori della famosa enciclopedia on line Wikipedia, dove questo tipo di censura è praticata in maniera sistematicamente fanatica, cosa che gli rende possibile indirizzare e manipolare la “verità” grazie alla melliflua filosofia fondante di quell’enciclopedia. --- gatekeeping ---
“La libertà di parola senza la libertà di diffusione è solo un pesce dorato in una vaschetta sferica” (Ezra Pound)
Esistono dei veri e propri manuali dedicati, la cui applicazione delle prassi è riscontrabile spesso da parte di utenti di wikipedia e non solo lì. Sono quei manuali istruttivi sulle tecniche sottili per il plagio psicologico delle quali nella società troviamo la più subdola espressione solitamente nei seguaci neocatecumenali. La nascita di questa enciclopedia “a contributo libero” ha rappresentato un salto di qualità nel sistema monopolizzante auto-censorio in internet, prima assai grossolano, ora più sottile e curato, ma pur sempre puerile e facilmente smontabile (ma solo dove sia consentito farlo, possibilità che appunto in Wikipedia non esiste[16]). Ogni elemento viene considerato valido dagli amministratori preposti solo quando confermi le proprie convinzioni, anche quando esso contrasti palesemente con la logica. Ovviamente quando qualcosa giunga da una fonte “avversa” o scomoda, diventa falsa a priori. Le fonti documentarie possono venir vagliate e scartate in maniera certosina quando in contrasto con la verità “ufficiale” o quando semplicemente fastidiose all’interesse ideologico del “controllore” di turno. Accettate entusiasticamente a priori quanto contribuenti a rimpinguare la già imponente massa di prove dell’assurdo. Non sono molto diversi dai vari “avvistatori di ufo”. Il problema si pone sul “chi” è delegato a giudicare tra le parti. E se il buon giorno si vede dal mattino… Se ci si basa solo su prove e fonti, ciascuno potrà trovare sempre quella che gli fa comodo; e così solitamente è. Se qualcuno volesse sostenere che la luna è fatta di formaggio? La fonte la potrebbe citare; e guai a contestarla se esso ha l’appoggio dei “controllori” e/o della maggioranza! Purtroppo per lui e per tutti a mancargli sarebbe la logica. La filosofia base di quell’enciclopedia è il consenso; ma il fatto che 1+1 faccia 2 non può essere condiviso oppure no! In certi casi la logica dovrebbe valere più di mille prove, ma non tutti sanno comprendere la logica, soprattutto quando essa contrasta con i propri dogmi. E non si parla di logica in senso astratto come comunemente intesa, ma come vera disciplina analitica aristotelica. Quali prove abbiamo che le api vedano i colori? Nessuna prova. C’è solo la logica ad indurci ad assertire che se le api non vedessero i colori, i fiori non avrebbero alcuna ragione di essere colorati. Non dovrebbe servire ricorrere a Charles Darwin o a Gregorio Mendel per capirlo! Nel medioevo non esisteva nessuno che avesse visto la terra dallo spazio, eppure qualcuno l’aveva dimostrato lo stesso che la terra ha una forma sferica... ma non essendoci le prove, chi lo sosteneva rischiava di venir bruciato sul rogo come eretico, un pò come avviene oggi col “rogo mediatico” verso chi sostiene tesi fastidiose.
“Spesso una cosa stupida si regge perché viene approvata dalla legge” (Trilussa)
Ma il bello è che regolarmente sono proprio loro, i refrattari alla logica, ad additare gli altri come “avvistatori di ufo”! Il tipico “bue che dice cornuto all’asino”! E’ una prassi consueta, per quanto incredibile possa sembrare. Inevitabile far notare che solo una persona che sguazza nell’irrazionale può riuscire a concepire questa possibilità negli altri. Per chi non comprende l’irrazionale è difficile accettarne l’esistenza in qualcuno. Una persona che ----esempio?------ porta a spasso una pentola fumante per la stanza verrà osservata come pazza dall’irrazionale; il razionale cercherà invece di capirne il motivo. L’irrazionale ritiene normale che esistano comportamenti irrazionali, per il razionale invece ogni comportamento ha una ragione, e quando essa non sia evidente cercherà di capirla. Non si limiterà a giudicare pazza la persona che la esegue.
“Le azioni umane non debbono essere derise, né compiante, né odiate ma capite” (Baruch Spinoza)
---------pozzo di drake qui???????-----------
“E’ ricercando l’impossibile che l’uomo ha sempre realizzato il possibile. Coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che appariva loro come possibile, non hanno mai avanzato di un solo passo” (Michail Bakunin)
Il problema si pone solamente, lo ribadiamo anche qui, quando a tenere il coltello per il manico sono gli irrazionali. Quando ad essi è demandato stabilire cosa è razionale e cosa non lo è. Un po’ come -----esempio???---proverbio???-----. assiomi e teoremi: si suppone che quanto viene dopo l’assioma sia rigorosamente dimostrato attraverso un ragionamento deduttivo.
«Il metodo del “postulare” quello che vogliamo ha molti vantaggi; sono gli stessi vantaggi di un furto nei confronti di un onesto lavoro» (Bertrand Russell)
Un esempio semplice per chiarire fin dove in Wikipedia l’insensatezza possa giungere si trova nella voce “fiscalità monetaria”. Questa voce è stata letteralmente stravolta da pochi singoli utenti talmente infervorati da sembrarne direttamente interessati per qualche motivo, tanto da essere divenuta ad un certo punto totalmente incomprensibile non solo nel significato che essa dovrebbe esprimere, ma anche nella grammatica! L’apice del vandalismo si raggiunse nella precisazione aggiunta successivamente riguardo l’asserzione che con la fiscalità monetaria verrebbe meno il debito pubblico: “tuttavia nessuno ha mai saputo spiegare come la fiscalità monetaria possa determinare ciò”; precisazione indice di come (volendo essere buoni), i devastatori non abbiano minimamente afferrato i concetti che si vorrebbero esprimere con “fiscalità monetaria” (tanto che qualcuno giunse capziosamente a definire il concetto stesso come ossimoro!) e che essi vorrebbero contraddire, e a nulla è valso chiarire (cosa che non avrebbe certo dovuto essere necessaria) la semplicissima conseguenza che se lo Stato potesse stampare tutta la moneta di cui abbisogna per ripianare i propri debiti (il che è la base della fiscalità monetaria) è a rigor di logica che non avrebbe più la necessità di dover ricorrere a debiti! E quelli già esistenti li potrebbe agevolmente ripianare con una cadenza a seconda della loro entità. Nessuno l’ha mai “saputo spiegare” perché è una constatazione talmente implicita che per far si che qualcuno si ponga tale dubbio questo qualcuno dovrebbe essere talmente ottenebrato da rendere tale eventualità impensabile, e quindi nessuno potrebbe ipotizzare la necessità di doverla pure specificare! Ma come detto, il testo della pagina era stato talmente stravolto che effettivamente è più che comprensibile che il lettore non ci capisca nulla e quindi si ponga certi dubbi davanti ad enunciati lasciati furbescamente sussistere proprio allo scopo di farli poi apparire come campati in aria.
“Un uomo civilizzato è uno che dà una risposta seria ad una domanda seria” (Ezra Pound)
Il discorso cambia laddove, a differenza di Wikipedia, non esista censura. Quando l’inoppugnabilità delle argomentazioni diventa insuperabile (e ciò accade spesso, anzi, quasi sempre), laddove non vi sia censura la solita soluzione è il “mettersi le dita nelle orecchie”, ignorare. Il cosiddetto “plonkaggio”. ----qui?-----
Per questo il
rifugiarsi dove vi sia censura da parte di --------- , e dove non vi sia da
parte di --------. La stretta censoria ------------------. ----gatekeepers – ing -----
“Se io sostenessi che tra la Terra e Marte c’è una teiera di porcellana in rivoluzione attorno al Sole su un’orbita ellittica, nessuno potrebbe contraddire la mia ipotesi, purché mi assicuri di aggiungere che la teiera è troppo piccola per essere rivelata, sia pure dal più potente dei nostri telescopi. Ma se io dicessi che – posto che la mia asserzione non può essere confutata – dubitarne sarebbe un’intollerabile presunzione da parte della ragione umana, si penserebbe con tutta ragione che sto dicendo fesserie. Se, invece, l’esistenza di una tale teiera venisse affermata in libri antichi, insegnata ogni domenica come la sacra verità, ed instillata nelle menti dei bambini a scuola, l’esitazione nel credere alla sua esistenza diverrebbe un segno di eccentricità e porterebbe il dubbioso all’attenzione dello psichiatra in un’età illuminata o dell’Inquisitore in un tempo antecedente” (Bertrand Russell)
Galileo non negava nulla; egli constatava l’esistenza di un errore o di una superstizione ed insisteva affinché, in un ambito particolare della conoscenza, l’astronomia, si rivedesse, correggesse o “revisionasse” ciò che fino ad allora era stato creduto esatto e che, a suo avviso, era falso. Chi negava erano proprio quelli che le cose le avevano “revisionate” originariamente.
“Chi vuole annegare il proprio cane lo accusa d’avere la rabbia”
Chi vuole attaccare un indagatore fastidioso l’accuserà indifferentemente di “danni contro terzi”, per “diffamazione”, per “incitazione all’odio razziale”, per “apologia di reato”, di “offesa ai diritti dell’uomo”, di “terrorismo” o di qualsiasi altro crimine o delitto. E di questo ne hanno subito le conseguenze più d’un “Galileo” odierno, nonostante la gente sia propensa a credere che viga la totale libertà di espressione. L’ultimo caso (2010) quello del belga Vincent Reynouard, arrestato per aver analizzato (“osato analizzare”, diremmo) il processo di Norimberga del 1946. In poche parole Reynouard è in carcere esclusivamente per aver distribuito per posta alcuni opuscoli con la sua versione analitica sulle accuse di quel processo. Che la sua analisi sia giusta, sbagliata, oppure semplicemente demenziale dovrebbe spettare alla critica storica stabilirlo, non ai tribunali penali. Ma nel presente si stanno diffondendo ovunque apparati giuridici che, con varie scuse, processano le intenzioni e le idee, e quasi sempre a senso unico nonché arbitrariamente. E’ certamente assai interessante notare come oggi gli stati più liberticidi in questo senso siano quelli che per antonomasia sono considerati i più liberali, basti pensare a Olanda, Belgio, Svizzera, Austria, Canada, Danimarca, Francia, Germania… Forse non tutti capiranno al volo il significato conseguente di questa constatazione. Un po’ alla volta sarà possibile analizzarlo e capirlo. Ognuno tira l’acqua al suo mulino, e tutti cercano di arruffianarsi con sussiego il “capobranco”… soprattutto i più vili.
“Spesso la paura di un male ci conduce a uno peggiore” (Nicolas Boileau-Despréaux) o su Olanda, Belgio, Svizzera poco più giù?
Controbattiamo rapidamente il primo, che consiste nel richiamarsi alla “sofferenza” delle vittime, le quali devono essere protette contro oltraggi intollerabili. L’argomento potrebbe avere qualche valore se i revisionisti negassero l’esistenza delle persecuzioni “antisemite” sotto Hitler e paragonassero i campi di concentramento a campi di vacanze, oppure se facessero apologia di un genocidio (come potrebbe aspettarsi chi sprovveduto).
“La mia libertà finisce dove comincia la vostra” (Martin Luther King)
Ma non è affatto così. Contrariamente a quanto si sarebbe indotti ad immaginare dal luogo comune i neonazisti non fanno affatto apologia di un genocidio, cioè non dicono “hanno fatto bene a farlo”! Essi invece sostengono l’esatto opposto, ovvero che è una cosa incredibile che possa essersi verificato! Ma non astrattamente perché loro lo desiderano, ma sulla base, oltrechè di una tale mole di prove, della logica stessa! Una logica talmente inappuntabile che di fronte anche solo ad essa le prove stesse non dovrebbero nemmeno essere ritenute necessarie. Contrariamente al messaggio trasmesso ultimamente dai media, i revisionisti non sono “negatori”; se denunciano le palesi menzogne della tesi ufficiale, tentano, al contempo, di scoprire e spiegare ciò che è realmente accaduto. E in questa storia più vera, le sofferenze delle vittime restano drammaticamente presenti, nessuno le nega o le irride. Sarebbe comprensibile un --deprecare--- nel caso riguardo un delitto qualcuno ne facesse l’apologia, ma il bello è che nel caso in questione non è affatto così. C’è da chiedersi quindi ------------ se qualcuno ne facesse l’apologia, ovvero ---- il punto da chiedersi è: ma se essi non fanno apologia ma anzi sostengono che -------, per quale motivo vengono attaccati??? Ciò è chiuso nelle menti dei ----sterminazionisti----- e sarà assolutamente incomprensibile finchè qualcuno di essi non vorrà spiegarlo. Ma il fatto è che è proibito indagare. Lo sanno bene Vincent Reynouard, Gerd Honsik, -------, --------, e chissà quanti altri.
“Il mondo non ha bisogno di dogmi; ha bisogno di libera ricerca” (Bertrand Russell)
In Wikipedia esiste una sola pagina nella quale il titolo è rappresentato non dal significato reale del contenuto, ma da un dispregiativo coniato appositamente da fanatici propagandisti. E’ facile indovinare quale sia quella pagina. Un po’ come se alla voce “giornalista” il titolo della pagina riportasse “scribacchino”. Inconcepibile! Ma non per tutti.
Importa loro ben poco che sia una calunnia lanciata contro milioni di uomini (da Hitler a Pio XII, passando per enti morali come la Croce Rossa); importa poco che questa calunnia sia anche all’origine della tragedia di un intero popolo: il popolo palestinese.
In un momento in cui il popolo si fa complice per la sua approvazione o il suo pauroso silenzio, questo modo di agire può sembrare di un’efficienza temibile.
Vincent Reynouard, Prigione di Valenciennes (Francia), 21 agosto 2010
E’ un indecenza che ancora oggi si possa essere processati e soprattutto condannati per un’opinione.
in questi paesi ci si strugge per Aung San Suu Kyi o per ----------- ma contemporaneamente si perseguita -------
Vincent Reynouard, Wolfgang Fröhlich, Gerd Honsik, Sylvia Stolz, Horst Mahler, Ernst Zündel e Germar Rudolf
Vi sono anche tutti coloro che sono stati condannati a pene detentive o che sono sul punto di esserlo e che, tutti, affermano nondimeno le loro convinzioni revisioniste: il francese Georges Theil, lo spagnolo Pedro Varela, i tedeschi Günter Deckert, Manfred Roeder, Marcel Wöll, Dirk Zimmermann, Kevin Käther,
Per fortuna in Italia non siamo arrivati a certi livelli, in Italia non vige quell’ipocrisia tipica di chi si crede il detentore de -----diritti umani ecc--------. Quei begli esempi di democrazie sedicenti libertarie. Il ----bello----- è che paesi come la Francia hanno poi pure la faccia tosta, tramite i loro intellettuali radical chic, di fare la morale all’Italia sui diritti umani, vedi il caso di Cesare Battisti.
“L’ingiustizia in qualsiasi luogo è una minaccia alla giustizia ovunque” (M. L. King)
Tempo fa avevo letto di un problema che le democrazie hanno nei confronti del concedere il diritto di parola ad organizzazioni che si battono per un tipo di Stato in cui il diritto di parola viene negato. La conclusione, difficile, ma inevitabile a seguito delle valutazioni delle conseguenze, è che nei confronti di queste organizzazioni, il diritto di parola non si può concedere (un’altro esempio di come nella vita reale non si può essere “puristi” e “formalisti” a tutti i costi, ma ci sono “eccezioni” da gestire).
Per analogia, tutti coloro che negano i vantaggi della libera iniziativa economica, del privato, della superiorità sul pubblico (che deve SOLO fare una funzione di controllo “super-partes”, cosa che male può fare se è anche parte del gioco), dovrebbero essere espulsi dalla comunità, ovvero trasferiti in enclave ove possano con loro simili provare le bellezze di una economia pubblica. -----questo altrove o farne un parafrasi-------
Ognuno è libero di pensare quello che vuole, ma non di pretendere che tutti gli altri debbano adeguarsi a lui! Ed il bello è che sono proprio le persone che vorrebbero tutti adeguati al proprio pensiero a permettersi per prime di fare la morale sulla libertà di pensiero! Ma allora ci dicano cosa intendano, quale sia la loro concezione di questo termine! Un chiarimento dovrebbe essere doveroso a questo punto…
“Non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu possa continuare a dirlo” (Voltaire)
Internet soprattutto si è rivelata un paradiso per chi è solo capace di dimostrarsi forte coi deboli e debole coi forti. Per i furbi che sanno approfittare della debolezza mentale della massa. Per quelli davanti le cui ----illogicità----- ----- John Von Neumann inorridirebbe certamente. Le trovate ingegnose con le quali riescono imperterriti a girare e voltare i fatti e la logica a proprio piacimento ne fanno perfino a volte degli esempi di genialità e costanza. Il persistente impegno che vi infondono fanaticamente raggiunge apici qualitativi molto elevati. Certuni di essi potrebbero riuscire persino a sbugiardare Foucault ed il suo famoso pendolo. L’ottusità dei mistificatori raggiunge apici che possono essere paragonati ad una persona che davanti ad un muro bianco sostiene che quel muro è nero, e l’inconcepibile è che quando ciò accade, piomba regolarmente un astioso gregge belante a dargli ragione e manforte! Anche davanti l’evidenza! Quando Berlusconi appellò “kapò” il deputato Schultz, solo poche persone capirono che il riferimento era chiaramente al telefilm “gli eroi di Hogan”; ma il bello è che, quando ai fanatici anti-berlusconiani lo si rinfacciava, essi rispondevano “non è vero”, come se lo avessero saputo loro, come se stesse a loro decidere il senso di una cosa detta da un altro.
“Rispondo solo di quello che io ho detto, non di quello che tu hai capito” (proverbio popolare)
Ma il culmine venne raggiunto quando arrivarono a negare che tale telefilm esistesse, per il semplice fatto che, evidentemente a causa della giovane età, loro non l’avevano mai visto!!!
Ma un conto è ottenere ragione, altra cosa è averla. Come già detto, il fatto che 1+1 faccia 2 non può essere oggetto di condivisione oppure no! Con la logica, quella applicata da Von Neumann a circuiti elettrici, ci funzionano i computer. Arduo sarebbe sperare che con il tipo di logica “creativa” intesa dai debunker un -----circuito logico------- darebbe come risultato 2 all’operazione 1+1. Certo, potrebbero girarci intorno con le loro solite farneticazioni del tipo sostenendo che 1+1 fa in realtà 3, o 4, o 6, o 15 o che tutti si leggono come “due” architettando ogni incredibile contorsione dialettica per cercare di convincere gli spettatori. Ma -------- esempio?----
Quando non sanno più a cosa appigliarsi regolarmente la prassi è mettersi a sputare sentenze gratuite del tipo “non capisci nulla”, “ ------“ , ho ragione io, anziché cercare di ragionare con la logica ----- oltre la già accennata pratica di mettere nelle frasi cose che non c’entrano, ma che guarda caso sono “corrette” per distrarre dove c’è la trappola semantica... la tattica di fare ragionamenti che non stanno in piedi con il tono come se fosse “ovvia” la sua logica e quindi distrarre il problema dalla corretta formulazione. Quando anche ciò venisse spazzato via argomentando non è raro che si arrocchino su leziosità cercando di farsi passare per colti al cospetto degli ignoranti, citando anche a caso autori che se visti sotto una certa luce potrebbero avvalorare le loro tesi. Ma il fatto che tali autori siano uguali a loro non necessariamente eleva loro, casomai può abbassare gli autori…
ad esempio quando la verità di un qualcosa venisse ----svelata-------- la tipica ---strategia------ sarebbe quella di delegittimare i concetti stessi di logica e di verità, citando come esempi celebri pensatori quali Parmenide, Nicolas Boileau-Despréaux, Jürgen Habermas, Charles Sanders Peirce, Alfred Tarski. ----- che se visti sotto una certa luce potrebbero avvalorare le sue tesi riguardo i concetti di “logica” e “verità” -----.
Spesso stravolgendone i significati, o comunque manipolandoli e presentandoli come confermanti le proprie tesi. Se non arrivando ad affermare il concetto che la verità è falsità o che la logica è illogica (alla faccia del paradosso…), perlomeno farfugliando astrazioni tipo che un muro anche se è bianco è nero, o che 1+1=3 ------ simili e portando a ---prova----- logorroiche elucubrazioni appositamente astruse (“latinorum”) confidando nella resa altrui per sfinimento. La dialettica è l’arma degli imbroglioni - la verità è semplice. ----rasoio di Occam??------
Come se poi, il livello di cultura della persona che afferma qualcosa potesse modificare quella cosa. Come se si potesse dubitare della rotondità (grossomodo) della terra nel caso ad affermarlo fosse la persona più ignorante esistente. Un muro bianco è un muro bianco; se Parmenide dice che il muro è nero non è che il muro diventi nero. Che lo si voglia o no, uno più uno fa due e solo due. Il bello è che spesso le citazioni che essi riportano se da un lato possono portare conferma di una loro tesi, dall’altro ne refutano altre.
«Orbene io ti dirò, e tu ascolta accuratamente il discorso, quali sono le vie di ricerca che sole sono da pensare: l’una che “è” e che non è possibile che non sia, e questo è il sentiero della Persuasione (infatti segue la Verità), l’altra che “non è” e che è necessario che non sia, e io ti dico che questo è un sentiero del tutto inaccessibile: infatti non potresti avere cognizione di ciò che non è (poiché non è possibile), né potresti esprimerlo… Infatti lo stesso è pensare ed essere» (Parmenide, da Il poema sulla natura, o Della natura)
Quando le proprie tesi cominciano a rivelarsi vacillanti, l’arma estrema di questi invasati diventa regolarmente mettere in bocca all’avversario cose che egli non ha detto, quando non si riuscisse a tirargliele fuori provocandolo, altra tipica astuta prassi. Le rare volte che si riuscisse inoppugnabilmente a far prevalere la verità, come minimo i bugiardi invasati verrebbero consolati e giustificati dal gregge (“cricca”, come ai “padroni” di wikipedia piace auto-definirsi, è fin troppo lusinghiero), quando fino ad un attimo prima il suo qualunquista atteggiamento nei confronti dei ragionevoli sarebbe stato di un accanimento rabbioso e risentito. Non ci inoltriamo in questa critica a wikipedia e non faremo altri esempi pratici perché sarebbe come “sparare sulla croce rossa”. Ma è facile intuire quali possano essere le voci enciclopediche più accanitamente falsificate dai “censori”. Proprio quelle trattate in questo testo…
“Cento che agiscano sempre di concerto e d’accordo prevarranno sempre su mille che agiscano liberamente” (Gaetano Mosca)
Ma non solo. Nel web l’accanimento non si limita a questioni ideologiche, economiche, politiche e storiche. Spazia in diversi campi, perfino nell’urbanistica! Ad esempio nessuna diatriba potrà mai raggiungere i livelli di degenerazione raggiunti sul forum internet it.cultura.storia in merito all’esistenza di un fantomatico “borgo medievale di Kaliningrad”, ma quello può essere considerato il “non plus ultra” della stupidità umana, arrivato al punto che era il branco a voler decidere non solo cosa era vero, ma addirittura cosa le loro “vittime” dovessero dire, e quali titoli o capacità dovessero vantare o meno. Si era letteralmente raggiunto un punto nel quale se l’angariato vantava titoli scolastici, il branco asseriva “non è vero”, quasi avesse potuto saperlo o perlomeno capirlo. Il fatto che una persona non sappia distinguere una qualunque città dalla foto aerea non significa che nessuno lo sappia fare. Eppure l’irrazionalità umana tende a decretare che ciò che non si sa fare non lo sappia fare nemmeno nessun altro.
“Ho un azienda di vendita su internet” – “Bugiardo no che non ce l’hai” (dialogo Ned Flanders - Homer Simpson)
Ovviamente con un tal tipo di persone ottuse la possibilità di ragionamento logico è del tutto preclusa. La discussione su Kaliningrad è esemplare. Un centro storico di impronta tipicamente settecentesca (prima della totale devastazione del 1944-45) come poteva contenere un borgo medievale? E soprattutto contenerlo ancora dopo che l’intera città fu rasa al suolo? Si da il caso poi che oggi l’intera area del vecchio centro storico di quella città è un parco, e quindi nelle cartine e nelle foto aeree appare colorata di verde. Non serve essere dei geni della topografia per capire che il colore verde non corrisponde ad un “borgo medievale” ma ad un area alberata… Basta come esempio? ------ mercato e società pag. 110-1.
Anche la pagina di discussione alla voce
“Ezra Pound” su Wikipedia è un vero campionario delle furbe strategie di
manipolazione mentale tipicamente “neocatecumenali”, dove una folla di
suggestionabili ipnotizzati dal presunto carisma di un furbo utente dava
furiosamente ragione a questi nonostante l’evidenza delle bugie e dei suoi
puerili trabocchetti per far cadere in fallo o delegittimare chi infastidiva il
suo grossolano esperimento di plagio psicologico. Per la cronaca, egli voleva
indurre a credere che Ezra Pound non si fosse mai interessato del tema
dell’economia, e questo non dovrebbe avere bisogno di ulteriore commento se si
tiene conto che uno dei libri scritti da Pound si intitola nientemeno che “ABC
dell’economia”, eppure alla fine riuscì incredibilmente ad averla vinta lo
“charme” dell’affabulatore. Alla faccia della verità, e a dimostrazione del
livello di suggestionabilità delle masse, wikipediane in specie. Moderatori
compresi, dato che anche alcuni di essi si accodarono agli infatuati dal furbo
manipolatore mentale. Non c’è da stupirsi, dato che in Wikipedia i moderatori
vengono eletti con sistema democratico e non vi è una vera gerarchia di merito
e capacità. Il bello è che di queste regole ne menano pure vanto! E rigirano le
critiche per sbeffeggiare chiunque contesti tali regole. ---le regole di wikipedia ---------- Anche
lì ogni ricerca della verità viene regolarmente liquidata come “dietrologia”,
non importa l’obiettività logica, solo quello che sta scritto sui libri
“ufficiali” è vero. Un po’ come se i libri fossero scritti da entità
soprannaturali, non da persone.
“Dite alle
persone qualcosa che già sanno e ve ne ringrazieranno. Dite loro qualcosa di
nuovo e vi odieranno per questo” (George Monbiot)
Viene spontaneo chiedersi come si adeguino
certi “storiografi” quando le loro amate verità “ufficiali” vengono
ufficialmente ribaltate, ad esempio come nel caso dell’omicidio di Enrico
Mattei. Guai a sostenere che di omicidio si trattasse, prima che un giudice lo
ufficializzasse con una sentenza! Ma la sentenza non modifica gli avvenimenti
già accaduti! Mattei non è stato vittima di omicidio perché un giudice l’ha
stabilito trentadue anni dopo! Così come i pazienti non hanno cominciato a
morire di setticemia solo dal momento in cui Pasteur scoprì i microrganismi
patogeni.
Wikipedia nonostante gli sbandierati propositi certamente retti, è affidata in mani non sempre affidabili. Tanto che si è dovuta fondare un analoga enciclopedia per rimediare alle note falle di Wikipedia. Per quanto alla fine anche Wikileaks non può finire altro che diventare un’altra ----- manovrabile da interessati. Certamente additata come crogiolo del complottismo.
La novella parola buona per tutti gli usi -----dietrologia ------logica ------- complottismo ----- non importa quanto evidente possa essere un --------- quanto vi si è appiccicata questa etichetta anche le più sensate argomentazioni diventano –--- gatekeepers ---- qui cose da logica? Gottlieb Frege – refutazione = confutazione – premessa e conclusione di un argomentazione: asserzioni. – pertinenza (che pertinenza abbia) sillogismo – tautologia – inferire – regole d’inferenza --- reiterazione – ridondanza --- trasposizione --- algoritmi logici ----
“Per quanto sia audace esplorare l’ignoto, lo è ancor di più indagare il noto” (Kaspar)
Un aneddoto ci viene raccontato da --------: quando vi fu l’elezione dell’attuale Papa, ed il cardinale annunciatore pronunciò il nome “Josephum” ancor prima di dire “cardinal Ratzinger”, lasciai attoniti i miei compagni di cella esclamando più o meno “scommetto che si farà chiamare Benedetto”. Qualunque buon debunker mi avrebbe definito pazzo, e forse lo pensarono anche le persone che mi udirono profetizzare quel nome prima che venisse annunciato.
“Il matto di oggi può essere il savio di domani” (David Icke)
Ebbene, quale
nome ha preso l’attuale Papa? Dietrologia? No, logica. Dietro ad
ogni minimo particolare si possono intravedere più grandi verità. E -----nome-----,
come certamente anche altri, sapeva che un Papa tedesco non avrebbe potuto
scegliere altro che quel nome. Per un preciso motivo, specificato da
-----------, ma che ci asteniamo dal chiarire per non far urlare istericamente
i soliti idioti nelle critiche a questo libro. Quelli, per intenderci, convinti
che solamente per caso un epidemia di
virus Ebola si sia sviluppata, fatalità, in perfetta contemporanea con l’uscita
dell’omonimo film; né prima, né dopo.
“E’ un
miracolo che la curiosità sopravviva all’istruzione formale” (Albert Einstein)
Quello che solitamente viene vituperato con il termine “dietrologia” è l’analisi di coloro che cercano la verità laddove palesemente sia carente o manchi del tutto. L’accanimento ha sempre come unico fine quello di screditare coloro che si pongono domande, senza mai entrare nel merito delle questioni. Basti considerare che, laddove si tollerano perfino opinioni aberranti ma “politicamente corrette”, gli argomenti “revisionisti[17]” vengono invece derisi e liquidati con una censura ingiustificabile. Quando argomentata, consta unicamente in un dogmatismo ottuso ed accanito, senza neppure voler entrare nel merito dei fatti per poterli analizzare con la logica, ma rigorosamente chiedendo le prove (ma solo quando ciò va nel proprio interesse!) anche laddove comprensibilmente non possano esisterne, dato che non è certo possibile ----portare--- prove che una cosa non si sia verificata (come suggerito anche da Parmenide nella citazione poc’anzi riportata); quando portate, sbeffeggiate e sminuite, oppure etichettate. Ed una verità etichettata diventa automaticamente decaduta, diventa una “verità personale”, soprattutto quando giunge da un autore facilmente delegittimabile tramite qualunque scusa si abbia sotto mano, anche la meno concernente.
“Il cattivo critico critica il poeta, non la poesia” (Ezra Pound)
Come se la stessa identica cosa potesse modificare il suo contenuto a seconda dell’insieme di lettere che compone un nome. Interessante sarebbe osservare la facies spaesata nei volti di questi tipici ottusi davanti un testo in forma anonima…
Come si può considerare una persona che chiede di portare prove che una cosa non si sia verificata? Casomai è il contrario, le prove le deve portare chi sostiene che una cosa si sia verificata. Quali prove ci possono essere che ---------------? Nessuna! E’ chi lo sostiene che deve portare prove di quanto afferma! Ma l’ottusità di cert ------ non conosce limiti anche davanti la più evidente tautologia.
Magari sono le stesse persone che sberleffano scientology od i mormoni per le loro buffe credenze, ma poi vanno a credere a favole altrettanto fantasiose e completamente esenti da ogni sillogismo, come fa Bill Maher! Allora, la coerenza? Tutto solo a proprio interesse? Un po’ come Olanda, Belgio, Svizzera, Austria, Canada, Francia, ecc.
In un documentario nella televisione di Al Gore Current Tv incentrato sulle vignette di Maometto comparse in Danimarca, si intervista un arabo. L’intervistatore, un mellifluo estremista liberal, gli rinfaccia ovviamente il trito fatto che nell’islam non vige la libertà di parola se i giornali si sentono impediti di pubblicare una semplice vignetta per paura di ritorsioni, anche allorquando la libertà di espressione non sia legalmente limitata. L’arabo l’ha liquidato con una risposta che ha colto alla sprovvista l’intervistatore lasciandolo interdetto ed incapace di controbattere: “in occidente un giornale può permettersi di pubblicare una vignetta che ironizzi sull’olocausto?”. Quello che stupisce non è tanto l’arguta risposta, ma la sorpresa che ha colto l’intervistatore, lasciando capire che fino a quel momento non aveva nemmeno preso in considerazione la possibilità che le sue stesse accuse potessero essere rivolte contro di lui in qualche modo! Ed il brutto è proprio questo, che nell’occidente si ritiene sbagliato che non si possa criticare Maometto, ma si ritiene normale e giusto che non si possa criticare l’olocausto come mito. Due pesi e due misure? ---o su Solo chi non è offuscato da??? O su dovrebbe essere doveroso a questo punto…???
“I processi di Norimberga hanno reso l’intrapresa di una guerra perduta un crimine: i generali della parte sconfitta vengono processati e poi impiccati” (Bernard Law Montgomery)
Esemplare la dichiarazione comune firmata da 34 storici ed autori francesi, fra cui Léon Poliakov, Pierre Vidal-Naquet, Fernand Braudel e Jacques Le Goff: “Non bisogna chiedersi come tecnicamente un tale assassinio di massa sia stato possibile; esso è stato tecnicamente possibile poiché ha avuto luogo” (Le Monde, 23 febbraio 1979). Ciò è quel che si chiama, nello stesso tempo, confessare la propria impotenza nel poter dimostrare le proprie convinzioni, ed imporre agli altri insindacabilmente il rispetto di un tabù. In menti razionali ciò non dovrebbe avere bisogno di ulteriore ----------. Il fatto che invece venga considerato normale la dice lunga sul livello di razionalità di questo mondo. ---- o su è così e basta!-----?--- Hegel non può certo essere accusato di revisionismo, essendo morto ben 116 anni prima del presunto fatto in questione…
“Ciò che è noto, non è conosciuto. Nel processo della conoscenza, il modo più comune di ingannare sé e gli altri è di presupporre qualcosa come noto e di accettarlo come tale” (Georg Wilhelm Friedrich Hegel) -----o spostare assieme a frase su?-----
Un tale dogmatismo ottuso è particolarmente odioso da parte di storici riconosciuti, come da un “tribunale” quale i gruppi di moderazione di un forum, che avrebbero il compito di giudicare con coscienza di causa ed imparzialità, invece di praticare la politica ciecamente censoria cara ai debunker. Che una tesi fastidiosa sia giusta o sbagliata, non cambia rigorosamente nulla alla realtà. Non è che fatti avvenuti o meno si modifichino tramite una “macchina del tempo” solo perché qualcuno lo desidera. Ammesso che sia errata, nessuno ne riceve (o meglio, nessuno ne dovrebbe ricevere, perché nessuno ne dovrebbe avere un’interesse personale) il minimo danno concreto, e potrebbe persino facilmente essere smentita. Viene da chiedersi, se gli sta tanto a cuore, perché non riescano mai a smentirla. Soprattutto considerando l’impegno che ci mettono nel controbatterla con argomentazioni arzigogolate talmente incongruenti che farebbero impallidire non solo Aristotele. Se dedicassero il loro tempo a -----cose più producenti----, magari la società progredirebbe più -----velocemente anziché rimanere cristallizzata su dogmi immortali-----. Incomprensibile appare quindi agli occhi di una persona comune l’accanimento furioso ed irrazionale col quale vengono contrastate determinate questioni senza il minimo tentativo di confutarle col ragionamento. A meno di considerare, appunto, l’esistenza di un preciso interesse da parte di qualcuno, il quale ha, per conseguire questo diretto interesse, la necessità di appropriarsi della “verità”. Ma la verità non è di nessuno, è solo la verità. Checchè ne dica Parmenide.
“Sarei propenso a dire che è fanatico chi pensa che qualcosa possa essere tanto importante da superare qualsiasi altra” (Bertrand Russell)
In questo mondo di verità capovolte si arrivano perfino ad usare varie scale di giudizio in merito al crimine di “genocidio” come se esistessero dei genocidi “passabili” e dei genocidi “da condannare”.
Ma moralmente è lecito chiedersi chi sia migliore tra chi spera che, ad esempio, un genocidio sia avvenuto, e chi spera che non sia avvenuto… In questo mondo capovolto è quest’ultimo a venir considerato malvagio, mentre chi desidera che un atto orribile sia avvenuto (ovvero uno “sterminazionista”, se vogliamo rivoltare contro essi la loro pratica di affibbiare neologismi arbitrari) è messo tra i “giusti”. In tal caso, le persecuzioni (anche giudiziarie) di cui si può essere oggetto per aver espresso le proprie opinioni - giuste o sbagliate - e fatti svelati, sono veramente odiose. Si tratta di furente boicottaggio intellettuale attuato attraverso mezzi funzionali ed imposto sotto le sembianze del “politicamente corretto” in nome di “temi sensibili”, unicamente per soddisfare nient’altro che il proprio ego, quando non veri e propri interessi personali o politici, sfruttando l’evidente sindrome di Münchausen di cui soffrono ancor oggi le vittime designate.
“Le convinzioni, più delle bugie, sono nemiche pericolose della verità” (Friedrich Nietzsche)
Soprattutto laddove non solo la logica, ma addirittura le prove siano marcatamente evidenti ed innumerevoli, e delegittimare diventa difficile. In tal caso la strategia si raffina, ad esempio dosando sapientemente la semantica delle parole e coniando neologismi paradossali, il cui esempio più clamoroso è il recente dispregiativo “negazionismo”, termine completamente surreale visto che nessuno di quelli definiti tali nega proprio un bel nulla, e volendo esser precisi nemmeno “rivede”, ma solamente e semplicemente constata laddove tutti gli altri credono ciecamente al “perché è così e basta!” derivato da “sentito dire” incontestabili per ordine “divino” e rifiutano a priori di considerare prove e ragionamenti di per sé logici quando non addirittura lampanti. E per quanto non tutti riescano ad averne accesso (dato il boicottaggio culturale, “gatekeeping”), e quindi possa suonare strano ai più, questo riguarda un grande numero di argomenti.
“Chi non conosce la verità è uno sciocco, ma chi, conoscendola, la chiama bugia, è un delinquente” (Bertolt Brecht)
Nel 1859 tutti gli abitanti di
Titusville sbeffeggiavano Edwin Drake come lo scemo del villaggio mentre
perforava il terreno alla ricerca del petrolio. Nel 1870, l’azienda che sfruttò
tale scoperta, valeva un milione di dollari (di allora). Abbiamo
visto come il dottor Semmelweis fu rinchiuso in manicomio perché si lavava le
mani prima di toccare i pazienti. Oggi sarebbe il medico che non si lava
le mani ad esserne rinchiuso. Oggi è chi ---------------------- ad essere
perseguitato; domani sarà chi ------------------?
“La salvezza dell’uomo è nelle
mani dei disadattati creativi” (Martin Luther King)
Questi ---------- portano spesso
come argomento per delegittimare le ---- idee fastidiose --- il fatto che “non
esista riconoscimento scientifico --- su di esse ----- (nota: dalla pagina di
wikipedia sulla fiscalità monetaria, al 31 agosto 2010)”; invece di chiedersi
il perché di quello che è un voluto boicottaggio da parte della comunità
scientifica “ufficiale”, lo prendono come conferma di ---- illegittimità -----;
riconoscimento da quella cultura scientifica che ancor oggi continua a curare
le patologie causate da vasocostrizione periferica somministrando (e perdipiù
localmente)… vasocostrittori periferici! Oppure che continua a sostenere che i
latticini siano benefici per la dentatura, anziché esserne l’alimento più
deleterio! Quella stessa che ignora completamente i meccanismi matematici che
regolano i prezzi dei carburanti, della telefonia, de ----altro------. Quella
che evita accuratamente di fare il paragone quantitativo tra uranio e petrolio
(1/15.000) e che considera come difetto delle centrali nucleari le scorie
stoccate, ma non dice che a parità di energia prodotta sono molti di più gli
isotopi radioattivi diffusi liberamente nell’ambiente dalle centrali
termoelettriche. ----altro per unire?----- Guai a chi osi contestare ------!
Certamente 100 anni fa chi avesse osato contestare la pratica medica del
salasso con sanguisughe sarebbe stato delegittimato allo stesso modo. Fra
cinquant’anni libri come “La forza della ragione” verranno guardati con lo
stesso orrore con cui oggi si guarda il “Mein Kampf” e ci si chiederà come sia
stato possibile. (da La missione di Oriana: americanizzare tutti, Il
Gazzettino, 9 aprile 2004) Massimo
Fini. Troppo soddisfacente sarebbe lasciarli
cuocere nel proprio brodo…
“E’ pericoloso avere ragione
in questioni su cui le autorità in carica hanno torto” (Voltaire)
Sempre riguardo la semantica e le sottili strategie dei fanatici, si pensi a quando Jean-Marie Le Pen si “azzardò” a definire i campi di concentramento tedeschi come un dettaglio nella seconda guerra mondiale, il putiferio che si scatenò. L’apoteosi del deficit mentale delle masse, ma anche delle presupposte elite autonominatesi tali. Ora, a qualunque persona dotata di un minimo di raziocinio verrebbe spontaneo chiedere a questi ignoranti, dato che se a loro vedere la definizione di dettaglio non calza con il dettaglio dei campi di concentramento, e dato che parliamo la stessa lingua, quale sia la loro definizione. Per logica conseguenza, parlando in italiano, se non sono un dettaglio tra tutti quelli che compongono una determinata cosa, in questo caso la seconda guerra mondiale, finiscono inevitabilmente per essere “il tutto”, ossia essi stessi a rappresentare tutta la seconda guerra mondiale. Ora ci si dica come si deve considerare una persona che sostenga che la seconda guerra mondiale è “i campi di concentramento e nient’altro”… perché se non sono un dettaglio tra tutti, conseguentemente a rigor di logica altro non possono essere che “il tutto”, e quindi non vi è nient’altro. A meno che non si parli una lingua diversa. Dato che nessuno arriverebbe a sostenere che la seconda guerra mondiale è stata solamente i campi di concentramento (che tra l’altro non sono nemmeno un dettaglio di essa, visto che c’erano anche prima e ci sono stati anche dopo) e nient’altro, il più azzeccato consiglio che si può dargli è di imparare non la storia, ma la propria lingua. A meno che l’equivoco sussista solo nella traduzione del concetto dal francese all’italiano… ma è dubitabile sia così.
“L’uomo è un animale impigliato nelle reti di significati che egli stesso ha tessuto” (Clifford Geertz)
Come può fregiarsi della
“Giustizia” una società dove chi campa sulle bugie è sostenuto da chi non solo
crede ma addirittura spera che quelle bugie siano verità? Essi di questo ne
devono rispondere solo alla loro coscienza. Se togliamo le bugie, ben poche
pallottole rimangono nel caricatore dei debunker, refrattari anche a qualunque
prova evidente e logica. Per questo la censura è necessaria alle loro fanatiche
convinzioni. Si verifichi quale esempio banale, come perfino la frase
mussoliniana “il cinema è l’arma più forte” li spinga ad immaginare e
diffondere la credenza che il fascismo abbia realizzato film di propaganda,
quando ciò invece non risulta nei fatti (se non si vuole considerare tale
“vecchia guardia” di Blasetti, che è piuttosto un’inevitabile film storico),
nonostante desidererebbero che ciò fosse. Un
nazista e un ebreo che si stringono la mano (tipica propaganda di Gaetano
Saya), nei giornali diventano “un nazista che schiaccia la mano a un
ebreo”.
“La speranza è la più grande falsificatrice della verità” (Baltasar Gràcian y Morales)
Sono esempi banali, di questi se ne potrebbero fare a bizzeffe, ma ne sottolineamo alcuni un po’ più importanti: oggi è oramai risaputo ed accettato ufficialmente che il famigerato bombardamento di Guernica non si sia mai verificato (quantomeno non nei termini solitamente descritti), ma sia stato praticamente inventato per propaganda tramite il famoso quadro di Picasso, tra l’altro da lui iniziato ben prima del fantomatico bombardamento, e poi riadattato appositamente. Fino a qualche anno fa fu imputata ai tedeschi una strage che ora si sa essere stata causata da una bomba americana; ma tant’è, si disse, “nella chiesa colpita dalla bomba furono i tedeschi a metterci le persone”. Si, ma non certo immaginando che sarebbe stata colpita da una bomba! Cosicché fino al 2008 a San Miniato la lapide in memoria di quella strage indicò i tedeschi come responsabili. In modo simile, è mancata per lungo tempo una chiarezza sulle responsabilità del massacro di Katin del quale fino al 1990 i sovietici hanno dato la colpa ai tedeschi nonostante l’evidenza della colpevolezza sovietica. Ora, ci si dica davanti a questi esempi come ci si può fidare nel credere anche a tutto il resto? Il fatto che per certi fatti già venuti a galla, come appunto Guernica, nonostante questa rivelazione sia ormai innegabile, ciò venga tenuto comunque rigorosamente nascosto, ovvero assente di una smentita ufficiale come invece è stato nel 1990 per Katin, è indicativo dell’indifendibilità della menzogna e dell’interesse a mantenerne tacitamente la credenza che vi gira attorno. Stessa cosa per la risiera di San Sabba, leggenda “creata” “ad hoc” negli anni ’70 in previsione del conciliante “trattato di Osimo” per contrapporla ai massacri delle foibe. Dopotutto oggi campi “di sterminio” non ne esistono più nemmeno in Germania, sarebbe un po’ troppo megalomane pretendere che ve ne fosse uno addirittura in Italia… Per continuare con sapone fatto con cadaveri, paralumi in pelle umana, e persone bruciate vive in forni crematori: oggi nessuno storico continua a sostenere la veridicità di tali assurde calunnie, ma tuttavia nessuno ne dà precisa smentita ufficiale, cosicché questo “venticello” permane a galleggiare nell’aria alla mercé degli sprovveduti. E’ una prassi talmente quotidiana nella sua spudoratezza che non hanno nemmeno bisogno di preoccuparsi a dare un fondo di logica o di verosimiglianza a certe assurdità che propinano. Chi mai andrà a contestarle? Per non dire poi di pretendere che essi stessi ----- facciano notare volontariamente le assurdità che anche un bambino noterebbe. Fare un distinguo sulla solita confusione vigente tra i due oggetti completamente diversi di camera a gas e forno crematorio? Perché mai? Fino a che l’equivoco è così utile a farne un unico calderone… Esemplare in tal senso è il servizio nel più retrivo giornalistico stile “taglia e cuci” tipo “l’immondo profondo” realizzato dalle Iene portando Paolo Caratossidis a visitare un campo di concentramento; stile poi ricalcato dal montaggio “artistico” del documentario “Nazirock”.
“La ragione non è di chi ce l’ha, ma di chi ha
la forza per esercitarla”
(Michel Foucault)
Holliwood ---- “L’allievo”, quel film col vecchio che mette il gatto nel forno . Un film indecente, il problema è che la gente non lo interpreta come un film tanto quanto “il mago di Oz”, ma come una cosa vera. In quel film il vecchio racconta dettagliatamente ad un ragazzo come funzionavano le camere a gas, un racconto di pura fantasia cinematografica ovviamente. Vaglielo a spiegare agli spettatori che quella è solo una sceneggiatura cinematografica... Tra i film fantasiosi è opportuno citare “I giovani leoni”, “Il peccato e la vergogna”, “storici” tanto quanto “La vita è bella” di Benigni. Realistici tanto quanto “Salò o le 120 giornate di Sodoma” di Pasolini. Ovviamente sono film di pura fantasia, spesso al livello del surreale e del paradossale, non è possibile nemmeno immaginare che gli autori pretendano di farli passare per storici, talmente irreali sono. Però il problema è che la gente che lo guarda non lo sa. E di sicuro non andrà qualcuno a specificarlo. Arduo contare che alla fine scriveranno “i fatti narrati sono da considerarsi frutto di pura fantasia ed ogni riferimento ad eventi o persone realmente esistiti è puramente casuale”, come si fa in altri film. I disegni dei campi di concentramento poi, oramai non sanno più su quali assurdità appigliarsi! Ma riuscite a immaginarvi????? E’ una cosa indecente e inconcepibile! Certamente la via più breve per vincere l’Oscar.
“Ad ogni angolo di strada il sentimento dell’assurdità potrebbe colpire un uomo in faccia” (Albert Camus)
----come unire??------- ma voler ristabilire
la verità è un eresia.
Dopotutto abbiamo visto quale fine ha fatto
il governo polacco nel momento i cui la verità avrebbe dovuto essere
ufficializzata definitivamente… inevitabile fare un parallelo storico. Singolare
il ripetersi della storia della decapitazione della classe dirigente polacca
nel momento in cui si accingevano a ricevere le scuse ufficiali da Putin per la
precedente decapitazione… Un po’ come la nonna del predestinato presidente
Barack Obama morta giusto il giorno prima delle elezioni.
Ma non è con Katin che le assurdità raggiungono l’apoteosi. Si va ben oltre. Dalla Russia non erano tornati 84.000 soldati dell’Armir. Tra quelli fatti prigionieri ne tornarono solo poche decine, dopo la morte di Stalin. Tolti 10-20.000 possibili morti in combattimento o ritirata, siamo comunque di fronte a quantità rilevanti. Come l’hanno spiegata i comunisti italiani? “Molti soldati hanno preferito rimanere in Russia facendosi là una nuova famiglia”. Tutti i comunisti ne hanno fatto verità ufficiale, per loro era normalissimo che decine di migliaia di soldati si sposassero in Russia, abbandonando spesso moglie e figli, non inviando neppure una cartolina alla madre. Ne è stato fatto addirittura un film, “I girasoli”[18]. Evidentemente, anche quando caduto il comunismo, neppure uno dei presunti coniugati in Russia si è fatto vivo, ha convinto i comunisti della falsità di questa loro tesi. Poi hanno la faccia tosta di voler loro insegnare agli altri la storia e l’arroganza di essere i portatori della fiaccola della verità. E pensare che lo stesso Togliatti durante la sua permanenza fu più volte oggetto di soprusi da parte della GPU, così come molti speranzosi italiani ritornati a testimoniare la deludente esperienza vissuta in quel “paradiso”[19].
“Il comunismo è intrinsecamente malvagio, e quindi nessuno che desideri salvare la civiltà cristiana dall’estinzione gli renderebbe assistenza in qualsivoglia impresa. Quelli che si lasciano abbindolare e i conniventi dell’istituzione comunista nei propri paesi saranno i primi a pagare la pena” (Pio XI, “Divini Redemptoris, 1937)
Si pensi che quando Don Pietro Leoni tornò dalla prigionia in Russia e raccontò le sue esperienze i comunisti italiani lo accusarono di non essere veramente lui ma un impostore propagandista.
Tutti adorano i delfini, ma ben pochi sanno che il loro divertimento preferito è scegliere l’esemplare più debole del branco ed ucciderlo in gruppo.
“Le verità che tolgono la speranza è meglio tacerle” (Roberto Gervaso)
Oggi internet è considerata il massimo esempio di libertà di opinione, ma è ancora una nicchia ignota ai più, appositamente sottosviluppata ove non censurata e boicottata sminuendo e delegittimando ogni ambito fastidioso. Una vera babele dove le opinioni scomode vengono come minimo derise dai cosiddetti “troll[20]”, veri sabotatori per passione ad utilità dei burattinai dell’“intellighenzia”. Non solo in modo diretto, ma anche utilizzando l’infiltrazione mirata. Questi meccanismi si stanno molto raffinando nel tempo e ultimamente stiamo perfino assistendo a subdole “infiltrazioni” all’interno di comunità antagoniste o nella cerchia di alcuni famosi complottisti planetari (come David Icke o Daniel Estulin) al fine di rendere ancora più estreme le loro teorie, fino a portarle all’assurdo assoluto, e rendendone quindi facilmente risibili e confutabili. Un esercito di “utili idioti” teso a screditare ogni teoria logica inserendo ad arte una mole di assurdità (sinarchi rettiliani, scie chimiche, signoraggio privato, Amero, ecc.) accomunate artificiosamente a questioni serie, allo scopo di ridicolizzarle in massa. Per screditare una verità fastidiosa non esiste metodo migliore infatti che associarla ad una palese panzana; apparentemente potrebbe anche sembrare che il lavoro di certi autori abbia in realtà proprio questo scopo, raggruppare tutte le informazioni sconvenienti ed accoppiarle con teorie stravaganti, così da fare in modo che nel calderone l’insieme venga ampiamente screditato. L’esempio più calzante sono i film-documentari di Michael Moore. Far si che si guardi il dito anziché la luna. La spiegazione più calzante ce la da David Icke nella sua “guida alla cospirazione globale”: “In internet gira un video in cui si chiede allo spettatore di concentrarsi su due palloni che vengono lanciati da un gruppo di persone, e di dire quanti lanci vengono effettuati. Alla fine, allo spettatore viene chiesto: hai visto il gorilla? Pare che la maggior parte della gente non lo veda e tuttavia, quando il video viene proiettato nuovamente, si vede chiaramente passare qualcuno che indossa un costume da gorilla. La maggior parte delle persone non se ne accorge perché, secondo le istruzioni ricevute, tutta la loro attenzione è concentrata sui due palloni”. Certo anche Icke non sembra da meno di Moore, ma leggendo approfonditamente le sue opere emerge che ha delle buone motivazioni nel farsi passare per pazzo: “solo un pazzo può permettersi di dire la verità, perché non verrebbe mai creduto”. La stessa strategia usata da Alì Agca; senza le sue folli dichiarazioni sui segreti di Fatima la sua vita sarebbe in grosso pericolo ancor oggi. Egli è ben lontano dall’essere quello scemo per il quale vorrebbe farsi passare.
Non è necessariamente detto che quelli che sostengono teorie strampalate facciano questo proditoriamente, ma è verosimilmente presumibile che questo tipo di ricerche siano viste di buon occhio da chi ha tutto l’interesse affinché non vengano prese sul serio delle verità potenzialmente pericolose.
“Una verità è pericolosa quando non somiglia a un errore” (Bufalino)
Il complottismo portato all’eccesso e all’estremo non è funzionale alla verità, perché tenta di far entrare tutto in una grande congiura ideata e portata avanti, da secoli, da una tenebrosa e monolitica congrega che soggioga le masse naturalmente ignare ed imbelli cercando di conferire a quel “tutto” i crismi della plausibilità e della verosimiglianza. A conti fatti il giochino non funziona e la macchina fatica ad avviarsi nonostante il “complottismo” si sia imposto all’attenzione anche del grande pubblico - vedi il caso letterario di Dan Brown e di Icke - semplicemente perché quel “tutto” rifiuta di adeguarsi alla pura e semplice realtà. Per inferire l’azione di un pugno di potenti in associazione fra loro ce ne corre! Ma questo non significa che non ci sia un intenzionalità… Cui prodest? --riescono proprio a legittimare le proprie posizioni contestando queste amene ipotesi cospirazioniste---
“Voi avete il dovere di conoscere quanto i professori vi insegnano,
ma non dovete necessariamente crederci” (Giacinto Auriti)
Per questo motivo nelle librerie si trovano così facilmente veri e propri “best-seller” “complottisti”, esenti da ogni censura e solo blandamente criticati. La censura vera e propria, come spiegato, necessita solo quando si esce dal seminato della finzione semi-parodistica. Ed è una censura che, quando vuole, sa essere feroce, come abbiamo visto nel caso di Vincent Reynouard (che sia chiaro, è solo di molti l’ultimo in ordine di tempo al momento della stesura di questo testo).
Sforzo censorio tutto sommato
inutile e superfluo, dato che l’influenza di internet sull’opinione pubblica è
oggi assolutamente irrilevante, come ci dimostra l’assoluta preponderanza dei
movimenti di destra radicale sul web, che non corrisponde analogamente a quanto
avviene nella società reale.
“Scriviamolo su internet! - No, dobbiamo raggiungere persone le cui opinioni contino veramente” (Da “I Simpson”)
Anche quelli che esigono tutto sono funzionali solamente a quelli che
vogliono non si faccia niente. Quelli che insistono con la leggenda che il
signoraggio vada ai banchieri privati impediscono di guardare il vero nocciolo
della questione, deviandolo verso un problema inesistente dato che oggi il
signoraggio va notoriamente (ed ovviamente!) allo Stato cioè a tutti noi. Così
come quelli che vogliono la costruzione di un certo numero di imponenti
centrali nucleari sono funzionali solo a chi non ne vuole nemmeno una. Invece
di azzuffarsi sul luogo in cui ubicare una grande centrale nucleare che sarà
pronta dopo 20 anni, sarebbe più semplice realizzare in ognuna delle
centrali termoelettriche esistenti un piccolo reattore di potenza
limitatissima che funga da supporto alla fonte fossile.
“Chi troppo vuole nulla stringe”
Ci sono poi ambiti nei quali ignoranza e malafede sembrano coniugarsi: i titoli sensazionalistici, il cui classico esempio sono quelli quasi a cadenza regolare sull’“auto ad acqua”, per poi scoprire, leggendo l’articolo, che si tratta di una normale auto a ciclo Otto adoperante come combustibile banalissimo idrogeno. Il quale non si trova certo in giacimenti, ma per essere prodotto richiede maggior energia di quanta ne restituisca. Sembra che nelle case di certi giornalisti non si ubbidisca alle leggi della termodinamica…
“Due cose sono infinite: l’universo e la stupidità umana, e della prima non son certo” (Albert Einstein)
Bisogna comunque ammettere che ci sono teorie del complotto veramente fantasiose, e a volte i detrattori della dietrologia non hanno tutti i torti. Come prendere seriamente in considerazione infatti che un gruppo di arabi con barba e turbante, senza un vero motivo contingente, si sia armato di tagliacarte e abbia dirottato aerei nei cieli della più grande potenza aerea del mondo, proprio mentre era in corso un esercitazione di simulazione aerea (similmente alle bombe a Londra del ------------), andando a schiantarsi apposta contro due grattacieli scelti a caso? Ed a maggior ragione, come poter credere che si sia trattato di un “auto-attentato” ordito ad opera del presidente americano George Bush? Per quale motivo? Per poter invadere Iraq ed Afghanistan sarebbero bastate scuse (“false flag”) molto meno eclatanti, soprattutto data la nota influenzabilità del popolo americano. Sarebbe bastata la distruzione dei “Budda di Bamiyan”. Difficile credere quindi che Bush avesse bisogno di una tale catastrofe per spingere la sua opinione pubblica ad approvare due guerre che tutto sommato non avevano nemmeno una grande impellenza.
“Tutti gli ambienti democratici d’America e d’Europa, con in prima linea quelli del centrosinistra italiano, sanno ormai bene che il disastroso attentato è stato pianificato e realizzato dalla Cia americana e dal Mossad con l’aiuto del mondo sionista per mettere sotto accusa i Paesi arabi e per indurre le potenze occidentali ad intervenire sia in Iraq sia in Afghanistan” (Francesco Cossiga --- da corriere della sera 30 novembre 2007)
Certe teorie della cospirazione sono effettivamente alquanto ridicole. Se si tiene conto che viceversa un motivo plausibile era noto ancor prima dell’episodio, un motivo talmente banale da non essere stato preso in considerazione nemmeno dai più estremi dietrologi: il nuovo proprietario Larry Silverstein da mesi premeva per demolire quei tre “vetusti” immobili acquistati a questo scopo dal precedente proprietario (il comune di New York) ed aveva stipulato un assicurazione apposita dopo averli praticamente svuotati. Dopotutto ci avevano provato anche i vecchi proprietari già nel 1993. Ma al 2001 il calo dei ricavi (comprendente il relativo aumento delle spese) rispetto al valore del terreno, rendeva minimo il saggio di profitto, cosa che spingeva ad affrettarsi a demolire per ricostruire. Oppure di vendere. Il comune stesso aveva avviato sopralluoghi tecnici anni prima per valutarne la possibilità di demolizione, sempre respinta per l’elevata pericolosità dell’operazione. L’agglomerato oramai da tempo era divenuto deficitario nei profitti a causa delle crescenti spese di manutenzione. Inoltre ne era stata rilevata una ----difetto---- nella staticità nel lato rivolto verso il fiume Hudson che li avrebbe presto resi pericolanti, con esiti immaginabili. Quindi vi era un’unica soluzione ravvisabile. Silverstein stesso l’aveva certamente acquistato proprio a questo scopo. E certamente a prezzo assai conveniente. Se si fosse trattato della moglie di un ricco spilorcio assicurato sulla vita morto in circostanze misteriose tre mesi dopo il matrimonio, sarebbe stata accusata subito. Altroché credere al racconto della donna finalizzato a scaricare la colpa dell’omicidio su un fantomatico rapinatore “costaricano”.
Tenera appare l’ingenuità di quelli che dopo il crollo chiedevano che l’area fosse adibita a giardino… quando è chiaro che se quegli immobili sono stati abbattuti è stato proprio per attuare una speculazione edilizia. Soprattutto, è già noto che in quel caso i demolitori furono arrestati quello stesso giorno, ma subito rilasciati. Rimarrebbe solo da chiedersi il perché del rilascio… se anche questo non fosse già evidente. Ma puntualizzarlo, al giorno d’oggi, è la più scellerata delle eresie, motivo per cui ci vediamo costretti ad ometterlo. Ci limitiamo a far presente una tra le tante cose già note, che durante i tre giorni seguenti all’attentato, nei quali lo spazio aereo statunitense rimase chiuso e tutti i voli cancellati, ci fu un solo aereo di linea che ebbe l’autorizzazione a partire, e non si fece alcuno scrupolo a farlo: un volo New York-Tel Aviv della El Al, tre ore dopo l’evento.
“La verità sta nella semplicità. Chi deve arrabattarsi alla ricerca di prove -----------------” (----)
Chi ha bisogno di andare a spulciare vuol dire che cerca di arrampicarsi sugli specchi. La dialettica è l’arma degli imbroglioni
La colpa data dall’ereditiera della vittima ad “un costaricano” non poteva che scatenare la caccia a tutti i “costaricani”, desiderata o meno dalla calunniatrice. Ma ciò poteva tornare utile a qualche amico della “donna”.
Insomma ----- ottennero due piccioni con una fava, perché sebbene il motivo fosse stato prettamente speculativo (ed in questo sarebbe interessante indagare la posizione del sindaco di New York… altroché di Bush!). Con l’11 Settembre – s’inaugurava un’era di restrizioni totali delle libertà giuridiche, economiche e civili in tutto l’Occidente, si accelerava la tendenza alla concentrazione dei monopoli in campo finanziario, in campo dei trasporti, in campo delle telecomunicazioni (con tanto di superconcentrazioni bancarie, nell’internet, nelle compagnie aeree), veniva dato un giro di vite sulle conquiste sociali dando sfogo al liberismo selvaggio e si lasciava mano libera agli interventi militari costosi e spregiudicati, definiti “missioni di pace” concepiti per garantire ai più forti il monopolio delle risorse energetiche in declino e dell’intero sistema del narcotraffico mondiale. La follia speculatrice e liberticida del sistema multinazionale sorto sulla guerra di sterminio che dal 1939 al 1945 le democrazie plutocratiche (parlamentari e comuniste) condussero contro le nazioni e i popoli, raggiungeva un apice mai immaginato e del quale ben pochi dei sudditi sonnambuli si rendono tuttora conto.
“La vittima della manipolazione mentale non sa d’essere vittima.
Invisibili sono le mura della sua prigione ed egli si crede libero” (Aldous Huxley)
Non è ancora chiaro come e da dove sia saltata fuori questa pista araba. ------ impuntarsi su ----- che in molti paesi arabi la gente scese in piazza a festeggiare, e qualche giorno dopo Bin Laden mandò in giro per il mondo il suo video in cui esaltava l’attentato, equivale a -------. Certo, perché anche loro stessi ci erano cascati come tutti gli altri all’ipotesi che fossero stati gli arabi! Ma nessuno si è mai chiesto come sia spuntato fuori subito sto Bin Laden come autore degli attentati??? Così, qualcuno lo ha deciso.... certo, ma sulla base di cosa??? Mistero! E chi avrebbe dovuto per primo avere il compito di chiedersi da dove saltò fuori la pista musulmana, i giornalisti, invece -------si accodò------. Per poi in seguito aggredire chi cerca di fare quello che loro avrebbero avuto il compito di fare fin da subito.
“E’ indesiderabile credere vera una proposizione quando non c’è alcun fondamento per supporre che sia realmente vera” (Bertrand Russell) --- o su dichiarazione storici???---
Eppure ancor oggi c’è incredibilmente una marea di gente ancora convinta che gli autori della demolizione siano arabi musulmani! Se si pensa alle persone comuni, -------- è giustificabile che ci credano per il semplice fatto di non essersene mai interessati. Ma il bello è che invece esistono perfino persone come Piero Angela che -----dalle quali non ci si aspetterebbe tanta ingenuità! Senza contare i debunker su internet, che si accaniscono con una tale costanza da far pensare che non dedichino altro alla loro vita. ------stride con frase sotto!!!------- aggiungere qualcosa -----
“Senza il pensiero l’uomo rinuncia a sviluppare la propria personalità e soprattutto i propri ideali; abbandona spontaneamente la possibilità di avere un’opinione personale e di decidere in prima persona della propria vita, contribuendo inoltre al decadimento della civiltà” (Albert Schweitzer)
o su condominio?
Lo scrittore Aldous Huxley è autore del libro “Il
mondo nuovo”, scritto nel 1932, nel quale, diversamente dall’affine “1984” di
George Orwell (dove la cultura diventa una prigione), immagina un ambiente nel
quale la cultura diventa una farsa. “Nella nostra società non c’è nessun
carceriere che ci sorveglia, ma le prigioni sono dentro le nostre teste”,
questo l’incipit de “Il mondo nuovo”, un mondo solo apparentemente libero, ma
in realtà controllato dalla sua stessa sedicente libertà. La giornalista Carola
Catalano ne da un inquietante versione nel suo blog[21]. Nella “democrazia”
rappresentata da Huxley le persone non sono imprigionate, ma distratte
continuamente da cose superficiali e a fini consumistici. Non esistono censure,
si è talmente subissati dalle informazioni che, incapaci di rielaborare una
simile mole di notizie e qualsiasi opinione difforme da quella vissuta, si finisce col diventare
passivi, disinteressarsi a tutto e a non reagire più. Nel mondo nuovo nessuno
brucia i libri perché non c’è più nessuno intenzionato a leggerli. La stessa dottrina storica
viene percepita come “Male Assoluto” e confinata a sacrilegio. E’ questa la vera
dittatura: una dittatura subdola perché invisibile, furba perché alle catene
preferisce il silenzio delle museruole mentali. Il tutto condito da un’aura
di finta felicità. E’ la dittatura del nemico distributore di caramelle col sorriso sulle
labbra; è la dittatura che ha trasformato i cittadini in zombi che non hanno la
minima intenzione di lagnarsi. E tantomeno di ribellarsi. Dopotutto chi
vorrebbe farlo? La prospettiva di Huxley è a dir poco inquietante: basta aprire
gli occhi per rendersi conto che quello che stiamo vivendo oggi è già il suo
incubo, che è la sua visione quella che si sta realizzando, e non quella più
palesabile, e quindi più facile da individuare e da combattere, prospettata da
Orwell. Obiettare è impossibile: si passerebbe per pazzi e si verrebbe isolati,
detentori di una verità che nessuno, quantomeno per disinteresse, accetterà
mai. Eppure “il mondo nuovo” è adesso, che lo si voglia vedere oppure no. Ma
sembra a tutti far comodo.
“Quando alla gente si
impongono doveri e non si vogliono accordare diritti, bisogna pagarla bene”
(Johann Wolfgang von Goethe)
Il fatto stesso che molto probabilmente il lettore prenderà con dubbio
questo, dovrebbe bastare a confermarlo. Tanto che lo stesso Orwell viene ormai scimmiottato attraverso
reality show e considerato quasi un fenomeno da baraccone completamente
decontestualizzato.
L’opera di Huxley è fondamentale per il risveglio
delle coscienze sopite.
Il solo soffermarsi a leggere cosa dice uno dei suoi
personaggi, il Governatore ci fa capire il pericolo che potremmo dover
sostenere nel nostro prossimo futuro: “L’impulso, arrestato, trabocca, e
l’inondazione è il sentimento, l’inondazione è la passione, l’inondazione è
perfino la pazzia: tutto dipende dalla forza della corrente, dall’altezza e
dalla resistenza dell’ostacolo. La corrente senza ostacoli scorre placidamente
lungo i canali stabiliti verso una calma felicità. (L’embrione ha fame; giorno
per giorno, la pompa del surrogato sanguigno compie incessantemente i suoi
ottocento giri al minuto. Il bambino travasato urla; accorre immediatamente una
bambinaia, con una bottiglia di secrezione esterna. Il sentimento sta in
agguato in questo intervallo di tempo tra il desiderio e il suo soddisfacimento.
Abbreviare l’intervallo, abbattere tutti gli antichi, inutili ostacoli) Giovani
fortunati! disse il Governatore. Non è stata risparmiata nessuna fatica per
rendere le vostre vite facili dal punto di vista emotivo; per preservarvi, nei
limiti del possibile, dal provare qualsiasi emozione. (…) In fin dei conti
disse Mustafà Mond i Governatori capirono che la violenza non serviva a nulla.
I metodi più lenti, ma di gran lunga più sicuri, dell’ectogenesi, del
condizionamento neopavloviano, dell’ipnopedia... (…) Ora abbiamo lo Stato
Mondiale. E le Celebrazioni del Giorno di Ford, e i Canti in comune, e gli
Offici di Solidarietà. (…) La storia ripeté lentamente è tutta una sciocchezza.
Agitò la mano; ed era come se, con un invisibile piumino, egli avesse spazzato via
un po’ di polvere, e la polvere era Harappa, era Ur dei Caldei; delle
ragnatele, ed esse erano Tebe e Babilonia e Cnosso e Micene. Una spolveratina,
un’altra, e dov’era più Odisseo, dov’era Giobbe, dov’erano Giove e Gotamo e
Gesù? Una spolveratina... e quelle macchie di antica sporcizia chiamate Atene e
Roma, Gerusalemme e l’Impero di Mezzo, erano tutte scomparse. Una
spolveratina... il posto dov’era stata l’Italia eccolo vuoto. Una spolveratina,
via le cattedrali; una spolveratina, un’altra, via “Re Lear” e i “Pensieri” di
Pascal. Una spolveratina, via la “Passione”; una spolveratina, via il
“Requiem”; e ancora, via la “Sinfonia”; via...Ecco perché non vi si insegna la
Storia stava dicendo il Governatore.”[22]
Quindi in questo mondo di apparenza, nel quale tutti sono convinti di decidere per il proprio destino o quantomeno di averlo affidato a menti eccellenti, è arduo intravedere la possibilità che ----------qualcosa si smuova-----------------.
“Quando potremo dire tutta la verità, non la ricorderemo più” (Leo Longanesi)
In questo contesto “sonnacchioso” si potrebbe anche
lasciar rivelare che ad abbattere l’aereo Argo 16 siano stati i servizi segreti
israeliani, o che a commettere i reati compiuti dal mostro di Firenze siano
stati dei poliziotti come con la “uno bianca”, l’importante è che ciò non
importi a nessuno.
“Parte delle armi sequestrate
dall’Arma dei carabinieri venivano utilizzate per rifornire le formazioni
paramilitari; venivano insomma distratte e non inviate per la distruzione alle
Direzioni di artiglieria” (Verbale Amos Spiazzi, 17 marzo 1994[23])
L’esistenza di Gladio fu scoperta ufficialmente solamente nel 1990. Grande sarebbe lo stupore per l’ex magistrato Felice Casson nell’apprendere che l’esistenza di un tale tipo di organismo fu esposta più che dettagliatamente fin dal 1978 nel libro di William Colby “La mia vita nella Cia”… e non solo: l’esistenza del “SID parallelo”, ovvero di Gladio, sarà rivelata anche dall’ex capo del SID Vito Miceli in un interrogatorio il 14 dicembre 1977, e confermato il 5 ottobre 1978 dal presidente del consiglio Giulio Andreotti[24].
“L’uomo comune vive tra i fantasmi, il solitario è l’unico a muovere tra cose reali” (Nicolàs Gòmez Dàvila)
Non è certo per disprezzo che Silvio Berlusconi affermò di vedere i
giudici come antropologicamente diversi dal resto dell’umanità. Se quello sia
un loro imperscrutabile “modus operandi” o se vivano davvero in un mondo di
fantasia è difficile capirlo. Il problema si pone quando “Alice” si trova a doverci aver a che fare…
Ma perché e come tutto questo avviene?
“Se cerco di immaginare il dispotismo moderno,
vedo una folla smisurata di esseri simili ed eguali che volteggiano su se
stessi per procurarsi piccoli e meschini piaceri di cui si pasce la loro anima…
Al di sopra di questa folla, vedo innalzarsi un immenso potere tutelare, che si
occupa da solo di assicurare ai sudditi il benessere e di vegliare sulle loro
sorti. E’ assoluto, minuzioso, metodico, previdente, e persino mite.
Assomiglierebbe alla potestà paterna, se avesse per scopo, come quella, di
preparare gli uomini alla virilità. Ma, al contrario, non cerca che di tenerli
in un’infanzia perpetua. Lavora volentieri alla felicità dei cittadini ma vuole
esserne l’unico agente, l’unico arbitro. Provvede alla loro sicurezza, ai loro
bisogni, facilita i loro piaceri, dirige gli affari, le industrie, regola le
successioni, divide le eredità: non toglierebbe forse loro anche la forza di
vivere e di pensare?” (Alexis Clérel de Tocqueville, “La democrazia in America”)
A chiosa di quanto abbiamo appena espresso
riportiamo un brano di un articolo del Sole 24 ore del 7 giugno
2009 nel quale il giornalista Diego Marconi elabora un’accurata recensione del
libro di Gianni Vattimo intitolato “Addio alla verità”, e dell’opera di Harry
Frankfurt intitolata “On Bullshit”: «Nel suo piccolo ma interessante libro “On
Bullshit” (tradotto in italiano nel 2005 col titolo “Stronzate”), il filosofo
Harry Frankfurt distingue il bullshit dalla semplice menzogna. Chi mente
nasconde o altera quella che crede essere la verità, e quindi ha un’opinione
riguardo a qual’è la verità. Invece al bullshitter - a chi parla a vanvera -
non importa affatto se quello che dice sia vero o falso: gli importa soltanto
di “impressionare e persuadere il suo uditorio”. Secondo Frankfurt (che scrive
a metà degli anni ’80), la crescita esponenziale del bullshit è legata alla
diffusa convinzione che, in una società democratica, ciascuno sia chiamato ad
esprimere la sua opinione, per quanto incompetente, approssimativa, casuale; e
all’espansione del circuito mediatico, che sollecita l’espressione di molte
opinioni. […] Dice infatti Vattimo che
la norma del discorso non è la verità, ma il consenso: ciò che si deve
perseguire è una “condivisione comunitaria che non dipende dal vero e dal falso
degli enunciati”. […] Secondo Vattimo, il profeta isolato potrà solo aspirare a
creare, a sua volta, una comunità consensuale: diceva Ernst Bloch che la sola
differenza tra il pazzo e il profeta sta nella capacità del secondo di creare
una comunità.».
Questa analisi mette il timbro di approvazione a conferma di quanto scritto in questa prefazione. In alternativa, cosa spinga un incompetente ad aggregarsi ad un branco nell’aggressione al ragionevole, appare incomprensibile. Purtroppo il risvolto di questa patologia psichiatrica è che è solitamente il torto ad ottenere ragione nel mondo mediatico attuale.
“La brama di uguaglianza può manifestarsi sia nel desiderio di abbassare tutti al proprio livello (sminuendo, relegando, facendo lo sgambetto), sia in quello di elevarsi con tutti (riconoscendo, aiutando, rallegrandosi dei successi altrui)” (Friedrich Nietzsche)
Come nel branco, arruffianarsi il capo carismatico assecondando i suoi desideri veri o supposti. Il tutto seguendo i più bassi istinti zoologici di un’umanità il cui retaggio animalesco dovrebbe oramai essere stato soppiantato. Invece continua a sussistere nelle relazioni sociali l’acredine e la shadenfreude[25]. Solo l’ipocrisia autoassolvente di un umanità sedotta da sé stessa può negare ciò. La domanda cui porsi è questa: chi è oggi il capobranco da arruffianarsi? La risposta è quantomai scontata nella sua evidenza, ma come abbiamo visto, in alcuni stati è perfino reato penale riscontrarlo.
“Il difficile non è raggiungere qualcosa, è liberarsi dalla condizione in cui si è” (Marguerite Duras)
Nel mondo in cui stiamo vivendo assistiamo allo scontro tra diversi punti di vista sostenuti da determinati gruppi sociali (Marconi preferisce questa espressione rispetto all’uso del termine “comunità” che considera implichi una eccedenza di significato rispetto al tema in questione). Secondo Marconi, anche di fronte a crimini, efferatezze e menzogne perpetrate da regimi politici, democratici o assolutistici, non si pone il problema di dare visibilità pubblica alla “verità”: si tratta solamente della volontà collettiva di un aggregato sociale che sente un bisogno di giustizia - ma ancora una volta si tratta della “propria giustizia” - ritenuto un bene inalienabile soltanto per coloro che lo considerano tale.
“Non vi e possibilità di risanamento se non nella misura in cui si sfugge a queste tirannidi democratiche” (Leon Degrelle)
Per questo motivo nel mondo attuale le “Alici” permangono in balìa delle “Regine”, insulsi rappresentanti di una massa popolare ancor più insulsa. Come non pensare al film “Profumo”, nel quale un assassino viene lasciato libero dopo essersi cosparso di feromoni che hanno inebriato la folla fino a un attimo prima inferocita? Ed al suo posto viene giustiziato uno che si sa essere innocente, ma un capro espiatorio lo si avrà pur dovuto immolare. Come non paragonarlo a certe vicende giudiziarie del passato?
“Affinché il Male trionfi è sufficiente che gli uomini di buona volontà non facciano nulla” (---------)
Vattimo critica sia le ontologie oggettivistiche che legittimano “un ordine storico e sociale in cui la libertà e l’originalità dell’esistenza umana vengono cancellate” e allo stesso modo anche le verità espresse nello studio delle scienze naturali e logico-matematiche. I paradigmi di Kuhn, rappresentano per l’autore solamente metodi, criteri e modelli che costituiscono una interpretazione con cui affrontiamo il mondo e difendiamo i nostri interessi. Marconi aggiunge, in seguito, un elemento chiave della costruzione teorica di Vattimo: “Ma la ragione principale per rifiutare verità e oggettività, dice Vattimo, è etico-politica: se ci fosse la verità, la nostra esistenza di soggetti liberi non avrebbe alcun senso e saremmo sempre esposti al rischio del totalitarismo”. Riteniamo che quest’ultima considerazione sia inequivocabilmente chiarificatrice, ma evitiamo di commentarla per non dar adito ad appigli pericolosi.
“Capite ora perché i libri sono odiati e temuti? Perché rivelano i pori sulla faccia della vita. La gente comoda vuole soltanto facce di luna piena, di cera, facce senza pori, senza peli, inespressive” (Ray Bradbury, da Fahrenheit 451)
Ad esempio, gli antifascisti si lamentano dell’armadio della vergogna, ma dimenticano che è stato tenuto nascosto non dai fascisti (che non ne avevano alcun potere), ma da quelli che proprio loro hanno votato e sostenuto dal 1945-46 ad oggi! ----qui??---- o su capitolo neofascismo?---
Cardinal Giuseppe Siri:
àLa seconda sta nella sedicente larga
produzione teologica d’oggi, dove proprio per l’oblio della logica si afferma
il contrario di tutto, non esclusa la morte di Dio.
Siamo anche qui ben lontani dal credere che tutto quello che si tinge di
sociale sia sociologismo e che i moltissimi attori di questa scena siano
sociologisti coscienti della apostasia insita nel sociologismo. Diciamo solo
che in realtà accettano le conseguenze di una concezione materialistica del
mondo. Forse non lo sanno, forse sono semplicemente degli imitatori, forse
seguono il vento credendo che esso spiri da quella parte; forse credono di far
la parte degli stupidi, forse temono soltanto di essere etichettati per
conservatori. Viviamo in un’epoca in cui si ha paura persino delle parole!
Forse si tratta di un modo per ingraziarsi qualche potente, per fare strada e, quel che è più ovvio, per fare soldi: se ne predica il dovere verso gli altri e intanto si intascano. Gli esempi abbondano! La sociologia pratica è diventata certamente una industria ed anche qui gli esempi non mancano. Le massime del sociologismo avendo qualche — solo qualche — contatto con la dottrina cristiana della giustizia e della carità, pur involvendo altri ideali che tutte le verità cristiane acerbamente smentiscono, sono piuttosto semplici, sbrigative, atte al comizio, al facile consenso, al certo applauso, quasi visive, traducibili in termini di spesa quotidiana e pertanto rappresentano una via brevissima per stare al passo coi tempi!ß
E’ l’impossibilità di dedurre l’aspetto morale di dati eventi a rendere inconcepibile l’idea di trovarsi davanti a dati oggettivi rispondenti a certe precise formalità; l’inesistenza di “soggetti liberi” alla luce dell’illusorietà del libero arbitrio non può essere liquidata soltanto giudicandola “errata”; il totalitarismo non ha nessun particolare bisogno di essere giudicato per sopravvivere (o meglio della conferma di una certa formalità normativa) rispetto a quanto ne abbia certamente bisogno la democrazia (con la sua continua ricerca morale del presunto “dialogo”) e anzi trova il suo perfetto compimento al momento dello scontro frontale con l’alternativa che non prevarrà.
“Lo strumento principale del sistema di lavaggio del cervello in regime di libertà, che raggiunge la forma più alta nel paese più libero, consiste nell’incoraggiare il dibattito sui problemi politici, costringendolo però entro presupposti che incorporano le dottrine fondamentali della linea ideologica ufficiale” (Noam Chomsky)
---- ----------- --- Pietrobelli semantica qui -------------------- ------
Come esempio dell’uso terroristico delle notizie da parte dei
giornalisti è indicativo portare l’esempio dei “bambini di Cernobil”. In
seguito all’incidente del 1986 molte amministrazioni comunali iniziarono ad
ospitare bambini provenienti dall’Ucraina, regolarmente divulgate dai giornali.
E fin qui niente di anomalo. Il bello è che a tutt’oggi (2010) non vi è ancora
stato un limite a ciò. Ovvero, ancor oggi i giornali continuano a reclamizzare
queste ospitalità. Ovviamente dovrebbe essere implicito per chiunque chiedersi,
dato che da quell’episodio sono passati 24 anni: ma che età hanno questi
“bambini” di Cernobil??? Come minimo proprio 24 anni! Dato che sarebbe pazzesco
pensare che ci si riferisca a persone nate dopo quell’episodio, a dei
bambini veri odierni come vittime di un incidente avvenuto prima che nascessero
e che non ha e non può avere alcuna influenza su di loro, che quindi non hanno
proprio nessun diritto di passare per vittime di qualcosa che non hanno subito.
Ovviamente ben venga che paesi più privilegiati ospitino bambini provenienti da
paesi disagiati; ma allora anche quelli della Romania, del Bangladesh, del
Kenya, della Colombia. Perché gli ucraini devono essere privilegiati rispetto
agli altri per qualcosa che non li ha riguardati? Il motivo è evidente: non far
scemare il terrore nucleare nei lettori dei giornali; mantenerlo ben vivo. Ed i
“bambini di Cernobil” usati come mezzo. ---------- ci fa capire come il
continuare a battere il chiodo su fantomatici “bambini di Cernobil” sia pura e
delirante propaganda. Questo ne fa un esempio di come la psiche delle masse sia
esente da ogni razionalità e quindi influenzabile dal terrore e da chi sa
manipolarlo.
Cardinal Giuseppe Siri:
Viviamo nell’epoca delle «parole». Per vincere battaglie civili (e non
solo queste) si coniano parole e detti icastici, riassuntivi (slogans). Per
abbattere uomini si impiega qualche termine o classifica, che le circostanze
suggeriscono atti allo scopo di demolire. Per anestetizzare cittadini e fedeli
si coniano parole. Ciò che stupisce è il fatto per il quale gli uomini, invece
di lasciarsi abbattere da autentiche spade, si lascino abbattere da sole
parole. Perciò i termini, gli slogans, le classifiche di moda vanno vagliati,
capiti, eventualmente smascherati.
Il funambolismo lessicale tipico di giornali logorroici dei quali “il Manifesto” è il massimo esemplare ci risparmia la fatica di descrivere il funzionamento del sistema propagandistico, con parole e concetti che non riusciremmo mai ad ideare. Chiunque abbia letto almeno una volta un articolo di quel pomposo quotidiano lo sa. E’ un chiaro esempio della teoria “chi?”: «Siamo noi, noi tutti. Siamo noi che perpetuiamo e diffondiamo le credenze popolari, i luoghi comuni, le dicerie, come in un immenso “gioco del telefono” (quello che si fa all’asilo). Forse qualcuno dà il via, ma è man mano che passa di bocca in bocca che viene cambiato, ingigantito o rimpicciolito. Se viene colto dai media e diffuso, allora gli si da a priori adito di verità incontrovertibile. E chi osa opporsi è simbolicamente linciato in pubblico». “Dagli all’untore!”.
“Così diviene possibile l’esistenza di figure che osano a malapena parlare il proprio superiore linguaggio; tale è il poeta, che paragona se stesso all’albatro, le cui ali possenti, create per la tempesta, in un ambiente estraneo e soffocato dalla bonaccia sono soltanto bersaglio di molesta curiosità; tale è il guerriero nato, che ha le apparenze di un perdigiorno dal momento che la vita dei bottegai gli ispira ribrezzo” (Ernst Jünger[26])
Le forze che combattiamo sono certo potenti, ma fondate sulla menzogna. I loro piedi sono d’argilla. Il giorno in cui, a seguito di eventi esterni, le coscienze cambieranno e i tabù vacilleranno, il trattamento che ci sarà stato inflitto testimonierà con forza in nostro favore contro di loro.
“Come! Non avevano che le loro penne; chiedevano un dibattito leale per confrontare le loro tesi e voi, voi che avevate milioni, le televisioni, le radio, i giornali, li avete perseguitati, condannati, rovinati, gettati in prigione, strappati alle famiglie! Dite, voi, che erano antisemiti, fascisti, nazisti? Ci siamo! Ma il valore di un argomento non dipende da chi l'avanza; questo valore è intrinseco. Minacciavano la sicurezza? Ci siamo! Nel frastuono dei vostri televisori, le loro voci non erano un grido, neppure un sussurro, ma un mormorio. Ma per voi, questo mormorio, questo era troppo. Dovevate davvero temere la forza del loro messaggio per reagire così. Ora, soltanto la verità è forte. E ciò mi basta per capire chi, in questo affare, diceva il vero” (Vincent Reynouard, Prigione di Valenciennes, Francia, 21 agosto 2010).
“La verità produce effetti anche quando non può essere pronunciata”
(Ludwig von Mises)
si usa spesso dire ----- chi non cambia mai idea è un cretino-------- ma
Il pensiero umano cambia, si dice. Meglio: cambia il pensiero accademico a
seconda degli idoli del momento. Fuori della professione filosofica ed
intellettuale etichettata, continua a vivere bene o male il buon senso umano.
E’ vero però che gli strumenti della cultura si orientano secondo i placita di
moda e così influenzano molti spiriti e molti avvenimenti, come accade nel
nostro tempo per i metodi hegeliano e freudiano dopo che i loro autori sono
sconosciuti ai più e sono, comunque, morti. Accettare qualunque pensiero umano,
spesso contraddittorio, significa qualcosa di più che cambiare testa, ma
significa soprattutto non credere alla esistenza della verità. Se questa oggi è
bianca, domani è nera, vuol dire che non esiste. La conseguenza logica è patente:
se si deve aggiustare sempre la Parola di Dio a seconda di questo cangiante
scenario, si accetta che non esiste la verità, la Rivelazione, Dio. La
consequenzialità è tremenda, ma non la si sfugge. Lo stesso vale per la
reinterpretazione del dogma. Con tutto questo non si esclude affatto che le
diverse e contraddittorie manifestazioni del pensiero possano avere qualche
parte od aspetto immune dalla sua interna logica distruttiva e pertanto
accettabile, che taluni aspetti vengano illuminati, che talune stimolazioni
siano afferenti. Tanto meno si esclude che il messaggio evangelico vada
presentato in modo comprensibile agli uomini del proprio tempo, usando con la
dovuta cautela il suo linguaggio ed i suoi mezzi espressivi. (Cardinal Siri)
“La realtà è quella cosa che
anche se non ci credi, non va via” (---------------------)
spostato:
Questo libro sembra aver l’ardire pretenzioso di una moderna “bibbia” politologica, ma questo è ben lungi dall’essere. Semplicemente così è uscito, ad opera di tutti quelli che vi hanno contribuito, in un modo o nell’altro. Personalmente riteniamo che non dovrebbe essere nemmeno esistita la necessità di scriverlo. Il solo fatto che alcune persone abbiano sentito tale necessità è già piuttosto grave, come indice. Purtroppo la realtà di tutti i giorni ci dice il contrario, invece. Questo non significa che accampiamo pretese, ma che almeno non ci si possa rimproverare di non aver tentato nulla. Ne sarà comunque valsa la pena.
“Se la Verità parla per bocca di un uomo, il merito non è dell’uomo, ma della Verità” (Giordano Bruno)
Ovviamente anche in questo libro saranno presenti anche degli errori dettati da ignoranza o stupidità; nessuno ne è esente. Ringraziamo anticipatamente chiunque correggerà permettendoci di rimediare successivamente. Se ritenete questo prologo come eccessivamente autocompiaciuto, considerate l’esistenza stessa di un’attività quale il wrestling… come indicatore dell’immensità della stupidità umana. Dovrebbe bastare a tacciare illazioni…
Prima della pubblicazione, dai vari “esperti” di economia che l’hanno letto sono giunte notevoli critiche. Come la storia dello studio dell’economia ci insegna, ciò è un buon segno. Le poche critiche positive possono essere riassunte così: “le perle ai porci”. Meglio pretenzioso che vacuo.
“Bisogna che ognuno cerchi la verità da solo, che faccia le sue ricerche e si crei una propria opinione. E’ grazie a questa ricerca assidua che ho potuto pubblicare i miei libri e i miei studi storici” (David Irving) ---spostare questa?----
La stesura di questo libro parte da queste premesse.
-----fino qui spostato---------------
Avvisiamo il lettore che la nostra opera potrà sembrare farraginosa e pregna di ragionamenti banali e non indispensabili, di cifre snocciolate in maniera didascalica, di soluzioni contingenti incomprensibili o a primo acchito impraticabili, di concetti ripetuti alla noia, anche in maniera accalorata, affollato di citazioni all’apparenza superflue, ma riteniamo che tale complessità sia necessaria proprio per consentire di esplicare e far comprendere appieno i concetti espressi, e per tacciare preventivamente i “pareri” degli azzeccagarbugli maestri dell’economia moderna, in special modo i soliti presuntuosi vetero-marxisti. Ma proprio per distinguerci dal loro tipico “latinorum[27]” eviteremo di inserire le solite leziose formule algebriche, solitamente incomprensibili ai più. Per quanto si sia voluto semplificare al massimo il testo per renderlo comprensibile a tutti, una certa quantità di termini tecnici è invece stata necessaria per renderlo completo per chi già esperto della materia economica. Tuttavia, per facilitarne la comprensione e, speriamo, la diffusione, troverete numerose note a titolo di spiegazione dei concetti più ostici. Dato che è impossibile riscrivere concetti già espressi da altri, ritenendoli validi abbiamo inserito numerose citazioni di vari autori, utili ai fini di questo testo. Confidiamo che non rimarrete delusi anche se non troverete le solite dogmatiche apologie di elucubrazioni astratte decretate da filosofi ed economisti “defunti”.
Firmato Il gruppo di studio –----nome?----
“…la crisi è penetrata così profondamente nel sistema che è diventata una crisi del sistema. (…) Oggi possiamo affermare che il modo di produzione capitalistica è superato e con esso la teoria del liberismo economico che l’ha illustrato ed apologizzato. Le stesse dimensioni dell’impresa superano la possibilità dell’uomo; prima era lo spirito che aveva dominato la materia, ora è la materia che piega e soggioga lo spirito. Giunto a questa fase il supercapitalismo trae la sua giustificazione da questa utopia: l’utopia dei consumi illimitati. L’ideale del supercapitalismo sarebbe la standardizzazione del genere umano dalla culla alla bara. Il supercapitalismo vorrebbe che tutti gli uomini nascessero della stessa lunghezza, in modo che si potessero fare delle culle standardizzate; vorrebbe che i bambini desiderassero gli stessi giocattoli, che gli uomini andassero vestiti della stessa divisa, che leggessero tutti lo stesso libro (…) Oggi noi seppelliamo il liberismo economico. Noi abbiamo respinto la teoria dell’uomo economico, la teoria liberale, e ci siamo inalberati tutte le volte che abbiamo sentito dire che il lavoro è una merce. L’uomo economico non esiste, esiste l’Uomo integrale che è politico, che è economico, che è religioso, che è guerriero.”
Benito Mussolini[28]
La
necessità della socializzazione
Al vero Stato come unità nazionale di popolo spetta il compito di istradare l’unica economia possibile.
Nel dominio delle scelte economiche che lo Stato – il vero Stato – ha il diritto e il dovere di compiere, così come in tutte le scelte indotte che consistono nelle sue ricadute sociali e territoriali (fisco, tributi, politiche abitative, partecipazione del settore economico alla determinazione della politica nazionale) è necessario escludere ogni sorta di frazionismo.
L’opzione “riformista”, al pari delle manovre di solidarietà (che spesso si configurano come una vera e propria elemosina concessa al popolo in nome del mantenimento della c.d. “pace sociale”), si inseriscono storicamente nel filone dei sistemi politici liberal-capitalisti nei termini di assenza di soluzioni ai problemi che inevitabilmente, a causa della loro stessa natura, vengono a crearsi all’interno delle società rette da questi stessi sistemi e di quelle a loro vincolate da rapporti vetero o neo-coloniali. In tale settore si inseriscono i “bonus”, i provvedimenti di sostegno al reddito, le misure a favore degli incapienti; ma anche la tassazione dei redditi elevati, le concessioni e le agevolazioni sociali (case popolari, asili, etc.), se non estrapolate dal contesto politico liberista, si configurano come fumo negli occhi utile solo a offuscare le responsabilità e le colpe che ricadono sulla gestione predatoria della cosa pubblica, sul sistema capitalista liberale di mercato.
Le stesse teorie economiche alternative volte, nelle intenzioni, alla ricerca di soluzioni basate sull’equità e sulla giustizia, improntate sulla collettivizzazione, sul dirigismo d’apparato e sul protezionismo, sono state storicamente condannate proprio in quanto manifestatesi nei termini di “capitalismo di Stato” e si sono auto-distrutte configurandosi in apparati burocratici e antipopolari che sono stati espressione delle loro stesse teorizzazioni socioeconomiche. Sono quindi state condannate dalla storia politica ed economica, ma soprattutto sono state risucchiate dal vuoto pneumatico in cui consisteva il loro fondamento dottrinario, quello cioè che delineava – ricalcando lo schema adottato dall’economia di mercato - la tragica figura dell’homo oeconomicus, l’uomo concepito come tubo digerente. Di questi uomini, di questi esofagi antropomorfi, avrebbero voluto – nella loro critica al sistema capitalista – appianare e uniformare universalmente il diametro. Ma lo schema, la visione del mondo, restavano gli stessi.
L’unica risposta sensata alla crisi del capitalismo e alla sterilità delle dottrine che, dall’Ottobre bolscevico in poi, hanno nominalmente tentato di contrastarlo, risiede nella socializzazione. Essa ha la sua forza proprio nell’essere istanza totalitaria, nel comprendere quindi la totalità degli aspetti socio-politici – e non solo economici – della vita dell’uomo all’interno delle strutture sociali e produttive in cui è inserito, che dovranno di conseguenza (e totalitariamente) essere ricondotte allo Stato.
La socializzazione, unica economia possibile, unica forma in cui può inverarsi la sostanza dell’amministrazione della cosa pubblica relativamente alla gestione dei beni materiali e dell’influenza che il patrimonio spirituale, intellettivo e scientifico di una comunità su questi può esercitare, ha trovato il proprio fondamento in tutte le organizzazioni comunitarie, sociali e nazionali che – fuori da ogni metafora – definiamo “tradizionali”.
Dalla dottrina distributista cristiana all’ordinamento socioeconomico feudale, dal più genuino sindacalismo e anarchismo rivoluzionario europeo fino alle migliori espressioni delle rivoluzioni nazionali, sociali e fasciste del secolo scorso, si è sviluppata quindi una secolare dottrina economica che prevedeva la rottura del vincolo individualista che ha legato l’uomo alla merce rendendolo – negli ordinamenti liberal-capitalisti – oggetto dello sfruttamento senza il quale non sarebbe possibile la tesaurizzazione e l’accumulo di ricchezza nelle mani di pochi, ovvero – negli ordinamenti burocratico-marxisti – oggetto della mercificazione e della riduzione a mero indice produttivo del proprio lavoro e della propria vita.
La dottrina economica della socializzazione non può e non deve essere disgiunta dall’istanza nazionale; socializzazione e nazionalizzazione devono marciare su binari paralleli, binari che porteranno, senza equivoci di sorta, l’uomo alla riappropriazione dei destini delle propria comunità attraverso l’identificazione lavoro-nazione. Fuori da questo schema ogni cosa perderebbe di senso: senza il patrocinio dello Stato, in cui la Nazione ha il proprio compimento materiale e spirituale, è impossibile imprimere una simile politica economica (se non in una fase rivoluzionaria). Socializzare le imprese e la produzione, rendendone i lavoratori ‘proprietari’, significa e comporta nazionalizzarle: se la socializzazione è un movimento che parte dal basso percorrendo la direttrice lavoratore-impresa, la nazionalizzazione ne è il completamento verso l’alto, lungo la direttrice impresa-Stato. Ed è dalla congiunzione di queste due direttrici che necessariamente prende forma una prassi politica che non può che definirsi socialista nazionale.
La dottrina economica della socializzazione non può e non deve altresì essere disgiunta dalla proprietà popolare della moneta. L’economia socializzata sta alla predazione capitalista come la moneta di popolo sta al signoraggio. L’azione usuraia delle banche sarebbe infatti insormontabile ostacolo alla delineazione dello schema sopra citato: la nazionalizzazione socialista del lavoro creerebbe un circolo virtuoso che relegherebbe la struttura bancaria a sottostare alle direttive dello Stato in quanto gestore delle sfera monetaria dell’economia. E’ uno degli aspetti più rilevanti della natura totalitaria della vera economia che, oltre a non prevedere una entità superiore allo Stato nella determinazione delle scelte inerenti la propria amministrazione, prevede un equo concetto di fiscalità non imposta sul reddito da lavoro che troverà compensazione – ai fini del reperimento dei fondi necessari alla spesa pubblica – nell’assorbimento del debito pubblico causato dal signoraggio delle banche.
Volutamente ricusiamo, nel definire la socializzazione nazionale, l’espressione “terza via”, che presume l’esistenza di altre due, o che a molti addirittura trasmetterebbe un significato di compromesso. Essa è infatti “unica via” o, come si è già detto, unica economia possibile. Profondamente differenziata dalle isterie del capitalismo e del conseguente sfruttamento di uomini e popoli. Profondamente differenziata dal marxismo burocratico, economicistico e mercificante. Un’unica via, più umana, più alta.
Fabrizio
Fiorini
La socializzazione ha il valore di sposare i pregi di ogni sistema economico, finora proposto, epurandone le deficienze. Dosando libertà e solidarietà in par misura. La novità piena dell’economia partecipativa è il ruolo che il soggetto produttivo assume. L’uomo non è più parte di un automatismo, un ingranaggio fra tanti, ma diviene cardine, centro, fautore del proprio destino. Ritrova se stesso nel compito che svolge, prendendo parte alle decisioni sul proprio futuro, armonizzando il proprio presente. Il lavoro cessa di essere un fine, nella peggiore delle prospettive economiciste, in direzione di divenire un mezzo per trovare se stessi, completare la propria libertà all’interno di un insieme armonioso. Laddove libertà e necessità collimino come due rette che si incontrano all’orizzonte. Dove, non più le attinenze fra gli elementi che lo compongo, ma il valore stesso degli elementi assume un ruolo primario. La partecipazione è un metodo contingente dettato dalla necessità di saldare la frattura tra capitale e lavoro. Consumata dopo la fine del feudalesimo e accelerata dal tardo ottocento fin tutto l’ultimo secolo. La partecipazione è dispositivo essenziale per poter passare, usando le categorie di Marcello Veneziani, dal degrado di una società liberale schiava di una pretesa libertà, troppo spesso confusa con libero mercato, alla nascita della democrazia comunitaria. Ciò che fa della socializzazione qualcosa oltre il mero strumento economico, è la visione etica e solidale che l’accompagna. L’interesse principale per le ambizioni, i desideri e i bisogni dell’individuo, che partecipando attivamente e collegialmente, non è ne massa senza volto ne soggetto sganciato dalla realtà. Ma individuo determinato, evolianamente assoluto, inserito in un contesto di riferimento, mosaico della sua stessa identità personale, la comunità nazionale. In questo si rilancia il feroce antagonismo al liberalismo e al comunismo rei della stessa colpa. Privilegiare l’istanza economica a discapito di quella umana.
Salvatore Valerio ------ o Nicola Piras - il Fondo magazine, 25 maggio 2009??????---
O sostituire con:
Concludiamo questa prefazione con le sacrosante parole di Fabrizio
Fiorini estrapolate da un ottimo articolo pubblicato sul sito di Miro
Renzaglia: “L’unica risposta sensata alla
crisi del capitalismo e alla sterilità delle dottrine che, dall’Ottobre
bolscevico in poi, hanno nominalmente tentato di contrastarlo, risiede nella
socializzazione. Essa ha la sua forza proprio nell’essere istanza totalitaria,
nel comprendere quindi la totalità degli aspetti socio-politici – e non solo
economici – della vita dell’uomo all’interno delle strutture sociali e
produttive in cui è inserito, che dovranno di conseguenza (e totalitariamente)
essere ricondotte allo Stato. La socializzazione, unica economia possibile,
unica forma in cui può inverarsi la sostanza dell’amministrazione della cosa
pubblica relativamente alla gestione dei beni materiali e dell’influenza che il
patrimonio spirituale, intellettivo e scientifico di una comunità su questi può
esercitare, ha trovato il proprio fondamento in tutte le organizzazioni
comunitarie, sociali e nazionali che – fuori da ogni metafora – definiamo
“tradizionali”. (…)
La dottrina economica della
socializzazione non può e non deve essere disgiunta dall’istanza nazionale;
socializzazione e nazionalizzazione devono marciare su binari paralleli, binari
che porteranno, senza equivoci di sorta, l’uomo alla riappropriazione dei
destini delle propria comunità attraverso l’identificazione lavoro-nazione.
Fuori da questo schema ogni cosa perderebbe di senso: senza il patrocinio dello
Stato, in cui la Nazione ha il proprio compimento materiale e spirituale, è
impossibile imprimere una simile politica economica (se non in una fase
rivoluzionaria). Socializzare le imprese e la produzione, rendendone i
lavoratori ‘proprietari’, significa e comporta nazionalizzarle: se la
socializzazione è un movimento che parte dal basso percorrendo la direttrice
lavoratore-impresa, la nazionalizzazione ne è il completamento verso l’alto,
lungo la direttrice impresa-Stato. Ed è dalla congiunzione di queste due
direttrici che necessariamente prende forma una prassi politica che non può che
definirsi socialista nazionale. (…)
Volutamente ricusiamo, nel definire la socializzazione nazionale, l’espressione
“terza via”, che presume l’esistenza di altre due, o che a molti addirittura
trasmetterebbe un significato di compromesso. Essa è infatti “unica via” o,
come si è già detto, unica economia possibile. Profondamente differenziata dalle
isterie del capitalismo e del conseguente sfruttamento di uomini e popoli.
Profondamente differenziata dal marxismo burocratico, economicistico e
mercificante. Un’unica via, più umana, più alta.”[29]
1
“Troppo capitalismo non significa troppi capitalisti, ma troppo pochi capitalisti” (Gilbert Keith Chesterton)
La teoria economica della socializzazione trae origine dal “distributismo”, un concetto derivato dai principi della dottrina sociale della Chiesa Cattolica in particolar modo del pauperismo francescano e del benedettino “hora et labora” espressi modernamente nella dottrina di Papa Leone XIII a sua volta contenuta nell’enciclica “Rerum novarum” (1891) e successivamente sviluppati da Papa Pio XI nell’enciclica “Quadragesimo anno” (1931). Encicliche che si inserivano temporalmente nell’ambito della critica cattolica sia verso il marxismo che verso il capitalismo, effettuata peraltro in periodi estremamente critici: sorgere dei partiti socialisti per la prima, crisi economica mondiale per la seconda.
In particolare così si esprimeva Leone XIII a proposito dell’Autonomia
e Disciplina delle associazioni: “Questa
sapiente organizzazione e disciplina è assolutamente necessaria perché vi sia
unità di azione e d’indirizzo. Se hanno pertanto i cittadini, come l’hanno di
fatto, libero diritto di legarsi in società, debbono avere altresì uguale
diritto di scegliere per i loro consorzi quell’ordinamento che giudicano più
confacente al loro fine. Quale esso debba essere nelle singole sue parti, non
crediamo si possa definire con regole certe e precise, dovendosi determinare
piuttosto dall’indole di ciascun popolo, dall’esperienza e abitudine, dalla
quantità e produttività dei lavori, dallo sviluppo commerciale, nonché da altre
circostanze, delle quali la prudenza deve tener conto. In sostanza, si può
stabilire come regola generale e costante che le associazioni degli operai si
devono ordinare e governare in modo da somministrare i mezzi più adatti ed
efficaci al conseguimento del fine, il quale consiste in questo, che ciascuno
degli associati ne tragga il maggior aumento possibile di benessere fisico,
economico, morale. E’ evidente poi, che conviene aver di mira, come scopo
speciale, il perfezionamento religioso e morale, e che a questo perfezionamento
si deve indirizzare tutta la disciplina sociale. Altrimenti tali associazioni
degenerano facilmente in altra natura, né si mantengono superiori a quelle in
cui della religione non si tiene conto alcuno”[30].
Dal canto suo Pio XI riprese i temi del suo predecessore rafforzandoli con decisione: “All’enciclica Leoniana dunque si deve attribuire se queste associazioni di lavoratori fiorirono dappertutto in tal modo, che ormai, sebbene purtroppo ancora inferiori di numero alle corporazioni dei socialisti e dei comunisti, raccolgono una grandissima moltitudine di operai e possono vigorosamente rivendicare i diritti e le aspirazioni legittime dei lavoratori cristiani, tanto nell’interno della propria nazione, quanto in convegni più estesi, e con ciò promuovere i salutari principi cristiani intorno alla società. Oltre ciò, le verità tanto saggiamente discusse e validamente propugnate da Leone XIII, circa il diritto naturale di associazioni, si cominciarono ad applicare con facilità anche ad altre associazioni e non solo a quelle degli operai; onde alla stessa enciclica Leoniana si deve in non poca parte il tanto rifiorire di simili utilissime associazioni; anche tra agricoltori e altre classi felicemente si unisce al vantaggio economico la cultura delle anime. Non si può dire lo stesso delle Associazioni vivamente desiderate dal Nostro Antecessore, tra gli imprenditori di lavoro e gli industriali. Che se di queste dobbiamo lamentare la scarsezza, ciò non si deve attribuire unicamente alla volontà delle persone, ma alle difficoltà molto più gravi che si oppongono a consimili associazioni e che Noi conosciamo benissimo e teniamo nel giusto conto”[31].
Già Tommaso d’Aquino aveva individuato nella proprietà una natura personale per quanto riguarda l’acquisto, e una natura comune per quanto riguarda l’uso.
“La legge ha come suo fine primo e fondamentale il dirigere al bene comune. Ora ordinare qualcosa in vista del bene comune è proprio dell’intera collettività o di chi fa le veci dell’intera collettività. Stabilire le leggi appartiene dunque all’intera collettività o alla persona pubblica che ha cura dell’intera collettività, giacché in tutte le cose può dirigere verso il fine solo colui al quale il fine stesso appartiene” (San Tommaso d’Aquino)
Un’interessante analisi descrittiva della socializzazione distributista ci giunge, inaspettatamente, da Karol Woitila, nella sua enciclica “Laborem exercens” del 14 settembre 1981, descrivendone dapprima le finalità:
“La proprietà secondo l’insegnamento della Chiesa non è stata mai intesa in modo da poter costituire un motivo di contrasto sociale nel lavoro. Come è già stato ricordato precedentemente in questo testo, la proprietà si acquista prima di tutto mediante il lavoro perché essa serva al lavoro. Ciò riguarda in modo particolare la proprietà dei mezzi di produzione. Il considerarli isolatamente come un insieme di proprietà a parte al fine di contrapporlo nella forma del «capitale» al «lavoro» e ancor più di esercitare lo sfruttamento del lavoro, è contrario alla natura stessa di questi mezzi e del loro possesso. Essi non possono essere posseduti contro il lavoro, non possono essere neppure posseduti per possedere, perché l’unico titolo legittimo al loro possesso - e ciò sia nella forma della proprietà privata, sia in quella della proprietà pubblica o collettiva - è che essi servano al lavoro; e che conseguentemente, servendo al lavoro, rendano possibile la realizzazione del primo principio di quell’ordine, che è la destinazione universale dei beni e il diritto al loro uso comune. Da questo punto di vista, quindi, in considerazione del lavoro umano e dell’accesso comune ai beni destinati all’uomo, è anche da non escludere la socializzazione, alle opportune condizioni, di certi mezzi di produzione. Nello spazio dei decenni che ci separano dalla pubblicazione dell’Enciclica Rerum Novarum, l’insegnamento della Chiesa ha sempre ricordato tutti questi principi, risalendo agli argomenti formulati nella tradizione molto più antica, per esempio ai noti argomenti della Summa Theologiae di San Tommaso d’Aquino”
Per continuare con i motivi sociologici contrapponendo il funzionamento organizzativo di liberal-capitalismo, collettivismo, e socializzazione, senza dimenticare il rispettivo inserimento nel contesto dei pubblici poteri:
“Questo gruppo dirigente e responsabile può assolvere i suoi compiti in modo soddisfacente dal punto di vista del primato del lavoro - ma può anche adempierli male, rivendicando al tempo stesso per sé il monopolio dell’amministrazione e della disposizione dei mezzi di produzione e non arrestandosi neppure davanti all’offesa dei fondamentali diritti dell’uomo. Così, quindi, il solo passaggio dei mezzi di produzione in proprietà dello Stato, nel sistema collettivistico, non è certo equivalente alla «socializzazione» di questa proprietà. Si può parlare di socializzazione solo quando sia assicurata la soggettività della società, cioè quando ognuno, in base al proprio lavoro, abbia il pieno titolo di considerarsi al tempo stesso il «com-proprietario» del grande banco di lavoro, al quale s’impegna insieme con tutti. E una via verso tale traguardo potrebbe essere quella di associare, per quanto è possibile, il lavoro alla proprietà del capitale e di dar vita a una ricca gamma di corpi intermedi a finalità economiche, sociali, culturali: corpi che godano di una effettiva autonomia nei confronti dei pubblici poteri, che perseguano i loro specifici obiettivi in rapporti di leale collaborazione vicendevole, subordinatamente alle esigenze del bene comune, e che presentino forma e sostanza di una viva comunità, cioè che in essi i rispettivi membri siano considerati e trattati come persone e stimolati a prendere parte attiva alla loro vita”
E giunge fino a considerare gli aspetti psicologici:
“Ma già qui bisogna sottolineare, in generale, che l’uomo che lavora desidera non solo la debita remunerazione per il suo lavoro, ma anche che sia presa in considerazione nel processo stesso di produzione la possibilità che egli lavorando, anche in una proprietà comune, al tempo stesso sappia di lavorare «in proprio». Questa consapevolezza viene spenta in lui nel sistema di un’eccessiva centralizzazione burocratica, nella quale il lavoratore si sente un ingranaggio di un grande meccanismo mosso dall’alto e - a più di un titolo - un semplice strumento di produzione piuttosto che un vero soggetto di lavoro, dotato di propria iniziativa. L’insegnamento della Chiesa ha sempre espresso la ferma e profonda convinzione che il lavoro umano non riguarda soltanto l’economia, ma coinvolge anche, e soprattutto, i valori personali. Il sistema economico stesso e il processo di produzione traggono vantaggio proprio quando questi valori personali sono pienamente rispettati. Secondo il pensiero di San Tommaso d’Aquino, è soprattutto questa ragione che depone in favore della proprietà privata dei mezzi stessi di produzione. Se accettiamo che per certi, fondati motivi, eccezioni possono essere fatte al principio della proprietà privata - e nella nostra epoca siamo addirittura testimoni che è stato introdotto il sistema della proprietà «socializzata» -, tuttavia l’argomento personalistico non perde la sua forza né a livello di principi, né a livello pratico. Per essere razionale e fruttuosa, ogni socializzazione dei mezzi di produzione deve prendere in considerazione questo argomento. Si deve fare di tutto perché l’uomo, anche in un tale sistema, possa conservare la consapevolezza di lavorare «in proprio». In caso contrario, in tutto il processo economico sorgono necessariamente danni incalcolabili, e danni non solo economici, ma prima di tutto danni nell’uomo”
E questo nel 1981, poco dopo essere stato dimesso dall’ospedale dove era stato ricoverato in seguito all’attentato del 13 maggio, terminata nel suo letto d’ospedale e mentre era ancora in atto la guerra fredda tra capitalismo e comunismo soprattutto nella sua Polonia dove il sindacato Solidarnosc si batteva in quei giorni, l’enciclica di Woitila non può essere vista altro che come una linea guida destinata non tanto ai paesi capitalisti, ma piuttosto a quelli comunisti!
“Dopo che la schiavitù del capitalismo fu distrutta, i lavoratori si ritrovarono in una schiavitù collettiva e totalitaria. Ora essi sono minacciati lo stesso, come tutta l’umanità, dalla schiavitù della tecnocrazia” (Cardinal Wyszynski, 1969[32])
Non si può quindi prescindere, nell’analisi del distributismo, dalla sua origine e dalle cause che l’hanno soppresso fino ad oggi. Difatti ad una lettura sociologica se ne potrebbe dedurre che il percorso storico-istituzionale (“processo di istituzionalizzazione”) avrebbe dovuto sfociare inevitabilmente in un sistema socio-economico distributista. Eppure così non è stato. Max Weber ne fa l’analisi più accurata nel suo “L’etica protestante e lo spirito del capitalismo”---- -----analisi di Max Weber?----
“In una storia universale della civiltà, da un punto di vista puramente economico, il problema centrale non è lo svolgimento dell’attività capitalistica come tale… ma bensì il sorgere del capitalismo industriale borghese con la sua organizzazione razionale del lavoro libero” (Max Weber) ---etica protestante e lo spirito del capitalismo -----
Il punto fondamentale è la connessione fra sviluppo capitalistico e il costituirsi di uno Stato rappresentativo costituzionale dotato di un diritto formale e di un apparato tecnico-razionale. Ferdinand Tönnies sostiene che la distinzione tra prima e dopo (la scelta nel bivio tra liberismo e distributismo) sta nella disgregazione sociale, quando “ognuno sta per conto proprio[33]” ma è tuttavia sospinto dalla necessità esistenziale ad offrire costantemente la sua prestazione produttiva.
Secondo Adam Smith la commercializzazione del lavoro provoca che “ognuno è un commerciante”. Ciò, secondo Tönnies, avvierebbe una “guerra latente” tra tutti gli individui, rispetto alla precedente collaborazione. Mediata solamente da accordi contrattuali stabiliti dal diritto garantito dallo Stato.
“Lo Stato è come la religione, vale se la gente ci crede” (Errico Malatesta)
Emile Durkheim faceva notare come però tali contratti non sono autosufficienti, cosicché “i rapporti del capitale e del lavoro sono restati, fino ad oggi, nello stesso stato di indeterminatezza giuridica”, e i risvolti si sono esplicati nella ricerca di un alternativa che però si è espressa popolarmente nel marxismo, come alternativa a quei difetti riscontrabili “che tutti i popoli attualmente sentono e si sforzano di colmare”. Emile Durkheim, “La divisione del lavoro sociale”, pag. 358. ----- Umberto Cerroni, “Il pensiero politico del novecento”, Newton ed., pag. 19. Il progredire di questo ----- puntava sulla solidarietà contrattuale come nuovo tipo di solidarietà organica tramite il mezzo del diritto contrattuale e amministrativo.
Quella che ne esce è la società salariale-assistenziale (come l’ha definita André Gorz) basata sulla proprietà accentrata ed il lavoro come merce -- ----. -----lavoro subordinato-----
----qualcos’altro?----- frase??-----
“Una patria è un composto di più famiglie; e come di solito si sostiene la propria famiglia per amor proprio, quando non si abbia un interesse contrario, così per lo stesso amor proprio si sostiene la propria città o il proprio villaggio che si chiama patria. Più questa patria ingrandisce e meno la si ama, poiché l’amore suddiviso si indebolisce. E’ impossibile amare teneramente una famiglia troppo numerosa che si conosce appena” (Voltaire)
differenza tra concetto di Stato e concetto di Patria. ----identitario ---- lo Stato come necessità di imporre regole.
L’Idea di patria invece è un’idea assolutamente superiore. Rappresenta il massimo allargamento della generosità dell’individuo straripante in cerchio verso tutti gli essere umani simili a lui o affini, simpatizzanti e simpatici. Rappresenta la più vasta solidarietà concreta d’interessi agricoli, fluviali, portuali, commerciali, industriali legati insieme da un’unica configurazione geografica, da una stessa miscela di climi e da una stessa colorazione di orizzonti. Rappresenta precisamente la distruzione del sentimento di famiglia egoistica, ristretta, divenuta inutile o dannosa all’individuo. L’Idea di patria annulla l’idea di famiglia. E’ un’idea generosa, eroica, dinamica, futurista, mentre l’idea di famiglia è gretta, paurosa, statica, conservatrice, passatista. La vera concezione di patria nasce per la prima volta oggi dalla concezione futurista del Mondo. E’ stata prima d’ora una confusa miscela di campanilismo, di retorica greco-romana, di eloquenza commemorativa e d’istinto eroico incosciente. Hanno stupidamente poggiata questa idea sulla commemorazione degli Eroi, sulla sfiducia nei vivi, sulla paura della guerra, sulla restaurazione conservatrice di tutto ciò che era morto. Il patriottismo futurista è invece la passione accanita, violenta e tenace per il divenire-progresso-rivoluzione della propria razza lanciata alla conquista delle mete più lontane. Come massima potenza affettiva dell’individuo il patriottismo futurista, pur essendo di essenza disinteressata, si trasforma in utilità pratica per la continuità e lo sviluppo della razza che favorisce. Il patriottismo italiano, invece di lavorare per i suoi figli, lavora, si batte e muore per gli italiani di domani. Massima potenza di amore paterno: invece di quattro o cinque figli sentirne nel cuore 40 milioni. Il cerchio affettivo del mio cuore italiano tendendosi smisuratamente abbraccia la patria, cioè la massima quantità manovrabile di ideali, interessi, bisogni miei, nostri, legati fra loro e non in contrasto fra di loro. Concludendo: la patria è il massimo prolungamento dell’individuo o meglio: il più vasto individuo vivo capace di vivere lungamente, di dirigere, dominare e difendere tutte le parti del suo corpo. (Filippo Tommaso Marinetti)
Per questi motivi la realizzazione del distributismo condurrebbe ad una situazione nella quale le istituzioni pubbliche diverrebbero superflue, e nel residuo delle quali il sistema amministrativo potrebbe essere fondato sul vero concetto di meritocrazia espresso dalla “democrazia organica”.
“Lo Stato si fonda sulla schiavitù del lavoro. Se il lavoro diventerà libero, lo Stato sarà perduto” (Max Stirner)
Incredibile è come pochissimi riescano a comprendere la possibilità anche solo ipotetica o teorica dell’esistenza di un’alternativa tra sistema economico capitalista nelle forme conosciute di proprietà accentrata e quello di proprietà statale, o di vie di mezzo tra essi. E’ sconvolgente apprendere come pochissimi riescano a concepire la possibilità che un’azienda possa essere posseduta in percentuale uguale da tutte le persone che vi lavorano. Viene da chiedersi su quali basi l’escludano a priori come sembrerebbe ipso facto… E’ veramente una prospettiva così impensabile? Eppure che di esempi di negozi, ristoranti, botteghe artigiane, ditte di servizi, posseduti in società in parti uguali da due, tre, quattro, ecc soci dovrebbero esisterne già… quindi perché a chiunque venga presentata questa prospettiva, strabuzzano gli occhi come -----esempio---se guardassero una fumante merda posata su un cuscino di seta----?
Certi vedono le cose come sono
e si domandano “Perché?” Io invece, sogno le cose come non sono mai state e mi
domando “Perché no?” (George
Bernard Shaw)
La prima e unica volta che in campo ufficiale si è sentita esprimere la possibilità di una distribuzione della proprietà ai dipendenti è stato il 9 settembre 2010, quando Fidel Castro di fronte all’ammissione del fallimento del sistema comunista cubano ed alla promessa di riforme, ha specificato al giornalista Jeffrey Goldberg che “la proprietà non sarà consegnata ai dipendenti”. Precisazione doverosa, se non voleva essere ammazzato subito e che il suo paese fosse devastato ed invaso con le solite scuse inventate.
Pensare che ai primordi della rivoluzione industriale, ovvero quando si passò da un sistema produttivo contadino ad uno industriale caratterizzato da una razionale divisione dei compiti, in molti casi il diritto sociale adottato era corrispondente al distributismo o comunque indirizzato verso un tale prospettabile sviluppo. Il più famoso esempio fu la masseria di San Leucio, una vera “new town” ante litteram nata in Campania pochi mesi prima della rivoluzione francese. Proprio i risvolti “democratici” di questa rivoluzione soffocarono quello sviluppo e deviarono definitivamente il sistema verso il liberismo. Seppur vantando ufficiosamente questa origine, le teorie distributiste coinvolsero in modo trasversale un ampia gamma di filosofie politiche e religiose, dal cattolicesimo all’anglicanesimo, dall’anarchismo al fascismo, trovandovi somiglianze inaspettate perfino in alcuni aspetti delle religioni orientali e di pratiche politiche e sociologiche completamente slegate da essa. Queste similarità si fondano principalmente su una ben determinata concezione del sistema economico e dei suoi scopi nella società, in un evidente contrapposizione alle teorie sempre più dominanti col passare del tempo e tutt’oggi applicate dai governi pressoché dell’intero globo.
“C’è sempre un modo giusto e
un modo sbagliato, e quello sbagliato sembra sempre il più ragionevole” (George Moore)
Un tentativo di sperimentare in modo pianificato un sistema produttivo basato su filosofie diverse dal liberismo si ebbe anche successivamente al primo sviluppo industriale, con i “falansteri” di Charles Fourier e gli “ateliers nationaux” di Louis Blanc, rivelatisi effimeri anche a causa dell’assoluta assenza di quel sostegno politico di cui invece godeva la loro concorrenza capitalista. Ragion per cui in un secondo tempo la ricerca non fu basata su un impostazione di per sé già definita, ma su quale metodo applicare per poter superare questo limite estrinseco. Un limite che venne dai più considerato invalicabile con i metodi proposti dai fautori di quel socialismo il cui precursore si può identificare in Claude-Henri de Saint-Simon e che fu definito “utopistico” dalle altre correnti, “scientifiche”. Dal che, come alternativa al rivoluzionarismo “scientifico” marxista, nacquero le teorie sul “credito sociale” come soluzione per la fondazione, e la critica al sistema politico noto come “democrazia liberale” per sostituirlo con una base politica che consentisse alle imprese collettive di poter sussistere paritariamente. Ma un altro difetto venne riscontrato anche nell’impostazione propriamente intesa: Josiah Warren, uno dei partecipanti alla “New Harmony Society” di Robert Owen, giunse alla conclusione che la comunità era destinata al fallimento anche per la mancanza di sovranità individuale e di proprietà privata; ma egli riversò questa sua critica riconvergendo verso il liberismo sfrenato (da ciò la sua fama successiva come primo teorizzatore dell’individualismo anarchico tipicamente americano). Bisognava perciò trovare una soluzione anche a questo endemico difetto, e il risultato finale di questa ricerca fu il distributismo. Una basilare concezione lo differenziava da qualunque teoria socialista, scientifica od utopistica: secondo il distributismo il punto focale dell’economia non deve essere inteso come rappresentato dai mercati tout court e dal valore nominale delle merci simboleggiato dal denaro, bensì da produzione ed allocazione[34].
“Ma come è dunque assicurato l’ordine nella produzione e nella distribuzione? La risposta è data da due principi del comportamento non primariamente associati all’economia: la reciprocità e la redistribuzione. (…) Principi del comportamento come questi tuttavia non possono diventare efficaci a meno che i modelli istituzionali esistenti non si prestino alla loro applicazione. Reciprocità e redistribuzione sono in grado di assicurare il funzionamento di un sistema economico senza l’aiuto di scritture e di un’elaborata amministrazione soltanto perché l’organizzazione delle società in questione soddisfa le richieste di una simile soluzione per mezzo di strutture come la simmetria e la centricità. La reciprocità è enormemente facilitata dalla struttura istituzionale della simmetria, un aspetto frequente dell’organizzazione sociale tra i popoli illetterati. La sorprendente “dualità” che troviamo nelle suddivisioni tribali si presta all’accoppiamento dei rapporti individuali e assiste perciò al dare e ricevere di beni e di servizi in assenza di registri permanenti. Le “metà” della società primitiva che tendono a creare un “pendant” a ciascuna suddivisione risultano derivare dagli atti di reciprocità sui quali si basa il sistema oltre che essere un contributo alla loro realizzazione. (…) Fino a che l’organizzazione sociale corre nei suoi binari non occorre che entri in gioco alcun motivo economico individuale, non occorre che sia temuta alcuna invasione allo sforzo personale; la divisione del lavoro sarà automaticamente assicurata e gli obblighi economici debitamente assolti, e soprattutto saranno forniti i mezzi materiali per un’esuberante manifestazione di abbondanza in tutti i festeggiamenti pubblici. In una comunità di questo tipo è esclusa l’idea del profitto, il contrattare è condannato, dare generosamente è acclamato come una virtù; la supposta propensione al baratto, al commercio e allo scambio non appare. Il sistema economico è in realtà una semplice funzione dell’organizzazione sociale” (Karl Polanyi[35], “Economie primitive, arcaiche e moderne”, Einaudi Paperbacks, 1980)
Si noterà sicuramente un assonanza con le teorizzazioni di Pierre-Joseph Proudhon[36], il quale aveva per primo intuito che il fulcro dei problemi stava nel concetto di salario; ma ne ricavò una soluzione errata col suo “mutualismo”, il quale innegabilmente parte bene con il proposito di istituire una banca di credito che conceda prestiti ai produttori (lavoratori) a tassi di interesse sufficienti a coprire giusto le spese di amministrazione (della banca), intenzione che verrà poi ripresa da Clifford Hugh Douglas con il suo “credito sociale”, e che era stata in precedenza proposta da Giuseppe Mazzini.
“Il riordinamento del lavoro sotto la legge dell’associazione sostituta all’attuale del salario, sarà, noi crediamo, la base del mondo economico sicuro, e implica che un capitale indispensabile all’impianto dei lavori e alle anticipazioni necessari debba raccogliersi nelle mani degli operai associati” (Giuseppe Mazzini)
Le parole di Proudhon sono inequivocabili: “Noi non vogliamo alcuna partecipazione dello Stato nelle miniere, nei
canali, nelle ferrovie…. Tutto deve essere affidato ad associazioni di
lavoratori democraticamente organizzate, le quali operino non sotto la costituzione
e la vigilanza dello Stato, ma basandosi sulla propria responsabilità. Noi
vogliamo queste associazioni come un modello pratico per l’agricoltura,
l’industria e il commercio: come un primo nucleo di quelle ulteriori
federazioni di leghe e associazioni, riunite dal vincolo comune della
repubblica democratica sociale”. Proudhon, molto intransigente nelle sue
posizioni, arrivò a criticare aspramente Karl Marx, obiettandogli di proporre
una “finta rivoluzione” ossia di propagandare una soluzione economica che si
limitava semplicemente a spostare l’asse dal potere dalla classe borghese alla
classe del proletariato.
Il socialismo al contrario dovrebbe permettere la totale attribuzione all’individuo del suo lavoro e quindi sotto certi aspetti predica il recupero totale del profitto individuale. Infatti Marx sostiene che il socialismo coincide con la massima estensione del “diritto borghese” e che finché prevale la scarsità di merci il mercato deve regolarne la distribuzione. Solo che ci sono “comunisti” che questo non lo hanno ancora capito. Per quanto riguarda il mercato nessuno, nemmeno Stalin, negava la necessità del mercato nel socialismo. Solo i gruppetti dottrinari e la vulgata pseudo-marxista nega questo. Persino Trokzy era per il mantenimento del mercato. Il socialismo di mercato lo ha inventato Lenin nel 1921 è poi stato teorizzato da Lange (un economista che Stalin stimava molto) nel 1937 e applicato dagli Jugoslavi, polacchi e ungheresi. Mao lo teorizzava negli anni ’50 poi si è perso per strada. I cinesi lo applicano da 32 anni, i vietnamiti da 23, i laotiani solo in teoria e ufficialmente è anche la teoria dei nord- coreani che lo applicano a fasi alterne. Morales in Bolivia e la fazione che fa capo a Giordani in Venezuela dice di ispirarsi a questo modello.
----mettere il cappello, qui???--------
Ma seppur avendo intuito il nocciolo della questione, l’errore di Proudhon
stette nella mancata comprensione delle logiche economiche, che lo portò ad
auspicare una società egualitaria nella quale i prezzi corrispondessero
alla quantità di lavoro necessaria per la fabbricazione della merce stessa. Il
Mutualismo è affine ma differente dalla Cooperazione in senso stretto,
anch’essa teoricamente basata su princìpi che escludano il profitto come scopo
dell’attività lavorativa. Ma il mutualismo si basa sul precetto che stabilisce la
necessità di dover ricevere in cambio della vendita di lavoro o di un prodotto
del proprio lavoro, l’esatto ammontare del valore venduto in beni o servizi,
che non tiene ----o tenga----- conto cioè delle leggi di mercato che regolano
da sé i valori a seconda del rapporto tra domanda ed offerta. In pratica lo
stesso errore basilare compiuto da Marx e che lo sviò dal vero punto-cardine
della questione, dividendo e facendo rimbalzare i suoi epigoni tra tutta una
serie di proposte marginali e superficiali, distraendoli dal vero punto focale
quando invece era chiaro e semplice che esso stava nel concetto stesso di
salario, come identificato e contestato successivamente anche dalle riflessioni
di Antonio Labriola suggerite ai comunisti: “Malgrado il divieto anticipato
del socialismo scientifico, che non è dato a tutti d’intendere, pullulano e si
moltiplicano ogni istante i farmacisti della questione sociale, che han tutti
qualcosa di particolare da suggerire o da proporre, per curare od eliminare
questo o quel malanno sociale; - nazionalizzazione del suolo; monopolio dei
grani da parte dello stato; statificazione delle ipoteche; municipalizzazione
dei mezzi di trasporto; finanza democratica; sciopero generale; - e così via,
da non finirla mai! Ma la democrazia sociale elimina tutte coteste fantasie,
perché l’istinto della propria situazione induce i proletari, appena si
addestrino nell’arena politica, ad intendere il socialismo in modo integrale. A
intendere, cioè, che ad una cosa sola essi devono soprattutto mirare:
all’abolizione, cioè, del salariato: che una sola forma di società è quella che
rende possibile, e anzi necessaria, la eliminazione delle classi: e cioè
l’associazione che non produce merci; e che tal forma di società non è più lo
Stato, anzi è il suo opposto, ossia il reggimento tecnico e pedagogico della
convivenza umana, il selfgovernment del lavoro. Non più giacobini, né quelli
eroicamente giganti del ’93, né quelli in caricatura del 1848!” (Antonio
Labriola, “In memoria del manifesto dei comunisti”). Anche secondo
Ezra Pound, Marx (ma in parte anche il cattolicesimo sociale) commette lo
sbaglio in un punto essenziale: criticando la circolazione del denaro fine a sé
stesso perde di vista il centro della questione, che è la commercializzazione
della vita, la vita monetizzata sotto la forma dello scambio (Pound lo chiama
“trasferimento”).
“Il mercato
del lavoro è una costruzione sociale e il suo funzionamento risente profondamente
del fatto che in questo particolare mercato si scambia una particolarissima
merce che è il lavoro” (Robert Solow)
Cosa che in precedenza, nelle forme socio-economiche autarchiche-barattiere non sussisteva, ma non potendo reggere la complessità delle nuove forme di organizzazione produttiva si doveva sviluppare il sistema fino allora in voga, fino a quando all’uscita dal sistema arcaico ci si trovò di fronte al bivio di una scelta tra liberismo e distributismo. Un nuovo regime lavorativo era inderogabile davanti la crescita della complessità delle strutture sociali della produzione. Enzo Mingione definisce il regime lavorativo “un insieme coerente e duraturo di regole di vita sociale che consente la mobilitazione delle energie lavorative in forme tipiche” ---mercato e società pag. 158.
Il principale guasto della scelta in quel bivio fu l’alienazione della persona dalla produzione, non più recepita come per se ma come obbligo cosicché da avere per i capitalisti la necessità di elaborare la pianificazione del regime lavorativo che ha portato al sistema fordista. Ed ancor prima il taylorismo come “organizzazione scientifica del lavoro”.
Ciò sfociò in risvolti che arrivano fino ad oggi. Il lavoro dipendente (a differenza di quello autonomo) è frustrante e deprimente, causa di stress sfociante in episodi di psicosi ossessivo-compulsive sfogate soprattutto in piccoli sabotaggi gratuiti ed aggressività. ---- già messo 1 volta.
Perfino Marx lo capì che il lavoro dipendente “Non è parte della sua natura e quindi non gli permette di realizzarsi, finendo anzi per danneggiarlo, provocandogli sentimenti di infelicità ed impedendogli di sviluppare pienamente le proprie energie fisiche e mentali, esaurendo le sue forze e svilendo le sue capacità intellettive. Di conseguenza, un lavoratore si sente spaesato sul posto di lavoro e trova conforto solo nel tempo libero. Il lavoro di una persona non è mai un’attività volontaria ma è frutto di una forzatura e di un’imposizione” (Karl Marx)
e se ci è arrivato anche Marx…
Questione che tende spesso ad essere sopravvalutata, e quindi a sopravvalutare il ruolo della sociologia del lavoro nel contesto psicologico e nei suoi risvolti nella vita sociale. L’ignoranza su cosa sia lo stress è notevole. Tutti tendono a sottovalutare il suo impatto sulle vite delle persone, e di riflesso sulla vita sociale. Tutti lo limitano ad una questione psicologica oppure a “stanchezza”. Questo non è certo un libro di medicina, comunque lo stress è una precisa condizione fisica determinata da ormoni la cui secrezione è regolata dalla psiche. Questi ormoni (adrenalina e cortisolo, antagonisti degli androgeni) hanno una tale influenza nell’organismo che possono perfino causare la morte immediata per stimolo psichico (“morte da anatema”, autocoagulazione ematica generalizzata). Ancora lo sottovalutiamo? Gli effetti dello stress si definiscono psicosomatici, in quanto questa secrezione determinata dalla psiche ha notevoli ed evidenti effetti biologici (uno per tutti: la calvizie). Qui aggiungere discorso sullo stress – lavoro dove non si vede il risultato ---- in natura lo stress si accumula finché il ---obiettivo prefisso --- non giunge al risultato (il quale può essere per il cacciatore infilzare la preda), e quando il risultato giunge lo stress (adrenalina e cortisolo) viene annientato dalla soddisfazione (sintesi di testosterone). Quando non si ottiene o non si vede un risultato lo stress permane indefinitamente, con danni organici ben noti ed evidenti nella psicosomatica, e con risvolti psichici alienanti.
“Il lavoro come tale costituisce, la migliore polizia e tiene ciascuno a freno e riesce a impedire validamente il potenziarsi della ragione, della cupidità, del desiderio di indipendenza. Esso logora straordinariamente una gran quantità di energia nervosa, e la sottrae al riflettere, allo scervellarsi, al sognare, al preoccuparsi, all’amare, all’odiare” (Friedrich Nietzsche)
I lavoratori dipendenti vengono alienati dal prodotto del loro lavoro e, dal momento che non possono possedere o controllare quanto producono, le loro capacità ed esigenze vengono definite solo in relazione alle esigenze contingenti di accumulazione del capitale. Di conseguenza un dipendente si sente psicologicamente estraneo al proprio lavoro, con risvolti appunto, di alienazione (come anche Marx la definì, come “scissione dell’uomo nell’uomo”). Da cui inefficienza per ------. ----monotonia----- l’intraprendenza castrata, repressa dal lavoro dipendente rispetto a quello autonomo sia frustrante e deprimente, causa di alienazione e stress sfocianti in episodi di psicosi ossessivo-compulsive sfogate soprattutto in piccoli sabotaggi gratuiti ed aggressività, certamente non benefici alla vita aziendale.
“[Cerchiamo] una società in cui non esistano più né ricchi né poveri, né persone inattive né sovraccariche di lavoro, né lavoratori di concetto stressati né operai depressi, in una parola, in cui tutti possano vivere a parità di condizioni gestendo la propria vita senza sprechi, e con la piena coscienza che un danno ad una persona è un danno per tutti - la realizzazione ultima del significato della parola commonwealth” (William Morris)
Tuttavia molti studiosi notarono e si domandarono stupiti le cause di una strana contraddizione: in molti casi i lavoratori dipendenti sembrano comportarsi indipendentemente da ciò che ci si aspetterebbe da questa condizione psicologica. Il sociologo marxista Michael Buroway ----o Burawoy ?????--- osservò attentamente questa strana “ipnosi”, e cercò di indagare sui motivi che spingevano questi dipendenti a lavorare così duramente ed intensamente in maniera del tutto volontaria al punto da renderli incomprensibilmente protagonisti attivi dei meccanismi che paradossalmente a loro stesso dire portavano al loro sfruttamento. Buroway per spiegare questo curioso comportamento sociale dovette ricorrere alla teoria dei giochi, in particolare al famoso “dilemma del prigioniero”. In questo caso si esplicava in un reticolo di tacite alleanze informali tra i vari dipendenti, ovvero nel tentativo di volgere a proprio favore gli atteggiamenti di alcuni individui chiave nel contesto lavorativo, come i supervisori, i capireparto, le segretarie, i magazzinieri, gli autisti dei camion. Questo quindi non solo nel sistema del “making out”, ovvero raggiungere il “bonus”, la paga massima oraria in un sistema di lavoro a cottimo. Ovviamente in caso di “making out” questo tipico comportamento si amplifica, ma anche questo non esclude del tutto l’alienazione in tutte le sue tipologie. Anzi, per certi versi è esso stesso un fattore alienante, non tanto direttamente ma soprattutto in quanto come abbiamo detto aumenta in modo indiretto i fattori di alienazione. Egli ha osservato tale comportamento nel caso-limite del cottimo, ma dato che in molti casi avviene anche in una situazione di ---non cottimo--- –salario classico?----, rimane da chiedersi quale sia lo stimolo in tal caso. Ebbene lo stimolo viene identificato nella determinazione a non essere licenziato. Ne consegue che la costante minaccia e paura del licenziamento è nel liberismo fondamentale per indurre le persone ad essere più produttive possibile. Inevitabile fare il paragone (che da la conferma di ciò) con la produttività dei lavoratori nei sistemi lavorativi nei quali non esiste la possibilità di essere licenziati, quali i posti statali, nei paesi comunisti in specie. Cosa che analizzeremo più dettagliatamente in altro capitolo. ----qui o giù?----
“Che follia l’amore per il lavoro! Che grande abilità scenica quella del capitale che ha saputo fare amare lo sfruttamento agli sfruttati, la corda agli impiccati e la catena agli schiavi [....] Il movimento degli sfruttati è stato corrotto tramite l’immissione della morale borghese della produzione, cioè di qualcosa che non è solo estranea al movimento, ma gli è anche contraria. Non è un caso che la parte a corrompersi per prima sia stata quella sindacale, proprio perché più vicina alla gestione dello spettacolo produttivo. All’etica produttiva bisogna contrapporre l’estetica del non lavoro” (Alfredo Maria Bonanno)
Nel processo di making out, spesso si prevede che un caporeparto assuma il ruolo di arbitro e di mediatore: ad egli indicare quali fossero le mansioni migliori ed assegnarle, e intervenire nel processo produttivo aiutando nelle lavorazioni più complesse oppure evitando o favorendo il controllo da parte di un ispettore. Mantenere buone relazioni con un caporeparto significava dunque avere la possibilità di lavorare più velocemente e quindi di guadagnare di più (nel cottimo) o di avere maggiori possibilità di non essere licenziato (nel lavoro a salario classico ---- non a cottimo). In tali casi le tensioni tra gli operai divengono tali da provocare conflitti intestini nei reparti. Perché il modo più semplice per essere migliori è presentare gli altri come peggiori. Tale logica non giunge a prevedere una contrapposizione verso la dirigenza, ma un’alleanza (leccaculismo basato soprattutto sulla delazione e la lusinga); a sua volta la dirigenza vi prendeva parte, non sempre attizzando i dipendenti l’uno contro l’altro ma perlomeno organizzando e rinforzando le regole non scritte della concorrenza reciproca. Le interazioni e le negoziazioni tra i vari “attori” all’interno di questo sistema sociale di fabbrica aprivano quindi dei margini in grado di dare piccole soddisfazioni ai partecipanti a questo “gioco”. A scapito di altri, però. E della produttività totale dell’azienda. Di conseguenza tale comportamento equivarrebbe per il gruppo dei dipendenti al “tagliarsi i genitali per far dispetto alla moglie”. In pratica un sistema di delazioni reciproche finisce per imprigionarli in un sistema di prassi che produce automaticamente sfruttamento e subordinazione, ed un’alienazione ancor maggiore che in assenza di questi “giochi”. La conclusione di Buroway fu che i dipendenti attuassero tale comportamento alla ricerca di spazi dove il controllo dei supervisori fosse meno rigido, grazie alla fiducia ottenuta. Ma, ribadiamo, a scapito di altri e quindi di tutti. Tuttavia Stewart Clegg criticò questa ipotesi per l’assenza di un’analisi adeguata alla soggettività dei dipendenti. Egli basò questo comportamento su quella che definì “regola dell’inclemenza”, prevista nel caso che un gruppo di operai avesse la facoltà di interrompere il lavoro a propria discrezione (nel caso da lui preso in esame riguardo condizioni meteorologiche avverse). In tal caso non sussistendo una definizione univoca di “avversità” la soggettività del giudizio ed unilateralità della decisione tendeva a provocare una divergenza di opinione tra maestranze e dirigenza, ed anche all’interno dei due gruppi per il timore delle ricadute sul giudizio dell’altro. Cosicché qualunque comportamento si fosse attuato il risultato non sarebbe stato un allentamento del controllo, ma una sua accentuazione! In pratica i manovali usavano tale discrezionalità per fare pressione sui responsabili del cantiere, definendoli incompetenti ed esortandoli ad organizzare meglio il lavoro. Ma così facendo ne inducevano uno stimolo ad accentuare la pressione sui ritmi lavorativi. Nel caso di una catena di montaggio, il reciproco incolpare gli altri di lentezza non può far altro che spingere i dirigenti ad aumentare la velocità della catena! In definitiva ogni reparto, incolpando gli altri reparti e facendo pressione in tal senso sui dirigenti, induceva questi ultimi ad aumentare il controllo per tutti, e quindi ad aumentare il presunto sfruttamento. Ciò soprattutto nel caso di bonus personale, ma non solo. Nel primo caso il free riding non si lega al rendimento dei colleghi ma solamente al proprio in quanto la retribuzione individuale non è correlata direttamente alla produttività totale. Ma quando il proprio rendimento è legato a quello dei colleghi il problema di concorrenza intestina si accentua, a discapito del buon vivere di tutti, con risultati alienanti a fronte di irrilevanza nella produttività totale. Da qui il ricorso a sistemi pianificati di organizzazione del lavoro che sfiorano la schiavitù. A seconda della società in cui vengono applicati, si intende.
“Chi fosse costretto a scegliere tra ricevere un sussidio di disoccupazione o lavorare come un giapponese, sceglierebbe senza dubbio la disoccupazione” (Colin Turnbull) ----qui?----
Tale problema si pone anche nel secondo caso, ovvero quando il bonus del “making out” non sia personale ma collettivo. Anche in tal caso viene meno la coesione di gruppo, perché di fronte ad elementi più produttivi ed individui meno produttivi sorge un contrasto. Ciò non può far altro che aumentare l’attenzione al controllo del rendimento dei colleghi, non per free riding ma per interesse indiretto. Ma l’alternativa non è rosea: l’assenza di alcuno stimolo comporta disinteresse, pigrizia, assenteismo, corruzione, e la delazione segreta o anonima per arrivismo non viene a cadere, perché comunque sussiste la concorrenza sul mantenimento del posto di lavoro. Tutte cose che nel primo caso potrebbero nuocere a tutti e non solo alla persona indicata. In tal caso manca il free riding in quanto la retribuzione individuale è correlata direttamente alla produttività totale e non individuale.
E’ facile, da parte di -----------, nel suo piccolo, poter testimoniare questa strana incongruenza con un esempio: trovandosi da poco a lavorare con un lavoratore più anziano e carismatico, questi abusava notevolmente di pause deliberate spronando tutti gli altri a seguire il suo esempio. Ciò ovviamente rallentava notevolmente il procedere del lavoro. Tuttavia quando un capo faceva notare la lentezza del lavoro, egli si crucciava e sottolineava questo cruccio a tutti gli altri.
Negli anni ’70 molte aziende tentarono di rimediare con il “profit sharing”: ripartizione dei profitti aziendali, ma anche dei rischi legati ad essi. ---- dove Alemanno e dove sindacati vogliono tutto e subito ---già messo 1 volta-------
Il “profit sharing” è una dinamica retributiva che lega i salari ai ricavi dell’azienda (una moderna forma di cottimo sganciata dal lavoro in sé e legata ai risultati della commercializzazione del prodotto), sperimentato nel tentativo di limitare l’influenza sindacale, ma abbandonato quando ci si rese conto che quando i ricavi diminuivano, la pressione sindacale aumentava. I salariati insomma non intendevano accettare le regole dell’economia, ma ricevere solo benefici senza dover sottostare ai sempre possibili rischi. Inevitabile quando la proprietà e il potere decisionale rimanevano comunque esclusi ai salariati. Anche il rimedio di condivisione della proprietà tentato con le “stock option” finì in un fiasco, in quanto come abbiamo visto i sindacati non desiderano miglioramenti per i salariati, ma solo il potere che gli è dato dalle condizioni di subordinazione dei salariati dei quali sono i rappresentanti. Senza salariati che necessitino di rappresentanza, i sindacati sparirebbero. Inevitabile la loro ---contrarietà ---- a quest ------ e l’utilizzo proprio dei lavoratori sindacalizzati per impedirlo. Ovvero di quelli che da ciò contro cui protestano ne avrebbero un miglioramento. Ma in un sistema tanto parziale, i salariati, incapaci di comprendere le logiche dell’economia, non riescono a vedere la condivisione della proprietà come una “proprietà” loro, bensì come un astrazione. ---coesione di gruppo---ma free riding----- in quanto la retribuzione individuale non è correlata direttamente alla produttività totale-----
Non è una questione di ----salario e pesantezza----, e non lo è mai stata come conferma la medesima ----visione----- nei confronti del lavoro in due epoche nelle quali il ------ si è capovolto. Un tempo erano i garzoni a svolgere i compiti più pesanti, oggi è il padrone. Ma la ---------- non è cambiata, e ciò dimostra come il -----punto fondamentale----- non è -----fatto pratico in sé------, ma la ----visione------.
I vari esperimenti di “job redesign” degli anni ’70 fallirono proprio per l’incontentabilità dei lavoratori e le diatribe sindacali all’interno dei gruppi aziendali, rendendo chiaro quanto difficile possa essere per un proprietario gestire la manodopera salariata, anche con tutta la buona volontà.
Nonostante questo, ancor oggi il 24% dei salariati britannici usufruisce del profit sharing.
Gli obiettivi che motivavano l’introduzione di tali forme di condivisione sono difficilmente quantificabili, mentre di contro i dipendenti assecondano tali soluzioni esclusivamente per ottenerne un personale tornaconto economico, al di là delle nobili ------intenzioni----- che queste ---- avrebbero dovuto introdurre. I dipendenti considerano quella parte di ---salario---- legato alla commercializzazione del loro prodotto come un qualunque premio, senza essere in grado di ricollegarla mentalmente ad un loro interesse per lo scopo produttivo aziendale.
E qui abbiamo la visualizzazione di quale sia stato il risultato della scelta compiuta in quel bivio: lo ----divisione----- tra salario e produzione, tra “stakeholders” (management e lavoratori) e “shareholders” (proprietari o azionisti). Il che è la causa dei conflitti sociali che hanno travagliato tutto il periodo successivo fino ad oggi. A cominciare dal non collegare concettualmente il profitto alla produzione. Da qui il mercato nelle forme conosciute fin’oggi, coi suoi risvolti sociali e politici -----. Alla fin fine il problema è l’incapacità dei salariati a capire che “non si può cavare sangue da una rapa”.
“E’ indispensabile che i sindacati considerino i salari una variabile indipendente dagli altri fattori della produzione” (Luigi Macario, Cisl, 18 ottobre 1969) ---–già messo--------
Questo per analizzare il percorso che conosciamo oggi subìto dal sistema produttivo-lavorativo a seguito della scelta del bivio. Diatribe che se fosse stata presa l’altra strada non sarebbero mai sussistite. Diatribe che sono state all’origine delle tragedie storico-politiche che hanno caratterizzato tutto il contorno al sistema economico liberista. Tutti i suoi risvolti, prima di tutto nelle istituzioni politiche. Coi suoi processi di istituzionalizzazione, asimmetrie di potere, meccanismi di protezione attivati dalla società, routine e schemi cognitivi appresi, relazioni interpersonali interne ed esterne ai mercati. De i risvolti sociali, nel tipo di identificazione dei dipendenti con i valori d’impresa, interiorizzati o meno, all’origine dell’intraprendenza castrata, repressa, nell’inefficienza produttiva.
Con questo non si vuole criticare il sistema di mercato. Difatti il liberismo non ne ha il monopolio! L’intreccio tra il sistema istituzionale (e di potere) esterno all’economia e il sistema degli interessi economici può dar vita a forme molto differenti di strutturazione dei mercati, senza per questo determinare un alterazione dell’orientamento di base dell’agire degli attori, che restano ugualmente mossi dalla ricerca del profitto individuale. ---mercato e società pag. 74.
Sempre secondo Vando Borghi e Mauro Magatti, autori del libro “Mercato e società”, l’ambiente economico di mercato si concretizza quando “Il diritto, creato e interpretato in modo razionale, formalizzato e suscettibile di calcolo, presupposto per l’esistenza di modalità istituzionalizzate di regolazione dei conflitti di interesse che si vengono a creare nei rapporti tra attori individuali e collettivi” + “La creazione di un mercato del lavoro, dove il lavoro sia scambiato liberamente, con persone che non solo siano in grado giuridicamente di vendere in modo libero la loro forza di lavoro sul mercato, ma che siano anche costrette a farlo” + “La commercializzazione dell’economia, cioè l’uso di titoli atti a rappresentare diritti di partecipazione alle imprese e diritti patrimoniali, con la definizione dei diritti di proprietà e delle modalità di controllo e di disposizione sulle persone e sulle cose” --- mercato e società pag. 19-20. ---- sono stati all’origine del concetto odierno di lavoro. Tuttavia la pretesa appropriazione del concetto di “mercato” da parte del liberismo ha sviato più di un autore. Inevitabile di fronte all’incapacità già accennata di vedere la possibilità di un mercato nel quale non esistano padroni né dipendenti…
Ma le soluzioni ai problemi identificati come tali hanno sempre condotto alla creazione di soluzioni di retroguardia quali quelle che abbiamo viste, tutte vanificate dalla mentalità economica collettiva, caratterizzata dalla più nera ignoranza e stupidità. In particolare le critiche al libero mercato, alla libera iniziativa, si sono unite in un unico calderone, che è sfociato nel marxismo il quale le ha inglobate monopolisticamente. Il quale lungi dal cercare una possibile modifica ad un sistema che basilarmente era valido, è andato alla ricerca di utopie senza alcun fondamento logico e scientifico. Ma a malincuore di Marx e dei suoi seguaci, inevitabile puntualizzare che la matematica non è un opinione.
“Non è dalla benevolenza del macellaio, del birraio e del panettiere che noi ci attendiamo il nostro pranzo, ma dalla cura dei loro propri interessi. Noi ci affidiamo non alla loro umanità ma al loro egoismo e non parliamo mai con loro delle nostre necessità, ma piuttosto dei loro vantaggi” (Adam Smith)
Il capitalismo funziona (e le crisi ci saranno sempre ed in tutti i sistemi, la differenza è che il capitalismo le supera, gli altri crollano) perché si basa su esperimenti pratici quotidiani e multipli, ogni singola scelta di una persona sull’utilizzo dei suoi risparmi, investimenti ed acquisti è un piccolo esperimento, se il risultato sarà positivo tale azione verrà perpetuata, copiata, sviluppata e modificata da altri, in caso negativo no, ogni singolo giorno per ogni singola persona. Il comunismo con le scelte a tavolino di poche persone ha capacità limitate, e difatti i risultati sono evidenti.
Le crisi sono autocorrezioni del sistema, di ogni sistema economico. La differenza fra capitalismo ed altri sistemi economici è cosa succede dopo la crisi, il capitalismo riparte, gli altri sistemi crollano, comunismo docet. Il sistema perfetto sempre e senza crisi non esiste e mai esisterà, alla base c’è l’uomo e l’uomo non è perfetto.
------- Qui
qualcosa su dirigismo in liberismo – sovrastrutture -----
Anche Francesco Girotti “sostiene che gli individui possono uscire da una condizione di insicurezza e dipendenza solo se lasciati liberi di perseguire egoisticamente il proprio utile” ---mercato e società pag. 141. -----già messo – spostarlo o lasciare entrambi??-----
Ma questo non significa che il
liberismo sia perfetto come piacerebbe ai fanatici “azionisti” (inteso come
simpatizzanti del defunto partito d’azione). Il mercato è in grado di
ricondurre le spinte egoistiche ad un vantaggio. Ma nel liberismo vige la
competizione tra “classi” (fomentata dal marxismo come presunta ricerca di
soluzione a ciò) che causa un’inefficienza che solo col distributismo verrebbe
a cadere. Di conseguenze le spinte egoistiche private della competizione
classista ricondurrebbero ad un vantaggio ancor maggiore il mercato rispetto al
sistema liberista!
Il marxismo, universalmente ritenuto l’unica alternativa all’egoismo del mercato liberista, ma tra liberismo e marxismo significa dalla padella alla brace. Il marxismo lo analizzeremo meglio nel capitolo apposito.
Per fornire una visualizzazione della critica distributista al liberismo economico e al suo substrato ideale, il liberalismo politico, riportiamo le parole di Harold Joseph Laski, il quale sosteneva che il liberalismo garantisce soprattutto “la libertà e l’uguaglianza dei detentori di beni” ----- “Le origini del liberalismo europeo” ----
E: “Il liberalismo è sempre stato influenzato dalla sua tendenza a considerare i poveri come uomini falliti per colpa loro” (Harold Joseph Laski) ----- Umberto Cerroni, “Il pensiero politico del novecento”, Newton ed., pag. 57.
Ecco cosa fa del liberismo una “padella”, secondo i distributisti.
“Dove vi è eguaglianza non può esistere libertà; ad esistere, non
sarà la pura libertà, ma saranno le molte, singole libertà addomesticate e
meccanizzate, in un limitarsi a vicenda. Se mai, è nel sistema più contrastante
coi gusti liberali che quella libertà si potrebbe realizzare
approssimativamente: nel sistema in cui il problema sociale è risolto in modo
da assicurare determinati privilegi ad un piccolo gruppo, a prezzo della
massima soggezione di tutti gli altri; e il tipo del tiranno sarebbe pertanto
la concretizzazione più perfetta di siffatto concetto o ideale di una libertà
uniforme, se pensato a fondo” (Pier Paolo Pasolini, “Imperialismo Pagano”)
A recepirlo non furono i socialisti “scientifici”, ma i tanto vituperati “utopisti”, o perlomeno quelli che possono essere considerati i loro eredi, rivelatisi nella critica al marxismo di fine secolo dalla quale attinsero i distributisti per definire un sistema economico la cui base di partenza prevedesse l’abolizione del salario e che come conseguenza eliminasse le marxiane classi ovvero riunisse l’intera nazione in un’unica classe, anziché aspirare alla prevaricazione di una classe sull’altra. Il più grande difetto di Marx fu l’ignorare la sociologia e le implicazioni che la natura dell’uomo comportava sui sistemi, e ne fu traviato dalla sua analisi falsata del divenire storico che egli chiamò “materialismo storico”.
“Il capitalismo libertario, l’anarchia della proprietà privata e l’anarchia di mercato sono le uniche opzioni compatibili con la natura umana” (Jesús Huerta de Soto)
Il sistema distributista consapevole delle lacune appena enunciate vuole organizzare l’economia per renderla coniugabile con tutte le esigenze sociali che il paleo-capitalismo anarco-liberista non prevede o non ammette. Appurato che la libertà economica è subordinata alla proprietà, la proprietà di un qualche bene può però stroncare la libertà di un altro individuo (ad esempio chi possiede l’unico pozzo in un’area desertica detiene la libertà degli altri di irrigare coltivazioni). Perciò tutti dovrebbero sottostare al suo arbitrario senso della comunità (senso della comunità che nella società anarco-liberista nemmeno esiste in quanto è ontologicamente considerato una limitazione della libertà dei singoli). Forse per propria responsabilizzazione può restargliene un pizzico, ma che non è detto che sia dettato da filantropiche finalità. Una visualizzazione pratica di questo concetto è il caso dei proprietari di quadri preziosi che nel testamento esprimono la volontà di essere sepolti assieme ad essi, cagionando così all’umanità la perdita di inestimabili patrimoni artistici.
“Un oggetto, anche se non ottenuto con il furto, è tuttavia come rubato se non se ne ha bisogno” (Mahatma Gandhi)
Perché le amministrazioni pubbliche, dopo aver fatto costruire nuove case, tendono a lasciarle inutilizzate? A causa dell’esistenza delle associazioni dei proprietari di case. La carenza di vani tiene alti gli affitti, a vantaggio dei proprietari, certo, ma a svantaggio degli inquilini! Cioè a vantaggio di una ricca minoranza e a svantaggio della maggioranza povera. E per quanto sempre nella nazione questa ricchezza rimanga, è certamente fonte di inefficienza.
“La casa non è un capitale, ma una integrazione spirituale alla vita dell’uomo. Quella del Mutuo Sociale è una battaglia per sancire il diritto alla proprietà della casa… diritto in grado di cancellare per sempre quella che è la più subdola forma di usura: l’affitto” (dal sito internet di Casa Pound) ----anche su casa???----
Come quei pescatori che eliminano orsi e foche che costituirebbero un concorrente nella pesca. Ma questi ----------- lo fanno nei confronti di altri uomini, non verso “improduttivi” animali.
---------Kenya--------------- alleanza neomarxisti e neoclassici contro l’economia dello sviluppo – neoluddismo----------- Paesi neomarxisti: impresa e proprietà privata permesse ma fortemente impedite.
paesi dove pur essendo legale la proprietà privata e le licenze produttive e commerciali, il loro accesso è burocraticamente fortemente impedito, vengono definiti perciò “neo-marxisti”.
Grado di apertura: al commercio estero
Il sistema giuridico esistente mira invece a isolare il potere di proprietà, d’impresa.
Il luogo comune che le banche paradossalmente prestino soldi solo a chi li ha già non è dovuto a sadismo e ---incongruenza--- dei direttori di banca come sarebbe comprensibile immaginare. E’ dovuto al fatto che a tutt’oggi chi dovrebbe garantire la solvibilità dei debiti, lo Stato, non lo fa. Di conseguenza, dato che come abbiamo già visto le persone tendono a credere che tutti siano come loro stessi, i direttori di banca non riescono ad avere fiducia nelle persone che gli si presentano davanti, non avendola (conseguentemente) nemmeno in loro stessi. Dopotutto se fossero diversi non avrebbero mai potuto accedere a livello di direttore di banca.
“La vita è come un gioco di scacchi: noi tracciamo una linea di condotta, ma questa rimane condizionata da ciò che piacerà di fare all’avversario, nel gioco degli scacchi, e dal destino, nella vita” (Arthur Schopenhauer)
In assenza di “collaterali”, ossia beni immobili o attività finanziarie da offrire come garanzia alle banche per ottenere prestiti, le famiglie più povere hanno più difficoltà ad avviare una propria attività imprenditoriale, anche se dispongono di buone idee ed ottime capacità imprenditoriali.
albi come barriere:
Gli ordini professionali esistono solo in Italia e mi pare che il confronto con la situazione in altri paesi industrializzati esprima in giudizio impietoso di bocciatura del sistema italiano. Semplicemente non funziona, è una farsa, ostacola la concorrenza, fa operare i professionisti in una forma di cartello (parole usate in una sentenza della Corte di Cassazione relativamente al comportamento delle maggiori associazioni di amministratori condominiali). Questo accusa di ”cartello di imprese” (ed i consumatori sanno cosa significa ...) sarebbe cancellata con l’istituzione dell’ordine di amministratori condominiali. Quindi che cosa è l’ordine professionale ? Un cartello a danno dei consumatori che secondo gli illusi invece dovrebbero essere tutelati dagli stessi iscritti ... eppure in Italia si dice:
- lupo non mangia lupo
- non chiedere all’oste quanto è buono il suo vino
ma forse queste massime girano molto, proprio perché nella zucca delle masse,
queste semplici saggezze contadine non riescono a trovare posto, troppo
imbevuti dall'immagine di padre-padrone dello Stato ed ogni altra figura VIP.
La gestione dell’albo è l’albo. Smettiamola di girarci intorno a nozioni teoriche ed astratte. Le idee sono belle e varie, ma ad un certo punto occorre guardare la realtà. Ed il sistema italiano degli albi ha fallito su tutti i fronti meno che quello della tutela degli interessi degli iscritti. Ora, per quale motivo il collettivo dovrebbe tutelare l’esistenza degli ordini e degli albi, se non ne ha alcun vantaggio ?
La visione personalistica del distributismo non può includere questo concetto della proprietà, ma deve considerarne uno in cui il soggetto titolare di questo diritto non rappresenta più un individuo atomisticamente considerato, bensì una “persona organicamente concepita nella società”, e che come tale non può pretendere un diritto tanto esteso da entrare in conflitto con gli interessi della stessa comunità di cui è parte integrante. Per cui, se si riconosce che il diritto di proprietà è funzionale al benessere tanto del singolo quanto della società, si devono riconoscere come legittime sia le limitazioni a questo diritto per finalità sociali, sia la costituzione di proprietà collettive per le stesse finalità.
“La proprietà privata non è il dominio della persona sulla cosa, bensì un utile funzione sociale” (Fulvio Balisti)
Hilaire Belloc definì lo “Stato distributivo” (ossia lo Stato che attua il distributismo) “un agglomerato di famiglie e persone di diversa ricchezza, ma di gran lunga nel maggior numero di proprietari dei mezzi di produzione”. Tuttavia, la parola “proprietà” può risultare ingannevole, poiché non porta alla luce completamente il fatto che il trasferimento capillare ad ogni membro della società del potere di controllare la produzione della ricchezza rende superfluo il concetto stesso di “proprietà”.
“Il lavoro è umano solo se resta intelligente e libero” (Papa Paolo VI)
Con la proprietà estesa nessuno è
escluso dalla possibilità di controllare o beneficiare dell’uso dei mezzi di
produzione, cosicché il concetto di proprietà nel senso di possesso esclusivo
perderebbe senso: se nessuno è escluso, non c’è nessun non-proprietario. Il professor
Enrico Baccarini definisce la proprietà
come il frutto del proprio lavoro, del proprio tempo,
delle proprie energie e del proprio talento; è quella
parte della natura che trasformiamo in qualcosa di utile e a cui diamo
valore. La proprietà è anche la proprietà di altri che ci viene data attraverso
uno scambio volontario e consensuale. Due persone che scambiano la proprietà
volontariamente ne hanno un vantaggio altrimenti non lo farebbero. Solo loro
possono prendere questa decisione per se stessi. Talvolta qualcuno usa la forza
o la frode per sottrarre beni ad altri, senza la loro volontà e senza il loro
consenso. Può essere anche un governo a far questo.
“Nulla è tanto avverso allo Stato come l’ingiustizia: la
società civile può essere amministrata e conservata soltanto con Giustizia. Il
popolo può definirsi: Società di uomini unita dal consenso delle leggi e dalla
partecipazione degli utili. (…) Tolta
la giustizia, cosa sono gli Stati se non grandi brigantaggi?” (Sant’Agostino)
Lungi dal distributismo voler seguire il marxismo sulla via della collettivizzazione delle proprietà private! Solamente aprendo a tutti la possibilità di accedere al lavoro in forma autonoma non ci sarebbe alcuna necessità di espropriare i mezzi di produzione e di proibire il lavoro dipendente.
Di conseguenza, mentre il comunismo marxista fondamentalmente non permette agli individui di possedere proprietà (le quali sono sotto il diretto possesso dello Stato), e il liberismo (liberal-capitalismo) tende a favorire l’accentramento dei patrimoni (come inevitabile risultato di competizione arrivistica[37]) consentendo, come diretta conseguenza, solo a pochi di venirne a possedere, ed entrambi, ognuno a modo suo, tendano a soffocare la libertà della natura umana, il distributismo cerca invece di implementare una condizione che conduca spontaneamente la maggior parte delle persone a divenire proprietaria dei mezzi di sostentamento e di abitazione.
“Molti economisti suppongono,
almeno nelle teorie astratte, una situazione di democrazia economica nella
quale chiunque sia dotato di capacità imprenditoriali può ottenere il capitale
per lanciarsi in un affare rischioso. Questo quadro delle attività del puro
imprenditore è, a dir poco, irrealistico. Il requisito più importante per
diventare un imprenditore è la proprietà del capitale”
(Michał Kalecki[38], “Teoria della dinamica economica”)
Sia chiaro che per il distributismo non è solamente una questione di distribuzione della ricchezza, ma soprattutto di organizzazione sociale ed efficienza. Non si può distribuire “il nulla”.
Un mondo nel quale paga di più
una giornata trascorsa ad imbucare volantini pubblicitari che un anno speso a
scrivere un libro ha chiaramente qualcosa di contorto. Un mondo nel quale paga
di più un sito web commerciale creato in un ora che un sito culturale risultato
di anni di ricerca ha chiaramente qualcosa di intrinsecamente perverso. Come si
permette il vero parassita dal facile guadagno improduttivo, di criticare chi
nell’alternativa sceglie di non fare
niente piuttosto che fare qualcosa di inutile? E dato che nessuno vive
di sola aria, come si possono stigmatizzare i criminali quando dall’altro lato
non gli si dà nessun altra possibilità di sopravvivenza? O meglio: quando
gliela si toglie, e senza dar nulla a pareggiamento della preclusione. Solo in
un mondo simile un venditore di suonerie può guadagnare più di un muratore, o
una prostituta più di un medico. Solo un mondo accecato può accettare come
normale tutto ciò.
“Talvolta
l’uomo d’affari di successo fa i soldi grazie alla propria abilità ed
esperienza, ma di solito li fa per sbaglio” (Gilbert Keith Chesterton)
Oggi chi inventa qualcosa di utile come la mette in pratica? Come la fa fruttare, come la rende disponibile, dove la presenta? Nei programmi televisivi, inserita tra i fenomeni da baraccone? A chi altri può proporla? Nella massa idiota, trovare un intelligente referente è come trovare un ago nel pagliaio. Tutti si credono migliori degli altri, e tutti trattano tutti con snobismo. Paradossale è la consapevolezza che solo chi non lo fa è colui il quale avrebbe diritto di farlo. ----- qui o su barriere all’iniziativa? –licenze-----
“La fortuna è cieca, ecco perché batte solo le strade che conosce a memoria” (-------------)
Questo giovane geniale si sente nei nervi una forza misteriosa, violenta. Sarà poeta, pittore, artista drammatico, costruttore di ponti su fiumi americani, appaltatore di terreni lontani da dissodare, deputato, ecc.: egli non sa esattamente. Rischierebbe volentieri tutto ciò che ha di caro e di piacevole intorno a sé, affetti, amicizie, primi piaceri sessuali, allegrie goliardiche, per ottenere immediatamente la prova diretta e la manifestazione di questa sua forza. Egli ha invece intorno a sé degli alti pessimismi neri, delle negazioni massicce; respira lo scetticismo avvelenante e non ha un soldo in tasca. Se coraggiosissimo, rivoltosissimo, egli riesce a spaccare e rovesciare tutti i divieti, la miseria assoluta, ultimo laccio invincibile, lo trattiene e lo inchioda nell’assoluta impossibilità di staccarsi e di osare. Questi fallimenti di gioventù geniali sono numerosissimi e tipici in certe province d’Italia come la Toscana, che pur essendo indiscutibilmente le più intelligenti sono purtroppo le meno fattive e le meno utili nello sviluppo nazionale. Firenze è piena di giovani d’ingegno inoperosi e smarriti che sciorinano sotto i soli elettrici dei caffè dei meravigliosi tessuti di pensiero e di lirismo senza speranza di essere mai valutati, considerati, utilizzati. Scrivere? A che pro? Dov’è l’editore? Certo non pagherà, anzi vorrà essere pagato. Nei giornali? Il direttore è stato prescelto fra i quattro o cinque autentici cretini della città. Ostruzionismo, dunque meglio abbandonare spiralicamente il proprio canto malinconico nell’antico chiaro di luna che ripatina Lungarno e il Ponte Vecchio o godersi una “bambina” alle Cascine che offre camere ammobiliate a buon mercato assoluto. Ho conosciuto innumerevoli giovani geniali a Firenze, in Toscana, a Napoli e in Sicilia. Quasi tutti esasperati; il cuore già chiuso da un sordo rancore contro la società, molti avvelenati da una precocissima invidia che sporca la fonte chiara dell’ispirazione genuina e dell’entusiasmo giocondo, creatore. E’ talvolta difficilissimo conoscerli, apprezzarli, incoraggiarli. Poiché invece di abbracciare spiritualmente l’Italia come una vasta massa malleabile da plasmare essi la considerano come un reticolato idiota di soprusi, di camorre, di autorità scroccate, di divieti imbecilli. E hanno ragione. Dovunque, l’ingegno è svalutato, deriso, imprigionato. Incoronato soltanto e festeggiato il mediocre opportunista o l’ex genio ormai rammollito. Il Futurismo scoprì, svegliò, rianimò, radunò molti di questi giovani geniali, i migliori, senza dubbio. Ma non tutti certamente. Nella vasta rivoluzione di serate burrascose che si propagò su tutta la Penisola, il Futurismo entrò in contatto con quasi tutti ma occorre un più sistematico intervento delle forze del paese per salvare, riaccendere e utilizzare tutto il vasto proletariato dei geniali. (Filippo Tommaso Marinetti “Il proletariato dei geniali”)
“Non riforma della giustizia ma riforma dei giuristi” (Carl Schmitt)
Nessuno deve più dover fare il barbone, a meno che non sia una sua scelta. Ma questo non perché sia un governo a stabilirlo e regolamentarlo. E’ un indecenza che finora sia esistita la necessità di un assistenza sociale e della delega ai poteri pubblici a realizzarla. Oppure il suo nulla osta agli ammortizzatori sociali che non apportano alcun sovrappiù ma casomai sprechi inauditi. Se vendere pentole porta a porta o arredamento telefonicamente è un lavoro, allora anche chiedere l’elemosina lo è! Che una persona possa essere in grado di usufruire per sé stessa delle sue capacità deve (e dovrebbe essere sempre stato) una cosa automatica, spontanea, non sottoposta ad approvazione di alcuno se non di sé stessi. Non dovrebbe essere stato necessario architettare un metodo come la socializzazione per stabilire ciò! Ma dato che ciò non sussiste, finora, diviene necessario farlo.
«La società non mi accordava che tre mezzi di esistenza: il lavoro, la mendicità e il furto. Il lavoro, al contrario di ripugnarmi, mi piace. L’uomo non può fare a meno di lavorare [...] Ciò che mi ripugnava era di sudare sangue e acqua per un salario, cioè di creare ricchezze dalle quali sarei stato sfruttato. In una parola, mi ripugnava di consegnarmi alla prostituzione del lavoro. La mendicità è l’avvilimento, la negazione di ogni dignità. Ogni uomo ha il diritto di godere della vita. “Il diritto a vivere non si mendica, si prende”» (Alexandre Marius Jacob)
Nessuno sceglie di essere ricco o povero, ed a nessuno è data questa possibilità di scelta. Infatti, nonostante la leggendaria sviolinata del “selfmademan”, l’origine liberista del capitale è sempre da ricercarsi nell’accumulo ereditato, o generato da inique speculazioni, fortune casuali, loschi affari, o comunque sia quasi mai per effettivi meriti o capacità, ma è il frutto derivante innanzitutto da questi atti di prevaricazione e furbizia, clientelismo, e nepotismo, tutti effetti della competizione nella spinta all’accaparrazione illimitata base fondante del liberismo. Quando non, come detto, di pura casualità, il che non è per nulla raro. Di conseguenza non solo la proprietà effettiva sottostà a questi fattori, ma anche le gerarchie amministrative-manageriali sono regolate da essi. I conseguenti guasti risaltano evidenti nei livelli di efficienza perennemente sotto le effettive potenzialità di una società concepibile, difetti rilevabili nelle critiche solitamente espresse dall’opinione pubblica nei confronti di un “sistema” perennemente considerato in crisi. Ma difetti ai quali questa stessa opinione pubblica non riesce tuttora a proporre alternativa valida.
“I disordini non avranno mai fine, non avremo mai una sana amministrazione della cosa pubblica, se non acquisteremo una nozione precisa e netta della natura e della funzione del denaro” (Ezra Pound)
L’approccio prettamente “cooperativo” di produzione-allocazione su cui si basa il distributismo presuppone ed auspica che le attrezzature ed i beni immobili produttivi divengano “comproprietà” di chi le utilizza, potenzialmente anche entità più estese che un singolo od una semplice “società anonima”, per esempio soci in un impresa oppure imprese in un consorzio, pur permanendo in una forma di indipendenza aziendale svincolata da influenze politiche. Inoltre, sempre secondo la teoria distributista il valore delle merci è certamente condizionato dalla quantità di moneta circolante (come merce simbolica essa stessa), ma prima di tutto legato inscindibilmente a produzione ed allocazione. Il prezzo di una merce è la quotazione del suo valore rispetto a tutti gli altri beni esistenti (moneta compresa), regolata secondo la legge domanda/offerta; la quantità di moneta circolante (M1) quindi rappresenta il totale del valore dei beni esistenti in un dato momento. Nella fattispecie, diversamente dai marxisti, c’è la consapevolezza che nel mercato inserito in un sistema di spontaneità produttiva (“laissez faire”) sono, in un causa-effetto, anche le differenze reddituali a determinare i prezzi, e la produzione commerciata a determinare i redditi, e quindi ad adeguare ogni reciproco valore alla progressiva possibilità di accesso ai beni indotta in maniera progressiva ---o graduale------, influenzando parallelamente la variazione delle propensioni al consumo ed al risparmio; e non viceversa, come invece sembrano sostenere Marx e Proudhon. Difatti per quanto scontato questo chiarimento possa sembrare, non lo è affatto dal punto di vista dei marxisti. Questo crea nel distributismo chiaramente una contrapposizione con i precetti marxisti di appiattimento della piramide sociale e della parificazione pianificata dei redditi e dei prezzi “a seconda delle necessità”.
“La società, cioè la pacifica cooperazione degli uomini sotto il principio della divisione del lavoro, può esistere e operare solo se si adottano politiche che l’analisi economica dichiara idonee a raggiungere i fini perseguiti” (Ludwig von Mises)
Proprio sulla base di quanto enunciato finora, a differenza del liberismo la teoria distributista sostiene che anche se la proprietà di ogni mezzo di produzione fosse distribuita a tutti i suoi conduttori, l’equilibrio della piramide reddituale nell’intera società nazionale si manterrebbe tale e quale ad oggi, ed oltretutto teoricamente senza che venga modificato il valore reale dei beni, le attività disponibili, e le loro allocazioni, nonché di tutti gli altri parametri derivanti, spesa pubblica compresa. Questo risultato viene esposto solo come prospettiva teorica, allorché prendendo in considerazione anche una gamma di prevedibili circostanze “collaterali” (che saranno anch’esse analizzate nel corso del testo), nella realtà pratica tutti i fattori certamente si adeguerebbero alle mutate condizioni, ricavando questa prospettiva principalmente sulla base delle teorie dell’economista marxista (per quanto “economista marxista” possa suonare come ossimoro, come vedremo più avanti) Piero Sraffa che analizzando la “teoria della rendita del consumatore”[39] contestano il fondamento tipicamente marshalliano che “il prezzo d’equilibrio viene determinato dall’intersezione tra la curva della domanda e quella dell’offerta”, introducendovi l’elasticità e disancorando il concetto di prezzo dal concetto di valore. La conseguente eventuale variazione autonoma della spesa aggregata sarebbe sia causa che effetto di questo mutamento di condizioni, mentre una variazione indotta non è da contemplare dato che non è realisticamente prevedibile una fuga di reddito assorbito dal risparmio; o meglio, anche in caso di variazione indotta essa verrebbe a compensarsi per via del rapporto tra propensione all’accumulazione di capitale e tassi di interesse (vedi anche pag. -------) dato che il saggio di interesse è influente ma non determinante del rapporto risparmio/spesa.
“I capitalisti come classe guadagnano esattamente quanto investono o consumano” (Michał Kalecki, “Teoria della politica fiscale”)
La distribuzione come risultato patrimoniale specifico darebbe, in buona sostanza, unicamente la separazione dell’investimento (il cui capitale disponibile sarebbe accumulato ed utilizzato direttamente dall’azienda come utili non distribuiti) dal consumo (in questo caso per semplificare intendendo come tale anche l’impiego per il risparmio personale). Come si può dedurre dalla teoria del reddito permanente di Milton Friedman dove si precisa che le funzioni autonome di consumo e risparmio[40] rimangano invariate, se ne ricava che la distribuzione non comporterebbe cambiamenti sostanziali nella produzione e nemmeno nell’allocazione rispetto al liberismo (la “piramide” resta inalterata nella sua forma), ma comporterebbe una razionalizzazione efficientista del lavoro e di tutto il sistema sociale. Ciò in quanto, assodato che il risparmio è sempre equivalente alla spesa per investimento e che l’aumento di domanda aggregata aumenta solo il livello dei prezzi e non incide sulla produzione, i beni prodotti vanno comunque distribuiti (“allocati”), al prezzo adeguato alle richieste di mercato, mercato basato sulla quantità di beni disponibili, conservandovi quindi un equilibrio reddito/spesa perlomeno non dissimile da quello odierno, ma nella realtà assai più stabile ed efficiente come indiretta conseguenza alla scomparsa di inflazione e disoccupazione; ed anche, così come oggi, qualora i costi di produzione superassero il rendimento, il bene (evidentemente non necessario) semplicemente non verrebbe prodotto (per “costo di opportunità”[41]), massimizzando con ciò la “funzione di utilità”[42] non dissimilmente rispetto ad oggi. Contrariamente a quanto sostenuto dai keynesiani, secondo i quali bisogna consumare per produrre, il che significa invertire i concetti di domanda/offerta. Certo le nicchie vengono riempite, ma i keynesiani tralasciano di valutare che è possibile fornire “a seconda delle necessità” solo se esiste la possibilità di farlo. Per distribuire la ricchezza bisogna prima crearla, e per crearla ci devono essere i mezzi. Non si può cavare sangue da una rapa.
“Bisogna mangiare per vivere, non vivere per mangiare” (Socrate)
Se ne deduce che la base fondante del distributismo si regge sulla constatazione della “legge di Say”[43]. Questo significa in parole povere che, a differenza di quello che avverrebbe con l’applicazione delle teorie marxiste, praticando il distributismo il livello di vita rimarrebbe generalmente perlomeno uguale ad oggi dal punto di vista della percezione personale, comunque non inferiore, dato che per la produzione aggregata non si intravede alcun motivo per prospettarvi una sua diminuzione o una variazione del tipo di beni prodotti (che invece per il marxismo, come anche esperienza insegna, si prospettano). Nel distributismo, così come nel liberismo, quando c’è un prodotto sul mercato, esso viene in ogni caso adeguatamente usufruito, cioè scambiato secondo le normali leggi domanda/offerta che ne determinano il prezzo; contrariamente a quanto accade col marxismo, il quale, considerando il costo come fattore determinante il prezzo (“teoria del valore-lavoro”[44]), si ritrova inevitabilmente schiacciato tra gli squilibri che si vengono a creare: inefficienti giacenze da un lato e scarsità dall’altro. Da ciò si evince chiaramente un aspetto che riteniamo utile far comprendere, cioè che il concetto “cosa produrre, come, e per chi” base dello studio dell’economia politica, permane immutato tra liberalcapitalismo e distributismo. Ma diversamente dai liberisti, i distributisti auspicano che il lavoro umano sia tolto dal novero dei fattori di produzione. Per questi motivi, distinguendosi in ciò dagli economisti liberal, i distributisti rifiutano di considerare i beni come numeri fini a se stessi, e giudicano illogica e surreale “La favola delle api”[45], alla quale contrappongono il “Racconto della finestra rotta”[46]. Di conseguenza promuovono un sistema sociale che preveda la sostituzione del concetto liberista di lavoro come “valore mercantile” con quello cattolico di “necessità” ed il cui coordinamento venga basato sul “merito” anziché sul “fato”.
“La vera felicità si raggiunge esercitando liberamente il proprio ingegno” (Aristotele)
Nella pratica questo significherebbe soprattutto che nessuno dovrebbe più poter prendere in considerazione l’ipotesi di poter usare un essere umano al pari di una “merce” dotata di relativo prezzo, perché l’uomo è il consumatore finale delle merci ed esse vengono da lui prodotte per soddisfare le sue necessità, e non l’opposta interpretazione che invece vige nel semi-anarchico liberismo consumistico dove sono le necessità ad essere create appositamente per essere colmate. L’aspetto da considerare fondamentale non solo moralmente ma anche produttivisticamente è quello che nessuno di coloro che si occupano di economia dovrebbe poter considerare un essere umano come acquistabile. Il concetto odierno di lavoro, originato dalla borghesia industriale e finalizzato a distinguere chi guadagna producendo da chi, come i cicisbei, acquisiva risorse come rendita, sembra sempre più un anacronismo.
“Per fare ci vuole talento, per beneficiare denaro” (Johann Wolfgang von Goethe)
Non che il lavoro prima non esistesse, ma quell’attività divenuta consuetudinaria di manovrare e plasmare l’ambiente sulle proprie necessità non era idealmente connotata come elemento a sé stante, come dice Serge Latouche faceva piuttosto parte dell’esistenza, come la miriade di altre espressioni caratteristiche della società cooperante degli uomini. Sarà l’economia politica a trasformare il lavoro in qualcosa di inumano, tramite il naturalismo, l’edonismo, e l’individualismo, che diventano i tratti più specifici dell’Occidente a partire dal concilio di Trento, epoca in cui nasce l’idea dell’homus oeconomicus. Questo concetto è figlio dell’idea che la sopravvivenza passi obbligatoriamente attraverso la frustrante lotta contro la natura e la sua accanita trasformazione. Lotta che abbiamo finito per chiamare “lavoro”, caratterizzato dalla frattura sociale identificata tra proprietà e salariati, tra borghesia e proletariato.
“Il sostentamento è una necessità assoluta per l’uomo. Non è ammissibile, in una società socialista, che per l’appagamento dei propri bisogni l’uomo debba dipendere da un compenso sotto forma di salario o di carità da qualsiasi parte essi vengano. Nella società socialista non dovrebbero esserci salariati, ma associati, poiché i proventi sono prerogativa personale dell’individuo, sia nel caso in cui li procuri da se stesso nei limiti delle sue esigenze, sia che detti proventi costituiscano una parte della produzione nella quale l’individuo stesso è un elemento fondamentale. In ogni caso i proventi non possono derivare da un salario percepito per una attività produttiva effettuata per conto di terzi. L’uomo della nuova società, o lavora per conto proprio, per assicurare il soddisfacimento dei propri bisogni materiali, o lavora in un’azienda socialista, ove lui stesso è socio nella produzione, oppure lavora prestando dei servizi generali per la società, là dove questa gli garantirà il soddisfacimento dei suoi bisogni materiali. L’attività economica della nuova società socialista è un’attività produttiva allo scopo di soddisfare le esigenze materiali, e non è un’attività improduttiva o procacciatrice di lucro al fine di accumulare risparmi eccedenti la soddisfazione di quelle necessità. Ciò non è compatibile con le nuove strutture socialiste” (Dal “Libro verde” di Muhammar Gheddafi)
Ma non si fraintenda: la critica mossa dal distributismo non si esplica come prospettiva nella proibizione legislativa del lavoro dipendente, bensì nell’aprire a tutti la possibilità di divenire proprietari dei mezzi utilizzati per creare il sostentamento necessario. Anziché essere considerato alla stregua di un robot, ogni uomo dovrebbe vedersi messo nella possibilità di far valere le sue capacità partendo alla pari con tutti, nell’interesse personale e quindi solo indirettamente nell’interesse collettivo (“organicismo[47] personalistico[48]”).
“L’uomo libero non si chiede mai cosa può fare il suo paese per lui né cosa lui può fare per il paese” (Milton Friedman)
Ma non perché sia un istituzione a stabilirlo! Dovrebbe essere un automatismo, tanto quanto lo è la libertà di scelta del negozio in cui rifornirsi! Perché questa differenza tra libertà di domanda e libertà di offerta? Non dovrebbe essere ugualmente libero scegliere cosa comprare, come cosa vendere? Come può una società definirsi liberista quando impone insormontabili barriere proprio alla base del concetto a cui applica e da cui deriva il termine “liberismo”!? Ognuno dovrebbe essere libero di esprimere le proprie potenzialità. Solo così sussisterebbe un minimo di giustizia sociale! Pratica che secondo i distributisti, oggi non solo non sussiste, ma, anche allorquando si parta alla pari, finisce addirittura col capovolgersi negli esiti: da tempo immemorabile le gerarchie sociali non vengono più basate sul merito e sulle vere capacità utili all’umanità, ma sull’arrivismo e tutte le sue nefaste implicazioni; tutta l’economia odierna è quindi “drogata” da questi effetti i quali alterano la provvidenziale “mano invisibile”[49]. E questo processo dall’economia si ripercuote in tutto il sistema sociale. Solo eliminando il concentramento della proprietà in poche mani sarebbe possibile completare lo sviluppo definitivo del capitalismo. Il sistema giuridico esistente mira invece a isolare il potere di proprietà, d’impresa. ß------questa frase anche altrove!!!!!!!!!!---- E’ proprio da queste consapevolezze che partirono gli studi di Clifford Hugh Douglas[50] nel calcolare la sua “teoria A+B[51]” avente come fulcro il concetto di produzione e allocazione alla base dell’economia, teoria che si sviluppa partendo dalla verifica dell’incongruenza di alcuni sistemi di contabilità applicata. Pur avendo essa ingenue fallacie (sembra non tener conto della “teoria quantitativa della moneta”), è dalla sua rianalisi che ha origine la stesura di questo libro. Incomprensibile apparve infatti a Douglas come nonostante tali palesi incongruenze, il sistema economico procedesse come nulla fosse, “tirando a campare” diremmo oggi.
“Viviamo in un’epoca in cui la gente, così occupata a produrre, si è dimenticata di diventare intelligente” (Oscar Wilde)
Basti pensare agli enormi sviluppi compiuti nel campo scientifico, tecnico, all’estensione dei sistemi di comunicazione, alla scolarizzazione di vaste fasce di popolazione. Grazie al progresso il livello di vita oggi è certamente superiore ad ogni altra epoca, e la produzione stessa è abbondante, per cui non dovrebbe esservi motivo di avanzare una qualunque critica. Ma è l’organizzazione che è incoerente, ed in essa riscontriamo il difetto endemico che da almeno due secoli assila il quieto vivere delle società umane. L’organizzazione di stampo capitalista non è riuscita ad applicare completamente questo progresso, e tantomeno a beneficio di tutti. Ne ha invece represso le potenzialità. I conseguenti sprechi sono immensi. Nel mondo odierno ci sono materie prime a sufficienza, lavoro, impianti, manodopera qualificata, conoscenze scientifiche e tecnologiche e, in generale, ricchezze sufficienti ad alimentare, anzi, come sostiene l’economista Joaquin Bochaca perfino a sovralimentare, i suoi abitanti. Ma, in questo mondo moderno, si perpetuano puntualmente, periodicamente, crisi “economiche”, inefficienza, e disoccupazione, con tutti i loro corollari, in primis la fame. Penalizza intere fascie sociali, se non addirittura interi continenti. La scuola economica ufficiale giustifica questa alternanza di fasi di prosperità e di recessione, pontificando di benessere fittizio ed eccessi di produzione, ed approdando alla stupefacente conclusione che sia non solo accettabile, ma addirittura logico e naturale veder gente affamata immobile ad oziare.
“Il perder tempo a chi più sa, più spiace” (Dante Alighieri)
Joaquin Bochaca arriva a sostenere che la cosiddetta scienza economica contemporanea sembra costituire un fenomeno analogo a quello di certa arte che gli intellettuali “illuminati” qualificano “moderna”. E’ chiaro per lui che si tratta di un “bluff” piramidale, che però quasi nessuno osa denunciare per il timore di passare per incompetente agli occhi della massa conformista e prostrata in adorazione delle opere codificate. Come nella fiaba del Re nudo. Anche i moderni teorici del “Movimento Socialista Mondiale” giungono ad affermare come la politica economica moderna non abbia saputo nemmeno pacificare il mondo, come si può vedere dal gran numero di guerre che si sono succedute una dietro l’altra e dalla perpetua possibilità di una grande guerra atomica che rischia di cancellare l’umanità intera dalla faccia della terra. Non ha saputo usare le cognizioni accumulate per assicurare alla gente la possibilità di praticare attività utili e dignitose che appaghino e soddisfino. Anzi, è riuscita a rendere “maledetto il concetto di lavoro, giacché lavorare viene per molti a identificarsi con la parte più sgradevole dell’esistenza[52]”. Con le ovvie conseguenze sociali, tra cui la criminalità. Ribadiamo: come si possono stigmatizzare i criminali quando gli si è preclusa ogni altra possibilità di sopravvivenza?
“Quelli che sanno, fanno. Quelli che non sanno, insegnano” (George Bernard Shaw)
Il risultato di persone più valide rispetto ad altre ma castrate ----sottovalutate----- e costrette a lavori che chiunque altro potrebbe svolgere è chiaramente esplicato dallo stereotipo del gangster con un libro di filosofia in mano. La castrazione di queste persone esplicitata nel tempo che debbano perdere per lavori banali, invece di utilizzarlo per fini più alti, per il bene di tutti. Prevedibile è quindi che ciò li spinga a cercare di rifuggire dal lavoro superfluo anche a costo di diventare criminali. E’ notorio il caso di ----- coso da Luttazzi----. Se i sociologi desiderassero veramente capire le ragioni della criminalità, e ascoltassero veramente i carcerati come dovrebbe essere loro ruolo fare, si accorgerebbero che la tendenza alla delinquenza in molti casi è causata fondamentalmente dal non riuscire ad accettare di dipendere da qualcuno inferiore a sé stessi e dal dover mantenere efficienza solo perché sotto la coercitiva minaccia del licenziamento. Senza contare le numerose umiliazioni di chi, pur consapevole di essere dotato di capacità notevoli, si vede sorpassato nella piramide sociale da indegni arrivisti di bassa lega. Magari pure venendo sbeffeggiato o snobbato. Ed è soprattutto quando si è consci della sminuizione delle proprie capacità che si rifiuta di svolgere un compito che si sa potrebbe essere svolto da chiunque, mentre con le proprie capacità che oggi vengono inespresse ci si potrebbe sentire ben più utili alla società.
“Un uomo saggio sarà utile solo in quanto uomo, e non si sottometterà ad essere argilla, e a chiudere un buco perché non soffi dentro il vento” (Da “Hamlet” di William Shakespeare)
Ed invece ci si sente inutili e frustrati, potenzialmente sottoposti ad un superiore che si sa essere in realtà inferiore, ma al quale la società ha in qualche modo fornito il “coltello dalla parte del manico” e perciò reso incriticabile anche davanti a decisioni palesemente segnale d’incompetenza. Abbiamo già visto come l’intraprendenza castrata, repressa dal lavoro dipendente rispetto a quello autonomo sia frustrante e deprimente, causa di alienazione e stress sfocianti in episodi di psicosi ossessivo-compulsive sfogate soprattutto in piccoli sabotaggi gratuiti ed aggressività, come abbiamo visto anche il concetto comune di stress e dei suoi risvolti psichici e psicosomatici sia ignorato nelle sue influenze sulla società. Non tutti sono però disposti ad accettarlo. Per chi è uso dare valore alle persone, la più grande forma di impotenza è certamente trovarsi di fronte una persona priva di prezzo.
“Lo schiavo, nell’attimo in cui respinge l’ordine umiliante del suo superiore, respinge insieme la sua stessa condizione di schiavo” (Albert Camus)
Il rifiuto di umiliarsi a nessuna condizione è certamente oggi il maggior atto rivoluzionario. Sulla base di questo si può dire che oggi i veri rivoluzionari sono tra i carcerati, perlomeno quelli che non sono classificabili tra gli standard “lombrosiani”. Ovviamente non è necessario raggiungere un tale livello di rigetto per aderire ad una causa rivoluzionaria. Qual’è il parassita tra chi desidera un lavoro comodo e ben pagato ma inutile, e chi giudica più dignitoso vivere frugalmente e non fare niente che fare qualcosa di inutile ma retribuito? Non serve certo arrivare a questi livelli estremi, che abbiamo usato come esempio eclatante: quel che conta non è lo stato effettivo, ma quello morale. Che può essere rappresentato da questa considerazione: “se avessi i soldi per giocare alla lotteria, non avrei più bisogno di giocare alla lotteria”. Parafrasando, una società nella quale ottiene il computer nuovo chi lo usa solo per leggere la posta, mentre deve accontentarsi di un computer vecchio chi ne necessita veramente per lavorare e produrre. E per questo stesso motivo che oggi il fascismo, unica filosofia politica fondata sulla prospettiva di una società meritocratica e distributista, crea proseliti soprattutto tra il cosiddetto “sottoproletariato”, composto da disoccupati cronici e disadattati vari.
“Sovversivo è solo quello spirito che mette in dubbio l’obbligo d’esistere; tutti gli altri, anarchico in testa, scendono a patti con l’autorità costituita” (E. M. Cioran)
Dato che nessuno vive di sola aria, nessuno può però estraniarsi del tutto dal sistema. A tal proposito la possibilità di sopravvivenza di una persona non deve essere un elargizione come nelle cooperative di detenuti, ma una cosa spontanea ed automatica ad opera di sé stessi. Non la carità pelosa ad opera di imprenditori particolarmente “illuminati” come Mc Donald e Renzo Rosso, che oggi sono un eccezione anziché la norma. Anzi, loro in una società veramente normale sarebbero considerati come oggi sono considerati i peggiori “Agnelli” (si immagini poi come verrebbero considerati i tayloristi Agnelli…). Ed a ben vedere neanche oggi eccezione, rivelandosi i loro presunti metodi organizzativi più che altro propagandistici esteriormente.
Nessuno che ambisca a contribuire alla società esprimendo le proprie capacità desidera la carità da questi. I marxisti invece pretendendo con gratitudine cose che invece dovrebbero essere automatiche danno loro questa soddisfazione ed avvallo.
“Durante un
banchetto gli gettarono degli ossi, come a un cane. Diogene, andandosene,
pisciò loro addosso, come un cane” ----(chi?)----
Difatti oggi nessuno di questi sedicenti “illuminati” imprenditori può essere considerato l’eccezione alle gerarchie capovolte. Tra quelli più famosi ne esiste uno solo che può essere considerato l’eccezione (ovvero un alfa che merita veramente la posizione detenuta): Bill Gates. Ed a confermare la giustezza di inserire Gates nel novero dei pochi che ricoprano la posizione gerarchica legittima è soprattutto proprio il fatto che egli stesso abbia più volte espresso la convinzione e la descrizione della società mondiale organizzata piramidalmente da gerarchie non rispecchianti le vere graduatorie meritocratiche che condividiamo anche noi.
“Bill Gates non sarebbe mai diventato Bill Gates in Italia. Primo perché lo arrestavano visto che ha cominciato nel garage e non aveva la licenza della 626. Ma a parte la 626, perché non c’era il mercato dei capitali che lo accompagnava all’inizio. Perché da noi gli avrebbero chiesto in garanzia il bar del papà, se il papà aveva un bar” (Domenico Siniscalco)
Secondo alcuni anche Silvio Berlusconi andrebbe inserito in quest’elenco assieme a Gates. Laddove molti si chiedono l’origine delle fortune di Silvio Berlusconi, quando tutto è già noto: “dal 1974 al 1981 l’intero sistema creditizio italiano ha messo a disposizione di Berlusconi fidi per 198.622.000.000 (il solo Monte dei Paschi 39.150.000.000, pari al 19,7 per cento). Da aggiungere ai fidi le fidejussioni: 150.311.000.000 (il Monte dei Paschi 28.213.000.000 pari al 18,7 per cento). E da aggiungere a fidi e fidejussioni i mutui di credito fondiario: la quota del Monte, dal 1967 al 1981, è di 48.465.090.000 lire (in più, sono in istruttoria nel 1981 quattro operazioni per complessivi 41.795.097.000 lire)” ---- G. Fiori, “Il venditore”, Garzanti ed., pag. 61.
Per quanto molti di questi abbiano probabilmente compartecipato per vie indirette al crac del banco Ambrosiano, c’è da dire che di tale fiducia le banche siano state ripagate se Berlusconi è ancora sulla cresta dell’onda. Ciò ci conferma che la possibilità di far valere le proprie capacità non dovrebbe essere affidata alla politica, ma ad una libera iniziativa che, coperta dalla politica, permetta l’estensione della fiducia creditizia tesa alla riproduzione sociale. Quindi l’unica cosa che la politica dovrebbe fare in questo caso non è un “fare”, ma un “lasciar fare”, dando solo il via, eliminando ogni barriera di quelle che oggi impediscono il “fare”! Tra cui prima di tutte quella creditizia, tutelando ed assicurando la solvibilità.
Pertanto ricapitolando: “Il
riduttivismo della visione analitica della teoria economica neoclassica,
attualmente dominante, è coerente con il punto di vista dei capitalisti che
nella realtà, e non solo nelle visioni, mirano ad estromettere dalla
contrattazione sul salario e sull’organizzazione del lavoro i costi materiali
della riproduzione sociale e le tensioni ad essa inerenti […]. L’opacità
economica del lavoro di riproduzione è funzionale ad un silenzio politico sulla
questione – fondamentale per qualsiasi sistema sociale – della qualità delle
relazioni tra condizioni della produzione di beni e condizioni della
riproduzione sociale. Una questione centrale e fondante è quindi condannata ad
emergere solo come questione marginale che riguarda le donne, i poveri, i
criminali, i malati ecc” (A.------- Picchio) ---mercato e società pag. 190.
“Lasciando fare”, i vari “Agnelli” che oggi approfittano delle inique barriere di natura politico-sociale-creditizia si ritroverebbero con una mano davanti e una dietro. Oggi essi traggono vantaggio dai bisogni altrui, con l’unico scopo fine a sé stesso, il quale è certo accettabile nel sistema di mercato, ma non è accettabile che essi tramino per provocare i bisogni anziché assecondarli! Ed oltretutto impedendo agli altri di autosoddisfarsi, basti pensare come esempio alla proibizione di autoprodursi energia elettrica (solo da poco regolamentata grazie alle fonti alternative) e sale marino. Certo sono due esempi poco calzanti (le loro proibizioni hanno dei motivi effettivamente sensati), ma certamente più comprensibili alla lettura rispetto ad altri di difficile comprensione.
“Gli uomini costruiscono così una terribile macchina di despotismo, la cedono a chi vuol prenderla, (e questo sarà sempre, secondo tutte le probabilità un essere moralmente decaduto), s’inchinano servilmente al padrone che si son dati, e si meravigliano in seguito che le cose vadan male per essi” (Lev Tolstoj)
La sussistenza e la perpetuazione delle gerarchie capovolte, e soprattutto le deficienze che tale graduatorie provocano può essere parafrasato dal proverbio “chi ha pane non ha denti, chi ha denti non ha pane”. Quindi, a chi ha le capacità sono precluse le porte per realizzarle, mentre chi ha aperte le porte non ha le capacità di utilizzarle. E questo unicamente a causa del sistema tanto osannato--------. Come fino ad oggi l’estraniazione e--- l’eremitaggio---- siano rimasti così limitati è difficile comprenderlo.
“L’uomo che si isola rinuncia al suo destino, si disinteressa del progresso morale. Parlando in termini morali, pensare solo a sé è la stessa cosa che non pensarci affatto, perché il fiore assoluto dell’individuo non è dentro di lui; è nell’umanità intera. Non si adempie il dovere, come spesso si è portati a credere e come ci si vanta di fare, confidandosi tra le vette dell’astrazione e della speculazione pura, vivendo una vita da anacoreta; non vi si adempie con i sogni ma con gli atti, atti compiuti nella società e per essa” (Georg Wilhelm Friedrich Hegel)
Secondo Abraham Maslow sussiste tutta una scala di bisogni che spinge le persone a dover vendere il proprio lavoro: nutrirsi, sesso - sicurezza amore autostima - realizzazione personale. Egli spiega come non sia possibile quindi estraniarsi del tutto. Di conseguenza ----vita sociale-------. Ma il risvolto delle gerarchie capovolte implica che raramente i meriti e le capacità vengano riconosciute in modo esatto. Dato che non tutti sono disposti ad accettare di sottostare ad un inferiore, tanto più tanto maggiore è la differenza, ne deriva un sentimento di violazione delle regole sociali da parte dei -------- che portano all’esclusione dalla vita sociale di chi non accetti la subordinazione indotta dalla massificazione delle graduatorie meritocratiche. E’ l’esclusione oggi che prende il posto della povertà. La lotta contro la povertà nelle odierne società occidentali è una vana lotta di retroguardia, come Don Chisciotte contro il mulini a vento. Le situazioni di povertà non sono fini a se stesse come in passato, ma sono determinate dall’esclusione. Quindi è la luna (cioè l’esclusione) che si deve eliminare, e non il dito (la povertà in sé).
“Come non si può edificare una casa se non si mettono i singoli mattoni uno sull’altro, così non si può organizzare lo Stato, la societas o la polis, se prima non si educa l’uomo e le famiglie che la costituiscono” (Antonio de Oliveira Salazar)
Alla radice dell’economia trasposta nella vita sociale ---vi è il concetto di embeddedness: radicamento sociale? --------. Ma quello che crea un legame ------------ di contro crea barriere. Queste barriere in alcuni casi possono essere giustificate dal legame. Il problema si pone quando la giustificazione è dettata da motivi errati e perciò provoca effetti più negativi che positivi.
Secondo M. ---------- Orrù esistono dei contesti competitivi e istituzionali dell’azione economica: “comunitario”, “patrimoniale”, “familistico” - “Nessuno si essi è la versione corrotta di un mitico ideale di mercato concorrenziale perfetto; piuttosto, ognuno mette in atto requisiti tecnici e istituzionali socialmente costruiti. Di fatto, le violazioni dei modelli istituzionali di comportamento economico sarebbero distruttive all’interno delle rispettive economie” (M. ----- Orrù) ---mercato e società pag. 127. ----qui???----
Non necessariamente implicito è cosa Orrù intenda per “distruttivo”. Solitamente si intende un accezione negativa di questa parola, ma forse è più sensato intenderlo come un “distruggere per ricostruire”, ricostruire meglio. Perlomeno dal punto di vista del nostro discorso vogliamo intenderlo così. Dopotutto non è certamente accettabile che le barriere sociali a cui fa riferimento siano viste in maniera indiscutibilmente positiva… sia che questi requisiti tecnici siano stati costruiti dalle proprie istituzioni sociali o importati. Certo la resistenza ad ogni cambiamento è sempre forte, ma non sempre essa difende istituzioni efficienti, anzi! Probabilmente anche la società del baratto avrà tentato di difendersi. Ma oggi chi preferirebbe che ci fosse riuscita? Il progresso non deve essere confuso con “stravolgimento”. L’ostacolo al progresso perpetrato da determinate istituzioni sociali per motivi di parte non deve venir confuso con rispetto delle tradizioni! Ciò gioca solo a favore dei furbi. I quali si disinteressano delle “tradizioni” sociali fin quando non gli tornano utili. Il mondo non è immutabile, per fortuna. Quando la difesa di interessi particolari va a discapito della collettività non deve essere concepibile una loro difesa. Basti pensare ai luddisti. Se fosse stato per loro oggi andremmo ancora a cavallo e a remi, come gli amish. Inoltre il principale problema insito nei contesti competitivi e istituzionali descritti da Orrù si esplica non tanto nel funzionamento del sistema in sé, ma nell’esclusione di determinati attori. Cosicché di “sociale” nell’accezione solidaristica del termine quei contesti sociali “chiusi” hanno ben poco. Non tutti sembrano rendersene conto: i tentativi di risolvere povertà e disuguaglianza nel periodo/sistema fordista potevano “inscriversi nella traiettoria ascendente di una società caratterizzata dalla centralità del lavoro salariato e alimentata dalla crescita economica e dalla fiducia nel progresso sociale. Una volta spezzata questa dinamica, invece, il problema diventa tentare di ridurre i rischi di disgregazione sociale. Di qui l’invadenza della tematica della lotta contro l’esclusione che sembra aver rimpiazzato oggi la lotta contro la disuguaglianza” (R.------- Castel[53])
In un approccio così definito, ciò su cui allora va posta principalmente l’attenzione non consiste tanto nei beni e nelle risorse in se stessi, bensì nell’interconnessione tra le caratteristiche di questi beni e le capacità degli attori di utilizzarle: è da tale interconnessione, in effetti, che “dipendono le possibilità di fare e di essere […] che un bene può garantire e un disagio può compromettere” (N.---- Negri[54])
Pertanto il compito di tale approccio sociologico dovrebbe “consistere nell’analizzare i fattori che precedono l’esclusione per valutare i rischi della frattura sociale: nel considerare come funziona oggi l’impresa, come si incrinano le solidarietà e si sfaldano le sicurezze che garantivano l’inclusione nella società; come le situazioni limite di inscrivono in un continuum di posizioni che mettono in causa la coesione dell’insieme della società” (R.---------- Castel[55])
Il fatto che oggi il sistema produttivo, anziché unire, divida, dovrebbe essere un campanello d’allarme, invece è considerato normale. Abbiamo già visto l’influenza deleteria degli interessi particolari sui processi di istituzionalizzazione, i meccanismi di protezione attivati dalla società, le routine e gli schemi cognitivi appresi, le relazioni interpersonali interne ed esterne ai mercati, che tutti assieme e determinati da una certa filosofia sociale portano ad asimmetrie di potere. E di riflesso anche su ---psiche----. Il numero delle persone disagiate, fino al punto dell’indigenza, aumenta sempre più.
E le prospettive per il futuro non sembrano discostarsi, anzi, secondo Jeremy Rifkin “il plesso di potere che nasce dal controllo sulle risorse economiche e su quelle culturali si rivela nella questione dell’accesso. Per quanto le grandi reti che strutturano la nostra vita sociale appaiano liberamente fruibili, in realtà negli anni a venire l’accesso alle risorse fondamentali – in particolare ai mondi elettronici – sempre più costituirà il vero fattore discriminante”. E ciò perché: “la questione non riguarda più semplicemente l’accesso ai mezzi ma l’accesso – attraverso i mezzi – alla cultura. La possibilità stessa di connettersi con i propri simili, di esercitare attività economiche, di creare comunità in rete, di dare un significato all’esistenza, è sempre più vincolata alle nuove forme di comunicazione elettronica” (Jeremy Rifkin[56]). Secondariamente per questo motivo ad internet è lasciata la massima libertà da chi avrebbe tutt’altro interesse: checchè se ne voglia dire, internet è tutt’oggi ininfluente nel contesto mediatico globale. Il lavorio di questi censori difatti si svolge anche in questo campo nell’esclusione, instillando il disadattamento.
La società odierna richiede robot, non cervelli. Robot istruiti, programmati, ma privi di iniziativa. Il sistema giuridico esistente mira a isolare il potere di proprietà, d’impresa.
All’origine del disadattamento, abbiamo visto, l’incapacità od il rifiuto di adattarsi ad un sistema che si basa non sui meriti e le capacità ma su legami sociali del tutto indipendenti dalle effettive potenzialità su cui dovrebbe essere basata la ricerca dell’efficienza produttiva di una società. Basti pensare alla raccomandazione come unico metodo di assegnazione delle mansioni lavorative, invece di assegnare una persona al lavoro che più gli si confà. Il che è all’origine del disadattamento sociale di persone che in una società efficiente sarebbero, non necessariamente ai vertici, ma perlomeno avrebbero un ruolo adeguato nelle rispettive gerarchie, teso a far fruttare le loro potenzialità nell’interesse comune. Far combaciare capacità e mansioni dovrebbe essere un dovere ed un interesse delle società. L’aquila deve fare l’aquila, il gallo deve fare il gallo.
Fissato ne l’idea de
l’uguajanza
un Gallo scrisse all’Aquila: - Compagna,
siccome te ne stai su la montagna
bisogna che abbolimo ’sta distanza:
perché nun è né giusto né civile
ch’io stia fra la monnezza d’un cortile,
ma sarebbe più commodo e più bello
de vive ner medesimo livello.-
L’Aquila je rispose: - Caro mio,
accetto volentieri la proposta:
volemo fa’ amicizzia? So’ disposta:
ma nun pretenne che m’abbassi io.
Se te senti la forza necessaria
spalanca l’ale e viettene per aria:
se nun t’abbasta l’anima de fallo
io seguito a fa’ l’Aquila e tu er Gallo.
(Trilussa)
Il problema che puntualizziamo è che in questa società ci sono aquile che si credono polli, e polli che si credono aquile. Il problema generale della società è quindi che essa lo lascia credere. E questo è causa di una mole di problemi alla cui base sta la frustrazione e l’inefficenza causate da ciò. Cyril Burt per primo definisce disadattate le persone che svolgendo una mansione non adatta alle loro capacità non sono in grado di adeguarsi alle sue regole. Padre della psicometria, egli sosteneva che era possibile giungere ad una condizione di armonia produttiva semplicemente facendo incontrare le capacità individuali con le necessità di ciascuna professione. Da ciò se ne deduce che anche secondo lui oggi non sia così. Anche Frederick Taylor propose di far combaciare persone e professioni secondo schemi poi ripresi dalla psicometria, la quale oggi è un concetto quasi ignoto (perlomeno in Italia).
E’ indiscutibile che la nostra razza supera tutte le razze per il numero stragrande di geniali che produce. Nel più piccolo nucleo italiano, nel più piccolo villaggio vi sono sempre sette, otto giovani ventenni che fremono d’ansia creatrice, pieni d’un orgoglio ambizioso che si manifesta in volumi inediti di versi e in scoppi di eloquenza sulle piazze nei comizi politici. Alcuni sono dei veri illusi ma sono pochi. Non potrebbero giungere al vero ingegno. Sono però sempre dei temperamenti a fondo geniale, cioè suscettibili di sviluppo e utilizzabili per accrescere l’intellettualità geniale di un paese. In quello stesso nucleo o piccolo villaggio italiano è facile trovare sette, otto uomini maturi che nella loro piccola vita d’impiegato, di professionista nei caffè del loro quartiere e in famiglia portano sul capo l’aureola malinconica del geniale fallito. Sono dei rottami di genialità che non hanno mai avuto un’atmosfera favorevole e furono perciò subito stroncati dalle necessità economiche e sentimentali. Il movimento artistico futurista da noi iniziato undici anni fa aveva precisamente per scopo di svecchiare brutalmente l’ambiente artistico-letterario, esautorarne e distruggerne la gerontocrazia, svalutare i critici e i professori pedanti, incoraggiare tutti gli slanci temerarî dell’ingegno giovanile per preparare un’atmosfera veramente ossigenata di salute, incoraggiamento e aiuto a tutti i giovani geniali d’Italia. Incoraggiarli tutti, centuplicarne l’orgoglio, aprire davanti a loro tutti i varchi, diminuire al più presto, così, il numero dei geniali italiani falliti e stroncati. (Filippo Tommaso Marinetti, “Il proletariato dei geniali”)
Oggi è possibile “trovare lavoro” (ovvero esprimere le proprie potenzialità produttive) solo tramite reti relazionali basate su legami sociali, familiari, di categoria, di ceto, quartiere, partito, per cui ne è escluso chi non mantiene alcuno di questi legami sociali. Sia che questo attore sia migliore, sia che sia peggiore. E solitamente, ciò è innegabile, è ai meno adatti che va ogni rispettiva mansione, a causa dell’assegnazione di tali mansioni in maniera pressoché casuale e per nulla attinente con le proprie attitudini e cultura: potenziali cuochi messi a fare i giardinieri, potenziali giardinieri messi a fare i cuochi. Certo questo è un esempio-limite, ma per nulla inappropriato. Bisogna spezzare questa aberrazione in modo che tutti possano fare ciò che più si avvicina alle rispettive capacità. Cominciando dall’individuare le cause che portano a ciò. Sono l’arrivismo, l’egoismo competitivo e l’avidità ad impedire il progresso della società. E non sono prerogative di nessuno in particolare, ma sono comuni a tutti, a tutte le marxiane “classi”.
“Il problema nazionale è innanzitutto un problema di educazione e poco importa cambiare regime o partito se non si inizia innanzitutto a cambiare gli uomini” (Antonio de Oliveira Salazar)
In secondo luogo deve essere l’istituzione formativa per eccellenza, la scuola, a basarsi sul concetto di percorso formativo, in modo meritocratico. Questo può essere fatto soprattutto partendo dalla base della selezione, il sistema scolastico. Dato che la base de ------- la scuola, deve prima di tutto instradare la gerarchizzazione meritocratica. Mentre oggi sembra quasi sia l’opposto, nella scuola post-sessantottina dove a comandare sono più gli studenti che gli insegnanti, le stesse gerarchie sociali tendono a stratificarsi non a seconda delle capacità scolastiche come sarebbe lecito attendersi, ma a seconda della cosiddetta “popolarità” sociale tra la massa studentesca. Ciò è certamente indipendente dai voti scolastici assegnati dagli insegnanti, per cui il senso non è (per fortuna non ancora!) di selezione ----scolastica----- basata su ------, ma è innegabile che abbia influenza anche su questa disincentivando negli studenti una ---stimolo a studiare per superare tutti nei voti-------. L’esempio più ------ è il fatto che a causa di ------- sembra quasi che in alcuni ambiti (college Usa?) conti più la prestazione sportiva nella squadra scolastica che i voti nelle materie! Ma finchè ------ cultura affidata a gente che compra i libri in base alla copertina, e che inorridirebbe vedendo un libro spezzato in più parti, o con il bordo unto dalle dita, ---– nozionismo?— I risultati di ciò sono evidenti. Diplomati e laureati ignoranti quanto un asino sono pressoché la norma. L’esempio maggiormente calzante di persona sedicente colta ma in realtà ignorante e stupida è il figlio dottore di Alberto Sordi nel film ---dove vai in vacanza?----- Leggere senza capire --- La banalissima equazione E=MC2 è il tipico caso sul quale ci si può capacitare ---- chiedete di leggerla ad un liceale diplomato ---- ben pochi sapranno dire qualcosa del tipo “convenzionalmente l’energia viene fatta equivalere alla massa (o materia) moltiplicata per una costante definita dalla velocità della luce elevata al quadrato”. L’eccezione casomai sono quelli veramente ----istruiti e meritevoli-------. Ma finchè un pezzo di carta livellerà tutti in massa ---------. Le gerarchie meritocratiche stabilite tramite attestati da esaminatori che delle gerarchie capovolte sono essi stessi l’espressione --------.
“La cultura [...] è organizzazione, disciplina del
proprio io interiore; è presa di possesso della propria personalità”
(Antonio Gramsci)
Superfluo precisare che le scuole dovranno essere basate sulla psicometria ----- mettere anche su scuola.
Servono più operai che ingegneri, certo. L’arte e la filosofia non danno da mangiare, certo, ma pensiamo se Leonardo da Vinci non avesse avuto un mecenate oggi non avremmo la Gioconda. Non si vive di solo pane. Così come i settori primario e secondario permettono l’esistenza del terziario, il lavoro degli inferiori col surplus prodotto deve poter consentire ai superiori di poter pensare per un futuro migliore per tutti. Se per produrre il nutrimento per dieci persone ne basta agevolmente una, che senso avrebbe impiegare tutti e dieci ad un’unica mansione? Cosa farebbero gli operai se non ci fosse un progettista a dirgli cosa fare? Inoltre la forbice tra essi si restringe sempre più, con l’aumento dell’automazione. Non è lontano il giorno in cui il lavoro manuale sarà quello affidato ai programmatori CAD.
“Assai sa chi non sa, se sa obbedire” (Tommaso Campanella)
Per inventare la lampadina non sono stati necessari migliaia di laureati. Ne è bastato uno. Per questo secondo il distributismo la selezione scolastica dovrebbe essere basata non su numeri chiusi (e non del tutto sui voti assegnati) ed altri disincentivi, ecc, ma su prolungamento per i migliori, incentivandoli proprio in tal senso: master post universitari e specializzazioni varie, riconosciuti come diplomi dalle istituzioni, quasi all’infinito. Premio personale (oltre alle borse di studio) per mantenersi, a partire dal post università. A fondo perduto per chi rimane poi in Italia, da restituire per chi va all’estero. ------mettere anche su scuola--------
Una volta instradata sulla via professionale ritenuta consona alle proprie attitudini, ogni persona dovrebbe avere la possibilità di accedere alla mansione su cui compete, o perlomeno quella che più gli si avvicina (sembra che oggi tutti vogliano fare gli avvocati, ma per fortuna non siamo ancora arrivati ad un mondo nel quale metà popolazione sta in galera e l’altra metà ci lucra sopra). Questo non significa che tutti gli aspiranti musicisti debbano poter fare i musicisti, altrimenti avremmo una società di musicisti privi di strumenti musicali! Significa che i migliori tra tutti devono poter svolgere le rispettive aspirazioni a seconda della quantità necessaria complessivamente, e tutti gli altri adeguarsi a compiti che più si avvicinino a quanto abili. E qui interviene il meccanismo che oggi è assente (o meglio, impedito), quello di possibilità di espressione delle proprie capacità. Ma non si fraintenda: così come non sarà espropriata alcuna proprietà, nemmeno il lavoro dipendente sarà abolito, ma sarà data per tutti libertà e soprattutto possibilità (cosa che oggi non esiste) di scelta. Dare la libertà non è la stessa cosa di dare la possibilità. Negli Usa tutti hanno la libertà di arrivare a diventare presidente, ma ben pochi ne hanno la possibilità.
“Abbiamo escogitato un intero sistema per impedire ad uno come te di diventare presidente” (Abram Simpson)
Effettivamente il capitalismo è
riuscito a creare una potenziale abbondanza di ricchezze capaci di soddisfare
su vastissima scala i bisogni dell’umanità, senza però riuscire a mettere
totalmente in pratica tale potenziale. Se l’intero sistema
fosse organizzato in maniera coerente, a quale ulteriore livello di sviluppo
saremmo oggi? Come non bastasse il caso dell’energia nucleare sottoutilizzata
(se vivessimo in una società razionale anche gli scaldabagno andrebbero ad
energia nucleare), si pensi all’automobile come paragone. Quando l’automobile
nacque il principale ostacolo per i progettisti era superare la difficoltà nel
far partire da fermo il motore a combustione interna (il motore a vapore invece
non aveva questo problema). Per anni decine di ingegneri si scervellarono per
trovare una soluzione, inventando alfine il complicatissimo sistema
frizione/marce, quando sarebbe semplicemente bastato applicare come meccanismo
di partenza un semplice motorino elettrico (che poco dopo sarebbe comunque
stato presente nelle auto come sistema di accensione) al posto della prima e
seconda marcia (in ogni caso le prime auto avevano al massimo 3 marce). Invece
abbiamo dovuto attendere e sopportare inutilmente cento anni di frizione, di
freni consumati e di energia sprecata, prima che venisse prodotta la prima auto
razionale, ma pomposamente sbandierata come innovativa e chiamata “auto
ibrida”. Se la nostra fosse la migliore società possibile l’auto sarebbe semplicemente
nata “ibrida”. E senza questo assurdo aggettivo a distinguerla. Per non parlare
poi del boicottaggio della tecnologia dell’iniezione di acqua come inerte. Con
questo non si vuole criticare gli ingegneri automobilistici, ma farne un
paragone con la società e la politica, e, verificando come anche oggi il
mercato delle auto ibride venga intralciato, considerare il fatto che esiste
qualcuno che rema contro al progresso razionale per favorire al suo posto i
propri interessi personali evidentemente sussistenti sullo “statu quo”
dell’inefficienza. Da cui ne deriva che l’ostruzionismo verso le scelte
migliori non è necessariamente causato da stupidità, ma a volte proprio dal
contrario, furbizia. Basti pensare agli acquedotti incompleti in Sicilia.
E’ chiaro anche agli inesperti come certe
infelici decisioni di cui beneficerebbe l’intera umanità devono sottostare ai
diktat economici dei Signori del Potere; chiamarli governi, chiamarli politici,
chiamarle multinazionali è la medesima cosa, visto che parliamo di tutti
appartenenti alla medesima filiera maligna. L’inusitato boicottaggio di
soluzioni innovative non ha sicuramente altre motivazioni e purtroppo intere
schiere di eminenti studiosi tecnici ed economici si piegano al volere in nome del dio Denaro. --- o Mammona?-----
Quale miglior esempio se non la base della formazione culturale ispirata alle esigenze dell’“intellighenzia”, il sistema educativo odierno poc’anzi descritto? Difatti solitamente a determinare le gerarchie conviene anche il diploma scolastico, il quale dovrebbe rappresentare affidabile garanzia di cultura e capacità.
Avendo già accennato alla gerarchizzazione
extra-meritocratica di tradizione sessantottina, rimane da analizzare il
nocciolo, o quel che dovrebbe esserlo. Cercando di evitare di polemizzare
sull’iniquità delle classificazioni su voti assegnati da insegnanti sulla base
della cultura, la critica che rivolgiamo al sistema scolastico odierno è di
essere generalmente ancor oggi improntato prettamente sul nozionismo, che,
parafrasando l’arrivismo, consente di raggiungere voti maggiori a chi più lo
desidera, non a chi più ne è capace. Apprendere
nozioni non sapientemente integrate con studi ed analisi empiriche equivale a
costruirsi un tipo di cultura “ad personam” buona soltanto per riempire
cruciverba. Lungi da noi criticare chi si sacrifica studiando con
determinazione oltre le proprie capacità. Ma tra cultura ed intelligenza c’è
una certa differenza. Ad apprendere tutti sono capaci. A comprendere non
tutti. A creare ancor meno.
“Quando sento parlare di cultura, la mano mi corre alla fondina” (Hermann Göering)
Inoltre oggi che un’elevata percentuale di studenti raggiunge il massimo traguardo, questo ha perduto il suo senso, e la conferma è la ben nota elevata percentuale di laureati disoccupati. Di contro quelli che invece ----terza media------. Il sistema scolastico è degenerato soprattutto dopo la contestazione studentesca del ’68, quando l’istruzione si è massificata creando un esercito di automi incapaci di svolgere una qualunque mansione pratica e disdegnando qualunque compito che esulasse dalle proprie “competenze” nozionistiche attestate. Non c’è miglior indicatore spontaneo quale gli annunci di lavoro dei primi anni ’70, ove veniva spesso ristretto il campo ai “laureati prima del 1968”…
“Mi resi conto come i sessantottini incendiarono il mondo pensando a se stessi, mentre Jan Palach incendiò se stesso pensando al mondo. Come Josef Kudelka che si pose inerme davanti ai panzer sovietici: lui affrontò i carri, gli altri la carriera” (Marcello Veneziani)
Per evitare ulteriori tragicità abbiamo deciso di soprassedere qualsiasi discorso sulle condizioni in cui versa il sistema scolastico italiano nell’anno 2010 e sul livello qualitativo degli studenti delle ultime generazioni. Le eccezioni che sicuramente molti conosceranno nella propria sfera personale non faranno altro che confermare la regola: la massa scolastica giovanile del 3 millennio ha le stesse movenze di un gregge di pecore al pascolo. E ad offendersi del paragone dovrebbero essere proprio le pecore.
«Tu[57] offri l’apparenza, non la verità; quand’essi, avranno letto tante cose senza nessun insegnamento, si crederanno in possesso di molte cognizioni, pur essendo rimasti ignoranti e avranno non la sapienza, ma la presunzione» (Thamus)
La differenza tra arrivismo e determinazione sta nel concetto di meritocrazia, che è alla base della filosofia della persona determinata; invece tale concetto è snobbato dall’arrivista, la cui base filosofica è il cinismo. La forma più basilare di arrivismo è definita “servilismo”. Dato per presunto che i posti di potere siano in maggior parte già detenuti da arrivisti, è scontato sottolineare che essi favoriranno i loro simili (per il deferente servilismo ricevuto, o “grooming”), grazie all’origine delle gerarchie, stabilite dall’alto verso il basso negli organigrammi, inserite in una specie di sistema di caste fantasma, di cui anche il nepotismo è parte integrante. Nei vertici del potere le amicizie sono alleanze spesso, molto spesso, aleatorie e dettate dalla contingenza. La politica del distributismo prevede l’inversione in tutti i campi di questa direzione della gerarchia, facendone partire la determinazione in modo corporativo ovvero dal basso verso l’alto. Alla società attuale il distributismo contesta che è proprio quella odierna la “piramide gerarchica” disarmonica nelle proporzioni e iniqua nelle attribuzioni, e che ciò è la fondamentale causa dei dichiarati difetti sociali del capitalismo ai quali il distributismo esplicita di saper por rimedio facilmente, tramite le modalità espresse in questo libro.
“La ricerca della verità e della conoscenza è una delle più alte attività umane, anche se spesso ne menano più vanto quelli che meno vi partecipano” (Einstein)
L’interesse politico non è secondario nella strutturazione del sistema scolastico. I settori altolocati di uno Stato hanno sempre avuto la necessità di intellettuali come sostegno all’apologia del loro potere con opere ed enunciati che mantenessero culturalmente le masse in soggezione, creando e manipolando il “mainstream” (opinione maggioritaria) sotto una paternalistica cupola “conoscitiva”. Fino ad un certo momento della storia dell’umanità, nella maggioranza delle società, fu la religione a costituire la categoria dei modellatori di opinione che faceva l’apologia a sostegno di quel potere. Oggi, in una più laica epoca, ci sono i tecnocrati, gli “scienziati sociali” e folte schiere di intellettuali mediatici di professione (“opinion maker”) a svolgere tale ruolo venendo a formare lo staff dell’“intellighenzia” statale. Secondo l’economista Murray N. Rothbard oggi viviamo in un mondo fondamentalmente statalizzato dominato da una elite di potere consistente in una coalizione di governo allargato, grandissime imprese concentrate e vari gruppi di influenza fondati sulla tutela di interessi particolari. Anche la tipica concezione americana semi-anarchica, fondata sulle libertà individuali, sulla proprietà privata e sul governo limitato all’indispensabile è stata da tempo rimpiazzata da una coalizione di politici e burocrati influenzati da lobbies particolari, riunite assieme in macro-organizzazioni all’uopo come la commissione Trilateral ed il gruppo Bilderberg, enti che manovrano le classi di tecnocrati ed intellettuali e le elite giornalistiche e mediatiche, formando la classe dei modellatori di opinione nella società, i “think tank”, i “fabbricanti di pensiero”, intellettuali e storici numericamente prevalenti (“mainstream”). Inevitabilmente, dato che tutto il sistema scolastico è funzionale gramscianamente alla creazione di queste pseudo-elite auto-nominatesi tali, il cui esempio lampante è il “Nobel” dato a Dario Fo.
Quanto detto finora in questo capitolo può essere riassunto in un discorso scritto ---140- ---- anni fa da Giuseppe Mazzini:
“Ma che mai importavano i diritti riconosciuti a chi non aveva mezzo d’esercitarli? Che importava la libertà d’insegnamento a chi non aveva né tempo, né mezzi per profittarne? Che importava la libertà di commercio a chi non aveva cosa alcuna da porre in commercio, né capitali, né credito? La società si componeva, in tutti i paesi dove quei principi fondamentali furono proclamati, d’un piccolo numero d’individui possessori del terreno, del credito, dei capitali; e di vaste moltitudini d’uomini non aventi che le proprie braccia, forzati a darle, come arnesi di lavoro, a quei primi e a qualunque patto, per vivere: forzati a spendere in fatiche materiali e monotone l’intera giornata: cos’era per essi, costretti a combattere colla fame, la libertà, se non un’illusione, una amara ironia? Perché così non fosse, sarebbe stato necessario che gli uomini delle classi agiate avessero consentito a ridurre il tempo dell’opera, a crescerne la retribuzione, a procacciare un’educazione uniforme gratuita alle moltitudini, a rendere gli strumenti di lavoro accessibili a tutti, a costituire un credito per il lavoratore dotato di capacità, di iniziativa e di buone intenzioni. Ora perché lo avrebbero fatto? Non era il benessere lo scopo supremo della vita? Non erano i beni materiali le cose desiderabili innanzi a tutte? Perché diminuirsene il godimento a vantaggio altrui? S’aiuti dunque chi può. Quando la società assicura ad ognuno che possa l’esercizio libero dei diritti spettanti all’umana natura, fa quanto è richiesta di fare. Se v’è chi per fatalità della propria condizione, non può esercitarne alcuno, si rassegni e non incolpi persona” (Giuseppe Mazzini)
Noi pensiamo che in una società dove le menti più brillanti devono ridursi a fare i barboni oppure i criminali, evidentemente c’è qualcosa di sbagliato. Ma notiamo come il mondo non sia sempre stato così.
“Il distributismo non è una nuova prospettiva o un nuovo programma economico, bensì la proposta di tornare all’economia che prevalse in Europa per i mille anni in cui era cattolica” (Hilaire Belloc)
Questo non significa
evidentemente manifestare un desiderio di voler tornare al feudalesimo ed
all’economia curtense, ma ripensare agli spunti offertici dal sistema di un
epoca in cui vigeva la “pax” sociale (nonostante le leggende marxiste
vogliano far credere altrimenti) grazie all’efficienza allocativa attualizzata
alle possibilità di un momento in cui le gerarchie erano basate sul merito e
non su meschini intrallazzi, ed il sistema economico era un tutt’uno, non come
i giorni nostri in cui il sistema produttivo ed il sistema monetario sono a
tutti gli effetti due entità separate. Mentre gli utopisti anarco-liberisti
precursori del distributismo ammirano il pluralismo competitivo medievale e
concordano con il realismo della filosofia opposta ai “princìpi dell’89”, i
liberaldemocratici sono gli eredi di quel “liberalismo” illuminista e
rivoluzionario che, dopo aver contribuito a demolire i retaggi medievali e ad
edificare il monopolio “democratico”, hanno poi la pretesa che sia possibile
limitarne il potere mediante artifici e cavilli interni (i diritti civili, le
costituzioni, la divisione dei poteri, le elezioni partitiche, la generalità e
astrattezza interpretativa delle leggi e così via) rivelatisi poi in buona
parte inefficaci e demagogici. La questione principale è che queste regole sono
state modellate sulle necessità particolari dei modellatori, i quali pretendono
di affermare a nome di tutti il principio del dovere individuale, e
trasferiscono alla comunità nazionale, cioè allo Stato, il titolo del diritto,
si, ma da loro stessi vergato! La vera
libertà comporta il principio di responsabilità individuale, perché solo in una
condizione di libertà l’individuo ha l’opportunità (ma anche l’onere) della
scelta.
“La libertà significa
responsabilità: ecco perché molti la temono” (George Bernard Shaw)
Nonostante le persone comuni
siano tese ad immaginare che il funzionamento dei sistemi politici sia
semplice, e quindi la democrazia in quanto tale sia per definizione il migliore
a prescindere, i politici più accorti sanno che il discorso è ben diverso. Il
“diritto” è una questione estremamente complessa. Come un cavo elettrico, da
toccare solo coi guanti.
---qualcosa??----- monopolizzazione del parlamentarismo come unica
democrazia?
Prima di tutto la politica come ogni altra attività umana è sottoposta alle emozioni umane. Christopher Lasch in particolare studiò le emozioni umane in politica, evidenziando come il narcisismo fosse particolarmente influente. Egli testimoniò di come il gioco della politica è dominato da meccanismi mentali imperscrutabili alle persone comuni, che di conseguenza ne sono del tutto escluse in partenza.
Si pensi poi alla confusione esistente sui significati dei termini. Uno su tutti, l’equivoco che vige tra i concetti di liberalismo politico e liberismo economico, che sono due cose diverse l’una dall’altra. Il liberalismo politico è la filosofia delle libertà civili e sociali e del rispetto dei diritti dell’uomo. Il liberismo economico è la filosofia del “laissez faire” ovvero della massima libertà in economia. Ovviamente non necessariamente vanno di pari passo, si pensi al Cile di Pinochet, che era il massimo del liberismo economico in una politica prettamente illiberale. Anche se è innegabile che il liberismo sguazzi con più agio nel liberalismo, che difatti tende storicamente a prediligere sostenendolo fin quando possibile, fin dove possibile. Generalmente si può accomunare i conservatori al completo laissez faire, ed i liberali a qualche regolamentazione. Specificare che differenza liberali-conservatori
Anche il concetto di “democrazia” è una questione che se oggi appare scontata, non lo era ai primordi della massificazione del potere politico, o meglio, della massificazione della comprensione del senso della politica.
“Democrazia è la parola d’ordine che nei secoli XIX e XX domina quasi universalmente gli spiriti; ma proprio per questo, essa perde, come ogni parola d’ordine, il senso che le sarebbe proprio” (Hans Kelsen[58])
Ovviamente l’assenza di univocità sui significati dei termini presupponeva che ognuno desse anche alla democrazia la sua interpretazione personale. Anzi, accadde che ad un certo punto ognuno si impadronisse di questa parola! Da cui il sorgere di una miriade di partiti il cui nome la conteneva. Ma si pensi ai parlamenti ottocenteschi, completamente diversi nella composizione rispetto a poi. La sinistra era rappresentata dai liberali (che oggi sono la destra!) e solo successivamente comparvero come ulteriore ala sinistra i liberali radicali. Lecito chiedersi quindi chi stesse a destra… ebbene ci stavano i conservatori, che oggi quasi non esistono (se non in Gran Bretagna, ma non certo ricalcando quelli di 150 anni fa). Oggi sarebbe difficile comprendere la differenza tra essi, perlomeno in Italia. Negli Usa invece questa differenza è continuata fino ad oggi, inevitabilmente dato l’assoluto ristagno politico americano, che ne fa l’antitesi del concetto che pur’essi vorrebbero dare alla parola “democrazia”. Ma che in realtà alla fin fine ne rispecchia il vero significato, paradossalmente. Il modificarsi dei significati è testimoniato dal fatto evidente che anche la più avanzata delle democrazie del passato era peggiore della peggiore dittatura odierna, dal punto di vista del diritto. E riguardo come venivano recepiti gli schieramenti, tra cui quelli già descritti, si può paragonare che ------ i liberali in origine erano equivalenti agli odierni marxisti residui – e difatti in Usa lo sono visti come tali ancor oggi!
Ma l’apoteosi dell’ignoranza sui termini politici, per quanto riguarda gli italiani, vige sui due partiti americani. Convenzionalmente il partito democratico è quello che sta a sinistra, e quello repubblicano a destra. Qualunque pseudo-politologo italiano inorridirebbe quindi venendo a sapere che tra i due quello erede dei sostenitori dello schiavismo è quello democratico. Basterebbe poi osservare la cronistoria della distribuzione geografica del voto, dopotutto. Da questo punto di vista la frattura degli Usa è ancora insanabile: al sud imperano i democratici, al nord i repubblicani.
Anche per questo è assai difficile paragonare gli schieramenti politici americani con quelli britannici e fare un parallelo tra i rispettivi partiti.
Anche i paralleli storici tra diversi regimi --------- paiono inappropriati. Di conseguenza chi riesce a distinguere quest --------- e a fare il paragone col giorno d’oggi può guardare con realismo il ricorso odierno a falsità descrittive, a cupi scenari o comiche macchiette per indirizzare a retoriche viste in modo farsesco ma incutenti timore nel ricordo modificato di chi non c’era e non sa (e soprattutto non vuole sapere). Ovvero: quelli che vivevano in quelli che oggi vengono definiti “tempi bui”, sapevano di star vivendo in tempi bui? Inevitabile chiedersi se un domani qualcuno definirà “buio” oppure “luminoso” il tempo che stiamo vivendo ora…
E’ tutta una questione di interpretazione. Certamente nel XIX secolo dirsi liberale equivaleva a marchiarsi di rivoluzionario, mentre nell’Italia degli anni ’70 equivaleva all’esatto opposto… Oggi che l’accezione si è stabilizzata su una via di mezzo, più o meno tutti si dicono liberali, anche i più arcaici patriarchi tayloristi alla “Agnelli”.
Per questo quando si leggono autori del passato si deve fare attenzione al significato temporale delle parole. All’inizio del secolo XX, democrazia e liberalismo erano concetti identificati come progressisti quando non addirittura rivoluzionari; e non conservatori come sono interpretati oggi. ----- 900 pag. 32.
Lenin stesso definiva i bolscevichi i “giacobini della socialdemocrazia contemporanea[59]”, e fino al 1917 il partito bolscevico russo si chiamava “Partito operaio socialdemocratico di Russia”.
Non dovrebbe stupire quindi la critica alla democrazia che da più voci giungeva aspra, dati i diversi contesti ed il diverso significato che prendevano i termini rispetto ad oggi che vige una mentalità unificata.
“La democrazia è la veste con cui si presenta il declino dello Stato” (Thomas Mann[60])
Anche Nietzsche parla di “democrazia moderna come forma storica della decadenza dello Stato[61]”
Secondo Vilfredo Pareto la democrazia è la forma politica della decadenza: “oggi il reggimento democratico di molti pari si può definire, sotto alcuni aspetti, una feudalità in gran parte economica. Qui come mezzo di governo si usa principalmente l’arte delle clientele politiche[62]”.
Ma al di là di tutte le forme politiche ipotizzabili, e relative diatribe, il punto principale di tutta la questione è il concetto di “potere”. Perché è ad esso che sono finalizzate tutte le ideologie coi loro sistemi. Potere inteso non puramente nel senso comune che ha preso accezione negativa, ma “amministrazione”. La quale implicitamente comprende comunque l’accezione negativa di “potere di fare e di impedire”.
“Democrazia significa semplicemente far bastonare il popolo dal popolo in nome del popolo. L’abbiamo smascherata” (Oscar Wilde)
Secondo Schumpeter, il compito fondamentale della democrazia non era la trasmissione della volontà popolare o la rappresentanza degli individui, ma la “produzione di un governo”. Karl Popper afferma che «“Democrazia” significa letteralmente “governo del popolo” ma il significato letterale del termine aiuta poco perché, in realtà, il popolo non governa da nessuna parte. In tutto il mondo governano i governi e il massimo che il popolo può chiedere, e di fatto chiede, è che i governi governino nel modo migliore possibile».
Con queste definizioni essi ribaltavano gli classici stereotipi che indicano la democrazia come nobile proposito umanistico ed egualitario, degradandola a ciò che in realtà è, ovvero semplice tecnica di costruzione elettiva dell’elite che avrebbe dovuto governare. Come paravento le varie “regole per la presentazione del leader”, “per la libera competizione elettorale”, “per l’efficiente funzionamento della domanda e dell’offerta” nel “mercato politico” e della “impresa politica”. Tutti specchietti per le allodole finalizzati ad ottenere una legittimazione incontestabile al mandato del potere, mandato dalla stretta ben superiore a quello divino di tradizione monarchica. A determinare le scelte politiche non il buon senso, ma le “volizioni di gruppo” e cioè i “gruppi di pressione” sugli eletti. Per Schumpeter la democrazia è il “governo dell’uomo politico”, sui quali il popolo ha solamente la possibilità di accettare oppure rifiutare i candidati. Legislazione e amministrazione sono prodotti meramente dalla lotta di concorrenza per il potere politico, non da vani ideali sbandierati per accattivarsi il consenso delle masse elettorali. L’unico motivo della democrazia è il potere, e nient’altro. Il mezzo più sicuro per ottenere il potere. Facendo credere alle masse, ingannandole.
«La differenza fra la monarchia e la repubblica più democratica consiste nel fatto che nella prima il mondo burocratico opprime e taglieggia il popolo per maggior profitto dei privilegiati, delle classi proprietarie, e delle sue proprie tasche in nome del sovrano; nella repubblica opprimerà e spoglierà il popolo nella stessa maniera, a profitto delle medesime classi, però in nome della volontà del popolo. Nella repubblica la cosiddetta nazione, la nazione legale, che si suppone rappresentata dallo stato, soffoca e soffocherà sempre il popolo vivente e reale. Ma il popolo non si sentirà affatto più sollevato quando il bastone che lo percuote prenderà il nome di bastone del popolo» (Michail Bakunin)
Secondo tale prospettiva è del tutto secondaria l’ampiezza del quorum, ed il cosiddetto “diritto” di voto altro non è che una funzione puramente tecnica, dato che si tratta meramente di avvallare i rappresentanti del potere politico. Le estensioni del suffragio sono irrilevanti quindi ai fini della democrazia rappresentativa (in ogni caso qualcuno verrà eletto…). -------su voto diritto o dovere----e su Atene----
Quindi non c’è molta differenza tra il vecchio sistema sovietico a partito unico e quello americano a due partiti. Dal punto di vista del risultato, le differenze poi si annullano del tutto.
“Tutto dipende dall’uguaglianza di chances nella conquista del potere politico interno” (Carl Schmitt) --- o su bipartitismo usa??---
Robert Dahl respinge la visione di Schumpeter sostenendo che un sistema che limiti in qualche modo il suffragio non è definibile come democrazia ma come sistema dominato da un elite collegiale. Ma permane il nocciolo della questione: qualcuno comunque verrà eletto, a qualcuno comunque dovrà andare l’amministrazione. Qualcuno comunque avrà il potere, qualcuno comunque governerà. Indipendentemente che sia stato eletto e da chi, dovrà farlo con il consenso dell’intera nazione o comunque della parte più influente. Come in tutti i sistemi. Anzi paradossalmente tanto più il suffragio si estende, tanto più si allontana la possibilità di accesso.
“Gli uomini pagano l’accrescimento del loro potere con l’estraniazione da ciò su cui lo esercitano[63]” o su Secondo Niklas Luhmann???
Questo significa che quello che deve interessare analizzare non è tanto la differenza tra un sistema e l’altro, ma il concetto di “potere”. Il potere, sia che lo si intenda come “capacità d’azione” oppure nell’accezione – limite (ma non di rado coeva alla prima) di relazione di dominio – ha molto a che fare con lo sviluppo delle interazioni sociali entro le quali, concretamente, le pratiche e le strutture dell’economia si realizzano. ---mercato e società pag. 79.
Il nocciolo della questione sta quindi nel concetto di “azione sociale”: un ordinamento siffatto “non consiste semplicemente nella codificazione di norme convenzionali, ma implica l’esistenza di un sistema dominante di regole sociali” (R.------ Clegg) ---mercato e società pag. 88.
E su questo verte l’analisi di questo testo riguardo le forme politiche come riflesso di quelle economiche, e sulla loro reciproca interazione.
----come unire?------
E come abbiamo visto sopra quelli che non accettano quello vigente vengono esclusi o si autoescludono.
“Naturalmente nessuna società può essere uno schema di cooperazione a cui gli uomini partecipano volontariamente in senso letterale, ognuno nasce in una certa società e in una particolare posizione e la natura di questa posizione influenza concretamente le sue aspettazioni di vita” (John Rawls)
La società solamente “si avvicina quando più è possibile all’idea di uno schema volontario” (John Rawls) ---questo discorso è opposto a contrattualismo liberale di stampo economico.
E ciò che interessa a noi della politica è primariamente la sua influenza sul sistema economico. Partendo dall’azione sociale.
-------- ------spostato----- ---- ----- ------
“Un’analisi efficace dell’azione umana richiede di evitare l’atomizzazione implicita negli estremi teorici delle concezioni ipersocializzate e iposocializzate. Gli attori non si comportano e non decidono come atomi al di fuori di un contesto sociale, né aderiscono passivamente ad un copione scritto per loro da una particolare intersezione di categorie sociali a cui capita loro di appartenere. I loro tentativi di compiere azioni intenzionali sono, invece, radicati in sistemi di relazioni sociali concreti e attivi” (Mark Granovetter)
Ontologia utilitaristica o atomistica: all’interno di questa cornice di riferimento, che (proprio come avviene nell’analisi microeconomica) genera normalmente modelli di indubbia eleganza formale, si tende peraltro a interpretare anche forme di comportamento collettivo la cui origine non pare immediatamente riconducibile a scelte egoistiche individuali. E’ il caso, ad esempio, della cooperazione (nel mercato, nella sfera politica, negli ambiti di vita quotidiana), concepita come il risultato della decisione di soggetti razionali di impedire i risultati subottimali o le disutilità legati alle difficoltà (tipicamente, l’opportunismo) nel coordinamento dell’azione attraverso sistemi di incentivi e sanzioni che fanno leva sull’inclinazione dei soggetti a mettere in atto le condotte più coerenti con il calcolo razionale dei risultati in termini di costi e benefici personali. ----free riding?---- ---mercato e società pag. 98. --- su organicismo ----
Su questo si basa il concetto di “capitale sociale” (in senso sociologico, non nell’accezione economica aziendale), inteso nel -----organicistico------
Il capitale sociale riconduce alla “capacità degli attori di assicurarsi benefici in virtù della loro appartenenza a determinate reti o altre strutture sociali” (Alejandro Portes) ---mercato e società pag. 194.
In questo contesto, le possibili fonti del capitale sociale risultano diverse, anche se possono essere prevalentemente ricondotte a due gruppi di motivazioni: uno basato su argomentazioni di principio, l’altro invece riconducibile a ragioni strumentali. Nel primo sono collocabili situazioni in cui gli attori contribuiscono a produrre un “bene comune” (traffico ordinato, basso tasso di criminalità) poiché “sentono un obbligazione a comportarsi così” (value introjection). Anche partecipare a sciopero o arruolarsi in guerra.
Nel secondo gruppo (strumentale): norma di reciprocità, ovvero una mano lava l’altra. ---mercato e società pag. 194.
Sulla base di ciò Alessandro Pizzorno distingue capitale sociale di solidarietà (il primo) (legami sociali forti), e capitale sociale di reciprocità (il secondo) (legami sociali deboli). ---mercato e società pag. 195.
Questa la grande differenza che è chiaramente riscontrabile tra il nord ed il sud Italia, come anche osservato dal colonnello Likus e derivato dalla differente storia sociale, basata sul legame comunale nel nord, e sul perpetuarsi del feudalesimo baronale nel sud.
“I benestanti e i dirigenti risentono dei costumi lasciati prima dagli angioini, poi dagli spagnoli: mancano di senso sociale e di responsabilità, di cultura e di onestà. Essi sono i maggiori denigratori del loro popolo, che taglieggiano volendo vivere senza far nulla” (colonnello Likus[64])
Tanto che perfino Ferdinando II non poteva sopportare la genia degli avvocati napoletani, tutti per lui liberali e massoni incalliti, mestatori della peggior risma che si servivano della giurisprudenza non certo al servizio della vera giustizia. In realtà Ferdinando, con tutta la sua buona volontà, non poteva eliminare la tendenza alla sopraffazione e all’intrigo che era comune alla classe dirigente di tutta l’Italia meridionale, e non solo.
Gli effetti negativi del capitale sociale secondo Vando Borghi e Mauro Magatti sono: esso filtra, limita ed esclude l’accesso a quegli spazi sociali (siano essi luoghi fisici, condizioni occupazionali, set di informazioni, conoscenze o altro ancora) per tutti coloro che, per ragioni di origine sociale, etnica, o sessuale, di appartenenza politica, di prossimità culturale sono esterni a quella stessa rete. Esercita un controllo e limita l’autonomia degli attori interni alla rete attraverso sanzioni di diversa natura.
Le conseguenze negative del capitale sociale secondo Alejandro Portes sono: l’esclusione degli outsider (ad esempio il controllo da parte delle reti etniche, di volta in volta diverse, dell’accesso a determinati settori occupazionali, vedi cattolici e protestanti in Irlanda del nord). Il sovraccarico di pretese nei confronti di certi membri di un network sociale (che può costituire un pesante limite al successo di una determinata attività imprenditoriale a causa della pressione all’impiego di familiari e parenti nell’impresa stessa; Weber sottolinea al contrario, il carattere impersonale di tali pratiche e delle transazioni economiche come tratto determinante del successo imprenditoriale puritano. Il conformismo come requisito indispensabile per ottenere la membership (appartenenza) ad un determinato gruppo sociale e quindi alle risorse da esso amministrate (si tratta, potremmo dire, del lato oscuro delle comunità coese in cui l’indipendenza e l’eterodossia conduce all’esclusione dai vantaggi che esse possono procurare). La presenza di norme sociali che “spingono verso il basso” (downward levelling norms) come nel caso di reti di solidarietà e sostegno fondate sulla contrapposizione alla (o esclusione dalla) società nel suo insieme o agli stili di vita in essa prevalenti (come nelle gang metropolitane). ---mercato e società pag. 200.
Asimmetrie di potere, processi di istituzionalizzazione, meccanismi di protezione attivati dalla società, routine e schemi cognitivi appresi, relazioni interpersonali interne ed esterne ai mercati.
“Le logiche organizzative costituiscono le basi ideali per i rapporti di autorità istituzionalizzati” (Nicole Biggart) ---mercato e società pag. 213.
----aggiungere?------
“Nella società informazionale il potere non sparisce, ma si inscrive, ad un livello molto profondo, dentro i codici culturali attraverso i quali le persone e le istituzioni si rappresentano la loro vita e prendono decisioni. Il potere, benché reale, diventa immateriale […]. E’ immateriale perché tale capacità deriva dalla abilità di inquadrare l’esperienza di vita all’interno di categorie che predispongono ad un dato comportamento” (Manuel Castells) ---mercato e società pag. 232.
---- ---- ---- ----- fino a qui spostato--- ---- ---- ----- ----
Il potere oggi identificato come plutocrazia è un ----stravolgimento------ di questo ------- contesto di capitale sociale. All’origine di questo stravolgimento --------------.
“Non si dovrebbe permettere l’esistenza di nessuna organizzazione o comportamento che impedisca l’effettivo funzionamento del meccanismo di mercato sulla linea della finzione della merce” (Karl Polanyi[65])
Il distributismo si pone il massimo laissez faire come obiettivo, proprio per questo. Per permettere a tutti la possibilità di espressione delle proprie capacità.
Per Max Adler si pone il quesito “L’organizzazione della vita economica, che il capitalismo si è sforzato di realizzare in misura sempre crescente, sarà fatta a vantaggio di un’oligarchia di capitalisti, oppure a vantaggio della comunità?” ---- Max Adler, “Democrazia politica e democrazia sociale”, ed. Astrolabio. ---
C’è da chiedersi: le due cose non coincidono? Il fatto è che, si, le due cose in definitiva coincidono. L’unica questione sussistente è il livello di efficienza della produttività di quell’organizzazione della vita economica. Efficienza va di pari passo con ----benessere psico-fisico ------- dei produttori, il quale abbiamo visto da cosa ----determinato ------ alienazione------.
Questo è quello che si deve capire, e che però ben pochi capiscono. -----ulteriorizzare------
il punto ---cardine ---- è la produzione e quindi la libertà di produrre. In
qualunque modo lo si faccia, i beni prodotti andranno comunque distribuiti. Ma per ridistribuire la ricchezza bisogna prima
crearla.
“L’Italia va avanti perché ci
sono i fessi. I fessi lavorano, pagano, crepano. Chi fa la figura di mandare
avanti l’Italia sono i furbi, che non fanno nulla, spendono e se la godono”
(Giuseppe Prezzolini)
Solo in un sistema veramente libero il mercato ricompenserebbe il merito e punirebbe la pigrizia, mentre oggi l’assistenzialismo statalista premia soprattutto i fannulloni, i negligenti, gli inetti, gli approfittatori e gli ignoranti a spese dirette degli intraprendenti e dei produttivi, effettivi o potenziali che siano. Ed indirettamente di tutta la comunità.
“La libertà non è figlia, ma madre dell’ordine” (Pierre-Joseph Proudhon)
Per questo la distanza tra il pensiero anarco-libertario e quello liberaldemocratico è forse molto più ampia di quanto si pensi. Tanto che al pari degli anarco-individualisti, i liberal-conservatori giudicano del tutto assurda l’idea di “contratto sociale” di marca liberaldemocratica: secondo entrambe le visioni, in realtà nessuno l’ha mai voluto né firmato coscientemente un contratto di simile impostazione, dato che nessuno sarebbe mai così stupido da firmare volontariamente una delega a disporre della propria libertà e proprietà. Gli Stati non sono sorti in un colpo solo con un contratto, ma gradualmente tramite una serie di contratti: così si è sviluppata l’Europa durante l’età feudale e comunale, fino ad assumere le forme che aveva fino a prima del 1789. Non si può negare che le società pre-rivoluzione francese fossero infinitamente meno inquadrate di quelle venute dopo, nonostante tutto.
“Nella società medievale la società è lo Stato; nello società borghese Stato e società si contrappongono; nella società comunista lo Stato è la società” (Nicolàs Gòmez Dàvila)
Secondo queste categorie di pensiero, così sapientemente studiate dal giornalista Guglielmo Piombini, il libertarismo economico di scuola austriaca può dare un contributo alla dottrina sociale della Chiesa cattolica, rendendola meno vaga e più cosciente del rapporto indissolubile tra efficienza economica e dignità umana. E’ significativo che il libertario ebreo e ateo Murray N. Rothbard, pur senza convertirsi e senza cambiare nessuna delle sue idee politiche sia arrivato ad aderire ad una prospettiva culturale ed economica in senso lato cattolica. Anch’egli constatò che oggi vige il trionfo del nichilismo, con l’abbandono di ogni prospettiva d’entusiasmo. Ciò, allontanando il popolo dalla vita politica, è utile al potere detenuto dai furbi. Di fatto, la visione tipicamente giansenista finisce per respingere la tradizione culturale e religiosa dell’occidente cristiano. A ciò si aggiunga che l’espansione indiscriminata dello Stato totalitario (risultato della mentalità materialista, edonista e relativista dominante) ha destituito completamente le famiglie dalle tradizionali funzioni previdenziali e assistenziali, rendendoli superflui.
“Qual’è il miglior governo?
Quello che ci insegna a governarci da soli” (Johann Wolfgang von Goethe)
Il tutto in funzione degli attuali manipolatori del potere. Alla luce di tutto questo è inevitabile vedere una convergenza simbiotica tra la filosofia anti-dirigista delle filosofie liberaliste, economicamente incentrate sulla scuola austriaca, verso le teorie distributiste; convergenza incardinata in particolar modo sul punto in comune rappresentato dal cattolicesimo, nonostante i primi rifiutino tale accostamento ritenendo il distributismo in contrasto con il loro punto fermo liberista “chi prima arriva meglio alloggia” riguardo la proprietà.
“Generalmente è corretto dire che tutti i sistemi economici che ci sono noti, fino alla fine del feudalesimo nell’Europa occidentale, erano organizzati alternativamente sui principi della reciprocità o della redistribuzione o dell’economia domestica o di una combinazione dei tre. Questi principi furono istituzionalizzati con l’aiuto di un’organizzazione sociale che inter alia faceva uso dei modelli della simmetria, della centricità e della autarchia. In questo quadro la produzione ordinata e la distribuzione dei beni era assicurata da una grande varietà di motivi individuali disciplinati da principi generali del comportamento. Tra questi motivi, quello del guadagno non era preminente, la consuetudine e la legge, la magia e la religione cooperavano nell’indurre l’individuo a seguire regole di comportamento che alla fine assicuravano il suo funzionamento entro il sistema economico. Il periodo greco-romano, nonostante il suo commercio fortemente sviluppato non rappresentava sotto questo aspetto una rottura. Esso era caratterizzato dalla redistribuzione del grano su vastissima scala praticata dall’amministrazione romana nell’ambito di un’economia per altri versi domestica e questo non rappresentava un’eccezione alla regola per cui fino alla fine del medio evo i mercati non svolgevano una parte importante nel sistema economico; altre strutture istituzionali prevalevano. Dal XVI secolo in poi i mercati erano a un tempo numerosi e importanti. Nel sistema mercantile essi divennero una delle principali preoccupazioni del governo, tuttavia non vi era ancora alcun segno del prossimo controllo della società umana da parte dei mercati, al contrario: regolamentazione e discipline erano più severe che mai, l’idea stessa di un mercato autoregolato era assente. Per capire l’improvviso cambiamento verso un tipo di economia completamente nuovo nel XIX secolo, dobbiamo ora passare alla storia del mercato, un’istituzione che noi siamo stati praticamente in grado di trascurare nella nostra rassegna dei sistemi economici del passato” (Karl Polanyi, “Economie primitive, arcaiche e moderne”, Einaudi Paperbacks, 1980)
Per comprendere tuttociò bisogna innanzitutto analizzare le cause del percorso storico che hanno portato il sistema economico a deviare da quella sua evoluzione naturale, partendo proprio dalla frattura religiosa. Difatti la prima evidente differenza culturale cui si contrappone il cattolico e organicista “principio di sussidiarietà” è la calvinista “sovranità delle sfere”. Il “principio di sussidiarietà” è un principio antropologico che esprime una concezione globale dell’uomo e della società, in virtù del quale fulcro dell’ordinamento giuridico è la persona umana, intesa sia come individuo sia come legame relazionale; altresì viene intesa in senso politico come solidarietà tra le comunità e interazione tra i poteri. La “sovranità delle sfere” è invece una concezione della dottrina sociale protestante (in particolare calvinista) che afferma come ogni “sfera” di cui è composta la società (i vari organi di potere) derivi direttamente da Dio, sia autonoma dalle altre, sovrana su sé stessa e responsabile direttamente verso Dio del modo in cui si conduce; da tale concezione consegue che la sovranità di ciascun potere debba essere rispettata e salvaguardata nella sua indipendenza dalle altre sfere. E’ la base del Diritto anglosassone, dalla cui filosofia ne deriva un senso di impunità ed un onnipotenza sfocianti nel “culto del potere” come derivato da Dio e quindi imperscrutabile, tipici dei paesi anglosassoni, i cui effetti nefasti incontreremo più volte nel testo.
Alla base dell’affermazione del liberal-capitalismo si trova chiaramente la messa all’opera nella vita quotidiana di precetti e regole derivanti dall’etica protestante. Che si associa ad “una tradizione culturale che ha per fine la dominazione del mondo” (Wolfgang Schluchter[66]).
Il comportamento metodico, che unisce la disciplina della ricerca del successo economico al rigore morale e alla parsimonia indispensabili per il risparmio e l’accumulo di capitale reinvestibile, è infatti prodotto e reso possibile – vale a dire socialmente legittimato, riconosciuto e promosso – da un sistema di valori e di credenze (in quel caso specifico: l’etica protestante e in particolare la dottrina calvinista dell’ascesi intramondana) trascurando le quali esso risulterebbe incomprensibile. --- Vando Borghi, Mauro Magatti, “Mercato e società”, Carocci ed., pag. 174.
“Ciò che in definitiva ha creato il capitalismo moderno è l’impresa razionale durevole, la contabilità razionale, la tecnica razionale, il diritto razionale, ma di nuovo non questi fattori da soli: doveva aggiungersi ad integrarli l’attitudine razionale, la razionalizzazione della condotta di vita, l’ethos economico razionale” (Max Weber)
Ma non solo la religione può influire. Riprendendo il discorso su Venezia fatto nella nota personale alla prefazione ed unendolo con l’accennata differenza tra i due tipi di “capitale sociale” individualizzabili tra nord e sud Italia: Robert Putnam sostiene che il diverso successo economico delle regioni italiane sia da attribuire al diverso “capitale sociale” che avevano accumulato nel medioevo. Non è casuale che sia maggiore nelle province dove si è vissuta l’esperienza comunale, e minore dove invece il feudalesimo è continuato fino all’età moderna; oppure dove il mercantilismo levantino ha impedito la genesi di un collante sociale identitario. Lo sviluppo delle regioni settentrionali d’Italia è associato al civismo riconducibile alla tradizione della civiltà comunale (e uniformità probabilmente genetica, anche senza dover ricorrere allo “jus primae noctis”), dall’altro l’arretratezza del meridione è connessa al susseguirsi di dominazioni diverse, e dal perpetuarsi del sistema feudale. ---mercato e società pag. 202. La conferma ci giunge da un risvolto all’apparenza banale: almeno fino a pochi anni fa, nei mercati agricoli all’ingrosso del nord Italia esisteva uno spazio destinato ai privati contadini; nel sud no, solo concessionari all’ingrosso. Tuttavia non è da dimenticare il fattore geopolitico: se si osserva una cartina economica dell’Europa non si può non notare in essa un “Ruhr-centrismo” verso il cui fulcro produttivo le aree industriali nazionali convergono, ed avente il suo nodo commerciale nel porto di Rotterdam. Questo non esclude i satelliti industriali, essi stessi convergenti sulla Ruhr ma verso i quali ulteriori centri gravitano, come il porto di Genova verso Milano.
“L’economia non predice l’impegno civico, ma è l’impegno civico a predire l’economia e lo fa molto meglio dell’economia stessa” (Robert Putnam[67])
Secondo Weber, accanto ad altre condizioni (come lo sviluppo tecnologico), sull’organizzazione sociale e sulle predisposizioni individuali che il capitalismo occidentale richiede abbiano influito anche certe peculiari concezioni del mondo. La correlazione che Weber considera plausibile teorizzare è, più esattamente, quella tra lo “spirito del capitalismo” – l’atteggiamento di fondo che spinge l’imprenditore borghese alla ricerca del massimo profitto non ai fini del consumo personale ma per reinvestirne la maggior parte nello sviluppo dei mezzi di produzione – e l’etica protestante, con la sua enfasi sull’idea di predestinazione. Fa rilevare Weber, nella dottrina imperniata su questo concetto si stabilisce l’inutilità degli sforzi individuali per ottenere la salvezza eterna (che è un dono della grazia divina).
Assieme al connesso atteggiamento dell’“ascesi intramondana”, che comportano e alimentano la tendenza a orientare e disciplinare la propria attività verso un uso sistematicamente razionale del denaro, nonché a ricercare nel successo economico i segni terreni, e dunque la certezza, della propria predestinazione alla salvezza. ---mercato e società pag. 90.
Protestanti: predestinazione? Cattolici no? Mentre per i cattolici, la salvezza (il concetto si potrebbe tradurre con “il senso della vita”) sta ne ----------
“Il cattolico […] è più tranquillo; munito di un minore impulso alla prestazione e al profitto, apprezza un’esistenza quanto più sicura possibile, sebbene con minori proventi, più di una vita pericolosa, stressante, ma tale da apportare eventuali onori e ricchezze. Lo scherzoso detto popolare suona: o mangiare bene, o dormire tranquillamente. Nel caso presente, al protestante piace mangiare bene, mentre il cattolico vuole dormire sonni tranquilli” (Max Weber[68])
Weber nel suo divagare cercando la spiegazione di ciò non giunge a sospettare che la questione è un’altra: i cattolici (e certamente pur sempre per la loro base culturale) in economia liberista si sentono frustrati, e da ciò la differenza di interpretazione etica del concetto di lavoro. Di conseguenza è realisticamente presumibile che in un sistema economico distributista le parti sarebbero grossomodo ribaltate tra cattolici e protestanti: in quel caso sarebbero i seguaci dell’etica protestante a sentirsi frustrati e quindi sottoposti alle alienazioni derivanti da ciò. Tuttavia sarebbe da dire che la frustrazione dei protestanti riguarderebbe solamente quelle poche persone che, elite nel sistema protestante-liberista, nella società cattolico-distributista si vedrebbero scalzate dai loro privilegi egoistici. Cioè un infima minoranza già di per sé immeritevole per definizione (definizione giusta, si intende, non la loro auto-glorificazione weberiana come unti dal Signore). Da ciò se ne ricava una filosofia protestante identificabile come auto-schiavizzazione. E proprio in virtù della filosofia protestante di “senso della vita”, la liberazione da questa schiavitù per i “rampanti” lavoratori protestanti rappresenterebbe veramente il raggiungimento dei loro maggiori propositi di vita. Giacchè la stessa intraprendenza che è castrata dalle barriere frapposte dal liberismo (a favore di una minoranza non necessariamente meritevole), col distributismo la possibilità di esprimerla verrebbe finalmente liberata. Quale maggior aspirazione per un lavoratore protestante? Quindi la contrapposizione weberiana in tal senso risulta inesatta, e determinata unicamente dall’interesse alla salvaguardia di privilegi da parte dei detentori del potere, e non dei protestanti tout court.
Tutti i discorsi su diversa interpretazione dell’economia (licenziamento, status symbol, consumismo) paragonarli con rapporto cattolici – protestanti in paesi misti.
E non serve ricorrere ad ipotesi quando abbiamo già l’esempio di paesi dove vi è un miscuglio di protestanti e cattolici (Germania, Irlanda del nord) e dove vi era (Francia prima della revoca dell’editto di Nantes), nei quali classi e religione si sovrappongono. In questi paesi si ricalcano le marxiane divisioni di classe alla fede religiosa. E questo ne fa dei paesi a conduzione economica protestante ed a manovalanza cattolica. Ma questo non implica che se divenuti distributisti, l’efficienza produttiva ne subirebbe una modifica a causa di una diversa propensione al lavoro (come sembrerebbe far intendere Weber), ma semmai un miglioramento proprio grazie alla maggior propensione delle maestranze alla produzione. Come abbiamo visto il livello di produttività dipende più dalle maestranze (e dalle loro bizze), che dalla dirigenza. E le maestranze non fanno le bizze perché protestanti o cattoliche, ma perché inserite nel liberismo castrante ed alienante! Di conseguenza il protestantesimo non è un antitesi al distributismo, ma è una filosofia che “non l’ha ancora scoperto”.
“Esiste nelle scienze economiche una importante tradizione, attualmente dominante, soprattutto in macroeconomia, secondo la quale il mercato del lavoro è, da tutti i punti di vista, eguale a qualunque altro mercato. […] Ma, tra economisti non è per nulla ovvio che il lavoro sia un bene sufficientemente differente dai carciofi e dagli appartamenti da affittare, tale da richiedere un differente metodo di analisi” (Robert Solow)
Per Weber il mercato è la condizione del capitalismo moderno in quanto rende possibile il calcolo razionale del capitale. --- c’è da dire che questo assioma non presuppone qualcosa che lo obblighi all’accentramento della proprietà. Difatti anche il distributismo ha il mercato come fondamento, ne più ne meno che il liberismo. Ma c’è mercato e mercato. Karl Polanyi faceva risalire la nascita della società di mercato al momento in cui non solo i prodotti dell’attività umana, ma anche il lavoro, la terra e la moneta diventavano merci. Attraverso la sottomissione anche di questi elementi al meccanismo di domanda e offerta e quindi di vendita, pare prendere corpo l’utopia negativa del mercato autoregolato. ---mercato e società pag. 135.
Nel mercato il distributismo a differenza del liberismo considera impropria l’estensione della forma merce al lavoro umano.
Merci improprie: lavoro, terra, moneta ---- Polanyi contesta come merci ---- mercato e società pag. 139. ----- Anche Alain De Benoist contesta la “mercificazione dell’esistente” -----
La mercificazione del lavoro umano è all’origine di tutt ----- problemi ---------- che hanno travagliato ------. I quali cadrebbero allorquando il lavoro non avesse più un valore quantificato, ma fosse finalizzato alla creazione del valore come necessario calcolo della allocazione dei beni esistenti. Non è il lavoro in sé ad avere un valore (scavare una buca per poi riempirla quale sovrappiù sociale produce?) ma i beni che tramite il lavoro sono prodotti! Ed anche i servizi non hanno un valore, ma sono resi possibili dall’esistenza dei beni e del loro valore. ----mettere anche su suonerie e padelle ecc---------
Il punto di rottura dal quale si giunse al bivio -----. Si tratta di una frattura storica, un capovolgimento drastico dei rapporti tra economia e società così come gli esseri umani ne avevano fino ad allora fatto esperienza. ---mercato e società pag. 135.
------- una frattura che al bivio avrebbe potuto prendere una piega giusta (distributista) ed invece ha preso quella determinata dai protestanti. Giusta dal punto di vista delle loro elite; sbagliata per tutti quanti i rimanenti.
Per il distributismo il punto fondamentale della sua concezione di mercato è: ------ Certamente liberi di possedere ciò che si è costruito col proprio ingegno e lavoro, ma non con quelli altrui. ---qui?---
Non a caso il distributismo si sviluppò in seno al cattolicesimo nella patria dell’anglicanesimo ed ebbe risonanza soprattutto nei paesi del Commonwealth, con le teorizzazioni distributiste dei cattolici britannici Clifford Hugh Douglas, Gilbert Keith Chesterton, Hilaire Belloc, e padre Vincent McNabb tra il 1916 ed il 1920.
“Gesù fu il primo socialista, il primo che cercò di ottenere migliori condizioni di vita per l’umanità” (Michail Gorbaciov)
I paragoni non finiscono qui: per certi versi anche la filosofia buddista può essere assimilata ai principi filosofici dell’economia distributista (seppur non avendovi mai avuto influenza diretta), mentre agli antipodi culturali troviamo da un lato, il Calvinismo, come abbiamo visto equiparabile al liberismo materialista, e dall’altro lato l’Islamismo come forma di “comunismo medievale”. L’Induismo invece appare affine al “distributismo” per la concezione elitaria da cui però si distingue per quella di “Salvezza”, attraverso le opere secondo l’induismo. Il confucianesimo, come apologia del potere dell’Imperatore e, per riflesso, dello Stato, stride fortemente con la visione personalistica del distributismo. E’ per questo motivo che il governo sudvietnamita del cattolico Ngo Dinh Diem tra il 1959 ed il 1963 si dichiarò personalista, in contrapposizione alla filosofia confuciana applicata al comunismo da Ho Chi Min a imitazione della Cina maoista.
Anche da parte anarchica arrivò un certo apporto, ma è più corretto dire che giunse da anarchici eretici, critici e delusi dall’anarchismo in senso stretto, in quanto ormai resisi edotti della banale constatazione che in realtà un sistema di vera anarchia sarebbe sicuramente la maggior aspirazione in stile “far west” dei vari Paperon de’ Paperoni, Rockefeller, Rothschild, Ford, Agnelli… che ha la sua degenerazione nell’estremo liberalcapitalismo inteso come primordiale consuetudine antropologica del kaos, dove i vari “padroni del mondo” raggiungerebbero la loro apoteosi dittatoria in un mondo dove l’anarchia esprimerebbe la sua maggiore manifestazione. La maggior figura anarchica che contribuì al distributismo fu difatti l’americana Dorothy Day[69], e ciò avvenne dopo la sua conversione al cattolicesimo. Le teorie distributiste erano state addirittura intuite precedentemente anche dall’imprenditore anarchico tedesco Silvio Gesell, probabilmente partendo dalla rianalisi delle teorie di Proudhon; non c’è da stupirsi quindi che il primo tentativo di applicazione pratica di un sistema economico di tipo distributista fu di origine anarchica: la Machnovščina (1918-21) dell’ucraino Nestor Ivanovič Machno, nata in seguito al vuoto di potere lasciato dalla caduta dell’Impero Zarista durante la guerra civile russa, e poi soffocata dai bolscevichi su diretto interessamento di Leon Trotsky[70].
“La prima parte del nostro programma è così vasta, che alla sua attuazione può contribuire anche chi si schieri su posizioni politiche avverse” (Ferdinando Camon)
La ricostruzione storica che Polanyi effettua in “La grande trasformazione” riconduce gli eventi tragici dei conflitti mondiali e dell’avvento del totalitarismo proprio a questo doppio movimento generato dall’imporsi della società di mercato e dalle reazioni difensive con cui la società cercava di arginarne il potenziale distruttivo. Se, infatti, l’idea di mercato autoregolato non era altro che una “utopia”, poiché la sua piena realizzazione avrebbe “annullato la sostanza umana e naturale della società”, nonché “distrutto l’uomo fisicamente” e “trasformato il suo ambiente in un deserto”, le inevitabili difese della società avrebbero in altro modo ostacolato lo sviluppo sociale, ingenerando un dilemma tale da condurre al crollo l’organizzazione sociale che si fondava su quel sistema di mercato stesso. ---mercato e società pag. 139.
“Permettere al libero mercato di essere l’unico elemento direttivo del destino degli esseri umani e del loro ambiente naturale e perfino della quantità dell’impiego del potere d’acquisto porterebbe alla demolizione della società” (Karl Polanyi[71])
Anche qui vi sarebbe da anteporre il distinguo tra i tipi di mercato, ma purtroppo la generalizzazione tende ad indicare il “mercato” convenzionalmente unicamente come quello liberista. L’ipotesi di Polanyi della reazione al sistema di mercato liberista non tiene conto della possibilità di un mercato di altro tipo, come quello distributista, e della conseguente aspirazione de---- società ---- verso questo, e non verso la distruzione del mercato tout court. Difatti -----motivo di necessità istituzioni -------protezione sociale -------.
Da ciò se ne potrebbe dedurre che il fascismo, mentalità sociologicamente insita in tutti gli uomini chi più chi meno, sia uscito dallo stato di “forma mentis” e fatto ideologia politica nel momento i cui i sistemi sociali di governo si sono allontanati sempre più da tale impostazione fino al momento in cui “il vaso è traboccato”. Conferma di ciò ne è la mentalità giapponese, dalla quale tale mentalità non ha mai subito l’allontanamento che ha subito in occidente. Per questo motivo il Giappone non ha avuto la necessità di una forma di governo dichiaratamente fascista. Ma non per questo il Giappone moderno non può essere definito uno stato fascista. E questa mancanza di un eliminazione della “forma mentis” “fascista” nei giapponesi è stata chiaramente riscontrabile anche nel dopoguerra, nell’etica del lavoro, e culminata simbolicamente con il gesto di Yukyo Mishima. Nonché in precedenza nell’opposizione al bolscevismo, in specie durante la guerra civile russa.
Una tradizione che affondava le sue radici più prossime nel Mussolini giacobino, nel socialismo risorgimentale di Pisacane, nel sindacalismo rivoluzionario di Sorel e Corridoni, nelle avanguardie artistiche d’inizio Novecento, nel futurismo, nell’interventismo anarchico di Massimo Rocca, nel fascismo sansepolcrista del 1919, nell’interpretazione gentiliana del marxismo...
Se infatti storicamente il fascismo nasce con Mussolini e “Il Popolo
d’Italia” tra il 1914 e il 1919 da una scissione del partito socialista, il
filosofo cattolico Augusto Del Noce ne ha retrodatato la genesi filosofica
perlomeno al 1899 con la pubblicazione del saggio di Giovanni Gentile su “La
filosofia di Marx”, che venne considerato da Lenin -nel “Dizionario
Enciclopedico russo Granat” del 1915- uno degli studi più interessanti e profondi
sull’essenza teoretica del pensatore di Treviri. Del marxismo, Gentile
respingeva il materialismo ottocentesco ma ne abbracciava con entusiasmo
l’ultramoderna dimensione di “filosofia della prassi”, tesa non solo a
interpretare il mondo ma a cambiarlo. Stando almeno all’interpretazione
delnociana, quindi, il fascismo non sarebbe affatto una negazione del marxismo,
ma piuttosto una sua “revisione” che reinterpreta la prassi come spiritualità.
Il fascismo si prospetta, insomma, come una rivoluzione “ulteriore” rispetto a
quella marx-leninista, una sua evoluzione. D’altro canto, divenuto filosofo
ufficiale del fascismo, Gentile ripubblicò il suo libro su Marx nel 1937, nel
pieno degli “anni del consenso”. E quando, il 24 giugno 1943, pronunciò in
Campidoglio il Discorso agli italiani per esortarli a resistere agli
anglo-americani, si rivolse espressamente agli ambienti di sinistra presentando
il fascismo come “un ordine di giustizia fondato sul principio che l’unico
valore è il lavoro”. Difatti venne ucciso dai comunisti.
In quel momento uno dei pericoli che minacciavano l’Europa e la civiltà del mondo intero era il bolscevismo, che aveva rimpiazzato l ------precedente------- e che stupidamente era stato tenuto in vita, finanziato e rafforzato dagli Usa. La natura stessa del bolscevismo lo portava inevitabilmente al desiderio di estensione su scala mondiale, per cui la prima vittima sarebbe stata l’Europa, la quale si era battuta per opporsi al nazionalsocialismo mentre aveva supportato un pericolo ben più grande: quello sovietico.
In linea con il Giappone, anche secondo Salazar e Franco “era poco significativa la vittoria di una guerra, se si perdono i principi speculativi e morali che soli possono fondare una civiltà”. Il comunismo e la sovversione in genere non la si vince solo con le armi, ma con una dottrina superiore e contraria all’errore materialista, che crei condizioni di vita avverse al proselitismo del comunismo.
Il --------- era stato rimpiazzato nel ----predominio mondiale----- dagli Usa, che, data la concezione liberale e libertaria della società, non poteva competere adeguatamente colla disciplina ferrea del comunismo, sino a che questi sarebbe crollato ab intrinseco per la deficienza innaturale del suo sistema economico, generatore di povertà.
Il solo “anti-comunismo negativo” americano e delle democrazie europee, senza proporre un’alternativa dottrinale e pratica positiva, non avrebbe potuto sconfiggere il marxismo; infatti non basta essere negativamente “contro” qualcosa, ma occorre anche essere positivamente “per” una determinata alternativa.
“Non perché le cose sono difficili noi non osiamo ma perché non osiamo le cose diventano difficili” (Seneca)
L’avvicinamento dell’anarchico Massimo Rocca al Fascismo fu dovuto a comunanza di posizioni sulla sua concezione politico-economica, che si configurava come un misto di liberismo, sindacalismo e produttivismo di stampo mussoliniano. Al pari di Mussolini, anche Rocca auspicava una “matura collaborazione tra capitale e lavoro” volta all’emancipazione dei lavoratori tramite la compartecipazione al ciclo produttivo. Compito della borghesia era mostrarsi autentica classe dirigente capace tanto di opporsi al bolscevismo dilagante quanto di responsabilizzare il proletariato. Difensore dell’ordine monarchico, Rocca intravisava nell’attuale situazione politica la sopraffazione della burocrazia sulla borghesia, e il suo auspicio era quello che si realizzasse una rivoluzione, compiuta la quale, la borghesia aveva l’obbligo di realizzare un rivolgimento aristocratico della società italiana. Approvava lo Squadrismo prepotenti orde bolsceviche, e vedeva una forma di dittatura pro tempore l’unica soluzione di governo capace di far cessare “ l’orgia di tutti i disordini”. Il patrimonio ideale dell’anarco-interventismo era, senza ombra di dubbio, un individualismo stirneriano revisionato nella sua concezione velleitaria e amoralistica, volgarizzazione cui Rocca sostituì una valutazione storica e “sentimentale” che sarà principio fondante del “liberismo rivoluzionario” (o “novatorismo”).
Altro “anarco-fascista” fu Mario Gioda che, con l’ex sindacalista
rivoluzionario Attilio Longoni, fu tra i promotori del Fascio di combattimento
torinese del quale assunse la segreteria. Per Gioda il Fascismo doveva essere
l’antipartito, motivo per il quale desiderò che al Fascio torinese accorressero
tutte le forze “sane, giovani, italiane” senza distinzione di parte o colore
politico, individuando il nemico non nel proletariato ma nel bolscevismo.
Tuttavia, nonostante il suo punto di vista fosse volto al superamento delle
logiche destra/sinistra, il Fascio torinese fu sempre inclinato verso destra
(salvo una parentesi in cui si tentò una più ampia apertura verso i lavoratori
delle fabbriche) al punto che la leadership di Gioda fu sostituita, nel maggio
del 1920, dal monarchico De Vecchi.
Altra interessantissima personalità anarco-interventista fu Edoardo Malusardi, che nel Fascio veronese occupò un ruolo di primo piano fondando anche il giornale “Audacia”. Proveniente dall’esperienza fiumana, Malusardi aveva come riferimenti la Carta del Carnaro e il Sindacalismo Rivoluzionario di Corridoni. Il Fascismo doveva essere, a detta sua, antimonarchico e sensibile alla questione sindacale, puntando a far crescere il valore dei lavoratori in termini tecnico-intellettuali. Riguardo agli scioperi, la sua concezione era quella di prendere decisioni “volta per volta”. Godendo del rispetto e della compattezza del Fascio veronese intorno alla sua figura, Malusardi fu l’unico che disertò il Blocco Nazionale scaturito dall’unione tra i Fasci di combattimento e l’Associazione Liberale Democratica, che si venne a creare in vista delle elezioni del 1921. Questa coerente scelta gli valse l’assenso di Mussolini che si complimentò con lui per aver agito «fascisticamente» poiché, se mancavano «certe elementari condizioni di probità politica», necessitava «non bloccare […] ma sbloccare».
Rimanendo sempre un “novatore”, differentemente da Rocca che andava sempre più sintonizzandosi su frequenze conservatrici, Malusardi riaffermò sempre la sua fede sindacalista intendendola su parametri di sindacalismo/corporativismo dannunziano, fede la sua che lo portò anche a criticare apertamente le politiche del partito (si compì nel mentre la trasformazione del movimento in Partito Nazionale Fascista PNF) dal quale, però, non perse mai il rispetto. da AUGUSTO TRIFULMINE fonte: http://augustomovimento.blogspot.com/
----altro qui???------- l’alternativa: socializzazione
“Tutto ciò che è costruito dalla forza e dall’astuzia, l’astuzia e la forza possono demolirlo” (Alexandre Marius Jacob) --- o su muro che cade?----
Non si può non notare che il pieno fervore su queste teorie si sviluppò contemporaneamente alla prima guerra mondiale; non è per un caso: la loro elaborazione si sviluppò proprio a partire dall’analisi delle cause di questo tragico evento e la conseguente ricerca di future alternative alla guerra come soluzione temporanea dei problemi economici internazionali. Difatti la Grande Guerra fu determinante a ritardare la crisi economica che inevitabilmente “presentò il conto” nel 1929, e la conferma è che entrambi i crolli sono seguiti a periodi di frenesia economica (“belle epoque” per il primo, “anni ruggenti” per il secondo) cui fece seguito una crisi perdurante. In entrambi i casi erano sembrate prospettarsi all’orizzonte le conclusioni previste da Marx ne “Il capitale” dove si ipotizzava il fallimento del capitalismo a causa della monopolizzazione incipiente quale unica possibile prospettiva finale suggerita dalla riccardiana “legge ferrea dei salari[72]” e dal “malthusianesimo[73]”. Secondo essi un impoverimento delle classi lavoratrici avrebbe determinato un sottoconsumo che doveva condurre alla crisi economica e al crollo del capitalismo. Umberto Cerroni, “Il pensiero politico del novecento”, Newton ed., pag. 10. Ma sia Marx che Malthus non avevano previsto le reazioni alle situazioni prospettate nelle loro teorie, artificiale per quanto riguarda Marx, naturale per quanto riguarda Malthus. Avevano cioè fatto “i conti senza l’oste”. La natura umana, difatti ben decisa a non “mollare l’osso” agiva di conseguenza, ma non potendo superare l’“ottimo paretiano”, sempre tramite soluzioni “trade-off”[74].
Prima di tutto si dovrebbe fare un distinguo sul concetto stesso di “impoverimento”: se si intenda “impoverimento assoluto”, ovvero diminuzione del potere d’acquisto; oppure “impoverimento relativo”, ovvero solo in confronto ai più ricchi. C’è una bella differenza -------. Difatti Marx e Malthus non avevano considerato il processo di autocorrezione involontaria insito nel mercato liberista: moltiplicando i punti decisionali e di (relativa) autonomia, il mercato sostiene anche il pluralismo sociale, condizione fondamentale per il mantenimento di un ordine politico democratico. Di fronte al continuo ricostituirsi di concentrazioni di potere, il mercato contribuisce alla sua frammentazione. Proprio per questo, storicamente il mercato viene messo in relazione con la nascita della società civile – cioè con il formarsi di gruppi sociali in grado di rivendicare una indipendente capacità di giudizio e di azione rispetto al mondo sociale circostante – e delle moderne poliarchie. ---mercato e società pag. 27. -----o dove democrazia cucita su e per capitalismo-----
Una delle soluzioni “trade-off” che spesso si è resa necessaria ---- la guerra. E’ ben difficile considerare la guerra e le conseguenze successive ad essa come un modo di “migliorare la situazione di qualcuno senza peggiorare quella di un altro”… invece come toppa per sostenere il sistema economico, per il liberismo in molti casi la guerra si è dimostrata l’unica soluzione ravvisabile.
Tuttavia non tutti la vedevano così. A questo scopo fu fondata la “Società delle Nazioni”, anche se essa finì per rivelarsi un docile strumento nelle mani delle nazioni più avide del pianeta e che avevano voluto quella guerra.
“Il fascismo non crede alla vitalità e ai principi che ispirano la cosiddetta Società delle Nazioni. In questa società le nazioni non sono affatto su di un piede di eguaglianza. E’ una specie di santa alleanza delle nazioni plutocratiche di gruppo franco-anglo-sassone per garantirsi – malgrado inevitabili urti d’interesse – lo sfruttamento della massima parte del mondo” (Benito Mussolini, Il popolo d’Italia, 3 luglio 1920)
Anche la dirompente rivoluzione bolscevica in corso in Russia, che alcuni credettero fosse la soluzione a tutte le iniquità e l’inizio di una nuova Era, si dimostrò praticamente subito solo un diverso aspetto dello sfruttamento che la stessa si arrogava di voler eliminare. Soprattutto dopo la sanguinosa repressione della “sorella” Machnovščina. Apparve oramai chiaro che nemmeno le teorie di Marx interpretate da Lenin potessero rappresentare una soluzione valida. Questa prospettiva appariva via via sempre più chiara a chi aveva le capacità di vederla, fin dal 1917. Quello non poteva essere socialismo. Quello ne era l’esatto opposto. Chi consapevole di questo, prese le distanze dai referenti di quei personaggi, corrispondeva alle persone che da sempre avevano un apertura mentale, una capacità, un pragmatismo, una volontà ed un vitalismo unici rispetto ad una massa che sempre più abboccava alla trappola che qualcuno aveva predisposto per il mondo futuro.
“Ero accanto a Lenin nei giorni radiosi della rivoluzione, credevo che il bolscevismo fosse all’avanguardia del trionfo operaio, ma poi mi sono accorto dell’inganno” (Nicola Bombacci[75])
Nonostante questo, in tutto il mondo si diffuse il contagio rivoluzionario. Tra il 1919 ed il 1922 in ogni nazione nacquero partiti comunisti rifacentisi al bolscevismo, subito identificati come una minaccia dai vecchi regimi borghesi. Questa “paura rossa” apriva la possibilità ai movimenti che si dichiaravano più marcatamente antibolscevichi rispetto agli altri di prendere il potere proprio in virtù del loro estremo e dichiarato anticomunismo[76]. Ma non necessariamente essi dovevano ritenersi compresi nelle file pro-liberiste… già da qualche anno difatti la critica interna ai partiti propugnatori del marxismo aveva originato il cosiddetto “sindacalismo rivoluzionario” avente i suoi principali fautori in Filippo Corridoni e Antonio Labriola, che sull’onda delle teorie di George Sorel aveva progressivamente abbandonato la via marxista. Questi grandi sindacalisti avevano percepito in anticipo che il sindacalismo comunista propugnava una determinazione solo di facciata, e che anzi si potesse tranquillamente tacciare quale avente collusioni con il Capitalismo che affermava di combattere. Il Sindacalismo Rivoluzionario fece sua questa teoria proponendo un tipo di socialismo non marxista che indicava nell’abolizione della lotta di classe, la via per una soluzione equa e rivoluzionaria. Essi si rivelarono quali principali antagonisti del bolscevismo. Secondo il loro giudizio il socialismo avrebbe dovuto essere qualcosa del tutto opposta al bolscevismo, una distribuzione, una Socializzazione, delle proprietà e dello Stato, in nome della Nazione e dei suoi interessi, e non in maniera demagogicamente vaga in nome del “popolo”. Quelli che ebbero questa prospettiva, furono quelli che nel 1919 si autodefinirono fascisti.
« I precursori e gli iniziatori del fascismo sono quelli stessi, repubblicani e sindacalisti, che avevano per primi sollevato il popolo contro il socialismo deprimente e rinnegatore ed avevano voluto ed attuato, con Filippo Corridoni, gli scioperi generali del 1912 e del 1913 » (Curzio Malaparte, in “Opere Complete”)
Dato l’impedimento implicito dei partiti che si definivano “democratici” oppure “liberali” di agire in maniera energica, la società borghese dovette rivolgersi a partiti che invece consentivano appositamente la spregiudicatezza nella loro prassi. Il rafforzamento di questi inoltre permetteva a tutti gli altri partiti la possibilità di additarli come parafulmine per distogliere il rivoluzionarismo comunista da una contrapposizione con essi e col sistema demo-liberale che rappresentavano, incanalarla in una comunanza di finalità stile “divide et impera”, una “strategia degli opposti estremismi” che sarà praticata in maniera estesa in seguito, soprattutto a partire dalla seconda guerra mondiale. Il pericolo che il biennio rosso sfociasse in una rivoluzione bolscevica fu sventato in questo modo, ma aveva sforato dalle previsioni dei burattinai (quelli che concessero a Mussolini l’uso della loro sala di Piazza S. Sepolcro, per intenderci), cui la situazione sfuggì di mano rivelandosi per loro un boomerang, dato che i “manovali” stavolta si rifiutarono di rientrare nei ranghi una volta terminata l’emergenza. In particolare si distinse in Italia un partito che aveva avuto il suo ispiratore specifico nel movimento russo dei “Cento Neri”, riprendendone sia le prassi che i simbolismi estetici, ma i cui fondatori uscirono dalle file del sindacalismo rivoluzionario. Conseguentemente, il “Duce” di quel movimento, Benito Mussolini, che in quanto ex socialista aveva avuto modo di accedere alle teorie distributiste e fabianiste, si propose di approfittare di questa situazione per prendere il potere, anche se attraverso inevitabili compromessi con la borghesia ed il padronato, ma con il recondito obiettivo di una progressiva trasformazione distributista del sistema economico secondo gli schemi ed i principi graduali preconizzati dal fabianesimo. Un movimento che aveva determinati propositi (programma di San Sepolcro), ma che nella contingenza del momento dovette adeguarsi, rimandando la rivoluzione a tempi migliori, spianandole la strada camaleonticamente dall’interno del potere, ma sempre restandone parte minore. Ed ad un analisi attenta sono proprio i cardini del percorso temporale perseguiti negli anni dal suo governo a darcene conferma. Assieme al tipo di ostacoli che incontrarono e che alla fine lo soffocarono.
«Noi non siamo contrari alla rivoluzione russa, siamo contrari alla “copia” della rivoluzione russa in Italia» (Benito Mussolini, 9 novembre 1919)
Tutta l’attività del Governo Mussolini fu un susseguirsi costante di decreti e leggi di chiara finalità sociali, all’avanguardia, non solo in Italia, ma nel mondo. Quelle leggi, di cui i lavoratori italiani ancora oggi godono i privilegi, sono quelle volute da Mussolini nei suoi vent’anni di governo. Qualsiasi confronto con quanto fatto dai governi di quest’ultimo dopoguerra risulterebbe stridente. I principi essenziali dell’ordinamento corporativo sono espressi e ordinati dalla “Carta del Lavoro” che vide la luce il 21 aprile 1927. La “Carta del Lavoro” portava il lavoratore fuori dal buio del medioevo sociale per immetterlo in un contesto di diritti dove i rapporti fra capitale e lavoro erano, per la prima volta nel mondo, previsti e codificati. ----- soprattutto “Ente nazionale fascista per la cooperazione” – 1926. -----
E delle varie anime del fascismo, la “sinistra” fu sicuramente la più vivace. Ancorata al Risorgimento mazziniano e garibaldino, la sinistra fascista cercò di incarnare un progetto che era nato prima del fascismo e che mirava ad oltrepassare la stessa esperienza mussoliniana. E se nei primi tempi essa prese spunto da ---------- tipiche dei socialisti, traducendosi essenzialmente nello squadrismo e nel sindacalismo, verso la metà degli anni ’30 -aggregando soprattutto i giovani universitari, gli intellettuali e i sindacalisti - si fece portatrice di un “secondo fascismo” teso a superare la società borghese. Non è un caso che i vari Bilenchi, Pratolini e tutti i giovani intellettuali del cosiddetto “fascismo di sinistra”, oltre che in Berto Ricci, trovassero un punto di riferimento nel fascista anarchico Marcello Gallian. «I libri di Gallian -scriveva Romano Bilenchi su “Il Popolo d’Italia” del 20 agosto 1935- sono documenti... E un documento su di un periodo rivoluzionario non creduto compiuto non avrà fine finché tutta la rivoluzione non sia realizzata».
Sinistra fascista: «Quell’insieme, a volte discorde e contraddittorio, di sentimenti, di posizioni, di prospettive e di progetti che si fondavano sulla persuasione di vivere nel fascismo e attraverso il fascismo una sorta di palingenesi rivoluzionaria, la prima vera rivoluzione italiana dall’unità». (Giuseppe Parlato)
----come unire?????--------- ------
Abbiamo visto che il solo “anti-comunismo negativo” non avrebbe potuto sconfiggere il marxismo, dato che non basta essere negativamente “contro” qualcosa, ma occorre anche essere positivamente “per” una determinata alternativa. ----ripetuto---modificare----- questa alternativa venne proposta da quelli che più di ogni altro portavano una determinata “forma mentis” sempre più svilita dalla società democratica fino al trabocco del vaso. Inevitabile che le due cose si coniugassero. Mussolini del fascismo fu solo un trascinatore. Non fu né il fondatore né il dominatore.
“Non è permesso a nessuno di vivere su quello che fu fatto da altri prima di noi… bisogna che noi creiamo” (Benito Mussolini)
Questo ci porta a pensare che “non è Mussolini che, come vuole la leggenda, nel 1921 conduce il fascismo sulle soglie della vittoria: è il nuovo fascismo che si crea un Mussolini secondo le proprie misure e le proprie idee[77]”.
A torto si è voluto ricondurre a Sorel il concetto mussoliniano di violenza, mentre è certo che i rapporti tra Mussolini e Sorel non erano affatto così stretti né così cordiali come si è preteso più tardi. Vero, c’è un periodo in cui Mussolini definisce il francese “notre maitre”; ma, mentre Sorel compirà la nota conversione verso Maurras, nella quale in seguito Edouard Berth pretenderà di vedere il momento natale del fascismo, Mussolini romperà, maledicendolo, col “topo di biblioteca in pensione” col quale non riallaccerà i rapporti fino al 1914. E non già Sorel: Marx è definito da Mussolini “il magnifico filosofo della violenza operaia[78]”.
“Il fascismo non fu tenuto a balia da una dottrina elaborata in precedenza, a tavolino: nacque da un bisogno di azione e fu azione” (Benito Mussolini)
Dopotutto una “forma mentis” non la si può “fondare”. Una mentalità che si fece azione come reazione a ---------------------.
Quel che è certo che la violenza squadrista non fu il fascismo ad iniziarla, ma la subì reagendo di conseguenza. La violenza socialista prosperava quando ancora il fascismo non si era fatto organizzazione. Eppure oggi sembrerebbe che i socialisti furono candide vittime di una violenza ingiustificata e gratuita. Ma se si vanno a verificare le statistiche e la cronaca il quadro appare ben diverso.
Mussolini --------. Ciò che differenziava Mussolini da un dittatore, è che lui aveva bisogno di un altro per firmare le leggi, e che un altro del tutto legittimamente poteva sfiduciarlo. Quello del 25 luglio, fu colpo di stato perché il re non si rivolse al parlamento a chiedere la rettifica, ed anzi sciolse la camera senza indire nuove elezioni, se avesse seguito la prassi, il suo comportamento sarebbe stato del tutto legittimo costituzionalmente. Per fare un discorso puramente giuridico, il re era come un padrone di una fabbrica, Mussolini il direttore generale. Indipendentemente dal potere che eserciti il direttore generale, anche se ad esempio il padrone firmasse tutto senza guardare, rimane il fatto che il padrone potrebbe sempre rimuoverlo. Naturalmente, non essendo l’Italia una monarchia assoluta, Mussolini avrebbe potuto chiedere l’appoggio del parlamento, e se il re avesse sciolto la Camera, avrebbe potuto rivolgersi agli elettori. Fino alla legge Acerbo del 1923, avrebbe dovuto affrontare le elezioni col sistema proporzionale, dopo con il premio di maggioranza, come successe infatti nel 1924: quindi verso la fine di quell’anno, per parare la fronda dei fascisti moderati che erano inclini a cercare un compromesso con gli aventiniani per mettere in minoranza Mussolini e creare quello che oggi si chiamerebbe governo di larghe intese, rimise in auge la legge uninominale, per far capire ai fascisti moderati che non temeva le elezioni, e che inoltre in caso di elezioni non sarebbero più stati rieletti. In seguito al discorso del 3 Gennaio, mise in cantiere varie restrizioni della libertà, anche se formalmente l’Italia rimase uno stato parlamentare: una prima svolta avvenne nel Gennaio del 1926, quando i Democristiani (che allora si chiamavano Pipisti) rientrarono a Montecitorio e furono cacciati a pedate dai fascisti più intransigenti. Il giorno dopo, Mussolini pose delle condizioni per il rientro, fra cui la principale era l’ammissione che non c’era alcuna questione morale riguardante il governo per la faccenda Matteotti. Solo pochissimi democristiani accettarono, sicché continuò ad esserci un parlamento a stragrande maggioranza fascista con la sola opposizione dei liberali e dei comunisti. Finché in seguito alla serie di quattro attentati, furono varate nel Novembre 1926 le leggi fascistissime, che dichiaravano decaduti i parlamentari aventiniani, e mettevano fuori legge il partito comunista. Però formalmente il parlamento rimase democratico, finché nel 1928 con la sola opposizione dei liberali fu approvata la legge della lista unica, con possibilità teorica di un secondo voto se questa fosse stata respinta. Ma nonostante questo, il re conservava il potere di dimettere Mussolini e sciogliere la camera, vero che in rispetto alla legge avrebbe dovuto presentarsi una lista unica, (i cui membri erano nominati dal partito, dalle corporazioni, da patronati ecc.) ma il re avrebbe potuto usare i suoi poteri per garantire il corretto svolgimento, e la sua autorevolezza per chiedere si votasse no. (Naturalmente, se poi, come probabile, Mussolini avesse vinto, il re si sarebbe trovato in una situazione di “forte imbarazzo istituzionale”) Pertanto, Mussolini più che ai dittatori, andrebbe equiparato a personaggi come Metternich o come Bismarck.
E se si considera che Mussolini non si fece mai effigiare in una banconota… -- a differenza di umberto bossi -------
Basti pensare ad un esempio semplicissimo: quando lo ha fatto arrestare. Mussolini non essendo un dittatore vero e proprio, ovvero con poteri illimitati, ma dovendo rispondere ad un Re è stato arrestato. ------frase cavallo qui???---------
Di fatto Mussolini, prima di essere sfiduciato dai suoi camerati del Gran Consiglio del Fascismo, avrebbe potuto farli arrestare e sventare il colpo di stato. Fu lui, di fatto, a concedere ai suoi e al Re l’occasione per farlo fuori.
Si pensi che l’ipotesi della sostituzione di Mussolini fu presa in esame dal Re nel 1939-40, ma fu scartata perché Pio XII in un incontro segreto con il principe Umberto aveva espresso il parere che la destituzione di Mussolini avrebbe potuto provocare una pericolosa reazione tedesca in quel momento in cui ancora non ----------------.
O basti pensare che quando Hitler fece visita al Duce in Italia arrivò a Roma e ad accompagnarlo al Quirinale, la residenza del Re, era proprio il Re. I due viaggiavano in una carrozza di sera, con Roma illuminata a giorno, ed erano solo loro due. Mussolini che non era un capo di stato (mentre Hitler lo era e il Re evidentemente anche) giunse al Quirinale su una macchina a parte, che seguiva la carrozza. Durante tutta la visita del Führer Hitler e il Re camminavano uno di fianco all’altro, perché erano capi di stato, mentre Mussolini che non era capo di stato li seguiva dietro.
“La casa reale italiana è fondamentalmente contro Mussolini” (Adolf Hitler, 1939) ---Mosley pag. 514.
In ogni tempo e luogo chi comanda è chi detiene il potere, chi possiede la ricchezza. Se poi questi hanno un Re come manovratore, tutto fila ancor più liscio. Il fascismo si trovò al potere ma senza potere, o solo quel poco che i veri padroni dell’Italia (e del mondo) gli elargivano in delega. Un potere che, come sappiamo, era soprattutto estetica: “treni in orario”, “saluto romano”, “consenso”, le varie liste di “cose buone che il fascismo fece” che sono tanto di moda oggi, ma che in effetti era solo, appunto, facciata. Il potere era allora ed era sempre restato nelle mani del Re, della finanza, della massoneria, con la loro pletora di lacchè e camarille di Corte.
“Non ho mai fatto nulla senza il suo pieno consenso” (Benito Mussolini, riferendosi a Re Vittorio Emanuele III[79])
Quando iniziarono i primi timidi tentativi di reale presa del potere, il fascismo fu soffocato, il come lo analizzeremo nel corso del testo, che, pur avendo originariamente impostazione economicistica, non può evitare di analizzare anche i contesti storici, soprattutto per poter agevolmente smentire la solita manfrina con la quale tutt’oggi l’antifascismo continua imperterrito a definire la tentata socializzazione mussoliniana “solo un tardivo espediente per ingannare le masse lavoratrici”.
«
Nessuno vorrà gabellare per “rivoluzionario” il complesso dei fenomeni
sociali che si svolgono sotto i nostri occhi. Non è una rivoluzione quella che
si attua, ma è la corsa all’abisso, al caos, alla completa dissoluzione
sociale. Io sono reazionario e rivoluzionario, a seconda delle circostanze.
Farei meglio a dire -se mi permettete questo termine chimico- che sono un
reagente. Se il carro precipita, credo di far bene se cerco di fermarlo; se il
popolo corre verso un abisso, non sono reazionario se lo fermo, anche con la
violenza. Ma sono certamente rivoluzionario quando vado contro ogni superata
rigidezza conservatrice o contro ogni sopraffazione libertaria. I peggiori
reazionari in questo momento sono, per il Fascismo e per la storia, coloro che
si dicono rivoluzionari, mentre i Fascisti, tacciati cretinamente di
“reazionari”, sono in realtà, coloro che eviteranno all’Italia la terribile
fase di un’autentica reazione. Chiunque in Italia abbia il coraggio di
fronteggiare le degenerazioni della sovversione e non, corre il pericolo di
essere bollato come reazionario; ma poiché tali degenerazioni esistono e poiché
il coraggio di fronteggiarle lo abbiamo
dimostrato seminando anche di nostri morti le piazze d’Italia, noi abbiamo la
spregiudicata disinvoltura di sorridere se ci chiamano reazionari. Io non ho
paura delle parole. Se domani fosse necessario, mi proclamerei il principe dei
reazionari. Per me tutte queste terminologie di destra, di sinistra, di
conservatori, di aristocrazia o democrazia, sono vacue terminologie
scolastiche. Servono per distinguerci qualche volta o per confonderci, spesso
» (Benito Mussolini, dal discorso tenuto al Senato il 27 novembre 1922)
Il
fabianesimo, al quale Mussolini naturalmente attinse, può essere definito
l’“alter ego” anglicano del cattolico distributismo; ed è su iniziativa del
rappresentante dell’ala fabianista del partito laburista britannico, Oswald
Mosley, che sorse il “British Union
of Fascists” (ed analoghe organizzazioni nei paesi del Commonwealth
britannico) quale diretta emanazione dell’esperienza del fabianesimo inglese. Questo non fa altro che confermare l’origine
fabiana e quindi implicitamente distributista dell’impostazione strategica
voluta da Benito Mussolini per il suo movimento politico a cui diede nome
“Fascismo”[80].
«
I fasci italiani di combattimento non sono un partito, ma piuttosto
l’antipartito. Non sono un’organizzazione di propaganda, ma di combattimento.
Più che al proselitismo, per vendere marchette, tendono all’azione. Non hanno
programmi immutabili. Non si propongono di vivere all’infinito. Non promettono
il paradiso in terra e la felicità universale. Nella vasta democrazia della
civiltà essi rappresentano l’aristocrazia del coraggio. Libertari, sono per
necessità antidemagogici. Spregiudicati, sanno andare contro corrente. E’ una
associazione di uomini che possono provenire da tutti gli orizzonti perché si
“ritrovano” in alcune identità o affinità ideali » (Benito Mussolini, dal discorso tenuto alla prima
adunata fascista il 6 ottobre 1919)
Anche se il fascismo originato dal sindacalismo rivoluzionario sembrò inizialmente aver abbandonato i propositi socializzatori esposti nel “programma di S. Sepolcro”, tale strategia attendista si sovrappone appieno con quella appositamente prevista dal fabianesimo. Il chiarimento definitivo ci viene dall’interpretazione di Augusto Del Noce[81], secondo cui “il fascismo sarebbe la posizione rivoluzionaria, di origine marxista, quale doveva diventare dopo aver accettato i risultati di quella critica del marxismo teorico che fu svolta in Italia negli ultimi anni del secolo scorso e di cui l’attualismo[82] può essere considerato la conclusione filosofica”[83]. Sintomatico, a tal riguardo, è il rimprovero fatto da Lenin alla delegazione di comunisti italiani guidata da Nicola Bombacci in visita al Kremlino l’11 novembre 1922: “In Italia c’era un solo socialista capace di fare la rivoluzione: Benito Mussolini! Ebbene, voi lo avete perduto e non siete stati capaci di recuperarlo!”. Quale miglior indicatore, le statistiche sulla composizione delle categorie sociali aderenti al fascismo in Germania (nazional-socialismo): gli operai costituivano tra il 1925 e il 1933 la categoria sociale più numerosa tra i membri del NSDAP (Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori) e il 62% circa delle SA erano lavoratori industriali e agricoli.
“Essa, la massa proletaria, in somma, o sa, o s’avvia ad intendere, che la dittatura del proletariato, la quale dovrà preparare la socializzazione dei mezzi di produzione, non può procedere da una sommossa di una turba guidata da alcuni, ma deve essere e sarà il resultato dei proletarii stessi, che siano, già in sé, e per lungo esercizio, una organizzazione politica” (Antonio Labriola, “In memoria del manifesto dei comunisti”) ---- o dove: saranno gli stessi neo-proprietari (ossia tutto il popolo)?---- Sorel????
-----come unire???-------
Assodato come il fascismo non sia un’ideologia politica nata dal nulla in un preciso anno, ma una concezione della vita da sempre presente nelle menti e solo emersa nella politica in quell’anno, viene capovolta tutta la serie di preconcetti analizzati di volta in volta come in un’autopsia da presunti politologi, sociologi e filosofi saccenti. Perfino quelli di marca fascista…
“L’avvenire, della Patria è vostro, voi non lo fonderete se non liberandovi da due piaghe che oggi purtroppo, spero per breve tempo, contaminano le classi più agiate e minacciano di sviare il progresso Italiano: il Machiavellismo e il Materialismo. Il primo, travestimento meschino della scienza d’un Grande infelice, v’allontana dall’amore e dall’adorazione schietta e lealmente audace della Verità: il secondo vi trascina inevitabilmente, con il culto degli interessi, all’egoismo ed all’anarchia” (Giuseppe Mazzini) --- “I doveri dell’uomo”------ Aprile 23 – 1860 ---- o su A recepirlo non furono i socialisti??? O su Pensare che ai primordi della??? O su modelli positivi dalle masse di giovani.???
L’errore principale che i fascisti stessi fanno nell’individuare le origini del fascismo è aborrire che possa avervi avuto influenza una qualunque loggia massonica. Nel mondo moderno è assai difficile che un governo possa andare al potere contro il volere di quella potente organizzazione. Questo sta nel non comprendere che la massoneria non è tutta uguale. In particolare per quanto riguarda il fascismo si può identificare un referente massonico in quella sudista. Non introdotto direttamente nel fascismo, ma tramite i suoi precursori distributismo e fabianesimo. Da questo punto di vista non ci sarebbe né da stupirsi né scandalizzarsi se anche Mussolini fosse stato massone.
Non è un caso che lo studioso che da parte fascista più di tutti esplorò i meandri della massoneria, Robert Brasillach, analizzando l’assonanza del fascismo con il fabianesimo inglese sostenesse: “Il regime ideale sarebbe quello che riuscisse a conciliare le idee di grandezza, di socialismo nazionale, di esaltazione della gioventù, e di autorità dello Stato, che mi sembrano proprie del Fascismo, con il rispetto della libertà individuale che è appannaggio incontestabile della costituzione inglese” (Robert Brasillach)
Più avanti analizzeremo le due diverse filosofie massoniche, quella nordista e quella sudista. Che nonostante (o conseguentemente) la sconfitta militare e la sua scomparsa territoriale, l’“idea” confederata ha continuato a sopravvivere nelle logge del sud.
Una filosofia pragmatica come il distributismo fabianista non dovrebbe avere pregiudizi di sorta ed escludere a priori qualcosa. La sua socializzazione come pragmatismo in contrapposizione a comunismo ed utopie varie lo dimostra. Il percorso del -- divenire storico--- con la scomparsa delle classi---- che smentisce il marxismo ----- sostituito come ripiego dal socialismo riformista che si rivela nulla più che populismo in assenza di un’alternativa ---- dopotutto anche secondo Sorel i socialisti aspirano a diventare borghesi e non a instaurare un sistema migliore per tutti. ---qui???---- il sistema economico del distributismo fabianista ha trovato la collocazione politica ideale in quella mentalità che quasi per caso prese il nome di “fascismo”.
Sorel respinge ogni forma di parlamentarismo e riformismo, ma respinge anche l’idea di “Stato socialista”. Egli dice: “l’idea che il proletariato abbia come missione storica di imitare la borghesia”. Umberto Cerroni, “Il pensiero politico del novecento”, Newton ed., pag. 17. cosa che costituirebbe soltanto “un mutamento di padroni per soddisfare ideologi, politicanti e speculatori, tutti adoratori e sfruttatori dello Stato”. Umberto Cerroni, “Il pensiero politico del novecento”, Newton ed., pag. 17. ---da “Riflessioni sulla violenza”, Sorel. Per cui a molti il socialismo gettò la maschera.
Il motivo per cui in Anglosassonia non ha attecchito il marxismo, secondo Guido De Ruggiero perché li operava il “liberalismo sociale attivo nel mondo anglosassone, dove non a caso le politiche liberali hanno sostenuto con miglior successo che nei paesi latini il confronto con il socialismo” ---Valerio Zanone, “Il liberalismo moderno”, pag. 200.
Difatti in Anglosassonia “da John Stuart Mill in poi, non vi è stato alcun pensatore liberale importante, fatto salvo Herbert Spencer, che difendesse una teoria che anche soltanto si avvicinasse al laissez faire” ---- George Holland Sabine, “Storia delle dottrine politiche”, pag. 567.
Ma questo -------- era pure all’origine dei guasto del capitalismo vigente come liberismo impedito da ---questioni sociali---------, e non quello che venne ripreso solamente dagli “anarco-capitalisti”. A soluzione di ciò --------- non una via di mezzo che si era dimostrata null’altro che -------, ma un’alternativa completa. Ed una di queste era certamente il fabianesimo, borderline tra socialismo e liberismo ma non via di mezzo, bensì ------ totale ----- alternativa. E come esso anche le sue derivazioni tutte affini al distributismo, tra cui, alla fine, il fascismo.
Tuttavia
“In cosa consistesse effettivamente la socializzazione delle imprese, se essa fosse socializzazione di utili, di residui, o semplice coinvolgimento nella gestione senza utili, non è chiaro. Molte versioni contraddittorie si accavallano durante la breve esperienza di Salò” Gianpasquale Santomassimo, “La terza via fascista”, Carocci ed. -----destra sociale pag. 18.
Il discorso pubblico di Mussolini a Milano del ---- dicembre 1944 è inequivocabile e chiarificatore riguardo la socializzazione venuta alla luce pubblicamente.
Secondo Mussolini la socializzazione “è il principio che inaugura quello che otto anni or sono (…) vaticinai “secolo del lavoro” nel quale il lavoratore esce dalla condizione economico-morale di salariato per assumere quella di produttore, direttamente interessato agli sviluppi dell’economia e al benessere della nazione. La socializzazione fascista è la soluzione logica e razionale che evita da un lato la burocratizzazione dell’economia attraverso il totalitarismo di Stato e supera l’individualismo dell’economia liberale che fu un efficace strumento di progresso agli esordi dell’economia capitalista, ma oggi è da considerarsi non più in fase con le nuove esigenze di carattere sociale delle comunità nazionali” (Benito Mussolini, dal discorso del Lirico, 16??? dicembre 1944)
Discorso che smentisce ed illumina i molti che non riuscendo a concepire un qualcosa di diverso da liberismo e statalismo identificano erroneamente la socializzazione come una via di mezzo al pari della socialdemocrazia. Specificare differenza socializzazione – comunismo ---- In effetti la differenza tra socializzazione e liberismo (vero liberismo, quello che oggi non è applicato da nessuna parte) è solo di forma, e Indro Montanelli ce ne dà la più lucida definizione: quando il corriere della sera era di proprietà dei fratelli Crispi, il direttore Montanelli di fronte alla critica di essere un salariato dei medesimi fratelli, rispose che era l’opposto, erano loro ad essere salariati dei lavoratori del giornale.
Difatti dal punto di vista allocativo degli utili non vi è alcuna differenza tra un azienda nella quale i proprietari dirigenti salariano le maestranze, ed una nella quale i soci-lavoratori salariano i dirigenti. La differenza sta principalmente nella cognizione psicologica dello status inter-aziendale. Ma è una differenza estremamente importante, dal punto di vista della produttività specifica. Come abbiamo visto riguardo la concezione alienante dell’organizzazione lavorativa. -----specificare------
Solow presenta un modello di sviluppo neoclassico senza progresso tecnico basato su una funzione della produzione aggregata, con rendimenti di scala costanti. Egli dimostra che in equilibrio il saggio di profitto è uguale alla produttività marginale del capitale ed il saggio salariale (o salario unitario) è uguale alla produttività marginale del lavoro, per cui il reddito è uguale alla somma dei profitti complessivi (saggio di profitto per il capitale impiegato) ed il monte salari (salario per occupato per il numero di occupati). ----già scritto?----- dalla funzione della produzione di Solow si può ricavare una funzione della produttività media del lavoro, in cui quest’ultima dipende dal rapporto capitale/lavoro. Solow dimostra, partendo da tale funzione, che con saggi salariali più alti si avrà un maggiore rapporto capitale/lavoro e viceversa. ----Anche su teoria del valore? –----
Una persona che impieghi un capitale per un attività pretenderà di ricavarne l’equivalente di un salario equivalente al “salario di equilibrio” ----in voga in quel momento---- (qualora vi impieghi anche il proprio lavoro) detto “reddito da lavoro”, più il tasso di rendimento del capitale investito (“produttività marginale del capitale”). Qualora tale somma scendesse sotto il saggio di profitto ---in voga------ saggio di profitto: rapporto tra profitto e capitale (non salari!) egli sarebbe propenso a ricavarne solamente la cifra-salario, investendo il proprio capitale in altra maniera. Tenendo conto che il tasso di rendimento del capitale è uguale per tutte le imprese, ed è nel lungo periodo indirettamente collegato ai tassi di interesse bancari, se ne può ricavare che tanto più alto esso è e più si avrà un accentramento di proprietà (----e “intensità capitalistica”?------) nel dato sistema economico, e viceversa. Oggi non è affatto raro che un proprietario ceda la propria quota di attività pur rimanendovi come salariato, oppure opti comunque per un impiego salariato equivalente.
Di conseguenza con la socializzazione i tassi di rendimento saranno piuttosto bassi (causa-effetto) in confronto agli equivalenti teorici redditi da lavoro, ma livellati tra un numero maggiore di attori. Cosa che limitando la differenza tra redditi da lavoro e quota totale favorirà la tendenza al mantenimento del capitale investito limitando la possibilità di insoddisfazione di rendimento, limitando perciò la propensione al lavoro dipendente rispetto ad oggi.
Reddito da lavoro tipico di artigiani.
Ritorno delle tecniche: aumentando ad esempio il saggio salariale si può passare ad una tecnica a maggiore intensità capitalistica (come per Solow), ma aumentando ancor più i salari ritornare alla tecnica originaria.
Tecnica: proporzione in cui combinare lavoro e capitale – intensità capitalistica delle tecniche. – al crescere dell’intensità capitalistica aumenta il prodotto ma in maniera decrescente, e quindi anche la produttività media crescerà ma con incrementi via via decrescenti.
Saggio di profitto: rapporto tra profitto e capitale o meglio tra plusvalore / (capitale variabile + capitale costante).
In conclusione il punto è che -----------------------------
Difatti fino a che ----bivio----- era difficile inquadrare una differenza tra padrone e salariato, tra “shareholders” e “stakeholders”. Le cose sono però radicalmente mutate nel momento in cui si sono create le condizioni per l’affermarsi di un sistema di mercato. La forbice tra detentori legali della proprietà e lavoratori subordinati si è allargata sempre più. Il punto di svolta all’origine de ------- è il momento in cui anche il lavoro diventa mercificato, cioè oggetto di scambio di mercato. Nasce il salariato come figura centrale della società industriale, colui che presta il suo lavoro in cambio di un salario. La nascita di un mercato del lavoro – avvenuta nei primi anni del XIX secolo nell’Inghilterra vittoriana – è secondo l’economista Polanyi il momento decisivo, l’anello che completa la catena, composta da mercati per i beni, per la terra e per i capitali. Da quel momento in poi, dice Polanyi, il mercato si distacca dalla vita sociale e diventa sempre più autodeterminato. In questa maniera, Polanyi permette di capire che quell’ambiente così particolare di cui avevano già parlato Smith, Weber e Simmel è una costruzione istituzionale, il prodotto di una serie di decisioni politiche. ---mercato e società pag. 68.
E’ solo con la nascita del salariato che diventa possibile chiudere il cerchio che consente la nascita dell’economia moderna e questo perché è solo con il salario che tutto - anche il lavoro personale - può essere monetizzabile. A partire da quel momento, l’azione economica viene valutata sulla base di un calcolo quantitativo reso possibile dal denaro che trasforma qualunque valore in un numero. (secondo Marx e Polanyi) mercato e società pag. 20.
proprietari, Marx ed Engels preferiscono generalizzarli con il termine “borghesia”.
Secondo Marx, da un punto di vista giuridico nella società liberale nessun uomo è subordinato all’altro, ma da un punto di vista economico c’è una subordinazione dei dipendenti verso i proprietari. Nella realtà il rapporto di lavoro è un libero accordo, ma a favore di Marx va detto che spesso è un libero accordo non rifiutabile; nel quale a tenere il coltello dalla parte del manico sta comunque uno dei due (solitamente il padrone). Visto come il legaccio che tiene -----proletario legato al lavoro------ è la paura della perdita della fonte di sostentamento, convenzionalmente la saldezza della presa sul manico è determinata dalle percentuali di disoccupazione. E qui dovrebbe stare il nocciolo (soprattutto dal punto di vista di Marx, beninteso): fare in modo che nessuna delle due parti tenga questo coltello per il manico!
In questo concetto si è basata la politica --------economica----- di retroguardia del fascismo italiano fino al 1943, del nazional-socialismo tedesco, del Giappone, di Franco e di Salazar, e poi quella del sindacato Cisnal nel dopoguerra. Ma Marx anziché desiderare “togliere il manico del coltello dalle mani del padrone” preferì impuntarsi sull’eliminazione definitiva del padrone, anche fisica.
Propositi di Cisnal -------- e che ci azzardiamo oggi ad identificare anche nelle proposte dei ministri Tremonti, Sacconi e Brunetta.
Obiettivo dell’Ugl (ex Cisnal) il “superamento definitivo della concezione politica di classe sociale e delle sue conseguenze ideologiche” e la “corresponsabilizzazione dei lavoratori nelle scelte dell’impresa” ---dal sito internet dell’Ugl, finalità.
Il superamento dell’attuale sistema poteva realizzarsi “attuando un nuovo sistema di economia socializzata programmatica a base corporativa in senso sostanziale, nella quale tutti gli elementi attivi ed operanti nella produzione […], superando il dogma distruttivo dell’odio di classe e l’egoismo individuale strettamente speculativo, trovino una possibilità d’intesa […] per una partecipazione collegiale al processo produttivo e al conseguente processo distributivo della ricchezza” (Gianni Roberti, Cisnal)
Schiavismo: lavorare male, ma sempre si mangia, e non si è cacciati via.
Liberismo: lavorare male, si è cacciati, e non si mangia.
In buona sostanza questa la differenza: nel liberal-capitalismo il padrone possiede la miniera e compra gli attrezzi. Gli operai ricevono una paga fissa, e il carbone estratto è trattenuto e venduto dal padrone.
Nel comunismo la sola differenza è che “Stato” si sostituisce a padrone.
Nella socializzazione distributista ogni operaio tiene per sé e vende a chi vuole il carbone che ha estratto (ovviamente non letteralmente, ma tramite l’intermediazione commerciale della propria azienda, altrimenti sai che caos!). La miniera, pur unita organizzativamente, è di proprietà uguale di ogni addetto. I mezzi tecnici sono acquistati da tutti gli operai suddividendosi la spesa. Gli operai possono premiare l’amministratore che dimostri la capacità di saper far funzionare meglio l’azienda e vendere di più a prezzi vantaggiosi.
Non si limita certo solo a questo la differenza: capitalismo, gli operai sono costretti ferreamente al lavoro dalla necessità di sostentamento e dalla minaccia di licenziamento.
Comunismo: gli operai sono costretti al lavoro, ma non avendo alcun incentivo e non potendo essere licenziati non hanno alcun interesse a farlo bene. Di conseguenza si hanno produttività bassissime.
Socializzazione: gli operai sono spinti al lavoro efficiente solo dalla propria volontà. Il guadagno deriva dalla loro produzione e quindi dipende unicamente da sé stessi.
Inoltre: capitalismo: il proprietario è direttamente interessato alla produzione e quindi attua ogni mezzo finalizzato al suo interesse; l’amministratore è spronato da esso con la minaccia del licenziamento e gli incentivi.
comunismo: l’amministratore non ha alcun interesse diretto nella produttività, né come introito personale, né come stimolo altrui. Di conseguenza se ne disinteressa fino al punto in cui ciò non gli nuoccia direttamente (come nel caso riceva tangenti in cambio di prezzi di vendita ribassati o di acquisto rialzati a sua discrezione).
socializzazione: l’amministratore subisce la pressione e riceve incentivi dagli altri soci, ed è inoltre direttamente interessato all’efficienza essendo esso stesso proprietario in società dell’azienda, per cui è spronato alla maggior efficienza. Il controllo sociale sull’amministrazione diverrebbe talmente stretto (“collaborativo”, più esattamente) che gli sarebbe impossibile frodare i suoi soci.
Ed a spiegarlo meglio questo insuperabile commento di Nicola Piras:
“Senza l’intervento, oramai comprovato, del capitale angloamericano, l’URSS avrebbe dichiarato bancarotta nel 1919, come ha ampiamente argomentato Solgenitsin. Questo dovrebbe bastare. Oppure si potrebbe dire che Stalin, per avere abbastanza prodotti agricoli da barattare con Germania, Italia, USA (principalmente) in cambio di tecnologie industriali, sterminò 10 milioni di ucraini, e rese l’intero popolo Russo schiavo di un sistema Orwelliano e assurdamente “Antisocialista” (dal loro stesso punto di vista). Anche questo dovrebbe bastare. Ma aggiungo una considerazione personale: il fascismo è, in estrema sintesi, “Fare quadrato”. La “mobilitazione totale dell’esistente” si può ottenere certo con tentativi coercitivi, come tentò Stalin. I risultati sono pessimi. Si può, invece, eliminare alla radice i motivi di divisione, inserendo, ad esempio, la lotta di classe all’interno di strutture dialettiche (corporativismo, ma anche il “Fronte del Lavoro” tedesco, che anticipò molti tratti della Rsi), o addirittura eliminando il motivo principale della divisione (e quindi dell’ottica conflittuale) di classe: il lavoro salariato. Questa è, ne più ne meno, la socializzazione. Lo statalismo bolscevico si adatta molto bene agli schiavi. Personalmente, credo che un popolo forte sia formato da Uomini Liberi, sopratutto moralmente, prima ancora che giuridicamente. La socializzazione non è peloso “Welfare”, oppure filantropia borghese. è rendere giustizia al Lavoro, che è la base dell’atto di Volontà pura con cui l’Uomo plasma il mondo” (Nicola Piras - il Fondo magazine, 25 maggio 2009)
Quindi efficienza nel comunismo compromessa da -----bla bla bla--------
-----bevande al detersivo qui???------
Comunismo ---- anche se sarebbe più esatto evitare di usare questa parola per definire il marxismo, dato che molte persone tendono a dare alla parola comunismo un significato che dal marxismo è ben lontano, tanto che più di una volta si è sentito definire perfino Gesù Cristo come comunista. Pare che gli ultimi residui del marxismo non sappiano più dove appigliarsi per giustificare quell’aberrazione che è stato il comunismo. Al punto che ancor oggi ci sono non-comunisti che però continuano a giustificare Marx (“in fondo aveva buone intenzioni”), senza riuscire a rendersi conto che il marxismo è basilarmente una dottrina liberticida nei suoi stessi propositi, tanto da voler proibire perfino il semplice possesso di beni ---- da parte di persone-------! Ed i marxisti fanno buon uso di questo equivoco semantico sulla parola “comunismo”. ---- o su Il marxismo, universalmente ritenuto???----- o su Sartre persisteva nel dirsi comunista. E rifletteva???-----
“La questione, in poche parole, è che ciò che rende efficiente l’economia non è il meccanismo del profitto, ma la motivazione degli agenti economici, la rapida circolazione delle élites, il grado di innovazione, le aspettative, e il clima politico generale. Finché tali fondamentali sono in essere, i risultati si ottengono, indipendentemente dall’organizzazione giuridica dell’impresa, etc.” (Nicola Piras - il Fondo magazine, 25 maggio 2009)
La socializzazione invece asseconda la natura umana perfino negli aspetti che il liberismo invece frustra -------- bla bla bla ------
Il liberismo, invece, confonde l’economia o prudenza domestica con l’affaristica o arte di arricchirsi, che fa della ricchezza il fine e non un mezzo.
Cose dirigiste in economia: ciò che Marx chiama “sovrastrutture”.
Specificare che anche tasse alterano cose, oltre a dirigismo e sindacati!!!!!!! Sovrastrutture marxiane.
Solo eliminando il concentramento della proprietà in poche mani sarebbe possibile completare lo sviluppo definitivo del capitalismo. Il sistema giuridico esistente mira invece a isolare il potere di proprietà, d’impresa.
“La validità storica del fascismo risiedeva in ciò: nell’opporre a un comunismo, germogliato da una filosofia materialista, un comunismo scaturito da una filosofia spiritualista” (Giuseppe Bottai, Diario, 11 marzo 1946)
Il fascismo riprendendo le filosofie distributiste e fabianiste rielaborandole e completandole nella socializzazione ----------------- dimostrava la sua natura pragmatica esente da pregiudizi di sorta e --------.
“Tutte le associazioni, tutti gli altri partiti, ragionano in base a dei dogmi, in base a dei preconcetti assoluti, a degli ideali infallibili, ragionano sotto la specie della eternità per partito preso. Noi, essendo un antipartito, non abbiamo - si passi il bisticcio - partito preso” (Benito Mussolini, dal discorso all’assemblea milanese dei fasci, 5 febbraio 1920)
La caratteristica che per prima salta all’occhio riguardo il fascismo è la cripticità: a tutt’oggi nessun politologo è riuscito a stabilirne una definizione univocamente accettata. Nemmeno Mussolini riuscì a darla. Difatti il fascismo esulava totalmente dagli schemi politici precedenti derivati da quelli scaturiti dalla rivoluzione francese. Inevitabilmente, essendo esso la negazione politica di quegli schemi, riadattata all’evoluzione storica assorbendo idee nuove quali quelle socialistiche. Non il solo fascismo si rifece al fabianesimo. Anche Filippo Turati, che del fascismo non fece mai parte, fu espulso dal PSI dopo aver maturato propositi di socializzazione fabianisti. Pietro Nenni invece, dopo aver seguito inizialmente Mussolini[84], se ne ritorno all’ovile del populismo. Il tedesco Ernst Nieckisch ideologo del “nazionalbolscevismo” si aggregò a questa branca economica senza tuttavia assimilarsi al fascismo. Da tutta questa galassia antiliberista ed antimarxista nacque e prese sempre più piede la concezione di “terza via”, un prospetto che realmente impauriva i poteri dominanti e che fino ad allora avevano cercato di soffocare proprio tramite la populistica propaganda marxista che essi tenevano ben in pugno consapevoli dell’utilità di essa come strumento per evitare il sorgere di alternative veramente praticabili con efficienza.
“La sinistra fa sempre il gioco del grande capitale, a volte perfino senza saperlo” (Oswald Spengler)
L’inefficienza era (ed è) quindi volutamente sostenuta da qualcuno (e più avanti vedremo chi), secondo la filosofia “mors tua, vita mea”. La sinistra burattina monopolizzando l’anticapitalismo con le sue alternative volutamente assurde ha impedito la crescita di alternative efficienti, sottraendo ad esse il consenso popolare tramite la sua tipica demagogia populista. Per decenni questo loro gioco aveva funzionato, ma dato che “nessun fenomeno al mondo può impedire al sole di sorgere” prima o dopo le idee distributiste dovevano uscire dall’ombra nella quale erano state relegate dai capitalisti tramite il sostegno all’ideologia marxista.
Di fronte al mancato attecchimento del marxismo in Gran Bretagna è facilmente spiegabile il “ripiego” sul fabianesimo, che non costituisce una contrapposizione al liberismo come lo è il marxismo, ma una modifica che prende spunto dal distributismo cattolico. Una modifica, sia chiaro, non del liberismo comunemente applicato (che nella realtà è intriso di dirigismo), ma del vero significato del termine ossia quello rispecchiato oggi unicamente dalla filosofia economica anarco-capitalista.
Il
fabianesimo fu il capostipite di questi movimenti politici distributisti. Il
fabianesimo, nato in Inghilterra nel 1883 ad opera di Sidney Webb[85]
come alternativa critica al marxismo, si proponeva come scopo primario
l’elevazione politica e sociale dei lavoratori per renderli idonei ad assumere
il controllo dei mezzi di produzione, da realizzarsi con una tattica
gradualistica e temporeggiatrice.
«Il fabianesimo si nutre di capitalismo, e il suo escremento è il comunismo» (Saggi Fabiani, 1889)
A differenza del marxismo, il fabianesimo aveva nel pragmatismo la sua caratteristica principale, rifiutando quindi a priori tutte le prospettive utopiche od incongruenti. Il suo socialismo non era rivoluzionario, ma finalizzato allo sviluppo ed all’evoluzione delle istituzioni esistenti. Il distributismo fabianista propugnava un concetto di “diritto di proprietà” dei mezzi di produzione diverso da quello individualista proprio del liberismo, con il proposito di porre fine al disordine economico ed alle iniquità gerarchiche provocati da un capitalismo “deviato”; ed a differenza del marxismo, rifiutava di considerarne l’abolizione. Non c’è da stupirsi che il suo più accanito avversatore ideologico fosse il bolscevico Leon Trotsky, lo stesso affossatore della Machnovščina. Anche se il livore di Trotsky potrebbe sembrare dettato dalla logica “due galli non possono stare nello stesso pollaio”, in realtà i veri motivi sono più subdoli, come si dedurrà continuando la lettura.
«La deviazione moderna […] deve necessariamente corrispondere a un “piano” ben congegnato, e cosciente per lo meno in coloro che dirigono tale “guerra occulta”» (René Guénon)
Quel che caratterizzava distintamente, e quindi accomunava, ogni teoria politica esulante sia dal liberismo che dal marxismo, era principalmente l’interclassismo ossia il rifiuto di accettare la società nazionale come divisa in classi avversarie. Il marxismo, con il suo “materialismo storico” invece era fondato proprio su questa divisione, dando a tutto il divenire storico la descrizione di una lotta tra classi, anziché tra nazioni. In Urss l’uguaglianza di stirpe viene sostituita dall’uguaglianza di classe. Mentre il liberismo, da parte sua, tale frattura sociale la crea implicitamente come inevitabile conseguenza del proprio sistema economico prettamente iniquo, e ne ignora ogni critica sopprimendola all’occorrenza, il distributismo recepisce l’evidenza che le nazioni più forti (e che quindi danno più sicurezza e benessere ai propri cittadini) sono sempre state quelle dove il concetto di “stirpe” è stato più sentito tra la gente, e non quelle dove l’unità nazionale sia stata incrinata dalla frattura in classi. Secondo Schmitt l’uguaglianza di stirpe viene assunta come garanzia che il potere di un capo non diventi tirannia e arbitrio e che la fedeltà dei seguaci non degeneri.
“[il popolo italiano] avendo ritrovato la sua unanimità… non è più il caso di contare e misurare i singoli uomini” (Giovanni Gentile, 1925[86])
Si consideri il caso odierno di Israele, sicuramente lo Stato dove il concetto di “stirpe” raggiunge l’apoteosi come mai nessun altro prima, e dove la solidarietà interna è quasi parossistica. A conferma basti considerare la nota efficienza del Mossad[87], il quale può permettersi di inviare gruppi di decine di persone a fare danni in giro per il mondo senza che da nessuna di esse trapeli parola. Si consideri il fatto che nel 1979 sono riusciti a far esplodere una bomba atomica nell’oceano indiano senza che ad oggi nessuno ne abbia dato conferma ufficiale[88]. L’odio popolare verso Mordechai Vanunu[89], l’unico israeliano che abbia mai tradito il suo popolo, è esemplare.
L’efficienza di uno Stato nazionale si esprime anche nell’efficienza del lavoro, caratteristica riconosciuta per antonomasia ai giapponesi ed ai tedeschi, popoli di due nazioni dove notoriamente il concetto interclassista di “stirpe” è sempre stato molto sentito.
“I sindacati tedeschi sono stati straordinariamente ragionevoli e sono stati ragionevoli perché si sono ricordati cosa significa inflazione” (Friedrich von Hayek, sul motivo della rinata potenza economica tedesca nel dopoguerra)
Lo stesso vale a livelli differenti per tutte le altre nazioni, a meno che non vi sia presente un altro tipo di legame ad unire l’entità statale: è il caso della Svizzera e del Belgio, in cui viceversa sono gli interessi economici a determinare l’unità. Gli Stati Uniti d’America sono una evidente via di mezzo. Non è un caso che i paesi dove la massoneria riesce ad avere maggiore influenza sono proprio quelli basati principalmente sull’unione economica (Svizzera, Belgio, Canada, ecc.) o sugli interessi esteri (“paradisi fiscali”).
Soprattutto perché, inoltre, e non ultimo, si considerino i differenti livelli di corruzione tra uno Stato geneticamente omogeneo ed uno diviso in tribù: è certamente più semplice (ovvero meno costoso) corrompere un funzionario in Africa o in America latina piuttosto che in Gran Bretagna o in Francia; la conseguenza inevitabile si ritrova nella maggior propensione alla corruzione (che quindi, per la legge domanda-offerta, diviene meno costosa per atto), e come conseguenza secondaria ne deriva l’apposita complicazione del sistema burocratico ad ogni livello preordinata dalla “nomenklatura” e finalizzata proprio a spremere questa potenziale fonte di lucro.
“La corruzione di una repubblica nasce
dal proliferare delle leggi” (Tacito)
Ed è
anche il motivo dell’eliminazione delle colonie auspicato dagli Stati Uniti
delle multinazionali.
Tanto più è diffusa la corruzione, e tante più persone ne saranno coinvolte, come corrotti o concussi. Fino ad arrivare al punto che la corruzione stessa viene assorbita dal sistema tanto da divenirne il motore, ma un motore estremamente inefficiente. Pierre Drieu la Rochelle scrive nel suo “diario 1943-1945”, riguardo ai suoi concittadini: “…tutti quegli imbecilli erano fieri di essere governati da altri imbecilli sprovvisti quanto loro di immaginazione e di coraggio, di audacia e di perseveranza (…) in cuor loro erano contenti di aver a che fare solo con dei ladruncoli e non con degli esattori inflessibili ed esigenti”. Inevitabile fare il paragone tra Napoli ed il resto del mondo riguardo le multe dei vigili urbani, e sintomatica la frase pronunciata da un tele-imbonitore sottintesa al proposito di lanciare una torta in faccia ad Antonio Lubrano, giornalista indagatore di truffe: “italiani, lo faccio?”.
“L’estensione dello Stato causa la proliferazione delle leggi; la proliferazione delle leggi causa la moltiplicazione degli illeciti, reali o potenziali; la moltiplicazione degli illeciti causa infine, prima la diffusione e poi la banalizzazione dei crimini. […] lo Stato non è più la soluzione dei problemi, ma diventa il problema” (Giulio Tremonti) “Lo Stato criminogeno”, Giulio Tremonti, Laterza, 1998. ---collegare a licenze??-----
Certamente il maggior esempio della differenza tra liberismo e distributismo sta nella realtà dei paesi liberisti, soprattutto negli esempi peggiori (perché se gli altri sono migliori non è certo grazie al sistema liberista e la conferma è proprio che esso permette il raggiungimento di quei livelli raggiunti dai peggiori). Inevitabile quindi porre l’accento sugli aspetti più retrivi causati dal liberismo, perfino nel campo sociale. Il riferimento più calzante è al solito patetico ritornello “tengo famiglia”, un po’ come dire che tutti gli altri no… Tutti teniamo famiglia, superfluo rispondere. Il più ---- risultato de ---- liberista è rappresentato dalla cosiddetta “arte di arrangiarsi”, supremo indice dei difetti del liberismo che fin qui abbiamo sottolineato criticamente. Il liberismo confonde l’economia o “prudenza domestica” (come la definì Antonio de Oliveira Salazar) con l’affaristica o “arte di arricchirsi”, che fa della ricchezza il fine e non un mezzo. Sistema sociale che non può non finire a ricadere nella gestione politica, dato che in tale sistema anche il politico più onesto è costretto a tollerare la corruzione come finanziamento per il partito. Soprattutto quando sia talmente radicato che esistano perfino dei “listini prezzi”. Chi non lo fa sarebbe automaticamente escluso. E la stessa propria responsabilizzazione dovrebbe spingere ad adeguarsi anziché lasciare il campo libero ai peggiori immeritevoli. Sotto questo punto di vista la vicenda di Bettino Craxi prende una luce diversa da quella ----solita-------. La conferma è che il finanziamento pubblico dei partiti, che avrebbe dovuto rappresentare un sostitutivo della corruzione, ha finito per rivelarsi solo un suo integrativo. E’ inutile punire, bisogna eliminare i “bug” i quali lasciano nicchie aperte alla corruzione. La quale non è un difetto fine a se stesso ma si ripercuote in tutti i gangli. ----- tangenti come concorrenza sleale----- Dopotutto il concetto stesso di empatia presume che in un sistema corrotto anche il più onesto debba adeguarsi (imprenditore che paga tangente). Un esempio significativo per capire è quello del lavoro di cameriera negli Stati Uniti: la cultura di quel paese impone la mancia alla cameriera quasi come un obbligo morale, cosicché i rapporti datore di lavoro – cameriera si adeguano di conseguenza in un tacito accordo che permette l’attribuzione di stipendi particolarmente bassi. Questo meccanismo è (o era) riscontrabile anche nelle forze di polizia (come denunciato da Frank Serpico negli anni ’70), con nei ruoli di datore di lavoro il sindaco, e nei ruoli di clienti la criminalità ed i negozianti interessati alla protezione del negozio. Il sindaco ed i cittadini lo tollerano, potendo così esigere e pagare meno tasse. Il discorso assume un certo significato alla luce del fatto che un aumento di salari non riduce la corruzione e le mance alle cameriere, di per sé spontanei e svincolati dai salari, e di conseguenza l’unica azione possibile per chi volesse modificare le brutte abitudini non potrebbe essere altro che modificare un’intera -----retroterra----- culturale.
“Il sistema è talmente corrotto che tanto vale trarne vantaggio” (Vittorio Sgarbi)
Per -------- l’influsso sulla società e su -------psiche?---- basti dire che il sistema delle mance alle cameriere in molti casi ne fa quasi delle prostitute, rendendo molto labile il confine tra bar e locale lap dance. Così come tra polizia e criminalità…
Un meccanismo di tacito accordo simile è quello che vige ------- e viene definito “scambio sovietico”: paghiamo poco ma chiediamo poche prestazioni, chiudendo gli occhi davanti corruzione, assenteismo, lassismo, inefficienze, doppio lavoro e lavoro nero. ----- Lodovico Festa, Giulio Sapelli, “Capitalismi”, Boroli ed, pag. 64. ---- -- su paragone Italia con Urss – Prodi??? ----- o su meritocrazia?’----
Se questi risvolti tipici del liberismo paiono ---buoni---------. Sono risvolti tipici delle filosofie keynesiane del valore sganciato dalla produzione. E’ la produzione a fare i soldi, e quindi maggiore è la produzione e maggiore possibilità di pagare c’è. Se non si chiudessero gli occhi sulle inefficienze intenzionali non ci sarebbe bisogno di pagare poco, si potrebbe pagare di più, con ---conforto---- di tutti quanti. Oggi vige una logica esattamente capovolta! Quella del considerare nella merda una gratuita risorsa invece di un residuo restituito dal consumo.
Tali inefficienze corruttive, che hanno raggiunto la loro apoteosi nel sistema sovietico, sono determinate dalla caduta della solidarietà organica interna alle nazioni. La “solidarietà organica” di cui parlava E. Durkheim – cioè quel senso di appartenenza, di fiducia e di mutuo scambio che permette di stare insieme pur svolgendo funzioni diverse – è prodotta anche dal mercato. --- qui o su su organicismo???------ ma nel mercato che abbiamo descritto, quello liberista, ne derivano anche i difetti che abbiamo visto. Non vi è più una comunanza sentita come necessaria alla società ---- ma vi è l’individualismo più ---------, coi suoi risvolti. ----personalismo-----
“Non appena dentro una comunità familiare si calcola, non vi è più una gestione rigorosamente comunistica, non vi è più la pietà originaria e allora l’impulso all’acquisizione non è più in secondo piano” (Max Weber) -----qui o su consumismo???-----
Il fatto che nell’Urss l’individualismo abbia trovato la sua espressione più estrema dimostra come l’uguaglianza di classe che dovrebbe comportare la relativa solidarietà di classe tanto quanto quella di stirpe che viene a sostituire, non esista, confermando quanto labile sia il concetto stesso di “classe”. Un sistema che sostituisca ----stirpe--- con ---- classe---- è destinato al fallimento per mancanza di basi sociali. Comunismo: alta priorità data dalla pianificazione agli aumenti produttivi e la scarsa attenzione data alle condizioni di lavoro = alienazione non meno che fordismo-taylorismo.
“Vedere gli immensi vantaggi della loro organizzazione fraterna semicomunista e constatare i buoni risultati della loro colonizzazione in mezzo ai tanti falliti della colonizzazione di stato, fu una lezione che avrei cercato inutilmente nei libri. E poi, vivere con gli indigeni, osservare le forme complesse di organizzazione sociale che essi hanno elaborato lontano dall’influenza di qualsiasi società, era fare provvista di una luce che avrebbe poi rischiarato i miei studi futuri” (PËtr Aleksejevic Kropotkin)
Quello che viene prodotto nella nazione viene diviso (“allocato”) tra la nazione, in un modo o nell’altro (teoria del “trickle-down”). L’individualismo provoca invece che venga venduto al miglior offerente, eventualmente anche estero, il che è la causa delle differenze patrimoniali tra stati. O meglio, della relativa ricchezza di stati poveri di qualsivoglia capacità produttiva, e della relativa povertà di molti stati ricchi di materie prime. Tuttavia ciò vale solo dal momento in cui vengano cedute all’estero merci essenziali per l’interno, il che non implica il blocco dei commerci esteri di prodotti che abbondano all’interno. Tutto sta nei valori riguardo la bilancia commerciale, che tendono a livellarsi fino al raggiungimento della parità. Raggiungimento che è spesso impedito da ------------ barriere imposte da -------interessati--------.
Soprattutto quando l’esportazione di beni necessari è causata dalla corruzione dei responsabili del commercio (deputati a decidere i prezzi e i dazi), come avveniva soprattutto nei paesi comunisti, ma non solo. Si pensi al caso dei materassi destinati agli ospedali di Cuba, svenduti ad una società statunitense dal ministro della sanità del governo Batista!
se il mantenimento dei rapporti con l’ex colonizzatore porta a ------------, il taglio netto si dimostrò ancor peggiore. L’esempio più palese lo abbiamo nel Kenya il giorno dopo l’indipendenza, con la distruzione di tutti i beni di provenienza estera. Casse di uova, arance, birra, e quant’altro gettate dalle finestre dei magazzini e calpestate dalla folla che picchiava chiunque, affamato, cercasse di raccoglierne. Tanto che poco dopo le nuove autorità keniote dovettero richiamare i britannici in soccorso…
---------stato più forte quello che esporta meno e importa di più, quindi compra a poco e vende a tanto---------- esempi pratici se ne possono fare a bizzeffe, il più semplice è quello rappresentato nel film “Banana Joe”, dal quale si può dedurre perché i mercati europei abbondino di banane ed i paesi poveri siano poveri. Nei mercati ortofrutticoli nordeuropei difficilmente si troverà qualcosa di produzione locale. Solitamente il prezzo alla produzione di prodotti tropicali è ben diverso dal prezzo al consumo nei paesi industrializzati, per il forte ----ricarico---- praticato da grossisti, trasportatori, rivenditori. I maggiori studiosi di quest’ambito furono Raul Prebisch e Gunder Frank. Il primo, con la “teoria della tendenza al peggioramento delle ragioni di scambio” -------------, il secondo -------- il sottosviluppo della periferia del mondo fosse dovuto ai rapporti ineguali con il centro del mondo, in po’ come tra periferia e campagna di una città. Il surplus economico dei primi era in sostanza espropriato a beneficio dei secondi e di una ristretta classe dominante ricca interna che lo rendeva possibile mantenendo sotto ----dittatura----- ---le proteste------ ed era per questo premiata dai paesi ricchi. ---indice di Gini------
Arghiri Emmanuel ha sviluppato la “teoria dello scambio ineguale” e parimenti ad altri la “teoria della dipendenza” la quale contribuiva a mantenere bassi i prezzi dei prodotti “neo-coloniali”. La teoria dello scambio ineguale si basa sul presupposto che i lavoratori dei paesi ricchi riescono, tramite la loro organizzazione e -------socialità solidale-----, ad assicurarsi una parte dell’aumento del prodotto; cosa che vale in misura molto minore tra i lavoratori dei paesi sottosviluppati, perché ---------. Per cui:
Paesi ricchi: aumento prodotto = aumenta salari – prezzi restano uguali
Paesi poveri: aumento prodotto = invariazione salari – diminuzione prezzi
Differenze tra vari paesi in economia dovuta prettamente alle sovrastrutture. Quando non dovuta a tipo di risorse.
Vi è quindi uno svantaggio strutturale che inevitabilmente andrebbe sempre più peggiorando, allargando il divario tra paesi poveri e paesi ricchi. Di conseguenza gli aiuti internazionali si rivelano nient’altro che carità pelosa, servendo unicamente a non far divaricare oltre un certo limite il divario, dato che ciò risulterebbe negativo anche per i paesi ricchi (i morti non producono nulla).
Sviluppo = crescita + cambiamento.
Povertà pvs: circolo vizioso della povertà – spirale perversa – su Arghiri e Gunder
Aiuti a pvs: morto non produce – per permettergli sopravvivenza, sussistenza – piano Marshall
In alcuni casi si cercò di ovviare con la “sostituzione delle importazioni” ma date le economie di scala è stato necessario ricorrere alla “protezione delle industrie bambine”, che ha lasciato uno strascico più deleterio che utile, in quanto anche una volta assestate ben difficilmente esse permetteranno che gli si tolgano quei privilegi introdotti come ---- temporaneo. Esse tenderanno ad assumere atteggiamenti monopolistici o di oligopolio collusivo, funzionando con scarsa innovazione, costi e prezzi elevati e robusti guadagni di monopolio coi quali corrompere i funzionari politici che dovrebbero porre un limite ai privilegi lobbistici. -----anche su benzina??----
“L’Italia dovrebbe essere l’Arabia Saudita dell’energia rinnovabile. Nessun Paese europeo ha le vostre risorse: il sole, la forza del mare, il vento, le montagne per le centrali idroelettriche. Eppure molti altri Stati, dalla Germania ai paesi scandinavi, sono più avanti” (Jeremy Rifkin)
Inevitabile che oggi lo Stato più potente del mondo sia il meno corruttibile, a prescindere dal numero dei suoi abitanti (oggi 6.500.000) o dei suoi concittadini sparsi per il mondo (più o meno 6.000.000). Questo conferma che i motivi delle differenze economiche tra le nazioni sono darwinisticamente determinati proprio dalla “caratura” dei suoi abitanti. Un paese povero è tale soprattutto perché i più ricchi sottraggono risorse ai più poveri portandole poi nei paesi più ricchi, che tali sono proprio grazie a questo meccanismo. Ognuno è responsabile della povertà o della ricchezza del proprio paese. Si pensi alla Romania di Ceauscescu: un cittadino su cinque era nel libro paga dei servizi segreti; questo rappresentava un consenso perlomeno del 20%, ma andava a scapito di tutti gli altri, e generalmente di tutti, “informatori” compresi, nella defluenza di beni dal paese permessa dal ferreo controllo su ogni possibile critica alla politica commerciale del paese. Oppure si consideri la storica diffidenza verso gli stranieri, la quale è prettamente dovuta proprio alla consapevolezza del disinteresse delle etnie allogene verso il bene comune. Il fatto che nella Romania comunista gli unici ricchi a parte l’apparato burocratico fossero stati gli zingari (perché rubavano), mentre tutti gli altri facevano la fame, tenendo conto che in quel paese era perfino reato pronunciare la parola “zingaro” è eloquente a spiegazione dell’odio che oggi vige verso gli zingari in quel paese. Niente in confronto con Chaim Weizmann, che in cambio del brevetto per la sintesi dell’acetone non chiese denaro per sé, ma una terra per il suo popolo…
“Un tale sistema di reciproche dipendenze è normale in se stesso: tuttavia, può facilmente diventare occasione di varie forme di sfruttamento o di ingiustizia, e, di conseguenza, influire sulla politica di lavoro dei singoli stati ed, in ultima istanza, sul singolo lavoratore, che è il soggetto proprio del lavoro. Ad esempio i Paesi altamente industrializzati e, più ancora, le imprese che dirigono su grande scala i mezzi di produzione industriale (le cosiddette società multinazionali o transnazionali), dettano i prezzi più alti possibili per i loro prodotti, cercando contemporaneamente di stabilire i prezzi più bassi possibili per le materie prime o per i semilavorati, il che, fra altre cause, crea come risultato una sproporzione sempre crescente tra i redditi nazionali dei rispettivi Paesi. La distanza tra la maggior parte dei Paesi ricchi e i Paesi più poveri non diminuisce e non si livella, ma aumenta sempre di più, ovviamente a scapito di questi ultimi. E’ evidente che ciò non può rimanere senza effetto sulla politica locale del lavoro sulla situazione dell’uomo del lavoro nelle società economicamente svantaggiate. Il datore diretto di lavoro, trovandosi in un simile sistema di condizionamenti, fissa le condizioni del lavoro al di sotto delle oggettive esigenze dei lavoratori, specialmente se egli stesso vuole trarre i profitti più alti possibili dall’impresa da lui condotta (oppure dalle imprese da lui condotte, se si tratta di una situazione di proprietà «socializzata» dei mezzi di produzione)” (Giovanni Paolo II, enciclica “Laborem exercens”, 14 settembre 1981)
Basti pensare al Kenya, dove l’intralcio politico attuato con dolo a tutti gli effetti impedisce di diventare proprietari di un terreno o di ottenere una licenza che permetta lo svolgimento di un mestiere. La conseguenza è che quasi ogni attività è abusiva. Ma è comprensibile quale possa essere il livello di efficienza di un agricoltore o di un commerciante su cui pende una “spada di Damocle” di un possibile ed improvviso abbattimento del negozio o esproprio del raccolto qualora non riesca a pagare la tangente al commissario locale. ------- alleanza neomarxisti e neoclassici contro l’economia dello sviluppo – neoluddismo------------ paesi dove pur essendo legale la proprietà privata e le licenze produttive e commerciali, il loro accesso è burocraticamente fortemente impedito, vengono definiti perciò “neo-marxisti”.
Grado di apertura: al commercio estero
“Consenso di Washington” base delle prescrizioni dei vari organismi economici mondiali. – o su sarebbe possibile realizzare uno sviluppo definitivo del capitalismo.???????
- Ampi e prolungati deficit pubblici contribuiscono all’inflazione ed alle fughe dei capitali. Perciò i governi debbono ridurli al minimo.
- I sussidi alla produzione debbono essere ridotti od eliminati. La spessa pubblica deve essere indirizzata verso l’istruzione, la sanità e le infrastrutture.
- La tassazione deve essere applicata su una base larga, con aliquote poco progressive.
- I tassi d’interesse dovrebbero essere determinati dal mercato finanziario interno. Tassi reali positivi scoraggiano la fuga dei capitali e aumentano il risparmio.
- I paesi in via di sviluppo devono adottare un cambio competitivo per accrescere le esportazioni.
- Le tariffe commerciali debbono essere ridotte al minimo, ed annullate nel caso dei beni intermedi necessari ai prodotti da esportazione.
- Gli investimenti stranieri portano capitali e risorse umane. Perciò essi vanno incoraggiati.
- L’industria privata è più efficiente. Le imprese di Stato vanno privatizzate.
- L’eccesso di regolamentazione governative stimola la corruzione e danneggia le piccole imprese che non possono accedere ai centri decisionali della burocrazia.
- La proprietà privata deve essere protetta. Leggi inefficaci e cattivo funzionamento della giustizia riducono gli incentivi a risparmiare e ad accumulare.
Uno dei maggiori studiosi mondiali di quest’ambito dell’economia è il professore spagnolo Jesús Huerta De Soto. Egli fa notare che se per ragioni di tipo burocratico, ad esempio l’intervento politico governativo, venga ad ostruirsi legislativamente la libera funzione imprenditoriale, la diretta conseguenza è il blocco del processo di coordinazione e la successiva emersione di conflitti e disallineamenti continui. Fenomeni come il contrabbando, il mercato nero, la collusione mafiosa in qualche modo cercano di scavalcare la restrizione istituzionale, mettendo in moto l’iniziativa di coloro che nella restrizione vedono aprirsi squilibri e quindi possibilità di poterli sopperire traendone dei benefici personali, in un lucroso intrallazzo più o meno tacito tra controllati (criminalità) e controllori (istituzioni) nel quale si arriva a non vedere più linea di confine tra l’uno e l’altro. Il che è notoriamente tipico degli stati meno omogenei e perciò più arretrati, cosicché sono proprio gli stati più sviluppati a poterne approfittare facilmente. Con le conseguenze ben note delle condotte politiche negli stati “neocolonie” praticamente lasciati bradi al depredamento economico internazionale. Secondo uno studio delle Nazioni Unite “l’intrusione dei sindacati del crimine è stata facilitata dai programmi di aggiustamento strutturale imposti ai paesi indebitati dal Fondo Monetario Internazionale per accedere a nuovi prestiti”[90]. Un popolo corrotto è meno ricco di uno onesto, perché la corruzione è una diseconomia come la criminalità o la scarsa istruzione.
“Il tesoro di una nazione è la sua onestà” (Confucio)
Generalmente si tende fatalisticamente a giustificare la corruzione (“in fondo fa arrivare i treni in orario”), ma ciò è ingannevole, perché la corruzione non produce alcuna ricchezza ed anzi per feedback induce che nel momento in cui non si ha possibilità o volontà di corrompere ne risulta che il “treno” viene fatto tardare appositamente dalla burocrazia anche quando sarebbe arrivato di per sé in orario. Il costo della corruzione pesa su tutti come sovrapprezzo ricaricato sui beni consumati, in quanto incidendo ugualmente su tutte le aziende di un settore eleva il livello concorrenziale dei prezzi. Quando l’azienda opera su appalto pubblico i maggiori costi ricadono sulle cifre richieste nella gara e quindi sulla spesa pubblica, con l’effetto non di “far arrivare in orario il treno” incoraggiando la realizzazione di opere pubbliche, ma di aumentare i costi per il “carbone” e quindi limitando la “velocità” ed il “numero di corse” effettuate dal “treno” ovvero di opere pubbliche! Negli Stati Uniti, ciò è talmente radicato da essere messo preventivamente in conto, ma in un paese tanto ricco di risorse i guasti indotti sono meno evidenti che in paesi poveri ma ugualmente sottosviluppati socialmente.
“Se uno Stato è governato dai principi della ragione, povertà e miseria sono oggetto di vergogna; se uno Stato non è governato dai principi della ragione, ricchezze e onori sono oggetto di vergogna” (Confucio)
Un pensiero sorge spontaneo: c’è da chiedersi se gli Stati Uniti avessero un concetto di “stirpe” analogo a quello di altre nazioni, quali ulteriori potenzialità di sviluppo avrebbero avuto grazie alle risorse del territorio di cui dispongono (che sono state finora pressoché l’unico motivo della potenza statunitense).
Il marxismo internazionalista e classista rifiutando filosoficamente questa visione unificatrice nazionale e contrapponendogli il materialismo storico e l’artificiale solidarietà “di classe” poneva le basi di quello che sarebbero stati i paesi comunisti: un abisso di corruzione e menefreghismo. Ed il risultato pratico è noto, sfociato a Cernobil nel 1986.
“In un sistema ove imperano le raccomandazioni, i favoreggiamenti, il reciproco condonarsi le azioni illegali, le ritorsioni, lo sfruttamento delle influenze (…) sono ovviamente possibili ladrocini, peculati e corruzione su larga scala, che legano il coscienzioso e l’intraprendente al venale e al disonesto in una sorta di strana collaborazione, la quale non può che accrescere, nei lavoratori più devoti e accaniti, la sensazione di essere coinvolti in un’unica colpevolezza politica. (…) Il reclutamento dei giovani per i posti di responsabilità e di comando può essere gravemente compromesso dalla impossibilità di quanti siano forniti della forte coscienza individuale e dell’alto idealismo desiderati, a sopravvivere nel generale sistema di disonestà politica vigente. Coloro che poi riusciranno a sopravvivere in un sistema ove è così forte il contrasto tra l’ideale e la pratica quotidiana, è molto probabile che mancheranno di quelle qualità di devozione morale e di iniziativa che sono necessarie per il futuro sviluppo della società sovietica. Nella misura in cui particolari settori di vita sovietica sono relativamente più liberi dal tipo di pressione politica che interferisce in ogni tentativo disinteressato di far bene un lavoro – come è successo nell’esercito sovietico in qualche momento – tali settori potranno diventare relativamente meglio diretti e più efficienti degli altri” (Margaret Mead[91])
L’esempio evidente di ciò è il livello di inquinamento in Urss ben al di sopra di ogni possibile paragone con i paesi occidentali, determinato dal disinteresse degli amministratori e dall’assoluta impossibilità di critica da parte del popolo vittima dell’inquinamento. ---solo qui o anche su urss?---
----come unire??------
Per non parlare delle insindacabili politiche di assimilazione forzata che hanno eliminato interi popoli[92]. Con questa critica non si vuole giustificare il razzismo, ma analizzarlo per capirne le cause reali, e non quelle stabilite ipocritamente dai “politically correct” che arrivano perfino a stravolgere i concetti semantici per appagare il loro fanatismo definendo quella umana come “razza” anziché specie, o scandalizzandosi se nei libri di antropologia gli abitanti dell’Africa vengono definiti “negroidi” e quelli dell’Asia “mongoloidi”; lecito è chiedersi: se quella umana è razza, a quale specie appartiene? E quale nome dare allora a quelle che sono scientificamente definite razze? “Sottorazze”? A parte il nome, cos’altro cambia?
“Le razze e le classi non sono né dal punto di vista biologico né da quello sociologico unità distinte o chiaramente definite: questo può essere fastidioso per il ricercatore che preferirebbe poterle ordinare in ben precisi reparti del suo casellario, ma non le rende dei fenomeni biologici meno veri e reali [...] non è preferibile spiegare alla gente la natura delle differenze razziali, piuttosto sostenere che non ne esistono? [...] Sostenere che le razze non esistono perché non costituiscono degli insiemi determinati in modo rigido è un ritorno al peggiore degli errori tipologici. E’ quasi altrettanto logico quanto sostenere che le città non esistono, perché la campagna che le separa non è totalmente disabitata” (Theodosius Dobzhansky)
Si usa spesso il termine “pregiudizi” per definire razzismo ed antisemitismo. Ora, la parola pregiudizio implica un giudizio privo di cognizione; cosa meglio di ciò per trasformare quelle che sono in realtà dotte analisi, in superficialità ignoranti e buzzurre? Ma il fatto che uno non sappia su cosa si basano non significa che si basino sul nulla (ovvero sul pregiudizio) perché lui non sa su cosa si basino! Puerili e superflue quindi tutte quelle dimostrazioni scientifiche che intendono dimostrare la mancanza di basi del razzismo. Dato che dovrebbero essere rivolte verso i veri razzisti, ed invece sono rivolte verso quelli che dei risultati delle loro ricerche ne sono già consapevoli.
“Gli uomini discutono, la natura agisce” (Voltaire)
Ritenere che ogni uomo sia uguale all’altro è stupido tanto quanto ritenere sé stessi superiori. La natura basta e avanza a determinare la selezione. Da che mondo è mondo l’uomo lotta per la propria sopravvivenza, anche insieme al proprio gruppo, al proprio branco, che oggi è città, regione, nazione, ed in una visione molto allargata, razza, a prescindere da cosa per essa si intenda e quale sia il limite somatico e non territoriale. La tesi oggi sostenuta da quelli come, ad esempio, Abel Bonnard, che si dichiarano apertamente razzisti, non è quella che si crede comunemente, ma razzismo per essi non è pregiudizio o insinuazione di superiorità. Questo dichiarano di lasciarlo alla destra, ad Alleanza Nazionale e Lega Nord. Invece i social-darwinisti del tipo Bonnard lo intendono semplicemente come volontà di sopravvivenza. Perché purtroppo, come ben ci insegna l’evidenza della selezione naturale, non tutti si può sopravvivere, non tutte le entità genetiche prolificano. Essi per “razzismo” intendono volontà di vivere. Ma, dopotutto, chi si definisce “antirazzista”, non vuole vivere?
“L’ipocrisia è l’omaggio che la verità rende all’errore” (George Bernard Shaw)
Un giornale titolò un articolo: “razzisti, non parlate più tedesco” sostenendo che la lingua tedesca derivasse da una lingua africana. Questa è gente che non ha capito nulla, e non capendo nulla si permette di sputare simili sentenze. Non importa da cosa si arriva, ma cosa si è. In questo esatto momento, e non quando due aminoacidi si unirono a formare un peptide. E’ altrettanto stupido esaltare la razza come immutabile, tanto quanto un cinese residente in Germania che vantasse origini nibelungiche. Una persona odierna lotta per la propria sopravvivenza oggi, non ieri.
“Dei popoli ci vien detto che la loro storia spiega ciò che sono divenuti. Ma ciò che sono spiega pure la loro storia” (Abel Bonnard)
I fascisti rifiutano le ipocrisie di chi si duole per la fame nel mondo dal suo attico in collina e poi si lamenta delle tasse e dell’inflazione e vota chi gli promette più ricchezza, si tiene i suoi bei soldoni al sicuro in banca, e si sbafa una bella porzione di fagiolini giunti per via aerea dal Burkina Faso. Come può egli conciliare ciò? Come può sentirsi a posto con la coscienza? Perché crede di meritarsi quel cibo a discapito di un africano? Perché ritiene di meritare di vivere rispetto alla mucca che mangerà stasera? O rispetto al bruco al quale mancherà la mela che invece andrà a lui? E che dire di virus e batteri, non hanno forse il diritto di vivere al pari dell’ammalato? Non si può voler vivere e non dirsi “razzista”. Ma è solo questione di semantica. Vivendo si uccide. Vivendo si è razzisti. Non serve accettarlo o respingerlo, vivendo si è automaticamente razzisti per il solo fatto di vivere. La soluzione quale può essere, suicidarsi? Ma anche in quel caso si uccide una persona, una entità genetica: se stessi. Uccidere, ovvero eliminare un entità genetica, è razzismo. Scientificamente è razzismo. Questo è il significato logico di razzismo. I fascisti di tutto questo ne sono semplicemente consapevoli, e se essere consapevoli significa essere razzisti... è una questione puramente semantica. Se per vivere, sapere di dover gareggiare sullo stesso campo dell’avversario è essere i cattivi, gli unici cattivi... Essere consapevoli ed accettare le invalicabili regole della natura è essere il “male assoluto”?
“L’orgoglio nazionale non ha affatto bisogno dei deliri di razza” (Benito Mussolini[93])
Adoperarsi per il bene del proprio gruppo sociale (città, regione, nazione che sia) al fine di ottenerne anche un conseguente beneficio personale derivante dal benessere generale del gruppo, lavorando, creando ricchezza, difendendosi, per vivere, è essere xenofobi? A prescindere dal fatto che tale locuzione sia già di per sé fuorviante, beninteso, dato che il concetto che convenzionalmente essa vorrebbe esprimere non andrebbe sintetizzato con il termine “xenofobia” ma casomai con “misoxenia”. Ma sappiamo già che questa gente varia i significati della semantica a proprio uso e consumo. Comunque, che la propria esistenza vada indirettamente a discapito di altri gruppi sociali, è ovvio e naturale, così è, è sempre stato, e sempre sarà, che lo si accetti o meno, per chiunque, “antirazzisti” compresi. A meno che non cada la manna dal cielo. Tutti si è in concorrenza con tutti, in ogni momento. E’ la natura, non ci si può fare nulla. Che questi gruppi sociali si chiamino razze o con qualunque termine si voglia definire quello che viene comunemente definito in lingua italiana “razza”, è solo una questione semantica. La natura è razzista. I fascisti non si arrogano il diritto di giudicare quale “razza” o “specie” sia migliore o peggiore. Sanno che è la natura a determinarlo. “I rami della natura sono autopotanti”. L’antisemitismo per certi versi non è altro che una minima parte di questa concorrenza tra gruppi sociali, ma la parte rivolta al concorrente più accanito nei confronti di tutti gli altri. Il sedicente antirazzismo è utile e di fatto utilizzato solo a chi vuole un mondo uniforme nel quale risaltino solo i singoli, dove l’egoismo sia l’arma vincente. Questo è il mondialismo.
“Una società che proclama l’uguaglianza avendo bisogno di schiavi salariati ha perso la testa” (Friedrich Wilhelm Nietzsche)
I fascisti viceversa si dicono per un mondo veramente solidale, un mondo basato sulla caratteristica che ha differenziato l’uomo dagli altri animali: la socialità, l’organizzazione sociale. Ma i fascisti sono i cattivi razzisti, qualunque sia il significato di questa parola, comunque pensino veramente ed agiscano fattivamente quelli che portano quest’etichetta. Gli altri, i no-global, persone di “buona volontà”, sono in realtà i primi sostenitori della fame nel mondo! E’ troppo facile sentirsi a posto con la coscienza, facendo beneficenza che verrà usata tutt’al più per mandare latte in polvere laddove non hanno nemmeno l’acqua per diluirlo. Ma non è così che ci si salverà dall’“inferno”.
“Non stai facendo dono di ciò che è tuo all’uomo povero, ma gli stai restituendo ciò che è suo” (Sant’Ambrogio)
discorso panino evitare di mangiarlo invece di spedirlo fatto? Farlo qui!
Qualcuno dovrebbe avvisarli... questo libro ci vuole provare, pur conoscendo la durezza di quelle teste. Nessuno di questi (o comunque ben pochi) sedicenti anti-razzisti però si azzarda a criticare quella religione la cui base stessa è il razzismo, il sistema induista delle caste, precursore del moderno apartheid, derivato nel VI secolo dalla necessità degli invasori ariani di tenersi separati dagli autoctoni australoidi. E sono gli stessi che ritengono normale che mentre la tragedia del terremoto miete migliaia di morti ad Haiti, la tv italiana si preoccupa quasi solo di una manciata di italiani ivi presenti. Poi sono quelli che si indignano per il razzismo. Loro sono i primi ad esserlo, nel vero senso della parola. E’ più razzista chi vota fiamma o quelle lavanderie che lavano separatamente i vestiti di bianchi e negri (perché così preteso dai clienti bianchi)? E non è certo detto che le due cose coincidano, anzi!
Dovrebbe essere facile (ma evidentemente non per un no global…) capire quanto possa allibire uno di fiamma tricolore o forza nuova vedendo i no global accanirsi contro di loro, partiti politici di grandezza irrilevante tra l’altro, mentre non si scomodano verso quei partiti come An e Lega nord che sono veramente l’incarnazione di quanto ideologicamente e politicamente verso cui i no global dovrebbero scagliarsi, cento, anzi mille volte più che verso fiamma e forza nuova. Per di più aventi visibilità ed attività ben superiori a quelle di fiamma e fn, come potenziali bersagli. Eppure ai comizi di Bossi o di Fini nessun no global si muove a disturbare. E non è certo detto che vi sia una “regìa” dietro a ciò, come si potrebbe erroneamente ipotizzare… invece La mente umana è imperscrutabile…
acre rancore misantropico che portano come caratteristica peculiare.
“Una voce che parla al deserto” ma “con l’aiuto di Dio non si sa mai sin dove possono giungere gli echi di una voce” (Antonio de Oliveira Salazar)
Probabilmente non tutti in Italia saranno riusciti a cogliere l’aberrazione insita nella condanna per stupro in Israele di un musulmano che aveva fatto sesso con un ebrea consenziente che lo credeva ebreo[94]. Certamente, allo stesso modo, pochi nella Germania o Italia degli anni ’30 potevano cogliere analogamente una qualche ---aberrazione---- nelle loro leggi razziali. Ma sentenze ben peggiori di ogni aspettativa razzistica come quella presentata, oggi e soprattutto se attuate da Israele, diventano corrette. Anzi, non solo, addirittura nessuno si pone il minimo dubbio! “Senza se e senza ma” usano dire i sostenitori di Israele (l’unico paese che abbia fanatici sostenitori di altre nazioni, notare; anche se, date le circostanze, in molti casi sarebbe più esatto definirli “ruffiani”, col più esaltato esponente in Magdi Allam). A parte il fatto stesso, che, per quanto necessaria, ogni legislazione anti-stupro è eticamente l’apoteosi del razzismo eugenetico. Ma come si sa, in questo mondo non è giusto quello che è giusto ma è giusto quello che decide la maggioranza. Ovviamente questo non è un discorso a favore dello stupro ma contro l’ipocrisia dell’antirazzismo.
A onor del vero, si sappia che il paese più di tutti da sempre all’avanguardia nell’eugenetica è la democraticissima e civilissima Svezia: 60.000 donne sterilizzate tra il 1935 ed il 1996[95].
Regolarmente, la prima domanda che viene posta ad un fascista dai paranoici no-global è “perché sei razzista?”, come se del fascismo non importasse null’altro. O come non ci fosse null’altro... L’unica risposta possibile non può essere altro che “perché sei tu a dire che io lo devo essere”. Questo dovrebbe bastare a aprirgli gli occhi sulla lotta “contro i mulini a vento” che sta combattendo. Se per questa gente il fascismo è razzismo (ed è comprensibile sia così vista la propaganda martellante che i media fanno su questo), diventa già più comprensibile l’avversione che ne provano.
“Bisogna conoscere per poter deliberare. Perché, se la conoscenza è impedita, la bugia diventa un metodo di governo” (Luigi Einaudi)
Esemplare e non raro è sentir definire da qualche ottenebrato di sinistra la canzone “faccetta nera” come la canzone “più razzista mai sentita”, chiaro indice che quella canzone non l’ha proprio mai sentita dato che a tutti gli effetti essa è la canzone più anti-razzista che si possa sentire!
Diverso discorso è per quelli che sono consapevoli della verità, ma per i propri interessi continuano a propagandare le calunnie. Anche se in ogni caso sembra una causa persa, dato il calibro di queste persone, sapientemente descritte già da Pasolini nel suo scritto sui “figli di papà” degli scontri di valle Giulia. Prototipi ne abbiamo presenti, a cominciare dagli assassini di Sergio Ramelli, borghesi figli di papà, oggi convinti di salvarsi l’anima scrivendo melense lettere di scuse, oppure “filantropi” come l’ex katanghese Gino Strada, iper-borioso idolo degli sprovveduti, perennemente con quell’aria da “io sono più santo di te” carica d’incontenibile disprezzo verso chi non approva le sue idee politiche. Per non parlare degli pseudo-intellettuali di sinistra francesi sempre pronti a firmare acriticamente appelli in favore di assassini italiani. Quello che si vorrebbe esprimere col termine xenofobia (o più correttamente “misoxenia”) non è solo odio o paura, è anche pura indifferenza, che è visibile più in chi si proclama antirazzista. Mentre l’odio e la violenza d’animo sono chiaramente prerogativa proprio dei sedicenti antirazzisti.
“Quando viene identificato un presunto razzista, la folla non si lascia scappare l’occasione e si prepara al linciaggio. Lui, o lei, deve essere distrutto, prostrarsi a terra implorando perdono per aver peccato contro il Dio della correttezza politica – anche se non è per nulla razzista. Condannando il presunto bullo razzista in quel modo, sembra che la folla non si accorga minimamente di esercitare in massa prepotenze e vessazioni da veri e propri bulli sulla persona presa di mira. Ma questi individui sono troppo pieni della loro stessa purezza, troppo al di sopra delle umane debolezze per rendersi conto della propria ipocrisia e delle proprie contraddizioni. Ormai sentiamo queste grida di razzismo da tutte le parti – una etichetta che dà la garanzia di attirare odio e condanna da chiunque voglia atteggiarsi a puro e dimostrare di non essere razzista” (David Icke[96])
Invece i veri razzisti, quelli che il razzismo lo rinfocolano, sono proprio quelli come loro! Così come gli ecologisti ed i vegetariani che giudicano di sinistra le loro convinzioni e rifiutano che possano stare anche a destra, perché ogni cosa a loro vedere buona deve stare a sinistra e ogni cosa cattiva a destra. A priori. Il solito loro tipico voler decidere anche le idee altrui. I fascisti devono essere razzisti perché sono loro a dirlo, e non possono essere ecologisti perché sono loro a volere così. Ma si può commentare una cose simile? Non esistono nemmeno parole per poter commentare! Visto che agli antifascisti piace tanto decidere cosa i fascisti devono pensare, perché non si fondano da sé il loro bel partito fascista? Così il programma potrebbero stilarlo a proprio piacimento (e chi ci dice che in qualche caso non sia stato fatto?).
Invece è proprio solamente un ideologia anticonsumista che può dirsi veramente ecologista e animalista, solo chi saprebbe rinunciare ai lussi può dirsi tale. Solo un sistema che fa dell’aspirazione alla massima efficienza produttiva il suo cardine può limitare quegli sprechi che sono la principale causa dell’inquinamento! Ma la loro ignoranza è tale che è come parlare al vento. Superfluo fare l’esempio di uno su internet che diceva di non aver mai visto manifesti ecologisti di destra, ovviamente non riuscendo a concepire che “fare verde” è di destra.
Analisi vegetarianesimo? Qui? Ricollegare a discorso sopra per vivere si deve uccidere?
Quell’odiosa spocchia intellettualoide di cui Cacciari è il massimo esponente.
Si lavano la bocca di -----
Basti pensare al luogo comune di un antitesi tra fascismo e cultura, che ha in Norberto Bobbio il più accanito assertore. Luogo comune facilmente smontabile: il fatto che Bobbio e seguaci ignorino l’esistenza di una cultura fascista non significa che il fascismo non abbia una cultura. Il fatto che loro desiderino che ------ non implica che il loro desiderio si avveri. E’ perfino assurdo questo --------, considerando proprio l’assenza di un’univocità ideologica che comporta proprio la presenza di un vivo dibattito all’interno, a differenza, sia chiaro, di tutte le altre correnti di pensiero politico, notoriamente e chiaramente appiattite su posizioni dogmatiche, in primis il marxismo. E forse proprio per l’incapacità di guardare oltre ai propri dogmi che gli impedisce di notare l’esistenza di quell’enorme e vivo fermento culturale esistente nell’area fascista, che coi suoi autori e -------testi----- sovrasta di gran lunga tutte le altre culture politiche messe assieme! Dopotutto è prevedibile, finché in Wikipedia verrà mantenuto disonestamente censurato anche un abbozzo di lista dei principali autori di riferimento del fascismo nella voce “mistica fascista”…
Il bello è che mentre da un lato assimilano come autori fascisti quelli che in realtà sono piuttosto conservatori (Jünger, Nietzsche, -----), omettono del tutto ogni autore di marca prettamente fascista. Sarebbe da sfidare uno qualunque dell’intellighenzia ad aver mai sentito parlare di Mircea Eliade, Jurgis Baltrusaidis o ----vedere lista su home page fascismo wikipedia----. Quelli che limitano gli autori di riferimento del fascismo a Nietzsche o Gentile dovrebbero consultare il catalogo delle edizioni Ar per farsi un’idea…
Ma la malafede raggiunge l’apice in quelli che cercando di far notare che i principali autori di riferimento del fascismo siano precedenti alla sua affermazione, descrivono ciò come la prova che il fascismo, non avendo una cultura propria, abbia dovuto “prenderla in prestito”! ----il pensiero politico della destra, pag. 9). “Logico”. Secondo una tale logica capovolta, è imprevedibile che il fascismo possa invece essere sorto proprio basandosi sulla cultura di quelli che di conseguenza ne sarebbero (a rigor di logica) i “precursori” culturali… rimane da chiedersi se Bobbio “c’è o ci fa”. Finché l’establishment impedirà la diffusione dell’espressione della cultura alternativa a quella in voga, ---------
Cultura odierna egemonizzata dalla sinistra ------amici del vento----qualche frase da canzoni?------ se perfino dal libro fascisti immaginari se ne potrebbe trarre che la cultura fascista degli ultimi sessant’anni si limiti al doppiaggio di gatto Silvestro…
Normale finché -------- rappresentanza culturale ------- verrà affidata ad una parodia di Zuzzurro e Gaspare basata sui peggiori stereotipi sul fascismo!
Certo, se per dire cose fasciste bisogna travestirsi da tutt’altro… -----Massimo Fini-----Marcello Veneziani??----
Se da un lato accusano di non avere cultura, dall’altro quando essa è evidente la criticano, come nel documentario “Nazirock” basato sulla critica alla musica alternativa, volendo far passare i giovani simpatizzanti come traviati dalle note musicali. Ma allora? Che si decidano! Il fatto che loro desiderino che non esista una cultura fascista non implica che così debba essere. Se invece -------- ignorano l’esistenza di una cultura fascista proprio ciò dimostra la loro ignoranza!
Un --- descrizione emotiva di quel clima -------- ci viene dalla testimonianza di --------, vecchio militante dell’Msi: Ricordo perfettamente il clima di paura, misto a incosciente coraggio, con cui andavi in sezione ogni pomeriggio, dopo la scuola, per incontrare i camerati e come, le loro facce amiche, sapevano quasi “di reducismo” rispetto al male e la rabbia cattiva che noi, incolpevoli ragazzi di destra e del MSI, catalizzavamo. La sinistra imperante, loro, i più, le loro mille sfaccettature, dal cattolico di sinistra antifascista in giacca e cravatta, allo ostentatamente comunista dietro al banco di bottega o con l’Unità sotto il braccio, finendo alla gioventù volutamente “stracciata costosamente di marca” che si sentiva “proletaria tra proletari” ma poi inforcava il motorino e raggiungeva la villa di papà per cenare e per dormire con il Che sopra il letto, a mo’ di Santino. Un’incongruenza che ci faceva ridere, a noi in sezione, nominando i balordi e le loro vogliose compagne, noti figli “e figlie” di avvocati, commercianti e industriali. […] Eppure, tra tanto anacronismo e incoerenza, ci sentivamo accerchiati. E allora, con ferrea volontà, uscivamo e ci mettevamo volutamente in mostra, proponendo, con un attivismo esasperato e un abbigliamento distintivo, la nostra diversità e pulizia. Ma eravamo minoranza, unici ad emozionarci per un passato di grandezza sfiorata ma tentata, unici a capire le intime intenzioni che spinsero gli italiani a scrivere un periodo straordinario, unici a notare la bassezza dell’italietta venuta, poi, fuori. All’improvviso, tuttavia, qualcosa cambiò e scoprimmo, con un pò di stizza ma strabiliati che, in realtà, non eravamo stati proprio soli soli, ed abbandonati per 50 anni. Che esisteva un’Italia che rappresentava la maggioranza; che tanti non ci erano stati ostili, anzi... e che ci avevano guardato, di sottecchi, con benevolenza, quando, da soli e in pochissimi, vendevamo il giornalino o facevamo volantinaggio per strada. Non ci siamo accorti che l'Italia, la maggioranza, non era di sinistra e filocomunista e non ammirava “gli straccioni di marca” sugli scaloni delle piazze e non leggeva i mille giornali antifascisti e di sinistra! E’ bastato Berlusconi, con grande fiuto politico, a risvegliare, negli italiani, qualcosa di mai dimenticato e solo riposto in un cassetto. Ed ora, tanti di noi, ragazzi emarginati politicamente, si trovano adulti, a gestire Poteri nell’Italia Democratica che mai, lontanamente, avevano sognato. E allora dico, è vero, Berlusconi ci ha salvato e continua a salvarci dividendo e frantumando la sinistra che non riesce più a ripigliarsi lo straordinario potere posseduto fino a... Berlusconi! Quindi, rivolgendomi a chi ha orecchi per sentire, in questi giorni di marasma, diamo merito al merito e cerchiamo di essere in linea con i nostri valori, tra i quali c’è la fedeltà all’amico e a chi ci ha fatto solo del bene... o no? Il tradimento non fa parte di noi! (chi???) ----qui???-------
“Noi siamo un esercito disarmato costretto a difendersi con il cuore, contro frecce avvelenate che ci piovono addosso ogni giorno” (Giammarco Venturini)
Difficilmente queste persone dimenticheranno gli sguardi ----perfidi------ e -------------. Difficilmente desidereranno che i propri figli vivano esperienze simili. Di quel ------- descrivere autonomi ecc-----------------. Centri sociali – violenza innata -----mente descritti nella canzone dei 270 bis “----titolo???----“.
“E veniva trascinato per i corridoi di scuola col cartello appeso al collo con su scritta la parola che per noi voleva dire uno con un ideale ma per tutto quanto il mondo era il simbolo del male” (------- 270 bis)
Ma sono molto più complessi il loro narcisismo e la loro avidità per banalizzarli così. Sono la borghesia sapientemente descritta nella canzone del 1998 “quelli che ben pensano”, la bestialità con la faccia pulita, che non disdegna alcun mezzo purché non sia intaccato il suo interesse, si divide in esecutori e mandanti “fate come volete, basta che non si sappia il mio benestare”. Occhio non vede cuore non duole. Come esempio si hanno le società anonime: all’azionista non interessa come vengono ricavati i guadagni, ma li esige, e più possibili. Gli amministratori devono accontentarlo e non possono farsi scrupoli, devono occuparsi unicamente del bilancio (ovviamente poi c’è il confronto tra i pro e i contro) e a livello sempre più basso è la manovalanza che si occupa di come ricavarlo. Lo stereotipo che i banchieri svizzeri sono i più grandi criminali del mondo non è campato in aria, anzi.
Hanno poco da gongolarsi quegli svizzeri ---------- di essere rimasti esenti da ------fascismo-------.
“I banchieri svizzeri uccidono senza le mitragliatrici” (Jean Ziegler)
---------come unire???????????----------------
Curioso come i negatori dell’esistenza delle razze umane, al momento opportuno, dopo aver imposto il dogma (fasullo dell’uguaglianza genetica tra gli umani), per screditare accusino Hitler, di non essere stato “ariano”. Che contraddizione! Prima, questi detentori dei dogmi, censurano e perseguitano chi afferma che gli ebrei hanno un gene particolare comune (vedi recente caso Thilo Sarrazin in Germania), poi loro stessi accusano altri di avere geni ebraici. Ma come abbiamo già visto, la coerenza non è il loro forte, ed ogni scusa è buona per attaccare quelli che loro considerano avversari.
“L’antisemitismo non è nient’altro che l’atteggiamento antagonistico
creato dagli ebrei e instillato nei non-ebrei. Il popolo ebreo ha prosperato
sull’oppressione e sull’antagonismo che ha sempre incontrato nel mondo… la
causa che sta alla radice è l’utilizzo che essi fanno di quei nemici che creano
in prima persona così da ottenere solidarietà” (Albert Einstein, 1938[97])
Lo stesso discorso viene fatto nel film “The believers”, la storia di un ebreo antisemita -------------, ed in un certo senso viene avvallato nel plagio del “pamphlet contro Napoleone III” di Maurice Joly noto come “Protocolli dei Savi di Sion”. Per quanto laocoontico possa sembrare ciò, quel libro sarebbe stato prodotto come falso apposta per essere diffuso come vero, e diffuso come vero apposta per poterlo smentire come falso; ovvero sarebbe nato più o meno come “vero falso” e “falso vero” assieme. La sua smentita, per la quale era appunto preordinatamene necessaria l’esistenza stessa e diffusione, mira a creare la visione di un antisemitismo senza cause reali: da quel momento la sua “causa” sarà soltanto il “pregiudizio”, ovviamente assolutamente infondato. In tal modo, caso unico nella storia mondiale, gli ebrei diventano l’unico popolo giusto e innocente a priori, l’unico che non ha mai commesso la mancanza più insignificante, la vittima predestinata dei “pregiudizi” di brutali antisemiti, che diventano inevitabilmente demagoghi, imbroglioni, personaggi oscuri, semipazzi e semicriminali, semiparanoici e via dicendo. Con ciò l’antisemitismo viene equiparato alla paranoia e la concezione ebraica del mondo e dei rapporti con i non-ebrei, in una parola il secolare dibattito sul Talmud e sugli scritti rabbinici posteriori, viene banalmente liquidato come irrazionale “pregiudizio” antisemitico o, peggio ancora, come intenzionale “diffamazione”. Tanto che, non a caso, oggi come oggi uno dei principali gruppi anti-anti-semiti si chiama inintelligibilmente ---o insensatamente?------ proprio “lega anti-diffamazione”…
“Ci vorrebbe uno scandalo Dreyfus in eterno” (Julien Benda)
Certo c’è da chiedersi se in quel programma televisivo ambientato nel futuro (Futurama) nel quale la lingua francese viene presentata come una lingua morta, se invece del francese fosse stato usato l’ebraico, quale putiferio si sarebbe scatenato? Ma i francesi forse non valgono quanto gli ebrei, per il mondo intero, e ce se ne può prendere beffa senza patemi.
Si tratta, in breve, di una strategia mirante a rafforzare l’idea che l’antisemitismo non abbia cause reali. Identificata l’essenza dell’antisemitismo con i “Protocolli”, poiché essi sono un falso, ne consegue che falsa è anche la causa dell’antisemitismo. Magari dimenticando che l’antisemitismo è vecchio quanto la distruzione del tempio di Gerusalemme. E non è sussistito senza motivo: ad esempio, nella penisola iberica dell’VIII secolo, i visigoti accusavano gli ebrei (che rappresentavano un buon 10% della popolazione) di aver sostenuto l’invasione araba. Il vizio non fu perso col tempo: durante la guerra ucraino-polacca del 1919 gli ebrei di Leopoli parteggiavano per gli ucraini e quindi erano di conseguenza invisi ai polacchi. E’ l’apolidia che in molti casi ---------, perché ---discorso già scritto riguardo a zingari e bene comune (o più avanti????)----questo loro essere super partes l’hanno trasformato in un pregio---- dove frase drieu la rochelle?-----
Il caso dell’arcivescovo Williamson è esemplare: mettere alla berlina le opinioni -------. Ben diverso il contesto da quando fu l’abbè Pierre, internet non era ancora così sviluppata.
“Nel caso degli eventi che nel
corso della seconda guerra mondiale coinvolsero gran parte della popolazione
ebraica d’Europa, a ostacolare la libera ricerca non è un semplice pregiudizio
ideologico, ma un vero e proprio fanatismo fondamentalista” (Claudio
Mutti) --------- o su Tornando alla Gran Bretagna?---- o su chiediamo “chi?” e “perché?”.???-----
o su ”, ne erano “solo” ai vertici.???---
Prove certe non ci sono, ma basta leggere bene il corso degli eventi storici. Dopo l’espulsione degli ebrei dalla Spagna alla fine del ’400, gli ebrei in Europa hanno continuato nei secoli a migliorare le loro condizioni sociali man mano che diminuiva il peso della tradizione cattolica, finché virtualmente nell’ottocento ottenevano gli stessi diritti degli altri popoli in vari stati plurietnici come l’impero austriaco. Il primo grande pogrom avvenne ufficialmente in Russia nel 1881, l’anno prima fu fondata la prima idea dello stato d’Israele in organizzazioni pre-sioniste. Il montaggio dell’antisemitismo dalla fine dell’ottocento segue percorsi che rimandano ai canali editoriali, stranamente tutti in mano ad ebrei: ci si domanderebbe perché gli editori ebrei non hanno mai fatto nulla per ostacolare pubblicazioni antisemite. A questo punto sarebbe facile ipotizzare che l’antisemitismo in Europa fu montato proprio dai sionisti, allo scopo di creare lo spauracchio che potesse spingere, milioni di ebrei a trasferirsi nella terra promessa...
---la presentazione semplicistica e unilaterale della II Guerra Mondiale serve perfettamente, oggi,-----
“La storia del II conflitto mondiale non è la storia della lotta tra il ‘bene’ e il ‘male’. Se poi la si vuole assolutamente presentare a questo modo, allora nel campo del male bisogna annoverare il sionismo e tanti ebrei che collaborarono con i nazisti o che commisero orrendi crimini contro l’umanità subito dopo la guerra” (Mauro Manno)
Theodor Herzl (18610-1904), il fondatore del moderno Sionismo, riconobbe che l’anti-semitismo avrebbe favorito la sua causa, la creazione di uno stato separato d’Israele. Per risolvere la questione ebraica, egli affermò riguardo l’antisemitismo: “noi dobbiamo, innanzi tutto, fare di esso un obiettivo politico internazionale”. Herzl scrisse che il sionismo offriva al mondo una benefica “soluzione finale della questione ebraica”. Nei suoi “Diaries”, a pagina 19, Herzl affermava “gli anti-Semiti diverranno il nostri più fedeli amici, e le nazioni anti-semite nostre alleate”.
Utile allo scopo dei denigratori dell’evoluzionismo, il più grande provocatore della storia è stato un certo Adolf Hitler, lo dovrebbe tenere ben presente chi lo esalta. Il razzismo folkloristico, stile Ku Klux Klan, oggi tipica prerogativa della Lega Nord, quello è stato ed è il più grande strumento dei provocatori, di un razzismo esteriore creato ad arte, tra “conferenze di Wansee”, bimbi iracheni “annegati da naziskin”[98], film con vecchi nazisti che infilano gatti in un forno, pazze norvegesi che ad Assisi si auto-incidono svastiche in fronte, e i vari “Luis Marsiglia” di cui è costellata la storiografia e la cronaca. La scusa più buona su cui campare e dietro cui velare la realtà.
“I nazionalsocialisti non inventarono nulla sul piano dell’ideologia né della retorica. Hitler parlava lo stesso linguaggio, utilizzava le stesse parole e le stesse frasi di Spengler, Jünger, Althaus e di tutte le altre forze della destra; con l’unica differenza di essere meno intelligente e meno sofisticato” (Eric D. Weitz) ---- “La Germania di Weimar”, Einaudi. ----destra sociale pag. 21.
L’antisemitismo insomma non fu certo inventato da Hitler, anzi serviva un Hitler proprio per esasperare la situazione. Per seppellire definitivamente la concezione dell’antisemitismo come zotico pregiudizio, basti questo:
“Noi non siamo contro gli ebrei perché d’altra religione e d’altra razza ma dobbiamo opporci ch’essi coi loro denari mettano il giogo degli schiavi sui cristiani” (Alcide De Gasperi, 1906[99])
Interessante chiedersi una cosa riguardo alle origini di Hitler ed alle finalità del suo progetto. Dunque, dal punto di vista dei nazisti, nel caso solito di un Hitler tedesco e teso al bene dei tedeschi, i nazisti lo vedono in maniera positiva. Nel caso di un Hitler ebreo e teso a spingere gli ebrei a migrare in Palestina, i nazisti lo vedrebbero in maniera negativa, fortemente negativa. La domanda che ora da porsi è: e gli anti-nazisti? Nel caso Hitler fosse stato il primo degli anti-nazisti, gli anti-nazisti odierni (tipo quelli che ci sono anche in ----------, per dire), come lo vedrebbero???? Gli antinazisti sono talmente privi di ogni razionalità logica che sarebbe impossibile per chi non sia obnubilato al loro livello capire come potrebbero vedere un Hitler antinazista. Viene da immaginarli come in quel cartone animato dove ad un robot viene posto un paradosso, e gli scoppia la testa per l’assenza di possibili risultati razionali. Non saprebbero che pesci pigliare, inebetiti a ----------.
“Nulla al mondo è più
pericoloso di un’ignoranza sincera ed una stupidità coscienziosa”
(Martin Luther King)
Ma non è questo il luogo dove inoltrarci in diatribe di carattere antropologico che ci porterebbero fuori dal nostro argomento. L’unico scopo è di fare chiarezza sulle conseguenze di convinzioni e pratiche filosofiche che all’apparenza appaiono e vorrebbero essere fatte passare per filantropiche, ma in realtà sono determinate chiaramente da un patologico egocentrismo narcisistico e si ripercuotono negativamente sulla stessa intera società umana. Il comunismo ed il neocolonialismo ce l’hanno dimostrato oltre ogni ipotetico dubbio.
“Motore della storia umana è il fattore associativo delle Genti (igtimà’ì ay qawm). La base della dinamica della storia è il vincolo associativo che tiene legati i diversi gruppi umani, ciascuno singolarmente, dalla famiglia alla tribù sino alla nazione (ummah). (…) Infatti le nazioni la cui coscienza si è infranta sono quelle la cui esistenza è esposta alla rovina. Le minoranze che sono uno dei problemi politici mondiali, hanno all’origine una causa sociale; sono nazioni la cui coscienza nazionale si è infranta ed i cui vincoli sono spezzati. Il fattore sociale è il fattore di vita e di sopravvivenza, e perciò è motore naturale ed essenziale all’etnia per la sua sopravvivenza. (…) La sopravvivenza è perciò basata sul fattore che tiene unita la cosa, ed il fattore che tiene unito qualsiasi gruppo è quello sociale, ovvero la coscienza nazionale. (…) Questa è la natura delle cose. E’ una legge naturale fissa, ed ignorarla o contrastarla sconvolge la vita. Allo stesso modo la vita dell’uomo si sconvolge quando si comincia ad ignorare la coscienza nazionale, ossia il fattore della coesione sociale, la forza di attrazione del gruppo, che è il segreto della sua sopravvivenza. (…) Il matrimonio è un atto che può incidere sul fattore sociale in modo negativo o positivo. Benché ogni uomo e donna siano liberi di accettare chi vogliono e di rifiutare chi non vogliono, come regola naturale di libertà, il matrimonio entro lo stesso gruppo ne rafforza l’unità in modo naturale e realizza uno sviluppo collettivo in armonia col fattore sociale” (Dal “Libro verde” di Muhammar Gheddafi)
“La
democrazia è una forma di religione. E’ l’adorazione degli sciacalli da parte
dei somari” (Henry Louis Mencken)
Come abbiamo
visto nel capitolo -----precedente?----- vige un certo ------ sui significati
dei termini ----- e soprattutto sull’interpretazione odierna rispetto a quella
passata.
Democrazia significa letteralmente “governo del popolo”. Oggi si esplica come elezione a suffragio universale di candidati in rappresentanza degli elettori nel controllo del potere. Cioè non ha nulla a che vedere con le libertà individuali, i diritti civili, la libertà di associazione e di pensiero. E tantomeno con le prassi poliziesche. Sono tutte cose totalmente indipendenti dalla democrazia, che altro non è se non un sistema di potere come tutti.
Dopotutto, “Se le elezioni servissero a cambiare veramente qualcosa sarebbero illegali” (Anonimo). O Su rappresentativa (in ogni caso qualcuno verrà eletto…). ?? Su Ai cittadini elettori viene quindi implicitamente???
C’è un po’ di confusione tra il concetto di forma di governo (essenzialmente repubblica, monarchia, dittatura) e forma di stato (stato democratico, stato liberale, stato socialista, stato fascista, ecc). Una non esclude l’altra: paradossalmente potrebbe esserci un governo dittatoriale (in cui il potere è concentrato in un’unica persona) retto da una base democratica (il popolo vota per il dittatore). In molte monarchie del passato - e del presente - vi erano principi democratici del tutto assenti, ancora oggi, in molte repubbliche del mondo odierno (es. Iran).
Analisi potere. ------Hegel---------
Secondo Niklas Luhmann (nel suo “Potere e complessità sociale”, 1979) è grazie alla coazione giuridica che si può ottenere una riduzione della complessità sociale senza ricorrere all’uso della forza e contemporaneamente senza intaccare la legittimazione del potere politico. Tuttavia la concezione di diritto secondo Luhmann comprende pur sempre in maniera intrinseca i presupposti necessari al fine precipuo di automantenersi. Le forme del diritto quindi sono poste dalla politica stessa a fini di autoconservazione. Il diritto insomma, poggia pur sempre sulla coercizione ed il sistema politico che lo determina deve comunque basarsi sull’uso della forza. Di conseguenza qualunque più nobile proposito si rivela sempre una sofisticata subordinazione al potere.
Il concetto di potere “volendo spiegare tutto, non spiega niente” (Oliver Williamson)
Secondo Weber l’unico canale di collegamento fra vigenza delle norme e adesione al valore dei cittadini finisce con l’essere il legame ---emozionale---- tra le masse ed un capo carismatico. In ogni caso l’elemento fondativo dell’ordinamento del diritto resta la “forza”. Sia che lo Stato si chiami democratico oppure dittatoriale.
La democrazia è il sistema migliore per bassissimi gradi di coscienza, serve proprio a surrogare una scarsa conoscenza della realtà delle cose tramite la conta delle maggioranze: dato che non si conosce a sufficienza, si deve mascherare questa ignoranza dietro la facciata di opinioni maggioritarie. E tutto questo perché le demagogiche filosofie illuministe sulle quali essa è basata non prevedono ed anzi aborrono la responsabilità delegata a persone veramente competenti seppur non elette dalla maggioranza. Per quanto oggi si tenda a pensare che sia sempre meglio applicare la volontà della maggioranza piuttosto che quella di una minoranza, non si tiene ben conto che la maggioranza è per definizione e statistica meno razionale di una minoritaria elitè selezionata.
“La minoranza qualche volta ha
ragione, la maggioranza ha sempre torto” (George Bernard Shaw)
Basti pensare che un tempo nella pur sempre democrazia gli elettori rappresentavano un elite selezionata della società, e solo successivamente si è via via diffusa alla partecipazione estesa a tutti------. Per seppellire ---la giustezza--- del suffragio universale basterà fare questo esempio: non è raro trovare persone che sostengono che nel gioco del lotto ci siano dei numeri che hanno più probabilità di altri di uscire. Dato che la loro non è un opinione ponderata su un qualche ragionamento logico, piuttosto una superstizione, provare a ragionare con essi è del tutto inutile. Le loro superstizioni le difendono in maniera furente. Li si può solo lasciare alle loro credenze magiche. ----alchimia----- Essi non sono molti diversi da chi pensa che “spendere giovi all’economia”… Dopotutto basta accendere la tv su una qualunque tv locale per ascoltare i loro “argomenti”. Inevitabile è ---pensare---- che se quest----- continuano a trasmettere, ci dovranno anche pur essere persone che pagano --------. Lecito è domandarsi ----che tipo di persone possano essere, dato che ad una persona mentalmente normale è abbastanza incomprensibile. Oppure la convinzione che due numeri nella scala numerica vicini tra loro possano avere una qualche attinenza anche in un estrazione casuale di palline contrassegnate da numeri solo per distinzione.
Ora ci si dica alla luce di ciò come è possibile estendere a siffatti intelletti la possibilità di concorrere a decidere assieme a tutti e per tutti? -------- spostare su Dumas figlio???------
Una regolazione formale del procedimento di emissione della volontà legislativa non può bastare a garantirne la giustezza razionale. Umberto Cerroni, “Il pensiero politico del novecento”, Newton ed., pag. 90. o su Liberalismo politico – liberismo economico: due cose diverse?
“Non è vero che gli O.G.M. siano innocui. Infatti il 75% degli italiani non li vuole” (Luca Zaia[100])
In una società ignorante come quella in questione dovrebbe invece essere proprio la conferma della bontà degli O.G.M…. Come anche per gli O.G.M., si presume che siano una minoranza le persone che abbiano la concezione di dispersione elettromagnetica; come si può quindi affidare alla massa una decisione che la porterebbe a propendere assurdamente per una decisione, a loro (errato) modo di vedere, migliore, come l’interramento degli elettrodotti? Chi glielo va a spiegare che l’aria conduce l’elettricità sicuramente meno che il terreno umido? C’è da chiedersi questa maggioranza, per definizione incompetente, con quale pretesa cognizione possa perfino giudicare la competenza o meno di qualcuno. Ed anche ove non debba essere la maggioranza a stabilire la competenza, è necessario un pezzo di carta (titolo di studio) ad attestarlo, emesso secondo criteri non sempre equilibrati.
“Non voglio essere letto perché Nobel, ma solo se il mio lavoro lo merita” (Jean-Paul Sartre, dichiarazione su Le Figaro, 23 ottobre 1964)
Basti pensare alle tipiche diatribe sul riscaldamento centralizzato nei condomini. Nessuno riesce ad arrivare a capire l’ovvia soluzione consistente nell’adeguarlo alla necessità del condomino che lo richiede al minimo, e per chi ne desidera di più dotarsi di un unità personale che supporti quello centrale? Se si affida tale scelta ad una votazione per maggioranza saranno comunque tutti scontenti. Ed inoltre il voto su quali scelte possibili dovrebbe basarsi? Le opzioni di scelta dovrebbero comunque essere decise da qualcuno! ----- su olismo?-----organicismo----
“Quando ti trovi d’accordo con la maggioranza è il momento di fermarti a riflettere” (Mark Twain)
Ed il “think tank” (o mainstream???) non fa altro che approfittarne e rinfocolare l’ignoranza. Come la sbandierata centrale a idrogeno di Fusina, presentata come polo tecnologico per le energie rinnovabili, patrocinata anche dal Ministero dell'Ambiente. Ora, alla maggior parte dei lettori dei giornali parrà una cosa sensata; solo un’irrilevante minoranza di lettori/elettori non riuscirà a cogliere il nesso tra idrogeno ed energie rinnovabili. Nesso che a tutti gli effetti non esiste. Dato che l’idrogeno è tutto fuorché fonte di energia. Potrà pur essere rinnovabile, ma a prezzo di quantità di energia ben maggiori di quelle che restituisce (entalpia?)! E dato che minime perdite dai serbatoi sono inevitabili, sappiano pure che è un killer per l’ozono. Ma sembra oggi non importi più a nessuno dell’ozono... è passato di moda, ogni periodo ha le sue “mode”.
“Il fine precipuo della scienza di sostituire al mito la conoscenza razionale viene sovvertito dalla possibilità di impiegare la tecnica per creare su scala di massa nuove mitologie[101]”
Il termine oclocrazia, che ha un’accezione negativa, compare per la prima volta nelle Historiae (6.4.6) di Polibio, che la considera una forma di degenerazione della democrazia, in quanto inevitabile conseguenza dei comportamenti demagogici legati all’acquisizione del consenso. Nella visione di Polibio, il disordine politico che consegue all’instaurazione di un sistema oclocratico ha come unico sbocco il ritorno alla monarchia o comunque di una forma dittatoriale.
Platone, nel terzo libro della “Repubblica”, narra il racconto fenicio,
anzi, “un qualcosa di fenicio”, il quale è un mito di fondazione, che si
differenzia dai miti narrati dai poeti perché è artificiale e dichiaratamente
falso, tanto che Socrate lo espone con esitazione e vergogna. La sua funzione è
la legittimazione della gerarchia politica, prima per i governati e, dopo una generazione,
anche per i governanti. Come i vasi, così gli uomini possono essere d’oro,
d’argento o di bronzo e, a seconda del metallo di cui son fatti, devono
occupare un ben preciso gradino della scala sociale (se sono d’oro, saranno
governanti; se d’argento, saranno guardie; se di bronzo, lavoratori). Franco
Trabattoni (Platone, Carocci, Roma, 1998, p. 188) sostiene che il contenuto del
mito è anti-aristocratico: l’aristocrazia non è quella della nascita o della
ricchezza, ma quella fornita da attitudini che ci sono date, e che possono
essere in contrasto con la classe sociale che ci ha generato.
Quale esempio più calzante delle dinastie regnanti?
“Ma lei lo sa quanto costa una segretaria in Svizzera?” (Vittorio Emanuele Savoia)
Basti pensare all’aspirante Re italiano, raro esempio di borioso animo becero chiaramente definito dal paragonare una persona ---come fosse un oggetto --- appena descritta. ----- riguardo aristocrazia non deve essere identificata con retaggio ma come animo ------
«Con quale mezzo potremmo allora far credere una genuina menzogna, di
quelle che s’inventano al momento opportuno e di cui parlavamo prima,
soprattutto ai governanti stessi, o altrimenti al resto della città?» «Quale
menzogna?», chiese. «Nulla di nuovo», risposi, «solo una storia fenicia, già
accaduta in passato in molti luoghi, come ci dicono in modo convincente i
poeti; ma non so se sia accaduta o possa mai accadere ai giorni nostri, e del
resto richiede una buona dose di persuasione per essere convincente». «Sembra
che tu esiti a raccontarla», osservò. «Quando l’avrò raccontata», replicai, «la
mia esitazione ti sembrerà ragionevole». «Parla pure», disse, «non avere
paura». «Allora parlerò, per quanto non sappia con che coraggio e con quali
parole; e cercherò di persuadere innanzitutto i governanti stessi e i soldati,
poi anche il resto della città, che essi avevano l’impressione di ricevere
tutta l’educazione fisica e spirituale impartita da noi come in un sogno che
accadesse attorno a loro, ma in realtà in quel momento erano plasmati ed
educati nel seno della terra, essi, le loro armi e il resto del loro
equipaggiamento già bell’è fabbricato; e quando furono interamente formati la
terra, che era la loro madre, li portò alla luce. Per questo ora devono
provvedere alla terra in cui vivono e difenderla come loro madre e nutrice, se
qualcuno muove contro di essa, e considerare gli altri cittadini come fratelli
nati anch’essi dalla terra». «Non a torto», esclamò, «prima ti vergognavi a
proferire questa menzogna!». «E ne avevo ben donde!», risposi. «Tuttavia
ascolta anche il resto del mito. Voi cittadini siete tutti fratelli, diremo
loro continuando il racconto, ma la divinità, plasmandovi, al momento della
nascita ha infuso dell’oro in quanti di voi sono atti a governare, e perciò
essi hanno il pregio più alto; negli ausiliari ha infuso dell’argento, nei
contadini e negli altri artigiani del ferro e del bronzo. Dal momento che siete
tutti d’una stessa stirpe, di solito potete generare figli simili a voi, ma in
certi casi dall’oro può nascere una prole d’argento e dall’argento una
discendenza d’oro, e così via da un metallo all’altro. Ai governanti quindi la
divinità impone, come primo e più importante precetto, di non custodire e non
sorvegliare nessuno così attentamente come i propri figli, per scoprire quale
metallo sia stato mescolato alle loro anime; e se il loro rampollo nasce misto
di bronzo o di ferro, dovranno respingerlo senza alcuna pietà tra gli artigiani o i contadini, assegnandogli il
rango che compete alla sua natura. Se invece da costoro nascerà un figlio con
una vena d’oro o d’argento, dovranno ricompensarlo sollevandolo al rango di
guardiano o di aiutante, perché secondo un oracolo la città andrà in rovina
quando la custodirà un guardiano di ferro o di bronzo. Conosci dunque un
qualche sistema per convincerli di questo mito?» «Per convincere loro», disse,
«assolutamente no; semmai per convincere i loro figli e discendenti e la
posterità in generale». «Ma anche questo», dissi, «potrebbe essere un buon
sistema per indurli a curarsi maggiormente della città e dei rapporti
reciproci; capisco grosso modo il tuo pensiero. L’esito di questo progetto
dipenderà da come lo diffonderà la fama; per quanto sta in noi, armiamo questi
figli della terra e conduciamoli innanzi, sotto la guida dei governanti».
(Platone, Repubblica, III, 414 D)
A differenza di quanto una mente superficiale potrebbe pensare questo
discorso non è affatto anti-aristocratico, anzi... la relativa mobilità interna
di chi dimostra qualità eccellenti o al contrario, di chi si dimostra indegno
della sua nascita, è una chiara riaffermazione del principio gerarchico. Ecco
cosa intende il fascismo quando esalta l’aristocrazia come mito positivo: non
la nobiltà araldica, ma quella interiore. “Conosci te stesso”.
“La mia Patria è un idea, non
è più la geografia” (Amici del vento)
Piuttosto è un discorso che prendiamo a spunto a conferma della
necessità da parte della democrazia (o presunta tale) di arrabattarsi per
convincere, ingannando, i cittadini a perseguire il bene comune, fine
organicistico della società, laddove essa stessa per convenzione porterebbe
invece alla strada opposta, a scelte democratiche basate sull’ignoranza e sulla
stupidità, e quindi difficilmente buone. Le caste non danno statualismo, ma
status organico. L’unico modo per avere questo status tradizionale è il reale
riconoscimento della natura di ogni umano, il suo “colore” e quindi la sua
collocazione con tutto quel che ne consegue. Platone fu un saggio ed un grande
illustratore della dottrina quantunque il metodo da lui usato sia
------piuttosto noioso—o scontato?---; insomma le deduzioni fallaci possono
sempre venir fatte, certo, ma questo suo modo di porre i suoi trattati ha
agevolato una certa confusione, tanto da venir esaltato anche dai sedicenti
democratici.
“In un momento di menzogne
universali, dire la Verità è un atto rivoluzionario” (George Orwell)
Ortega J. Gasset in “La ribellione delle masse” sostiene che la società è da sempre un unità di minoranze attive e di masse passive. L’uomo medio converte il dato quantitativo della moltitudine in una determinazione qualitativa. Secondo egli è possibile sconfiggere la “ragione della non-ragione” e la pretesa di “dirigere la società senza averne la capacità” di questo “esercito di capitani” tramite la democrazia liberale, tuttavia la sua definizione di democrazia liberale si avvicina più a quella intesa in senso -----aristocratico---- che quella comunemente definita tale.
In ogni caso il dubbio che ci poniamo è a cosa si riferisca ovvero quali siano questi metodi tramite i quali ritiene sia possibile far funzionare la democrazia. La risposta più semplice, quella platonica, è da brividi. Il nome che essa prende oggi è: terrorismo.
Ben diverso il discorso di una “democrazia liberale aristocratica platonica”, inserita nel contesto squisitamente fascista di organicismo personalista, in cui cade la necessità di arrabattarsi ad ingannare per far passare per bianco ciò che è nero. Il primo a teorizzare la “democrazia organica” fu proprio Platone ne “la Repubblica”, anche se non chiamandola così.
La concezione statualistica collegata ai beni pubblici è poi del tutto
insensata. Se tutti fanno quel che devono seguendo quel che sono in modo
organico a che serve l’apparato Stato? Il concetto di proprietà pubblica è ---o
diventa?--- insensato (trattasi di condivisione, il che non nega la
proprietà/possesso individuali). Il discorso platonico verte sulla necessità di
ingannare, il senso della nobile menzogna è proprio quello di tenere a bada il
popolo senza dover necessariamente ricorrere alla forza. Non tutti fanno quel
che devono ma tutti devono farlo e per questo ci sono la frusta e il
bastone. Ma nel momento stesso in cui si debba usare la frusta ed il bastone è
già accaduto che tra i saggi vi siano degli indegni o degli infiltrati al
servizio dell’avversario. Il fondatore dell’impero degli Incas non poteva fare
cosa più saggia che presentarsi ai peruviani come il figlio del Sole e
persuaderli che recava loro le leggi che gli aveva dettate il Dio suo padre.
“La democrazia è un modo per metterlo nel culo alla gente col suo
consenso” (Massimo Fini)
La menzogna non è nobile. Al popolo si dice quel che può capire, adatto
alle situazioni di tempo e luogo senza mentire, e gli starebbe bene. Ciò
affinché sia l’ordine appropriato per tutti, secondo natura. Che in realtà ogni
parola sia falsa, ciò è un’altro discorso, no? Il problema si pone quando ad
avvallare una decisione sia richiesta la maggioranza.
Secondo essi nobile o ignobile dipende dal fine. Radice comune con il
terrorismo. Vi è chi crede che l’ordine vada perseguito con tutti i mezzi...
Anche con quelli che non sono che illusioni, finzioni, ossia, con ciò che
facendo leva sul sentimento e sull’emotività del “popolaccio” lo spinge ad un
più “alto” operare - nel senso che bisogna trarre il massimo profitto da ciò
che garantisce una migliore identificazione della massa con il potere
centralizzato. Né più né meno che la strategia oggi nota come “degli opposti
estremismi”.
Per alcuni si potrebbe sempre provare a predicare l’adesione volontaria
al modello castale senza rigenerare la società con la coercizione o con la
menzogna. L’esperienza ha dimostrato quanto utopico sia.
“Inganni funzionalmente necessari” (Jurgen Habermas)
Essendo la nobiltà interiore, essa si declina ben prima dell’inizio e ben prima della fine. Forse è bene dir così: non si può non dire il vero poiché la verità in sé stessa è inesprimibile (il che equivale a dire che ogni cosa detta è, in fin dei conti, falsa relativamente alla piena verità). ---- Parmenide??----
alcune riflessioni epistemologiche sul ruolo che può avere lo scarto, l’errore, il marginale nella crescita della conoscenza, nel passaggio da un paradigma scientifico ad un altro. ---------- un passo del Parmenide di Platone in cui Socrate, discutendo con il filosofo di Elea, gli espone la dottrina delle idee. Essa, in modo molto semplice, si può riassumere così: noi - dice Platone per bocca di Socrate - conosciamo davvero qualcosa quando conosciamo il modello, l’idea di questo qualcosa. Nella geometria non conosciamo i teoremi di Pitagora e di Euclide o le proprietà del triangolo soltanto perché le dimostriamo nel particolare triangolo che, ad esempio, abbiamo disegnato alla lavagna; ma le conosciamo davvero perché conosciamo l’idea del triangolo che vale come modello per tutti i triangoli possibili, tutti quelli che possiamo disegnare. E lo stesso accade per un’azione: noi la riconosciamo come giusta solo se sappiamo cosa è la giustizia in sé. Analogamente possiamo dire di conoscere davvero che cos’è un cavallo quando conosciamo l’idea del cavallo. Le idee hanno un’esistenza separata dalle cose di cui costituiscono il modello. Esse sono collocate in un mondo che Platone chiama “iperuranio” il quale, a rigore, dovrebbe contenere idee di tutte le cose che ci sono da conoscere in questo mondo.
Parmenide domanda allora a Socrate: questo vuol dire che nel mondo delle idee ci sono i modelli anche delle cose più infime, del sudiciume, del fango, dei rifiuti? Ci sono dunque anche idee di queste cose, che sono “di natura vile e spregevole al massimo grado”? E Socrate, messo in difficoltà, risponde: “No, no, si tratta di cose che, quali noi vediamo, tali esistono in realtà, e così bisogna guardarsi dal pensare che ci sia un’idea anche per esse, potrebbe essere fuori luogo”. Non c’è posto, nel mondo delle idee di Platone, per gli scarti, la sporcizia, i rifiuti. ---qui???-----
Ovvero “accontentarsi di salvare il salvabile”. Superato un certo limite
non è possibile ripristinare un ordine senza il diretto intervento del
“divino”, qualunque istituzione lo incarni in quel momento. Certo nessuno pensa
che oggi si possa anche solo pensare di dare in mano il potere ad una qualche
classe sacerdotale, incarnazione della volontà divina. Certo, alla luce delle
gerarchie terrestri, secondo alcuni sarebbe auspicabile che l’ordine metafisico
scendesse dall’alto. In assenza di un’improbabile “seconda venuta di Cristo”,
rimarrebbe da affidarsi all’uomo.
In una società dove le gerarchie sono capovolte ed i ---governanti -----
lavorano perché si perpetui tale gerarchia è una società che necessita di
menzogne, tese a calmierare i problemi indotti dalle barriere create per
salvaguardare le gerarchie indegne. Solo in una società ---------- non sarebbe
più necessario il bastone e la carota, e quindi nemmeno l’arte della menzogna
tesa a sostituzione della forza.
--- aggiungere qualcosa che c’entri con frasi sotto:
“Ti dici libero? voglio
conoscere i pensieri che in te predominano. Non mi importa sapere se tu sei
sfuggito ad un giogo: sei tu uno di quelli che avevano diritto di sottrarsi al
giogo?” (Friedrich Nietzsche – “Così parlò Zarathustra”)
Utile citare la favola di quel cavaliere medievale che morendo colpito da un colpo di archibugio si lamenta che in una sfida all’arma bianca il plebeo che l’ha colpito non sarebbe riuscito ad avere la meglio. Oggi, in un era meno violenta, l’archibugio dei plebei verso l’aristocrazia è l’opinione pubblica diffusa e ripresa dai media. Certo, solo una minoranza di popolazione è formata da feccia, ma questa proprio in quanto tale porta compresa la caratteristica della querulità, presunzione, arroganza, rancore, misantropia. Ma il punto principale è: queste caratteristiche non sono esse stesse in sé a determinare quanto “feccia” è una persona, ma se esse siano utilizzate a torto o a ragione. E’ questo a determinare la caratura morale di una persona, che contraddistingue l’animo nobile da quello ----becero----. Una persona nobile è una che sa giudicare e comandare con saggezza, quando gli sia permesso farlo.
“Nei tempi moderni sono spariti via via i gentiluomini, i galantuomini, e finalmente son quasi scomparsi perfino gli uomini. Ora son rimasti sulla scena i sottomini” (Giovanni Papini)
Ma il fatto che siano rimasti solo i “sottomini” significa che in una simile società i paria sono i “sopruomini”. Essendo incompatibili tra i due, la tendenza ad escludersi a vicenda è normale. In una società dove i “sottomini” sono la stragrande maggioranza e per questo detengono il comando, sono quindi i “sopruomini” ad essere esclusi.
“Il sentimento gregario spinge i pigri ed i vili a rintanarsi nella massa” (Oswald Spengler)
Rarissimo diviene oggi che due alfa riescano ad incontrarsi. E conseguente è che, nel gruppo dei “sottomini”, dato l’incompatibilità ----ecc------, siano i “sopruomini” ad essere considerati inferiori dalla massa. ----cameratismo oggettivo qui????------
“E’ proprio dai migliori che gli Dei esigono che dian buona prova di sé innanzi al Destino” (Hans F. K. Gunther)
Questo stesso discorso è pregno di arroganza e rancore verso la gentaglia che definiamo “feccia”, ma è proprio questa la differenza: la feccia è quella arrogante e rancorosa nel torto; e lo è non per la rabbia di vedere quanto bassa sia l’umanità che la circonda come è per la vera aristocrazia, ma l’opposto, ovvero per vedersi inferiore e voler far abbassare tutti gli altri, meno faticoso che alzare se stessi. Come il pollo di Trilussa.
“Non discutere mai con un idiota, ti trascina al suo livello e ti batte con l’esperienza” -----invertire con altra frase simile??-------
Questa è la differenza che contraddistingue l’animo nobile da quello ---becero---: l’animo nobile agisce per filantropia dettata da empatia, quello ---becero----- per egocentrica e narcisistica misantropia. E’ proprio per questo scagliarsi con arroganza e rancore contro essa, ovvero implicitamente nella ragione, contraddistingue l’animo nobile da quello ---becero---- seppur utilizzando i medesimi sentimenti, ma in tal caso di rivalsa. Non è e non deve essere il carisma a determinare le gerarchie, ma il torto o la ragione. La capacità di discernimento. La presenza o assenza di coscienza critica. Che non spetta certo ad un giudice terreno stabilire, ma al giudice che sa leggere dentro i cuori. A sé stessi. E deve bastare.
Non è tutto oro quel che luccica. Ad Atene, il “demos”, il popolo, cioè la gente che aveva voce in capitolo, che faceva il piano regolatore, le -----fognature---- e decideva le guerre, non era composto dagli abitanti di Atene. Ad Atene i cittadini erano una minoranza ridicola. E ci furono un bel pò di guerre servili, soffocate democraticamente nel sangue dei poveri. Come a Roma. Né più né meno. Ad Atene, se non si nominano i pezzenti, è solo perché in quel tipo di società non erano nemmeno considerati. Non erano considerati nemmeno come formiche. Non esistevano.
“Il popolo come insieme dei titolari dei diritti politici, anche in una democrazia radicale, rappresenta soltanto una piccola frazione della cerchia degli individui sottoposti all’ordine statale, del popolo come oggetto del potere… L’esclusione degli schiavi e – questo ancor oggi – delle donne dai diritti politici, non impedisce affatto di considerare un ordinamento statale come democrazia” (Hans Kelsen, 1929[102])
“Giustizia è favorire il bene comune; empietà è contrastare il vero e
perseguire il piacere personale” (Marco Aurelio) ----qui???---
Basti l’esempio più eclatante, quello di Stalin, ---- purga come metodo di concorrenza politica (eliminare i migliori anziché cercare di essere migliori).
“Non basta essere felici,
bisogna che gli altri non lo siano” (Jules Renard) ----qui?----invertire
con altra frase simile?--
In questo è all’uopo inserire la visione di Hegel riguardo lo sconvolgimento in atto nel suo tempo delle forme del potere statale -----con l’inversione tendenziale ------ Stato dall’alto e non dal basso------ con la necessaria ----- di costituzioni necessarie a regolamentare la diffusione del potere------ , percorso per certi versi opposto all’organicismo e per questo criticato da più parti.
“Se il corpo parlamentare, senza riguardo a qualsivoglia qualità dei suoi membri, viene ridotto ad una mera funzione di votazioni generali di maggioranza e se le sue delibere di maggioranza vengono prese, rinunciando ad ogni esigenza materiale della legge, come delibere di legge, in tal caso tutte le garanzie di giustizia e di razionalità, ma anche lo stesso concetto di legge e di legalità, si riducono ad una conseguente mancanza di sostanza e di contenuto, meramente funzionalistica e fondata su computi puramente aritmetici della maggioranza” (Carl Schmitt) Umberto Cerroni, “Il pensiero politico del novecento”, Newton ed., pag. 90. o su Liberalismo politico – liberismo economico: due cose diverse?
Ripetiamo: una qualunque regolazione formale del procedimento di emissione della volontà legislativa non può bastare a garantirne la giustezza razionale. Umberto Cerroni, “Il pensiero politico del novecento”, Newton ed., pag. 90. ed il parlamentarismo certamente non lo fa.
La differenza tra l’antico regime e la democrazia è indicata da Tocqueville dal fatto che gli uomini che sottostavano ai nobili lo facevano perché credevano nella loro investitura, mentre quelli che devono ubbidire in democrazia ad un uomo senza qualità lo fanno di malavoglia.
“Il vecchio stato liberale classico a suffragio ristretto […] poteva e doveva anteporre la coattività della legge al consenso e alla mediazione della domanda. Lo Stato democratico, nella misura in cui allarga la partecipazione e il consenso, concilia la legalità con la legittimazione” Umberto Cerroni, “Il pensiero politico del novecento”, Newton ed., pag. 90. ---- o su Liberalismo politico – liberismo economico: due cose diverse?
Ma legittimazione non equivale necessariamente ad efficienza della conduzione del potere. Anche un asino può essere legittimato al potere. O perlomeno un cavallo, come quello di Caligola.
“La democrazia è un sistema che garantisce che non saremo mai governati meglio di come ci meritiamo” (George Bernard Shaw)
Come accennato ad inizio capitolo, quello che il volgo non riesce a comprendere, e sul cui equivoco i potenti speculano, è che “libertà” e “democrazia” sono due concetti dai significati totalmente diversi l’uno dall’altro: la libertà è la libertà – la democrazia invece è un sistema politico. Si presume che nessuno sia contrario alla libertà, se non in ambito penale. Esemplare è il fatto che i regimi meno libertari dell’ultimo secolo, quelli comunisti, si autodefinissero democrazie. Non a torto, se si considera il significato letterale del termine. Quello che ne faceva un antitesi ad ogni concetto di libertà era la loro interpretazione del concetto di democrazia: la volontà popolare come scusa dietro la quale difendere gli affari personali di un oligarchia. Non che i sistemi politici vigenti negli stati “democratici” odierni si discostino molto, anzi… Il paradosso che la democrazia ammette critiche a tutto fuorché a se stessa, pena il linciaggio morale e la messa al bando ed alla gogna, se non proprio al rogo.
Come se la democrazia fosse veramente il governo del popolo -----------, come fosse l’unica cosa buona -----. L’unica cosa che la democrazia è riuscita ad instillare nelle menti è il più estremo manicheismo proprio sul suo significato.
“Ma lei non è democratica?” (una giornalista con tono stupefatto ad Alessandra Mussolini, 1993 –o 1992?--)
una ----cosa---- che ingenera odio può essere considerata buona? Oggi sembra di si. Certo, finchè a tale parola verrà assegnato un connotato talmente manicheo. Almeno fosse basato sulla verità, potrebbe essere comprensibile. Ma così non è.
---prima di differenza democrazia-libertà------
Difatti il distributismo non contesta la democrazia nella sua interpretazione ---------, ma l’attuale interpretazione comunemente datagli ed applicata. -------- su brasillach frase?
“Ogni tanto abbiamo delle manifestazioni dolorose che hanno il sapore della prepotenza, il sapore dell’invasione della libertà degli altri” (Oscar Luigi Scalfaro[103]) ---riguardo manifestazione skinhead ----
Alla faccia della tanto sbandierata libertà di espressione! Viene spontaneo chiedersi tra cento o duecento anni, quando grazie al progredire (si spera) della mentalità umana, come verranno considerate certe dichiarazioni aberranti e di per sé stesse contraddittorie.
-----Qui frase massimo Fini –fallaci??----
differenza legalità-legittimità : Non tutto quello che è legale è anche legittimo, non tutto quello che è legittimo è anche legale ------ morale ------- questione di principio ------ su differenza democrazia-libertà ----- vedi 900 pag. 89.
Morale, diremmo: “le verità non sono tali per virtù di chi le afferma, ma per virtù propria” (“Storia della Sinistra Comunista”, vol. I).
-----esempi di cose illegali ma morali, e di cose immorali ma legali. ---- basti pensare a
Non deve essere lo “Stato” a concedere diritti alle persone, ma le persone a plasmare le norme statali del diritto che si ritengono necessarie. Una società che capovolga il concetto giusto (di democrazia) è una società nella quale la democrazia nel suo senso -------- è stata capovolta. E senza che nessuno riesca a rendersene conto, tra l’altro. Incantati come un cobra davanti ad un piffero.
“Guai ai popoli i cui governi non possono definire i principii superiori, una dottrina economica ed anche una filosofia, ai quali obbedisce la loro amministrazione pubblica” (Antonio de Oliveira Salazar)
Tanto più larga è la base di suffragio, tanto minore sarà il controllo possibile e la necessità di impegno per il consenso. ----qui?---- E se potesse apparire come cosa buona, si pensi ai trabocchetti, alla demagogia, a tutte le strategie delegittimatorie tese non tanto ad ottenere il consenso quanto a toglierlo agli avversari. E solo come punta dell’iceberg. Il difetto principale sta nell’estraniazione dal potere, la qual cosa rende necessario ricorrere al sistema dei partiti come garanti di un candidato.
Per questa ragione il distributismo rifiuta il sistema di potere elettorale maggioritario a suffragio universale tipico della democrazia parlamentare. Al suo posto prevede un sistema impuntato sull’organicismo, ovverosia ----------------- basato su quanto già Platone ideò.
“Chi sa completamente non ha bisogno di fidarsi, chi non sa affatto non può ragionevolmente fidarsi” (G.------- Simmel) -----qui???-----
La differenza basilare ed il risultato sta nel rendere il potere veramente vicino ad ogni cittadino. Ed ovviamente un potere tanto più è vicino al singolo cittadino e più è ------------. Solo in questo modo si potrà realizzare il vero concetto di democrazia inteso nel senso ----ateniese----- nel quale sia davvero il popolo ad imporre alla sua elite il percorso e le decisioni migliori per tutti! Ben diverso da come è oggi!
“L’organizzazione è la madre del predominio degli eletti sugli elettori, dei mandatari sui mandanti, dei delegati sui deleganti. Chi dice organizzazione dice oligarchia” (Roberto Michels)
E’ sempre stata un’illusione pericolosa il concetto che la società abbia un’essenza ed una volontà sua propria superiore ai singoli individui. E’ questo il mito diffuso dagli “ingegneri sociali” individualisti come contrapposizione alla visione personalistica. Ai loro politici infatti è funzionale diffondere la convinzione che la società esista come entità indipendente; la legittimità del potere si basa su questo mito. Con questo non si vuole criticare il concetto di “Stato”, ma la sua interpretazione liberaldemocratica e marxista basata sulla “volontà popolare” come giustificazione delle proprie azioni (“strumentalizzazione”). Il problema è che la “volontà popolare” non necessariamente riflette la giustizia, e le azioni coperte dallo scudo della “volontà popolare” possono essere anche azioni malvagie.
“Il parere della maggioranza non può essere che l’espressione dell’incompetenza” (Réné Guénon)
Anche oggi, a tutti i livelli, si fa ampio utilizzo di questo scudo. Si consideri ad esempio l’approvazione mondiale della condotta israeliana nei confronti dei palestinesi. Oppure, andando più indietro nel tempo, la liberazione “vox populi” di Barabba anziché di Gesù. In ogni caso anche quando la “volontà popolare” manchi inizialmente, essa in un modo o nell’altro viene provocata quando ci sia una necessità, in quanto la psicologia delle masse è facilmente manipolabile da chi ha la possibilità di farlo, oggi anche tramite i sistemi di comunicazione di massa.
“I
giornalisti sono quelli che sanno distinguere i fatti dalle balle, ma poi
pubblicano le balle” (Mark Twain)
Non riteniamo necessario dilungarci in vari esempi, dato che sono visibili quotidianamente, anche se difficilmente percepibili per chi non ne abbia la sensibilità. Basterà citare l’isteria di massa che vige nei confronti dell’energia nucleare, nonostante praticamente nessuno dei contrari capisca nemmeno lontanamente a cosa si riferisca tale fonte di energia (altrimenti non ne sarebbe contrario, ipso facto). Questa isteria è stata determinata dall’incidente di Cernobil del 1986, sul quale nonostante la grancassa mediatica montata ad arte si sia spinta oltre ogni limite di decenza, questi stessi media si guardano bene dal pubblicare onestamente la statistica ufficiale dei decessi (31), enormemente inferiore alle vittime delle altre fonti di energia classiche. Quelli che definiscono “disastro” l’incidente di Tree Mile Island, nel quale la popolazione circostante assorbì la dose di radiazioni equivalente all’indossare un orologio con le lancette luminose. Il vero disastrato fu solo il proprietario della centrale…
“La vera libertà di stampa è dire alla gente ciò che la gente non vorrebbe sentirsi dire” (George Orwell)
E’ una delle stranezze degli uomini, muoiono costantemente come mosche per l’inquinamento prodotto dal termoelettrico, ma rifiutano il nucleare, come se le alternative fossero innocue. Come intervento antromorfico sulla natura, l’idroelettrico viene presentato come meno dannoso del nucleare. Dovrebbero chiederlo agli abitanti di Longarone. Ma anche senza citare il disastro del Vajont, basta pensare all’ipocrisia intorno al fotovoltaico. A molti sfuggiranno le morti per il fotovoltaico. Ma tutti sanno che il settore lavorativo a maggiore rischio di infortuni è quello edile, specialmente quando si lavora sui tetti delle case. Ebbene, l’installazione del fotovoltaico rientra esattamente nella categoria dei lavori edili eseguiti sui tetti. Se poi consideriamo che ogni installazione fatta su un tetto è a fronte di una produzione veramente modesta, ci rendiamo conto che i morti del fotovoltaico costano caro in confronto ai benefici. Ma tant’è, finché muoiono semplici muratori, possibilmente extra-comunitari, improvvisamente gli occidentali diventano tolleranti e di manica larga. E’ la solita abiezione di chi non vuole rischiare in proprio per i “propri” comodi. E l’anno seguente all’incidente di Cernobil la massa di ignoranti ha avuto l’ardire di permettersi di voler decidere anche per tutti gli altri. Con sommo gaudio delle compagnie petrolifere, e solo di esse, a scapito di tutti. Come non ripensare al dottor Semmelweis? Si potrebbe dire la stessa cosa per la terapia elettroconvulsivante, che nonostante la riconosciuta efficacia è oggi trascurata per motivi falsamente etici dettati dalla totale ignoranza sull’argomento, che porta ad assimilarla alla tortura tanto quanto l’energia nucleare viene assimilata alla bomba atomica. C’è da chiedersi perché nessuno contesti il carbone per via dell’oxiliquite. O il petrolio per via delle molotov. O il solare per il melanoma. O l’eolico per gli uragani…
“L’ottimista pensa che questo sia il migliore dei mondi, il
pessimista sa che è vero” (Oscar Wilde)
qui discorso isotopi??? Diga banqiao? una storia da brivido, di cui per tre decenni in occidente non si è saputo nulla il disastro della diga di Banqiao a causa di epocali precipitazioni per 1060 mm in tre giorni.
D’altra parte, mentre si scava per riportare in superficie 33 minatori in Cile, in Cina muoiono 7 minatori al giorno per estrarre il carbone... e fino a qualche tempo fa la media era intorno ai 13.
i calcoli di mortalità per terawattora
Per avere la conferma dei veri motivi del boicottaggio del nucleare basta andare con la memoria ad un periodo nel quale la coscienza ambientalista non esisteva, i primi anni ’60. In quel caso la “volontà popolare” sotto forma di giustizia legislativa rappresentativa “in nome del popolo italiano” venne utilizzata per frenare lo sviluppo del nucleare condannando giudiziariamente con accanimento inusuale il padre del nucleare italiano Felice Ippolito per reati amministrativi che oggi farebbero solo sorridere, a fronte della tolleranza verso la vera corruzione che avveniva anche allora ad ogni livello. Per non parlare delle persecuzioni che dovette subire Vincenzo Muccioli.
“La caccia era lo sport favorito dai nobili, il bracconaggio quello dai poveri: la differenza stava nel diletto dei primi e nella fame dei secondi, con un eguale coefficiente costituito dalla forca, minacciata dagli uni, subìta dagli altri” (autore????)
Il problema delle amministrazioni pubbliche, quando sono omnicomprensive è che sono piuttosto sciatte, specialmente nell’ultimo mezzo secolo in quelle democratiche, ove ha prevalso la scelta elettorale di un elettorato edonista, per quanto riguarda la predisposizione di riserve per il futuro ed affrontare le relative problematiche (che è poi lo stesso accaduto per i conti pubblici e relativi debiti). E’ un po’ come il discorso del controllore che coincide con il controllato. Basti pensare che è in seguito al primo scandalo dei petroli (febbraio 1974) che emerse il finanziamento ai politici per frenare lo sviluppo delle centrali nucleari. Tant’è che dieci giorni dopo l’arresto di Ippolito gli Usa concedono all’Italia un prestito di un miliardo di dollari, e il “fondo monetario internazionale” duecentoventicinque milioni; e tutti sappiamo che il Fmi concede prestiti solo previa delega a condurre la programmazione economica del paese richiedente. Non si può dare altra spiegazione all’accanimento messoci dal presidente Saragat contro Ippolito, se non il freno al nucleare come pegno per la nazionalizzazione dell’Enel.
Quelli come -------- Tozzi possono dormire sonni tranquilli, che se il favore al nucleare fosse dettato da interessi particolari di lobbie (anziché, notoriamente, sussistere essi proprio nella direzione opposta), il nucleare semplicemente non sarebbe giammai stato abolito. A prescindere da farse referendarie per gli allocchi di turno. I già descritti autonominatisi detentori monopolistici dell’ambientalismo che in realtà fanno proprio e solo il gioco di chi li manovra a piacimento fregandosene dell’ambiente, ed ottenendo così gli effetti opposti a quelli desiderati ----ecologisti si ma ignoranti------
Insomma, gli antinuclearisti (che spesso provengono da una parte politica che preferisce l’opposto del libero mercato) lanciano accuse verso il settore nucleare che in realtà riflettono la logica del sistema politico che preferiscono. E’ indecente come si arroghino di attaccare sugli interessi economici il nucleare, parlando essi dallo stesso punto di vista dei petrolieri! Mentre dall’altro lato attaccando il nucleare vanno contro agli interessi ambientalisti in nome dei quali attaccano quella che è la fonte di energia più ecologica tra quelle efficienti! Insomma, chi finanzia Greenpeace?
Si tralasciano volutamente o si boicottano ---sistemi---- per ripiegare su --- specchi per allodole--- appositamente inefficienti. Difatti il paradosso si raggiunge con l’eolico: da sempre viene deriso chi propone utilizzi energetici e rimedi agli sprechi che si rivelerebbero essere in definitiva poco convenienti. Si trascurano i sistemi di fotocellule, di ---interruttori foto sensibili-----, di autospegnimento, trascurano sistemi a pompa di calore, sistemi di recupero del calore --------, si proibiscono -----, tutti considerati irrilevanti quantitativamente. Dall’altro alto si incentivano i fari delle auto accesi di giorno e ---------. Ma l’eolico, la più grande assurdità e ------, il più irrilevante, il meno conveniente tra tutti nel rapporto costi/benefici, quello si!? Non è nemmeno paragonabile a--------. Nel confronto sono paragonabili ad una dinamo di bicicletta! E neanche permangono produttivi per tutto il tempo poi! E con un impatto paesaggistico deturpante. Allora tanto varrebbe costellare i fiumi di pianura di mulini ad acqua! Perché l’eolico si ed il più efficiente mulino ad acqua no? O perlomeno minidighe con turbine tipo Kaplan. E che dire della laguna di Venezia? Il flusso delle maree del vasto bacino se accuratamente usufruito sarebbe in grado di fornire una quantità enorme di energia, anche senza dover arrivare ad alterare il ricambio idrico ed ittico e la navigazione. E si sarebbero presi due piccioni con una fava coniugandolo con la necessità della salvaguardia dalle alte maree per la quale oggi si sta già costruendo un imponente opera monouso. ---- Recupero energia delle onde con pannelli galleggianti.----
Non tutte le cose che a prima vista sembrano buone sotto sotto lo sono… ad esempio, l’istituzione di un parco naturale da tutti viene considerata buona. Tuttavia accade che quando in un paese africano vengono scoperti dei diamanti in una montagna, la compagnia sudafricana De Beers monopolista mondiale del settore diamantifero, quando non riuscisse ad entrare in possesso diretto della nuova miniera (ad esempio quando certi stati erano comunisti, Angola, Mozambico, ecc), agisce in maniera di far dichiarare dai politici la montagna diamantifera parco nazionale, in modo che non sia possibile effettuare scavi minerari, cosicché nuovi diamanti concorrenti immessi sul mercato non ne abbassino il prezzo. E se si crede che per loro sia complicato far proclamare un parco nazionale, si pensi a quello che hanno combinato in Katanga nel 1962… quando dovette intervenire militarmente perfino l’Onu a por fine alla strage. O ancora più in là nel tempo, è indicativo che è nel 1914 che furono scoperti i diamanti in Namibia, allora Africa occidentale tedesca. Notando come tassello si aggiunga a tassello fino ad arrivare al ----data inizio prima guerra mondiale-----. Assodata questa prassi De Beers, spontaneo viene da chiedersi nuovamente: chi finanzia Greenpeace? ------- Riguardo nucleare-----
Chaco e Biafra guerra tra
multinazionali non tra stati – Francia e Italia con Biafra, Bp e Shell con
Nigeria. Con vittime anche nell’Eni. --- ----- standard oil (Usa) con Bolivia,
Royal Dutch (Gb-Olanda) con Paraguay.
I distributisti recepiscono tutto questo, ed aborrono l’uso strumentale della “volontà popolare” instradabile col terrorismo, la demagogia e la giustizia “due pesi e due misure” “ad personam” a seconda delle necessità di chi tiene nelle proprie mani la Giustizia. Per questo il distributismo rifugge dall’attuale sistema politico che è fondato proprio su queste meschinità che hanno il loro caposaldo nelle istituzioni parlamentari.
“Il parlamento è una rappresentanza ingannatrice del popolo ed i sistemi parlamentari costituiscono una falsa soluzione del problema della democrazia. La vera democrazia, però, non può esistere se non con la presenza di rappresentanti di questo. I parlamenti, escludendo le masse dall’esercizio del potere, e riservandosi a proprio vantaggio la sovranità popolare, sono divenuti una barriera legale tra il popolo e il potere. Al popolo non resta che la falsa apparenza della democrazia, che si manifesta nelle lunghe file di elettori venuti a deporre nelle urne i loro voti. Il parlamento è eletto nelle circoscrizioni elettorali, oppure è costituito da un partito o da una coalizione di partiti, o per designazione dall’alto. Significa, inoltre, che il deputato non è legato ai suoi elettori da un rapporto organico popolare, in quanto, secondo la tesi della democrazia tradizionale oggi attuata, egli è considerato il rappresentante di tutto il popolo, alla pari degli altri deputati. Le masse, quindi, sono separate completamente dal loro rappresentante, ed egli, a sua volta, è completamente separato da esse. Quando il parlamento è il risultato della vittoria elettorale di un partito, è il parlamento del partito e non del popolo. Infatti, i titolari dei seggi rappresentano il loro partito e non il popolo; il potere esercitato da tale coalizione è il potere dei partiti coalizzati e non il potere del popolo. Inoltre, siccome il sistema di elezione dei parlamenti si forma sulla propaganda per ottenere voti è, di conseguenza, un sistema demagogico nel vero senso della parola. Per questo, il povero non può affrontare le battaglie elettorali, in cui vince sempre e soltanto il ricco. E’ una teoria antiquata ed una esperienza superata. Il potere deve essere interamente del popolo. Le più tiranniche dittature che il mondo abbia mai conosciuto si sono instaurate all’ombra dei parlamenti” (Dal “Libro verde” di Muhammar Gheddafi)
Il distributismo rifiuta etichette di “pianificazione” e non ambisce a “sistemi economici perfetti” nel senso marxista del termine, sostenendo che è invece il sistema capitalista odierno il risultato del piano di forze economiche e politiche, teso ad impedire quello che sarebbe stato lo spontaneo sviluppo dell’economia, sostituito da un sistema concepito per lasciare il campo aperto a chiunque volesse e fosse in grado di subordinare le masse del popolo ai propri voleri e strumentalizzarle per i propri interessi: la democrazia liberale. La quale, così come la pianificazione marxista, si arroga la pretesa di “sistema perfetto”, e si fa scudo della “legittimazione popolare” dietro la giustificazione della quale ogni azione è lecita (“dittatura della maggioranza”); si comprenderà facilmente come ciò non possa riflettere certo quell’ideale ateniese a cui essa pretenderebbe vanagloriosamente fare riferimento nel nome.
“L’idea di un credo che tutto abbraccia e tutto risolve è incompatibile con la libertà. [...] Tentar di soddisfare contemporaneamente entrambe le cose significa necessariamente finire, se non proprio in una forma definitiva di tirannia o di schiavitù, perlomeno in quella colossale ipocrisia e illusione che sono insieme presenti nella democrazia totalitaria” (Jacob Leib Talmon[104], “Le origini della democrazia totalitaria”, Bologna 1967)
Aspirazione fondamentale dei distributisti non è la perfezione, ma la realizzazione di un sistema che veramente più si avvicini all’ideale ateniese di “democrazia”, sia in senso politico che in senso economico. Che come abbiamo visto, la sua interpretazione odierna non necessariamente può essere rispecchiata in quello effettivamente applicato ad Atene. Anzi. ---ma i distributisti proprio a quello vogliono avvicinarsi, elitario per il buon governo delle scelte sensate e non per votare il livello del riscaldamento del condominio ma per impostarlo su quello giusto razionalmente. Per questo propugnano un sistema democratico basato sull’organicismo. Secondo i distributisti finora le autodefinentisi “democrazie” addirittura non sono state nemmeno “dittature della maggioranza”, ma palesemente “della minoranza”, come partitocrazie[105], plutocrazie[106], oligarchie[107], da considerarsi dunque all’opposto rispetto al significato letterale di “democrazia” come “governo del popolo”.
“La tragedia delle democrazie moderne è che non sono ancora
riuscite a realizzare la democrazia”
(Jacques Maritain)
Ed a sostenerle per poter manovrare la società sarebbero appunto quelle persone che abbiano la “volontà e capacità di subordinare le masse popolari ai propri voleri e per i propri interessi”, mediante l’aggregazione in club atti allo scopo chiamati “logge massoniche”. Quello che lascia aperta questa possibilità è la regola del sistema elettorale demoliberale, come “gerarchia del numero”, che consente la possibilità di accesso al Potere a prescindere dalle capacità e dai meriti, ma soltanto grazie alla furbizia nel saper manovrare le masse anche utilizzando marionette dotate della capacità di “incantare” gli elettori con la demagogia, la retorica e l’esteriorità oratoria e prossemica.
“I politicanti sono i camerieri dei banchieri” (Ezra Pound)
Interessanti suggerimenti ci arrivano dal maggior analista italiano
della democrazia, Carlo Brevi. Secondo egli, all’origine dell’attuale decadenza
vi è il sistema, a cui si dà convenzionalmente il nome di “democrazia” (che in
realtà dovremmo definire “parlamentare” per contraddistinguerla) pianificato
per far si che solamente i più spregiudicati riescano a poterne scalare le
gerarchie; quelli che meno scrupoli si fanno nel venire a compromessi, ricatti
e corruzione. I partiti politici non sono altro che organizzazioni atte a
selezionare i peggiori elementi e porli a guida dei movimenti di popolo, ove
fungeranno da esecutori degli ordini imposti dai burattinai, ricevendo in
cambio determinati privilegi. Attorno ai misantropi che occupano le
stanze dei bottoni, ruota il drappello dei profittatori-esecutori. Persone
antropologicamente differenti dal resto degli uomini, prive di remore morali e
disponibili a farsi ubbidienti servitori delle personalità influenti. Queste
due categorie formano la struttura mente-braccio di ogni forma di governo. Possono cambiare le forme di governo, la
struttura della società, il livello di cultura o di ricchezza collettivi, ma
saranno, in ogni caso, sempre i peggiori a comandare. L’ascesa dei governanti per mezzo di elezioni
partitiche rende quasi impossibile che una persona moralmente superiore possa
arrivare al vertice.
“La politica è un’arte, cultura e ragione non contano” (Francesco
Cossiga)
I burattini sono scelti per le loro capacità come demagoghi. Quindi la democrazia parlamentare virtualmente assicura che soltanto uomini malvagi ed ottusi arriveranno al vertice del governo. Spesso determinati comportamenti all’apparenza segnali di inefficienza spianano carriere anziché stroncarle come sarebbe prevedibile aspettarsi. Il caso più evidente è Cossiga in seguito all’affare Moro. Oppure come Antonio Maccanico dopo aver consigliato a Pertini la concessione della grazia ad un’impopolare terrorista. I candidati vengono scelti dai partiti, molto spesso tramite congiure massoniche tra camarille. La più nota sono le elezioni primarie degli Stati Uniti, dove i candidati dei rispettivi partiti sono scelti tra i rami delle due comunioni massoniche sudista e nordista. La scelta dei candidati a Presidente della Repubblica da parte dei partiti evidentemente segue logiche imperscrutabili.
“Governare è far credere” (Francesco Cossiga)
Ne abbiamo un chiaro esempio proprio in Italia, dove fin dal 1946 per qualche apparentemente incomprensibile ragione i presidenti della Repubblica vengono regolarmente scelti tra le persone peggiori del panorama politico... eppure agli occhi della gente appaiono come ligi e rigorosi campioni di moralità istituzionale. Basta un solo esempio: il necrologio più commosso per la morte di Stalin fu letto in Parlamento dal socialista Sandro Pertini, che diventerà poi famoso per il suo spudorato sciacallaggio sulla tragedia di Vermicino. Il mondo intero deve essere preda di una ipnosi collettiva, non vi è spiegazione più razionale di questa. Un sortilegio che fa apparire sensato essere comandati dai giullari, e che permette ai peggiori di tenere soggiogato tutto il popolo, estromettendo così quelli veramente in grado di far funzionare al meglio la società. Ancor più sotto delle “persone comuni” esistono le “sotto-persone”, ovvero il sottoproletariato, composto da tutti quelli che per qualche motivo hanno gli occhi aperti su quanto, ed ai quali questo non riesce ad andare giù, a chi, come loro, pretende di essere trattato allo stesso modo in cui lui tratta gli altri, ed esige per tutti il miglior sistema possibile, consapevoli dell’esistenza di questa possibilità che oggi è preclusa. Non necessariamente persone migliori, ma persone consapevoli dell’esistenza di persone migliori che oggi sono scalzate dalle peggiori nella guida della società dalla selezione al rovescio che favorisce chi manca di qualità intellettive, morali e di iniziativa.
“Sono nato troppo in alto per
essere oggetto di possesso. Per essere secondo in comando. O un servo utile e
uno strumento. Per qualsiasi Stato sovrano che esista al mondo” (Da “King John” di William Shakespeare)
Oggi l’abilità del gestire un azienda non sta nel saper investire,
progettare, comprare, produrre e vendere, ma nel saper destreggiarsi con
prudenza nell’eludere il fisco, ungere le ruote, imbonire mellifluamente,
ingannare soci e clienti, favorire amici di amici, prostrarsi ai superiori ecc.
Con un esempio calzante: non nel pescare di più, ma nell’eliminare più “orsi,
gabbiani e foche”.
La più evidente punta di questo abominio sono i famosi “corsi di
motivazione”, che ----- le persone ----- vendere non prodotti, ma sé stessi.
Incredibile è come queste persone non si rendano conto che il loro
comportamento è equivalente al chiedere l’elemosina, e si umilino
inconsapevolmente in tal modo. ---piazzisti-----venditori di polizze
assicurative, di pentole, di calze-------
La politica è il riflesso dello specchio di tutto questo, ovvero
nell’attuare tutte le manovre necessarie a favorire quel sistema “produttivo”.
E’ inevitabile e conseguente che in entrambi i settori siano le persone
peggiori a scalare la carriera in combutta l’uno con l’altro come due specchi
che si riflettono reciprocamente. Ma sia chiaro: non è automaticamente
----detto---- che si comportino così perché sono persone peggiori; ma
dimostrano apertamente di essere le persone peggiori proprio comportandosi
così, degradandosi a questi imbarazzanti comportamenti di auto-umiliazione.
“O una democrazia di capi con macchina, oppure una democrazia senza capi, vale a dire il dominio dei politici di professione senza vocazione, senza le qualità carismatiche interiori che fanno appunto un capo” (Max Weber[108])
Le persone migliori, più capaci ed efficienti, sono quelle che proprio
per livello di orgoglio non possono nemmeno immaginare come si possa giungere
ad architettare certi furbeschi stratagemmi fraudolenti. Ribadiamo: è proprio
questa differenza “antropologica” che li qualifica come migliori, in quanto non
aventi la necessità/possibilità di ricorrere a intrallazzi laddove agli
arruffoni ciò è imprescindibile, come dimostra l’inesorabile ed incipiente
perpetuarsi di fallimenti allorquando determinati ostacoli impediscano
l’attuazione di meccanismi fraudolenti. Ma questo non significa che i migliori
possano farcela. L’incapacità di capire porta a non riuscire ad accettare. Il ------
è che essendo il “sistema” ovvero tutti i concorrenti inseriti in questo ----------
risulta impossibile per un gestore il quale in un sistema normale sarebbe tra i
migliori, poter competere in questo sistema anormale coi peggiori. L’unica
soluzione è trasformare l’intero sistema da anormale in normale. Ed allora si
che la vita per i peggiori diverrebbe difficile, ovvero finalmente giusta nel
ristabilimento della vera meritocrazia.
“L’ordine economico va organizzato in modo che l’uomo sincero
prosperi più di qualunque altro” (Silvio Gesell)
La società premia chi porta più ricchezza, ma questa società lo fa a prescindere da come. Quindi è normale che questa premi anche personaggi indegni, portatori di ricchezza, si, ma rubata agli altri, non creata. E con rubata si può intendere qualunque impresa che crei attività ma senza produrre alcun sovrappiù sociale, come le lotterie, i piazzisti, --------; ma anche quando un sovrappiù sociale ci sia ma sia inutile o addirittura deleterio, come ----------droga------. Per quanto ciò determini una redistribuzione e non una distruzione (a meno che non si voglia tener conto dei costi che l’impresa comporta); ma una redistribuzione iniqua. Noi vogliamo una società dove sia premiato solo chi crea ricchezza, non chi la trasforma e/o la devia strumentalizzandola a suo primario interesse. Vogliamo una società dove chi è capace possa dimostrare e far fruttare le proprie capacità nell’interesse di tutti. Cosa che oggi è impedita appunto dal fatto che le persone indegne che oggi dirigono la società hanno tutto l’interesse personale a che chi gli è superiore non possa riuscire a far emergere questa superiorità.
“L’unica consolazione degli spiriti mediocri è sottolineare i difetti degli uomini migliori” (---chi??-)
E gli indegni lavorano uniti in tal senso. “Mors tua, vita mea”. E per conseguire questo scopo l’arma utilizzata è il manovrare in tal senso tutta la massa di persone, “opinione pubblica”, che sta frapposta tra l’uno e l’altro; ed a permetterlo è la democrazia liberal-capitalista.
Nel sistema odierno: “la capacità di comando non è commisurata all’utilità sociale delle funzioni svolte ma a quella economica realizzata sul mercato” (Enzo Mingione) ---mercato e società pag. 190.
“La povertà quando è immeritata rende orgogliosi” (della propria povertà) – di conseguenza quando si è orgogliosi della propria ricchezza significa che essa è immeritata.
“Il fatto che nel traffico monetario una persona abbia il medesimo valore di un’altra, si fonda su di una semplice circostanza: nessuna di loro vale, a valere è soltanto il denaro” (G. Simmel, La psicologia del denaro)
Ed il think tank culturale ha una parte determinante in ciò.
O Su non è la libertà che manca????----- : “Tutto ciò che assicura il controllo non è il semplice possesso di determinati beni o valori, ma la capacità di dominare i linguaggi, le grammatiche e le sintassi che organizzano il senso. Il potere consiste nella capacità di dominare quelle precondizioni cognitive, motivazionali e sempre più verosimilmente biologiche che permettono l’intelligibilità e l’intenzionalità dei comportamenti espressi, delle relazioni sociali costruite, e dei sistemi istituzionali prodotti” (Alberto Melucci) ---mercato e società pag. 232.
-----come unire????----------- è il sistema in cui vi è una piramide di potere compartimentata quale è la democrazia parlamentare liberista in economia che crea la massa e la rende contrapposta al potere politico. Invece un sistema dove non esiste una netta separazione tra i vari gradi della piramide quale è quello organicista implica l’assenza o comunque l’indefinibilità della massa. E quindi impedisce una contrapposizione tra essa ed i suoi rappresentanti.
Gustave Le Bon scrive “La psicologia delle folle”, dove egli vede le folle dominate da una irresponsabilità collegata all’anonimato e al carattere emozionale dei comportamenti.
Ovviamente, per fare un esempio, superfluo dire che in un sistema decente sarebbe inibito il commercio del nulla, i cosiddetti “venditori di fumo”. Le transazioni economiche sarebbero basate su uno scambio obiettivamente reciproco, intendendo con ciò una gamma piuttosto lasca, sia chiaro, non eccessivamente restrittiva. Se non fosse inteso a cosa vada il riferimento, esso è diretto alla “vendita” di numeri vincenti del lotto, suonerie telefoniche, amuleti magici, braccialetti energetici, telefoni erotici (questi ultimi potrebbero tuttavia sussistere alla normale tariffa urbana), e a qualunque altro tipo di “aria fritta”. Non dovrebbero essere previste licenze commerciali per questo tipo di “commercio”, ma dovrebbero essere totalmente abusive tanto quanto ipotetiche licenze di grassazione, e punite in quanto tali quando scoperte. E sempre in quanto tali ai giornali e alle reti televisive dovrebbe essere proibito ospitare pubblicità di queste truffe. Permessa la pubblicità – proibita la sollecitazione.
Il mondo è pieno di ingenui, ma niente da il diritto a “Vanna Marchi” di approfittarne. Le vittime delle truffe saranno anche ingenue, ma quei soldi se li saranno pure sudati, a differenza di chi invece vorrebbe sottrarglieli senza far fatica, con la furbizia.
La repressione di questi ignobili atti non dovrebbe essere delegata a programmi televisivi, ma dovrebbe essere messa nel pieno interesse delle forze di pubblica sicurezza appositamente preposte. A questo scopo dovrebbe essere finalizzato un sistema di taglie, e ne sarebbe il miglior pregio. Tanto più è odioso il crimine, e quindi l’indignazione pubblica, tanto maggior fondo raggiungerebbe automaticamente la taglia (allorquando chiunque potesse contribuirne). -------mettere anche giù togliendo qualcosa da qui?------
“Anziché far circolare la verità, l’industria culturale modella le verità sulla circolazione commerciale sicché la parola che non è mezzo ad uno scopo commerciale appare priva di senso” Umberto Cerroni, “Il pensiero politico del novecento”, Newton ed., pag. 81. ----qui???---
Come ci hanno
dimostrato Adolf Hitler e Vanna Marchi, oggigiorno la semantica ha una valenza
maggiore dei concetti che le parole intenderebbero realmente esprimere e la gran parte dei miti
moderni non sono che vocaboli, la cui acustica basta a
dare una abbaglio di idea. Si tratta di un metodo di suggestione paragonabile a
quello degli ipnotizzatori. Far credere che dirsi contrario alla democrazia equivalga
a dirsi contrario alla libertà ne è il tipico esempio.
“Lo
strumento base per la manipolazione della realtà è la manipolazione delle
parole. Se puoi controllare il significato delle parole, puoi controllare le
persone che devono usare le parole” (Philip
K. Dick)
Quello che occorre è comprendere il meccanismo con il quale “essi” riescono a soggiogare tutti gli altri, comprendere che vi sono persone che ragionano e sentono in maniera profondamente diversa dal resto dell’umanità, inimmaginabili per un uomo comune.
“Il mondo è pieno di polli ed io ho un talento naturale a scovarli” (Vanna Marchi)
Solo conoscendo questo loro modo di operare, si può risvegliare l’umanità dall’ipnosi di cui spesso è succube. Lo psicologo Andrew M. Lobaczewski, nel suo libro intitolato “Political Ponerology”, sottolinea che “i cosiddetti individui normali non possono comprendere la mente o il comportamento del sociopatico e sono quindi particolarmente vulnerabili ad esso”, intendendo come sociopatico l’archetipo che noi fin qui abbiamo definito “furbo”.
“Nella storia, l’apparenza ha sempre avuto un ruolo più importante
della realtà” (Gustav Le Bon)
Accade spesso che la gente non si
capaciti di come il popolo tedesco abbia affidato le proprie sorti a Hitler. Si
racconta che una volta Jack Kerouac presentò una sorta di programma
politico-culturale della Beat Generation che parlava della “volontà che unisce
i nostri gruppi e che ci fa comprendere che gli uomini e le donne devono
apprendere il sentimento comunitario al fine di difendersi contro lo spirito di
classe, la lotta delle classi, l’odio di classe!” e che si concludeva con
l’auspicio “Noi andiamo a vivere presto in comune la nostra vita e la nostra
rivoluzione! Una vita comunitaria per la pace, per la prosperità spirituale,
per il socialismo”. Il pubblico composto da intellettuali di sinistra ne fu
entusiasta ma si raggelò subito apprendendo di aver applaudito un discorso
pronunciato da Adolf Hitler al Reichstag nel 1937. In entrambi i casi non fu
tanto il discorso ad essere applaudito (in fin dei conti piuttosto banale), ma
il carisma della persona.
“I ciechi conducono i ciechi.
Questo è il sistema democratico” (Henry Miller)
Essendo nella democrazia parlamentare l’accesso all’eleggibilità subordinato all’appartenenza ad un partito come garante e referente, la necessità di venire a compromessi con esso è irrinunciabile. Dato che lo scopo dei partiti è (o perlomeno diviene) il lucro (come in definitiva per ogni altra iniziativa umana, in un modo o nell’altro), per i politici è d’obbligo l’accondiscendere alla volontà di chi li “finanzi”; dall’altro lato, la carriera del politico all’interno del partito è determinata da quanto più profitto porti “in cassa”, ed è quindi implicitamente “costretto” alla corruzione, unico mezzo di profitto possibile per un partito politico. L’inevitabile e logica conseguenza di questo aberrante meccanismo è che ai vertici dei partiti riescono ad accedere prettamente le persone peggiori e meno meritevoli di tutta la società, ed è conseguentemente praticamente scontata. Essi in quanto tali, sono per antonomasia maggiormente manovrabili da chi abbia la capacità di farlo, il quale avrà quindi tutto l’interesse proprio a favorire l’ascesa ai vertici dei partiti ed ai posti di Potere proprio delle marionette più avide, immorali, ignoranti, e stupide, e perciò potenzialmente più vulnerabili e ricattabili, tenibili “appese per un filo”. In ogni caso anche il politico più onesto è costretto a tollerare la corruzione come finanziamento per il partito.
“Non c’è leader politico che non possa essere arrestato per tangenti” (Francesco Cossiga)
Come abbiamo già visto nel caso di Felice Ippolito, facilmente eliminabile allorquando necessario, partendo da un inchiesta giornalistica artatamente realizzata e fatta recepire alla magistratura su presunte irregolarità contabili che in tutti gli altri casi (ed anche nel suo, fino a quel momento) ben più gravi venivano bellamente ignorate. La stessa strategia nel 1976 usata contro “Antelope Cobbler”, e successivamente contro Bettino Craxi. Giovanni De Lorenzo definì con un allegoria quantomai calzante i fascicoli Sifar: “pistole puntate”.
“Non le sole revolverate fanno male all’uomo” (Piero Buscaroli)
“Scegliere il futuro capo di stato tra quelli che sono servili e sottomessi incondizionatamente. Gli amministratori, che sceglieremo tra il pubblico con una severa attenzione per le loro capacità di ubbidire con animo servile, non saranno delle persone addestrate nelle arti del governare, e quindi diventeranno facilmente delle pedine nel nostro gioco, nelle mani degli uomini colti e geniali che saranno i loro consiglieri, degli specialisti tirati su dall’infanzia per tenere in pugno gli affari del mondo intero. Questi nostri specialisti [prendono] le informazioni di cui [hanno] bisogno per prepararsi a regnare... dalle lezioni della storia, dalle osservazioni fatte sugli avvenimenti di tutti i momenti mentre succedono. I gentili non sono guidati dall’uso pratico delle osservazioni storiche senza pregiudizi, ma da una routine teorica senza nessuna attenzione critica per i risultati conseguenti. Li abbiamo convinti ad accettare i dettami della scienza (teoria), [ed] è con quest’idea in testa che stiamo costantemente stimolando una fiducia cieca in queste teorie attraverso la nostra stampa. Gli intellettuali dei gentili si gonfieranno con la sua conoscenza. Pensate attentamente ai successi che noi abbiamo raggiunto con il darwinismo, il marxismo, il nietzscheismo” (dal “pamphlet contro Napoleone III” di Maurice Joly)
Ai cittadini elettori viene quindi implicitamente solo “concesso” di scegliere il rappresentante valutato come “meno peggio” tra quelli imposti dal partito (nel caso ci sia il “voto di preferenza”), ed in altri casi (“lista bloccata”) neppure ciò ma solo confermare quelli decisi dal partito prescelto. “Valutati” poi non si capisce sulla base di quale parametro, se non la propaganda elettorale nella quale tutti possono “suonarsela e cantarsela” in quantità variabili a seconda dei fondi disponibili alla spesa. Nella farsa delle tanto declamate “primarie” ugualmente si può scegliere solo tra candidati scelti dalle gerarchie partitiche. E, come si è detto, non certo scelti sulla base di qualità positive. Ma si tenga conto che, anche non fosse così, solo quelli in grado di spendere notevoli quantità di denaro per la campagna elettorale e capaci di incantare le masse avrebbero possibilità realistiche di essere eletti. Oggi esistono perfino dei manuali sulla prossemica-cinesica più appropriata da tenere per un candidato. In democrazia “l’abito fa il monaco”! Classico è l’esempio delle elezioni americane del 1960, quando il favorito (e “predestinato”…) ma goffo Richard Nixon perse contro John Kennedy a causa di un “banale” dibattito televisivo. Non c’è esempio migliore delle opinioni di un acuto osservatore quale Vittorio Emanuele III riguardo la classe politica dell’età giolittiana, di cui era certamente un profondo conoscitore: “Le doti necessarie per farsi strada nella politica italiana, e poi mantenersi al potere, non hanno nulla a che vedere con le autentiche virtù dell’intelletto e del carattere. Casomai il contrario”[109]. Dopotutto se i candidati sono disposti a spendere cifre colossali per tentare di essere eletti, dovranno vederci un analogo guadagno consistente perlomeno nel recupero di queste cifre, del tasso di interesse, e di un certo margine di guadagno… In Italia è dalla fine del diciannovesimo secolo che ne abbiamo un chiaro esempio con lo scandalo della Banca Romana, una specie di gara a chi fregava di più causata da un bug aperto nel sistema finanziario che gli permise di mettersi a stampare a spron battuto moneta falsa (ovvero con numeri di serie uguali) sulla quale tutti si gettarono a spiluccare.
“I ladri di beni privati passano la vita in carcere e in catene, quelli di beni pubblici nelle ricchezze e negli onori” (Marco Porcio Catone)
Se, come diceva von Clausewitz, “la guerra è la politica fatta con altri mezzi”, e assodato che la guerra è un modo dei potenti per raggirare il popolo, la politica non può essere altro, no? Perlomeno la “politica” nel senso odierno del termine, non nel senso letterale che appartiene solamente a quelli che proprio per questo non avranno mai la possibilità di essere eletti.
“Le persone oneste e intelligenti difficilmente fanno una rivoluzione, perché sono sempre in minoranza” (Aristotele)
Tutto questo si rivela anche nel “trasformismo” dei più furbi, ovvero non nell’aderire al partito che corrisponda ai propri pensieri, ma nell’aderire a qualunque partito che il potere già lo detenga o che ne abbia la prospettiva, “saltare sul carro del vincitore”, e ripiegare su altri (per ottenere almeno le briciole) solo quando non accettati da questo; non ci sarebbe da stupirsi se in un eventuale Italia comunista il dittatore fosse stato il poliedrico Giulio Andreotti… ce lo dimostra il fatto che fu proprio lui il presidente del “governo di solidarietà nazionale”, e di lì il passo sarebbe stato breve…
“Poiché i vantaggi connessi a una carica si raggiungono solo attraverso le elezioni, vincere queste ultime è l’obiettivo principale di ogni partito. Tutte le azioni di questi ultimi sono così dirette a massimizzare il numero dei voti. I partiti scelgono l’aspetto ideologico che porta ai voti, e non quello in cui credono, poiché il loro obiettivo è la conquista del potere e non la creazione di una società migliore” (Anthony Downs, “Teoria economica della democrazia”)
Sembra ci sia una sola regola per gli uomini politici di tutto il mondo: quando sei al potere non devi dire le stesse cose che affermi quando sei all’opposizione.
----consociativismo?-----
Pratiche combinatorie e consociative della distribuzione delle cariche (lottizzazione)
Ulteriore conferma viene dal fatto che a dirigere le aziende “pubbliche” italiane erano messi soprattutto boiardi democristiani, i quali non si tiravano certo indietro dal lavorare per una cosa che è a tutti gli effetti comunismo! Uno su tutti, Felice Balbo, catto-comunista presidente dell’Iri nel 1961. Poi il consociativismo portò direttamente anche comunisti a sguazzare nel proprio paradiso come dirigenti. Chicco testa, comunista, presidente Enel. Ancor più incomprensibile è che perfino i 580.000 (anno 1981) dipendenti di queste aziende comuniste spesso si univano ai dipendenti delle aziende private nel chiedere maggiori elargizioni. Lecito è chiedersi, loro che, nel loro piccolo, lavoravano già sotto il comunismo, a cos’altro ancora aspiravano di più? Non doveva essere talmente paradisiaco che lo sciopero sarebbe stato abolito? Di cosa potevano lamentarsi? “Chi è causa del suo mal pianga sé stesso”, dice un saggio proverbio…
“Il Welfare State tradizionale si è sviluppato sulla contrapposizione tra pubblico e privato, ove ciò che era pubblico veniva assiomaticamente associato a morale, perché si dava per scontato che fosse finalizzato al bene comune, e il privato a immorale proprio per escluderne la valenza a fini sociali. E’ stato un grave errore […]. Oggi è l’evidenza stessa della crisi che obbliga ad abbandonare le vecchie ideologie per ritornare al realismo di visione positiva dell’uomo e delle sue relazioni” (Maurizio Sacconi, “Libro bianco sul futuro del modello sociale”)
A 12 anni, nel 1989, udii un fervente comunista, fare una sorta di auto-critica commentando così la caduta del muro di Berlino: “come può funzionare un sistema nel quale l’operaio può portarsi a casa gli strumenti di lavoro perché non c’è un padrone che ne sia il possessore?”… restai allibito, io, dodicenne, nell’apprendere come una persona che per quarant’anni aveva votato senza avere la minima nozione su cosa consistesse il comunismo. Lo capivo io che avevo dodici anni! E pensare che egli lavorava perfino in un azienda dell’Iri, ma non riusciva a capire che lavorava in un azienda comunista fondamentalmente tale e quale a quelle sovietiche. Avrei voluto chiedergli se lui, sulla base di quanto aveva detto, potesse portarsi a casa una nave o perlomeno una chiave inglese. Dato che secondo la sua logica, evidentemente si. Prima di tutto nelle aziende comuniste non manca il padrone; il padrone è lo Stato, il quale attraverso i burocrati dovrebbe avere tutto l’interesse a che i dipendenti non rubino all’interno del posto di lavoro. In secondo luogo, anche mancasse un padrone come lui erroneamente credeva, proprio perché un oggetto è di tutti non può essere solo di uno. Altrimenti anche qui oggi chiunque potrebbe portarsi a casa un lampione stradale! Il fatto che lui, comunista cinquantenne vedesse come unico o principale difetto del comunismo questa stupidata inesistente, mi aprì veramente gli occhi sul concetto di “comunismo” totalmente falsato che avevano i milioni di elettori del Pci…
Certo, in Urss si avrebbe anche potuto rubare una chiave inglese, ma tanto quanto si possa farlo qui, nascondendosela in tasca, non certo sventolandola ai quattro venti come probabilmente lui immaginava. -----qui?----come unire???—
La confusione ideologica all’interno del Pci era tale che nel 1979 in un sondaggio interno l’80% degli iscritti indicò la Svezia come società modello di riferimento ideale[110]!
Qui? rivoluzionarismo fattore temporaneo: altro aspetto sconcertante è il concetto di rivoluzione, o meglio la sua appropriazione indebita da parte dei marxisti. Una volta che la rivoluzione si è compiuta chi difende il nuovo sistema prende inevitabilmente il nome di conservatore, è implicito. I rivoluzionari diventano quelli che vogliono rovesciare il sistema, anche fosse per tornare al precedente. Non è un concetto che può rimanere cristallizzato ad una determinata classe di persone! E’ un fattore temporaneo! Il fatto che i comunisti si considerino i rivoluzionari aprioristicamente e tout court mentre tutti gli altri sono i reazionari o i controrivoluzionari, anche quando la rivoluzione comunista si sia compiuta, è quantomai indicativo del loro cervello fino. Almeno qualcuno potesse spiegare il concetto di “rivoluzione permanente”… quasi che ogni ora si ribaltasse un sistema per passare ad un altro, in ciclo continuo…
Utopico fargli capire che ovviamente, ipso facto, in Urss i rivoluzionari erano gli anticomunisti e i conservatori erano i comunisti.
Esemplare tipico è Jean-Paul Sartre, che come filosofo bene, ma il suo definirsi comunista appare del tutto indipendente dalla sua filosofia. Da ciò ne risulta come politologo un completo fiasco. Politicamente è l’esempio tipico delle persone stupide elevate al rango di campioni dell’intelletto, che si permettono di lavarsi la bocca sul fascismo quanto cultura. Politicamente appare il classico scialbo demagogo comunista, automa asservito al politically correct, ---- il campione del vuoto intellettuale di frasi prive di senso, “latinorum”, capace solo di mettere assieme un accozzaglia di frasi fatte e slogan precotti. Il tipico ----- marxista, inevitabile quindi. ---obnubilato-----
“Uno sciocco colto è più sciocco d’uno sciocco ignorante” (Moliere).
Eppure Sartre persisteva nel dirsi comunista. E rifletteva, “patiemment”, come correggere la deviazione senza cadere nell’idealismo[111]. Inevitabile che una ----lotta--- interna lo rodesse, davanti l’evidenza dell’errore ideologico in cui era caduto, ma troppo orgoglioso per ammetterlo. Difficile difatti pensare che, messo davanti una scelta, avrebbe optato per una Francia comunista. Ma quando si è in ballo si deve ballare. Certo il suo tempo non lo aiutò. Il fermento -----maggio francese-----. Era un periodo nel quale essere comunisti era di moda, o se non proprio comunisti, una delle variegate sfumature della sinistra, comunque dell’antifascismo, per il “bene assoluto” ------ tanto che negli anni ’70 era ------ di vergogna definirsi liberali oppure di destra. Si pensi che perfino Francesco Cossiga si definì di sinistra!
Cosicché sorse il paradosso che ad occupare quella nicchia lasciata vuota andò un partito dalla collocazione vaga e che introdusse forzatamente al suo interno programmi di destra proprio allo scopo di raggranellare un’elettorato praticamente orfano di un partito di riferimento! Un partito del quale una gran parte degli iscritti avrebbero potuto tranquillamente essere collocati ideologicamente più a sinistra del Pci! Un partito i cui programmi originari erano completamente opposti alla collocazione che poi prese.
“La destra è censura, reazione, bigotteria. E se ho un’appartenenza culturale è più al fascismo che alla destra, che mi fa schifo [...] Il fascismo che ho conosciuto in famiglia è quello libertario, gaudente, generoso. Penso al fascismo rivoluzionario dell’inizio e della fine, quello che non conserva ma cambia, quello socialista e socialisteggiante” (Nicolò Accame)
----come cazzo unire?------
A volte il funzionamento della democrazia parlamentare raggiunge livelli ridicoli. Ad esempio, per le elezioni del 1953 il candidato monarchico Achille Lauro fece distribuire a Napoli migliaia di scarpe destre, promettendo di distribuire le sinistre solo se fosse stato eletto (“voto di scambio”). Dopotutto la dimostrazione di come il sistema elettorale fosse manipolabile lo dimostrano le elezioni italiane del 1924, quando il “listone” ottenne un incredibile 66% dei voti, rendendo evidente che fosse dovuto ad imbrogli. Così come i successivi plebisciti “99%”, psico-analizzati con sublime maestria da Ernst Jünger nelle prime pagine del suo “trattato del ribelle”.
“Laddove impera solo la legge del mercato, è inevitabile che vi possa sottostare anche l’acquisizione del consenso e del voto” (Norberto Bobbio)
Abbiamo visto come a San Marino nel 1957 bastò modificare “ad personam” il regolamento elettorale per far capovolgere il governo. Un altro esempio di manipolazione fu la cosiddetta “legge truffa” del 1953 con la quale si tentò di fare in modo che la coalizione che avesse superato il 50% dei voti ottenesse il 65% dei seggi. -----qui discorso su governabilità?------ Non per niente questo ------ è confermato dal fatto che in Italia le percentuali dei seggi assegnati a ciascun partito non corrispondono necessariamente alle percentuali uscite dal voto popolare. Basti considerare che un partito irrilevante come la Svp ha sempre avuto almeno cinque parlamentari quando non ne avevano alcuno nemmeno partiti più importanti a livello nazionale. E ciò raggiunge dimensioni la cui gravità è evidente alla luce del fatto che i pochi voti della Svp sono stati spesso determinanti nelle questioni dibattute al parlamento (solitamente su posizioni favorevoli alla Dc).
Il tutto finalizzato al mantenimento del potere, un potere politico che sappia garantire le gerarchie del potere economico e sociale.
“La stessa esistenza del Pci così come in generale serve a giustificare la mancanza di alternativa al potere politico della Dc, nel caso specifico è utile anche per mascherare da difesa delle istituzioni democratiche il sistematico saccheggio attuato dai padroni dell’Italia sotterranea” (Giorgio Galli[112])
abbiamo già accennato al sistema della corruzione e la sua derivazione sociologica a pagina -------.
----come unire??-----potere=soldi?----necessità di corruzione-------
13 febbraio 1974 scandalo petroli: finanziamento a politici per frenare centrali nucleari. Già messo su nucleare ---
La “soluzione” trovata dalla democrazia per limitare la corruzione è sempre stata il livello dei salari ed altri privilegi, secondo la logica che tanto maggiori sono, e tanto minore sarà il rischio che il favorito si arrischi a perderli per cadere in corruzione. Si pensi al fatto che la Dc dopo il primo scandalo dei petroli (evasione delle accise tollerata dai controllori dietro corruzione, 1973) come soluzione per eliminare la corruzione propose e fece attuare il finanziamento pubblico dei partiti… solo che questo non eliminava certo i “bug” (ovvero le accise stesse, nel caso preso in questione) che erano le vere cause del sistema corruttivo! Quindi il finanziamento pubblico semplicemente rappresentò solamente un ulteriore lucro per i partiti. Come abbiamo visto la corruzione non è determinata da --------, ma da------------. E si aggiungano i ---contorni---- come il disinteresse ed i vari privilegi --------. -----aggiungere qualcosa qui--------- E così siamo giunti in un paese come l’Italia ad avere la spropositata cifra di 30.000 “auto blu”, su un totale di 90.000 veicoli di proprietà pubblica, per una spesa di 88.000.000 di euro annui (977 euro ognuna) solo per manutenzione e benzina. Peggio il taccone che il buco.
“E’ da quando la politica si disprezza che le cariche elettive sono retribuite con cifre mirabolanti” (Rossana Rossanda)
Per non parlare degli Usa, dove i finanziamenti lobbistici ai partiti avvengono alla luce del sole come fosse una cosa normale… magari potrebbe esserlo se la pressione fatta non fosse per cose deleterie, come le lobby del tabacco e la NRA influente nella legislazione sulle armi. Ma dato che questi finanziamenti vanno ad entrambi i partiti, ed all’elettore americano non è data possibilità di scelta oltre essi, non esiste modo di opporsi. Negli Usa non si imbavaglia l’opposizione. Paul Wellstone ne è la conferma. Gli si fa solamente precipitare l’aereo.
“La politica ha bisogno di silenzi e zone d’ombra” (Francesco Cossiga)
Il fallimento del sistema della democrazia parlamentare risultò evidente nel caso delle elezioni cilene del 1970, quando Salvador Allende vinse seppur avendo ricevuto solo il 36% dei voti; la sua elezione a presidente fu determinata dall’emotività per l’omicidio del generale René Schneider che convinse i partiti di centro a votare per Allende al ballottaggio. Il golpe di Pinochet convinse anche il comunista Berlinguer dell’impossibilità di governare con una maggioranza relativa, motivo per cui propose alla DC un compromesso “storico”.
“Del tutto illusorio ritenere che con il 51% dei voti si potesse garantire la sopravvivenza e l’opera di un governo che fosse espressione di tale 51%” (Enrico Berlinguer)
Tuttavia quanto detto finora riguardo la regola della maggioranza non è del tutto esatto, e probabilmente lo stesso Berlinguer ne prese atto. Se ufficialmente nella democrazia è la maggioranza delle persone a decidere, nella realtà, come si può dedurre da alcuni particolari fin qui esposti, è più esatto dire che non è tanto il 51% delle “teste” a decidere, ma il 51% del PIL. Ed a detenerlo può essere il 51% dei cittadini come il 5%. Come nelle spa, non “una testa un voto” ma “una lira un voto”. In un modo o nell’altro è a tutti gli effetti così. -------paragone distribuzione pil usa e altri paesi----------- Basti pensare al Berlusconi, riuscito in quattro e quattr’otto a mettere in piedi un partito e a vincere le elezioni. Nonostante che il consenso gli derivi più dalle sue capacità dimostrate nell’amministrazione imprenditoriale, è innegabile che senza i soldi non avrebbe potuto ------------.
«Oggi il nome democrazia è rimasto alle usurocrazie, o alle “daneistocrazie”, se preferite una parola accademicamente corretta, ma forse meno comprensibile, che significa: dominio dei prestatori di denaro» (Ezra Pound)
In ogni caso nel sistema ---------- sono le “fiches” a determinare i voti “privilegiati”. La spiegazione può giungerci da un fatto particolare, ovvero la nota prassi per una banca in via di fallimento di salvare (illegalmente) non come logica vorrebbe i conti a partire da quelli più bassi, in modo da garantire i risparmi al maggior numero di clienti, ma bensì paradossalmente i conti più alti (e quindi al minor numero di clienti), ovvero quelli di chi, loro si, potrebbero certamente tranquillamente perderli con minori patemi rispetto a chi ha sudato una vita per assicurarsi una degna vecchiaia. Questo, per quanto possa apparire incongruente, segue una logica, o meglio, una filosofia, economica, ben precisa, tipica della filosofia economica nordista, che viene spiegata nel capitolo------ a pagina ---------. Mentre per tutt’altro motivo viene considerato anche dalla filosofia sudista, nella logica del denaro come potere di manovrare.
“Potrei assumere metà della classe operaia
per far fuori l’altra metà” (Jay Gould)
-1886---ripetuta--- dove lasciare?-----
Facile dimostrarlo con il caso di Roberto Rosone, il quale quando tentò di recuperare i crediti del banco Ambrosiano (soprattutto dallo Ior) per poco non ci rimise la vita.
“La repubblica democratica è il migliore involucro politico possibile per il capitalismo per questo il capitale, dopo essersi impadronito di questo involucro - che è il migliore - fonda il suo potere in modo talmente saldo, talmente sicuro, che nessun cambiamento, né di persone, né di istituzioni, né di partiti nell’ambito della repubblica democratica borghese può scuoterlo” (Lenin)
Il sistema bipartitico presidenzialista in stile americano poi, è il meno democratico tra tutti, quello che più di ogni altro mette “paletti” all’accesso al potere, e di conseguenza lo garantisce ai più furbi nel detenerlo, immancabilmente i più graditi ai vertici dell’economia liberista. Il “circo viaggiante” delle primarie è una tal palese farsa da far quasi sorridere. Ciò si ripercuote visibilmente nell’agire pressoché onnipotente dei presidenti americani ancor più che il peggior dittatore, con la giustificazione etica fornitagli dalla filosofia giuridica calvinista della “sovranità delle sfere”; e solo quando vi è un concorrente diretto alla loro altezza sostenuto da “interessi forti” ancor maggiori, allora le trame di questi fanno cadere, in un modo o nell’altro, quello in carica (casi esemplari: “watergate”, stile “nordista”, ed omicidio Kennedy, stile “sudista”). L’unico freno che gli impedisce di divenire autocrazia è il numero massimo di due mandati presidenziali sancito da una previdente costituzione.
“La differenza fra democrazia e dittatura è che in una
democrazia prima voti e poi prendi ordini, in una dittatura non devi perder
tempo a votare” (Charles Bukowski)
Questa sensazione di onnipotenza dei dirigenti ha travagliato tutta la storia degli Usa, non dovrebbe essere necessario citare i casi di Sacco e Vanzetti e dei coniugi Rosenberg per chiarirla. Per non parlare della repressione del dissenso politico, soprattutto durante la “red scare” dei primi anni ’20, il maccartismo degli anni ’50, le rivendicazioni sindacali durante gli anni ’30 spietatamente represse nel sangue, e l’assoluta libertà di intervento militare concessasi nelle “repubbliche delle banane” perlomeno fino agli anni ’40. Gli orribili massacri fratricidi della guerra di secessione non erano bastati? In tutti questi casi la prassi americana si dimostrò notevolmente peggiore di qualunque dittatura contemporanea! Eppure essa viene ancor oggi esaltata come il più fulgido esempio di libera e filantropica democrazia… ed il perché è presto spiegato: la sua azione si esplicava possibilmente accampando la scusa della provocazione (vedi Pearl Harbor), della “difesa della libertà”, e delegando i compiti più “scorretti”, alla mafia ad esempio; prassi che tentarono perfino di esportare in Italia (strage di Portella delle Ginestre, 1947), non riuscendo a comprendere il diverso concetto che i cittadini italiani hanno dei diritti umani rispetto ai cittadini americani tendenzialmente cinici ed individualisti, ottenendovi di conseguenza risultati opposti e quindi dovendola abbandonare subito.
“Gli americani hanno il supremo privilegio di non capire niente delle cose europee in genere e di quelle italiane in particolare” (Benito Mussolini, Il popolo d’Italia, 12 marzo 1921)
Un bipartitismo che indica l’assoluta mancanza di vera opposizione (ossia non di un opposizione artificiale, date le differenze per lo più pretenziose tra i due) e di alternativa al “politically correct”, nonché di interesse socio-politico negli elettori di quel paese. Il che fa degli Usa la peggiore dittatura esistente, o meglio, la maggiore antitesi alla democrazia nel vero senso della parola. Ma non si fraintenda. Dato che come abbiamo visto democrazia e libertà di parola e istituzioni di potere sono due cose ben distinte ed indipendenti l’una dall’altra. Quindi definire gli Usa come la maggior antitesi alla democrazia non vuol dire (come vorrebbero farci credere) paragonarla ad antitesi di libertà. Ben lungi! Gli Usa, antitesi della democrazia, sono certamente uno dei paesi più liberali esistenti. Per quanto pregna di ipocrisia.
“Quando i molti governano, pensano solo a contentar sé stessi, e si ha allora la tirannia più balorda e più odiosa: la tirannia mascherata da libertà” (Luigi Pirandello)
Chi considera il voto come dovere e non come diritto. ---risultato piano di rinascita democratica. ---
Tra l’altro da questa mentalità americana deriva l’incapacità estera di capire Berlusconi inserito nella politica italiana. Basti pensare al sostegno estero dato alla gazzarra sul linciaggio nel 1994 contro Berlusconi, che ha tolto il boccone di bocca in particolare a Occhetto che già se lo pregustava da tempo. Non per nulla la gazzarra era manovrata dai suoi giullari in primis Paolo Rossi e David Riondino (più il famoso “cameo” della Rossellini…). Deprecabile però che avendo a disposizione tutti quei ringhiosi acri buffoni asserviti al potere, l’unico che Berlusconi abbia preso di mira sia l’unico vero comico naturale che dei suoi monologhi su Berlusconi faceva comicità e non rancoroso attacco politico (Daniele Luttazzi). ----- squallido saxa rubra con Zuzzurro e Gaspare. -----
Tornando a l’auto incensazione e la mancanza di capacità di capire gli altri da parte degli Usa è facilmente rappresentata da una episodio di South Park, nel quale tre ragazzi americani, chiedendosi il perché gli afghani li odino, dicono loro “può darsi che un giorno anche noi impareremo ad odiare voi”. Gli autori del programma mettono in bocca agli afghani un “può darsi, col tempo”, quando l’unica possibile risposta che qualunque non americano avrebbe ritenuto normale è “e per quale motivo dovreste, voi, odiare noi?????”. Dato che sono gli americani ad essere andati in Afghanistan ad ammazzarli, e non viceversa. Comprensibile è che la vittima di un furto provi odio verso il ladro, ma incomprensibile sarebbe il contrario, ovvero che il ladro odi la sua vittima!
“Se le leggi di Norimberga fossero attuate ancora oggi, ogni presidente americano del dopoguerra sarebbe stato impiccato” (Noam Chomsky)
Chomsky si riferisce ovviamente alle leggi applicate dal tribunale di Norimberga nel 1946, non alle leggi naziste del 1938 dette “di Norimberga”.
La mentalità americana si rifletteva ampiamente anche nella concezione dei “diritti civili”, ma sempre delegando ad altri, in questo caso alle leggi dei singoli stati, con le “leggi Jim Crow”, varie leggi locali emanate tra il 1876 e il 1965, che di fatto servirono a creare e mantenere la segregazione razziale in tutti i servizi pubblici, istituendo uno status definito di “separati ma uguali” per i neri americani e per i membri di altri gruppi razziali diversi dai bianchi: un paese nel quale i negri sono rimasti legalmente segregati fino agli anni ’60 (e socialmente anche oltre) si arrogava la pretesa di giudicare moralmente delle misere leggi razziali quali quelle italiane (tra l’altro spesso inapplicate fino al 25 luglio ’43; si pensi che perfino la segretaria di Roberto Farinacci era ebrea). Dopo la guerra civile americana gli stati del Sud furono schiacciati, rasi al suolo e gli abitanti quasi sterminati. I negri, dichiarati “liberi”, furono solo liberi di restare schiavi salariati, quando non alla fame, disoccupati nel mondo incipientemente meccanizzato auspicato da Lincoln. Il quale, è notorio, non era di meno rispetto a Jefferson Davis in quanto razzismo. I confederati erano per antonomasia per uno schiavismo aperto, consapevole. Mentre gli USA antischiavisti di Lincoln, trasformarono lo schiavismo in “rapporto di lavoro”. Cambiava solo il nome, ma la sostanza era uguale. Tra lo schiavismo salariato nordista e lo schiavismo assistenziale sudista ben poco cambiava nella percezione dello schiavo. Anche Voltaire, ad esempio, ritenuto il padre della democrazia, era, come una buona parte dei pensatori illuministi segretamente razzista, antisemita e sostenitore della schiavitù americana. Certamente una differenza vi era nella “percezione” del padrone. Con lo schiavismo salariato poteva spremerli molto di più. Schiavismo: lavorare male, ma sempre si mangia, e non si è cacciati via. Liberismo: lavorare male, si è cacciati, e non si mangia. I nordisti erano diversi solo apparentemente dagli schiavisti; la volontà di abolizione dello schiavismo non aveva motivi umanitari, ma economici. Si pensi che fino al 1962 rimase l’obbligo per i negri di avere un asterisco accanto al loro nome sugli elenchi telefonici[113]. E solo oggi, dopo oltre 70 anni, si è venuto a sapere che fu anche Roosevelt, e non solo Hitler, a rifiutare di complimentarsi con Jesse Owens per la medaglia vinta alle olimpiadi di Berlino! Niente di cui stupirsi se si considera che la maggior politica eugenetica fu iniziata e praticata proprio dagli americani, a cominciare dalla selezione degli immigrati ad Ellis island ed il “planned parenthood” di Margaret Higgins Ranger. E che dire del fatto che oggi più di un cittadino adulto su 100 degli Usa vive dietro le sbarre, una percentuale di per sé elevatissima, che sale ulteriormente se si prendono in considerazione i negri: uno su 15 negli Stati Uniti si ritrova in carcere (più del 6%). Il 25% dei carcerati di tutto il mondo si trova negli Stati Uniti, mentre la popolazione totale rappresenta solamente il 5% del totale della popolazione mondiale. Questi sono quelli che hanno l’ipocrisia di fare la morale agli altri.
Ma gli Usa hanno sempre il loro solito “asso nella manica”: scusarsi ufficialmente passata una settantina d’anni. “Chi ha dato ha dato, chi ha avuto ha avuto”. E che dire dell’aperto sostegno fornito a qualunque dittatura purché funzionale agli interessi economici americani? Solo da pochi decenni da “aperto” è divenuto “tacito”.
“Gli Stati Uniti sono una nazione di leggi: scritte male e fatte osservare a caso” (Frank Zappa)
Noti sono i cavilli tipici e l’intrico del sistema giuridico anglosassone di derivazione protestante, riguardo l’interpretazione delle leggi, con il rifarsi soprattutto a sentenze precedenti (common law) per scrollarsi di dosso la responsabilità, ed il travalicare all’occorrenza ogni norma tramite i famosi “emendamenti” e le decisioni affidate alla Corte Suprema. Tipico dei tribunali americani è l’essere assolti dai reati principali, per essere condannati a pene inusitate per reati secondari. Soprattutto quando sussistono pressioni potenti verso la condanna. In molti casi l’illegalità viene conservata proprio per eventuali opportunità future. Qui in Italia ne abbiamo un esempio con tangentopoli, con lo scandalo Lockheed, e col caso Ippolito.
“Il timore dei controlli
fiscali, la burocrazia soffocante, e la pressione dello Stato costituiscono
armi potenti contro la libertà di parola” (Milton Friedman)
Non solo con l’arma del fisco. Un altro caso quello del fondatore di Wikileaks Julian Assange, nell’agosto 2010 arrestato per stupro dopo aver pubblicato sul web una serie di notizie “fastidiose”. Il sistema elettorale liberaldemocratico implica in se stesso un basilare paradosso: se la maggioranza delle persone eleggesse al governo un partito antidemocratico, la democrazia cesserebbe di esistere, perché quel partito l’abolirebbe. Tuttavia se gli altri partiti si opponessero all’elezione democratica di un dittatore il loro sistema cesserebbe comunque di essere democrazia in quanto andrebbe contro alla volontà della maggioranza; solitamente è questo secondo caso il più praticato, il “sono democratico, perciò comando io!”. Hitler fu eletto dalla maggioranza, e sicuramente la maggioranza dei tedeschi e degli italiani era favorevole alle rispettive leggi razziali, ma pare che la regola della maggioranza per qualcuno valga solamente quando gli torna comoda per i proprio interessi ideologici. ----qualche frase qui??---- Per correggere questo difetto i governanti devono stabilire preventivamente dei precisi limiti alla democrazia, noti come “costituzioni”. Ma nonostante queste vogliano essere fatte passare come “valori condivisi”, la democrazia istituzionalmente e concettualmente è chiaramente comprensibile solo ammettendo il diritto della maggioranza a decidere a scapito della minoranza. Questo mette la pietra sopra ad ogni ipotesi contraddicente il fatto che pretendere di applicare una vera democrazia utilizzando il sistema elettorale partitico è solo un ipocrita illusione. L’esempio lampante di quest’affermazione è il colpo di Stato avvenuto nella “liberissima” Repubblica di San Marino nel 1957[114].
“Un aspetto inevitabile è che all’interno di questo mondo di sfruttatori e di sfruttati non è possibile alcuna grandezza che non venga determinata dal supremo tribunale dell’economia. Secondo questo tribunale esistono due specie di uomo, due specie di arte, due specie di morale – ma occorre davvero ben poca perspicacia per riconoscere che una sola e la medesima è la fonte che le alimenta. Uno solo e il medesimo è il concetto di progresso a cui si richiamano, difendendo le proprie ragioni, gli opposti contendenti nella battaglia dell’economia. […] Ciò che occorre vedere con chiarezza è l’esistenza di una dittatura del pensiero economico in quanto tale, il cui ambito comprende ogni possibile dittatura adattandola al proprio metro […]. Il centro di questo cosmo è costituito dall’economia in sé, dall’interpretazione del mondo in senso economico, ed essa è ciò che conferisce a ciascuna delle parti del mondo la sua forza di gravità. Quale di queste parti possa impadronirsi del potere decisionale, è un problema che dipenderà sempre dall’economia, la quale fra i poteri che decidono, è il supremo” (Ernst Jünger) L’operaio --- da destra sociale, pag. 24.
Infatti anche le dittature di tipo sudamericano altro non sono se non fasi in cui a seguito del percorso nel quale le contingenze hanno superato in opportunità le capacità dei poteri forti di determinare la politica nazionale, costringendo i governanti (dietro pressione popolare, soprattutto) ad optare per decisioni deleterie alla nazione (come le nazionalizzazioni ad esempio, che è il caso di Allende, oppure al frenare una guerra ritenuta necessaria, come nel caso di Kennedy, o l’apertura al comunismo come nel caso di Aldo Moro, o politiche finanziarie draconiane come nel caso di Olof Palme), i settori più altolocati premono per modificare (dal loro punto di vista nell’interesse della nazione) l’andazzo.
“Democrazia significa governo fondato sulla discussione, ma
funziona soltanto se si riesce a far smettere la gente di discutere” (Clement Attlee)
Non si fraintenda: non vogliamo presentare ciò come un aberrazione, ma come un odierna necessità. Per rimediare ai guasti provocati dal sistema politico basato pretenziosamente sul cieco consenso universale e quindi sulla demagogia ed il terrore necessari ad ottenerlo. Ma il fatto che sia una necessità per ottenere un ricambio del potere non implica che questo ricambio sia buono. Tutto questo non vale solo per i presidenti nazionali, ma per chiunque abbia un potere dirigista, vedi ad esempio il presidente dell’ENI Enrico Mattei, che avrebbe voluto svincolarsi dalle logiche economiche mondiali del prezzo del petrolio pagando “royalties” (tangenti) più alte ai già opulenti sceicchi arabi, e quindi facendogli implicitamente capire che il valore del petrolio era più alto di quanto le “sette sorelle” gli facessero credere.
“Mattei è stato assassinato su incarico degli americani... perché con la sua politica aveva danneggiato importanti interessi in Medio Oriente” (Dichiarazione del pentito di mafia Gaetano Ianni)
Un esempio in piccolo di questo è quando un organizzazione di spacciatori di droga vuole svincolarsi dal suo grossista locale andando ad acquistare direttamente al livello superiore nel mercato mondiale[115]. Che il grossista lo voglia impedire è naturale. Il ferreo vincolo energetico a cui è legata l’Italia può essere immaginariamente considerato al pari di una tassa che essa deve pagare agli Stati Uniti. O più concretamente, gli interessi da pagare sui prestiti del “piano Marshall”… e chi è insolvente nei pagamenti di solito viene punito, in un modo o nell’altro.
Interessante è però notare come a favorire gli interessi americani ci si è messa pure la natura (disastro del Vajont); sempre che non lo si voglia imputare al “centro-sinistra” che ne creò le premesse affrettando il collaudo della diga.
Una frase del manuale CIA “Operazioni psicologiche nella guerra di guerriglia” recita: “Se possibile devono essere assunti criminali professionisti per adempiere specifici lavori”[116].
“Dopo l’insediamento alla Casa Bianca, George Bush riceve la visita di alcuni generali; essi fanno proiettare un filmato che mostra l’omicidio di John Kennedy ripreso da un angolazione inedita; dopo aver finito di visionare il filmato, Bush chiede: quando avete detto che devo far bombardare l’Iraq?” (barzelletta popolare)
Solitamente i nuovi governanti dopo essere stati eletti ricevono la visita di un cosiddetto “killer dell’economia” con “800 milioni in una tasca ed una pistola nell’altra”[117], e raramente essi optano per la “pistola”… quest’ultimo è stato il caso di Salvador Allende, Omar Torrijos[118], Jaime Roldós[119], Josè Antonio Remon, Patrice Lumumba, Saddam Hussein[120]… ma non si fraintenda, non è mai una scelta libera: è determinata dall’essere messi tra “l’incudine e il martello” di una rivalità tra poteri in divergenza di interessi reciproci. Anche nel caso uno di questi poteri sia un’opinione pubblica fortemente influente elettoralmente. Un particolare dubbio sorge spontaneo: e Fidel Castro? Dato che è ancora vivo dopo 50 anni, significa che ha scelto i milioni. A buon intenditor… Gli Stati Uniti riconobbero ufficialmente il suo governo dopo soli due giorni di esistenza, mostrando una celerità insolita; sebbene solo in seguito Castro si dichiarò comunista. Quale modo migliore per far percepire al popolo americano il comunismo come pericolo reale e vicino? “Can che abbaia non morde”, per quanto riguarda i farseschi ultrapropagandati volutamente dalla stessa CIA tentativi di assassinarlo, e la conferma ci arriva dall’attività di Lee Harvey Oswald, che trafficava coi gruppi di esuli anti-castristi e contemporaneamente distribuiva per strada volantini pro-castristi. Oswald, il Valpreda/Bertoli americano ideale…
Una battuta sudamericana dice che ai loro presidenti conviene viaggiare in treno anziché in aereo…
« I sicari dell’economia sono professionisti ben retribuiti che sottraggono migliaia di miliardi di dollari a diversi paesi in tutto il mondo. Riversano il denaro della Banca Mondiale, dell’Agenzia Statunitense per lo Sviluppo Internazionale (USAID) e di altre organizzazioni “umanitarie” nelle casse di grandi multinazionali e nelle tasche di un pugno di ricche famiglie che detengono il controllo delle risorse naturali del pianeta. I loro metodi comprendono il falso in bilancio, elezioni truccate, tangenti, estorsioni, sesso e omicidio. Il loro è un gioco vecchio quanto il potere, ma che in quest’epoca di globalizzazione ha assunto nuove e terrificanti dimensioni »[121]
Certo potrebbe sembrare una malvagità che qualcuno intervenga con la prepotenza negli affari interni di uno Stato indipendente, ma si consideri il caso di Panama: lo slogan del presidente Torrijos era “il canale ai panamensi”. Dato che è innegabile che se fosse stato per i panamensi quel canale nemmeno esisterebbe, come possono solamente in virtù della loro fortunata posizione strategica pretendere di monopolizzarlo a se? In caso di possesso panamense sarebbero passati immeritatamente ad essi non solo gli enormi guadagni sui passaggi, ma anche la possibilità di decidere chi può e chi non può passarvi. Lo stesso discorso vale per il petrolio iracheno, per l’oppio afgano e laotiano, per il rame cileno, per lo stagno boliviano, per le banane guatemalteche… ma per la comprensione delle logiche dell’economia globale vi rimandiamo al capitolo --------.
“Si tratta di vedere se questa attività illecita sia anche immorale” (William Colby[122])
Forza e carisma di un governo infondendo fiducia garantiscono il rispetto degli investimenti e del valore della moneta. Fino alla prima metà del XX secolo per risolvere queste questioni vigeva la “politica delle cannoniere”: se il sultano di Zanzibar si rifiutava di saldare un debito, gli si mandava una cannoniera a bombardare la città; successivamente i mezzi subdoli appena indicati; effettivamente non si sa cosa scegliere.
“Chi ha ferro ha pane” (Auguste Blanqui)
Se la potenza militare di difesa è più che giustificabile, quella di aggressione è necessaria ad una nazione principalmente per garantire gli interessi (proprietà ed investimenti) dei poteri economici all’estero da atti politici arbitrari. L’esempio più classico è l’intervento anglo-francese in Egitto nel 1956, quando Nasser decise di nazionalizzare il canale di Suez. Gli interventi militari americani nelle “repubbliche delle banane” fino ai primi anni ’40 erano talmente spontanei ed ampi che non vale neppure la pena di citarne uno a caso. L’ultimo in grande stile può essere considerato quello del 1954 in Guatemala dove il governo Arbenz che aveva iniziato a nazionalizzare le proprietà statunitensi fu rovesciato da una dittatura militare con un notevole dispiegamento di forze Usa. Dopo di questo gli Usa dovettero andarci coi piedi di piombo a causa della sempre maggiore influenza della stampa internazionale, che rendeva difficile tenere gli episodi nascosti.
“E’ la spada del sovrano a garantire il mercato[123]”
Senza tale sicurezza in molti casi gli investimenti all’estero sarebbero evitati, a discapito di entrambe le parti. A volte ci si chiede come facciano gli staterelli tipo S. Marino, Andorra, Liechtenstein, Monaco, a sopravvivere tra vicini potenti. Il motivo è lo stesso, in quanto in quegli staterelli sono presenti enormi interessi dei poteri economici internazionali, i quali sono interessati a garantirne implicitamente la difesa. L’esempio è la coalizione che si mosse in difesa del Kuwait nel 1990.
“C’est l’argent qu’il fait la guerre”
Non abbiamo compreso nell’elenco degli staterelli la Svizzera in quanto è sempre stata una delle maggiori potenze militari del mondo (difatti neutrale non significa “pacifica” come molti interpretano, ma significa solamente che non è legata ad alleanze con altri paesi), una popolazione erede dei feroci “lanzichenecchi” e con un territorio cosparso di bunker segreti protetti dai più moderni e sofisticati armamenti.
“Si vis pacem para bellum”
In definitiva ai
fini del nostro discorso, se ne deduce che quando una certa categoria di
potenti percepisce il bisogno di prendere il potere, lo fa, e questo implica
che nella democrazia liberale la libertà non è automatica, ma è “concessa” temporaneamente
da queste categorie, fino a che ciò appaga i loro interessi. Ed il fatto stesso
che normalmente esse tendano a concederla (e la limitino solo quando
impellentemente necessario), significa che ne hanno un interesse a farlo. Questo perché il sistema democratico è
estremamente più funzionale per le elite di potere rispetto alle dittature, e
questo spiega anche il motivo per cui i potenti hanno deciso di puntare su
questi “sistemi democratici”. Le dittature rischiano di essere travolte da
rivolte popolari, mentre le democrazie hanno brillantemente scongiurato questa
eventualità, essendo il popolo convinto di aver deciso da sé per la propria
sorte.
“Si può perfettamente concepire un mondo
dominato da una dittatura invisibile nel quale tuttavia siano state mantenute
le forme esteriori del governo democratico” (Kenneth Bouldin)
Questo dovrebbe essere rivelatore sulla “giustezza” della democrazia liberale. Un particolare pratico ci dà la conferma che sono le stesse democrazie liberali odierne ad autorivelarsi come “specchi per le allodole”: in Italia è data ai cittadini libertà di esprimersi su qualunque questione, eccetto su quelle economiche e quelle di politica estera. Sono difatti espressamente proibiti referendum concernenti questi due argomenti. Non è difficile capirne il perché: per le questioni economiche è assodata l’ignoranza del popolo, il quale in un referendum propenderebbe per decisioni regolarmente aberranti, e gli stessi governanti odierni e passati ne sono consapevoli se ne hanno espressamente proibito al popolo la voce in capitolo; per la politica estera, le alleanze italiane odierne non sono volontà nazionali ma sono imposte dai vincitori che ci hanno sconfitti nel 1943, e quindi sono conseguentemente insindacabili dallo Stato italiano e dal suo popolo. L’odierno sistema “democratico” concede la libertà, solo finché chi detiene il potere ne trova giovamento.
“Al popolo non resta che un monosillabo per affermare e obbedire. La sovranità gli viene lasciata solo quando è innocua o è reputata tale, cioè nei momenti di ordinaria amministrazione. Vi immaginate voi una guerra proclamata per referendum? Il referendum va benissimo quando si tratta di scegliere il luogo più acconcio per collocare la fontana del villaggio, ma quando gli interessi supremi di un popolo sono in gioco, anche i Governi ultrademocratici si guardano bene dal rimetterli al giudizio del popolo stesso” (Benito Mussolini, Preludio al Machiavelli, in Gerarchia, aprile 1924)
Una libertà “condizionata” insomma. Basti citare un esempio: abbiamo già visto che gli stati dove la massoneria è maggiormente influente sono quelli le cui nazionalità sono tenute assieme da interessi economici, come Belgio e Svizzera. Per una “strana” coincidenza corrispondono pure agli stati dove, tra tutti gli stati definentisi democratici, attualmente vige l’unico reato di opinione (e severamente punito!), quello riguardante l’espressione delle perplessità riguardo il supposto evento[124] sul quale è fondata l’intera società dal 1945 in poi, il quale ha dato ampia giustificazione ad alcune delle più immani tragedie del dopoguerra. Questa tirannica censura del dissenso è oggi universalmente approvata come buona dalla maggioranza delle persone.
“La ragione è la follia del più forte. La ragione del meno forte è follia” (Eugene Ionesco)
Un siffatto tipo di democrazia è quindi un “impossibilità razionale”. Pura utopia sarebbe stato pretendere che se il PCI avesse vinto le elezioni i carri armati sarebbero rimasti fermi nelle rimesse… e la conferma ce la dà un episodio specifico, il “golpe Borghese”, che come è noto fece scattare proprio il piano nazionale teso alla repressione di tali situazioni, sotto qualunque forma e da qualunque parte venissero, noto come “operazione triangolo”. Che poi in quel caso specifico il golpe fittizio sia stato ideato proprio come scusa per far scattare il piano, e non viceversa, è ampiamente documentato e confermato dallo svolgersi di un contorto meccanismo simile in Spagna il 23 febbraio 1981 che ebbe l’effetto di rinsaldare le fila attorno all’istituto monarchico dopo anni di instabilità. Un tipico “derivative putsch”.
Il fatto stesso che esistano piani simili e liste di enucleandi rivela ampiamente il senso del concetto odierno di democrazia. Si incita a dire e fare quel che si vuole, ma con la riserva di poter usare tutto quanto nel momento in cui possa risultare utile agli scopi dei potenti.
“Non conosco un paese dove regni meno l’indipendenza di spirito e meno autentica libertà di discussione che in America… Il padrone non vi dice più: “pensate come me o morrete”; ma dice: “siete libero di non pensare come me; la vostra vita, i vostri beni, tutto vi resterà, ma da questo istante siete uno straniero fra noi” (Alexis Clérel de Tocqueville, “La democrazia in America”)
I distributisti, in virtù di quanto espresso, hanno la consapevolezza di dover temere perpetuamente il momento in cui i potenti decideranno di abolire la libertà. Tale momento non verrà certo evitato vivendo con gli occhi chiusi e le orecchie tappate.
“Chi porta il paraocchi, si ricordi che del completo fanno parte il morso e la sferza” (Stanislaw Jerzy Lec)
L’unico modo per evitarlo sta nell’applicare finalmente un sistema di governo veramente democratico nel vero senso del termine, dall’elite del popolo e per tutto il popolo, e che proprio in quanto tale sia insovvertibile proprio per l’assenza di poteri potenzialmente sovversivi. Un governo consapevole la cui base sia lo scegliere la soluzione migliore, e non quella che più conviene ai burattinai dell’eletto di turno. Cosa che finora non è praticamente mai esistita. Anche il governo di Mussolini rimase per tutta la sua durata appeso ad un filo tenuto dai poteri particolari, che difatti lo fecero facilmente cadere appena se ne presentò la necessità e l’occasione.
“Non
ci teniamo troppo ad avere un programma, nel senso che i partiti tradizionali
danno a questa parola, ma possiamo vantarci di avere una nostra soluzione per
ognuno dei molti problemi che bisogna finalmente risolvere”
(Benito Mussolini su Il popolo d’Italia, 26 novembre 1921)
Si possono fare dei paralleli con l’Iran del 1979 ed il Vietnam del sud del 1963, quando in entrambi i casi in precedenza era stata decisamente imboccata la strada che portava al “sistema della scelta migliore possibile”, e regolarmente venne stroncata. In Iran la rivoluzione di Khomeini pose fine alla corporativista “rivoluzione bianca”, mentre in Vietnam il colpo di Stato del buddista Van Thieu organizzato dalla Cia pose fine all’esperienza personalista di Ngo Dinh Diem fin prima favorita dal suo amico (cattolico come lui) John Kennedy.
“Il Fascismo é una grande mobilitazione di forze materiali e morali. Che cosa si propone? Lo diciamo senza false modestie: governare la Nazione. Con quale programma? Col programma necessario ad assicurare la grandezza morale e materiale del popolo italiano. Parliamo schietto: non importa se il nostro programma concreto, non é antitetico ed é piuttosto convergente con quello dei socialisti, per tutto ciò che riguarda la riorganizzazione tecnica, amministrativa e politica del nostro Paese. Noi agitiamo dei valori morali e tradizionali che il socialismo trascura o disprezza, ma soprattutto lo spirito fascista rifugge da tutto ciò che é ipoteca arbitraria sul misterioso futuro” (Benito Mussolini, Diario della volontà, 23 marzo 1921)
Si presume che un governo debba fare sempre l’interesse della propria nazione tramite le scelte migliori possibili. Non esistono diversi modi ciascuno buono a modo suo di governare bene. Ne esiste uno solo, che non è fascista, comunista, reazionario, social-democratico, o qual si voglia, ma è, semplicemente, il migliore, cioè quello che sceglie in ogni caso, tra varie opzioni, la più giusta. Inteso come più giusta per tutti, proprio perché i sistemi diversi sono implementati da e in favore degli interessi di ciascuna di ben determinate categorie. L’applicazione della soluzione migliore nella democrazia liberale non è sempre possibile, perché quello che favorisce la collettività nella sua totalità sovente va contro ad interessi di una minoranza. Tutti i politici sanno che un’opzione scelta la quale vada a favore della collettività aumenta di una misura irrilevante i propri voti, in quanto il corpo elettorale universale è tendenzialmente inamovibile; mentre una che colpisca direttamente un singolo è determinante nel modificare il suo voto.
“I politici si convincono intimamente di quel che gli conviene” (Francesco Cossiga)
Quindi un partito politico che si proponga di realizzare soluzioni favorevoli alla nazione nel suo complesso ma che colpiscano una determinata categoria, inevitabilmente perderà più voti di quanti ne potrebbe guadagnare; tanti più a seconda di quanto la categoria in questione risulti essere detentrice delle capacità di influenzare le intenzioni di voto della massa tramite la propaganda od il terrorismo. Si ricordi la regola: governa il 51% del Pil. Un partito politico opterà per la scelta migliore solo quando le categorie che vi vengono danneggiate siano poco influenti elettoralmente; mentre all’opposto tanto più esse saranno influenti, tanto più il governo sarà disposto a scadere nella qualità delle scelte, arrivando a decisioni aberranti quali l’imposizione di dazi o la dichiarazione di una guerra. O più in piccolo, nell’avvallare l’intralcio alla costruzione di un acquedotto. Le decisioni, in ogni caso, sono prese solamente sulla base del mantenimento del potere, e non di quale sia la più obiettivamente efficiente. Ed il mantenimento del potere nella democrazia liberale è basato sui voti. Sono in particolare i legami e vincoli collusivi massonici a rappresentare un vero veleno sia per la politica come per la libera concorrenza del mercato.
“L’uomo
superiore comprende ciò che è giusto, l’uomo inferiore ciò che vende”
(Confucio)
Esempi di scelte inesplicabili se ne potrebbero fare a bizzeffe! ----qualcuno???---
Questo non vale solo per le democrazie liberali (che si basano sul sostegno elettorale), ma anche nel caso di dittature (che si basano sul sostegno implicito della parte di opinione pubblica più influente). Quindi il sistema dittatoriale non è un effettiva alternativa a quello democratico, ma solo un suo diverso aspetto. Questo dovrebbe chiarire bene (anche agli stessi fascisti odierni), il senso che Mussolini dava alla sua dittatura, non come fine a sé stessa, ma contingente delle necessità di ristrutturazione preventiva del sistema sociale italiano per prepararlo alla “terza ondata” dalla quale sarebbero emersi alla luce i suoi veri progetti politici, alternativi alla democrazia liberale ma non certo scadenti nel totalitarismo come soluzione perpetua.
“Il fascismo è un metodo, non un fine; una autocrazia sulla via della democrazia” (Benito Mussolini, 12 novembre 1926)
Prima della nascita del fascismo era cioè vacante un “metodo” che avesse come obiettivo semplicemente le cose migliori per tutti, e non per una “classe” o un gruppo, che portasse pace tra le “classi”, pace minata dai fomenti marxisti, anch’essi per interesse egoisticamente personale. Il significato letterale di nazionalsocialismo è proprio questo, fare di una nazione una sola classe con uguali interessi e obiettivi. Non cioè il nazionalismo dei borghesi per i quali patriottismo ha lo scopo di imporre dazi per proprio interesse, e dei lavoratori per i quali serve per mantenere alto il costo del lavoro impedendo la concorrenza di lavoratori stranieri. Non è quel becerume jingoista di Alleanza Nazionale e Lega Nord.
-------- Futurismo qui????? -----------
L’orgoglio italiano non deve essere, non è imperialismo che spera imporre industrie, accaparrare commerci, inondare di prodotti agricoli. Noi difettiamo di materie prime, e siamo una potenza di ricchezza agricola mediocre. Il nostro orgoglio italiano è basato sulla superiorità nostra come quantità enorme di individui geniali. Vogliamo dunque creare una vera democrazia cosciente e audace che sia la valutazione e l’esaltazione del numero poiché avrà il maggior numero di individui geniali. L’Italia rappresenta nel mondo una specie di minoranza genialissima tutta costituita di individui superiori alla media umana per forza creatrice innovatrice improvvisatrice. Questa democrazia entrerà naturalmente in competizione con la maggioranza formata dalle altre nazioni, per le quali il numero significa invece massa più o meno cieca, cioè democrazia incosciente. (Filippo Tommaso Marinetti)
“A questo nazionalismo da fornitori pubblici e da cantieri militari
si contrappone il nazionalismo della cultura, patrocinato dai sindacalisti, che
crea la nazione nel lavoratore e lo interessa alla conservazione del bene che
ha in comune con la patria” (Arturo Labriola[125])
Arturo Labriola definisce la democrazia «come sentimento dei diritti concreti della massa sullo Stato e sulla Economia».
Noi futuristi consideriamo la democrazia non in astratto ma bensì la «democrazia italiana». Parlare di democrazia in astratto è fare della retorica. Vi sono numerose democrazie; ogni razza ha la sua democrazia, come ogni razza ha il suo femminismo. Noi intendiamo la democrazia italiana come massa d’individui geniali, divenuta perciò facilmente cosciente del suo diritto e naturalmente plasmatrice del suo divenire statale. La sua forza è fatta di questo diritto acquisito, moltiplicata dalla sua quantità valore, meno il peso delle cellule morte (tradizione), meno il peso delle cellule malate (incoscienti, analfabeti). La democrazia italiana è per noi un corpo umano che bisogna liberare, scatenare, alleggerire, per accelerarne la velocità e centuplicarne il rendimento. La democrazia italiana si trova oggi nell’ambiente più favorevole al suo sviluppo. Ambiente di rivoluzione-guerra nel quale è costretta a risolvere i suoi casi-problemi, fra le mille punte di altri problemi insoluti, le cui soluzioni possono esercitare un’influenza sul suo avvenire. Necessità igienica di continua ginnastica trasformatrice, improvvisatrice. Il governo si allarma oggi nel vedere formarsi innumerevoli associazioni di combattenti. Se non fosse un governo di miopi reazionari tremanti di paura accoglierebbe favorevolmente questo nuovo ritorno di vitalità italiana. La democrazia futurista è ormai pronta ad agire, poiché sente vibrare tutte le sue cellule vive. Naturalmente ha un bisogno urgente di spalancare le porte e di uscire all’aperto. Il governo si allarma, reprime e trema, come la nonna leggendaria teme che il nipotino pigli un raffreddore. (Filippo Tommaso Marinetti)
Il fascismo cioè non è un fine, ma un mezzo tramite il quale seguire una determinata evoluzione (quella appena esposta) della società. Comprensibile è chi depreca il fascismo per quello che è stato nei fatti, ma lo si può giustificare come prematuro per i tempi. E’ stato troppo moderno, è stato un fascismo soprattutto condizionato dal compromesso dal quale era nato, e sottostante ai veri governanti dell’Italia, ora come oggi (l’anonima economia). Ma lo scopo primario di tale fascismo era il creare un popolo consapevole e “vivo”, che sarebbe stato pronto al momento di prendere a quel punto si le redini dello Stato egualitario fascista. Questo proposito ben noto ai massoni, il fascistizzare l’Italia, fu da loro tenuto sotto controllo fino a quando decisero che era il momento di scaricarli dopo averne mangiato sopra e prima che diventassero troppo pericolosi.
“Questa guerra s’ha da fare e s’ha da perdere[126]”
I loro amici massoni inglesi erano pronti. Le promesse da marinaio fecero cadere Mussolini nell’astuta trappola. Anche Hitler ebbe sicuramente la promessa che non sarebbero intervenuti. Dopotutto ne abbiamo altri esempi a conferma: l’invasione del Kuwait ad opera di Saddam Hussein, e quella delle Falkland ad opera dell’Argentina. Francamente risulta veramente poco credibile che abbiano preso tali iniziative immaginando di doversi poi confrontare con chi si sono poi trovati davanti. Molto più realistico è che si siano mossi credendo di avere le spalle coperte, perché qualcuno glielo aveva perlomeno lasciato intendere. Ed è facile immaginare chi fosse…nel caso delle Falkland un certo Monroe vissuto 160 anni prima.
“Non siate ingordi di avventure se non sapete affrontare le sventure” (Aforisma cinese)
---come unire???----
Nella ricerca storica --------- -----Non sono gli accadimenti la base, ma il contesto nel quale gravitano a guidare il ragionamento. Anzi, proprio l’accadimento stesso spesso porta fuori strada, come uno specchio per allodole.
”Poca osservazione e molto ragionamento conducono all’errore. Molta osservazione e poco ragionamento conducono alla verità” (Alexis Carrel) ---cazzata???----cancellare??-----
A tal proposito il materiale è enorme e non è possibile riassumerlo qui. Oltre al testo base di Renzo De Felice “Mussolini l’alleato - L’Italia in guerra. 1940 – 1943”, Einaudi, 1990, ci sono tre testi, importantissimi che, a saperli leggere, mostrano molto bene lo strano comportamento militare italiano nel primo mese di guerra e il segreto del carteggio. Questi testi sono: Dino Campini, “Strano gioco di Mussolini”, Editoriale PG, Milano, 1952; Franco Bandini, “Tecnica della sconfitta”, Sugar, 1963 e Longanesi 1969; e Pietro Sella “L’occidente contro l’Europa”, Edizioni Uomo Libero, 1985.
Questi illustrano una situazione che rende definitivamente luce sul subdolo lavorio operato dai nemici del fascismo per portarne all’eliminazione.
Alternativamente non si vede come e perché il fascismo avrebbe potuto cadere. Nessuno spunto si vede nella politica interna italiana che -----------. Certo si dice il fascismo dittatura, ecc. Ma ----------. Gli italiani si consideravano sottostanti ad una dittatura? Difficile trovare una persona normale che lo confermi. Il fascismo si accontenta del consenso tacito, in pratica dice: “vi andiamo bene?”. E finché nessuno dice “no, non ci andate più bene” continua a sussistere. Non c’è nessuna differenza con nessun tipo di governo di qualunque definizione -----democratica-----. Come già detto, ogni sistema è finalizzato alla creazione di un potere amministrativo.
“Nel più liberale degli stati come nella più oppressiva delle tirannidi, il consenso c’è sempre, e sempre è forzato, condizionato, mutevole” (Benedetto Croce) ---- pensiero destra pag. 36.
Di quest------------ ne abbiamo il chiaro esempio dal 25 luglio 1943. Il fascismo nella forma del gran consiglio, influenzato dal clima popolare, si è accorto di non essere più benvoluto e certamente a causa di suoi errori, e si è “terminato” da sé. Senza smorfie solenni, senza proteste, senza colpo ferire.
“Di colpo, gli italiani, dal primo all’ultimo, erano diventati democratici e antifascisti[127]”
Anche se è giusto far notare che la caduta di popolarità del fascismo fu dovuta al fatto che il popolo non sapeva come erano andate le cose e non capiva cosa stava veramente succedendo. E a nessuno era possibile rivelarlo. Nei prossimi capitoli cercheremo di capirlo e dirlo noi.
Il fascismo riassunto in poche parole uno stile
di vita e modo di vedere fattosi movimento popolare quando la stupidità e
avidità umana aveva creato un sistema basato sull’egoismo e sulla fazione.
L’aspirazione del fascismo era creare uno stato unito, senza divisioni sociali
e di conseguenza politiche. Un sistema che permettesse di fare la scelta giusta
per tutti tra le possibili, al di fuori delle convenienze personali.
“Alcuni fra i
maggiori capitalisti hanno cooperato all’organizzazione della disfatta, ecco
perché il partito deve essere soprattutto un partito dei lavoratori, un partito
proletario, animatore di un nuovo ciclo sociale senza più remore plutocratiche”
(Dall’atto costituivo del sindacato C.G.L.T.A.[128])
Ed è proprio alla ricerca di questa alternativa che cercò di sviluppare un corporativismo moderno, che non a caso successivamente è stato spesso preso in considerazione proprio da quei paesi a cavallo tra democrazia e dittatura alla ricerca di un alternativa alla scelta tra una di esse od al compromesso. E’ il caso dell’Argentina peronista, dell’Egitto nasseriano, del Pakistan di Bhutto, dell’Iran della “rivoluzione bianca”. Tutti questi trassero spunto dal corporativismo codificato modernamente dall’Italia fascista e poi parzialmente applicato in Spagna e Portogallo. Non mancarono anche qui gli stessi dissidi che caratterizzarono la compilazione italiana, fortemente edulcorata per non colpire interessi particolari che gli avrebbero tolto il favore dei gruppi influenti sull’opinione pubblica (non sull’elettorato in quanto in quel momento in Italia non vigeva sistema partitico). A causa di questa vaghezza ognuno aveva la sua concezione personale di corporativismo, spesso totalmente opposte nel significato; esemplare è il caso del partito francese Action Francaise, inizialmente finanziato da un industriale il quale dava al corporativismo il significato di anarchia economica, mentre i militanti lo interpretavano come distribuzione della proprietà: due concezioni completamente divergenti l’una dall’altra!
“Il secolo attuale vedrà una nuova economia. Come il secolo scorso ha visto l’economia capitalistica, il secolo attuale vedrà l’economia corporativa. Non vi è altro mezzo per superare la tragica antitesi di capitale e lavoro, che è un caposaldo della dottrina marxista che noi abbiamo superato. Bisogna mettere sullo stesso piano capitale e lavoro, bisogna dare all’uno e all’altro uguali diritti e uguali doveri” (Benito Mussolini, ai sindacati fascisti, 6 maggio 1928)
L’evoluzione più interessante fu quella avvenuta nella Spagna franchista e nel Portogallo salazarista dopo il 1945, quando messi alle strette dalla vittoria mondiale della liberaldemocrazia dovettero forzatamente apporre modifiche che soddisfacessero il resto del mondo. Per cui sperimentarono la “democrazia organica”, governo di tecnici (rappresentanti corporativi) basata su elezioni piramidali a partire dalla base. Non fu certo un invenzione originale, il primo a teorizzare la “democrazia organica” fu Platone ne “la Repubblica”, anche se non chiamandola così. Ma in un sistema dove vigeva l’economia liberista questo comportò che la democrazia organica sfociasse nel “caciquismo”[129], data l’inevitabile sensibilità alla presenza degli influenti poteri particolari caratteristici del liberismo. Voler far coesistere efficacemente corporativismo e lavoro dipendente salariato si è dimostrata pura utopia.
«Se il corporativismo vorrà essere una cosa seria dovrà proporsi, come termine, la proprietà corporativa. Comunque per me, il corporativismo non è che un modo per arrivare al socialismo» (Camillo Pellizzi[130])
La democrazia organica è una delle tante creazioni innovative - veramente innovative - introdotte dal fascismo che non furono mai messe in pratica a causa dello scoppio della guerra. Mentre ancora oggi ci sono gruppetti di comunisti ignoranti che professano modelli sociali, politici e culturali tratti da un’opera di metà ’800, il fascismo aveva elaborato un modello di Stato reale (e non utopico), che se applicato avrebbe superato i limiti propri del socialismo e del capitalismo in campo economico, nonché del totalitarismo e della democrazia in campo politico.
“Il fascismo è l’uguaglianza verace e profonda di tutti gli individui di fronte al lavoro e alla nazione” (Benito Mussolini) --- o su concetto dello Stato del lavoratore? o Su Di conseguenza, mentre il comunismo???
Ma resta un tema di nicchia, la gente è convinta che fascismo voglia dire dittatura. Difatti non da tutti Spagna e Portogallo vengono identificati come regimi fascisti. Tuttavia anche per essi è valso lo stesso impedimento che è valso per l’Italia, quindi è possibile darne una giustificazione considerando che comunque si spinsero il più possibile verso un sistema fascista, come con la democrazia organica. In particolare è immaginabile il compromesso a cui Salazar dovette sottostare data la “condanna a morte” massonica che pendeva sul suo capo. Il retaggio del fascismo in Spagna non si fermò alla democrazia organica: nel 1956 ad opera di un prete basco venne creata una sorta di consorzio come contenitore di una miriade di cooperative da impiantare nel sistema economico. Tale consorzio prese il nome di “cooperativa Mondragon” (sebbene fosse appunto non una, ma un insieme di cooperative), dal nome della capostipite di queste cooperative, sorta dall’acquisizione di un’azienda in fallimento da parte dei dipendenti riuniti in società. Lo statuto di molte (ma non di tutte) le cooperative facenti parte di Mondragon vieta di assumere lavoratori a salario, ovvero che non siano equiparati a soci. Oggi però i dipendenti non soci sono arrivati ad essere il 10% del totale. I campi di attività di queste cooperative spaziavano un po’ in tutti gli ambiti economici. In particolare, una di esse era attiva nell’ambito creditizio, la “Caja laboral popular”, banca di riferimento dell’intero consorzio, che provvedeva a finanziare la fondazione di nuove cooperative, con il vincolo di fungere poi da loro banca di riferimento. Nemmeno con la caduta del franchismo tale ----sistema----- venne sciolta. Nel 1982 i soci di queste cooperative ammontavano a 18.000. Anzi, andando in controtendenza con la crisi che l’economia spagnola corse ----- dopo la caduta di Franco, nel 1986 il numero dei soci giunse a 19.500. ---lavoro e organizzazioni, pag. 184------ Mondragon è il chiaro esempio d ---- socializzazione --- soprattutto per quanto riguarda ---alienazione del lavoro---- ecc----- si pensi che le maggiori critiche che vengono rivolte dai settori liberisti al sistema Mondragon riguardano il fatto che le decisioni imprenditoriali più rilevanti vengano comunque prese da una dirigenza gerarchica, come in una qualunque azienda monoproprietaria. E sia chiaro, loro che di questo ne sono i campioni, lo definiscono come un difetto! Come se lo fosse, poi, un difetto, come se fosse una cosa negativa… mentre delle aziende liberiste è l’unica cosa considerabile positiva! Un’altra critica paradossale riguarda i primi anni ’60, quando alcune donne furono estromesse da una cooperativa perché rimaste incinte. Si consideri che in quegli anni in tutto il mondo e per ogni azienda privata questo era un comportamento regolare; ma nel caso delle cooperative evidentemente appariva come scandaloso -------… alla faccia de ----ipocrisia------! Per sputare sul distributismo tutto fa brodo.
Certamente
l’esperienza di Mondragon è la più -----vicina----- da cui prendere esempio dal
punto di vista economico, ma per quanto riguarda poi l ------- politica
nazionale ------ l’applicazione più ampia del sistema “scelta migliore” la si è
vista in Francia ad opera di De Gaulle. Evidentemente il tanto vituperato
regime di Petain e Laval non era stato vano, qualcosa aveva lasciato in eredità
ai suoi nemici. Il 14 aprile 1947 il
generale De Gaulle fonda il movimento “Rassemblement du peuple français” (RPF),
nelle intenzioni non un nuovo partito politico di destra, centro o sinistra, ma
un’unione di tutta la nazione francese al di sopra e al di là della politica
dei partiti, che guidi la resistenza di massa contro l’apatia in cui ritiene
sprofondato il paese. La funzione anti-americana ed anti-sovietica è evidente,
nel clima di quel periodo. Sintomatica di questo nuovo corso in entrambi i
paesi, Francia e Spagna, fu la riapertura reciproca della frontiera il 10
febbraio 1948, anche a testimonianza del rapido mutamento dell’attitudine dei
paesi occidentali rispetto al regime franchista. La “luna di miele
rooseveltiana” tra le potenze alleate occidentali e il comunismo sovietico ha
lasciato il passo alla “guerra fredda”, con la ricerca, da parte degli
occidentali, di nuovi alleati. La Spagna beneficia, in questo mutato equilibrio
di forze, della propria importanza strategica. Così, mentre da questo
“equilibrio” la Francia cerca di svincolarsene, l’incontro a metà strada è
inevitabile.
Analisi di fascismo di tipo portoghese e spagnolo?
I regimi spagnolo e portoghese furono abbastanza simili. Per Salazar e Franco la politica è una questione puramente amministrativa e deve essere finalizzata fino a dove possibile a fare sempre la scelta migliore. Questa è la più azzeccata definizione che si può dare del fascismo spagnolo e portoghese, e che in un certo senso li accomuna al Giappone. In economia, Salazar, come Franco, evita gli scogli del socialismo e del liberismo, fondandosi sulla dottrina sociale della Chiesa.
“Sono le idee che governano e dirigono i popoli, e sono i veri e i grandi uomini che hanno le vere e le grandi idee” (Antonio de Oliveira Salazar)
“La trasformazione in meglio della Repubblica portoghese sarà interna, col divieto dei partiti e l’organizzazione corporativa, […] superando l’individualismo partitico del parlamentarismo democratico con l’ordine corporativo”. Come si vede, la “democrazia” secondo Salazar è quella classica di Aristotele e San Tommaso e non quella moderna di Jean Jacques Rousseau. La “politica” è la prudenza sociale e non la “partitica”, che porta la divisione nella società invece di unirla in vista del bene comune. E con questo comprendiamo quanto fin qui detto sulle diverse concezioni di democrazia. --------collegare con questa descrizione differenza poco più su??----
“La forma di governo è secondaria. Quello che conta sono gli uomini” (Antonio de Oliveira Salazar)
Oggi, purtroppo, si tende a confondere “politica” con “partitica” o democrazia parlamentare: nulla di più falso. L’uomo, naturalmente è animale sociale; nulla di più “innaturale astratto e finto dell’uomo isolato” o dell’individualismo liberale, come pure del collettivismo o pan-statismo totalitario. La concezione politica di Salazar è la filosofia sociale; della Chiesa, dei Padri ecclesiastici e degli Scolastici, specialmente di San Tommaso d’Aquino. La sua prassi politica e governativa deriva e segue come conclusione pratica da questa filosofia sociale. Salazar è stato paragonato a Solone, a Mèntore (il saggio consigliere di Ulisse nell’Odissea) o a Platone, egli è “più un filosofo che un dittatore, uno di quei saggi dell’antica Grecia che vegliavano sulla sorte degli uomini come protettori e moderatori, o che scrivevano le leggi” (Gabriel Boissy, La Tribune des Nations, 30 aprile 1936). Senza dubbio egli è un pensatore, un contemplativo completato dall’uomo d’azione. Nonché, non lo si scordi, un’economista.
La questione operaia, agitata dal social-comunismo, era risolta da Salazar secondo i principii dati da Leone XIII nell’enciclica Rerum novarum del 1891 e ripresi da Pio XI nella Quadragesimo anno nel 1931, con una sorprendente lucidità: “è errato credere che solo l’operaio lavori e produca; che le altre classi vivano del suo sforzo da parassite. Vi è una gerarchia nel lavoro: lavoro di invenzione, di organizzazione, di direzione e di esecuzione. […]. Vi è una ineguaglianza naturale. […]. Vi è una ricchezza-egoismo, destinata al consumo e all’appagamento dei bisogni creati artificialmente dalla società consumistica [crematistica, affaristica o pecuniativa]; e vi è una ricchezza-sacrificio, che esige la previdenza, il risparmio e lo spirito di sacrificio [economia o “prudenza familiare”]”.
Per Salazar occorre “volgere le spalle al liberalismo, che ha smembrato l’individuo dalla sua famiglia e dalla società, […] per volgersi verso uno Stato corporativo e sociale in rapporto stretto con la costituzione naturale della Società civile: le famiglie, le parrocchie, i comuni, le corporazioni, che formano la Nazione”.
Si annoti poi un particolare non secondario: Salazar fu l’unico uomo politico assieme a De Valera, il Presidente dell’Irlanda, ad inviare un telegramma di condoglianze all’ammiraglio Doenitz per la morte del Cancelliere Adolf Hitler. Ciò, alla luce degli ottimi rapporti che intratteneva con i britannici e gli americani, dimostra come egli applicò effettivamente le sue filosofie disgiunte da qualunque pregiudizio ideologico, ma impostando il suo governo unicamente “alla scelta migliore”.
“Tutte le
forme di governo in sé sono lecite; ciò che le rende buone o cattive sono le
leggi che esse fanno” (Papa Leone XIII, Enciclica “Au milieu des
sollicitudes” 1892)
Non si può non vedere in Salazar un prototipo
dell’ideale distributista represso. Ma il ----bello------ è che ciò viene
identificato dai soliti ----- come totalitarismo, tanto quanto ---benito-----.
“Il nostro programma è semplice. Vogliamo governare l’Italia” (Benito Mussolini)
Se abbiamo visto Francia, Spagna e Portogallo
nel dopoguerra -----------
Per quanto
riguarda la politica italiana del dopoguerra, malgrado tutte le “buone”
intenzioni vantate dai nuovi amministratori --------- . seppur potere costretto
a patteggiare coi partiti, ma dovendo ricorrere a sotterfugi per mantenersi.
Allo scopo il 30 marzo 1949 nasce il Sifar (inizia l’attività dal 1°
settembre); il 4 aprile l’Italia aderisce alla Nato. E nell’ambito delle nuove
divisioni e contrasti tra alleati subito dopo guerra, il 19 luglio 1949 l’Urss
accusa l’Italia di violazione del trattato di pace per aver aderito alla Nato.
Si pensi che fino a poco prima l’Urss aveva cercato di ----ammorbidirsi----
l’Italia ------ 17 febbraio 1948 l’Ambasciata sovietica a Roma trasmette una
nota a Palazzo Chigi nella quale dichiara che l’Unione Sovietica è ben disposta
ad un ritorno dell’Italia in terra d’Africa sotto forma di amministratrice
fiduciaria delle sue colonie prefasciste. Lo scopo è chiaro: favorire la
propaganda del partito comunista su questo tema e mettere sotto accusa
l’atteggiamento “imperialista” degli inglesi. Infatti, secondo logica, se
l’Italia non riottiene le sue colonie la colpa è degli Stati Uniti e della Gran
Bretagna.
------come unire?-------
tutto questo ----casino---- politico che ha
contraddistinto l’Italia post-fascista fino ad arrivare ad oggi ---- camaleontismo
---
di cui Grillo è l’emblema odierno della morte della politica. Il demagogo per antonomasia; si pensi alla sua lotta per l’auto ad “acqua”. I pensatori politici si ribaltano nella tomba a pensare della degenerazione oclocratica che lui rappresenta.
Le teorie più bolse vengono riproposte quasi fossero l’ultimo guizzo intellettuale ed è così che dopo una quarantina d’anni rispuntano il “patriottismo costituzionale” ed altre facezie degne più di un bar dello sport che non di assemblee legislative –-----o su bossi 1992-----
La più becera forma di demagogia fu raggiunta dai cosiddetti “cattocomunisti” di Comunione e liberazione. Quelli che indicano Gesù come “il primo comunista”, dando alla parola “comunismo” una personale interpretazione che però ben poco può collimare col marxismo. ---su contestazione si istituzionalizza---- o su dc come partito di potere?----- don Milani ----
La politica compromissoria dell’Italia post-fascista può essere paragonabile con questo -------: se si vuole cancellare Togliatti, per dare un colpo al cerchio e uno alla botte non serve cambiare nome alla via dedicatagli (come spesso richiesto da più parti politiche), basta riempirla di prostitute. ----- invece di fare la scelta migliore: oggi compromesso -----
E siamo giunti oggi a ---------- le
soluzioni alla “Lega nord” di abbattere i campi degli zingari, ma
lasciando/costringendo le stesse persone a costruirne un altro (se continuano a
esistere dovranno pur stare da qualche parte) in altro luogo. Ci si dica cosa
si è risolto?! Anzi di peggiora la propensione alla criminalità, impoverendoli
ulteriormente! E tutto perché? Perché non essendoci qualcuno che possa fare la
scelta migliore, le decisioni spettano ai partiti, ognuno col proprio
interesse. Quelli di sinistra hanno una paura matta di apparire illiberali
prendendo scelte restrittive. Quelli di destra ne approfittano, perché tanti
più zingari ci sono in giro per le città, e tanti più crimini compiono, tanto
più aumentano i voti per la destra. E dall’altro lato gli impediscono la
propensione per un alloggio assistenziale dato che ciò separa uomini da donne. Inevitabile
chiedersi il motivo del mantenimento di questa assurda regola che non può che
portare ad un solo risultato.
«Il movimento
legionario lotta per la creazione dello Stato totalitario… La concezione
totalitaria della trasformazione dello Stato ci impedisce di accordare una
qualunque importanza a queste nozioni prive per noi di significato… Noi… non
possiamo essere né a destra né a sinistra, per la buona ragione che il nostro
movimento abbraccia tutto quanto il piano della vita nazionale… “Sinistra” e
“destra”? Dove sono?… Quando la stessa rivoluzione russa si nazionalizza
intensamente… e quella fascista si socializza sempre più profondamente, che
senso hanno più le etichette desuete di “destra” e di “sinistra”?» (Vasile
Marin)
Per il distributismo la libertà non può essere condizionata alle esigenze di influenti poteri particolari. Per questo aspira ad impedire la formazione e la sussistenza di ambiti di poteri organizzati, e propugna un tipo di sistema democratico basato su una “gerarchia del merito” anziché su quella “del numero”, con un sistema elettorale piramidale in stile organicista anziché al classico suffragio universale. In quanto riconosce che i guasti delle attuali democrazie possono essere oltrepassati solamente eliminando la possibilità di strumentalizzazione della politica da parte di gruppi particolari di pressione personale (compresa anche l’ignorante opinione pubblica), ovvero impostando le elezioni sul superamento del sensibile sistema partitocratico; prima di tutto perché dovrebbe essere compreso una volta per tutte che per le necessità di una nazione non esistono decisioni valide una quanto l’altra a seconda solo dei punti di vista politici-demagogici di ogni partito determinati dall’opinione pubblica (o meglio: l’“ignoranza pubblica”) o degli interessi personali individuali, ma selettivamente una soltanto migliore su tutte per la soluzione di ogni data questione. E dovrebbe essere presa al di sopra di ogni tornaconto partitico o lobbistico, in un’insieme di decisioni prese per il bene della Nazione e secondariamente di tutta l’umanità. Questo significa che i “killer dell’economia” non avrebbero più la necessità di presentarsi al Presidente di una nazione socializzata, in quanto le scelte migliori, che corrispondono a quelle auspicate dai suoi mandanti, sarebbero già implicite nel programma politico della nazione socializzata; non per ricatto esterno ma per lungimiranza propria. Se oggi esiste la necessità di questi “killer” è perché i politici sotto la pressione del popolo ignorante autoipnotizzato dalla sua stessa propaganda devono fare scelte irrazionali che risulterebbero deleterie sia per la nazione specifica, sia per il resto del mondo.
«Non vedo perché dovremmo restare con le mani in mano a guardare mentre un paese diventa comunista a causa dell’irresponsabilità del suo popolo. La questione è troppo importante perché gli elettori cileni possano essere lasciati a decidere da soli» (Henry Kissinger a proposito dell’elezione di Salvador Allende in Cile)
I killer dell’economia aggiustano questo difetto con l’unico modo che oggi gli è possibile. Sia chiaro, con questo non si vuole nemmeno dire che la base del sistema economico che essi proteggono sia giusta: essi proteggono le singole scelte per far in modo che, nonostante questo sistema-base, la qualità della vita sia la migliore per il maggior numero di persone possibile. Quindi non è ne da biasimarli, ma nemmeno da lodarli.
“Ogni genere di servizio necessario per l’interesse pubblico diviene onorevole appunto perché è necessario” (Nathan Hale)
Se ci si chiede a cosa facciano riferimento questi “killer”, si tenga presente il fatto che prima del 1942 non esisteva in Usa un organizzazione statale di servizi segreti; tuttavia gli interessi nazionali erano garantiti, eccome, da qualcuno; tale ruolo era svolto da agenti privati alle dipendenze delle singole società multinazionali. Quindi non necessariamente queste azioni sono da imputare direttamente alla C.I.A. o alla N.S.A. Il che, non fa molta differenza. La “coda di paglia” da sempre dimostrata dalla CIA accampando superflue quanto puerili giustificazioni non riporta in vita gli assassinati dai loro “esterni” come nel caso di René Schneider. I vari Violet Gibson e Gianfranco Bertoli non sono altro che estremità esterne dei cerchi.
“Non c’è bisogno di curare la regia di un assassinio. Lo si fa accadere e basta. Il ruolo attivo si gioca segretamente permettendo che esso si compia. E’ questo il più grande e unico indizio. Chi ha il potere di sospendere o ridurre le abituali norme di sicurezza?” (Leroy Fletcher Prouty, ex agente Cia[131])
L’eliminazione di un ostacolo viene decisa quando si sommano diversi interessi. ---cerchi concentrici---- ----vinciguerra rumor---- palladino buzzi-pisciotta----kennedy cerchi conc---badolio-muti
In “Tutti gli uomini del Presidente”, il film sullo scandalo Watergate, il reporter del Washington Post Bob Woodward, impersonato da Robert Redford, incontra la sua fonte, “Gola Profonda”, e chiede notizie più dettagliate sul ruolo svolto dalla Casa Bianca. Gola Profonda risponde: “Follow the money”, “segui i soldi”. Regola sempre valida.
Carmine Palladino fu ucciso da Pierluigi Concutelli perché responsabile della scoperta del covo di Giorgio Vale. Come Ermanno Buzzi fu ucciso per motivi diversi, ma fu mandato a Novara per farlo eliminare per altri motivi, lo stesso vale per Palladino: pur essendo stato arrestato per le indagini sulla bomba di Bologna (sulla quale non poteva sapere nulla), vi era il pericolo che raccontasse un episodio un po’ più indietro nel tempo, cioè quando Delle Chiaie lo mandò a recuperare e distruggere i timer avanzati dalle bombe del 1969[132]. Buzzi invece, come Gaspare Pisciotta, aveva annunciato di raccontare la verità al processo d’appello. Superfluo ricordare il destino del killer William Aricò, accusatore di Sindona, volato giù dalla finestra in un troppo strano tentativo di evasione dal carcere.
Le sezioni dei cerchi non necessariamente possono essere identificate in legittimi apparati dello Stato; ma molto spesso sono proprio tali. Un film abbastanza indicativo in tal senso è ----quello con Tomas Millian--------titolo?-----.
“Anche i più espliciti diritti di sovranità vengono privatizzati. A lato della polizia nascono milizie cittadine e organizzazioni di autodifesa. Mentre si cerca di santificare l’alto tradimento presentandolo come una delle tante facce dello spirito cosmopolita, il lato sanguinoso della vita si traduce in una giustizia segreta la quale si serve di boicottaggi, attentati e delitti politici progettati da tribunali clandestini. I distintivi dello Stato sovrano e della nazionalità sono sostituiti da distintivi di partito; i giorni della campagna elettorale, delle votazioni e dell’apertura del parlamento somigliano a una mobilitazione, quasi una prova generale della guerra civile. I partiti sembrano secernere da sé eserciti permanenti tra i quali regna uno stato latente di guerra di avamposti” (Ernst Jünger) -----“L’operaio” -----
Riguardo terrorismo ed omicidi politici come routine: ma quello che accade in Italia non è niente in confronto a quanto questa prassi è praticata in Usa ---- Jimmy Hoffa ---- e quello da libro icke --- la differenza sta nell’interpretazione sociologica delle masse, chiaramente dimostrata nella considerazione dei caduti in guerra. Durante la prima guerra del golfo l’Italia trasformò in tragedia nazionale la scomparsa di Cocciolone (poi ritrovato) mentre americani e britannici seppellivano in contegnoso silenzio i loro centinaia di morti. Inevitabile fare un parallelo con la differenza riguardo i bombardamenti della seconda guerra mondiale e la colpa data non ai carnefici ma a chi li subiva.
impiccagioni coi piedi che toccano terra
5 giugno 1981 Luciano Rossi (G.d.F.) testimone su p2 morto (suicidio?) --- unire con
“Si sa quali sono le prassi di queste persone. Non voglio mica finire impiccato come è successo ad un mio amico” (Da “Gladio, l’esercito segreto”, History channel)
Killer economia: operazioni “bagnate” ------ o su Paul Wellstone?
Generalino Carlo Ciglieri morto a Camposampiero il 27 aprile 1969, due giorni dopo le bombe a Milano e Roma, notoriamente giunte da Padova --- Ciglieri nel 1963 mandato in Alto Adige a comandare corpo d’armata.
26 marzo-1 aprile 1982 morto Semerari
marzo 1985 Vito Alecci
16 luglio 1995 Mario Ferraro impiccato
Citare sui delitti derivative Occorsio da parte di P2?
“Certo non tutto l’estremismo, non tutto il terrorismo sono suscitati e controllati dal regime. Ma è improbabile un regime che non sia in grado di crearsi il proprio terrorismo, il proprio estremismo. Esiste un terrorismo genuino e un terrorismo artificiale: tra i due, il terrorismo infiltrato, probabilmente il più frequente. (…) Ci sono in questo campo due errori egualmente gravi: negare e assolutizzare. Chi nega non vuole sapere, rimuove. Chi assolutizza dice di sapere tutto e blocca. Entrambi fingono. Un servizio di sicurezza tenta di controllare le opposizioni reali infiltrandole e condizionandole. A livello di maggiore sofisticazione costruisce le proprie opposizioni. In presenza di un terrorismo genuino può innescare una dinamica concorrenziale affiancandolo con un terrorismo artificiale e dotando quest’ultimo di mezzi, di informazioni, di risorse ideologiche superiori a quello genuino, eventualmente con l’ausilio di professori universitari autorizzati, se del caso, a compiere azioni esemplari per rendere più seducenti le loro teorie. A un livello ulteriormente sofisticato un servizio procede innestando e depositando in modo capillare dei terminali entro i vari aggregati sociali nei quali può sviluppare la malattia-opposizione” (Giovanni Tamburino) --- Gianni Cipriani, “Lo Stato invisibile”, ed. Sperling & Kupfer, pag. XIII ------- qui???----
Inevitabile vedere in Toni Negri il professore universitario?
Come nel caso di Aldo Moro, molti si sono sempre chiesti se le Br siano i veri autori del rapimento e dell’omicidio. La prima cosa certa è che se l’azione del rapimento è stata effettuata veramente da brigatisti rossi, questi devono essere stati addestrati molto bene nei mesi precedenti; da chi? La seconda, è un dubbio diffuso ma sommessamente avanzato: e se Moro fosse stato liberato dai rapitori, e ucciso da chi lo prese in carico dopo tale liberazione? Non è un ipotesi così remota come potrebbe sembrare…
Ma il punto principale non è tra questi. Il punto principale è che anche se le azioni dei gruppi terroristici possono essere completamente autonome, ciò non esclude che possano andare nell’interesse di qualcuno del tutto estraneo ad esse; il quale potrebbe aver gioco nell’agire in maniera da “suggerire” determinati obiettivi. Anche tramite la stampa, si intende. E da questo punto di vista la “linea della fermezza” tenuta da Dc e Pci nel caso Moro è ben più di un atto di accusa nei loro confronti. Il caso più evidente è quello di Kennedy: i suoi nemici andavano in una gamma così vasta che stupisce lo stupore sul suo omicidio. Stupefacente sarebbe stato il contrario!
Omicidio preso da altri: operazioni “derivative” – “derivative assassination” – “noto e voluto da terzi soggetti, da non escludersi in collegamento o infiltrati tra i reali autori” ---rapporto Ros carabinieri alle procure della Repubblica di Milano e Brescia, 25 agosto 2001. Golpe borghese: derivative putsch ---qui?----Andreotti patrocinatore-------
“Quello Stato era pronto a umiliare e a violentare. Lo so. Una volta uno dei suoi più alti esponenti venne a propormi un assassinio da eseguire in combutta, noi e i suoi Affari Riservati” (Adriano Sofri) ----Paolo Cucchiarelli, “Il segreto di piazza Fontana”, ed. Ponte alle Grazie, pag. 611.
Gente che non ha comunque niente da perdere, ma tutto da guadagnare. Tanto che spesso l’omicidio “derivato” viene favorito facendo evadere di prigione il previsto assassino. Il caso tipico è quello di Alì Agcà, evaso nel novembre del 1979. Si consideri che l’informazione dell’esistenza di un serio proposito di attentare alla vita del Papa era stata inoltrata dai servizi segreti francesi fin dal giugno 1979.
Di questo interesse apparentemente indiretto ne abbiamo una miriade di conferme. Omicidi attribuiti e probabilmente realizzatti effettivamente da -------- di gruppi terroristici autonomi acquistano un senso solamente in questa ipotesi. Il riferimento è all’omicidio del commissario Calabresi, di Walter Tobagi, del giudice Occorsio ----- sui quali l’unico interesse all’eliminazione non era certo di chi li ha uccisi materialmente, ma di chi per il quale essi rappresentavano una spina nel fianco (colleghi piduisti nel caso di Tobagi, Gladio nel caso di Calabresi, la P2 nel caso di Occorsio). E come non pensare al “mini-Moro” siciliano Piersanti Mattarella? Come Moro tentava una giunta col Pci. Stavolta l’incarico fu affidato alla mafia (6 gennaio 1980) anziché alle Br.
9 marzo 1979 Michele Reina, segretario provinciale della DC a Palermo ucciso. L’omicidio di Reina avviene all’indomani di un accordo politico che il segretario provinciale della DC, aveva portato a termine con il Partito Comunista. Un accordo che, però, non aveva riscosso l’entusiasmo e l’approvazione di grande parte suo partito.
“Un Freato da solo uccide più di un commando Br” (Giancarlo Pajetta[133])
E’ inutile andare a cercare mandanti ed esecutori di questo tipo di omicidi. Quando un certo numero di persone desidera che una persona venga eliminata, e tanto più influenti sono queste persone, la persona in questione viene eliminata in un modo o nell’altro. E’ automatico. Il ruolo dei servizi segreti è proprio quello di garantire la volontà della nazione. “Se possibile devono essere assunti criminali professionisti per adempiere specifici lavori”. I veri responsabili della morte di John Kennedy o di Aldo Moro sono tutti quelli che hanno gioito alla notizia. Ed osservando le attività di Kennedy, sotto questo punto di vista si può dire che abbia fatto di tutto per farsi uccidere, tanti sono stati quelli a gioirne… Raramente è necessario ricorrere alle antifone dirette, come quella di Pietro Badoglio al capo della polizia Carmine Senise: “Muti è sempre una minaccia. Il successo è solo possibile con un meticoloso lavoro di preparazione. Vostra eccellenza mi ha perfettamente inteso”. E tutti sappiamo come finì Ettore Muti…
“Non penso che ci sia un singolo uomo politico che ordina l’assassinio. Ma vedo che è stato costruito in Italia un sistema articolato su feudi organizzati, ciascuno dotato di proprie strutture, giornali, banche, legami coi servizi segreti, rapporti internazionali, e così via. A tal punto che la logica di funzionamento non è più quella dell’individuo… E la posta in gioco è troppo grande perché arretrino di fronte all’omicidio. E al rapimento” (Massimo De Carolis[134])
basta vedere come quando si vanno a ravanare cose indicibili i giornalisti ci rimettono la vita ----- Ilaria Alpi----Mauro De Mauro-----
Riguardo questo timore molti episodi è dietro le righe che si può capire il senso del quale i giornalisti sono al corrente ma non possono rivelare. Così omicidi irrisolti all’apparenza identici alle centinaia esistenti, vengono trasformati in casi di cronaca nazionali, e ciò è rivelatore della consapevolezza giornalistica che qualcosa di grosso si nasconde dietro. I casi tipici sono quelli di Capocotta, dell’Olgiata e di via Poma. In particolare, per quest’ultimo, il sospetto è che l’ufficio dove lavorava la ragazza fosse in realtà un ufficio di copertura dei servizi segreti.
“Per un ideale si è pronto a morire, per il potere si è disposto ad uccidere” (------chi???-----)
In ogni caso vale la “teoria dei cerchi concentrici”, secondo la quale non vi è una persona specifica che ordina un determinato atto, ma vi è una sorta di passaparola di antifone dal cerchio centrale via via verso quelli esterni, cosicché non esiste un vero mandante. E’ questo il motivo per cui in questi casi la magistratura si trova le mani legate, e i giudizi in appello e cassazione spesso ribaltano le sentenze di primo grado. Badoglio è condannabile come mandante dell’omicidio di Ettore Muti solo per quella frase?
“La storia non deriva da una necessità impersonale, né dal capriccio umano, ma da una dialettica della volontà dalla quale l’opzione libera si svolge in conseguenze necessarie” (Nicolás Gómez Dávila)
Tuttavia vi è un qualcosa che accomuna i vari strati ---dei cerchi------, e che quindi può essere considerato come il “grande vecchio” -------. Ma è un qualcosa di molto vago e non identificabile con -----persone fisiche-----. Il suggerimento per questa ipotesi ci giunge da un fatto noto. Solitamente ad emettere condanne a morte sono i governi legittimi. Ebbene, nel 1935 Antonio de Oliveira Salazar venne ufficialmente condannato a morte… dalla massoneria. La sua colpa era di aver supportato il colpo di Stato del generale Franco, contrariamente alla volontà della massoneria. Il motivo per cui poi la condanna non fu eseguita non è noto, ma è facilmente intuibile in un compromesso.
Come già detto, l’eliminazione di un ostacolo viene decisa quando si sommano diversi interessi. Un deleterio risultato indiretto di questi meccanismi è la paura delle responsabilità dirette ed il loro rifuggirvi col tentativo di delega alla collettività di tutte le scelte, causa e sostegno del sistema parlamentare. In questo modo tutti i ------potenti----- diventano ognuno una piccola ruota dell’ingranaggio, cosicché nessuno è identificabile e quindi imputabile di ---qualcosa---.
«Siamo stufi d’un governo dove non c’è un responsabile con nome, cognome e indirizzo» (Benito Mussolini, 23 marzo 1919, alla riunione di piazza S. Sepolcro)
Capitolo
Massoneria????
Così quando l’applicazione della scelta migliore è impedita da questi ostacoli parlamentari, ed allorquando sia recepita come impellente la necessità di attuarla, si può agire solo machiavellicamente, come fanno i “killer dell’economia”, con il terrorismo, gli omicidi politici, il “tintinnio di sciabole[135]”, gli scandali (famoso il caso “watergate” in Usa, e “tangentopoli”, nel nostro piccolo); quelli più sottili sono meccanismi di azione tipici della cultura nordista della massoneria, mentre quella sudista predilige agire palesemente anche se grossolanamente; i colpi di Stato e gli omicidi politici mirati difatti sono una prassi tipicamente sudista, mentre gli scandali ed il terrorismo, tesi ad influenzare psicologicamente le masse, sono una prassi tipicamente nordista. Il “tintinnio di sciabole” rappresenta un utile compromesso per entrambe. Similmente, censura e repressione dirette sono esercitate soprattutto dalla filosofia massonica “sudista”, quelle indirette da quella “nordista”. Avendo accennato all’esistenza di queste due filosofie differenti nella massoneria, possiamo notare come molto spesso sono le “guerre” tra gruppi di logge a determinare occultamente gli eventi palesi che accadono nel mondo.
“Tutto quello che è interessante accade nell’ombra, davvero. Non si sa nulla della vera storia degli uomini” (Louis Ferdinand Céline)
L’esempio più eclatante è stata la guerra di secessione americana, le cui cause non sono da identificarsi solo con la questione schiavista (che era solo la più visibile delle differenze) ma fu una guerra tra due diverse concezioni filosofiche dell’economia e della società: quella nordista e quella sudista, che da allora ha acuito la frattura in logge filosoficamente “del nord” e logge filosoficamente “del sud” all’interno della massoneria “palladista” americana, che solo successivamente si estese anche nella massoneria “martinista” europea (scissione di palazzo Giustiniani del 1908 in Italia) accrescendo nel mondo l’influenza del gruppo palladista che oggi monopolizza i vertici della massoneria. La massoneria tutt’oggi si divide in due gruppi, quella del nord e quella del sud, rivali tra loro. Entrambe sono accomunate dal pragmatismo, ovvero da “il fine giustifica i mezzi”. Quella del sud è una massoneria tradizionalista, conservatrice, tendente a svolgere il proprio ruolo alla luce del sole, senza remore, consapevolmente e senza sensi di colpa. Quella del nord invece è una massoneria che vorrebbe definirsi “illuminata”, ma che proprio per questo è costretta a svolgere le proprie necessarie losche attività nell’ombra.
“Non tutti i massoni sono farabutti, ma tutti i farabutti sono massoni” (Felice Cavallotti)
Il parteggiamento del neofascismo a posteriori per la causa sudista nella guerra di secessione americana non deve quindi essere visto come un consenso allo schiavismo (che era solo una parte meno che secondaria della posta in gioco) ma alla filosofia sudista in generale. ----- Quando Giorgio Valerio nel più nordista salotto milanese scandalizzando i presenti dichiarò che i guai del mondo derivavano dalla vittoria nordista nella guerra di secessione, certamente non si riferiva allo schiavismo… --- “Il padrone dei padroni”, Giancarlo Galli, Garzanti ed., pag. 100. -----
Ovviamente non si può sapere a quale delle due filosofie massoniche
faccia riferimento ognuno, ma è facilmente intuibile dal rispettivo percorso
socio-politico-economico.
Un personaggio come Enrico Cuccia è stato il tipico esempio di massone “del nord”, mentre Michele Sindona incarnava la filosofia di quello “del sud”. Non ci inoltreremo qui, ma ci limitiamo a far presente che basta analizzare la differenza che passa tra questi due personaggi per comprendere i concetti di “nord” e “sud” massonici.
«Quando gli domandavo perché Cuccia e Sindona, pur essendo massoni, non andavano d’accordo, mi rispondeva: “appartengono a logge diverse”» (Clara Calvi riferendosi al marito Roberto Calvi[136])
In Italia la P2 era una “holding” dei due gruppi, contenente le personalità di maggior importanza manovrate per il perseguimento degli interessi del “nuovo ordine mondiale” in Italia, con alcuni collegamenti internazionali sempre finalizzati a tale scopo. Difatti era l’unica loggia diffusa a livello nazionale, mentre tutte le altre logge hanno carattere locale. Era inoltre la loggia di gran lunga più affollata, con 962 affiliati ufficiali (ma con quelli segreti superava i 2.400[137]).
La commissione parlamentare di inchiesta descriverà la P2 come uno strumento “di intervento per operazioni di controllo e di condizionamento. Quando si voglia ricorrere ad una metafora per rappresentare questa situazione, possiamo pensare a una piramide il cui vertice è costituito da Licio Gelli; quando però si voglia a questa piramide dare un significato, è giocoforza ammettere l’esistenza, sopra di essa, per restare nella metafora, di un’altra piramide che, rovesciata, vede il suo vertice inferiore appunto nella figura di Licio Gelli. Questi è infatti il punto di collegamento”.
Sia chiaro, la divisione nord-sud non è territoriale. Entrambe le logge sono diffuse equamente negli USA ed in tutto il globo. E’ una divisione ideale. Non le si confonda nemmeno con i due partiti americani, Democratico e Repubblicano! La presenza è trasversale, ed a determinare la vittoria elettorale di uno o dell’altro è sempre il pendere di una bilancia, ed i pesi di questa sono i dignitari massonici di entrambi gli schieramenti, che di volta in volta possono propendere per l’uno o per l’altro partito, a seconda delle necessità riscontrate. Per fare un esempio, un avvicendamento massonico ci fu con l’assassinio di Kennedy: dalla preponderanza del “sud” si passò a quella del “nord” con Johnson, ma sempre il partito democratico era al governo; nel 1974 il “nordista” Ford sostituisce il “sudista” Nixon, entrambi del partito Repubblicano. Le diverse concezioni culturali della massoneria furono profondamente studiate dal poeta francese Robert Brasillach[138]. Nel 1946 l’organizzazione massonica “Grande Oriente d’Italia” ottiene, attraverso l’italo-americano Frank Gigliotti, il primo riconoscimento ufficiale della circoscrizione massonica nordista. Da quel momento la massoneria italiana e di altri paesi venuti sotto l’influenza americana acquisterà la tipica impronta nord-sud che prima era stata secondaria. Solo le logge inglesi resistettero parzialmente a questa penetrazione. In Italia factotum di questa riorganizzazione fu Frank Gigliotti (già organizzatore della restituzione del potere alla mafia nel 1943), la cui figura troppo spesso trascurata acquista un significato particolare alla luce del fatto che fu alla sua scomparsa che il suo posto venne preso da Licio Gelli, indicando quindi come anche prima che sortisse Gelli esistesse già un “Gelli”, e questi fosse il Gigliotti. Nel marzo 1973 vengono riunificate le due osservanze massoniche italiane, quella di Palazzo Giustiniani (nordista) e quella di Piazza del Gesù (sudista) che erano separate da 65 anni, ma sarà una riunificazione di facciata, tentata già nel 1960 su sostegno della Cia (7 luglio 1960, portò gran parte delle logge massoniche italiane sotto l’influenza diretta di quelle statunitensi anziché di quelle inglesi). Attorno al 1977 si svolge nella massoneria italiana una guerra interna per il potere: i sudisti americani di Henry Clausen appoggiano il nuovo Grande Commendatore Manlio Ceccovini, mentre i nordisti di Maxwell si dichiarano contrari al cambiamento[139], riconoscendo il vecchio Vittorio Colao, determinando ed inserendosi nell’incipiente incrinatura tra la massoneria italiana e quella statunitense, espressasi poi anche nel contesto politico.
“All’origine dei contrasti, il controllo reale dell’intera famiglia massonica. Condizione essenziale per assicurarselo: avere in mano la loggia P2. E’, per tradizione, la loggia più riservata del Grande Oriente, chiamata in gergo coperta, i cui componenti sono cioè segreti, svincolati anche dall’obbligo di riunirsi. E’ nella P2 che si trovano cardinali e ministri, deputati e senatori, generali, grandi industriali, finanzieri, altissimi burocrati. Attraverso i suoi canali sono passate ardite operazioni economiche, e si sono formati schieramenti politici in grado di condizionare la vita di governi” (Panorama, 28 settembre 1976)
Durante il sequestro Moro, la massoneria sudista denuncia l’accordo del 1973 di riunificazione delle due filosofie massoniche, avviando così la guerra 1978-80 che finirà con la denuncia pubblica della P2 oramai egemonizzata dall’elemento sudista, e talmente ingranditasi da non poter più riuscire a rimanere segreta, essendo divenuta in pratica uno “Stato nello Stato” comprensivo di relative “mini-istituzioni”.
La prevalenza di volta in volta di una sull’altra ha determinato gli avvenimenti storici dell’ultimo secolo. Ma piccole variazioni avvengono continuamente, la bilancia può pendere di più o di meno, determinando ogni avvenimento. Alcuni parametri ci permettono di capire grossomodo in quali periodi sia stata più influente l’una oppure l’altra. Ad esempio, tra il 1969 ed il 1973 ogni dicembre[140] in Italia si preparò un “golpe”, a conferma di una preponderanza sudista; mentre dal 1973 al 1978 il terrorismo di massa la fece da padrone in maniera capillare, avvallando la tesi di una maggior influenza nordista; gli anni 1978-80 furono di transizione, come confermano i conflitti tra le due filosofie, per quanto riguarda l’Italia espressisi nella rivelazione pubblica della P2 e negli omicidi di Mino Pecorelli/Antonio Varisco e Roberto Calvi. Probabilmente anche la morte di Papa Giovanni Paolo I è da inserirsi in questa guerra, e dato che Karol Woitila era chiaramente sostenuto dalla massoneria sudista, ne consegue che Albino Luciani era sostenuto da quella nordista. ---Giovanbattista Montini (Paolo VI) sudista???----
“L’uscita allo scoperto della massoneria, e tanto cordoglio ufficiale per la morte di Paolo VI, significa forse che di lì a pochi giorni la massoneria avrebbe fatto sentire il suo peso anche all’interno del conclave?” (Mino Pecorelli, “Op”, 12 settembre 1978)
Valutando il fatto che tra le due, quella più avversa al comunismo è la fazione sudista, la conferma del movente dell’omicidio di Papa Luciani ci arriva da un fatto contemporaneo: la nascita del sindacato “Solidarnosc” nel paese di Karol Woitila, nel 1980. Da qui ad identificare i mandanti dell’attentato di Alì Agca (annunciato dai servizi segreti francesi fin dal giugno 1979[141]) e la vendetta come movente il passo è breve. E così per il rapimento della figlia di un commesso della Prefettura della Casa Pontificia, forse perché ritenuto responsabile dell’eliminazione del candidato nordista. Il che toglierebbe ogni sospetto complottista su Paul Marcinkus e sui servizi segreti dell’est. Anche secondo Francesco Pazienza due fazioni starebbero affrontandosi all’interno del Vaticano: ------ cardinale Casaroli (nordista) Achille Silvestrini, Pio Laghi; contro papa polacco e “Opus Dei” (sudista) Gianni Flamini, “Il libro che i servizi segreti italiani non ti farebbero mai leggere”, Newton Compton ed., pag. 258. Ribadiamo per la terza volta la frase “se possibile devono essere assunti criminali professionisti per adempiere specifici lavori”, e citiamo l’esempio dell’omicidio del vescovo Oscar Romero, anch’egli vittima della guerra nord-sud.
“All’interno del Vaticano esiste un complotto che, in connivenza con le forze laiche e anticlericali nazionali e internazionali, mira a modificare l’attuale assetto del potere all’interno della Chiesa stessa. Che il cardinale Agostino Casaroli e monsignor Achille Silvestrini siano complici e soci è provato da una serie di tangenti che si spartivano per operazioni effettuate da Michele Sindona. Costoro sanno che io so” (Roberto Calvi[142])
Quindi fino al 1992-93 la preponderanza fu sudista, dopodiché nuovamente nordista (tangentopoli, crescita della Lega Nord, e bombe del 1993 in Italia a simbolizzarla). Il 29 maggio 2010, l’allora presidente del Consiglio Carlo Azeglio Ciampi ha parlato apertamente di un tentativo di golpe occorso nel 1992. Al processo per la strage di via D’Amelio che si svolge a Caltanissetta il collaboratore Giovan Battista Ferrante, che ha ammesso di avere partecipato a tutte le stragi mafiose, ha dichiarato di aver saputo da Riina che le stragi del ’92 erano state volute dai massoni. Eloquente in tal senso è una frase di Giovanni Brusca, resa il 1° luglio 1998 riguardo al processo per l’assassinio di Giorgio Ambrosoli: “Cosa nostra non uccide per soldi”. Il crac di Sindona nel 1974 è indicativo del cambio di amministrazione avvenuto, così come l’omicidio di Giorgio Ambrosoli nel 1979 dimostra l’incipiente ritorno della fazione sindoniana al potere, intenzionata però a mettere a tacere anche l’oramai scomodo bancarottiere. Su tutto questo sovrasta la figura del burattinaio della finanza laica nordista, lo gnomo Enrico Cuccia. Il 16 Aprile 1993 Giuliano Di Bernardo dà le dimissioni dalla carica di Gran Maestro della massoneria del Grande Oriente d’Italia di Palazzo Giustiniani. Il 7 Luglio 1994 la Gran Loggia di Washington le toglie il riconoscimento. Cosa era andato storto? Il destino subito dal primo governo Berlusconi potrebbe chiarircelo, soprattutto alla luce del fatto che a determinarne la caduta fu Umberto Bossi, quello del “fermi! ghe pensi mi”.
“Il mondo si divide in tre categorie di persone: un piccolissimo numero che fanno produrre gli avvenimenti; un gruppo un pò più importante che veglia alla loro esecuzione e assiste al loro compimento, e infine una vasta maggioranza che giammai saprà ciò che in realtà è accaduto” (Nicholas Murray Butler[143])
La mentalità complottista non
poteva non “organizzarsi”, sentire la necessità di collegare tutte le persone
“illuminate” in una “fratellanza” fondata sul reciproco aiuto, settaria,
esclusiva. Nascosta dietro a riti e tradizioni, come fosse una religione, sta
una rete di “conoscenze” che unisce tutte le persone potenti. Non ha un
ideologia, il suo unico scopo è fare l’interesse dei suoi adepti. E’ una grande
ragnatela sparsa in tutto il mondo, con logge in ogni luogo collegate tra loro
in “grandi orienti” comandate da gran maestri e organizzata su scale
gerarchiche intrise di eccentrici riti iniziatici e simbologie esoteriche
dietro i quali nascondere le reali finalità dell’organizzazione. Queste
finalità sono del tutto ignote ai massoni di grado inferiore, ma per essi
intuirle è facile.
La massoneria può essere paragonata ad una
cipolla. E’ inutile provare a sfogliarla sperando di trovare al centro un
“grande vecchio” o un cuore che determini ogni strategia; in massoneria tutto è
ambiguo e sfuggente, ogni verità è a doppio fondo. Inutile cercare di
identificare la contiguità di una determinata loggia massonica a determinati
schieramenti politici: i massoni sono, da sempre, presenti indistintamente in
tutte le fazioni politiche, in tutte le parti belliche, in tutti gli ambiti di
potere. L’essere massone non determina una appartenenza sociale o politica
particolare, perché l’essere massone è sottostante a queste appartenenze.
La massoneria non è un partito politico, ma è, così come la mafia, un modo di
pensare e di essere. Una mafia legalizzata ed un modo di pensare “illuminato”.
E proprio per questo disdegna tutte le persone esterne ad essa, con i risultati
evidenti spiegati nel corso di questo libro, a conferma che certo idealismo non
sempre coincide con la ragione.
“Un idealista è
uno che, scoprendo che una rosa ha un profumo migliore di un cavolo, conclude
che farà anche un brodo migliore” (Henry Louis Mencken)
Come abbiamo visto, la democrazia parlamentare comporta che solo
le persone più competitive riescano ad emergere e mantenere le proprie
posizioni grazie alle regole cucitele addosso appositamente, che sono venute a
creare i sistemi socio-politici democratici odierni, sostenuti dall’opinione
pubblica, o meglio, fatti sostenere dall’opinione pubblica plasmandola a
proprio piacimento ed a seconda dell’influenzabilità delle persone. Si valuti
ad esempio la differenza nelle concezioni del “Diritto” tra diverse società: ad
esempio la pena di morte, oppure reati che sono tali in un paese ma non in un
altro (la detenzione di armi, ad esempio). e le differenze tra Diritto
dei diversi paesi? Islam – nudità--- froci--- lapidazione---- adulterio.
Se ci si chieda cosa sia un massone, una semplice visualizzazione
può essere questa: un massone è uno che, a differenza della maggior parte delle
persone, ha un posto riservato in un rifugio anti-atomico in caso di guerra
nucleare.
«Finché il controllore ferroviario avrà un tono coi viaggiatori di prima classe, e un altro tono, leggermente diverso, con quelli di terza; finché l’usciere ministeriale si lascerà impressionare dal tipo “commendatore” e passerà di corsa sotto il naso del tipo a “povero diavolo”, magari dicendo torno subito; finché l’agente municipale sarà cortesissimo e indulgentissimo con l’auto privata, un pò meno col taxi e quasi punto con quella marmaglia come noi, che osa ancora andare coi suoi piedi; finché il garbo nel chiedere i documenti sarà inversamente proporzionale alla miseria del vestiario; eccetera eccetera eccetera; finché insomma in Italia ci sarà del classismo, anche se fatto di sfumature spesso insensibili agli stessi interessati per lungo allenamento di generazioni; e finché il principal criterio nello stabilire la gerarchia sociale degli individui sarà il denaro o l’apparenza del denaro, secondo l’uso delle società nate dalla rivoluzione borghese, delle società mercantili, apolitiche ed antiguerriere; potremo dire e ripetere che c’è molto da fare per il Fascismo. Il che poi non è male. Non è male, a patto che lo si sappia bene» (Berto Ricci, in “L’Universale”, 10 febbraio 1935)
I massoni si riuniscono in logge. Una loggia massonica riproduce praticamente una Società di Mutuo Soccorso, nella quale persone solitamente scaltre, ricche, e potenti, si riuniscono consapevoli di scopi comuni (anche il semplice arricchimento) e mezzi per raggiungerli, e si organizzano nell’ambito delle proprie rispettive disponibilità in modo da poter compiere tutte quelle azioni necessarie allo scopo, in quello che è un mercato dove si incontra la domanda e l’offerta di favori reciproci, escludendo a priori chiunque non abbia le disponibilità per “ricambiare”; il tutto velato da un pretestuoso paravento di riti ed idealismo illuministico, ed a volte di esoterismo nel quale nessuno crede veramente.
“Come non si sa, la massoneria è una cosa che fa morire dal ridere. Ma è anche una bottega per coloro che la sanno sfruttare. (…) Tra l’altro si credono gli uomini del destino, incaricati dal Padreterno di tracciare le mete per la salvezza del paese. Basta conoscerne qualcuno per farsi un’idea precisa sulla massoneria. I fratelli si elogiano reciprocamente, si danno del venerabile, dell’illustrissimo e del potentissimo come se fosse vero! Si baciano tre volte, ma sono sicuro che si staccherebbero reciprocamente gli orecchi, tanta è l’invidia che c’è tra di loro. Medici e professionisti in cerca di baiocchi, burocrati in cerca di protezioni, industriali squattrinati e ufficiali in via di pensionamento, intriganti imbroglioni, falsi moralisti, tutta una ramazzaglia di arrivisti e mitomani. Libertà, fratellanza e uguaglianza sono i tre termini della più geniale truffa che sia mai stata organizzata per sfruttare la democrazia. Riti, cerimoniali, simboli, formulari, statuti, logge segrete e coperte: una cortina fumogena per coprire piccoli e grandi imbrogli; trampolini per avvicinare politici e banchieri, generali, direttori di banca, magistrati e burocrati. Trampolini, dicevamo, per migliorare la propria posizione e per sistemare i propri affari. Ognuno per sé e Dio per tutti, solo per fare i c… propri. La massoneria ha finanche i tribunali, naturalmente segreti. In genere si riuniscono per fottere chi fotte più grana” (Mino Pecorelli[144])
Il coordinamento di questo mercato è appositamente affidato a gerarchie di persone (“maestri”) che svolgono il ruolo di intermediari tra la domanda e l’offerta di favori, in modo tale che chi è detentore di un potere (di qualunque tipo esso sia) può scambiare questi privilegi con un altro potente, anche senza conoscersi direttamente. Esistono diverse logge e diversi gruppi di logge, ed anche tra esse avvengono reciproci scambi di favori tramite i “gran maestri”, potendo restare il fornitore e l’usufruitore dei vari favori sempre l’un l’altro sconosciuti. Dato che a causa di questo meccanismo tutti i posti di potere arrivano ad essere detenuti da “massoni” è quindi impossibile per chi non sia loro “amico” (anche inconsapevole, perché no?) aspirare ad una carriera che necessiti di loro consenso. Quindi le “marionette” non necessariamente sono (o sanno di essere, diciamo) massoni effettivi. Molto spesso i “maestri” considerano implicitamente (“all’orecchio”) l’appartenenza di alcuni personaggi importanti affini ai loro intenti[145]. Lo scopo della massoneria palese diviene quindi la referenza per quelli meno famosi. Per questo semplice motivo i calibri più grossi dello Stato non risultavano nei noti elenchi della P2. Ma questo non significa che il “gran maestro” Licio Gelli non intrattenesse rapporti anche con loro, anzi. Dopotutto il fatto stesso che siano giunti al potere lo rende implicito.
Nonostante tutte le accampate buone intenzioni, nella pratica si trasforma in un crogiolo di arrivismo e svela i lati più deteriori dell’animo umano. Diventa il punto di incontro della domanda e dell’offerta dei favori, delle “risorse umane”. Ed è facile immaginare cosa provochi a livello di potere. Al loro interno si annida ogni tipo di lobbies: politici, giudici, giornalisti, industriali, militari, ecclesiastici, avvocati… e via dicendo. Chiunque possa portare beneficio ai membri è ben accetto, tutti disposti a scambiare favori nello spirito “una mano lava l’altra”, senza scrupoli di sorta consapevoli di avere i medesimi obiettivi, eccitati come bambini custodi di un segreto. Vien da se il tipo di favori richiesti, anche cose che alla luce del sole sarebbero alquanto inimmaginabili. Qualunque favore a chi ne ha la possibilità, direttamente o tramite il gran maestro. E’ immaginabile il focolaio di trame che ne viene fuori.
“La democrazia viene decantata come la migliore organizzazione sociale, in cui l’essere umano possa vivere la vita pienamente. Sicuramente è il miglior involucro per il capitalismo e per coloro che vivono sul profitto, per la stragrande maggioranza del genere umano è una rincorsa continua alla ricerca della soddisfazione dei propri bisogni materiali” (Friedrich Engels)
Se un -------- ha bisogno di ---corrompere----, non si rivolge più direttamente alla persona --destinataria----, ma “chiede un favore a Gelli”. Anche le grandi operazioni finanziarie potevano avvenire solo tramite la mediazione di Gelli; soprattutto quelle con l’estero, per questo motivo la P2 si dimostrò sempre particolarmente interessata al controllo del ministero per il commercio estero. L’auto-finanziamento avviene mediante ricatti ai propri stessi aderenti, spesso su minaccia di rapimento di parenti (vedi il rapimento di Amedeo Ortolani). Nel 1967 il generale Giovanni Allavena entrando nella P2 portò in dote gli elenchi del Sifar, che racchiudevano vizi e virtù dei più influenti personaggi italiani. Non c’è da stupirsi quindi che Gelli avesse libero accesso al Quirinale…
“L’obiettivo principale della P2 è estendere l’area dei ricattati e includerli tra i soci della loggia: una specie di catena di sant’Antonio che alla fine assumerà la forma di una gigantesca tela di ragno stesa sull’intero establishment nazionale, politico, amministrativo, militare, finanziario, giornalistico” (La Repubblica, 14 giugno 1981)
Capitolo
influenza ebraica nell’economia?
Il lavorio di questo sotterraneo labirinto di interessi è favorito dalla democrazia liberale e dal sistema economico individualista, i quali sono a tal scopo sostenuti dalla massoneria, la quale può così determinare le decisioni dei partiti politici e convogliare l’economia verso le proprie specifiche necessità, quindi è comprensibile che gli idealisti massoni vedano come il fumo negli occhi le razionali teorie distributiste, le quali se applicate toglierebbero potenzialità a questi oscuri poteri per cederle ad una diversa elitè veramente espressa dal popolo e di conseguenza personalmente interessata a fare gli interessi della nazione nel suo complesso. Quindi anche oggi sono gli adepti della massoneria a “remare contro” a qualunque tipo di condizione che muova lo sviluppo economico verso il senso distributista. Difatti la parola fine sulla possibilità di un futuro ad economia di tipo distributista la mise la vittoria della filosofia nordista nella guerra civile americana; quella rivelatasi poi la più avversa delle due al distributismo. Soprattutto nelle Logge del nord era presente in maniera influente una componente che si rivelò particolarmente interessata ad impedire uno sviluppo verso il senso personalista dell’economia mondiale.
L’identità di questi ci viene dagli studi compiuti da alcuni economisti tra cui Gilbert Keith Chesterton e Clifford Hugh Douglas, i quali solo perché teorizzatori delle teorie economiche distributiste furono incomprensibilmente accusati di antisemitismo. Da ciò essi ricavarono che le teorie che essi avevano sviluppato erano in contrasto con le filosofie economiche ebraiche che fino allora avevano implicitamente sempre più regolato e deviato il percorso dell’economia verso il liberismo individualista, finendo per avere un influenza fondamentale anche sul cristianesimo nelle sue forme anti-cattoliche.
“…i Rothschild hanno conquistato il mondo in modo più completo, più astuto e molto più durevole di quanto non abbiano fatto in precedenza tutti i Cesari…” (Frederic Morton)
Difatti le dottrine culturali ebraiche (vecchio testamento) di legalismo, individualismo, e di salvezza attraverso le opere sarebbero la base ideologica del liberalcapitalismo, mentre all’opposto la teoria economica distributista è basata sulla dottrina tipicamente cristiana (nuovo testamento) della solidarietà e dell’incarnazione e salvezza attraverso la grazia divina, parte della dottrina sociale della Chiesa cattolica la cui base è il concetto pur sempre capitalistico ma personalistico di pauperismo[146], il quale nel corso del tempo ha finito per soccombere alla materialistica filosofia ebraica e calvinista dell’economia. Non è quindi per un caso che anche il citato anarchico Nestor Ivanovič Machno fu inspiegabilmente accusato di antisemitismo. Così come non è per i dettami di un proverbio che l’ebreo Leon Bronstein detto “Trotsky” si accaniva tanto furiosamente. Tutte le correnti assimilate al distributismo finora elencate portano in comune proprio come particolare caratteristica che le contraddistingue ed accomuna l’essere indicate come nemico dall’ebraismo.
Si consideri che, le tre religioni abramitiche (ebraismo, cristianesimo, e islam) condannano il prestito a interesse, ma l’ebreo può però prestare ai gentili; secondario motivo per cui sono stati soprattutto gli ebrei nella società cristiana e musulmana a svolgere l’attività di banchieri, cosa che spiega, ma solo parzialmente, anche l’odio ciclico del popolo nei loro confronti, motivato dai debiti accumulati. Ed in proposito è sintomatico il fatto che la parola “cretino” derivi da “cristiano” (in francese: crethien). E chi nel medioevo poteva definire “cretini” i cristiani, se non un “non cristiano”?
Così Pierre Drieu La Rochelle descrive la parabola ebraica in Europa: “una famiglia è riunita in una casa. Qualcuno bussa alla porta. Entra uno sconosciuto che chiede ospitalità. La sua aria da straniero è insolita, pure viene accolto. Si ferma. Dopo il posto a tavola pretende un letto, poi molte altre cose. Dapprima fa pena o diverte, poi diventa irritante, importuno e in seguito invadente; alla fine mette paura. Rimproverato, reagisce e vi accusa di essere inumano. Nessuno ha il coraggio di scacciarlo, tanto meno di fargli un rabbuffo. Poco a poco gli cediamo il denaro, i pensieri, la direzione della nostra casa”.
A conferma della totale differenza tra il vecchio antisemitismo popolare e quello economico moderno altri studiosi (tra cui il poeta Ezra Pound) hanno analizzato la genesi dell’antisemitismo nei movimenti non fascisti, anche in paesi privi di ebrei (Giappone ad esempio), notando come l’antisemitismo vi si presentasse regolarmente quando questi contemplavano le teorie economiche distributiste. Questo spiegherebbe perché anche in paesi come l’Islanda od il Giappone abbia fatto capolino l’antisemitismo divenendo caratteristica fondamentale di determinati partiti politici riconducibili tutti al sistema economico distributista. E’ assai interessante notare che anche Charles Fourier e Proudhon (così come tutti i socialisti utopisti) criticavano aspramente la concezione economica ebraica. -----spostare su??----
Dal canto suo, Douglas alle accuse di antisemitismo rispose che la sua
“teoria A + B” si basa su un’analisi dei prezzi e dei redditi e del loro rapporto di contabilità dei costi, non su una “teoria cospirativa antisemita”
Ma da un certo momento in poi nei partiti fascisti il pragmatismo fu spesso sostituito dal fanatismo e l’aspetto economico anti-ebraico venne tramutato incomprensibilmente in antisemitismo razziale, soprattutto a causa dell’influenza avuta dopo il 1933 dal tedesco Adolf Hitler, al cui modello anche molti altri partiti fascisti si rifecero. Questo fa inevitabilmente sorgere dei sospetti sulle reali intenzioni di Adolf “Rothschild” Hitler, secondo alcuni un provocatore infiltrato avente lo scopo funzionale di far screditare le teorie economiche della “Terza Via” assimilandole “ad hoc” al razzismo genetico tanto in voga nel mondo in quel periodo sull’onda degli studi darwiniani e lombrosiani. Tutt’al più volendo spezzare una lancia a suo favore si può ipotizzare che sia stato vittima di abili opportunisti che hanno saputo approfittare del suo candore. Ma egli ebbe fin dal 1938 la possibilità di “liberarsi” degli ebrei tedeschi in modo semplice: Mussolini si era dichiarato disponibile a creare un “Israele” in Etiopia, nella regione dei Falascia (un popolo africano di religione ebraica[147]); ----nota da gazzettino---- Hitler non prese neanche in considerazione la cosa. Senza contare la sua condotta palesemente incongruente della guerra, evidentemente tesa prima a provocarla, e poi a farla perdere agli stati interclassisti, in modo da eliminare dalla faccia della terra i loro sistemi di governo e delegittimarne per sempre ogni argomento politico, che in seguito alla crisi economica iniziata nel 1929 aveva fatto fin lì sempre più proseliti nel mondo. Oppure semplicemente cadde in una trappola tesagli?
“E pensare che ormai l’antisemitismo di Hitler è sospetto. (…) L’alleanza tra Hitler e gli ebrei si farà? Può darsi che sia già fatta” (Pierre Drieu La Rochelle, Diario 1943-45)
Non ci sarebbe certo da stupirsi di queste affermazioni se si vanno a leggere i “protocolli dei savi di Sion”, che per quanto vogliano essere fatti passare per falsi plagiati dal “pamphlet contro Napoleone III” di Maurice Joly, enunciano dei propositi che innegabilmente, fatalità si sono avverati e si avverano costantemente e regolarmente, quasi fossero una mera pianificazione per perseguire il raggiungimento del sistema “perfetto” odierno. Od in alternativa scritti da un indovino tipo Nostradamus.
“Chi controlla il presente, controlla il passato. Chi controlla il passato, controlla il futuro” (George Orwell)
Che essi siano o meno risultato di plagio non ne cambia il risultato alfine ottenuto. Lo stesso Hitler ne prende atto nel suo “mein kampf”, indicandoli come veri seppur falsi, proprio per il fatto stesso che vengano indicati come falsi dagli ebrei. Ovvero, nonostante Hitler sia convinto che i protocolli siano un falso, li ritiene veritieri e scritti da un gruppo di saggi ebrei. In quel paragrafo del “mein kampf” si può leggere tra le righe una dichiarazione di Hitler sulla superiorità della razza ebrea, e l’uso dei “Protocolli” per l’ispirazione di fondo della sua politica razzista (in ciò si può accedere al vero pensiero hitleriano scambiando nei suoi discorsi le parole ariano-ebreo, e Germania-Israele).
“Il genio è la capacita di vedere dieci cose là dove l’uomo comune ne vede solo una, e dove l’uomo di talento ne vede due o tre” (Ezra Pound)
In molte parti essi sono criptici, ad esempio in questa sotto il senso attuale appare chiaro se si sostituisce “popolo” con “Gentili”, e “sovrano” con “Israele”: «Il popolo nutrirà per il sovrano un sentimento di venerazione talmente profondo da avvicinarsi all’adorazione, specialmente quando si convincerà che i suoi dipendenti seguono i suoi ordini ciecamente e che egli solo regna su di essi. Il popolo si rallegrerà vedendoci regolare la nostra esistenza come se fossimo genitori desiderosi di educare la propria prole in un sentimento profondo del dovere e dell’ubbidienza» (XV, p. 133). Ed oggi è innegabile questa accondiscendenza e senso di inferiorità verso Israele da parte del resto del mondo.
Cogliamo in questa parte l’occasione di riportarne alcuni brani che pur potendo trovare localizzazione in svariate parti di questo libro, riteniamo più opportuno non disperdere ma unificare qui per analizzarli in un contesto unitario.
Premettiamo per facilitarne la comprensione immediata, che in sostanza i propositi degli autori dei protocolli non sono di impadronirsi direttamente del potere, ma di agevolare la presa del potere nei governi altrui da parte di persone incapaci, che portino il sistema di quel paese all’inefficienza, secondo la logica “mors tua, vita mea”. Per essere il migliore non serve sforzare se stesso, basta più semplicemente fare in modo che divengano peggiori gli altri. Tanto peggio si vive oggi, tanto più si gioirà all’avvento del sistema promesso, e si cederà alla fine il potere “agli autori”.
“Quanto i mezzi sono diabolici tanto il regime finale è positivo, desiderabile. I Protocolli si presentano quindi come un catechismo composito in cui sulla bocca degli stessi protagonisti l’astuzia si alterna alla saggezza, la rivoluzione alla restaurazione, il male d’oggi al bene di domani” (Sergio Romano)
Nei protocolli si può distinguere una parte effettivamente destinata ad istruzioni per il perseguimento degli scopi, ed un’altra fittizia -------; ovvero una parte è destinata a dire cosa è bene per se stessi, e l’altra cosa è male per gli altri, ma che proprio per questo bisogna far perseguire ad essi, ovvero propagandare come buona.
Per quanto riguarda la prima cosa, vengono attaccati i princìpi liberali e di uguaglianza, che sarebbero «il simbolo della forza bestiale che trasforma le popolazioni in belve assetate di sangue» (III, p. 64).
«[L’eguaglianza] non esiste nella natura, la quale crea calibri diversi e disuguali di mente, carattere, capacità» (I, p. 50), perciò «la vera eguaglianza non può esistere, data la natura diversa delle varie qualità di lavoro» (III, p. 60).
«[il suffragio universale fa ottenere] la maggioranza assoluta», la quale «non si potrebbe ottenere dalle classi educate o da una società divisa in caste» (X, p. 90).
«Quando la massa del popolo ha delle idee politiche sbagliate, si volge a concezioni utopistiche con il risultato di diventare un insieme di pessimi sudditi» (XVI, pp. 135-136).
Un «operaio del proletariato, curvato dalle sue dure fatiche e oppresso dal destino», non riceve nessun vantaggio «dal fatto che un cialtrone ottiene il diritto di parlare, od un giornalista quello di stampare qualsiasi sciocchezza». La costituzione non giova a nulla al proletariato, mentre «i diritti repubblicani sono un’ironia per il povero, perché la dura necessità del lavoro quotidiano gli impedisce di ricavare qualsiasi beneficio da diritti di tal genere e non fa che togliergli la garanzia di uno stipendio fisso e continuo rendendolo schiavo degli scioperi, di chi gli dà lavoro e dei suoi compagni» (III, p. 58).
«Quando la plebe si avvide che in nome della libertà le venivano concessi diritti di ogni genere, si immaginò di essere la padrona e tentò di assumere il potere. Naturalmente si imbatté, come un cieco qualsiasi, in ostacoli innumerevoli» (III, p. 62).
«Al momento attuale questi concetti prevalgono con grande successo, e le conseguenze sono i furti e la violenza compiuti sotto lo stendardo del diritto e della libertà» (XXIII, pp. 174-175).
«[Il regime costituzionale] non è altro che una scuola di dissensioni, disaccordi, contese e inutili agitazioni di partito: in breve, essa è la scuola di tutto ciò che indebolisce l’efficienza del governo» (X, p. 93).
«Ogni Repubblica attraversa varie fasi. La prima fase è rappresentata dai primi giorni di furia cieca, quando le turbe annientano e distruggono a destra e a sinistra. La seconda è il regno del demagogo, che promuove l’anarchia ed impone il potere assoluto. Questo dispotismo non è ufficialmente legale ed è, pertanto, irresponsabile: esso è nascosto ed invisibile, ma nel medesimo tempo si fa sentire. Esso è generalmente controllato da una organizzazione segreta la quale agisce dietro le spalle di qualche agente ed è conseguentemente tanto più audace e senza scrupoli. A questa forza segreta non importerà di mutare gli agenti che la mascherano. Questi mutamenti aiuteranno persino l’organizzazione, la quale con questo mezzo si sbarazzerà dei suoi vecchi servitori, ai quali avrebbe dovuto dare un forte premio, data la durata del loro servizio» (IV, p. 65).
«I Presidenti dei Consigli dei Ministri [sono dei] dittatori» che commettono impunemente «abusi per il più piccolo dei quali» i popoli liberali «avrebbero ucciso cento re» (III, p. 63).
«[Le università sfornano] giovani inesperti, imbevuti di idee circa nuove forme costituzionali, come se queste fossero commedie o tragedie; oppure dediti ad occuparsi di questioni politiche che neppure i loro padri comprendevano» (XV, p. 135).
«La professione di giureconsulto rende coloro che la esercitano freddi, crudeli e ostinati, li priva di tutti i princìpi e li obbliga a formarsi un concetto della vita che non è umano, ma puramente legale. Si abituano anche a vedere le circostanze soltanto dal punto di vista di quanto si può guadagnare facendo una difesa, senza badare alle conseguenze che essa può avere sul benessere pubblico. Un avvocato non rifiuta mai di difendere una causa. Egli farà di tutto per ottenere l’assoluzione a qualunque costo, attaccandosi ai più meschini cavilli della giurisprudenza, e con questi mezzi egli demoralizza il tribunale» (XVII, p. 140).
«Il popolo è assoggettato nella miseria dal sudore della sua fronte in un modo assai più formidabile che non dalle leggi della schiavitù. Da quest’ultima i popoli poterono affrancarsi in un modo o in un altro, mentre nulla li potrà liberare dalla tirannide della completa indigenza» (III, p. 57).
«Oggi giorno il popolo, avendo distrutto i privilegi dell’aristocrazia, è caduto sotto il giogo di furbi sfruttatori e di gente venuta dal nulla» (III, p. 58).
«La popolazione, in regime repubblicano, condanna gli innocenti e assolve i colpevoli» (III, p. 63).
«Che genere di governo si può dare ad una società nella quale il subornamento e la corruzione sono penetrate ovunque; dove le ricchezze si possono ottenere solamente di sorpresa e con mezzi fraudolenti; dove il dissenso prevale in tutto, e la moralità si mantiene unicamente per mezzo del castigo e di leggi severe, e non in conseguenza di princìpi volontariamente accettati; dove il sentimento patriottico e religioso affoga nelle convinzioni cosmopolitiche?» (V, p. 68).
«Soltanto un autocrate può concepire piani più vasti, assegnando la sua parte a ciascun ente del meccanismo della macchina statale» (I, p. 47).
«L’aristocrazia, la quale – per diritto - spartiva il guadagno delle classi operaie, si interessava perché queste classi fossero ben nutrite, sane e robuste» (III, p. 59).
«[Ma i liberali fautori dei princìpi della rivoluzione francese] tolsero al mondo la prosperità ed all’individuo la vera libertà personale, che prima era stata così bene salvaguardata»(I, p. 49).
«La sola vera e più importante di tutte le scienze [è quella] della vita dell’uomo e delle condizioni sociali, le quali richiedono entrambe la spartizione del lavoro e conseguentemente la classificazione degli individui in caste e classi. E’ assolutamente indispensabile che tutti sappiano che la vera eguaglianza non può esistere, data la natura diversa delle varie qualità di lavoro; e che pertanto coloro i quali agiscono a detrimento di tutta una casta incorrono in una responsabilità ben diversa, davanti alla legge, di quelli che commettono un delitto nocivo soltanto al loro onore personale». «[La scienza sociale] convincerebbe il mondo che il lavoro e gli impieghi si dovrebbero assegnare a caste ben distinte, allo scopo di evitare le sofferenze umane derivanti da un’educazione non rispondente al lavoro che gli individui sono chiamati ad eseguire». «[La conoscenza di questa scienza indurrebbe il popolo a sottomettersi] volontariamente ai poteri governativi e alle caste di governo classificate da essi» (III, pp. 60-61).
«La libertà non consiste nella dissolutezza, né nel diritto di fare ciò che si vuole»; «[la vera libertà] consiste unicamente nell’inviolabilità di persona, di domicilio e di proprietà per chiunque aderisce onestamente a tutte le leggi della vita sociale» (XXII, p. 171).
«Perché la forza cieca del popolo non può esistere per un solo giorno senza un Capo che la guidi» (I. p. 142). «Coloro i quali, emergendo da essa, vengono chiamati al governo, sono ugualmente ciechi in fatto di politica» (I, p. 50).
«Può una mente sana e logica sperare di governare una massa con successo per mezzo di argomenti e ragionamenti, quando sussiste la possibilità che essi siano contraddetti da altri i quali, anche se assurdi e ridicoli, vengano presentati in guisa attraente a quella parte della plebe, che non è capace di ragionare o di approfondire, guidata come è interamente da piccole passioni e convenzioni, o da teorie sentimentali? Il grosso della plebe, non iniziata e ignorante, assieme a coloro che sono sorti e saliti da essa, vengono avviluppati da dissensi di partito, che rendono impossibile qualsiasi accordo anche sulla base di argomenti sani e convincenti. Ogni decisione della massa dipende da una maggioranza casuale o predisposta la quale, nella sua totale ignoranza dei misteri politici, approva risoluzioni assurde, seminando in questo modo i germi dell’anarchia» (I, pp. 43-44). ---già messo altrove-----
«E’ forse possibile che le masse possano giungere tranquillamente ad amministrare senza gelosia gli affari di Stato che non devono confondere con i loro interessi personali? Possono le masse organizzare la difesa contro il nemico esterno? Ciò è assolutamente impossibile, perché un piano suddiviso in tante parti quante sono le menti della massa, perde il suo valore e quindi diventa inintelligibile e ineseguibile». (I, pp. 46-47).
Abbiamo già visto come il protestantesimo abbia in comune con l’ebraismo l’avversione verso le teorie distributiste.
«Per stabilire l’ordine nella società dei Gentili nella quale abbiamo profondamente inculcato i dissidi ed i dogmi della religione protestante, prenderemo provvedimenti spietati i quali dimostreranno alle nazioni che il nostro potere non può essere violato»(XV, p. 121).
Vedremo più avanti come effettivamente sia meglio il male fatto a fin di bene che il bene fatto non solo a fin di male, ma anche fosse a fin di bene.
«Il male è l’unico mezzo per raggiungere il bene. Pertanto non dobbiamo arrestarci dinanzi alla corruzione, all’inganno e al tradimento, se questi mezzi debbono servire al successo della nostra causa» (I, p. 48).
«Per ottenere questi risultati predisporremo le cose in modo che siano eletti alla carica presidenziale individui bacati, che abbiano nel loro passato uno scandalo tipo “Panama”, o qualche altra transazione losca e segreta. Un presidente di tale specie temerà di essere denunziato, e sarà sotto l’influenza di questa paura la quale si impadronirà di colui il quale, salito al potere, è ansioso di conservarsi i privilegi e gli onori inerenti alla sua alta carica» (X, p. 94).
«Nel frattempo, fintanto che non sarà prudente riempire gli incarichi di governo con i nostri fratelli, affideremo tali posti importanti a individui la cui fama e il cui carattere siano così cattivi da scavare un abisso fra essi e la Nazione, ed anche gente di tal risma, che abbia timore di finire in galera, se ci disobbedirà» (VIII, p. 82).
«Per impadronirci della pubblica opinione dovremo anzitutto confonderla al massimo grado mediante la espressione da tutte le parti delle opinioni più contraddittorie, affinché i Gentili si smarriscano nel labirinto delle medesime. Ed allora essi comprenderanno, che la miglior via da seguire è quella di non avere opinioni in fatto di politica; la politica non essendo cosa da essere intesa dal pubblico, ma riservata soltanto ai dirigenti gli affari» (V, pp. 72-73).
«Allo scopo di rovinare le industrie dei Gentili e di aiutare la speculazione, incoraggiammo l’amore pel lusso sfrenato, che abbiamo già sviluppato» (VI, p. 76).
«Date le condizioni attuali della scienza, che segue una linea tracciata da noi, la plebe, nella sua ignoranza, crede ciecamente nelle parole stampate e nelle illusioni erronee opportunamente ispirate da noi, ed odia tutte le classi che crede più elevate della sua» (III, p. 61).
«Ed è precisamente in questa differenza di mentalità tra noi e i Gentili, che possiamo facilmente riconoscere di essere gli eletti di Dio nonché la nostra natura sovrumana, in paragone con la mentalità istintiva e bestiale dei Gentili. Costoro non vedono che i fatti, ma non li prevedono e sono incapaci di inventare qualsiasi cosa, eccetto le materiali» (XV, p. 127).
«Fin tanto che i prestiti erano interni, i Gentili non facevano che trasferire il denaro dalle tasche dei poveri in quelle dei ricchi; ma quando riuscimmo, corrompendo chi di ragione, a far sostituire prestiti all’estero a quelli all’interno, tutte le ricchezze degli Stati affluirono nelle nostre casseforti, e tutti i Gentili principiarono a pagarci ciò che si può chiamare tributo. A causa della loro trascuratezza nella scienza del governo, o a causa della corruzione dei loro ministri, o della loro ignoranza in fatto di finanza, i sovrani gentili hanno reso i loro paesi debitori delle nostre banche ad un punto tale, che non potranno mai redimere le loro ipoteche» (XX, p. 162).
Più avanti vedremo anche come il marxismo non fosse altro che uno specchio per allodole per distrarre i “rivoluzionari” da propositi veramente tali, per incanalarli su teorie sballate che non portino a nulla. Esso finge di desiderare la liberazione del proletariato dal giogo del capitalismo, ma in realtà mira ad asservirlo e ad opprimerlo.
«Per evitare che i Gentili comprendano prematuramente il vero stato delle cose, nasconderemo il nostro piano sotto l’apparente desiderio di aiutare le classi lavoratrici alla soluzione dei grandi problemi economici: questa nostra propaganda viene aiutata in tutto e per tutto dalle nostre teorie economiche» (VI, p. 77), cioè dalle teorie marxiste, «[il cui successo] fu intieramente preparato da noi» ( II, p. 54), cioè fu una conseguenza dei princìpi liberali.
«Noi abbiamo l’intenzione di assumere l’aspetto di liberatori dell’operaio, venuti per affrancarlo da ciò che lo opprime, quando gli suggeriamo di unirsi alla fila dei nostri eserciti di socialisti, anarchici e comunisti» (III, p. 59).
Come si può notare, notevoli sono le assonanze con il resto del nostro testo, concetti espressi similari ------- e questo ci ha resi consapevoli di quanto sia facile plagiare il pamphlet di -----Joly anche senza averlo mai letto precedentemente, dato che esso semplicemente scrive cose di per sé evidenti.
Non si può non vedere in questi passi dei protocolli la filosofia guida mantenuta dalla politica interna di Israele nei punti più vicini al fascismo nelle critiche. Queste stesse critiche sono quelle oggi in gran voga negli Usa in senso autocritico, espresse specialmente nei cartoni animati satirici del tipo “I Simpson” e “South Park”.
Verrebbe veramente difficile credere che una tale squisita analisi socio-politica sia stata originata da un intenzione puramente satirica. Se così fosse, l’autore avrebbe involontariamente colto nel segno. Ma è veramente difficile ritenerlo casuale. Forse, come nei cartoni animati suddetti, è intenzionale.
Il punto fondamentale è che non è importante chi li abbia scritti. Deve importare cosa vi è scritto. E secondariamente, perché.
Quindi sono vero o falsi? La risposta più esatta è paradossale: sono veri seppur falsi. Solo in un simile ambito si poteva giungere ad un risultato simile…
Tutto questo è confermato anche con l’assonanza tra
hitlerismo e marxismo ma con parole diverse. I principi marxisti alimentano
l’hitlerismo che li traspone alla razza più che alla classe. Ad esempio i
tratti sociali dell’ebreo, tracciati da Marx nel suo “La questione ebraica”,
sono riproposti fedelmente da Hitler, inseriti nelle caratteristiche di razza,
non di classe. Hitler e Stalin come è noto si ammiravano reciprocamente. Furono
attuatori di quel naturalismo e materialismo professato dai “padri” delle loro
“rivoluzioni”.
“Conoscendo bene la testarda idiozia dell’umanità intera non dobbiamo poi stupirci dei risultati. E’ così che il gregge del proletariato e della borghesia rientra nella stalla, pronto a rieleggere coloro che lo hanno appena ingannato” (Adolf Hitler “Mein Kampf” cap. 1)
Non c’è da stupirsi quindi nell’apprendere come l’ascesa al potere di Hitler sia stata ampiamente finanziata dal più acerrimo nemico per antonomasia del fascismo, la “culla” della filosofia economica nordista: “Wall Street”. Come se potesse non bastare a conferma anche solo la semplice considerazione dell’episodio della “notte dei lunghi coltelli”… Il senso principale del massacro fu quello descritto con precisione da Julius Evola: Fra le SA, le Camicie Brune, il cui capo era Ernst Röhm, si era fatta largo l’idea di una “seconda rivoluzione” o di un secondo tempo della rivoluzione; si denunciava il sussistere nel Reich di gruppi reazionari, che erano quelli della destra, e una combutta di Hitler coi “baroni dell’esercito e dell’industria” (...) Ebbene, il 30 giugno 1934 valse essenzialmente come la stroncatura di questa corrente radicalista del partito e di un suo supposto complotto. Solo dopo l’eliminazione del suo rivale “di sinistra” Röhm, Hitler può configurare il nazionalsocialismo come un’ideologia prettamente liberista, abbandonando ogni ipotesi rivoluzionaria e quindi rimanendo “socialista” solo nel nome; del fascismo originario mantenendo solo l’esteriorità per motivi propagandistici di immagine pubblica e per trascinarlo a fondo con sé. Anche Alfred Rosenberg al processo di Norimberga accusò Hitler di aver abusato del nazionalsocialismo. Un fatto su cui non sussiste alcun dubbio è che Hitler approdò in quel partito il 12 settembre 1919 come infiltrato dalla sezione politica dell’esercito di Weimar[148], ed in pochi mesi lo trasformò da gruppuscolo in partito consolidato, grazie a denaro la cui origine è ufficialmente ignota, e facendovi affluire in gran numero i membri della Società Esoterica di Thule, la Thulegesellschaf, che altro non è se non una tipica loggia massonica.
“Non fu una vittoria, perché mancarono i nemici” (Oswald Spengler a proposito della nomina di Hitler a Cancelliere[149])
Fondamentalmente quindi, il motivo per cui il fascismo è venuto in contrapposizione con l’ebraismo fu dovuto dalla sopraggiunta consapevolezza di quale fosse il principale ostacolo internazionale alla realizzazione dei progetti socio-economici distributisti mussoliniani: il gruppo sociale egemone nella massoneria nordista come propagandista del sistema economico liberista, derivazione diretta della cultura ebraica trasposta nell’economia. Di conseguenza il fascismo non poté esimersi dall’opporsi a queste basi culturali, con il pur consapevole scotto di apparire agli occhi dell’opinione pubblica mondiale come un “retrivo antisemitismo”. Ma da qui ad arrivare ad accusare il fascismo di antisemitismo nel senso razziale del termine ce ne dovrebbe passare…
« Considerando che in molti paesi determinati gruppi di ebrei si sono installati da tempo, ed esercitano in un contesto aperto ma in modo occulto un’influenza pregiudizievole per gli interessi materiali e morali del paese che li ospita, costituendo una sorta di Stato nello Stato approfittando di tutti i vantaggi e rifuggendo tutti gli svantaggi, ritenendo che essi sono inclini a fornire supporto agli elementi internazionali della rivoluzione comunista che sarebbe distruttiva per l’idea di patriottismo e di civiltà cristiana, la Conferenza denuncia la nefasta azione di questi elementi ed è pronta a combatterli » (dalla risoluzione sull’antisemitismo presentata al Congresso Fascista di Montreux, 1934)
Ciò potrebbe apparire paradossale constatando che Israele è l’unico Stato al mondo ad aver applicato un economia di tipo distributista, caratteristica fondante dei kibbutz, che sono alla base del suo sistema sociale e produttivo. Ma si deve tener conto del discorso fatto sugli stati nazionali e sulla preminenza che Israele sopratutti dà a questo concetto di “unità di stirpe” entro il quale agire solidaristicamente secondo i princìpi organicisti comuni anche al fascismo: nel loro Stato gli Israeliani non hanno la necessità di primeggiare tramite sotterfugi su una massa considerata estranea come invece avviene per gli ebrei dispersi nel mondo tra popoli diversi. Ciò può essere sintetizzato dal presupposto che anche la religione ebraica proibisce il prestito a interesse, ma solo nei confronti dei propri simili. E conseguentemente nella loro “terra promessa” non avendo né la necessità di stabilire un egemonia su estranei, né la volontà di primeggiare sui loro connazionali, possono permettersi senza alcun problema di applicare un sistema economico distributista, evidentemente considerato da essi stessi migliore, ristrettamente al loro ambito di popolo, simboleggiato nello Stato di Israele, escludendone ovviamente i palestinesi quale corpo estraneo allogeno[150] da tenere separato. A tale proposito è indicativo citare il caso di Vladimir Jabotinsky, leader sionista e fondatore della “jewish self-defense organization”, e tra i fondatori dell’Irgun. Fu un fervente ammiratore del sistema politico fascista tanto quanto un accanito detrattore dell’hitlerismo. E non si tratta di un caso isolato.
«Si può essere pieni di ammirazione per la vitalità della cultura fascista, per lo stesso senso di unità che il fascismo restituiva alla collettività, ma nello stesso tempo aborrire il totalitarismo, lo Stato poliziesco, il crimine politico. Non si è necessariamente candidati al posto di guardiani di campi di concentramento o di servi delle dittature se si riesce a percepire quello che i dissidenti degli anni ’30 ammiravano nello spirito del tempo e cioè la rivolta contro la concezione utilitaristica della società» (Zeev Sternhell)
Non è quindi stupefacente che in alcuni ambienti neofascisti la politica interna dello Stato di Israele sia entusiasticamente lodata. Dopotutto anche nei “Protocolli dei Savi di Sion” si possono ritrovare determinate linee guida proprie (o fatte proprie?) del fascismo --difatti------ essi sono da un lato una requisitoria contro il liberalismo e un’apologia dell’autocrazia, dall’altro la spiegazione della causa che (per l’autore dello scritto) ha prodotto la rovina della forma di governo autocratica e la nascita di quella democratica. Punti quali “il concetto della libertà non è realizzabile, perché nessuno sa adoperarla con discrezione” (I, p. 42) o ------------------------ sembrano usciti dalla bocca di un Mussolini!
D’altra parte, un mese prima del congresso di Montreux si era dichiarato “sionista” nientemeno che Benito Mussolini, il quale non aveva ancora imboccato la strada di una politica mediterranea coerente e non aveva ancora optato per la scelta inequivocabilmente filoaraba (9). Nel corso di un colloquio con Nahoum Goldmann, il Duce si era allora espresso in questi termini: “Ma voi dovete creare uno Stato Ebraico. Io sono sionista, io. L’ho già detto al dottor Weizmann. Voi dovete avere un vero Stato [un véritable État] e non il ridicolo Focolare Nazionale che vi hanno offerto gli inglesi. Io vi aiuterò a creare uno Stato Ebraico” (10).
9.. Cfr. Enrico Galoppini, Il Fascismo e l’Islam, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 2001.
(10) Meir Michaelis, Mussolini e la questione ebraica, Comunità, Milano 1982, p. 84.
Sia gli incontri di Mussolini con Weizmann e Goldmann sia i rapporti più stretti con Jabotinsky e i sionisti revisionisti vengono spiegati da Renzo De Felice in questo modo: “il prosionismo di Mussolini del 1933-34 e in qualche misura ancora dei primi mesi del 1935, molto più che a porsi come mediatore tra ebrei e arabi e sostituire la propria egemonia a quella inglese in Palestina (ereditando tutte le difficoltà e gli oneri connessi), mirava - oltre che a guadagnarsi simpatie in Europa e in America, presentandosi come protettore degli ebrei (ma senza esporsi troppo per non pregiudicarsi quelle degli arabi) - ad accrescere la tensione in Palestina e, quindi, a creare - lo ripetiamo - ulteriori difficoltà all’Inghilterra in uno dei punti più nevralgici del suo impero” (11).
(11) Renzo De Felice, Il fascismo e l’Oriente, Il Mulino, Bologna 1988, p. 310.
Non può stupire quindi che in origine l’installazione ebraica in Palestina si sia sviluppata attorno alla filosofia socio-economica distributista dei kibbutz, sviluppati soprattutto a partire dal 1931 fino ai primi anni dello Stato di Israele. Tale organizzazione sociale dei kibbutz caratteristica della mentalità ebraica (collegare con razzismo e ricondurre a concezione della ricchezza).
Salario + dividendo: così la quota salario non verrà più a rappresentare il salario totale, ma la differenza di appetibilità delle rispettive mansioni. Mentre il dividendo sarà l’incentivo alla produttività uguale per tutti. ----già messo – mettere come paragone kibbutz -- non ancora scritto – su libro.
Difetto di kibbutz: economia chiusa, autarchica (parzialmente) ---su critiche a socializzazione?-----
All’interno di un kibbutz vige una economia semi-autarchica, quindi non vi sono salari o retribuzioni in moneta, ma suddivisione dei frutti del lavoro diretto. Solo di quel poco che viene scambiato con l’esterno viene suddivisa moneta, in maniera uguale per tutti. Tale può essere considerato come il dividendo (o ristorno?) delle aziende normali, mentre la divisione dei frutti del lavoro può essere equiparata alla retribuzione a seconda della mansione svolta.
Oggi sono rimasti 269 kibbutz – 123.900 persone. Quindi ogni kibbutz in media 460 persone. Oggi privatizzazione kibbutz? ---riguardo fatto che azienda socializzata inserita in concorrenza non regge -------
Il dato peculiare che tendiamo a sottolineare è che nei kibbutz, i dirigenti più che esercitare un controllo come i dirigenti di fabbriche con dipendenti salariati, possono limitare il loro ruolo a mero coordinamento. Difatti non vi è alcuna forma di controllo, monitoraggio, verifica o assistenza verso i lavoratori. Ogni lavoratore gestisce autonomamente la produzione sia nei tempi che nei metodi. In pratica l’antitesi del taylorismo in voga nei sistemi produttivi classici. Tutti i membri si conformano di propria volontà alle norme, valori e credenze sulle quali è fondato il sistema produttivo collettivo, stimolati nel loro impegno e dedizione ed identificandosi fortemente negli obiettivi, favorendo autonomamente il rispetto di una severa disciplina all’interno dell’azienda. (coesione di gruppo).
Se si obbiettasse che anche molti paesi nemici di Israele mantengono un economia liberista, la risposta è che è proprio questo a confermare che evidentemente anche quei paesi poi così nemici in realtà non lo sono… Conferma ne è che quelli che in passato possono esserne considerati effettivamente come nemici, difatti sono anche quelli che hanno cercato di svincolarsi dal liberismo arrivando ad ipotizzare il cosiddetto “socialismo arabo” prendendo gli spunti per realizzarlo dal corporativismo mussoliniano per coniugarlo con i dettami del Corano.
“I tentativi compiuti per risolvere il problema delle proprietà non hanno risolto quello dei lavoratori in quanto produttori, che permangono ancora dei salariati, “anche se” la concezione della proprietà attraverso varie tappe intermedie, si è spostata dalla estrema destra alla estrema sinistra, con diverse posizioni intermedie. E’ una beffa che i bisogni dell’uomo siano regolati mediante procedure legali, amministrative o simili, mentre su di essi sostanzialmente si fonda la società stessa in base a norme naturali. L’obiettivo della società socialista è la felicità dell’essere che non si realizza se non nell’ambito delle libertà materiali e morali. La realizzazione di dette libertà dipende dal modo in cui l’uomo è padrone delle sue cose, in modo che deve essere sicuro ed inalienabile. Pertanto ciò che deve soddisfare i bisogni di un individuo non deve essere proprietà di altri, roba esposta ad essere sottratta all’uomo da qualunque parte della società. Altrimenti, l’individuo vive in uno stato d’ansia che gli porta via la felicità, riducendolo ad essere non libero che vive nella paura di interferenze esterne. La trasformazione delle società contemporanee da società di salariati a società di soci, è fatale conseguenza dialettica delle tesi economiche contrastanti esistenti nel mondo di oggi, ed è anche fatale conseguenza delle ingiustizie inerenti al sistema salariale, e non ancora risolte. Le forze incombenti dei sindacati dei lavoratori nel mondo capitalista, costituiscono una garanzia per la trasformazione delle società capitalistiche da società di salariati in società di associati. La rivoluzione per la realizzazione del socialismo ha inizio nel momento in cui i lavoratori (produttori) prenderanno possesso delle parti loro spettanti nella produzione che essi stessi realizzano. A questo punto il motivo degli scioperi dei lavoratori cambierà: da una richiesta di aumento di salario si passerà ad una richiesta di partecipazione alla produzione. Seguendo i principi del “Libro Verde” tutto questo prima o poi sarà una realtà” (Dal “Libro verde” di Muhammar Gheddafi)
Riguardo Israele, i dubbi sull’individuare su come è “relazionato” il rapporto fra il suo governo e il mondo esterno, permangono in maniera evidente. Come restano molte perplessità su come l’Occidente Europeo giudica le attività di Israele nel mondo. Incoerente appare l’incondizionato sostegno datogli se lo si paragona al contemporaneo boicottaggio di uno Stato come la Repubblica Sudafricana a causa della stessa politica di apartheid che anche Israele incontrovertibilmente praticava[151] e pratica tuttora. Nel loro burrascoso rapporto matrimoniale -------- che asserisce che lo stato ebraico è il loro maggior alleato, se sapessero che gli agenti israeliani piazzarono bombe incendiarie nelle installazioni americane in Egitto nel 1954 in un attentato per indebolire le relazioni tra Nasser e gli Stati Uniti; se sapessero che lo spionaggio israeliano, in particolare spiando Jonathan Pollard, ha fatto terribili danni agli interessi americani; se sapessero che ---1981 Khomeini accusa gli Stati uniti della strage di Teheran (72 morti per bomba nella sede del Partito islamico). --------. Per non parlare poi delle Twin tower… Avendo già accennato all’utilizzo della provocazione (spesso come “false flag”) da parte degli Stati Uniti come scusa per aggredire altri paesi, non si può non fare un parallelismo con l’incoerenza di quando nel 1967 una nave da guerra americana fu impunemente bombardata da aerei israeliani, con 34 morti, e non si può non tener conto di come gli Stati Uniti solitamente abbiano dichiarato guerre per molto meno...
Oltre ad Israele e all’effimero tentativo ucraino del 1919-21, la socializzazione non ha finora avuto applicazione in altri contesti.
Come abbiamo visto l’unica altra esperienza simile --- in Spagna: Mondragon----- inserita però in un sistema di concorrenza liberista------ non può sviluppare le sue potenzialità.
A parte slogan anticlassisti le alternative pratiche pur essendo già state elaborate da distributisti e fabianisti, per lungo tempo rimasero misconosciute o sottovalutate. Fu la crisi del ’29 ad accelerarne lo sviluppo ed a farle uscire dallo stato di “prototipo”.
“Il fascismo è nato come supremo sforzo di un popolo civile… per attuare una forma di comunismo civile. Il comunismo fascista si chiama corporativismo. E qui…si ripresenta il problema uno e bino del fascismo tutto, che è un problema di libertà nel collettivismo, e di collettivismo nella libertà” (Camillo Pellizzi, Postilla, “Il Selvaggio”, 1° maggio 1932)
Dall’incalzante
ma cauto progredire del progetto corporativo mussoliniano presero entusiastica
origine i coraggiosi studi di Ugo
Spirito nel 1932, che col nome di “corporazione
proprietaria” auspicò la possibilità che la proprietà dei mezzi di
produzione fosse tolta ai privati ed affidata alle corporazioni: “Dati i termini del problema, così come è
stato da noi impostato, la soluzione logica appare quella della corporazione
proprietaria e dei corporati azionisti della corporazione. (…) Il capitale
passa dagli azionisti ai lavoratori, i quali diventano proprietari della
corporazione per la parte loro spettante in conformità dei particolari gradi
gerarchici: il che importa che i corporati non si sentano stretti nel sindacato
da una necessità di difesa che è ai margini della vita economica e trascende
nel politicantismo, ma siano uniti dal vincolo della comproprietà, attraverso
il quale la corporazione acquista concretezza di organismo, e piena
consapevolezza del proprio compito economico e politico. Il capitalista non è
più estraneo e non ignora come si amministra la sua proprietà, ma l’amministra
egli stesso coincidendo con la figura del lavoratore; e il lavoratore, d’altra
parte viene ad essere immediatamente interessato al rendimento del suo lavoro,
in quanto esso si converte in aumento di reddito del suo capitale.(…) Lo stato,
infine, non ha più bisogno di controllare e d’intervenire dall’esterno, ed è
sempre presente per il fatto stesso che la corporazione è un suo organo ed è un
organo che s’innesta nell’organismo attraverso il Consiglio nazionale delle corporazioni.
Lo stato non entra più come giudice conciliatore o come impresa di salvataggio,
ma è la realtà stessa della corporazione vista nel sistema nazionale” (Ugo
Spirito)
Tale teoria si contrappone quindi alla liberista “anarchia produttiva” e al leninista “dirigismo statale”. Ugo Spirito definiva l’esperienza storica fascista un comunismo tecnico. Secondo il giornalista e storico Luigi Carlo Schiavone, favorendo la fusione tra capitale e lavoro, Spirito propugnava il superamento dell’antagonismo fra proprietari e lavoratori dipendenti da realizzarsi grazie al passaggio del capitale dai proprietari ai lavoratori, che diventerebbero così soci-proprietari alla pari. Questa teoria prevedeva lo scioglimento del sindacalismo nel corporativismo integrale, rendendo superflua l’esistenza delle associazioni di categoria, favorendo così la piena identificazione dell’individuo nella società ed affermando così il vero valore etico del programma sansepolcrista; perciò fu duramente avversata sia dalla “destra” fascista (i futuri “venticinqueluglisti”), rappresentante dell’industria e della borghesia conservatrice e monarchica, che la bollò come “eretica” e la tacciò di “puro bolscevismo”; sia dalla sinistra sindacale che, dopo aver accusato Spirito d’essere dotato di scarsa sensibilità sociale, criticò la sua tesi sottolineandone pretestuosamente presunti tratti utopici. Indicativo in tal senso il cambiamento di rotta avvenuto nel 1936, quando 62 dirigenti comunisti, fra cui Togliatti, Longo, Di Vittorio e Leo Valiani, redissero il manifesto del PCI, che dichiara: “Noi comunisti facciamo nostro il programma fascista del 1919, che è un programma di pace, di libertà, di difesa degli interessi dei lavoratori (…) siamo disposti a lottare con chiunque voglia davvero battersi contro il pugno di parassiti che dissangua ed opprime la nazione e contro quei gerarchi che li servono (…) sono questi grandi magnati del capitale che impediscono l’unione del nostro popolo, mettendo fascisti e antifascisti gli uni contro gli altri, per sfruttarci tutti con maggiore libertà”.[152] Ma con il nuovo codice civile del 1942 si consolidò la concezione borghese ed individualistica della proprietà, su cui anche Mussolini espresse perplessità pur essendo costretto ad approvarlo a causa delle contingenze belliche già duramente provate dal continuo boicottaggio attuato dalla borghesia industriale italiana. La chiave di volta degli avvenimenti successivi fu il discorso tenuto da Giovanni Gentile in Campidoglio il 24 giugno 1943, inserito nel contesto della “terza ondata” promessa da Mussolini nel 1938, che letto in parole povere significava il tanto sospirato avvio della preparazione delle basi per l’attuazione della socializzazione distributista.
“chi parla oggi di comunismo in Italia è un corporativista impaziente delle more necessarie di sviluppo di un’idea, che è la correzione tempestiva dell’utopia comunista e l’affermazione più logica, e perciò più vera, di quel che si può attendere dal comunismo” (Giovanni Gentile, 24 giugno 1943[153])
Il nazionalcomunismo («il comunismo di Giovanni Gentile» come lo chiamerà Ugo Spirito) di “Genesi e Struttura della società”, il comunismo nazionale italiano, l’unico autentico comunismo italiano, come rileverà anche Ugo Spirito dopo la guerra, comunismo tecnico centrato sul concetto dello Stato del lavoratore.
Nei giorni seguenti il ministro delle corporazioni Tullio Cianetti[154] presentava direttamente a Mussolini una dettagliata proposta di legge sulle modalità con le quali la socializzazione avrebbe dovuto essere attuata. Mussolini se ne disse entusiasta, proponendosi inizialmente di presentarlo entro ottobre[155], ma di fronte alle pressioni di Cianetti sulla necessità impellente della “terza ondata” per precedere gli avversari già frementi, accettò di anticipare a luglio.
Se si tiene conto che tali asserzioni e propositi si inseriscono temporalmente in un contesto internazionale nel quale si vede l’Urss sempre più in contrasto con i suoi alleati del periodo, ed il contemporaneo lavoro in comune italo-giapponese per convincere Hitler a fare la pace con Stalin (quest’ultimo se ne era sempre dichiarato ben disposto), sostenuti dalla quasi totalità dei satelliti dell’Asse (esclusa la sola Finlandia) i quali auspicavano addirittura misure “energiche” da parte di Mussolini per sostituire Hitler alla guida dell’alleanza, si può intuire quanto in ambienti massonici si presentassero prospettive sgradite da impedire con ogni mezzo. Difatti intervenne il “25 luglio”[156], ed Hitler poté così rimanere saldamente alla guida dell’Asse sempre intento nei suoi folli sedicenti propositi e delle scelte messe in atto per raggiungerli: sistematicamente la più assurda tra tutte quelle disponibili. Cui prodest?
“Adolf Hitler è stato il miglior agente segreto che il capitalismo internazionale abbia mai avuto, il vero responsabile della scomparsa del fascismo” (Stanis Ruinas)
Non dovrebbe essere necessario citare il caso di Vlasov e del suo fascismo russo, accanitamente ostacolato da Hitler. Hitler non aveva alcuna intenzione di invadere l’Urss per liberarla dal comunismo ed instaurarvi il fascismo, ma solo di prendere possesso diretto di quel grano che fino dai primi anni ’30 Stalin gli aveva praticamente regalato affamando gli ucraini. Quindi la volontà di un attacco all’Urss può essere stato determinato in Germania da un solo motivo: l’aumento del prezzo chiesto per quel grano. Considerato che la razione alimentare per gli ucraini aumentò sempre più dalla fine degli anni ’30 e fino al 1941, ovviamente a scapito del grano inviato all’estero, la deduzione è matematica.
“La nostra situazione economica è tale che, a causa delle restrizioni che ci limitano, non possiamo resistere che qualche anno” (Adolf Hitler, 1939) Mosley pag. 514.
Una guerra di mera conquista quindi, alla faccia della crociata contro il comunismo nella quale voleva coinvolgere i suoi amati inglesi. Ragion per cui oggi tra il neofascismo non è raro trovare chi apprezza più il soldato sovietico che quello sovietico, la “grande guerra patriottica” piuttosto che la “crociata anti-bolscevica”. Fascismo e nazional-socialismo sono sinonimi; all’infuori delle irrilevanti peculiarità nazionali, non vi è alcuna delle differenze che spesso da diverse parti si vorrebbero accampare. Il punto puro e semplice è che quello praticato da Hitler non era il nazional-socialismo fascista, ma la più ampia deviazione che gli fu possibile dargli! Per questo motivo molti personaggi che si definivano strenui ammiratori del fascismo rigettavano per l’hitlerismo. Basta citare Juan Domingo Perón. Le certezze sono le conclusioni di Antony Sutton[157]: il socialismo sovietico, il New Deal socialista e il nazionalsocialismo hitleriano, versioni diverse del collettivismo moderno, furono finanziati da uno stesso “clan” supercapitalista. Gli interrogativi riguardano le vere origini, la natura e i reali fini di questo “clan”, che sembra inadeguato ridurre a una personificazione del “profitto” nei tempi moderni. Nonostante tali evidenze, non si riesce a capire perché, per gli stessi motivi, se i comunisti oggi rinnegano Stalin, invece i neofascisti debbano continuare ad idolatrare quello che si è rivelato essere il loro peggior nemico, Hitler. Ciò è segno che tale strategica influenza negativa indotta funziona tuttora nel delegittimare le idee fasciste, le quali verrebbero certamente viste sotto tutt’altra ottica globale, se solo i fascisti muovessero una critica al nefasto hitlerismo anziché esaltarlo incondizionatamente. E’ veramente paradossale che quelli che dovrebbero ringraziarlo, oggi siano quelli che lo detestano, e quelli che dovrebbero detestarlo sono quelli che lo esaltano!
“Se l’Italia e l’Inghilterra
dovessero per caso venire in conflitto nel Mediterraneo o altrove, la Germania
appoggerebbe l’Inghilterra!” (Adolf Hitler, 1939) Mosley pag. 562. -----qui???-----
La “socializzazione fascista” italiana non trovò così attuazione per via di queste vicende. In seguito fu timidamente “risuscitata” nel manifesto di Verona del 14 novembre 1943, presentata il 12 febbraio 1944, e la sua applicazione effettiva stabilita per il 21 aprile “natale di Roma” 1945 in contemporanea con la preparazione di altre rivoluzionarie sperimentazioni socio-politiche e fiscali (“democrazia organica”, “fiscalità monetaria”) che avrebbero dovuto caratterizzare la base della futura politica interclassista del fascismo.
“Questa legge sulla socializzazione oggi la chiameremmo legge quadro, ossia un programma legislativo da completare e definire. La legge era certamente lacunosa ed erronea data la fretta con cui era nata. Noi incominciammo a lavorarci il 1° gennaio, in una decina di giorni dovemmo mettere giù la dichiarazione del 13 gennaio e poi in un mese il decreto legge del 12 febbraio. Alcune parti vennero lasciate incomplete o imprecise di proposito: bisognava vedere come si sarebbero messe le cose nella pratica, per effetto delle reazioni tedesche, e di quelle degli industriali. La novità era grossa, per la prima volta in Italia un governo parlava di cogestione. Dovevamo dire il meno possibile, per non fornire le armi ai nostri avversari e giocare di sorpresa: molti ministri videro il testo del decreto solo quando si riunirono per approvarlo. Di amici sicuri ne avevamo solo due: Mussolini e il ministro delle finanze Pellegrini. Ricordo che Mussolini, quando Tarchi gli fece leggere le bozze, disse: è l’idea che volevo realizzare nel ’19” (Manlio Sargenti[158])
Fino al culmine raggiunto prima del 25 luglio 1943 ogni realistico tentativo di apporre più ardite modifiche al sistema economico italiano era stato frenato dall’ostracismo dei poteri tradizionalmente egemoni il panorama politico, sostenuti dalla massoneria internazionale. Il massimo di “rivoluzionarietà” a cui Mussolini aveva potuto ambire era stato il corporativismo, anche questo però pudicamente censurato nelle sue parti più “scomode”. Anzi, Mussolini fu perfino costretto ad avvallare una dottrina economica antitetica con le filosofie distributiste: l’autarchia, implementata forzatamente come ripicca alle sanzioni economiche inflitte all’Italia dalla “Società delle Nazioni” per la guerra in Abissinia.
“La gente si accorge sempre della guerra solo quando scorre il sangue. Non abbiamo forse oggi la guerra doganale? E’ appunto perciò ch’io sono contro le dogane, e le ho aumentate meno degli altri. Con queste nuove muraglie cinesi noi torniamo, in piena luce del ventesimo secolo, al Medioevo, all’economia chiusa dei Comuni” (Benito Mussolini[159], 1932)
Questa imposizione a cui fu sottoposto, assieme all’apparente incongruenza dell’entrata in guerra dell’Italia nel 1940, ed ai fatti del 25 luglio 1943, ci danno la chiara conferma di chi in realtà detenesse il potere in Italia. Ovvero quelli che il potere lo detenevano anche prima, che lo hanno detenuto poi, e che lo detengono tutt’oggi. Coloro che muovevano i fili di Mussolini tenendolo con la lama alla gola, anche in quel fatale 10 giugno 1940, del quale sono sicuramente i veri ed unici fautori, così come con l’omicidio di Giacomo Matteotti nel 1924. Amerigo Dumini era notoriamente un massone amico personale di oscuri massoni inglesi.
“Il più grande dramma della mia vita si produsse quando non ebbi più la forza di fare appello alla collaborazione dei socialisti e di respingere l’assalto dei falsi corporativi. I quali agivano in verità come procuratori del capitalismo… Tutto quello che accadde poi fu la conseguenza del cadavere di Matteotti che il 10 giugno 1924 fu gettato tra me e i socialisti per impedire che avvenisse quell’incontro che avrebbe dato tutt’altro indirizzo alla politica nazionale” (Benito Mussolini[160])
Mussolini arrivò a considerare le dimissioni, ma recalcitrò di fronte alla prospettiva di lasciare il campo libero ai “ras” che già attendevano all’uscio; non è casuale che il più estremo sostenitore di una rapida fucilazione di Dumini e soci fu il massone Italo Balbo, certamente per metterli a tacere per sempre. Comunque, la più chiara interpretazione del senso dell’omicidio di Matteotti ce la dà la moglie stessa, che non ha mai creduto alla responsabilità che pur si autoassunse Mussolini. Se ancora non bastasse, se ancora oggi qualcuno pensasse che Mussolini potesse desiderare la morte di Giacomo Matteotti, si consideri l’agire del giornalista Carlo Silvestri, al tempo il maggior accusatore di Mussolini: perse il lavoro di giornalista e passò dieci anni al confino, e sebbene avesse in seguito accertato l’estraneità di Mussolini dall’omicidio, se ne guardò dal dichiararlo pubblicamente. Perlomeno fino a quando gli fu impedito di farlo. La domanda sorge spontanea: cosa gli impediva, durante il ventennio, di esprimere il suo parere di discolpa su Mussolini? Se l’avesse fatto non avrebbe forse avuto il privilegio della riabilitazione da parte del governo? Invece attese il crepuscolo del fascismo per esprimersi. Paradossale? Evidentemente in precedenza, sotto la monarchia, vi erano altri ostacoli che gli tenevano la bocca chiusa. Qualcuno che conservava l’interesse a perpetuare quella barriera tra i fascisti ed i socialisti che era stata creata ad impedire “l’incontro tra le due rivoluzioni”. Quando, con la caduta della monarchia, queste persone si trovarono esplicitamente dall’altra parte, nulla (o quasi) impediva più di poter rivelare la verità. Cosa che Silvestri cercò di fare, durante la RSI, anche con l’aiuto di Bombacci.
“Purtroppo gli imputati non ci sono più. Dopo essere stati manutengoli dei fascisti e dei tedeschi, ora saranno al servizio degli inglesi o meglio ancora degli americani. Comunque ci sono i nomi. Ma sino a quando Mussolini non mi autorizza, io non te li posso ripetere” (Nicola Bombacci a Carlo Silvestri[161])
Inevitabile che anche Bombacci venisse messo a tacere, il 28 aprile 1945. Quei nomi, oltre che nella memoria di Bombacci, stavano nei carteggi che Mussolini portò con sé a Dongo.
Già messo, mettere anche su 25 luglio 1943 e 28 aprile 1945:
Di tutte le intercettazioni telefoniche ed epistolari carpite di nascosto dai tedeschi e che mostrano l’enorme importanza del carteggio e l’intenzione del Duce di utilizzarlo nell’interesse nazionale, vale per tutti questa registrazione tra Mussolini a Claretta Petacci del 22 marzo 1945 (si sta parlando di Pavolini): “... lui non può capire la situazione, non può collaborare. Perciò io devo rispettare il suo punto di vista di parte. Lui non conosce gli avvenimenti accaduti pochi giorni prima della nostra entrata in guerra. Non ne ho parlato con nessuno. E Churchill ancora meno. Bisognerà raccontare una buona volta questa storia. Chi dovrebbe parlarne oggi ? In tutto la conoscono cinque persone!”.
Da qui tutta la serie di incomprensioni tra gerarchi sfociate nel 25 luglio 1943 e che solo alla luce di accordi segreti a conoscenza del Mussolini solo acquistano un senso. Nonché il motivo per cui anche Claretta Petacci, una delle “cinque persone”, fu eliminata. ---dove lasciare???-----
Ancora più incredibile appare che, quando nel dopoguerra molti si affrettarono a cambiare camicia per interesse, vi era uno come Silvestri che seguì un percorso opposto. Col suo curriculum avrebbe potuto benissimo venir considerato un eroe antifascista ed assicurarsi un brillante avvenire politico. Ma la sua sete di verità gli fu d’intralcio. Quando nel 1947 fu celebrato il nuovo processo per l’omicidio Matteotti, Silvestri da principale accusatore quale era stato si trasformò in convinto difensore.
“Io mi rendo conto che se confermassi la mia vecchia deposizione il caso Matteotti sarebbe facilmente risolto. E i giornali del conformismo antifascista mi farebbero fare una figurona. Ma sarei onesto se consentissi che la storia del secondo semestre del 1924 possa farsi sulla base di documenti che io non mi sento più di sottoscrivere nella loro integrità? Sarei onesto se non rivelassi il mio preciso e definitivo pensiero, e cioè che l’uccisione di Matteotti ebbe in realtà moventi antiproletari e antisocialisti?” (Carlo Silvestri[162])
Ma il punto più importante e che dovrebbe esso stesso bastare è: quale vantaggio avrebbe potuto ottenere Mussolini dalla morte di Matteotti? Un semplice discorso alla Camera come motivo è alquanto risibile. Dato che è oramai risaputo che Mussolini intendeva aprire il governo ai socialisti, per quale motivo avrebbe dovuto far uccidere il loro deputato? L’unico motivo lo aveva proprio chi voleva impedire questa apertura!
“Qui c’è la conferma di quanto affermai nel mio discorso al Senato nell’estate del 1924: il delitto è stato compiuto non da me, ma contro di me!” (Benito Mussolini a Carlo Silvestri[163])
Si pensi alla coniazione della parola “Ceka[164] italiana” ed al can can che vi fu montato attorno ------------- su questa parola. Abitudine che poi non hanno perso col tempo, come abbiamo visto con l’altrettanto fiabesca “Ovra”.
Come sempre episodi analoghi ma più chiari ci illuminano sul senso di quelli più oscuri. In questo caso il vero significato lo si può dedurre facendo un parallelo con l’omicidio di padre Jerzy Popieluszko del 1980 ad opera non del generale Jaruzelski, ma di chi voleva impedire la “ri-cattolicizzazione” della Polonia portata avanti proprio da Jaruzelski con l’accordo di Danzica del 31 agosto 1980--------------------. Nonché Aldo Moro, per impedirgli il matrimonio con Berlinguer.
“A volte è necessario mentire nell’interesse della nazione” (Joseph Hilaire Pierre René Belloc)
Più volte quella lama sfiorò la gola al Duce a ricordargli chi comandava, come si intuisce dal fallito attentato ad opera dell’irlandese Violet Gibson. Fatto secondario, ma non trascurabile, nel 1939 il governo italiano, dietro la pressione del “Mattei” ante litteram Ardito Desio, aveva dovuto rivelare pubblicamente ai suoi cittadini la scoperta degli enormi giacimenti di petrolio in Libia[165], contravvenendo agli accordi presi nel 1924 con l’americana Sinclair Oil (la scoperta dei quali accordi da parte di Giacomo Matteotti contribuì al suo omicidio, che sarebbe stato quindi il classico “prendere due piccioni con una fava”, secondo alcuni storici[166]). Questo sarebbe venuto a colpire notevolmente il monopolio energetico mondiale detenuto dalle compagnie anglosassoni; ed a confermarlo basta considerare il successivo “caso Mattei”. Significava scegliere la “pistola”[167] e dichiarare una guerra d’indipendenza economica. Oppure la massoneria (o perlomeno una sua parte) aveva dato il permesso?
“Se il partito socialista e il CLNAI non mi faranno fucilare subito, fucilato o impiccato non sarò più perché il processo che mi intenterebbero gli Alleati non potrebbe concludersi con una mia condanna a morte senza suscitare la rivolta dell’opinione pubblica mondiale finalmente illuminata” (Benito Mussolini[168])
Un dubbio sta alla base di tutto
ciò: con chi aveva appuntamento Mussolini a Dongo il 27 aprile 1945? Con un
loro rappresentante? Non si faccia finta di non capire: vulgata vuole che Mussolini stesse fuggendo in Svizzera. Eppure anche ad
un superficiale sguardo ad una cartina geografica non si capisce secondo quale
logica volendo andare in Svizzera finì a Dongo. Nessun milanese, allora come
oggi, volendo recarsi in Svizzera percorrerebbe la sponda ovest del lago di
Como, tantomeno arrivando fino a Dongo. Così come non farebbe quella strada se
dovesse recarsi in Valtellina, essendo la strada orientale, allora come oggi,
la migliore e più breve. Un milanese percorrerebbe la strada occidentale unicamente
se dovesse recarsi in un paese locato lungo quella strada. Quindi anche avesse
voluto recarsi in Valtellina per attuarvi un “ridotto” non avrebbe certo scelto
quella strada. Inoltre il 27 aprile 1945 la sponda ovest brulicava di
partigiani, mentre la sponda est, essendo una strada statale importante,
costeggiata da una linea ferroviaria, priva di rilevanti centri abitati, ed
essendo
la strada che conduceva verso la Germania le autocolonne in ritirata era ancora strettamente controllata dai
militari della RSI per l’intero percorso. Mussolini fu fermo nel pretendere
quella via, nonostante gli fosse già stata indicata l’altra strada come più
logica per raggiungere la Valtellina[169].
“Non è tanto il delitto in sé che mi interessa, quanto ciò che
si nasconde dietro. Si può arrivare alla soluzione standosene seduti in
poltrona a occhi chiusi, perché così si vede con gli occhi della mente”
(Hercule Poirot, personaggio di Agatha Christie)
L’unica spiegazione plausibile è quindi che si stesse recando
appositamente a Dongo o dintorni, e l’imboscata
“improvvisa” travestito da tedesco, se davvero verificatasi, fu solo
una farsa. Basta un
semplice sguardo ad una cartina. Anche l’idea che volesse recarsi in Germania è
ben poco probabile, visto che anch’essa era oramai disfatta. Inserire cartina con percorso
Quello che lascia veramente a
pensare è il fatto che nessuno dei tedeschi che si trovava sul camion con
Mussolini, non intese mai rilasciare interviste, neppure in quegli anni ’50
quando cronisti (e non solo italiani), scatenati a caccia di scoop
giornalistici erano disposti a pagare cifre rilevanti per qualche
indiscrezione. Solo negli anni ’80 il fantomatico Fallmeyer o Flamminger diede
qualche notizia di sé, oltretutto molto reticente, allo scrittore tedesco Erich
Kuby autore del libro “Il tradimento tedesco”, Rizzoli 1983.
Dunque, con chi aveva appuntamento Mussolini
in quel territorio controllato dai partigiani? Con i rappresentanti di chi
l’aveva obbligato (o quantomeno convinto) a far entrare in guerra l’Italia?
“Soltanto il carteggio, ormai
voluminoso, in caso di bisogno parlerà e spezzerà ogni lancia puntata verso di
noi. Al solo conoscere della esistenza dei miei incartamenti fa paura a troppi,
sia Vittorio Emanuele o Badoglio. Ma anche Churchill e Hitler saranno obbligati
ad attenersi a una linea veritiera” (Benito Mussolini al generale Rodolfo
Graziani, 10 settembre 1944[170])
La tesi del carteggio Mussolini-Churchill farebbe propendere per
emissari del premier britannico, ma essa pone un dubbio addirittura sul dubbio
stesso che a recuperare il carteggio siano stati agenti inglesi. Altrimenti
perché Churchill nel dopoguerra avrebbe scandagliato in lungo e in largo quelle
lande a dragare il lago? Prodigandosi spasmodicamente e dispendiosamente
per recuperare qualunque documento disponibile da una massa di approfittatori e
falsari da cui veniva attorniato come una carogna da uno stormo di avvoltoi
affamati?
“Bisogna in ogni modo impedire che anche una piccola parte possa cadere in mano a gente che abbia grande interesse a distruggerle o a nasconderle. La gente cui alludo sono i molti italiani che non hanno esitato ad allearsi ai veri nemici dell’Italia, per poter avere buon gioco vent’anni dopo. Figuratevi se questi pensano di fare qualcosa per l’onore delle armi italiane o di muovere un dito per il prestigio nazionale, questi straccioni non hanno fatto altro che tradire nel nostro paese e all’estero!” (Benito Mussolini a Zerbino[171])
Sta di fatto che appena pochi
mesi dopo la fine della guerra in Europa (e mentre nel Pacifico continuava
ancora) i britannici preferirono accantonare dal governo il loro eroe
Churchill…
“Affermo, invece, in maniera
inequivocabile che le lettere scritte da Churchill durante il periodo bellico
erano al tempo di Dongo e sono tuttora nelle mani di persona degna della più
alta considerazione. Stiano tranquilli gli italiani tutti, che quei documenti
di enorme importanza avranno la funzione alla quale Mussolini li aveva
destinati” (Tommaso David, ex agente segreto RSI, al quotidiano “Il tempo”,
ottobre 1957[172])
Difatti in un alternativa più plausibile (alla
luce degli eventi seguenti) i documenti sarebbero stati recuperati da agenti
italiani e resi disponibili ad Alcide De Gasperi, il quale li avrebbe
utilizzati come mezzo di ricatto su Winston Churchill per ottenere un
trattamento migliore per l’Italia nei trattati di pace. Cosa che effettivamente
fu oltre ogni ragionevole interpretazione (all’Italia fu perfino restituita una
colonia, la Somalia). Si può quindi affermare che Mussolini salvando i carteggi
della sua corrispondenza col premier britannico è stato il vero artefice
postumo del benessere italiano seguente?
“La storia mi darà ragione” (dal “testamento politico” di Mussolini)
Da qui il processo a Guareschi che pubblicò parte di quelle lettere, e la esorbitante e furente indignazione con cui De Gasperi reagì alla pubblicazione nel settimanale di Guareschi Candido di alcune lettere dicesi estrapolate dal carteggio di Mussolini, definendole false (ottenendo ragione dal tribunale). La causa di un tale anomalo comportamento per l’autore, risiederebbe non tanto nelle lettere fasulle nelle quali “De Gasperi” chiedeva a Churchill di bombardare Roma, ma nella volontà di De Gasperi di evitare che in tribunale si discutesse delle trattative del suo governo e i detentori del carteggio di Mussolini (i governi non trattano in segreto materiali falsificati). Lettere guareschi 13 aprile 1954 – vuoi per questo o vuoi per altro de gasperi si ritira – Scelba coinvolto con guareschi???
Quindi in quelle carte c’era ben altro, tanto da costringere Churchill a dargli la caccia fino alla metà degli anni ’50. Forse c’era un invito fatto all’Italia, proprio nei giorni immediatamente precedenti il 10 giugno 1940, affinché il nostro Paese entrasse in guerra, con la scusa che si era nell’imminenza della fine delle ostilità e l’Italia avrebbe potuto essere utile al tavolo della pace?
In pratica un accordo storicamente non raro tra nazioni belligeranti (---------esempi?----------), che poi venne disatteso da Churchill, ma non consumato contro i tedeschi, ma in considerazione di quella guerra parallela che avevamo dichiarato di voler condurre a fianco della Germania.
Quanto c’era nella documentazione in possesso di Mussolini venisse alla luce, non poteva riguardare come si suol immaginare, eventuali offerte all’Italia (per mantenerla neutrale), fatte dal britannico di territori già appartenuti alla Francia, perché proposte di questo tipo, intanto non erano riscuotibili da un Italia che fosse rimasta neutrale, ed in ogni caso non potevano costituire una grave compromissione per Churchill che nel corso della Seconda Guerra Mondiale aveva commesso altre e ben più gravi spregiudicate operazioni.
Quindi indubitabilmente, se delle promesse da Churchill a Mussolini ci furono, esse non possono obiettivamente essere interpretate come tentativo di tenerlo fuori dal conflitto (dato che sarebbe stato un tentativo superfluo), ma di farlo entrare!
Infatti, in un telegramma di Mussolini al Re, dagli archivi americani fatto risalire al 28 agosto 1939 (cioè prima dello scoppio della guerra e comunque prima che l’Italia scegliesse la formula della non belligeranza) ritroviamo un abbozzo di intese in caso di eventuale conflitto, che così recitava: “Desidero Maestà, nell’attesa di mandarvi tutto l’epistolario scambiato con il Führer, anticiparvene le conclusioni. E cioè l’Italia si limiterà, almeno nella prima fase del conflitto, ad un atteggiamento puramente dimostrativo. Francesi e inglesi ci hanno fatto sapere che faranno altrettanto”.
Quel carteggio, insomma, attestava chi erano i veri responsabili della guerra, poneva Churchill e la Gran Bretagna in gravi difficoltà morali, politiche e diplomatiche (soprattutto verso la Jugoslavia ---e Polonia???----) e smascherava tutta la propaganda di guerra alleata!
Di tutte le intercettazioni telefoniche ed epistolari carpite di nascosto dai tedeschi e che mostrano l’enorme importanza del carteggio e l’intenzione del Duce di utilizzarlo nell’interesse nazionale, vale per tutti questa registrazione tra Mussolini a Claretta Petacci del 22 marzo 1945 (si sta parlando di Pavolini): “Lui non può capire la situazione, non può collaborare. Perciò io devo rispettare il suo punto di vista di parte. Lui non conosce gli avvenimenti accaduti pochi giorni prima della nostra entrata in guerra. Non ne ho parlato con nessuno. E Churchill ancora meno. Bisognerà raccontare una buona volta questa storia. Chi dovrebbe parlarne oggi ? In tutto la conoscono cinque persone!”. ---- già messo su, dove lasciare?----
Da qui tutta la serie di incomprensioni tra gerarchi sfociate nel 25 luglio 1943 e che solo alla luce di accordi segreti a conoscenza del Mussolini solo acquistano un senso. Nonché il motivo per cui anche Claretta Petacci, una delle “cinque persone”, fu eliminata.
Ma per quale motivo Churchill aveva un interesse all’entrata in guerra dell’Italia? Al fianco della Germania, poi? Perché non contro, invece? Certamente per più di un motivo. Il fatto che per la Gran Bretagna l’ingresso in guerra dell’Italia fosse necessario è indubitabile, e che la loro resistenza fu dovuta proprio all’Italia in guerra lo è altrettanto. E la Germania, voleva l’Italia come alleato?
“Se potessi scegliere tra italiani e inglesi, sceglierei gli inglesi” (Adolf Hitler) Leonard Mosley, “Il tempo a prestito”, Longanesi ed., pag. 24.
E’ ormai chiaro che Hitler non aveva mai avuto intenzione di combattere la Gran Bretagna. Per suo ordine diretto aveva fatto fermare le armate tedesche consentendo ai britannici di reimbarcarsi a Dunkerque.
“Non preoccupatevi. Andrà tutto bene. Gli inglesi si rendono conto delle intenzioni del Fuhrer? Egli ha promesso di appoggiare l’impero inglese contro tutte le potenze che potrebbero minacciarlo e questo comprende l’Italia, il Giappone e la Russia” (Hermann Göering, a Birger Dahlerus) ---- Mosley pag. 573.
Il 6 maggio Göering aveva detto a Birger Dahlerus (diplomatico svedese) “la Germania farà un offerta di pace vantaggiosa quando le nostre truppe raggiungeranno Calais[173]”. Difatti il giorno dopo Dunkerque, a colloquio col generale Karl Rudolf Gerd von Runstedt, Hitler disse che “desiderava stipulare una pace ragionevole con la Francia”; a quel punto la via sarebbe rimasta libera per accordarsi con la Gran Bretagna, che in quell’occasione elogiò. Disse inoltre di desiderare soltanto che essa riconoscesse la posizione della Germania nel continente. La restituzione delle colonie tedesche sarebbe stata desiderabile, ma non costituiva l’essenziale. Concluse dicendo che il suo scopo era di far la pace con la Gran Bretagna[174]. In seguito alla vittoria tedesca sulla Francia, tutto faceva presagire che la guerra fosse terminata. Perfino Stalin si felicitò calorosamente con Hitler[175].
“Ma il primo ministro dal giorno 10 era cambiato, e si chiamava Churchill. Presto costui ebbe un solo pensiero: mantenere lo stato di guerra tramite un qualsiasi espediente” (Francois Delpla[176])
La guerra era a tutti gli effetti terminata, da qui non si scampa. Non si capiva il motivo per cui, arresa la Francia, la gran Bretagna non facesse altrettanto come sarebbe stato ovvio. Ma dato che nessuna delle due aveva fatto ciò una volta arresa la Polonia, effettivamente non ci doveva essere di che stupirsi. L’insistenza britannica perseguita da Churchill equivale in tutto e per tutto ad un vero scatenamento di una nuova guerra. Certo è assai sospetto che Hitler si decida ad attaccare ad ovest solo lo stesso giorno che Churchill diventa primo ministro (10 maggio 1940). Pertanto ai primi di giugno ’40 Churchill aveva la assoluta necessità di allargare il teatro bellico e rendere la guerra irreversibile. Era una strategia, nella sua ottica guerrafondaia, rischiosa, ma necessaria, una strategia che lo portò a massacrare la flotta francese a Mers el Kebir i primi di luglio, anche al fine di mandare un messaggio di guerra a oltranza ad Hitler e, prima ancora, di giocare di furbizia e d’audacia con Mussolini, invitandolo a scendere subito in guerra (sia pure contro gli inglesi), proponendo un accordo a non farsi troppo male (cosa che in effetti è avvenuta nei primi tempi) in vista di un garantito prossimo tavolo della pace dove l’Italia, sostenne probabilmente e in mala fede Churchill, avrebbe avuto tutto da guadagnare e la sua presenza sarebbe stata anche utile per gli stessi inglesi. Il 10 giugno 1940 entra in gioco una ragione per convincere il popolo inglese a persistere: l’entrata in guerra dell’Italia rimetteva in moto la macchina bellica britannica che pareva ormai sopita di fronte alla repentina sconfitta francese seguita alla “finta guerra”. Probabilmente Mussolini accettò “obtortocollo” di entrare in guerra in seguito alle promesse che dopo la sconfitta della Francia la guerra sarebbe finita, con una pace tra Gran Bretagna e Germania, nella quale Mussolini era necessario come arbitro tale e quale era stato a Monaco due anni prima. Il 25 maggio ----nome?----- Halifax ricevette l’ambasciatore italiano Giuseppe Bastianini per convincere il Duce a far da mediatore per un “ordinamento generale europeo che conduca a una pace duratura[177]”. L’indomani Churchill riferì a ----cosa è?----- Paul Reynaud, e si dissero entrambi d’accordo per questa soluzione.
“Vedete, in questa lettera di Churchill vi è il perché, il motivo per il quale l’Italia è entrata in guerra, è stato anzi il momento in cui tutto sembrava perduto per l’Inghilterra. Si è sperato che io potessi, nella vittoria dei tedeschi, mitigare lo smisurato potere di Hitler: questo è anche il motivo per il quale nel 1940 non riunii il Gran Consiglio per farlo deliberare sulla guerra, anche se ciò significava violazione dello Statuto” (Benito Mussolini ad Angelo Tarchi, 25 aprile 1945[178])
Churchill, inizialmente, fino a circa la metà del maggio 1940, nei suoi contatti segreti con il Duce, ha cercato di tenere l’Italia fuori della guerra, secondo alcuni promettendo in cambio ampie concessioni territoriali a spese della Francia (e poi consenziente la Francia stessa, quando cominciò a trovarsi in difficoltà); un po’ come aveva fatto l’Austria nel 1914-15. E anche questo è documentato. E questo spiega perché l’Italia non entrò in guerra prima. Ma quello che preme spiegare è chiaramente perché poi entrò. Una guerra che, è bene ripeterlo, non rifiutava per principio, ma paventava per la nostra debolezza.
“In realtà Mussolini era in preda al panico. Nonostante le sue roboanti dichiarazioni la guerra era l’ultimo dei suoi desideri” ------ Mosley pag. 548.
Ma nella quale si trovava nella tremenda situazione di dover ora e subito entrare. In questa prospettiva, il Duce non si lasciò sfuggire l’occasione della proposta segreta, chiamiamola di accordo transitorio, che gli avanzava Churchill e che apparentemente gli consentiva di ottenere il massimo rischiando pochissimo. Quella tra Mussolini e Churchill, quindi, fu più che altro una intesa resa possibile dalla inconfessata esigenza inglese di allargare il teatro bellico e dalla reale necessità italiana di scendere in guerra facendo finta di farla. Di fatto una convergenza di interessi. Il do ut des di questa intesa è più che altro qui, ed eventuali offerte di future concessioni all’Italia (che in qualche modo non mancavano) sono del tutto secondarie, anche perché avrebbero dovuto fare i conti con la Germania.
Secondo Guareschi, si trattò di un tradimento nei confronti dell’alleato tedesco, finalizzato a condurre una guerra sostanzialmente e segretamente contro Hitler; secondo alcuni invece fu una intesa transitoria, non globale, concernente la fase iniziale delle operazioni belliche, affinché non fossero subito perseguiti obiettivi ed operazioni strategiche, in vista di una millantata imminente pace.
In realtà, quello che avvenne tra Mussolini e Churchill, a livello di diplomazia sotterranea, più che un accordo fu un reciproco stato di necessità proprio al momento della nostra entrata in guerra.
A questo proposito è molto indicativo un esempio pratico: sul finire della guerra, nel 1945, quando era praticamente certa la sconfitta dei tedeschi e la fine del conflitto, alcuni paesi dichiararono guerra all’Asse, pur senza prendere partecipazione diretta al conflitto, con il fine di partecipare alle conferenze di pace ed alla fondazione dell’ONU. Alla fine della guerra i paesi vincitori assommarono a 51. Tra gli ultimi arrivati il più importante era la Turchia. Tale esempio è utile come termine di paragone per motivare le ragioni dell’entrata in guerra dell’Italia, in un momento in cui si era ormai certi che la guerra fosse sul finire, con la sconfitta della Francia ed il necessario venire a patti della Gran Bretagna (patti che sarebbero stati probabilmente basati sul ridimensionamento dell’autarchia coloniale e del controllo britannico delle vie di commercio mondiali). Ma invece come sappiamo la guerra continuò. Se tutte e tre le citate nazioni erano d’accordo sul por termine alle ostilità in brevi tempi, cosa intervenne in seguito a cambiare le sorti del conflitto? Si tenga presente che colui che prese l’iniziativa di intavolare trattative con l’Italia, Lord Halifax, era un acerrimo avversario di Churchill. Probabilmente la resistenza britannica ad accondiscendere questo tipo di patti intrapresi fin da Chamberlain, a seguito del ricambio ai vertici britannici avvenuto il 10 maggio 1940, quando andò al governo lo smaliziato guerrafondaio Churchill. Dobbiamo quindi intuire una sua volontaria malafede nel perseguire la strategia del coinvolgimento dell’Italia? Di certo sappiamo che l’Italia entrò in guerra quando Churchill era già da un mese a capo del suo paese. L’iniziativa di Lord Halifax verso l’Italia si inserisce all’interno del contrasto tra lui e Churchill. Per nostra[179] disgrazia Halifax non prese il posto di Churchill come aveva tentato di fare. Ed il paragone turco del coinvolgimento italiano è come se, nel 1945 la Germania avesse contrattaccato ed il conflitto fosse durato ad oltranza coinvolgendovi direttamente anche la Turchia appena entrata in guerra. Ma come sappiamo, il cadavere di İsmet İnönü non fu appeso ad un distributore di benzina di Istanbul…
“Le guerre diventano popolari soltanto quando si vincono” (Benito Mussolini al direttorio del PNF, 17 aprile 1943)
Quindi Mussolini accettando
avallava la consapevolezza che la guerra poteva finire solo se Churchill avesse
voluto. Sintomatico è che il primo ordine di Mussolini fu quello di “non
attaccare per primi”[180],
un ordine veramente atipico per l’esercito di un paese che ha egli stesso preso
l’iniziativa di dichiarare la guerra… un ordine, tra l’altro, che smentisce la
famigerata frase “ho bisogno di qualche centinaio di morti per sedermi al
tavolo della pace”, la prima di una serie di affermazioni completamente
bizzarre ed inverosimili affibbiategli arbitrariamente in modo postumo. Si
considerino di esse come campioni l’assurda “Signori, voi avete provocato la crisi del
regime”, l’inesistente ordine di usare i gas in Abissinia, e le famose “si
ammazza troppo poco” e “bisogna impedire a quel cervello di
pensare”.
“Coloro che possono farti credere assurdità, possono farti
commettere atrocità” (Voltaire)
Non stupisce quindi che il primo attacco terrestre italiano a
postazioni britanniche avvenne l’11 settembre, ben tre mesi dopo la dichiarazione
di guerra. La famosa conquista della Somalia britannica nell’agosto difatti era
avvenuta praticamente senza combattimenti, dopo che l’esigua guarnigione locale
aveva sgomberato volontariamente da Berbera ad Aden. E, fatto più importante,
era stata un iniziativa del tutto personale del Duca d’Aosta d’insubordinazione
dei precisi ordini ricevuti da Roma. Forse se non fosse morto in Kenya avrebbe
avuto qualcosa da raccontare al ritorno in Italia…
“Quando il Duce gli aveva dichiarato di non poter ritardare l’annuncio della sua entrata in guerra a una data posteriore all’11 giugno, lui [Hitler] aveva creduto che l’Italia avesse preparato un’azione fulminea contro la Corsica, Tunisi o Malta e che il segreto militare ne impedisse naturalmente un rinvio. Di conseguenza, dopo il discorso di Piazza Venezia, gli era sembrato logico aspettarsi che accadesse qualcosa. Invece, nessuno si era mosso. Questo, aveva concluso il Führer, gli aveva ricordato ciò che accadeva nel Medio Evo, quando le città si scambiavano messaggi di sfida e tutto finiva lì[181]”
Forse nemmeno Hitler poteva immaginare il vero motivo per cui Mussolini non poteva ritardare ulteriormente l’ingresso in guerra…
Ma di questa, strana, situazione e delle sue conseguenze, Hitler ebbe a tornarci su con delle considerazioni nelle sue note segrete a febbraio del 1945, considerazioni che fanno anche capire meglio quelli che erano stati gli interessi di Churchill a spingere l’Italia in guerra:
«Ah, se gli italiani fossero
rimasti fuori dalla guerra! Se fossero rimasti in stato di non belligeranza!
Gli stessi Alleati si sarebbero rallegrati, perché seppur non avevano
un’opinione molto elevata della potenza militare dell’Italia, non
potevano immaginare una tale debolezza da parte di quest’ultima. Avrebbero considerato
un guadagno la neutralizzazione della forza che le attribuivano. Ma siccome non
potevano darle fiducia, ciò li avrebbe obbligati a immobilizzare numerose
truppe in prossimità dei suoi confini, al fine di evitare il rischio di un
intervento sempre minaccioso, sempre possibile, se non probabile. Questo
significava, per noi, soldati britannici immobilizzati, i quali non avrebbero
fatto né l’esperienza della guerra né quella della vittoria - insomma una sorta
di “strana guerra” che si sarebbe prolungata a nostro esclusivo vantaggio»
(Adolf Hitler[182])
Durante la sua prigionia a Verona nel 1943-44 Galeazzo Ciano scrisse delle lettere indirizzate al Re Vittorio Emanuele e a Winston Churchill, fatte recapitare per vie clandestine, lettere nelle quali accusava incontrovertibilmente Mussolini di avere voluto la guerra e di esserne il vero ed unico responsabile[183]. Forse non a tutti parrà incongruente come comportamento. Ma dato che non si vede motivo per cui Ciano avrebbe dovuto rischiare in simil maniera per far giungere delle tali banalità a quei due personaggi per il suo imminente destino apparentemente del tutto ininfluenti, cose che a tutti parevano evidenti e sulle quali non avrebbe certo dovuto occorrere precisazione. Se non proprio perché, quella cosa pur “evidente” era invece falsa, e lui lo sapeva, e nello scrivere questa cosa a quei due personaggi intendeva verosimilmente garantirgli il suo silenzio sulle vere responsabilità dell’entrata italiana in guerra. Ma anche qui qualcosa non torna. Se Ciano si rivolge al Re e al primo ministro britannico e non ad altri, per l’unico scopo di ottenere la salvezza della sua vita, non può a rigor di logica significare altro che era consapevole che era nelle loro mani il suo destino! Oibò! Lecito è chiedersi come e perché, dato che era dei tedeschi e “di Mussolini” prigioniero… Dopotutto, per quale incomprensibile motivo Gottardi e Pareschi gridarono “viva il Duce!” davanti al plotone d’esecuzione che li fucilava proprio in nome del Duce? Sembra un particolare irrilevante o scontato, ma non lo è. Eppure tutti sappiamo che il Gran Consiglio non fu consultato e non ebbe alcuna voce in capitolo nel merito dell’entrata in guerra dell’Italia. E se ciò non corrispondesse a verità?
“Il processo l’hanno voluto i tedeschi. Io mi sono opposto, ho cercato di frapporre tutti gli ostacoli, ho fatto capire alla stampa che bisognava insabbiarlo” (Benito Mussolini[184])
Cosa spinse il pubblico ministero del processo di Verona, a pronunciare queste parole finali: “così ho gettato le vostre teste alla storia d’Italia; forse pure la mia, perché l’Italia viva”[185]? Per quale motivo temeva per la sua vita a causa di quell’arringa?
Dovrebbe essere oramai assodato che Mussolini entrò in guerra sicuro che questa sarebbe finita presto e con una pace tra Gran Bretagna e Germania che avrebbe visto come unica potenza sconfitta la Francia, e su questo tutte e tre le predette nazioni, Gran Bretagna, Germania, e Italia, ne avevano interesse fin dall’inizio, tanto da far pensare che l’intervento britannico in Francia nel 1940 fosse stato solo di facciata e ricambiato dalla Germania con Dunkerque, quando Hitler permise lo sgombero ai britannici; tutto a prescindere da “ententi cordiali” oramai scaduti. Qualcuno assicurò ciò a Mussolini, magari per iscritto? Qualche britannico, magari, e politicamente importante? Queste assicurazioni scritte potevano essere contenute tra le carte che il Duce portò con se via da Milano? Queste carte potevano compromettere qualche personaggio importante britannico? Questo personaggio poteva voler mettere a tacere il Duce anche da sue testimonianze verbali? Alla luce di ciò, chi aveva interesse ad eliminarlo? Ai partigiani comunisti non sarebbe stato più utile vivo come trofeo? I tedeschi spinsero l’Italia ad entrare in guerra, o viceversa cercavano di impedirlo?
“Mussolini è uno sciacallo. Ha aspettato che noi gli facessimo fuori i francesi e poi si è presentato vestito da festa chiedendo la Corsica. Il solito fanfarone” (Joachim von Ribbentrop, “Il destino dell’Europa delle Nazioni”)
Eresie per i fanatici del “politicamente corretto” e della “storia già scritta”. Il tutto rinfocolato da una storiografia di parte che cerca di presentare la seconda guerra mondiale come il risultato dei sogni di dominio mondiale della Germania hitleriana quando, viceversa, è indubbio che se Hitler giocò con il fuoco, fu per motivi ben diversi. Secondo essi è più plausibile che ci siano pazzi al potere che scatenano guerre per il gusto di farlo. E di conseguenza plausibile è anche che tutto il loro popolo li assecondi automaticamente. Nessuno di essi arriva a ipotizzare l’assurdità di questo. Ma come abbiamo visto essi esulano da ogni ragionamento logico, e quindi è comprensibile che la storia ufficiale oggi sia costellata di assurdità che ad una qualunque persona che non ne fosse indottrinata fin dalla nascita parrebbero incredibili. Non ci sarà un problema economico, che va dal desiderio di libertà, al controllo, alla pura avidità, nello scatenare le guerre? Magari in reciproco accordo (tacito o meno) tra i governanti?
“La guerra è un massacro fra uomini che non si conoscono a vantaggio di uomini che si conoscono ma eviteranno di massacrarsi reciprocamente” (Paul Valéry)
Ezra Pound dai microfoni delle
trasmissioni italiane per il Nord America (a proposito, oggi sembrerebbe che
solo radio Londra fosse esistita…) accusava gli angloamericani e la finanza
internazionale di aver provocato la guerra per punire i paesi che avevano osato
ribellarsi all’“usura” (ricordiamo l’accezione non letterale del termine in
Pound): “Questa guerra non fu cagionata da un capriccio di Mussolini né di
Hitler. Questa guerra fa parte della guerra millenaria tra usurai e contadini,
fra l’usurocrazia e chiunque fa una giornata di lavoro onesto con le braccia o
con l’intelletto”. ---- destra sociale pag. 30. -----o su wall
street e new deal -----
No, per molti è giustificabile che delle carneficine vengano scatenate per la bizza momentanea di un folle giunto al potere chissà come. Ciò dovrebbe essere di chiarimento sulle facoltà intellettive della maggior parte delle persone, che credono a quelle che sono chiaramente favole, propalate dai veri revisionisti, cioè da quelli che la storia l’hanno “riveduta” fin dall’inizio a loro uso e consumo in quanto vincitori di quegli episodi storici. In Italia chi aveva interesse a spingere alla guerra, e perché? Chi lavorò per mettere alla Germania una tale “palla al piede”? Chi e in che modo costrinse Mussolini ad entrare in guerra al fianco della Germania?
“Dicono che ho potere, ma io non ho nessun
potere, forse ce l’hanno i gerarchi, ma non io. Io posso solo decidere se far
andare il mio cavallo a destra o a sinistra, ma nient’altro” (Benito Mussolini[186])
Partendo da questi presupposti, palesemente sottaciuti, ma storicamente inoppugnabili (già solo considerando la limitata struttura continentale delle Forze Armate tedesche), occorre tener presente che qualunque analisi storica che voglia risalire alle cause di un conflitto di portata mondiale, deve trovare in qualche modo conferma nelle grandi linee geopolitiche della Storia.
Come noto l’Italia entrò in guerra con una formula, coniata da Mussolini, di guerra parallela, quindi sostanzialmente sganciata dalle strategie dei tedeschi.
Italia 1940 vende armi a estero: un paese che si prepara alla guerra non vende armi, e tantomeno al previsto nemico! --- anche a Finlandia---
“Se nel 1935 la Francia e l’Inghilterra fossero state disposte a imitare Mussolini [nella politica estera europea], sarebbe scoppiata la guerra [contro la Germania] e per Hitler sarebbe stata la catastrofe” (André François-Poncet)
In questa luce appare quantomai realistico il romanzo di Enrico Brizzi “La nostra guerra” che descrive un percorso storico alternativo nel quale l’Italia si mantenne neutrale fino al 1942 e poi entrò in guerra contro la Germania. E se non fosse stato per le bugiarde promesse di Churchill sarebbe certamente stato così. -----frase da mosley pag. 444???.-----
Si tenga però presente che la guerra dell’Italia contro la Gran Bretagna aveva dei motivi, anche etici, ben chiari e definiti: una guerra per l’indipendenza economica. E la sua dichiarazione non avvenne il 10 giugno 1940, ma l’anno precedente quando, come abbiamo già detto, il governo italiano non poté più tenere segreta l’esistenza di petrolio nello “scatolone di sabbia”; quello fu il frangente in cui Mussolini dovette scegliere la “pistola”.
“Un popolo che non s’indebita fa rabbia agli usurai” (Ezra Pound)
Ed a questa indipendenza economica i primi ad esserne interessati erano proprio i poteri economici italiani, perlomeno quelli non direttamente legati alla massoneria internazionale. Si tenga presente l’introduzione del concetto di motorizzazione di massa nel 1936 con la nascita della “Topolino”, che rendeva necessario il raggiungimento dell’autonomia petrolifera che fino ad allora era stata considerata superflua. Come Mussolini aveva specificato in più di un discorso, l’importanza data dall’Italia in quegli anni alla libertà di commercio era molto sentita. Per l’Italia tale libertà era vincolata dal sempre possibile ricatto del blocco dei commerci col resto del mondo tramite il controllo britannico degli accessi al mar Mediterraneo (Gibilterra e Suez), e del punto-cardine Malta. La strategia geopolitica britannica difatti non stava tanto nel controllo territoriale effettivo, ma dei vari punti chiave del globo (Città del Capo, isole Falkland, Singapore, Aden, ecc), che da secoli gli consentiva di mantenere sull’intero pianeta un ampio controllo dei commerci, facendone il più tipico esempio di “talassocrazia”. Dato che questa minaccia all’Italia si era concretizzata effettivamente nel 1936, con le sanzioni a causa della guerra in Abissinia, appariva impellente per l’economia italiana la ricerca di una soluzione definitiva a tale condizione, che la liberasse da quella soggezione alla quale doveva perennemente sottostare sotto la minaccia di un blocco. Come recitava una canzone in voga allora, ci si considerava “prigionieri del nostro mar”.
“Un popolo è indipendente soltanto se ha libere finestre aperte sull’oceano; è semi-indipendente se si affaccia ad un mare interno; non è affatto indipendente se è soltanto continentale” (Benito Mussolini, dal discorso all’ente cooperative, 21 aprile 1940)
Tesi confermata ampiamente dalle teorie geopolitiche di Halford John Mackinder. Strana appare quindi la contrarietà (seppure intempestiva, in verità) dei comunisti a quella guerra, se si considera che essi sono solitamente favorevoli a qualunque guerra per l’indipendenza dei popoli… e difatti, prima che essa divenisse perdente, non ne erano certo contrari, come dimostra il fatto non casuale che l’apertura a Mussolini avvenne nel 1936, proprio durante il periodo dell’attuazione del ricatto economico britannico. Ed altre conferme arrivano ad esempio dall’inaspettato (ed altrimenti incomprensibile) sostegno morale giunto dall’ultra-economicista Benedetto Croce e dall’ex presidente del consiglio Vittorio Emanuele Orlando nel 1935.
A completare il risorgimento mancava effettivamente qualcosa, dopo la “redenzione” di Trento e Trieste: mancava l’indipendenza economica dalla Gran Bretagna. La seconda guerra mondiale fu veramente una quinta guerra di indipendenza come sostiene l’ANPI. Ma a differenza di quanto loro sono convinti, fu combattuta contro gli inglesi, non contro i tedeschi. E fu perduta.
“I paesi si misurano dalla verità con cui giudicano se stessi dopo una guerra perduta” (Sergio Romano)
Diffuso è lo stereotipo che la guerra del 1915 era stata una guerra sentita e popolare, al contrario di quella del 1940, non sentita e impopolare: è vero, casomai, il contrario. Lo storico Francesco Lamendola ci fa notare che se si andassero a verificare non solo i documenti ufficiali e l’abbondante stampa dell’epoca, ma perfino le lettere della corrispondenza privata e i diari dei comuni cittadini, oppure si confrontassero il numero degli arruolamenti volontari nel maggio del 1915 con quelli nel giugno del 1940, si avrebbe una bella sorpresa rispetto a quanto propagandato dalla storiografia ufficiale: se ne dedurrebbe che la guerra “di Mussolini” fu molto più sentita e molto più popolare di quella di Salandra, Sonnino e Vittorio Emanuele III. A conferma di quanto fosse sentita la ---------, Arrigo Petacco nel suo libro “La nostra guerra 1940-1945” ci porta come esempio la mobilitazione di migliaia di volontari presentatisi all’ambasciata finlandese a Roma per correre in aiuto del piccolo paese contro l’aggressione sovietica. Doveroso poi è citare l’eroismo del “fronte di resistenza”, reduci datisi alla guerriglia anti-britannica nell’ex Impero dopo la caduta del Duca d’Aosta a Gondar il 27 novembre 1941, resistenza che continuò imperterrita fino a 1943 inoltrato nonostante l’assenza di comunicazioni con la madre Patria.
Ma è proprio vero che l’entrata in guerra dell’Italia nel secondo conflitto mondiale fu dovuta all’irresponsabilità e al cinismo di Mussolini (due concetti che contrastano ossimoricamente l’uno con l’altro, si noti) e che il nostro paese avrebbe potuto benissimo restarne fuori, risparmiandosi cinque anni di distruzioni apocalittiche e di sofferenze inaudite? Certo che avrebbe potuto restarne fuori, ma come risultato subendo distruzioni e sofferenze ancor maggiori!
“Chi pecora si fa, il lupo la mangia”
Si pensi alla tragedia dello stadio Heysel del 17 maggio 1985: i tifosi inglesi attaccarono gli italiani, ma questi ultimi non morirono in 39 per essersi difesi, ma per essere fuggiti! Se invece di fuggire si fossero difesi non ne sarebbe morto nessuno, perché non si sarebbero schiacciati l’un l’altro nella fuga. Lo dimostra proprio il fatto che nessun inglese morì.
Ma nemmeno in questo sta il vero motivo dell’entrata in guerra. Oggi, a posteriori, sappiamo che questi intenti di Mussolini erano irrealizzabili perché gli occidentali avevano un unico e pervicace scopo: la liquidazione degli Stati fascisti e la disintegrazione dell’Europa (che realizzeranno a Yalta).
Resta il fatto che Mussolini, oltre all’estendersi del conflitto, paventava anche che inglesi e tedeschi si mettessero d’accordo tra loro su dimensioni globali (cosa ben diversa da un accordo europeo, auspicato anche dall’Italia, che evitasse o che interrompesse il conflitto in corso). L’ipotesi più realistica che Mussolini “vaso di coccio” si trovava davanti non era l’invasione da parte di uno dei due contendenti, ma l’invasione congiunta una volta pacificati tra loro! Il nord alla Germania, il sud alla Gran Bretagna.
“Il popolo ormai si domanda quale tra i due padroni, l’inglese o il tedesco, sia da preferire” (Benito Mussolini a Galeazzo Ciano[187])
E non è un ipotesi tanto peregrina dato che la medesima prospettiva si è ripetuta paro paro nei primi anni ’90.
Ebbene in quel mese di agosto effettivamente il governo italiano venne oltretutto a sapere che sottobanco inglesi e tedeschi, all’insaputa dell’Italia, stavano anche trattando per trovare un accordo che, in caso di successo, essendo gli interressi italiani totalmente in contrasto con quelli britannici, sarebbe stato per noi disastroso. Ed anche in quell’occasione la nostra diplomazia sotterranea pensò bene di premunirsi, in vista di una guerra per noi insostenibile, con un accordo transitorio che facesse superare senza eccessivi danni e coinvolgimenti una fase bellica che si sperava non troppo lunga. Si spiega così il comportamento contraddittorio e ondivago di Mussolini durante la non belligeranza e tutto il resto. La geopolitica e la ragion di Stato, spesso non vanno di pari passo con gli ideali di partito (vale a dire che le similitudini ideologiche tra fascismo e nazionalsocialismo non ebbero affatto un peso prevalente, ma questo non toglie che, nella considerazione storica, che trascende i particolari e le contingenze, in definitiva il 10 giugno 1940 fu proprio quello che affermarono gli ex combattenti della FNCRSI in un loro volantino: Il sangue contro l’oro; il lavoro contro la speculazione e l’intrigo; schiavisti anglosassoni e sovietici contro proletari che volevano i frutti del proprio lavoro.
E da questo punto di vista il pericolo di cui nessuno si rende conto e che agli occhi di Mussolini era quantomai plausibile era che una volta sconfitta la Francia, Gran Bretagna e Germania rappacificate si accordassero per suddividersi il resto del mondo. Gran Bretagna nemico naturale dell’Italia mediterranea, e Germania nemico naturale dell’Italia padana, e desiderosa di prendersi l’Alto Adige, pomo di discordia con l’Italia, l’unica salvezza veniva dalla Russia. Ma la Russia in quel momento era alleata della Germania. Quindi l’unica possibilità era proprio allacciarsi alla Germania come male minore.
“Nel 1936 vi fu la crisi con l’Italia per l’Abissinia. Il governo tedesco di Adolf Hitler era pronto, in quell’occasione, ad aiutarvi. Noi ci offrimmo di appoggiare le sanzioni contro l’Italia e se fossimo stati al vostro fianco esse sarebbero state efficaci. Tutto quello che chiedemmo in cambio era che il Reich avesse mano libera nei suoi rapporti con l’Austria” (Hermann Göering) ---- mosley pag. 444.
Vengono smentite quindi le leggende di una guerra evitabile e causata/voluta dal Mussolini. A provarlo basti il timore espresso da Dino Campini, segretario particolare di Carlo Alberto Biggini, ministro dell’educazione nazionale, che se “quelle lettere” (la corrispondenza tra Churchill e Mussolini) fossero finite in mano ai tedeschi, “la sorte di Mussolini sarebbe stata segnata assai prima del 25 aprile”[188]. L’Italia non aveva possibilità di scelta e doveva necessariamente entrare in guerra, messa di fronte ad inevitabili alternative ben peggiori: rimanere schiacciata tra i due belligeranti. Vaso di coccio tra vasi di ferro.
“Preferiamo avere l’Italia nemica, anziché amica” (Anthony Eden)
Le condizioni difensive italiane erano ampiamente conosciute da Mussolini, a differenza di quanto solitamente si insinua. La dimostrazione di questo è che nel febbraio-marzo del 1940 inviò al sicuro negli Stati Uniti una notevole quantità d’oro della Banca d’Italia[189]. Cosa che conferma, tra l’altro, che mai si sarebbe aspettato di trovarsi un giorno contro di lui proprio gli Stati Uniti…
Già dall’aprile 1940 la Gran Bretagna aveva bloccato le importazioni via mare del carbone dalla Germania all’Italia, sequestrando 13 navi italiane, ed aveva ripetutamente bloccato per giorni senza motivo centinaia di mercantili e navi di linea italiani a Gibilterra e Suez, in violazione di ogni norma marittima internazionale. Questo aggiunge un tassello alla convinzione che Mussolini abbia scelto la “pistola” avviando le ricerche per l’estrazione del petrolio libico, e per di più contrariamente alla volontà della massoneria e di certi poteri interni ad essa legati. Proprio quelle forze politiche che successivamente più hanno gridato allo scandalo per la decisione di Mussolini di entrare in guerra, desideravano quella decisione con tutte le loro forze, perché solo così potevano sperare di provocare, attraverso la guerra e la sconfitta, la caduta dell’odiato regime fascista e trarne profitto. Quegli stessi industriali che dopo l’8 settembre 1943 approfittarono dell’occupazione tedesca per vendere lucrosamente ai tedeschi i macchinari industriali (altroché requisiti come vulgata dice!)[190]. “Perdere per vincere” fu la formula prediletta di tutta una gamma di personaggi in un modo o nell’altro riferibili ad una determinata tipologia di persone, identificabile nella borghesia. Che a tale scopo hanno incessantemente lavorato nel periodo precedente il 10 giugno 1940. Alla faccia dello stereotipo del fascismo come dittatura “borghese”!
“Le cose da Mussolini già fatte lo condurranno prima o poi ad un serio conflitto con il capitalismo” (Bernard Shaw in un’intervista concessa al “Manchester Guardian”, 1937)
Mussolini, nel suo “Testamento”, diceva che il fascismo, per la prima volta nella storia, aveva veramente turbato i sonni dei capitalisti e dei grandi speculatori. L’alternativa quale era? Bisognava stare buoni buoni deferenti verso gli inglesi nonostante tutto? Lasciargli tenere sotto ricatto la sopravvivenza di 40 milioni di italiani a tempo indefinito? L’errore del fascismo è dunque quello di aver tentato di fare dell’Italia una nazione libera. Mussolini ha osato... Fotografando la situazione, così si espresse Mussolini con il suo medico Georg Zachariae: “L’Inghilterra che ha molti interessi nel Mediterraneo, quale via di comunicazione con l’Egitto e l’India, era invidiosa dell’influenza che l’Italia andava prendendo nel bacino del Mediterraneo, nei Balcani, nel vicino Oriente e in Africa. L’ostilità britannica non poteva certo farmi desistere dai miei piani, perché tanto valeva che me ne andassi abbandonando l’Italia al suo destino”. Ma cosa sarebbe diventata la penisola italiana se il piccolo Piemonte, nel 1848, non avesse osato sfidare il potente impero degli Asburgo? Nessuno ha rimproverato allora Cavour d’avere “osato muoversi”, come neppure nel 1854, quando il Cavour era entrato in una guerra che ancor meno riguardava la penisola italica, quella di Crimea, con analogo scopo: sedere al tavolo dei vincitori e compartecipare ai frutti della vittoria. Fu una strage, ma vittoriosa. Perfino priva di apparenti nobili scopi, a differenza di quella del 1940.
“La guerra attuale è la guerra del ricco contro il povero, dei ben pasciuti contro chi stenta a vivere, del capitalista contro il lavoratore, e viceversa: ognuno attacca o si difende come può”. (Giuseppe Roncalli, lettera inviata al fratello Giovanni il 28 marzo 1941)
Ma non serve fare supposizioni quando vi è già il dato di fatto di quanto raggiante di gioia fosse stato il popolo italiano quando fu conquistata Berbera e fin quando si giunse a 100 chilometri da Alessandria d’Egitto, fino all’ottobre 1942. Solo dopo le cose cambiarono; la sconfitta di El Alamein fu la svolta del corso della guerra; fino a quel momento la vittoria pareva ancora realizzabile. Poi sopravvenne lo scoramento. Che tirò fuori tutt--------caratteristiche più deteriori del popolo italiano. ----qui frase tutti diventarono democratici?-----
Nel sottolineare le differenze sociologiche tra diverse nazioni, si valuti che ancora il 3 maggio 1944 (ossia ben dopo il nostro 8 settembre ’43) in Turchia i circoli panturchisti organizzarono grandi manifestazioni per le strade della capitale Angora e di Istanbul per sollecitare l’ingresso in guerra a fianco della Germania!
Dopo la pace conclusa tra Urss e Finlandia, il rifiuto di acquistare il carbone britannico in luogo di quello tedesco fu probabilmente la goccia che fece traboccare il vaso. Se Mussolini fu quindi ingannato da Churchill con promesse poi non mantenute, questo inganno fu premeditato? Più realisticamente i fatti vanno inseriti nell’ambito dell’antagonismo politico tra Churchill e Chamberlain prima, e tra Churchill e Halifax dopo, o meglio, tra diverse logge massoniche.
------guerra finta qui?-----
Anche tra vaste parti di popolazione era diffusa la contrarietà alla guerra. Molti italiani si dicevano addirittura grati a francesi e inglesi, perché a loro giudizio col permettere l’immigrazione “avevano aiutato gli italiani”. Ribadiamo: certo, è facile la “carità pelosa”, è facile dare quando si ha e soprattutto quando lo si ha rubato. E’ facile far uscire dalla porta quello che si sa rientrerà dalla finestra. Ma il bello è che in quel caso, a differenza del piano Marshall, non si trattava nemmeno della parvenza di carità! Ma della cessione di quanto superfluo, le briciole, l’immondizia, per ottenere il lavoro schiavistico altrui, dei questuanti. Una schiavitù a tutti gli effetti e della quale quegli schiavi si dicevano pure grati! Un umiliante asservimento che il fascismo voleva eliminare non proibendolo draconianamente, ma “bypassando” l’“intermediario” di quei beni ed andando a prenderli direttamente alla fonte senza dover passare attraverso il contraccambio del lavoro schiavistico alla mercé dei padroni di tutte le ricchezze del mondo. Che da questa mera intermediazione ricavava la schiavitù. Se poteva cedere quei beni in quanto superflui, avrebbe potuto tranquillamente farne a meno. Ma avrebbe perduto la possibilità di scegliere a chi darli e in cambio di cosa. Quegli italiani ossequiavano chi gli centellinava la possibilità di sopravvivenza in cambio di ------ schiavitù, e odiava chi voleva fargliela avere “gratis”! questo il grande paradosso -----------.
“Odio le vittime che rispettano i loro giustizieri” (Jean-Paul Sartre)
Sta di fatto che vasti settori politici, istituzionali e militari compresi alcuni vertici del fascismo, pur se ignari di eventuali accordi segreti, avevano intuito e gradito quella condotta incruenta ed innocua della guerra, concependola come un desiderio ed una volontà di non fare la guerra ai britannici. Cioè di fare una guerra senza rischiare. Altroché “qualche centinaio di morti”… Cosicché non ci fu seguito alla volontà di Mussolini, alle sue successive sfuriate per incitare a mettere in atto una offensiva in Africa settentrionale e sul mare.
Difatti per concludere occorre aggiungere che Churchill, oramai coinvolta l’Italia nel conflitto, gettò ben presto la maschera e Mussolini dovette capirlo subito perché, come documentazioni ci attestano, già il 28 giugno 1940 Badoglio inviò un telegramma in Libia, con il quale pressò Balbo affinché accelerasse gli studi per l’offensiva verso l’Egitto, in quanto “il Duce sta fremendo... fa di tutto per essere pronto per il 15 luglio” e successivamente il 3 luglio confermò al subentrato Graziani nel comando libico: “Duce mi ordina di comunicarvi che est interesse vitale per l’Italia che voi siate pronti a sferrare l’offensiva per il giorno 15”. Al contempo sappiamo anche che Mussolini fece lo stesso con Supermarina perché intraprendesse qualche azione di rilievo nel Mediterraneo. Si sa che la destinazione di Balbo durante il cui volo fu abbattuto era Sidi Azeis, situata proprio sul fronte. Per incontrarsi con chi? Alla luce di tutto è così astruso ipotizzare che Balbo stesse prendendo contatti coi britannici per far ammutinare la Libia? Dopotutto un ammutinamento delle truppe coloniali contro il governo della Madrepatria era già avvenuto nel Marocco spagnolo pochi anni prima, e solo da pochi giorni De Gaulle aveva fatto altrettanto rinnegando le decisioni del suo governo. E se invece, come sostengono i suoi ammiratori, cercava un accordo con gli egiziani per ispirare una rivolta anti-britannica? Un interpretazione potrebbe giungerci dal fatto che nessun importante gerarca volle partecipare ai suoi funerali. L’unica cosa certa è che fu abbattuto dal sommergibile “Marcantonio Bragadin” appena giunto da Napoli e subito ripartito.
Tutto però fu inutile perché, accordo o non accordo, in Italia, a cominciare dal re, da Badoglio e da Supermarina (e anche da certe gerarchie del fascismo, come per esempio i filo occidentali Grandi e Ciano), ben pochi avevano la voglia di fare la guerra sul serio agli inglesi. Campioni prototipi del tradimento come Alfredo Guzzoni e Bruno Brivonesi erano la regola, non l’eccezione. La punta dell’iceberg. Casomai l’eccezione erano i singoli episodi di eroismo, come i gloriosi maiali, gli eroi di Giarabub e di Bir El Gobi. E di tutte le scusanti, per quanto riguarda il sabotaggio industriale, se di cannoni e camion si può tollerare, quando invece si tratta di aerei e sommergibili allora il sabotaggio diventa un vero omicidio volontario!
“E’ da ritenere per certo, anzi, che la percezione dell’approssimarsi di tale momento [la terza ondata], che da qualche tempo alcuni fra i maggiori capitalisti avevano avuta, li indusse a cambiare la resistenza da passiva in attiva e a cooperare, nella difesa delle loro posizioni, all’organizzazione della disfatta, al colpo di Stato del 25 luglio, alla collusione con il nemico attraverso la capitolazione” (Corriere della sera, 26 novembre 1943)
Dal canto suo, Mussolini, ovviamente conscio degli ostacoli, aveva perseguito per 20 anni il suo progetto recondito, iniziando con lo sciogliere il nodo che teneva uniti i suoi nemici: la massoneria; fino al 25 luglio 1943, quando per quelle forze arrivò l’occasione di sbarazzarsi di lui grazie al pianificato andamento negativo della guerra, la quale come è noto è stata caratterizzata da appositi ed in apparenza assurdi piccoli e grandi sabotaggi economico-logistici, certamente dietro coordinamento della massoneria risvegliatasi dal “sonno” nel quale Mussolini l’aveva messa nel 1925. Erano praticamente all’ordine del giorno ricezioni di pacchi di giornali vecchi al posto di munizioni, e di acqua sporca al posto di benzina. Gli aerei di supporto navale partivano regolarmente almeno tre ore dopo che le battaglie erano finite, e spesso per bombardare le loro stesse navi… oppure le parti invertite, di cui ne abbiamo un chiaro esempio nell’abbattimento dell’aereo di Balbo.
“Tu domanderai perché non si identificano e puniscono i colpevoli. Ma quando ho cercato di farlo, mi sono trovato di fronte una muraglia impenetrabile” (Benito Mussolini[191])
Quella muraglia erano i tentacoli dell’organizzazione massonica.
L’unico episodio di punizione riguardò un comandante sul fronte jugoslavo, che dietro alle rimostranze della truppa rispose candidamente “non sapete che dobbiamo perdere la guerra se vogliamo liberarci del fascismo?”[192]. Questo mette il sigillo su chi aveva i veri motivi a dichiarare la guerra, perlopiù al fianco di Hitler. Come se non bastasse la rimanente miriade di evidenti indizi, come il fatto che addirittura il Re d’Italia tenesse i suoi risparmi in una banca inglese, in un conto che durante tutta la guerra non fu toccato.
“Fra i miei nemici molti mi scrissero lettere oggi completamente dimenticate. Non pochi diventarono antifascisti perché mi sono rifiutato di assecondare le loro sfrenate ambizioni, la loro insaziabile sete di guadagno, la loro palese disonestà” (Benito Mussolini[193])
L’apoteosi della stupidità si raggiunse in quelli che di notte tenevano apposta le luci di casa accese per attirare gli aerei nemici sulle città, con l’evidente rischio di farsi centrare essi per primi dalle bombe sganciate dal bonario “Pippo”. Un pò come quel sindaco francese nel film “Il giorno più lungo”, che rischia (ma “comicamente”…) di farsi uccidere dai suoi amati liberatori.
Si dice che la capitolazione dell’Africa orientale avvenne per fame, ma dopo la capitolazione italiana le truppe britanniche trovarono con stupore magazzini colmi di vettovaglie bastanti per almeno due anni[194]! Idem per Pantelleria.
Comunque, come sappiamo, fin dall’inizio l’Italia scese effettivamente in guerra senza impartire direttive strategiche offensive, in pratica facendo purtroppo il gioco in malafede di Churchill. Scrisse Dino Campini, già segretario del ministro della RSI Biggini: «Se i fatti consentono interpretazioni, se è valida la catena delle cause e degli effetti, si deve ammettere che l’Italia cominciò la guerra non per farla, ma soltanto per inserirsi in un gioco politico[195]».
Resta il fatto però che quella rinuncia iniziale a condurre a fondo decisive operazioni militari, pregiudicò irreparabilmente l’esile filo di vittoria, anche se era palese che all’Italia, data la sua debolezza economica e militare, sarebbe stata oltremodo necessaria ed opportuna una entrata in guerra del tutto nominale, proprio come era stata, di fatto, una drôle de guerre quella tra tedeschi ed anglo-francesi, nell’inverno 1939/1940.
Ma anche successivamente, almeno fino al gennaio 1941, la strategia bellica italiana, benché non più condizionata dall’accordo segreto del carteggio, seguì una sua linea, quella della guerra parallela, logica e consequenziale, in considerazione delle nostri esigenze geopolitiche, ma decisamente nefasta per le sorti della guerra (in particolare a causa del nostro intervento in Grecia). -----qui o dove spartizione gran Bretagna – germania?------. E quando iniziarono le vere ostilità, iniziarono i sabotaggi.
E’ vero che per varie cause (inettitudine, pressapochismo, sabotaggio, ecc.) l’Italia entrò in guerra senza un programma strategico di guerra e oltretutto, come abbiamo visto, in base all’intesa con Churchill tutto era rimasto sospeso in vista di un imminente fine delle ostilità, ma abbiamo visto anche che da luglio Mussolini prese a spingere affinché si mettessero in atto progetti militari per portare un attacco decisivo ai britannici, soprattutto in Africa settentrionale e sul mare. Ma abbiamo anche visto che trovò davanti a sé un ostruzionismo diffuso.
“In ogni guerra, la questione di fondo non è tanto di vincere o di perdere, di vivere o di morire; ma di come si vince, di come si perde, di come si vive, di come si muore. Una guerra si può perdere, ma con dignità e lealtà. La resa ed il tradimento bollano per secoli un popolo davanti al mondo” (Junio Valerio Borghese)
Quale senso dare alla clausola
inserita nel Trattato di Parigi del 1947, che vietava qualunque procedimento
giudiziario a carico di quegli italiani che si erano adoperati per la sconfitta
e la resa del proprio paese: e ciò non dal settembre 1943, ma fin dall’inizio
della guerra, nel giugno del 1940? Chi erano quegli italiani, si chiede Francesco Lamendola, da quanto tempo agivano come una
quinta colonna nemica e in quali maniere si adoperarono per raggiungere i loro
scopi, ricevendo anche, a guerra finita, decorazioni e onorificenze? Dobbiamo
alfine arrenderci ed ammettere che quella guerra fu solamente una grande
messinscena? Manovrata, almeno in parte, dalla classe dirigente italiana
pre-fascista, massonica e anglofila, che non desiderava una vittoria
dell’Italia e che fece di tutto perché la perdesse, dopo averla provocata: dai
finanzieri ai grandi industriali, dagli ammiragli ai generali. Mandando allo
sbaraglio centinaia di migliaia di bravi soldati e di valorosi marinai ed
aviatori ed esponendoli non solo alla sconfitta, ma anche alla vergogna e al
disonore. Scritti come il famoso “Fucilate gli ammiragli” di
Antonino Trizzino gettano una fosca luce sull’intera vicenda. E’ verosimile che
si sia applicato un perverso meccanismo identico a quello che, nel 1860, su
desiderio britannico aveva fatto consegnare la flotta borbonica nelle mani dei
garibaldini praticamente senza combattere. Alla luce di questo con beffarda
tenerezza appare l’inconsapevole ingenuità del governatore britannico del Sudan
quando, dopo l’effimera presa di Berbera, scrive al duca d’Aosta una forbita
lettera, raccomandandogli, “quando verrà a Khartum con le sue truppe”, di
“trattare civilmente i residenti britannici”…
Come poter giustificare altrimenti quei famosi scarponi di cartone, calzando i quali i nostri alpini si trovarono ad affrontare la campagna di Russia? Oppure la resa inspiegabile di poderose fortezze come Pantelleria e Augusta, nell’estate del 1943, che avrebbero potuto resistere per dei mesi e che, viceversa, ammainarono la bandiera praticamente senza combattere, e consegnando al nemico tutto il materiale bellico! O degli allarmi aerei fatti scattare con sospetto ritardo, come a Milano il 24 ottobre 1942 in coincidenza con uno dei tanti tentativi di golpe di Dino Grandi. In un clima di tacita complicità, tutti disertarono le loro postazioni. Una delle pagine più vergognose della storia italiana.
Alla luce della stravaganza nella condotta italiana della guerra, la domanda da porsi, quando si verifica la nostra impreparazione militare e la si sventola come prova lampante dell’irresponsabilità e della megalomania di Mussolini, dovrebbe essere questa: le classi dirigenti italiane che detenevano il vero potere, legate alla monarchia e alla massoneria, desideravano la vittoria dell’Italia, oppure preferivano la sua sconfitta ad opera di chiunque venisse? Hitler compreso, magari…
In merito a tutto questo Dino Campini scrive: “tante incongruenze richiedono un idea, un istinto di fare le cose in un certo modo. Quale poteva essere quell’idea?[196]”. Uno spunto ce lo dà un agente dei servizi segreti italiani, Aristide Tabasso, operante in Africa orientale. Racconta che “non facevo altro che imbattermi in italiani che, o sono al servizio di francesi o inglesi o, se in posizioni di un certo livello, non fanno altro che proteggere le spie che io scopro[197]”. Duole ammettere che nessun popolo al mondo avrebbe potuto tollerare il peso di comandi militari di così pronunciata codardia e di così convinta dedizione al tradimento.
“Gli italiani sono singoli geni che formano, tutti insieme, un popolo politicamente disordinato e immaturo. Una collettività talmente sorprendente da rendere problematico un giudizio complessivo” (Alberto Lattuada)
Secondo Lamendola non si può al riguardo non fare un parallelismo fra l’Italia dell’estate 1943, dopo la caduta dell’ultimo caposaldo in Tunisia, e quella del 1917, dopo la rotta di Caporetto. Il confronto salta agli occhi: nel 1917, quando gli alleati dell’Italia (Francia, Gran Bretagna, e Stati Uniti) proponevano la ritirata fino al Mincio, il popolo italiano, ma anche la classe dirigente insorse: mai più si assistette a una tale scena nel frangente del pericolo. La Fiat e le altre industrie di guerra fecero il possibile per supportare lo sforzo bellico, rendendo possibile la vittoria finale. Niente scarpe di cartone.
Nell’estate del 1943 non si vide nulla di tutto ciò; al contrario. Si videro ammiragli cedere al nemico basi ancora intatte; navi da battaglia dirigersi a tutta forza verso i porti nemici, per consegnarsi senza sparare un colpo; mafiosi tramare per facilitare l’invasione nemica; industriali e finanzieri brillare per la loro incapacità, per non dire malafede (dopo che erano stati fin troppo ligi nel provocare la caduta di Mussolini, timorosi dei progetti di socializzare l’economia). Ad Augusta, dove c’erano le batterie costiere più potenti del Mediterraneo, si fecero saltare le difese prima ancora che gli americani apparissero all’orizzonte il 10 luglio seguente! Come conciliare tale comportamento remissivo tenuto fin dall’inizio verso il nemico anglo-americano, con il comportamento fiero ed agguerrito l’8 settembre 1943 verso il nuovo nemico tedesco, perlomeno dove si riteneva possibile o necessario tentare di resistere (Cefalonia, Dodecanneso, porta san Paolo, Sardegna, Corsica, ecc)? Non si può negare che tutti questi strani “due pesi e due misure” risultino sospetti… Ecco, secondo Francesco Lamendola, un’altra pagina di storia che la vulgata non ha mai avuto il coraggio di approfondire, evidentemente in base al motto di Machiavelli che il fine (la caduta della dittatura fascista) giustifica i mezzi (la sconfitta e la suprema umiliazione della Patria). Ovviamente un punto fondamentale è chiedersi: quel fine era buono?
“La guerra non stabilisce chi ha ragione, ma solo chi sopravvive” (Bertrand Russell)
Ciò che nell’estate del 1943 rese ad essi impellente far cadere Mussolini non fu l’invasione della Sicilia come leggenda vuole. Anzi la massoneria stessa ne covava desiderio, e la agevolò tramite la sua associata siciliana nota come “mafia”. Già il 3 giugno Dino Grandi aveva nuovamente chiesto l’intervento di Vittorio Emanuele per eliminare Mussolini. Ciò che rendeva impellente la caduta del fascismo era la pressione che Mussolini faceva negli ambienti tedeschi per organizzare una pace separata con l’Urss[198]. Dopo la quale ovviamente tutti gli altri nemici sarebbero venuti a patti più celermente ed accondiscentemente, rinunciando all’incomprensibile pretesa della resa incondizionata; cosa che avrebbe però mandato a monte la “crema” dei progetti massonici. Un panorama nel quale crescono d’intensità le pressioni staliniane per un secondo fronte, che acquisteranno chiarezza con il ritorno di Togliatti in Italia il 27 marzo del 1944, di poco successivo all’inaspettato riconoscimento sovietico del governo di Badoglio (13 marzo) ---o 14 maggio?????, tra lo stupore generale ed il malcelato fastidio degli angloamericani che ancora non avevano fatto questo passo. Queste pressioni sovietiche erano finalizzate solamente all’apertura del secondo fronte, o ad altro? Ma c’è un altro punto oscuro riguardo l’armistizio dell’8 settembre 1943 firmato il 3. Nella notte fra il 4 e il 5 settembre 1943 Stalin ordina la liberazione dei tre metropoliti ortodossi ancora vivi; successivamente al loro incontro con Stalin furono liberati dai gulag altri 19 vescovi; l’8 settembre elessero il loro patriarca. Un po’ alla volta furono liberati i restanti preti e riaperte 20.000 chiese[199]. Una semplice coincidenza? E’ solo dopo la resa italiana che Churchill concede a Stalin il possesso dei territori polacchi già occupati nel 1939 (a Teheran, dicembre ’43).
Quel che è certo è che a partire dalla sconfitta ad El Alamein del novembre 1942 il lavorio del Duce per addivenire ad una pace con l’Urss si fece ancor più pressante. Il 18 dicembre 1942 tramite Ciano chiede a Hitler di far pace con l’Urss. Il 7 aprile 1943 Mussolini lo chiede direttamente a Hitler. Con il sostegno (se non la pressione) del giapponese Tojo.
Il 25 luglio 1943 gli italiani esultarono la caduta di Mussolini come la fine della guerra. Se solo avessero potuto sapere che stavano propriamente esultando per la continuazione di una guerra che Mussolini avrebbe invece fatto finire al più presto… Osannarono proprio quelli che avevano l’interesse ed il proposito di farla non solo continuare, ma addirittura degenerare anche per ingigantire le “colpe” affibbiabili allo speaker[200] che l’aveva annunciata alla radio.
“Mussolini è il più grande uomo da me conosciuto, e senz’altro fra i più profondamente buoni, al riguardo ho troppe prove per dimostrarlo” (Pio XII, 1952)
Incomprensibile è come essi, pur dichiarando di agire per il bene della nazione, permisero nel lasso di tempo successivo di lasciar affluire liberamente i tedeschi nella penisola. Nei giorni tra il 3 e l’8 settembre a Badoglio serviva qualche centinaio di morti per far credere ai tedeschi che ancora l’alleanza resisteva ---- bombardamenti----- sottomarino a salerno----. Se questa invasione fosse avvenuta il 25 luglio (e così sarebbe stato se durante la notte Mussolini non fosse stato fatto cadere) anziché l’8 settembre, le possibilità di resistenza italiane sarebbero state certamente maggiori. Evidentemente lo scopo iniziale dei veri autori del colpo di Stato del 25 luglio non era il successivo armistizio poi verificatosi, ma essi stessi dovettero accondiscendervi davanti alle sopravvenute esigenze internazionali (la pressione diplomatica sovietica soprattutto). Tutto l’operato del governo Badoglio appare finalizzato più a tenere a freno quelli che volevano l’armistizio, a ritardarlo che a favorirlo. Un’ovvia analisi ci conferma ciò: se l’Italia fosse stata aggredita il 25 luglio dall’esercito tedesco, la resistenza sarebbe stata presa dall’esercito dell’Italia fascista. Risulta difficile ipotizzare che Mussolini sarebbe scappato a Brindisi come in seguito fecero il Re e Badoglio… In quest’ottica all’antifascismo sarebbe mancato il fatto originatorio, facendo venir meno uno dei motivi che avevano spinto i loro assertori a volere l’entrata in guerra dell’Italia. Anzi, probabilmente sarebbe stata la scusa con la quale Mussolini avrebbe potuto “scatenare la terza ondata” rivelando agli italiani a chi fossero imputabili le vere cause di quanto stava accadendo.
“Protesto contro la parola tradimento. Non do la colpa al popolo italiano, ma a quelli che hanno tradito il suo onore, e vi dico che questo tradimento sarà di grave peso sulla storia d’Italia” (Raffaele Guariglia a Rudolf Rahn, 8 settembre 1943[201])
Ed oggi non avremmo un paese ideologicamente diviso in due, ma avremmo come la Bulgaria un paese dove tutti hanno lottato assieme contro l’invasione straniera. Ma anche i bulgari ebbero il loro “25 luglio”: il 28 agosto 1943, dopo una visita in Germania, lo zar bulgaro Boris III morì improvvisamente dopo un agonia di tre giorni, probabilmente avvelenato. Suo figlio di sei anni, Simeone II, gli successe al trono, ma venne istituito un consiglio di reggenti a causa della giovane età dell’erede. Il nuovo primo ministro, Dobri Bozilov, si rivelò solamente un fantoccio nelle mani tedesche.
Dopo la resa italiana accaddero determinati avvenimenti all’apparenza superflui, ma che se visti sotto una certa ottica possono dare un quadro preciso sulla situazione precedente: in Giappone il mussoliniano Seigō Nakano fu liberato il 27 ottobre 1943. Per quale motivo da quel momento non vedevano più una necessità tenerlo imprigionato? O piuttosto, perché prima la vedevano? Non si può fare a meno di fare un parallelo con la Gran Bretagna, dove il mussoliniano Oswald Mosley fu liberato negli stessi frangenti. Cosa accomunava il Giappone alla Gran Bretagna nel tener prigionieri i referenti mussoliniani, e liberarli una volta caduto Mussolini? Il quadro potrebbe chiudersi valutando come l’anti-hitleriano Tojo fu destituito (22 luglio 1944, sostituito con Koiso) da capo del governo giapponese dopo il fallimento dell’attentato di Rastenburg che accrebbe la morsa hitleriana sulla Germania. Come, col senno di poi, questi episodi successivi possono essere collegati alla resa italiana? Effetti, o piuttosto, cause?
Imputare all’Italia l’armistizio
dell’8 settembre come tradimento può anche essere considerato ingiusto, visto
che prima o dopo tutti gli stati sconfitti hanno avuto il loro “8 settembre”,
Germania e Giappone compresi. Ma dato che “errare è umano, persistere è
diabolico”, non possiamo fare a meno di citare la farsa di quando lo pseudo
governo “italiano” di Badoglio inviò
all’ambasciatore Paulucci a Madrid l’ordine di consegnare al suo omologo
tedesco la dichiarazione di guerra “italiana” alla Germania. L’ambasciatore
tedesco semplicemente si rifiutò con sdegno di considerarla, non riconoscendo
in quel latore lo Stato italiano. Questo episodio rivela come negli ambienti
monarchici si fosse perso ogni senso della realtà, fino ad arrivare ad
umiliarsi in tal modo davanti al mondo intero. Gli ex nemici avevano perfino
coniato il neologismo “co-belligerante” per definire lo status del “Regno del
sud”.
E’ sbagliato criticare quelli come Petain o Quisling, che siglarono la resa e presero le redini dei governi dei paesi sconfitti. Qualcuno avrà dovuto pur farlo, davanti all’inevitabilità. Si consideri la sorte della Polonia, dove nessuno fece ciò. Tuttavia questo discorso esula dall’operato di Badoglio e soci, i quali non si sono limitati a siglare la resa come avvallo di un dato di fatto inevitabile, ma hanno lavorato indefessi fin dal principio per portare ad essa!
“Credo bene d’essermelo meritato” (Giuseppe Castellano, firmatario della resa italiana[202])
Badoglio, come Petain, si arrendeva ---------. Mussolini, come De Gaulle, andò contro al governo ufficiale ----------. Ovviamente oggi a prescindere dal comportamento ad essere lodati sono i due che hanno vinto, mentre ad essere deprecati i due che hanno perso. Quale miglior esempio? ---del due pesi e due misure------ Anche Petain rifiutò di entrare in guerra contro l’ex alleato.
Inoltre, a discolpa italiana, va detto che per quanto riguarda bulgari, romeni, finlandesi, appena arresi rivolsero fin da subito di propria iniziativa le armi contro i tedeschi.
Rimane da chiedersi se non fosse intervenuto Mussolini a metterci una pezza, quale sarebbe stato il destino dell’Italia… L’immagine fiabesca di 25 luglio ed 8 settembre fabbricata dagli Ambrosio, Acquarone, Castellano, Grandi e complici, resiste ancora oggi. Il bello è che nella marea di pubblicazioni sull’argomento a nessuno storico saltò mai negli anni in mente l’idea di andare ad intervistare quella che dovrebbe essere a rigor di logica la prima persona a conoscenza dei fatti, il barone Hidaka. Il primo ad avere il lampo di genio fu Frederick Deakin, dal cui incontro ricavò successivamente il suo libro stampato nel 1968 “Storia della Repubblica di Salò”. Al Deakin succedette solo Piero Buscaroli, nel 1966, al quale Hidaka dimostrò lo stupore nell’essere così ignorato dagli storici.
“Niente affatto curioso, signor ambasciatore. Hanno una paura livida di qualsiasi cosa voi possiate dirmi, su questo sono tutti d’accordo, badogliani o comunisti. Che nessuno dei sedicenti storici abbia provato la minima curiosità di quel che poteva dirvi Mussolini nel solo colloquio politico ch’ebbe dopo la notte tra il 24 e il 25 luglio, prova soltanto di quale tempra siano come storici” (Piero Buscaroli al barone Hidaka, 6 luglio 1966[203])
Anche sul destino di Ettore Muti e Ugo Cavallero si è indagato troppo poco; assai indicativo è che nei giornali la notizia della sua morte fu riportata in brevi trafiletti. Muti all’inizio del 1943 fu assegnato al Sim, ove venne probabilmente a sapere cose che era bene ignorare. Si tenga presente che il capo del Sim era quel Giacomo Carboni che tenne per sé una copia del memoriale Cavallero per usarla per non ben definiti scopi. Cavallero fu arrestato lo stesso giorno dell’assassinio di Muti. Cosa li accomunava? Forse proprio i retroscena ignoti del 25 luglio? Carboni fu quello che l’8 settembre avrebbe dovuto organizzare la difesa di Roma, ed invece la lasciò in balìa dei tedeschi, “in obbedienza a pregresse direttive”.
“Di 850 persone che dovevano essere arrestate finì in galera solo il maresciallo Cavallero, ma perché era nemico personale di Badoglio” (Petacco ---Arrigo Petacco, “La nostra guerra 1940-1945”, Mondadori, pag. 146.
Dovrebbe essere oramai compreso che il colpo di Stato del 25 luglio era finalizzato dai suoi autori unicamente ad impedire all’interno la “terza ondata” socializzatrice, ed all’esterno lo sganciamento dalla Germania deciso da Mussolini per il 26. Il risultato che poi ottennero è noto.
Era fin dalla fine del 1942 che i giornali stranieri davano per imminente un colpo di Stato contro Mussolini[204]. Grandi stesso ammise di averne progettati nel maggio 1941 (ovvero poco prima dell’operazione Barbarossa) e nel novembre 1942 (ovvero dopo la battaglia di El Alamein)[205]. In quest’ultima occasione al doppiogiochista Galeazzo Ciano fu affidato il compito di contattare l’ambasciatore britannico a Lisbona per trattare la pace; il secco rifiuto arrivò da Eden in persona. In buona sostanza abbiamo da un lato Mussolini che preme per far pace con l’Urss e scagliare tutte le forze contro i britannici, e dall’altro i golpisti massoni che premono per far pace con i britannici; questi erano a loro volta divisi tra chi voleva la pace anche con l’Urss e chi voleva approfittare della pace ad occidente per scagliarsi ad oriente. Fu per il venire a galla di tali trame che il 5 febbraio 1943 Ciano venne allontanato dal Ministero degli Esteri. Quasi in contemporanea con la sostituzione di Castellano con il generale Ambrosio a Capo di Stato maggiore dell’Esercito (30 gennaio). Tardivo, ed equivalente a mettere una mela sana in un cesto di mele marce: fanno marcire pure quella sana; anche se nemmeno prima Ambrosio era esente da bachi. Ma tant’è, quello offriva il mercato… ------ Ambrosio non mela sana ma messo li da Mussolini per portare alla resa!!!!! ----- Cavallero filo-tedesco -- Ambrosio anti-tedesco
Ambrosio-Mussolini: “Il ciclo Cavallero è chiuso. Voi cosa intendete fare?” – “Intendo puntare i piedi contro i tedeschi” – “Benissimo. Io vi aiuterò”. – Arrigo Petacco, “La nostra guerra 1940-1945”, Mondadori, pag. 132.
E non dimentichiamo il 30 aprile 1943 la sostituzione con Giovanni Balella alla presidenza di confindustria al posto del Volpi troppo compromesso con il fascismo. ---si ma Balella era nel gran consiglio….---
Perché Mussolini commentò “questo proprio non ci voleva” quando i tedeschi atterrarono sul gran sasso per liberarlo?
Un “25 luglio” era già stato cospirato il 19 ottobre 1939 e praticamente dagli stessi personaggi del ’43, ma con in più Italo Balbo[206]; ma non è noto a cosa fosse finalizzato: ad evitare la partecipazione alla guerra o a favorirla? Al fianco dei tedeschi o dei franco-britannici? Nessuna di queste opzioni è così scontata come potrebbe sembrare…
Così, nel 1943 Mussolini, accortosi delle trame che per prima cosa gli impedivano di svincolarsi da Hitler, aveva deciso di “scatenare la terza ondata contro quel mezzo milione di vigliacchi borghesi che si annidano nel paese” che aveva già promesso in un discorso del 25 ottobre 1938.
«Ci sono Inghilterre che abbiamo dentro di noi che bisogna abbattere» (Berto Ricci)
Quello che non tutti riescono a capire del 25 luglio è che non fu un tentativo di scalzare Mussolini e il fascismo per instaurare la democrazia. Ciò era lontanissimo dai propositi dei complottisti e del Re. Nella pratica ---il tutto------ serviva a Mussolini stesso per farsi in disparte senza --------. E per togliersi ogni responsabilità indirettamente affidandola all’istituto monarchico. Di questo ne erano ben consapevoli i votanti del gran consiglio. E’ noto che Grandi illustrò a Mussolini l’ordine del giorno prima di presentarlo. Incomprensibile parrebbe quindi da parte sua sia la convocazione del gran consiglio, sia l’autorizzazione a votare l’ordine del giorno Grandi. Per questo diviene incomprensibile il motivo per cui in seguito furono processati e condannati. In un momento nel quale tutti sembravano tramate, l’unico a mettere le carte in tavola fu proprio Mussolini con questa sua -------.
“Quando mai il leader di un partito che desidera mantenere il potere convoca la direzione pur sapendo che finirà in minoranza?” (Arrigo Petacco --- Arrigo Petacco, “La nostra guerra 1940-1945”, Mondadori, pag. 143)
E’ noto il livello di stima che Vittorio Emanuele nutriva per i politicanti pre-fascisti, che in quel momento si riaffacciavano --------- Ivanoe Bonomi, Vittorio Emanuele Orlando, Marcello Soleri: “I’ sun dé revenants” sono dei sopravvissuti – Arrigo Petacco, “La nostra guerra 1940-1945”, Mondadori, pag. 133.
“Squadre di volenterosi “eroi del giorno dopo” armati di picconi demolivano i marmi e le insegne che raffiguravano i simboli del regime[207]”
A mano a mano che passavano i giorni, la crisi seguita agli avvenimenti
del 25 luglio, appariva più evidente e drammatica e a constatarne gli effetti
furono, per primi, coloro che l’avevano provocata. A Grandi, infatti,
incontrato al Quirinale ai primi di agosto del 1943, il Ministro della Real Casa,
Acquarone, disse: “Badoglio ci sta portando alla rovina e anche il Re è di
questo parere[208]”.
A ragion veduta, visto che alla fine il risultato ottenuto fu il referendum che lo costrinse all’esilio nel 1946. Nonostante le promesse americane di salvaguardare la monarchia. Non stupisce che il governo Badoglio fu benvoluto dai tedeschi. Il 2 agosto 1943 Anton Rintelen riferisce ad Hitler che, a parere suo e del feldmaresciallo Kesselring, il governo Badoglio va sostenuto perché è il solo che “poteva impedire una slittata dell’Italia verso il comunismo”. Dopo l’armistizio l’Italia non fu invasa dai tedeschi, semplicemente perché i tedeschi vi erano già presenti in forze. Il 9 settembre il re Vittorio Emanuele III, con tutto il seguito della Corte e degli alti gradi delle Forze armate abbandonano Roma diretti verso Pescara attraversando impunemente i posti di blocco tedeschi, come d’accordo con il comando germanico. Il generale Ruggiero rifiutò di consegnare le armi necessarie ad armare una guardia nazionale in funzione anti-tedesca, come proposto dai partiti antifascisti, venendo meno agli impegni assunti con essi il giorno precedente. A Roma, il generale Roatta ordina al generale Carboni di abbandonare Roma. I pochi ufficiali rimasti collaboreranno con le forze armate tedesche, sempre “in obbedienza a pregresse direttive” (lecito è chiedersi emesse da chi).
“Per
conoscer bene una verità bisogna averla combattuta” (Novalis)
“Vennero puniti tutti i
comandanti non defunti che avevano resistito ai tedeschi, perché il loro
comportamento poteva far sorgere il dubbio che “qualcosa di più e di meglio” si
sarebbe potuto compiere, ma se il potere politico e militare al centro avesse
seguito una linea diversa. Contemporaneamente si condannarono due soli
generali, diciamo così non resistenti… che assolutamente nulla poteva
distinguere dagli altri, nello stesso spirito in cui si “decimavano”,
fucilandoli, i soldati scelti per sorteggio. Insomma un arbitrio puro, quindi,
un efficacissimo avvertimento a tener cucite le labbra per quanti avessero
avuto qualcosa da dichiarare sulle vere responsabilità dell’8 settembre”
(Paolo Pavolini[209])
Arrigo Petacco nel suo libro “La nostra guerra 1940-1945” rievoca e paragona due episodi accaduti in conseguenza dell’armistizio badogliano: due unità navali, una alla Maddalena e l’altra a Zara, i cui equipaggi uccisero i comandanti; la prima per dirigersi a nord nella fedeltà a Mussolini, la seconda per dirigersi a sud nella fedeltà al Re e Badoglio; alla fine della guerra l’equipaggio “mussoliniano” venne condannato a morte, mentre l’equipaggio “badogliano” fu decorato.
E nonostante la vulgata vorrebbe che i primi fossero una minoranza, Silvio Bertoldi nel suo libro “Soldati a Salò” scrive che solo di ufficiali se ne presentarono in 20.000 (tra cui 300 generali) ai comandi della Rsi i primi giorni dopo l’8 settembre. Ai quali fece seguito una tale massa di volontari che non si era mai vista prima in alcuna guerra nella storia del mondo! Inevitabile fare il paragone con l’esercito del sud, che stentò a raccogliere poche migliaia di soldati… venendo superato in numero perfino dalle sole “ausiliarie” della Rsi!
Così, mentre come abbiamo visto, i partigiani vennero perlopiù disprezzati dai soldati vincitori, i soldati della Rsi ricevettero perfino l’ammirazione del comandante americano!
Riguardo la “liberazione” di Roma: tra i pagliacci americani ed i romani che li applaudivano, gli unici a mantenere un minimo di dignità furono i soldati francesi. Il loro giornale militare, a commentò della foto di copertina con quel circo, scrisse “degli evviva per un po’ di sigarette”. ---su facile dare quando si ha rubato ad altri.------ petacco pag. 249. -----
Arcinoto e pluripropagandato è che i rappresentanti diplomatici all’estero si schierarono col regno del sud. Ma indicativa appare la posizione assunta dai comuni cittadini nell’unico paese nel quale vi era l’effettiva libertà di scelta su con chi schierarsi, l’Argentina. ------qui o su Angora?-----
“I redattori del Mattino d’Italia unitamente alla stragrande maggioranza dei connazionali, rimasti incrollabilmente fedeli al regime, ora come sempre, nelle ore più difficili, si stringono attorno al Duce con vibrante dedizione e certezza di vittoria, malgrado ostili defezioni rappresentanti ufficiali” (Mattino d’Italia, riportato da Il Gazzettino, 1° ottobre 1943)
Moneta di occupazione tedesca ritirata ottobre 1943.
Tuttavia è innegabile che quella rinuncia iniziale a condurre a fondo decisive operazioni militari alla fine, sconfitti noi e la Germania, ci valse la benevolenza da parte dei vincitori. Nessuno che si insospettisca del trattamento generalmente eccessivamente bonario (almeno in confronto alle circostanze) riservato dai vincitori anglo-americani verso i vinti? Non ci fu alcuna “pastoralizzazione”[210]; le colpe furono tutte addossate alle marionette, le amnistie si sprecarono, e molti “impresentabili” furono fatti fuggire dalla CIA con l’operazione “Odessa”. Forse per tenere buoni i, sicuramente molti, che, chi più chi meno, erano consci del senso di quanto in realtà era accaduto tra il 1939 ed il 1945?
“In politica nulla accade a caso. Ogni qualvolta sopravviene un avvenimento si può star certi che esso era stato previsto per svolgersi in quel modo” (Franklin Delano Roosevelt)
Ma forse soprattutto perché per ottenere gli scopi che avevano causato la guerra (che non erano certo la mera sconfitta di Germania, Italia, e Giappone!) era sicuramente più utile non andarci troppo pesanti con questi importanti paesi sconfitti.
“Graecia capta ferum victorem cepit” (Orazio)
----puntualizzare che in seconda guerra mondiale è ben difficile inquadrare i vincitori---
Piano Marshall – morto non produce.
Anche se ai fatti l’applicazione delle clausole segrete dell’armistizio lungo fu assai blanda, chi lo firmò ne prese visione senza poter prevedere tanta magnanimità successiva (che, detto per inciso, fu dovuta alla necessità in funzione anticomunista dell’Italia). Si pensi che l’armistizio lungo prevedeva lo smantellamento della Fiat, limitata all’assemblaggio di pezzi provenienti dagli Usa, e lo scioglimento di Agip e Anic (snam?).
Durante gli anni del dopoguerra diverse furono le piccole disubbidienze ai punti del trattato di pace, ma tutte disubbidienze “veniali”, che tuttavia un po’ alla volta finirono per indispettire il padrone. Di conseguenza la prima volta che l’Italia disubbidì ad un ordine perentorio (il boicottaggio delle olimpiadi del 1980) il vaso fu colmo e la punizione doveva essere esemplare, un “ora basta!”. E si può proprio dire che lo fu.
Ma ancor più rilevante, si tenga presente il ricambio massonico avvenuto proprio nell’aprile 1945, quando il sudista Truman prende il posto del nordista Roosevelt deceduto. Se poi si considera che ciò fu preconizzato al superstizioso Hitler in un oroscopo…[211] Anche se ufficialmente proibita, la massoneria non è composta di automi, ma di persone, e queste persone comunque esistono, pensano, complottano, ed operano, secondo la loro natura “arrivista”. E grazie a questa ragnatela sono in grado di manipolare il corso degli eventi. Quando il punto di riferimento di tali complottisti, la monarchia, fuggì, l’8 settembre 1943, sembrò per Mussolini arrivato il momento di rispolverare il fin’allora disatteso programma di S. Sepolcro.
“Il lurido tradimento Re-Badoglio che ha trascinato purtroppo nella rovina e nel disonore l’Italia, vi ha però liberato di tutti i componenti pluto-monarchici del ’22. Oggi la strada è libera e a mio giudizio si può percorrere sino al traguardo socialista” (Nicola Bombacci in una lettera a Mussolini, 11 ottobre 1943[212])
Ma invece a causa della situazione bellica e dell’occupazione tedesca, il fascismo continuava ad avere una limitata libertà di azione, dovendo di conseguenza edulcorare dai propositi più “scomodi” la “Carta di Verona” ed il decreto-legge sulla Socializzazione, in particolare senza fare alcun accenno a democrazia organica e fiscalità monetaria. Ma il sasso nello stagno era gettato. Questo non poteva essere lasciato passare impunito dalle forze reazionarie che non volevano mollare l’osso. Proprio per questo Mussolini fu poi definitivamente abbattuto da queste residue ma pur sempre potenti forze contrarie al cambiamento, prima di riuscire a dare il via perfino alla versione edulcorata della Socializzazione. Da parte dei gruppi industriali, finanziari, e sindacali si voleva difatti evitare di trovarsi tra le mani una tale “patata bollente” una volta giunti al potere.
Nicola Bombacci si rivelò profetico: “Il socialismo non lo realizzerà Stalin, ma Mussolini, che è socialista anche se per vent’anni è stato ostacolato dalla borghesia che poi lo ha tradito. Ma ora il Duce si è liberato di tutti i traditori e ha bisogno di voi lavoratori per creare lo Stato proletario. Presto tutte le fabbriche saranno socializzate e sarà anche esaminato il problema della terra e della casa perché tutti i lavoratori devono avere la loro terra e la loro casa. Queste sono conquiste che comunque vada non devono andare perdute”.
Mussolini avrebbe voluto che gli anglo-americani e i monarchici trovassero il nord Italia socializzato; voleva che gli operai prendessero posizione nei confronti dei nuovi occupanti e dei politici antifascisti, a difesa delle conquiste sociali raggiunte con la RSI. Ma insistenti e da più parti furono le pressioni su Karl Wolff (comandante tedesco in Italia) per impedirlo, con l’organizzazione dell’“operazione Sunrise” affinché la RSI fosse sciolta prima dell’applicazione effettiva di quella socializzazione. Ogni ulteriore sviluppo socio-politico era malvisto anche dai tedeschi, timorosi che la resistenza passiva che avrebbero attuato gli industriali danneggiasse ulteriormente la produzione bellica; da parte dei comunisti, consci che la socializzazione avrebbe tolto definitivamente il loro cappio sul proletariato.
“Leyers e Rahn ostacolano con ogni intrigo la socializzazione scaraventandoci contro industriali e operai. Purtroppo siamo un pugno di liberti comandati a governare un popolo di schiavi” (Giovanni Dolfin, segretario particolare di Mussolini[213])
Come desiderato, ironia della sorte proprio il giorno stabilito per l’entrata in vigore della legge sulla socializzazione, 21 aprile 1945, i tedeschi iniziano la ritirata abbandonando gli italiani al loro destino, cosicché gli americani sfondando la “linea Gotica” avviano la caduta in pochi giorni della Repubblica Sociale Italiana senza colpo ferire, nonostante essa avesse ancora notevoli capacità di resistenza dovute alle caratteristiche geo-morfologiche del nord Italia. L’apporto dato dai partigiani alla caduta della RSI fu del tutto inesistente, e nonostante essi siano convinti del contrario, il precedente proclama del generale americano Alexander è sintomatico a tal proposito. Regolarmente, ogni volta che i tedeschi smobilitavano, i partigiani uscivano fuori dai nascondigli, “insorgevano” come usano dire, sparando alle spalle delle ultime retroguardie dei genieri. Questi sono i fatti, non le “leggende” glorificatrici in stile titoista ed albanese. Quello che successe a Pedescala è d’esempio, e rivelatore dell’esistenza dell’accordo in stile “ponti d’oro al nemico che fugge” (proprio perché in quel caso fu violato). Ironico è che durante l’“insurrezione” (ovvero la smobilitazione tedesca), mentre i partigiani erano intenti unicamente a scagliarsi rancorosamente in massacri indiscriminati e vendette personali, a sminare e difendere dai sabotaggi tedeschi le installazioni portuali e industriali ci dovettero pensare praticamente solo le legittime forze armate della RSI! Una volta “liberato” il nord, gli americani ripresero a trattare con sufficienza i partigiani, quando non con disprezzo, e spesso gli tolsero di bocca il boccone, come con Borghese, tra gli improperi di Pertini che avrebbe voluto avere mano libera nel mettere tutti al muro.
A testimoniare la malafede comunista, fatalità, il primissimo atto politico del CLN nel nord Italia fu proprio l’abrogazione del decreto-legge sulla socializzazione, il giorno stesso della caduta ufficiale della RSI, 25 aprile 1945. Tutto questo getta inevitabilmente luci “oscure” sulle vere motivazioni della cosiddetta “insurrezione”, e sul vero grado di considerazione dato dai vertici antifascisti a quel decreto-legge. Soprattutto se si tiene conto che il decreto abrogativo porta la firma di un certo Mario Berlinguer, grande proprietario latifondista, visceralmente antifascista (azionista). Ed anche solo questo la dovrebbe dir lunga. Tutto diviene più chiaro apprendendo che “Luigi Berlinguer, proveniente da una vecchia famiglia massonica (della quale faceva parte anche Francesco Cossiga, nipote di Mario Berlinguer) il cui capostipite Mario, padre di Enrico e Giovanni, era Gran Maestro della Loggia di Sassari[214]”.
«In molte province si sta verificando il fenomeno di industriali i quali sono i sovvenzionatori di questa ripresa sovversiva delle bande di Lenin, sovvenzionatori di queste bande di ribelli» (Alessandro Pavolini al congresso di Verona, 1943)
La breve vita della RSI fu travagliata da numerosi scioperi dei lavoratori, caso forse unico nella storia del mondo, fomentati dai padroni stessi. A testimonianza di quanto fossero ritenute pericolose queste riforme dai rappresentanti delle ideologie di sinistra, si rammenti che, quando furono indette le votazioni per eleggere i rappresentanti corporativi degli operai alla Fiat, il partito comunista italiano minacciò di morte i lavoratori che avessero aderito all’iniziativa, ottenendo il risultato di far disertare le urne e guadagnandosi di conseguenza i ringraziamenti della famiglia Agnelli[215]. Ma non tutti i proletari si lasciarono ciecamente ingannare e strumentalizzare: ad esempio il citato comunista Nicola Bombacci sostenne la RSI senza mai rinnegare il suo comunismo. Anche altri antifascisti, accortisi degli strani connubi e delle subdole manovre che con sospetta eterogenesi dei fini si opponevano alla RSI, si schierarono in difesa di questa. Essi si riunirono in un loro partito, il “partito repubblicano socialista italiano”, guidato dal filosofo Edmondo Cione.
“La socializzazione altro non è se non la realizzazione italiana, umana, nostra, effettuabile del socialismo; dico nostra in quanto fa del lavoro il soggetto unico dell’economia, ma respinge la livellazione di tutti e di tutto, livellazione inesistente nella natura umana e impossibile nella storia” (Benito Mussolini, Corriere della Sera, 15 ottobre 1944[216])
Gli autentici propositi di Mussolini ci appaiono oggi con sempre maggior nitidezza. Non è un caso che avesse affidato l’economia italiana ad Alberto Beneduce, sulle cui idee politiche sono esemplari i nomi che dette alle figlie: Idea Nuova Socialista, Vittoria Proletaria, Italia Libera. Non è un caso che il partito più astiosamente avverso al fascismo, il “partito d’azione”, fosse espressione diretta delle forze economicistiche ultra-liberal-capitaliste e gianseniste che avevano il loro riferimento culturale in Benedetto Croce[217]; non è un caso che nelle dittature di destra i partiti fascisti fossero perseguitati (perfino in Giappone[218] e Spagna[219], checché se ne voglia dire); non è un caso che obiettivo primario del CLN negli attentati non erano i fascisti estremisti, ma quelli aperti al dialogo coi comunisti[220]; non è un caso che per la prima volta nella storia italiana al potere assursero col fascismo persone di estrazione sociale popolare; non è un caso che l’Italia fascista fu la prima nazione a riconoscere l’Urss (nel 1924); non è un caso che la mafia aiutò gli invasori ad occupare la Sicilia; non è un caso che dopo la guerra alcuni fascisti si schierarono col PCI. Ma indizio più importante, mentre successivamente al 25 aprile ’45 il governo di Roma ha generalmente teso a smentire le legiferazioni del Clnai per modificarle o sostituirle con proprie, sulla frettolosa abrogazione della socializzazione non ebbe mai nulla da eccepire. Non ultimo, e questo sarà dimostrato dalle trame oscure che percorreranno gli eventi del nostro paese nei decenni seguenti, loschi personaggi come Michele Sindona si ritrovarono più o meno indirettamente coinvolti, dopo lo sbarco siciliano delle truppe alleate, in traffici illeciti atti ad impiantare nuovamente quella cupola mafiosa quasi del tutto estirpata durante il ventennio, ma stavolta col duplice scopo di “quinta colonna” americana in Italia. Dagli Usa, dove aveva imparato ad occuparsi di alcool, droga, bische, prostituzione, la mafia tornata in Sicilia con lo sbarco alleato vi importò il nuovo “stile”. La cosiddetta “Pizza Connection”, che in tempi sospetti, avrebbe successivamente coinvolto anche la politica nazionale, contribuendo non poco al mantenimento dell’egemonia americana nell’Italia del dopoguerra. Sintomatico è stato il successivo destino politico di colui[221] che a Sigonella, nell’ultimo tentativo di salvaguardare un apparente sovranità nazionale, cercò di opporsi ai dictat americani. Il paragone con l’esperienza di Mohammad Mossadeq viene spontaneo…
“Sappiano Roosvelt e Churchill, e tutti i loro compari che quando la vittoria non toccasse al Tripartito, i più dei fascisti veri che scampassero al flagello passerebbero al comunismo, con esso farebbero blocco. Sarebbe allora varcato il fosso che separa le due rivoluzioni. Avverrebbe fra esse uno scambio e un’influenza reciproca, sino alla fatale armonica fusione” (Pierre Drieu La Rochelle, “Italia e Civiltà” 23 maggio 1944)
«Per abbattere questo mondo - in cui il 20% degli esseri umani consuma oltre l’80% delle risorse - nacque il fascismo (…) Mussolini è il campione di questa rivoluzione. E’ necessario perciò estrapolare il fascismo dal contesto della destra conservatrice in cui è stato subdolamente relegato e restituirlo a quello che Mussolini soleva chiamare popolo “proletario e fascista” (…) Per cancellare una volta per sempre lo schiavistico mercato del lavoro, travolgendo tutti gli egoismi e tutti gli edonismi, che permettono la convivenza di obesità e morti per fame (…) Si impone dunque la necessità di rivivificare gli aspetti del Mussolini demitizzato, senza orpelli, del “figlio del fabbro”, dell’uomo che è carne e sangue del popolo, del socialista rivoluzionario che adotta la camicia nera come simbolo di umiltà prima che di coraggio, del campione generoso di un’Italia più giusta e più grande con una missione universale da compiere, dell’ideatore del movimento più giovane e significativo del XX secolo (…); del rivoluzionario che attinse luce interiore ed energia operativa dalle inquietudini, dai fermenti e dalle passioni di intere generazioni, del Capo di Governo che comunica alla Nazione di aver assicurato il pane al suo popolo con la Bonifica Integrale, del Duce sconfitto che fonda la prima Repubblica Sociale della storia e che, infine, di contro alle menzogne partigiane, muore lottando in difesa della sua dignità di uomo. E’ un compito essenziale. Nell’opinione pubblica si è gradualmente compiuta la rimozione (…) del Mussolini rivoluzionario (…) Ciò vale anche per le scelte (…) di insegne intenzionalmente surrettizie fatte proprie dai gruppuscoli sorti ai margini dell’MSI: asce, rune, croci uncinate, tutte volte a negare l’ideale innesto del fascismo alla romanità» (Gaspare Fantauzzi, “Aurora”, gennaio 1998)
Scomparso il governo fascista, tale termine fu affibbiato o preso ed interpretato da una serie di burattini, chi in buona e chi in cattiva fede. E questo arriva fino ad oggi. In particolare fu utilizzato per una precisa strategia del potere: il “parafulmine”. Per contribuire a eliminare il fascismo dalle coscienze del popolo il potere dovette ricorrere alla solita ideologia apposita ufficialmente (artificialmente o meno) avversa ad esso: il comunismo, di tipo sovietico. Ma poi, sconfitto il fascismo, il potere (che non voleva il comunismo in Italia) si trovò contrapposto alla massa oramai educata all’ideologia marxista. Massa che credeva nel comunismo come ci credettero i russi nel 1917. Il fascismo, i fascisti, erano portatori di un idea veramente proletaria e libertaria, erano cioè per la socializzazione dello Stato, ovvero per una vera e pragmatica diffusione al popolo del potere politico ed economico.
L’“ideale mazziniano, nazionalpopolare, italiano ed antimarxista, di capitale e lavoro nelle stesse mani” (Giano Accame) destra sociale pag. 121.
Ma questo ai comunisti veniva (e viene) tenuto ben nascosto dal potere e dai suoi servi, o viene minimizzato nascondendolo accuratamente dietro un velo di pregiudizi. I comunisti continuarono a fare il cane da guardia del potere, strumentalizzati contro il vero pericolo per esso. Viceversa i fascisti servirono da parafulmine, verso il quale incanalare la rabbia dei comunisti e fare fronte comune in nome di un antifascismo che era l’opposto del vero interesse dei proletari. Anche dopo la fine del comunismo, ancor oggi c’è chi, inconsapevolmente, si presta a questo gioco, da entrambe le parti. E chi si presta a questo gioco viene ricompensato dal potere. Sia partiti di sinistra che di “destra”. Il fascista cattivo e nostalgico non mette paura a nessuno, anzi è utile e funzionale al sistema. Questo è il motivo per cui la repressione verso esso è sempre stata scarsa. L’esempio più evidente di questa utilità si è avuto con l’indizione del congresso del 1960, grazie al quale fu possibile avviare il nuovo corso di “centro-sinistra”. Il giornale socialista “L’avanti” il 5 dicembre 1963 titolò “Da oggi siamo più liberi”. Se i suoi lettori avessero saputo che era l’Msi che dovevano ringraziare per quella “libertà” acquisita…
E anche il leader socialista Pietro Nenni, intervistato da “Paese Sera” il primo gennaio 1955, legittimava i fascisti di sinistra: “Da noi la destra esprime soltanto istinti antisociali, di conservazione e di reazione. Tipico il caso dei fascisti che, per inserirsi nella politica reazionaria americana, non hanno esitato a pugnalare ancora una volta il loro capo e a rinnegare l’unico elemento rispettabile della loro tradizione, vale a dire l’opposizione al dominio delle cosiddette plutocrazie”.
----qualcosa su Msi--------
“La politica sociale del Msi si riassume nell’idea dello Stato nazionale del lavoro. La formula individuante in cui il sistema si definisce e si delinea è la partecipazione dei lavoratori alla direzione responsabile della produzione e al profitto dell’impresa. Nello Stato del Lavoro dovrà essere attuata la giusta distribuzione della ricchezza, e il lavoro, liberato da ogni soggezione al capitale, dovrà assumere la sua naturale funzione di soggetto del sistema economico. E’ ciò che noi intendiamo parlando di socializzazione, che non è per noi un fenomeno puramente economico di migliore distribuzione di utili, né implica il rinnegamento e l’abolizione della proprietà privata, ma significa riorganizzazione dell’impresa su basi tali da consentire il coordinamento e la collaborazione ai fini sociali e quindi di interesse collettivo, di tutti i fattori del processo produttivo” (Giano Accame, “La destra sociale”, Settimo sigillo)
il solito trito ritornello del fascismo sconfitto -------- ma non sembrano rendersi conto che il fascismo è stato sconfitto militarmente, non politicamente.------ quelli che ripetono a pappagallo “Mussolini ha rovinato l’Italia” senza mai spiegare in cosa l’avrebbe rovinata.
“L’invincibile non è quello che non cade mai, ma quello che quando cade si rialza” (Confucio)
La cosa che più salta all’occhio è la persistenza del fascismo nel dopoguerra: si tratta certamente di un tasso di fedeltà a una causa persa che non ha uguali nel mondo occidentale. E che ancora oggi fa discutere, se si tiene conto che tutte le dittature definite di destra hanno avuto sostenitori limitatamente al periodo durante il quale hanno governato, e successivamente solo tra i rappresentanti coinvolti direttamente in esse. Questo dimostra chiaramente la sostanziale differenza tra le dittature “delle banane” ed il fascismo. La continuità ideale che vige nei confronti di un periodo come quello fascista, durato solo un ventennio, risulta incomprensibile agli occhi dei suoi detrattori. Figuriamoci quindi come potrebbero comprendere il fatto che nell’Msi militasse il figlio di due oppositori del regime dei colonnelli, esuli dalla Grecia, quale era Mikis Mantakas.
“Noi non siamo la destra, non può essere di destra chi è illuminato dalle idee della tradizione fascista. Il fascismo è l’unica vera forza rivoluzionaria del ventesimo secolo, sconfitta dalla forza delle armi, non delle idee” (Manlio Sargenti[222])
Le correnti del socialismo nazionale e corporativo che si era riconosciute nella tentata socializzazione delle imprese durante la Repubblica Sociale, dopo il 1945 ebbero un ruolo importante nella ricostituzione del movimento fascista, dando vita a diverse importanti testate. Oltre a “Manifesto” di Pietro Marengo, anche “Rivolta Ideale” sviluppò immediatamente tematiche di sinistra, repubblicane e mazziniane, apertamente filosocialiste, individuando in una “sinistra nazionale” la collocazione del neofascismo unitariamente inteso. Sulla stessa linea “Meridiano d’Italia”, al quale la direzione di Franco De Agazio, dal giugno 1946 al marzo 1947, impresse una decisa sterzata a sinistra; e soprattutto “Rosso e Nero”, nato il 27 luglio 1946 e diretto da Alberto Giovannini.
Giustamente l’avvocato Manlio Sargenti ha osservato: “Purtroppo questo progetto non si è avverato. Gli italiani hanno dimenticato quella che costituiva la più originale, la più innovatrice proposta della loro storia recente. L’hanno dimenticata quelli stessi che si sono considerati gli epigoni dell’idea del Fascismo e della Repubblica Sociale”.
Leader riconosciuto della sinistra missina delle origini fu
indiscutibilmente Giorgio Pini: giornalista vicino a Mussolini prima e durante
la RSI, sarà assiduo collaboratore de “Il Pensiero Nazionale” a partire dal
1954, dopo che, nell’aprile del ’52, abbandona il MSI e, nel ’53, si interrompe
il legame da lui non gradito tra la rivista e il partito comunista. Altri
“fascisti di sinistra”: Ernesto Massi, Bruno Spampanato, Diano Brocchi, Giorgio
Bacchi, Roberto Mieville, Domenico Leccisi, Giuseppe Landi, Ugo Clavenzani e
Beppe Niccolai... E lo stesso Giorgio Almirante, prima di diventare segretario
del partito e di lanciare la “destra nazionale”, fu per molti anni un esponente
di punta della sinistra interna. Pino Rauti invece seguì il percorso opposto: da
evoliano e --------, divenne il principale riferimento dell’ala sinistra
dell’Msi opposta ad Almirante.
Nel solco della stessa tradizione si collocava la “Federazione Nazionale Combattenti della RSI”, di cui nel ’70 divenne presidente Giorgio Pini. Nel discorso di insediamento, Pini condannava l’atteggiamento dei fascisti che “sbandano verso la destra conservatrice e autoritaria, totalitaria, in ibrido connubio coi monarchici e coi più retrivi gruppi confessionali”, invitando inoltre a respingere “il fanatico occidentalismo di destra pervenuto fino alla servile esaltazione di Nixon, il bombardatore del Vietnam”, e condannando “ogni collusione coi regimi militari e liberticidi dei colonnelli greci, del generale Franco, sacrificatore della nobile Falange di José Antonio Primo de Rivera, del regime ottusamente conservatore, classista e colonialista di Lisbona, di quelli razzisti del Sud Africa e della Rhodesia”.
Ma in un ambiente che aveva il culto delle SS e non delle SA, della Decima Mas e non delle Brigate Nere e della Legione Autonoma Mobile Ettore Muti guidata dal fascista di sinistra Franco Colombo, dell’Evola controrivoluzionario e non di Nicola Bombacci, di Eric Priebke (considerato da Gaspare Fantauzzi un traditore del Duce, al pari degli Himmler, degli Wolff, dei Dolmann e degli altri simili maniaci dell’anticomunismo militante) e non di Codreanu, --------------------------------. Evola feticcio della destra italiana. Jünger anticapitalista romantico. Il più acuto analista di questa condizione è indubitabilmente Vincenzo Vinciguerra. Fantauzzi vedeva in Vincenzo Vinciguerra “l’unico vero fascista del dopoguerra italiano”, rimanendo in particolare colpito dal suo gesto a suo parere ammirabile (non l’attentato, ma la confessione volontaria), quello che lo porterà a prendere consapevolmente un autentico “ergastolo per la libertà”. Vinciguerra, seppur molto dopo la Federazione Nazionale Combattenti Rsi, sviluppava un tipo di analisi del mondo neofascista, molto simile a quella già formulata dalla Federazione decenni prima. Vinciguerra, a tutt’oggi unico terrorista nero sottoposto al trattamento speciale del cosiddetto 41bis, non a caso ha scritto: “Le teorie di Evola avevano sancito il superamento ideologico del fascismo italiano (…) ma non avevano creato alcuna idea forza capace di sostituirlo e di rappresentare un’alternativa al mondo presente”.
Operazione Evola: far diventare bigotto anche il più --------.
La maggior parte dei fascisti desiderava che nessuno di loro si invischiasse nella palude partitocratica. Fatto sta, che perlomeno a partire dagli anni 1958-59, il carattere rivoluzionario del fascismo, in Italia, veniva esclusivamente conservato, diffuso, attualizzato dagli ex-combattenti della FNCRSI.
“La Chiesa e la Dc vogliono impedire che quella consistente parte dell’elettorato popolare fascista favorevole alla socializzazione vada a ingrossare le file delle sinistre; inoltre, ritengono entrambe opportuna la presenza sulla scena politica di un partito radicalmente anticomunista. E una forza politica di estrema destra rafforza la centralità democristiana quale alternativa moderata agli opposti estremismi[223]”
Scelba più volte si vantò di aver usato la mano leggera coi fascisti, liberandone la gran parte dopo pochi anni (nel 1952 ne erano rimasti solo 442 nelle carceri). Ma non specificò che questa sua magnanimità fu dovuta alla prospettiva di utilizzo in funzione anticomunista, alla quale era ben interessato.
Ma seppure da un lato i
“neofascisti” erano strategicamente utili come parafulmine, dall’altro non
dovevano espandersi a scapito della DC. Per questo fu emanata la legge Scelba,
risultato di fatti come quello della manifestazione dell’Msi in Piazza Colonna, a Roma il 10 ottobre 1947,
quando senza apparente motivo intervenne la polizia, la quale, su istigazione
di Pajetta e Pacciardi, fu autorizzata da Mario Scelba e Alcide De Gasperi a
procedere allo scioglimento forzato del comizio.
“Mettersi alla destra della
DC, è consentire, alla DC, di chiamarsi lei, popolare” (Beppe Niccolai)
I dirigenti dell’Msi compresero appieno l’antifona insita in
quell’azione gratuita. Se l’Msi non fu poi dichiarato illegale fu certamente
solo grazie alla scelta “atlantista” e filo-governativa che prese. Anzi,
secondo alcune interpretazioni (solitamente di sinistra, come Pier Giuseppe
Murgia) la nascita stessa dell’Msi fu voluta dal ministero dell’Interno! E
considerando il calibro degli uomini che lo fondarono (Michelini, Almirante,
ecc), ciò non stupisce nemmeno un po’.
Il Msi nasce grazie ai contatti
“con ambienti dei servizi segreti americani, con ambienti ecclesiastici, con
settori massonici, con gruppi monarchici, con rappresentanti dei servizi del
futuro Stato di Israele”[224].
“Nel momento in cui la
questione sociale verrà affrontata, la lotta politica non si potrà più
mantenere sul piano parlamentare, ma trascenderà in disordini di piazza, in
violenze e in una tensione generale. Le forze di destra, che hanno per
caratteristica distintiva una vigliaccheria congenita unita a una sacrosanta
paura di perdere i loro privilegi, saranno alla ricerca disperata di una forza
qualunque, capace di fronteggiare validamente l’estrema sinistra” (Analisi
politica dei “Fasci di azione rivoluzionaria”, 1946[225]) ---qui???-----
Un chiaro esempio di questo -------- è l’ammirazione per Junio Valerio
Borghese, massimo esponente dell’ala più deteriore dell’atlantismo di servizio,
come ha ampiamente dimostrato abboccando al tranello andreottiano del 7
dicembre 1970. e ---- se non fosse intervenuto Spiazzi a rompere le uova
nel paniere ad Andreotti salvando Borghese dal destino di Tejero. Ma non serviva arrivare a tanto per capire il
personaggio, se già il 13 gennaio 1944 fu arrestato per ordine di
Mussolini e liberato dopo una settimana su pressione tedesca. Se poi contiamo
anche che dal 17 maggio 1959 fu espulso dalla Federazione nazionale combattenti
Rsi…
Vuoi per questo pericolo, vuoi
per ignoranza, vuoi per malafede, i gruppi dichiaratisi eredi del fascismo si
schierarono in maggior parte col neo-liberismo americano, giustificando ciò col
pericolo maggiore che vedevano nel comunismo, allora percepito come reale. La
sinistra fascista “storica”, decisa a non permettere che il neocostituito
Movimento Sociale Italiano assumesse posizioni conservatrici e reazionarie,
riteneva che l’esperienza della R.S.I. avesse rappresentato una netta cesura
col fascismo-regime, nonché con la monarchia, e condusse una lunga battaglia
interna al partito affinché la sua identità non si confondesse nel coro
dell’anticomunismo cattolico-moderato. Inoltre vi era un altro gruppo su
posizioni “di sinistra” facente capo a Stanis Ruinas e a “Il Pensiero
Nazionale”, che rivendicavano l’eredità ideologica del fascismo rivoluzionario
ma che avevano ben presto rotto con l’M.S.I. ed anche con la sinistra missina.
Una volta sconfitte sia la linea moderata del M.S.I. sotto la guida di De
Marsanich, Michelini e del più “duro” Almirante (che comunque non abbandonò mai
lo schieramento filoatlantico e l’aspirazione di andare al governo con la
Democrazia Cristiana), con il fallimento dell’operazione Tambroni e l’avvento
del centro-sinistra, negli anni ’60 parvero aprirsi nuovi spazi d’azione per i
gruppi fascisti della “sinistra nazionale” che ebbero come punto di riferimento
la rivista “L’Orologio”, espressione di una linea nazionalpopolare con forti
accenti anticlericali, fondata da Luciano Lucci Chiarissi. Scrive Marzio di
Belmonte nel suo libro “La strategia della tensione”: “per quel che
concerne il MSI, data la sua nascita spuria e i suoi vertici massoni o
massonizzati, esso ha continuato ad ingannare la buona fede di tanti
sprovveduti, ha tenuto sotto controllo gli ultimi fascisti e ha svolto il ruolo
di scorta della DC, di refugium peccatorum per i transfughi dell’eversione
extraparlamentare di destra, nonché quello di sollecito ospite di personaggi
bisognosi di un seggio parlamentare per evitare il carcere”. Al riguardo
scrive anche Gianfredo Ruggiero: “In quegli anni, caratterizzati da un
fortissimo avanzamento politico della sinistra marxista, il MSI subisce una
vera e propria invasione di giovanotti borghesi timorosi di perdere la
fabbrichetta del babbo o la seconda casa al mare. Queste nuove leve di fascista
non hanno assolutamente nulla, del fascismo hanno assimilato solo gli aspetti
esteriori in chiave folcloristica ed un traviato mito della violenza. In realtà
questi pseudo-missini sono solo degli anticomunisti che, delusi dalla DC del
compromesso storico, vedono nel MSI una diga contro il comunismo dilagante”. Il
tipico esempio sono i cosiddetti “pariolini” e “sanbabilini”; i contorni della
strage del Circeo riassumono ampiamente il loro livello culturale e cognitivo
riguardo la pratica politica. Come favorito tramite l’“operazione Evola”
promossa dal Ministero degli Interni, tesa a stravolgere filosoficamente la concezione
del fascismo verso quella svuotata del suo contenuto politico, per riempirla di
una marea di stronzate che oggi viene definita appunto “evoliana”, in modo da
far arruolare i neofascisti nel campo occidentale. L’episodio maggiormente
rivelatore di questo debordamento avvenne il 3 maggio 1966 con l’assalto all’università di Roma da parte
dei missini guidati dal massone Giulio Caradonna; e la replica del 16 Marzo
1968, stavolta guidata da Giorgio
Almirante. Interessante è notare che in entrambi i casi erano presenti nello
schieramento avverso i gruppi fascisti “Primula Goliardica” e “Nuova
Caravella”, a fianco degli studenti occupanti. Famosa è quella foto con Stefano Delle Chiaie e Mario Merlino in prima
fila negli scontri di valle Giulia, contro la polizia. Il risultato di primo
acchito dell’“operazione Evola” fu la nascita dei “fasci di azione rivoluzionaria”, il
capostipite dei gruppuscoli a destra dell’Msi. E’ a partire dal 1958 (simbolizzato dal cambio dell’ambasciatore
americano e del referente CIA in Italia), che si resero conto che c’era una
strategia più efficiente rispetto alla mera repressione per contrastare il
dissenso. Non è casuale la nascita di Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale in
seguito a quel cambio di strategia, risultato dopo il fallimento del governo
Zoli che intendeva sperimentare l’inizio di una strategia di appoggio missino
ai governi centristi, simbolizzato dall’elezione del pragmatico Giovanni
Gronchi alla presidenza della Repubblica, invece dell’oltranzista Cesare
Merzagora. In ambito internazionale era iniziato il periodo della cosiddetta
“distensione” in seguito alla dipartita di chi aveva firmato a Yalta per conto
dell’Urss.
“Ci potrebbero essere tempi in cui governi di paesi ospiti mostrano passività o indecisione nei confronti della sovversione comunista e secondo l’interpretazione dei servizi segreti statunitensi non reagiscono con sufficiente efficacia. Più spesso queste situazioni avvengono quando i rivoluzionari rinunciano temporaneamente all’uso della forza sperando di ricavarne un vantaggio, perché i capi dello stato ospite erroneamente pensano che la situazione sia sicura. I servizi segreti dell’esercito americano devono avere i mezzi per lanciare operazioni speciali che convincano i governi dei paesi ospiti e la pubblica opinione della realtà del pericolo di insurrezione” (dal manuale FM30-31B redatto dalla CIA)
Lo spartiacque della distensione apre interpretazioni realistiche degli eventi precedenti e successivi. Finché il nemico era esterno e palese l’azione dello Stato doveva essere tesa a garantire militarmente i confini nazionali. Ed in questo va inserita l’organizzazione Gladio, ed il terrorismo sudtirolese finalizzato al mantenimento del confine al Brennero. Difatti per quanto possa sembrare strano era questo il principale terminale della direttrice programmata dagli eserciti del Patto di Varsavia, e non come sarebbe logico aspettarsi Tarvisio; per il semplice motivo che l’Austria era praticamente demilitarizzata e quindi ad arrivare dall’Ungheria al Brennero un esercito avrebbe impiegato solamente il tempo di percorrere la strada, ed il Brennero è certamente più centrale che Tarvisio, con la pianura veneta costellata di fiumi, rispetto alla pianura padana da invadere. Quindi il mantenimento dell’Alto Adige era per l’Italia militarmente indispensabile.
“La guerra fredda era la guerra di trincea, la distensione è la guerra di movimento, molto più difficile e complessa” (Pietro Quaroni[226])
Questo cambia in periodi successivi, quando il pericolo di invasione militare diviene trascurabile, ma ad esso subentra il pericolo di conquista interna. Per questo bastò semplicemente riconvertire l’operato di Gladio ed utilizzare i medesimi metodi terroristici già oramai efficacemente sperimentati ma su obiettivi diversi. Ed ecco scomparire il terrorismo in Alto Adige e ricomparire nel resto d’Italia. Questo cambiamento è temporalmente simbolizzato dal trasferimento a Padova del questore Ferruccio Allitto Bonanno fino a quel momento in servizio a Bolzano[227]. Si tenga presente, valutando il ruolo svolto da Padova nella strategia della tensione, in un causa/effetto non a caso detta città era l’obiettivo numero uno in Italia su cui erano puntati i missili nucleari sovietici.
Di cosa si occupava Gladio? “Chiedetelo alle massime autorità dello Stato” (Vito Miceli[228])
L’organizzazione Gladio nasce nel 1956 ----il 28 novembre---. O meglio, viene ufficializzata in quell’anno, ma esisteva fin dalla fine dell’idillio tra Urss e alleati occidentali, come organizzazione “Osoppo”, riesumata dai quadri dell’analogo gruppo partigiano anticomunista. Ossia fino all’anno della rottura con lo stalinismo l’esistenza di una rete “stay behind” veniva tenuta rigorosamente segreta e del tutto illegale, probabilmente per non incrinare i traballanti rapporti con Stalin. Ma una volta mancato Stalin si potè istituzionalizzarla, seppur sempre coperta dal segreto. Questo anche per la Germania occidentale, dove l’analoga rete nasce ufficialmente nel 1957. Probabilmente stesso schema lineare seguirono le analoghe organizzazioni negli altri paesi europei (Svizzera compresa, si badi).
18 ottobre 1990 Il presidente del consiglio Giulio Andreotti invia al presidente della Commissione parlamentare sulle stragi, un documento di dodici pagine dal titolo “Le reti clandestine a livello internazionale”, secondo cui “subito dopo la seconda guerra mondiale, il timore dell’espansionismo sovietico e l’inferiorità delle forze NATO rispetto a quelle del Cominform indussero le nazioni dell’Occidente a ipotizzare nuove forme non convenzionali di difesa, creando nei loro territori una rete occulta di resistenza destinata ad operare nel caso di occupazione nemica, attraverso la raccolta delle informazioni, il sabotaggio, la propaganda e la guerriglia”. Per quanto riguarda l’Italia, “la rete fu posta allo studio nel 1951 ed effettivamente costituita il 26 Novembre 1956, giorno in cui fu sottoscritto dal Sifar e dal servizio segreto americano un accordo relativo all’organizzazione e all’attività della rete clandestina”. Il documento spiega, poi, l’articolazione della struttura, alle dirette dipendenze dell’ufficio R del Sifar. A proposito dei depositi di armi, munizioni e di altro materiale bellico, il documento spiega che “a seguito degli accordi più sopra richiamati, nel corso del 1959 l’intelligence americana provvide ad inviare presso il CAG (Centro Addestramento Guastatori) i materiali di carattere operativo destinati a costituire le scorte di prima dotazione dei nuclei e delle unità di pronto impiego, da occultare fin dal tempo di pace in appositi nascondigli interrati nelle varie zone d’operazione. I materiali in questione vennero successivamente confezionati in speciali involucri, al fine di assicurare il perfetto stato di conservazione, ed a partire dal 1963 ebbe inizio la posa dei contenitori”. Nel documento si spiegava poi che, “a seguito del ritrovamento fortuito di uno dei contenitori da parte dei Carabinieri di Aurisina, per realizzare migliori condizioni di sicurezza, dall’Aprile 1972, (--------Calabresi??????---17 maggio 1972------) era iniziato il recupero di tutto il materiale che fu accantonato in stazioni dei Carabinieri vicine ai luoghi di interramento”. L’esplosivo, invece, era stato concentrato in 2 basi in Sardegna, dov’era ubicata anche una base nazionale di addestramento della struttura clandestina (Capo Marrargiu).
Non solo Gladio --------:
Ordine Nuovo organizzazione
“sorretta dai servizi di sicurezza della N.A.T.O. che aveva compiti di
guerriglia e di informazione” (dalla sentenza-ordinanza del giudice istruttore
Carlo Mastelloni del tribunale di Venezia, 11 dicembre 1998)
Mario Tedeschi direttore de “Il
Borghese” era il tramite tra la massoneria sudista ed il neofascismo; come è
noto fu lui a fornire materialmente i manifesti cinesi a Delle Chiaie.
Come poter dare un senso altrimenti alla contemporanea nota militanza
di diversi personaggi sia in gruppi di sinistra che di destra? E come spiegare
sui loro passaporti i timbri di stati che a rigor di logica dovrebbero
considerarli “persona non gradita”?
Non solo la scissione di Ordine Nuovo ed altri gruppuscoli ----------:
Lo stesso MSI era nato diviso in due fazioni opposte, distanti tra esse più che la DC ed il PCI tra loro! L’ala “destra”, facente capo prima ad Arturo Michelini e poi a Giorgio Almirante era schierata con la borghesia anticomunista, puntava a entrare nel gioco democratico, a fare accordi con la Dc, a ottenere legittimazione e spicchi di potere: a non rimanere confinata nel ghetto. E difatti riceveva un certo consenso elettorale; l’ala “sinistra”, facente capo prima a Giorgio Pini e poi a Pino Rauti, che invece in nome della fedeltà storica, della purezza ideologica e morale si considerava portatrice dell’eredità del fascismo originario e socializzatore, ma la base elettorale di riferimento era già egemonizzata dal PCI e quindi assente. L’accusa interna che veniva spesso rivolta alla dirigenza dell’MSI era l’essere “guardia bianca” della DC e del potere americano in Italia come “neofascismo atlantico di servizio”. Tanto quanto il fascismo mussoliniano veniva accusato di esserlo stato della borghesia.
«Le confusioni ideologiche ed i facili innamoramenti per i quali un qualsiasi generale a riposo che si mette a parlare di governo forte ed a mobilitare un po’ di ceti medi può passare per un banditore del verbo di Mussolini. Ebbene questa gente ci ha già fatto più male della grandine» (Berto Ricci)
Dopotutto determinati comportamenti di Almirante sia nei 45 giorni badogliani sia nell’immediato del 25 aprile 1945[229] avrebbero dovuto insospettire più d’uno…
Tuttavia i voti dell’MSI erano come “congelati”, non essendo possibile utilizzarli per formare un qualsivoglia governo anticomunista. A “scongelarli” ci provò nel 1960 il democristiano Ferdinando Tambroni, con i risultati che tutti conosciamo, e che diedero il “la” per l’inversione di rotta della strategia DC verso il centro-sinistra. Negli anni seguenti l’area neofascista si lasciò ampiamente usare come manovalanza dai poteri governativi. Non serve essere dei geni per notare qualcosa di anomalo nell’identificazione del terrorismo come strumento dell’opposizione. Il fatto che a mettere le bombe sotto i tralicci in Alto Adige fossero i carabinieri[230] dovrebbe confermarlo. Una volta scoperti, si scelse di utilizzare una manovalanza meno compromettibile, i neofascisti appunto. Il 23 settembre 1963 viene realizzato un attentato ad una funivia in Austria, nel cui luogo vengono ritrovate per terra delle tessere dell’Msi, “perse sbadatamente”[231]. Il convegno dell’hotel parco dei principi del 3 maggio 1965 rappresentò l’atto ufficiale di nascita di questa nuova strategia. Il giorno prima viene sventato per l’ennesima volta un attentato su un treno in arrivo dal Brennero. Il convegno fu pagato dal Sifar, dall’ufficio di Renzo Rocca, che poteva disporre di notevoli somme grazie alle donazioni degli industriali che usufruivano dei suoi servizi.
Dicembre 1965: Tramite una complessa operazione bancaria, Michele Sindona trasferisce al principe Junio Valerio Borghese una ingente somma di denaro per conto dell’Opus Dei spagnola (egemonizzata dalla massoneria sudista).
L’inaugurazione effettiva avvenne con l’“operazione manifesti cinesi” nel 1966, ad opera della sigla “Avanguardia Nazionale” di Stefano Delle Chiaie, nata 6 anni prima sotto il governo Tambroni ma poi strategicamente sciolta solo ufficialmente (tanto che riapparirà successivamente). Solo la cosiddetta “nouvelle droite” si differenziò da questa strategia ripiegando dalla politica elettorale sulla militanza idealistica, rifuggendo ogni comportamento che potesse essere funzionale al potere governativo. Thiriart, grazie all’apporto teorico di Henri Moreau, cominciò a teorizzare il “comunitarismo” come superamento del fascismo uscito dal conflitto mondiale. Thiriart sviluppò le sue posizioni “nazional-comuniste” che individuavano nel comunitarismo la futura prospettiva del “socialismo nazionaleuropeo” e, coerentemente con tale impostazione, cercò e talvolta stabilì rapporti politici con settori governativi della Jugoslavia di Tito, la Romania di Ceaucescu, la Germania Orientale e la Cina popolare, fino a raggiungere un incontro a Bucarest tra lo stesso Thiriart e il primo ministro cinese Chou En Lai nell’estate del ’66. Non mancheranno articoli, interviste e dichiarazioni di volta in volta a favore del Vietnam, delle lotte di liberazione in America Latina da Perón a Che Guevara, del popolo palestinese, dei Paesi arabi e persino delle Pantere Nere in USA. Ma non è tutto oro quel che luccica. Non si può non notare la contemporaneità tra l’incontro Thiriart-Chou En Lai con l’operazione manifesti cinesi; assodato che questa fu organizzata interamente dal ministero dell’Interno italiano, come non poter vedere lo zampino di D’Amato anche nell’incontro di Bucarest? Nel suo “testamento politico”, Thiriart scrive che “La vita politica di una Nazione si concentra in alcuni centri nervosi: informazione, sindacalismo, movimenti giovanili. Introdursi in questi centri nervosi, progressivamente e silenziosamente, permette di produrvi un giorno dei cortocircuiti”. Non si può non leggere in queste parole la medesima filosofia dell’“operazione Chaos” poi avviata a partire dall’agosto 1967…
E’ il 1966 che segna “una svolta nella storia politica dei nostri tempi. Un complotto internazionale immette nuove forze rivoluzionarie sia in Occidente sia in Oriente, superando a sinistra i partiti comunisti ortodossi. L’operazione viene condotta attraverso la manipolazione di due strumenti di azione parallela. I partiti socialisti, cui viene impressa una nuova spinta, per l’azione sul piano politico-parlamentare e come alternativa di potere. [ricordare tentativo nascita nuovo partito a sinistra alternativo a dc!!! Più giù] La sinistra extraparlamentare, evocata come massa di manovra rivoluzionaria di piazza e, al limite, come strumento di terrorismo e di guerriglia. La prima fase di questa azione rivoluzionaria si svolge negli anni 1966-1967, è eminentemente una fase di preparazione e interessa soprattutto il continente americano” (Guido Giannettini) Gianni Flamini, “Il libro che i servizi segreti italiani non ti farebbero mai leggere”, Newton Compton ed., pag. 148.
Gian Maria Volontè nel film “Un cittadino al di sopra di ogni sospetto” si chiede incredulo cosa c’entrino le bombe con la democrazia. Quando era chiarissimo che proprio le bombe erano la base di sostegno di quella democrazia!
Anche un idiota capirebbe che il terrorismo non può andare a favore di altri se non di chi già detiene il potere. Quando non per atto di aggressione da parte di altre nazioni. Altre possibili motivazioni, sinceramente non se ne vedono. Se quella donna che in un famoso video degli anni ’70 piangendo si rivolge al Presidente della Repubblica dicendogli “cos’è che fate per liberarci da questi delinquenti?” avesse saputo che si stava rivolgendo proprio alla carica massima rappresentante di quegli stessi delinquenti…
“per conservare il potere è necessario periodicamente mettere il terrore negli uomini” (Niccolò Machiavelli)
Ad indicare come la politica (e quindi anche gli organi dello Stato) fossero collusi con terrorismo e mafia, vi è il chiaro episodio di, non solamente l’esistenza di un minimo dibattito, ma addirittura di una certa contrarietà alla legge sul pentitismo da parte di alcuni politici, contrarietà ovviamente alternativamente incomprensibile in assenza di una spiegazione concreta, che non sempre sussisteva in modo giustificato. Motivi ben diversi portavano sulle stesse posizioni questi -------- rispetto al rigoroso garantismo dei radicali o alla pura ed in fondo ingenua caratura criminale del contrario Pertini… Ma dato che le vie del signore sono infinite, una volta approvata la legge -------- l’offensiva per delegittimarla prende corpo con le folli accuse a Enzo Tortora da parte di un “pentito” manovrato appositamente, ritortasi contro come grossolana e palese dimostrazione di come funzionino le cose nell’intreccio politico-mafioso.
“Siamo un corpo solo, banditi, polizia e mafia. Come il padre, il figlio e lo spirito santo” (Gaspare Pisciotta[232])
In realtà la volontà sulla legge sul pentitismo aveva un motivo ben preciso, ma che forse non era noto a chi la avversava: finalizzata a liberare gli infiltrati incarcerati – grazia? E questo indurrebbe ad inserire il primo beneficiario, Patrizio Peci, proprio tra questi.
Non dovrebbe certo servire citare esempi palesi, come quello della bomba piazzata dalla polizia il 19 gennaio 1971 davanti al tribunale di Trento[233]. Ne è stato fatto perfino un film satirico, “Signore e signori, buonanotte”, nel quale in una questura un orologio viene scambiato per una bomba, e solo dopo aver allarmato tutti ci si accorge dell’errore, ma visto come la notizia aveva portato luce benefica alla svilita istituzione, per tamponare l’errore i funzionari si vedono costretti a mettere una bomba vera.
“Per mezzo dell’inganno vincerai la guerra” (Motto del Mossad)
Per comprendere meglio è utile questa frase di Hitler: “I mezzi capaci di riportare la più facile vittoria sulla ragione sono il terrore e la forza”. Il fatto che sia finito come è finito evidenzia quanto sbagliata sia questa frase (specificazione: quando Hitler parla di terrore lo fa intendendolo come praticato da se, non come false flag ovvero imputarlo ad altri). E di conseguenza quanto vero sia tutt’altro: “i mezzi capaci di riportare la più facile vittoria sulla ragione” sono la melliflua furbizia ed il consenso parolaio praticati su una popolazione terrorizzata. Oramai accertato è che il noto terrorista anti-israeliano Abu Nidal fosse in realtà al soldo del Mossad. Non c’è da stupirsi se si considera ------- I due famosi attentati negli anni ’90 in Argentina all’ambasciata Israeliana e all’“Associazione Israele-Argentina” i cui colpevoli non sono mai scoperti sono il prototipo degli attentati di ordinaria amministrazione del Mossad. Alla luce delle cognizioni accumulate è assai difficile credere che un esecuzione di 4 coloni ebrei alla vigilia della firma di un accordo (31 agosto 2010) sia opera di palestinesi anziché di agenti del Mossad…
“Ordo ab Chao” (“l’Ordine nasce dal Caos”, motto massonico)
Ovviamente per quanto riguarda Israele il discorso è sempre lo stesso, non serve ripeterlo mille volte. Basti pensare che i documenti dei servizi segreti sequestrati a Giovanni Ventura che indicavano Israele come manovratore della strategia della tensione vennero facilmente liquidati da “certi” inquirenti come “interpolazioni razziste antisemite[234]”.
Si pensi che quando l’Onu criticò Israele nell’estate del 2006 per le stragi nella striscia di Gaza, Michael Ledeen candidamente definì l’Onu “la più grande organizzazione criminale del nostro tempo[235]”, e questo, beninteso, proprio mentre Israele, l’unica “democrazia” del medio oriente, devastava le case e mieteva morti impunemente. ---- anche su eserciti che portano catastrofi chiamandole democrazia. ----
Il 19 gennaio 1973 si tiene a Colonia una riunione del coordinamento delle forze di polizia dedicata al problema dell’infiltrazione nei gruppi terroristici BR e RAF e nei gruppi dell’estrema sinistra extraparlamentare. Dai verbali della riunione risulta evidente che l’intendimento dei vari servizi segreti non è quello di predisporre semplici confidenti o informatori, bensì veri e propri terroristi, completamente liberi di agire e così in grado di arrivare al vertice del gruppo da infiltrare. Si tenga presente che, oggi è ormai noto, tutti gli attentati firmati Brigate rosse precedenti questa data (con il culmine raggiunto il 15 gennaio di quell’anno a varie sedi milanesi di Msi, Cisnal, e Avanguardia nazionale) furono in realtà “false flag” opera di persone facenti capo alle sigle “Squadre d’Azione Mussolini” e “Movimento di Azione Rivoluzionaria”. Lo confermò implicitamente il ministro dell’Interno Taviani nel febbraio 1974, negando l’esistenza stessa delle brigate rosse[236]. Il “teorema Calogero” che vede nello scioglimento di Potere operaio (1973) la nascita, delle Br, o meglio, delle vere Br.------ “propaganda armata” – “terrorismo selettivo” tra prima e dopo 1973------
29 marzo 1973 Vengono occupati gli stabilimenti della Fiat Mirafiori.
Mentre Lotta Continua e Potere Operaio distribuiscono i volantini fuori dei
cancelli della fabbrica, all'interno dello stabilimento gli operai decidono le
modalità dello sciopero senza l’aiuto dei gruppi rivoluzionari.
10 dicembre 1973 Il capo del personale del gruppo auto della Fiat,
Ettore Amerio, viene rapito dalle Brigate Rosse.
“Le brigate rosse sono dei
rossi manovrati per strategia aziendale Fiat” (Paolo Emilio Taviani, 1974[237])
---qui? Si ----
E’ poi così insensato imputare alla Fiat un interesse al che gli attentati vengano compiuti sui treni? Se lo ricolleghiamo con il contesto internazionale, in particolare con l’“operazione collera di Dio” (vedi pagina ----), acquista un senso -------------. L’ex brigatista rosso Alberto Franceschini racconta un episodio altrettanto chiarificatore: ai primordi delle brigate rosse, i servizi segreti israeliani si offrirono di regalare armi, senza chiedere nulla in cambio. “A loro interessava solo che l’Italia avesse qualche problema dal terrorismo[238]”. Non ci sarebbe da stupirsi se ciò valse anche per altri paesi e gruppi terroristici, come l’IRA e l’ETA. Questo aiuta a dare un senso alla fine fatta fare alla banda Baader-Meinhof. In un volantino del 1970 a firma “Gruppo Nazional-Popolari - Lotta di Popolo”, di quella galassia “nazi-maoista” iper-infiltrata, si poteva leggere: “...e venga pure il caos se il caos è creativo”.
“La guerra va incontro a tutte le esigenze, anche quelle pacifiche” (Bertold Brecht)
Il 21 dicembre 1969 la firma del contratto dei metalmeccanici pone fine all’autunno caldo: il risultato di piazza Fontana. La stessa cosa ottenuta con le bombe del 25 aprile: il 30 aprile al termine di un aspro confronto tra governo e sindacati durato parecchi mesi, viene finalmente approvata la legge 153 sulla tutela previdenziale dei lavoratori dipendenti e sulla pensione sociale a favore dei cittadini ultrasessantacinquenni privi di reddito, che rappresenta la prima tutela di base uguale per tutti erogata direttamente dallo Stato. Lo stesso meccanismo funzionò con il rapimento di Aldo Moro: i partiti si precipitarono a votare la fiducia al nuovo governo. Non serve inoltrarsi portando altri esempi che già sono noti in quantità massicce su operazioni “false flag”, “Chaos”, “Demagnetize”, “MKUltra” e chi più ne ha più ne metta. Solo chi ha uno spesso strato di prosciutto sugli occhi può continuare ancora a credere che a mettere le bombe fossero i fascisti e a rapire Aldo Moro le brigate rosse. Eppure è tutto talmente semplice: se si vuole scoprire chi siano stati gli esecutori materiali del rapimento di Aldo Moro ancora mancanti basta controllare quali criminali furono fatti evadere di prigione poco prima, e morirono poco dopo… Osservando le cronologie dei periodi è difficile non scorgervi i moventi (e quindi ipotizzare i beneficiari) per ogni fatto. Non esistono misteri in Italia; esistono solo cose che vengono tenute nascoste da chi ha il potere.
“Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato golpe (e che in
realtà è una serie di golpes istituitasi a sistema di protezione del potere).
Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969. Io
so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi
del 1974. Io so i nomi che hanno gestito le due differenti, anzi opposte
fasi, della tensione: una prima fase anticomunista, Milano 1969, e
una seconda fase antifascista, Brescia e Bologna 1974. Io so tutti questi
nomi e so tutti questi fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si
sono resi colpevoli. Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi. Perché
la ricostruzione della verità a proposito di ciò che è successo in Italia dopo
il 1968 non è poi così difficile…” (Pier Paolo Pasolini)
Ma se i singoli episodi sono tutti ben inquadrabili, il contesto sotterraneo è molto più complesso. Abbiamo visto come la massoneria, divisa in due filosofie distinte anche se non propriamente opposte, si rivolga a strategie ben contrapposte. Queste sono ben distinguibili a seconda dei periodi nei quali ha prevalso ciascuna filosofia. Finanziare gruppuscoli a sinistra del Pci per togliergli voti è una tipica strategia nordista, mentre dal lato sudista non sarebbe inusuale trovare anti-comunisti votare essi stessi per il Pci per indurre reazioni dirette di contrasto di fronte all’avanzare dei voti comunisti.
“La fortuna della P2 (…) è legata alla stessa strategia di diffusione della paura per un Pci e per un pericolo rosso che non spaventano affatto gli avventurieri, ma che serve di copertura per i gestori dell’economia della corruzione: un anticomunismo da parata ben diverso dalla critica al ruolo statico che il Pci svolge in Italia” (Giorgio Galli[239])
Verbale degli argomenti trattati dalla P2, 5 marzo 1971: --- Giorgio Galli, “Affari di Stato”, ed. Kaos, pag. 195
a) Situazione politica ed economica dell’Italia.
b) Minaccia del Pci, in accordo con il clericalismo, volta alla conquista del potere.
c) Carenza di potere delle forze dell’ordine.
d) Mancanza di una classe dirigente e assoluta incapacità del governo nel procedere alle riforme necessarie allo sviluppo civile e sociale del paese.
e) Dilagare del malcostume, della sregolatezza e di tutti i più deteriori aspetti della moralità e del civismo.
f) Nostra posizione in caso di ascesa al potere dei clerico-comunisti.
g) Rapporti con lo Stato italiano.
poteri capitalistici e Usa non avversi a Dc come partito in se, ma come partito unico “di governo”
In america ai congressi di partito non vanno le delegazioni di altri partiti.
Il -------- del lavorio di questi anticomunisti può essere spiegato dal fatto che la loro avversione al comunismo non era determinata da motivi riferibili al buon senso, ma da interessi personali che evidentemente ritenevano il comunismo avrebbe leso. ---ossessione maccartista-----
“Quando non si fa nulla, ci si crede responsabili di tutto” (Jean-Paul Sartre)
Di conseguenza anche il loro “modus operandi” nella lotta al comunismo rifletteva aspetti privi di buon senso. Esempio tipico è la scomunica papale ai comunisti. E questo si esplicò nell’azione di Pallante.
Tra 1952 e 1954 la Dc provò a far introdurre una legge simile a quella tedesca che proibisce i partiti anti-democratici (detta “polivalente”) ma la situazione italiana la rendeva effettivamente impraticabile, anche una volta tentata la carta dell’atteggiamento tenuto dai comunisti italiani in Urss verso i prigionieri di guerra dell’Armir.
Attentato a Togliatti per scatenare guerra civile ed imporre un sistema politico simile a quello tedesco o americano dove Pci non c’è. Risultato effettivo: rottura sindacato Cgil – il valore di questa rottura assume caratteri rilevanti se si pensa quanto successivamente Gelli contrasterà i tentativi di riunificazione sindacale. Togliatti rappresentava il maggior ostacolo per chi voleva istigare i comunisti alla rivoluzione in modo da poterla reprimere ed instaurare un sistema sul modello di quello della Grecia uscita da una guerra civile.
“Gramsci ci ha insegnato che se si sbatte la testa contro un muro non è il muro che si rompe” (Palmiro Togliatti)-----qui o giù?-----
Famosa è la foto di Togliatti moribondo in barella con a fianco il colonnello Ugo Luca. Dato il calibro del personaggio (il Luca), la sua presenza in un tale contesto potrebbe scatenare più di un sospetto sull’iniziativa del gesto di Pallante e su eventuali “supervisori”…
Ma bisogno prima di tutto tener conto che l’Italia, in seguito alla sconfitta e relativo trattato di pace, si trovava indissolubilmente legata al volere politico dei vincitori. Non dovrebbe servire citare l’estromissione delle sinistre dal governo di De Gasperi, accettata anche da Togliatti. Il quale sicuramente tirò un sospiro di sollievo ai risultati elettorali del 1948. Nemmeno i casi un po’ più secondari, come il fatto che l’avvio del centro-sinistra fu permesso da Kennedy, e la retromarcia da Nixon. Basterà piuttosto fare il parallelo con la Gran Bretagna: ------- ricalca il percorso politico italiano; tra il 1964 e il 1970 al governo furono i laburisti; tra il 1970 e il 1974 i conservatori; tra il 1974 e il 1976 i laburisti ---- poi??? Dal 1979 i conservatori.
Se si valutano queste sottigliezze è possibile inquadrare gli eventi nei precisi contesti. L’assenso all’accordo di Danzica tra comunisti e cattolici in Polonia può essere considerato come un ringraziamento sovietico per il mancato boicottaggio italiano delle olimpiadi? Di conseguenza la bomba di Bologna non può avere altro che autori nordisti. La nascita del Psdi nel 1947 per togliere i voti al fronte popolare è una tipica strategia nordista. L’attentato a Togliatti per scatenare una guerra civile è una tipica strategia sudista. Queste sono inconciliabili ed antitetiche, come si può notare. E questo significa che anche in momenti di prevalenza di una, l’altra non smette certo di esistere e agire; e questo spesso provoca guerre intestine.
L’egemonia sudista si esplicò nell’ordine a De Gasperi di estromettere i comunisti e i socialisti dal governo, e nel successivo maccartismo. – e portella delle ginestre--------20 aprile 1947 . Sicilia – blocco del popolo primo partito.------
“La continuità tra fascismo fascista e fascismo democristiano è completo e assoluto. In questo periodo la distinzione tra fascismo e fascismo operata dal ‘Politecnico’ poteva anche funzionare[240]” (Pier Paolo Pasolini)
Il primo fattore che si deve considerare nell’analisi della scena politica italiana dal 1945 in poi è la peculiarità che la contraddistingueva da qualunque altra “democrazia” esistente: l’immutabilità del partito al governo. Questa era determinata dall’impossibilità della cessione del potere agli unici partiti che avrebbero potuto realisticamente aspirare ad un alternativa a quello che prese il sopravvento fin dalle prime elezioni. Ci si rese conto in sostanza che c’era un partito in particolare, quello comunista, che nel caso avesse preso il potere avrebbe teso a stravolgere radicalmente le istituzioni ----per propria intrinseca natura costitutiva ------; non esisteva quindi nemmeno la possibilità di “metterlo alla prova”. Gioco facile avevano i dirigenti a parlare di “eurocomunismo” e “rispetto della proprietà privata e della Nato”, ma sarebbero riusciti a tradire le aspettative dei loro elettori che criticavano anche l’appoggio dato al governo della “non sfiducia”? Di conseguenza l’elettorato anticomunista non vedeva alternativa al confluire in massa in un unico partito che rappresentasse una diga contro il bolscevismo. La scelta cadde sulla Democrazia cristiana. L’impossibilità di un ricambio governativo aveva un risvolto conseguente: comportò che tutta la concorrenza per il potere si giocasse esclusivamente all’interno del partito “di governo”, “una Dc alternativa a sé stessa” (Aldo Moro) “in un regime di monopartitismo perfetto” (Luigi Pintor). Ora, non tutti capiscono il significato implicito in ciò. Ma ci si chieda: questo sistema in cosa si distingueva dal regime a partito unico del Pnf?
“Non ci hanno lasciato cambiare niente” (Diego Abatantuono nel film “Mediterraneo”)
In entrambi i casi la lotta per il potere si svolgeva all’interno del partito, tra “correnti” interne, anziché in un confronto con altri partiti. Ed in entrambi i casi la reale competizione interna non avveniva certo in maniera elettorale, ma soprattutto tramite “pugnalate alla schiena” e scandali rinfocolati ad arte. Come non fare un parallelo tra il caso che vide contrapposto Augusto Turati ad Achille Starace, con quello che vide contrapposto Amintore Fanfani ad Attilio Piccioni (il caso Montesi)? Tutto il percorso storico della Dc è costellato di questa guerra scandalistica, i casi sono in numero talmente esorbitante che non è possibile elencarli. E’ l’atmosfera torbida di quegli anni tra sesso, dossier, ricatti, servizi segreti, ambizioni, manovre, accordi sottobanco e franchi tiratori.
“I politici sono i veri responsabili, i Servizi sono stati usati per schedare e ricattare” (Gianadelio Maletti alla commissione stragi, 3 marzo 1997)
Ma analizzandoli singolarmente è possibile fare un -----tirare somme------------. L’analisi della vera storia politica italiana del dopoguerra non la si può fare sul ----- dei vari partiti, ma sulle segreterie della Dc:
· Alcide De Gasperi (1944-1946) – centrismo
· Attilio Piccioni (1946-1949) – centrismo
· Giuseppe Cappi (1949) – centrismo chiuso alla sinistra
· Paolo Emilio Taviani (1949-1950) – primo effimero tentativo di centro-sinistra
· Guido Gonella (1950-1953) – ritorno al centrismo
· Alcide De Gasperi (1953-1954) – centrismo
· Amintore Fanfani (1954-1959) – vaglio di alternativa al centrismo
· Aldo Moro (1959-1964) – preparazione al centro-sinistra
· Mariano Rumor (1964-1969) – centro-sinistra
· Flaminio Piccoli (1969) – tentativo di ritorno al centrismo
· Arnaldo Forlani (1969-1973) – vaglio di alternativa al centrismo
· Amintore Fanfani (1973-1975) – tentativo di evitare il compromesso storico
· Benigno Zaccagnini (1975-1980) – preparazione al compromesso storico
· Flaminio Piccoli (1980-1982) – tentativo di ritorno al centrismo
· Ciriaco de Mita (1982-1989) – pentapartito consociativo
· Arnaldo Forlani (1989-1992) – vaglio di alternativa al pentapartito – tentativo di rinnovamento
· Mino Martinazzoli (1992-1994) – tentativo di salvataggio della Dc
Centro del cerchio (Dc) non come ideologicamente politico (dato che il cattolicesimo non è un idea politica) ma come potere tout court, ago di bilancia.
“La democrazia che gli antifascisti democristiani opponevano alla dittatura fascista, era spudoratamente formale. Si fondava su una maggioranza assoluta ottenuta attraverso i voti di enormi strati di ceti medi e di enormi masse contadine, gestiti dal Vaticano[241]” (Pier Paolo Pasolini)
Qui Fanfani unico che abbia provato a fare presidente del consiglio e segretario Dc contemporaneamente, e per questo accusato di tentazioni dittatoriali. Si pensi quando ha provato a farsi eleggere presidente della Repubblica…
Questa incongruenza del sistema politico italiano dovette essere accettata obtortocollo dagli Stati Uniti, nella ----- anticomunista, ma certamente non gli andava a genio.
Dc partito accusato dalla giornalista Claire Sterling di “totale mancanza di comprensione di cosa significhi l’esercizio del potere” a causa dei governi americani che gli hanno sempre “permesso di credere che sarebbe sempre stato salvato qualunque fossero i suoi fallimenti[242]”.
1965 tentativo Usa di creare una sinistra (Pci compreso) alternativa alla Dc, con Amendola come capo. – Gianni Cipriani, “Lo Stato invisibile”, Sperling & Kupfer ed., pag. 192. ------qui???-------
Si tenga poi presente che se la DC aveva il potere politico, essa aveva lasciato in mano agli eredi dell’azionismo laico il potere economico come lasciapassare per ottenere dagli Usa vincitori la delega alla guida cattolica della politica. Difatti non si dimentichi che il cattolicesimo coincide con l’economia distributista, e quindi assegnarla ad un partito prettamente cattolico sarebbe stato sconveniente per i vincitori.
“Il comunismo è utopistico, il capitalismo è fallito e non rimane che una terza via” (Don Giussani[243])
riportando la citazione di una memoria autobiografia di Ettore Bernabei pubblicata nel 1998. Lo statista trentino sottoscrisse uno scellerato accordo con Raffaele Mattioli, accordo che assegnava il potere politico alla DC, il potere culturale e quello finanziario alla massoneria (nordista), nemica giurata della Chiesa Cattolica.
Ne deriva un capitalismo connotato da un forte e chiuso circolo di potere oligarchico, con singole personalità (Cuccia, Mattioli ----Valerio?---) apparentemente illuminate rispetto ai tipici “cumenda”, ma senza dubbio particolarmente oligarchico. ----- Lodovico Festa, Giulio Sapelli, “Capitalismi”, Boroli ed, pag. 77. ----
Oltre a compromesso dc-pdaz, dopo 1947 anche compromesso Dc-Pci per Iri e Agip??????
Il garante del compromesso tra politica ed economia era De Gasperi, mentre il suo partito si divideva tra la destra di Mario Scelba e Luigi Gedda avversa all’ambiente finanziario perché pullulante di massoni anti-clericali, e la sinistra di Amintore Fanfani, Giuseppe Lazzati, Mario Pastore, ugualmente avversa all’ambiente finanziario, ma perchè promotrice di un economia cristiana.
“Il popolarismo è democratico, ma differisce dalla democrazia liberale perché nega il sistema individualista e accentrato dello Stato e vuole lo Stato organico e decentrato; è liberale (nel senso sano della parola) perché si basa sulle libertà civili e politiche, che afferma eguali per tutte, senza monopoli di partiti e senza persecuzioni di religione, di razza e di classe; è sociale, nel senso di una riforma a fondo del regime capitalista attuale, ma si distacca dal socialismo perché ammette la proprietà privata, pur rivendicandone la funzione sociale; afferma il suo carattere cristiano, perché non vi può oggi essere etica e civiltà che non sia cristiana” (Don Luigi Sturzo, 1939) ---“Chiesa e Stato”------
Alla luce di questo scritto c’è da chiedersi in cosa consistesse l’antifascismo di Sturzo… ---fittizio--
Giuseppe Dossetti, integralista
cristiano, ancor più estremamente sosteneva la necessità di un dialogo coi
comunisti. Su tutti sovrasta la figura di Enrico Mattei, vero fautore dei
valori che paradossalmente aveva combattuto come partigiano, e che alla fine
sarà ucciso proprio ad opera dei suoi “liberatori”. Ed è in questo contesto di
“un Italia col cuore a sinistra e il portafoglio a destra[244]”
che vanno lette numerose pagine della storia economica italiana in una guerra
tra statalismo e liberalismo, cattolicesimo e laicismo, avente raggiunto
l’apice con l’assassinio di Mattei nel 1962, e successivamente con la “guerra
di religione” tra la finanza laica del “nordista” Enrico Cuccia e quella
cattolica del “sudista” Michele Sindona. La guida della fronda fanfaniana fu
presa da Giuseppe Dossetti tramite la sua rivista “Cronache sociali”, la cui
tesi di fondo è riassumibile negli strali contro “una politica economica che
sembra preoccuparsi in modo esclusivo delle ripercussioni sulla moneta e sui
prezzi e trascura quella sulla produzione e sull’occupazione” e contesta a De
Gasperi lo “sproporzionato peso attribuito nelle decisioni economiche a
personalità d’ideologia liberista”[245].
Il 25 settembre 1946 durante la seduta
della terza Sottocommissione dell’Assemblea Costituente dedicata al diritto di
proprietà, tema introdotto dal democristiano Paolo Emilio Taviani, emerge
inaspettatamente nel dibattito la concezione antitetica all’individualismo
capitalistico, quel personalismo che abbiamo già trovato come caratteristica
peculiare del distributismo, comune a cattolici e fascisti.
“Durante la R.S.I. fu emanato
un decreto che prevedeva la socializzazione delle imprese. E’ stato questo,
sostanzialmente, il messaggio che Mussolini ha affidato al futuro. E’ un
messaggio in perfetta armonia con la Dottrina Sociale Cattolica, che è e
resterà sempre radicalmente avversa sia al capitalismo sia al
social-capitalismo. In quest’ultimo messaggio mussoliniano di esaltazione del
lavoro noi ravvediamo qualcosa di profetico” (Don Ennio Innocenti)
Durante questo dibattito, Fanfani non esita a porsi dalla parte di Taviani, accettandone in pieno l’impostazione anticapitalista. L’individuo, nella visione economica di Fanfani e Taviani, risulta come una astrazione utile solo a perpetuare i privilegi oligarchici del capitalismo. Si tratta di una visione comune ad un determinato gruppo democristiano - Fanfani, La Pira, Taviani, Moro e Dossetti - che costituisce un punto fermo nell’ideologia di quello che sarebbe diventato, proprio durante i lavori costituenti, il gruppo dossettiano. E non si scordi il fervente corporativismo di Fanfani negli anni della sua formazione. Difatti è parzialmente errata la generalizzazione sopraesposta, in quanto Fanfani viene generalmente accostato all’ala sinistra si, ma sinistra corporativa, non filo-comunista come Moro. Equivalente a Rauti nell’Msi. 1971 tentativo di far di Fanfani presidente repubblica ---accusato da altri partiti di tentazioni autoritarie. Sostenitore di una sintesi tra la tradizione corporativa cattolica ed il corporativismo fascista.
“Ne a destra, ne a sinistra, ma avanti” (Amintore Fanfani) --- assai indicativo che non abbia usato “al centro”.
Merzagora-Gronchi nemici
Fanfani-Gronchi nemici
Fanfani-Scelba nemici
Fino estate 1973 primeggia Andreotti – poi Fanfani
Scandalo Montesi 1953-54: Fanfani contro Piccioni (vince Fanfani)
Scandalo Giuffrè 1958: Fanfani contro Andreotti (vince Andreotti)
Non è certo casuale che dalla seconda metà degli anni cinquanta il
quindicinale di Ruinas “pensiero nazionale”, ultima avanguardia dell’ideale
socializzatore, sposò, per intima convinzione del suo fondatore e di buona
parte della redazione, le idee di Enrico Mattei in tema di politica economica,
energetica ed estera, avvicinandosi ai socialisti, ai socialdemocratici e alla sinistra cattolica
fanfaniana. La suddivisione
massonica del potere non riguarda solo quello politico, ma anche quello
economico. Enrico Mattei potè operare durante un periodo sudista (1953
fondazione Eni – 1962 morte di Mattei), mentre quando intervenne il ricambio
col potere nordista fu sostituito da Eugenio Cefis, massone nordista. ---oppure: finchè nordismo: Marcello
Boldrini, poi con nuovo sudismo Cefis?----
Cefis: in qualche modo il suo destino è legato a quello di Fanfani, un uomo complesso, con un disegno di nuovo Stato, di sviluppo della politica economica di Ezio Vanoni, sensibile ai problemi sociali […]. In qualche modo la sconfitta di Fanfani, prima del suo piano di dominio della Dc (è l’unico che abbia cercato di fare insieme il premier e il segretario del partito) poi con le sue batoste nella corsa per la presidenza della Repubblica, prepara la sconfitta di Cefis. ----- Lodovico Festa, Giulio Sapelli, “Capitalismi”, Boroli ed, pag. 86. --------- su Cefis assassino di Mattei?----
Nel libro di Pasolini intitolato “petrolio” si accusa piuttosto esplicitamente l’ex vice di Enrico Mattei e poi successore alla guida dell’ENI Eugenio Cefis di aver causato la morte del fondatore dell’ente energetico pubblico simulando il famoso incidente aereo.
Il dizionario di quel Potere è fatto da messaggi apparentemente criptici e di allusioni.
Enrico Mattei si è imposto come primo e autentico esemplare di “capitalismo di Stato” intento a gestire e rappresentare un ente pubblico strategicamente vitale con gli strumenti, i mezzi, le risorse e gli espedienti propri di un capitalismo privatistico assai spregiudicato.
Fanfani è stato l’amico, il “padrino politico” ed il maggior referente di Eugenio Cefis ai tempi in cui assunse la presidenza dell’ENI e scalò la Montedison. La cordata petrolchimica fondata sul binomio Fanfani - Cefis si contrapponeva a quella, altrettanto potente del duo Andreotti - Rovelli (SIR).
Non dimentichiamoci che l’aereo di Mattei precipita nel pavese nell’ottobre del 1962 mentre è in corso la crisi missilistica cubana.
Quando Cefis prenderà il timone dell’ammiraglia ENI - a partire dal 1967 – liquiderà la linea aggressiva e competitiva del predecessore e fondatore.
Enrico Cuccia - Presidente di Mediobanca, “fratello” di loggia di Cefis (Da RITRATTO DI UOMO IN “GRIGIO”, comedonchisciotte.org)
In quest’ottica appare evidente che il partito più contrapposto filosoficamente alla DC era il partito d’Azione. In una circolare interna del 1946 la DC definiva il partito d’Azione come “una formazione nella quale a fianco di socialisti e liberali gentiliani vi sono capitalisti in cerca di salvataggio, ex fascisti, massoni in gran quantità, israeliti, persone colte, che in un clima di virulento giacobinismo e neoilluminismo volteriano lavorano per una dittatura della cultura idealistica, materialistica, massonica”[246]. Difatti era un’accozzaglia praticamente priva di un ideologia definita ma composto dai più fanatici antifascisti di tutti i colori, aventi come unico collante l’antifascismo. Si pensi che gli azionisti erano repubblicani non tanto perché credenti nella repubblica, ma quanto perché nella monarchia vedevano un complice del fascismo. Può essere considerato l’espressione politica della massoneria nordista più intransigente e retriva. ---snob---- puzza sotto il naso ----- spocchia -----
Per Croce il liberale deve “protestare contro il volgo, satireggiarlo, respingerlo da sé con violenza”. Pensiero destra pag. 37. In questa frase può essere riassunta l’ideologia vera del partito d’Azione, ma che mai ammetterà.
Fu in seguito al compromesso sull’assegnazione della politica alla DC, e dell’economia ai referenti del Pd’Az. che questi si sciolse, venendogli a mancare uno scopo d’esistenza. Oltretutto, nonostante la roboante partecipazione alla cosiddetta “resistenza” con le brigate “Giustizia e libertà”, il partito d’Azione ottenne solo il ----1,5----% alle elezioni del 1946.
Nel 1952 il gruppo dossettiano riuscì ad impedire al trio De Gasperi-Scelba-Gedda di mettere in atto l’“operazione Sturzo” ovvero l’alleanza elettorale coi partiti della destra (Pli, Pnm, Msi). Mal gliene incolse: si attirarono le ire del Vaticano e beccarono una batosta elettorale. Dopo l’esperienza delle elezioni del 1953, che avevano visto i partiti a destra della Dc togliergli una determinante quantità di voti, la strategia del potere (coincidente col ricambio dei vertici americani in Italia, 1956) in previsione delle elezioni del 1958 si sviluppò in un offensiva indiretta verso essi piuttosto che diretta verso la sinistra. Risultato di ciò furono le scissioni (tipiche strategie nordiste): Ordine Nuovo dall’Msi; Partito Radicale dal Pli; Partito Monarchico Popolare dal Pnm. La nascita del Partito Radicale in particolare va vista anche come tentativo di riesumare gli ideali del Partito d’Azione, dopo che l’accordo che ne aveva determinato la scomparsa saltò. Difatti dopo la debacle delle elezioni del 1953 il vertice della Dc subì un terremoto. Fino al 1954 col centrismo liberale di De Gasperi ed Einaudi l’accordo politica-economia era filato liscio, ma col loro venir meno la palla passò al trio Gronchi-Fanfani-Mattei che, per la sua intransigenza dirigista, da subito si ritrovò schierati contro sia i vertici confindustriali del paleocapitalismo dei “cumenda” sia gli “illuminati” gnomi di mediobanca guardiani della “provincia Italia” per conto della finanza internazionale. La più scandalizzata, tanto per cambiare, fu l’onnipresente ambasciatrice statunitense Claire Boothe Luce, la quale è divenuta famosa per la sua abitudine a pretendere di mettere il becco in ogni affare italiano pur avendo ampiamente dimostrato di non riuscire a capire minimamente nulla dell’Italia.
“Gronchi è un pro-comunista che vuol portare l’Italia su posizioni neutraliste” (Claire Boothe Luce[247])
Autunno 1958 ricambi al vertice Sifar – autunno 1958 – autunno 1959 guerra Sifar - Uaarr.
Per tutto il corso degli anni 50 la dc fece di tutto per ottenere la benevolenza del psi, ed il governo Tambroni seguì all’estremo tentativo di affidare a Leone la formazione di un primo governo di centro-sinistra. Fu Aldo Moro a sollecitare Gronchi a sostenere Tambroni, incomprensibile in alternativa.
Quando parve chiaro che gli ideali dossettiani presero una piega che Fanfani dovette accettare a malincuore, Dossetti si allontanò dalla politica per farsi prete ( 25 marzo 1958).
Fanfani iniziatore del centro-sinistra pur essendo avverso al tipo di socialisti presenti in quel momento, dato che lui come socialismo avrebbe voluto intendere il senso letterale del termine ossia quello mussoliniano, non quello convenzionale marxista.
Centro sinistra piano solo: la Dc voleva insomma, come quel tipo di puttane prive di dignità che si fanno chiamare “escort”, i voti socialisti ma senza dover concedere nulla.
Il ministero delle partecipazioni statali nasce nel 1956 = comunistizzazione dell’Iri – con relativo distacco da Confindustria
1957 Gronchi in Iran – contratto 75% anziché 50%.
Eni estromessa da Libia e Bolivia – si accorda con Marocco e Giordania.
Febbraio 1960 Gronchi a Mosca.
1960 nasce Opec: Venezuela, Iran, Iraq, Kuwait, Arabia Saudita.
Eni 1960: 55.000 dipendenti.
Dall’11 gennaio 1957 all’Eni il monopolio della ricerca petrolifera in Italia – esclusa Sicilia. Ottobre 1960 Mattei ottiene petrolio russo. Già messo giù-----
5 novembre 1962: Il New York Times scrive a proposito della morte di Enrico Mattei:
“La sua influenza spaziava nella politica italiana, nell’equilibrio della guerra fredda fra Oriente e Occidente e, indirettamente nei rapporti diplomatici di un’importante potenza della NATO con il blocco comunista e i neutrali afro-asiatici... Egli aveva sviluppato, durante gli ultimi anni, una forte deviazione antiamericana e anti-NATO”
23 ottobre 1958 nasce la giunta Milazzo in Sicilia – Pci Psi Msi – Dc all’opposizione - 16 febbraio 1960 si dimette. Si consideri che a quel tempo solo le quattro regioni a statuto speciale avevano una giunta regionale, e di esse la Sicilia era la più importante. Da questo si può valutare l’impatto che la giunta Milazzo poteva avere, come governo della Sicilia. L’operazione Milazzo (anti-fanfaniana) viene proposta dalle cronache dell’epoca come uno degli ultimi tentativi del vecchio “notabilato” democristiano di conservare autonomia rispetto al nuovo “partito-macchina” organizzato dal segretario DC Amintore Fanfani. Fu voluta e poi eliminata dai mafiosi Salvo. L’esperienza milazziana in Sicilia si chiude definitivamente nel febbraio del 1960, per lasciare spazio al primo governo di centrosinistra presieduto da Giuseppe D’Angelo.
Già dal gennaio 1961 cominciano a nascere le prime giunte comunali di centro-sinistra.
a Milano giunta centro-sinistra 1959-61?
Agosto 1961 delegazione Uaarr visita Usa.
Morto Alcide De Gasperi, tramontata la stagione del centrismo, è abortito, per la congiura dei dorotei, anche il primo tentativo di Amintore Fanfani di apertura a sinistra, ai socialisti.
Nel valutare la contrarietà al centro-sinistra, si consideri che fino al 1985 il Psi aveva ancora falce e martello nel simbolo (anche se rimpiccioliti nel 1978).
29 ottobre 1964 nasce Sip (prima telefoni già dell’Iri, generalmente).
Golpe san marino --- in previsione di centro sinistra in Italia non si poteva lasciar mantenere l’alleanza tra socialisti e comunisti a san marino – come in enti locali italiani. San Marino fu trattata come un qualunque comune italiano, se non peggio. Si inserisce pienamente nella richiesta democristiana al Psi di troncare le alleanza col Pci nelle giunte comunali.
Il 19 luglio 1960 Tambroni si dimette. Si ammala e morirà nel 1963. Su di lui calerà la damnatio memoriae.
Durante il governo Tambroni, Saragat aveva affermato in un suo intervento alla Camera che “è urgente dare vita ad un governo di emergenza per una situazione di emergenza, una formazione governativa che rompa risolutamente col neofascismo, largamente aperta alle aspirazioni sociali delle classi lavoratrici e che sia qualificata nel suo programma e nella persona che la dovrà guidare da una profonda sensibilità democratica e sociale, un governo che significhi ritorno alla Costituzione ed una effettiva tregua politica che consenta di ricreare nel paese un clima di civile convivenza”.
A far da mediatore da questo momento il repubblicano Ugo La Malfa, nordista, laico di sinistra, “coscienza critica del regime democristiano”, che fece da traghettatore e garante del “centro-sinistra” oramai ritenuto inevitabile anche dagli oppositori più strenui. Kennedy in visita a Roma il 1° luglio 1963 accettando di incontrare il leader socialista Pietro Nenni autorizza l’ingresso dei socialisti nel governo. Ad Aldo Moro furono concessi altri 14 anni di vita[248].
Elezioni 1962 scontro Segni-Saragat – Segni eletto per volere di Moro, per simboleggiare un contraltare di controllo del centro-sinistra, necessario per avere il nulla osta da “qualcuno”. Segni dimesso dopo piano solo. ---7 agosto 1964 segni trombosi--- segni ritirato perché golpista?----
L’elezione di Antonio Segni a presidente della Repubblica fu il colpo di coda dei contrari al centro-sinistra. Il PLI alle elezioni politiche del 1963 raccolse il dissenso democristiano raggiungendo il 7% dei voti. Il già citato governo Tambroni non necessariamente può essere visto come fine a se stesso; se da un lato era auspicato dai contrari al “centro-sinistra”, dall’altro era stato accettato fittiziamente anche dai favorevoli, allo scopo di ottenere quello che alla fine ha consentito di ottenere: le motivazioni per indurre anche i contrari ad avviare il “centro-sinistra”. Il paventato “piano Solo” nel 1964 ha ridimensionato le pretese dei socialisti mettendoli di fronte all’alternativa “centro-sinistra” oppure golpe. 3 luglio 1964 grande comizio comunista a Roma minaccia velatamente i golpisti – parità di forze = guerra civile. frase nenni 26 luglio 1964 ---piano solo 14-16 luglio: “La sola alternativa che si è delineata sarebbe stata un governo di destra (…) nei cui confronti il ricordo del luglio 1960 sarebbe impallidito” (Pietro Nenni, 1964) I comunisti caddero nella trappola, i “morti di Reggio Emilia” del 1960 devono “ringraziare” solo gli strateghi del “centro-sinistra”. La nascita del centro-sinistra fu simbolicamente salutata dal disastro del Vajont, causato dalla fretta di riempire l’invaso in previsione della cessione all’Enel. La blanda politica del centro-sinistra non si rivelò molto diversa dal centrismo, scontentando così l’ala sinistra del PSU[249] che andò a rimpinguare l’opposizione di sinistra fondando lo PSIUP (che poi confluirà nel PCI) il quale praticamente sottrasse al PSU lo stesso numero di voti apportati dall’unione col PSDI, determinando il fallimento elettorale del 1968, vanificando lo scopo del centro-sinistra di stabilizzazione del potere auspicato dalla DC, scontentando tutti. A prescindere da maggioranze assolute, tanto più la maggioranza è risicata, tanto più ingovernabile è un paese. Per questo motivo si propose di allargare la maggioranza al PSI. Ma lo scotto è che, seppur allargando la maggioranza, sempre si deve accontentare tutti i partecipanti a questa maggioranza, e questo significa addivenire maggiormente a compromessi sulle volontà di tutti i partecipanti. Di conseguenza l’ingresso del PSI nel governo voleva dire accogliere le istanze che essi chiedevano. Istanze che non a tutti andavano a genio. Di conseguenza gli elettori della Dc a cui non andavano a genio le istanze del PSI ripiegarono sul PLI, contrario al centro-sinistra e per questo escluso da questo tipo di governi. Si pensi che il primo governo di centro-sinistra Moro, la cui caduta il 26 giugno 1964 aprì la strada per il piano solo, cadde per una questione banale come il finanziamento pubblico alle scuole private, a cui il Psi era ovviamente contrario. Il 6 novembre 1967 Cesare Merzagora, ultimo baluardo istituzionale contro il centro-sinistra, si dimette da presidente del senato. 1967 governo filo-arabo, saragat filo-israele. 1967 Italia a Onu vota contro sanzioni a Israele. 1967 sovietico Podgorny visita Italia. Il 10 maggio 1967, 20 giorni dopo il golpe greco che terrorizzò l’Italia, venne reso pubblico il piano solo del 1964, rinserrando le fila attorno al centro-sinistra identificato ormai come unica alternativa alla soluzione greca. ---fascicoli Sifar –25 gennaio 1967 approda alla camera --- Scalfari—10 maggio 1967—22 ottobre 1968: Pecorelli apre l’agenzia di informazioni “OP”. Una conseguenza dello scandalo Sifar. Op come privatizzazione dei fascicoli. -----9 agosto 1974 Andreotti fa “bruciare” i fascicoli del Sifar.
inizio 1966 Aloja capo di stato maggiore difesa (massima carica militare) – prende il suo posto a capo di stato maggiore esercito: de Lorenzo.
18 novembre 1965 sifar diventa sid
La stessa cosa si ripeterà dopo il golpe cileno, con --- rosa dei venti---- 1964 – il centro-sinistra introduce l’imposta cedolare sui dividendi aziendali, provocando la fuga di capitali all’estero. Da 1963 a 1965 gli investimenti diminuiscono del 35%; l’occupazione del 4%. elezioni amministrative 64 Dc –3% Psi –3,1% Pli +4,3%. fiat Togliattigrad 4 maggio 1966. Renzo Rocca, in quanto responsabile del Rei, aveva rivestito il compito di valutare e diffondere previsioni sulla risposta dell’intero sistema economico qualora fosse stato fatto accedere il Psi al governo. Ovviamente tali analisi furono esageratamente dipinte di tinte fosche, prospettive molto peggiori di quanto poi il centro-sinistra seppur edulcorato in effetti causò. Tanto che, una volta esploso lo scandalo Sifar, Rocca dovette suicidarsi. Nelle elezioni del 1968, nonostante l’allargamento della maggioranza, questa maggioranza allargata ottenne gli stessi seggi della maggioranza della precedente legislatura, vanificando così ogni senso di quella strategia, dato che, come a destra i voti affluirono al PLI, a sinistra affluirono al PSIUP, con l’impossibilità pratica di formare un governo; da cui iniziarono i governi “balneari” di Leone. Il primo durò fino al 19 novembre 1968. Tre giorni dopo nacque la corrente dei morotei (ovvero “di Moro”), col motto “equilibri più avanzati” (inteso verso sinistra) a cui seguì, dopo il congresso del Pci dell’8 febbraio 1969, la “strategia dell’attenzione” (verso il Pci). Il 5 giugno 1968 l’elezione di Pertini a presidente della camera rappresenta l’estrema ratio nonché il “dulcis in fundo” del centro-sinistra. Il 13 dicembre debutta il primo governo Rumor (Dc, Psu, Pri).
1968 governo decide di far pagare le tasse anche ai capitali vaticani. Dicembre 1969: Il Vaticano, in difficoltà per il dissesto della società Condotte, affida a Michele Sindona la gestione della complessa operazione finanziaria di salvataggio. Il banchiere ne acquista il pacchetto azionario.
Il 12 dicembre 1968 la Cgil torna ad essere il primo sindacato in Fiat; nel corso del 1969 si intensifica la lotta contro le gabbie salariali (salari differenti tra nord e sud); il 28 luglio 1969 per la prima volta si contratta seguendo una linea unitaria Cgil-Cisl-Uil. La contestazione “sessantottina” si “istituzionalizza”, con la nascita dei gruppi organizzati “Lotta continua” e “Potere operaio” a partire dai rispettivi organi di stampa.
Una volta resisi conto dell’effettivo fallimento del centro-sinistra, PSI e PSDI si ridivisero (maggio 1969), e, considerando chiusa l’esperienza del centro-sinistra (5 luglio), Rumor varò uno scialbo governo monocolore, ma la palla intanto era passata ai fautori di un nuovo “governo Tambroni”, ma vista l’esperienza precedente, non era possibile attuarlo con gli stessi modi. Non si poteva imporlo, ma bisognava spingere l’opinione pubblica, la “maggioranza silenziosa”, a chiederlo. Ed ecco avviarsi dell’iter che condurrà alla strage di piazza Fontana…
Tre giorni dopo l’inaugurazione del “balneare” Rumor II scoppiano diverse bombe sui treni, senza vittime. L’11 settembre si ha il primo grande sciopero metalmeccanico che apre l’“autunno caldo”. Il 18 ottobre il segretario della Cisl Luigi Macario dichiara esplicitamente: “è indispensabile che i sindacati considerino i salari una variabile indipendente dagli altri fattori della produzione”. Il 20 ottobre i dorotei si sciolgono. Il 16 novembre Pino Rauti “apre l’ombrello”. Il 19 novembre lo sciopero generale per la casa con guerriglia urbana a Milano nel quale muore un poliziotto (Annaruma) è la goccia che fa traboccare il vaso per i settori borghesi della società. Dal 27 novembre la contrarietà alla legge sul divorzio pone in un fronte comune Dc ed Msi. L’11 dicembre lo statuto dei lavoratori è approvato dal senato.
Con queste premesse, la bomba era inevitabile…
Piazza fontana: secondo il giudice Salvini risponde al principio “destabilizzare per stabilizzare”, una formula che giustifica tutto con la ragione di Stato. Nonostante questa erudizione anch’egli insiste nel definire fascisti gli esecutori materiali, seppur “di un piano voluto ai vertici dello Stato italiano e coperto dagli Stati Uniti”. ---- il gazzettino 5 agosto 2010. -----
Tutto l’ambaradam che si mosse per indicare negli anarchici i colpevoli, con punta di diamante il giornalista del corriere della sera Giorgio Zicari, collaboratore dei servizi segreti.
Ma in quel caso i cospiratori ottennero un effetto ben diverso da quello auspicato, come anni prima con “portella delle ginestre”: l’opinione pubblica anziché chiedere un governo forte restò spaesata di fronte al “balletto” dei poteri, ed il presidente del consiglio Mariano Rumor si trovò con le mani legate[250]; i voti del PCI rimasero immutati; l’unico risultato elettorale fu che la DC perse voti a favore dell’MSI: l’opposto di quanto desiderato, visto che con i delegittimati voti dell’MSI non era possibile sostenere un governo, come aveva dimostrato l’esperienza del 1960 (nonostante anche quando esso avesse in seguito aggiunto all’uopo la scritta “destra nazionale” nel proprio simbolo). L’“incubo” che Scelba aveva cercato in tutti i modi di evitare, si avverò. Ed inoltre le varie -------- di quegli anni spingevano per un fronte comune Dc-Msi, a cominciare dalla questione del divorzio, che fece cadere il governo Rumor II il 7 febbraio 1970, e vide uniti in parlamento i due partiti nel far approvare la legge sui referendum (con l’unico scopo di indirne uno appunto sul tema del divorzio); il 29 marzo, sempre divisi sulla questione del divorzio, si ritenta col centro-sinistra, con un altro governo Rumor, il terzo, che dura solo fino al 6 luglio, al che viene sostituito da -------- Colombo, sempre centro-sinistra; entrambi angustiati anche dalla questione delle giunte locali Psi-Pci, delle quali la Dc avrebbe desiderato la rottura in previsione dell’istituzione delle regioni. Il Rumor III ebbe giusto il tempo di far approvare la legge sui referendum e lo statuto dei lavoratori anche dalla camera. Colombo invece il 27 agosto emana un’impennata di tasse; il decreto governativo, non votato dalla camera, decade dopo 60 giorni; il 26 ottobre viene riproposto ed il 28 novembre approvato. Intanto in estate scoppia una rivolta a Reggio Calabria per motivi inizialmente del tutto frivoli, ma della quale l’Msi intende approfittare per inserirsi ---------. La rivolta di Reggio Calabria, che viene banalizzata come rivolta localistica per il “pennacchio”, rivestiva un importanza a livello nazionale in quanto Catanzaro, storico feudo socialista, era stata scelta come capoluogo per volontà del Psi, e quindi la rivolta di Reggio Calabria prese un accento anti-centro-sinistra, specie dopo il deragliamento del treno a Gioia Tauro. Il 1° dicembre diviene effettiva la legge sul divorzio; sei giorni dopo si ------ il ---scalcinato---- tentativo di colpo di Stato guidato da Borghese, replica dopo il fallimento dell’anno precedente. Nel contempo i voti per l’Msi si moltiplicano, raggiungendo risultati inusitati nelle varie consultazioni locali (13,9% nel 1971). Ed ecco qui chiarirsi i vari avvenimenti successivi, il cambio di rotta delle indagini sulla strage con l’arresto sensazionalistico di Pino Rauti, e le bombe sui treni imputate alla destra. Quale interpretazione dare alla morte di Cornelio Rolandi[251] proprio in corrispondenza del giro di boa delle indagini su quella strage? Il chiarimento sulla strage arriva dal fatto che, in maniera apparentemente incongruente, nel processo vennero giudicati assieme “anarchici” e “fascisti”, rendendo implicito il fatto che secondo i giudici vi dovesse essere una “regia” superiore ad unirli. Su un punto sembra esserci corrispondenza: se la bomba fosse esplosa a banca chiusa, senza vittime, probabilmente si sarebbe raggiunto il risultato auspicato, la replica del 21 aprile 1967 greco. Furono i funerali a mandare all’aria il progetto. La strage con vittime quindi fu appositamente voluta oppure fu dovuta a sabotaggio dei manovali? L’attentato di Gianfranco Bertoli contro Mariano Rumor potrebbe chiarircelo. Pista anarchica orchestrata dal famigerato Giorgio Zicari, giornalista del maggior quotidiano italiano, e collaboratore dei servizi segreti. Pista avvallata da 4 dicembre 1969 feltrinelli entra in clandestinità. Ma non si scordi un importante particolare troppo spesso trascurato: per il pomeriggio del 12 dicembre ’69 era previsto l’insediamento di una commissione avente lo scopo di “ammorbidire” lo “Stato di polizia” dopo gli eccessi repressivi degli anni precedenti, con a capo il questore Antonio Troisi[252]. Tralasciamo volutamente le fin troppo facili illazioni gratuite sul possibile ruolo ricoperto dalla neonata commissione nell’emotività delle prime indagini sull’attentato…
“E’ Rumor che attizza la strategia della tensione per restare al potere” (Paolo Emilio Taviani[253])
Rumor il 17 maggio 1973 subì un attentato ad opera di un informatore dei servizi segreti ritornato apposta da Israele dove viveva dal 1971 per sfuggire ad una condanna per rapina. Alcuni giornali parleranno della presenza di agenti segreti israeliani sul luogo dell’attentato[254]. Cinque giorni dopo viene trovato morto un cittadino israeliano in un appartamento a Milano (ufficialmente asfissiato da una stufa malfunzionante) dal quale gli altri due inquilini israeliani spariscono subito. Si appurerà trattarsi di agenti segreti[255]. La morte di Rumor era desiderata da tempo da --------. Sappiamo che anche a Vincenzo Vinciguerra nel 1971 fu chiesto di ucciderlo, con la promessa che “non ci sarebbero stati problemi con la scorta di polizia”.
“Rifiutai questa proposta (…) perché venni messo in fortissimo sospetto dalla precisazione che non avrei avuto problemi con la scorta, cosa che mi dimostrava l’esistenza di agganci con funzionari ad altissimo livello in grado di predisporre una situazione per cui la scorta potesse non intervenire. Si formò così in me la convinzione, avvalorata da successivi riscontri (ad esempio la ammissione di Zorzi di essere legato da intima amicizia con un altissimo funzionario del ministero degli Interni; la confidenza fattami da Rognoni e da Francesco Zaffoni in Spagna circa marce notturne con tute mimetiche dell’Arma dei carabinieri nella zona di Varese) dell’esistenza sotto la facciata di On [Ordine nuovo] di una struttura occulta all’interno della quale operavano personaggi come Maggi, Zorzi, Carlo Di Giglio, Paolo Signorelli e in posizione di vertice lo stesso Rauti, struttura a sua volta inserita in un apparato composto di civili e militari, arruolati sulla base delle loro convinzioni anticomuniste e delle loro adesioni all’idea di un rafforzamento della Nato. (…) La chiarezza che avevo acquistato su On mi dimostrò che non si trattava più di un gruppo politico di opposizione allo Stato, ma di supporto a centri di potere dello Stato stesso. (…) Per me l’episodio chiave per capire potrebbe essere la strage di via Fatebenefratelli in ordine alla quale innanzitutto formulo l’ipotesi che si sia trattato della ripresa e dell’attuazione della proposta che venne fatta a me di un attentato alla persona dell’onorevole Rumor e del progetto sottostante. Lo valuto come episodio chiave perché sono certo che, se venisse chiarito in tutti i suoi termini, sviluppi e riflessi, tale fatto metterebbe a nudo in maniera esemplare il connubio esistente tra potere politico, apparati di Stato e l’indicato gruppo di On” (Vincenzo Vinciguerra[256])
Nulla di cui stupirsi, in un periodo come quello nel quale l’opposizione al centro-sinistra d---- tasse e stat lavoratori------- era feroce in molti recessi della società italiana. golpe Borghese sgangherato – venuta alla luce marzo? 1971 favorisce sinistra – ambasciata Usa: rimediate! Semestre bianco seconda metà 1971 a destra paura che la sinistra ne approfitti per prendere il potere. Paura sventata con l’elezione di Leone---------. 1972 il potenziale candidato delle sinistre Francesco De Martino come presidente della repubblica avrebbe aperto ai comunisti le porte del potere. ---rapimento figlio----- Di questo contesto l’episodio maggiormente affiorante è l’elezione di Giovanni Leone a Presidente della Repubblica (dicembre 1971), il più presentabile uomo di punta dell’avversione al centro-sinistra. Una sorta di “Segni 2” dodici anni dopo, dato l’uguale ruolo e motivo dell’elezione, ma stavolta col Pci al posto del Psi. Meno di un mese dopo, puntualmente, Colombo deve dimettersi, e l’incarico viene affidato ad Andreotti, che non ottenendo la fiducia dal parlamento, costringe a ------ le prime elezioni anticipate. Nel frattempo le Br compiono il loro primo sequestro, Berlinguer prende il posto di segretario del Pci, e a Giangiacomo Feltrinelli viene fatta fare la stessa fine che farà Peppino Impastato qualche anno dopo. Lo sciopero divenne come un istituzione, una droga, ogni occasione era buona per ---- far vacanza— In Francia Charles De Gaulle scese in campo, e il Sessantotto durò un paio di anni. In Italia il movimentismo senza obiettivi andò avanti sino alla fine degli anni settanta, degenerando in una sorta di guerriglia demenziale ma para-rivoluzionaria nelle intenzioni. ----- Lodovico Festa, Giulio Sapelli, “Capitalismi”, Boroli ed, pag. 67---- ----calabresi---gladio?--------- Alle elezioni segue di poco la strage di Peteano, attuata dal Vinciguerra (che successivamente si ritenne essere stato ingannato); essa è il prototipo delle azioni le cui motivazioni risaltano evidenti nella strategia seguita a piazza Fontana: nelle elezioni del 1972 (le prime ad avvenire in modo anticipato) si ebbe un buon risultato per l’MSI-DN, a scapito esclusivamente della DC ovviamente. Quale migliore soluzione per invertire tale tendenza se non incolpare la destra di aver ucciso dei carabinieri? La conferma ci viene dal fatto che i carabinieri locali furono condannati per aver depistato le indagini; evidentemente era mancato il coordinamento tra cospiratori e forze dell’ordine locali sulla strada che avrebbero dovuto prendere le indagini.
Dopo Peteano: Labruna a Fachini: “ora basta fare fesserie” --- Gianni Flamini, “Il libro che i servizi segreti italiani non ti farebbero mai leggere”, Newton Compton ed., pag. 164.
Il “punto di non ritorno” dalla svolta anti-missina può essere considerato l’“invasione” sindacale nella Reggio Calabria reduce dalla rivolta del periodo precedente. Il 22 ottobre 1972 50.000 manifestanti giungono da tutta Italia. Il giorno precedente diversi attentati furono sventati sui treni che portavano i manifestanti; la paternità fu ovviamente attribuita ad un gruppo quale Avanguardia Nazionale. Il governo di Andreotti dotato di una debolissima maggioranza Dc-Psdi-Pli necessitava in maniera impellente dei voti che l’Msi gli sottraeva. Pena, il dover ritornare all’esecrato centro-sinistra. A “dare il la” ufficiale alla nuova strategia antifascista fu Arnaldo Forlani, che il 5 Novembre 1972 in un comizio a La Spezia paventò il pericolo di un golpe di destra[257]. Ed a confermarlo, la precedente (4 marzo) sostituzione alla guida del principale quotidiano italiano, il Corriere della sera, di Giovanni Spadolini (fautore di una Repubblica “conciliare”, esteriormente dipinta come progressista, ma in realtà eufemismo per dire ---golpista--- finalizzata a placare i “rossi”) con il progressista Piero Ottone. Paradossalmente (per gli ingenui) sette giorni dopo la sede di quel giornale viene messa a ferro e fuoco dagli “autonomi”. Il tentativo evidente di estromettere l’Msi dall’agone elettorale culminò il 24 maggio 1973, quando la camera autorizzò a procedere contro Almirante per ricostituzione del partito fascista. Non servì, dato che poco dopo Andreotti cadde, e si dovette tornare al centro-sinistra, con Rumor sostenuto dal nuovo segretario Dc Fanfani, detto “rieccolo”. Il Pci annunciò pomposamente che avrebbe fatto “un opposizione diversa”. La riedizione del centro-sinistra fu determinata da un evento all’apparenza insignificante: il sorpasso della Dc da parte di una lista scissionista (pseudo-fanfaniana) alle elezioni regionali della Val d’Aosta, indice delle propensioni dell’elettorato stanco di -----------. Il primo provvedimento del risorto centro-sinistra fu il blocco dei prezzi, con relative proteste da parte dei commercianti e aggravamento della recessione. Se il primo centro-sinistra fu salutato dal disastro del Vajont, questo secondo fu salutato da un epidemia di colera nel meridione. E visto che i guai non vengono mai soli, a incasinare la situazione italiana intervenne pure il Cile dove l’11 settembre un golpe terrorizzò l’Italia. Tanto che l’offensiva antifascista si accentuò, facendo arrivare il Corriere della sera di Ottone ad essere accusato di filo-comunismo, da Indro Montanelli. ---rosa dei venti scoperta 9 novembre----. Il 22 novembre (o 23 settembre????) viene sciolto ordine nuovo, come se con ciò si potesse eliminare gli aderenti senza arrestarli. ---la democrazia scioglie, non arresta-----. L’inverno ’73-74 fu all’insegna dell’austerità, rendendo sempre più inviso il governo alla borghesia edonista. offensiva antidestra: culminata ad hoc con il delitto di Izzo, fatto apparire come fascista tanto quanto il mostro di Nerola fu fatto passare per comunista nel 194XXX. Ma a rompere le uova nel paniere intervenne la vittima sopravvissuta a smentire ogni implicazione politica…
9 marzo 1973 Franca Rame: Angelo Angeli (Sam) su istigazione carabinieri.
---o il 1974 fu l’anno nel
quale--- Ma l’anno nel quale l’offensiva di delegittimazione della destra
raggiunse l’apoteosi fu il 1974, aperto in gennaio con l’allarme generale nelle
caserme, e culminato il
28 agosto con le dichiarazioni “ad hoc” del ministro degli Interni Taviani, che indica la destra
come unica autrice della sovversione, seguite alla strage di Brescia e
dalla bomba sull’Italicus. Questa fase, avviata il ------ e rivelatasi dopo
che, oltre al delitto del Circeo, l’anno precedente un poliziotto a Milano era
stato ucciso da una bomba scagliata da un missino. Ma di solito le bombe a mano
non si trovano nelle armerie… In quel caso l’episodio si rivelò a doppio taglio,
dato che l’MSI stesso fu costretto a consegnare l’autore alla giustizia. L’autore del lancio Vittorio Loi, nel corso di un interrogatorio
sostiene l’esistenza di un piano preordinato per creare disordini e fa i nomi
degli organizzatori, successivamente però ritratta tutto. Non c’è da stupirsene
della ritrattazione, se si considera la statistica in quegli anni di persone
suicidatesi senza apparenti motivi o vittime di incidenti anomali, tra quelle
implicate in indagini su episodi di terrorismo; 15 suicidi solo per piazza
Fontana… Pasquale Juliano poté considerarsi fortunato, a differenza di Alberto
Muraro…
Incalzati dall’offensiva antidestra -------piazza loggia----:
“Gli ordinovisti avevano
sostenuto che se non si fosse colpito in quel momento, dopo non sarebbe stato
più possibile farlo” (Carlo Digilio) interrogatorio 31 gennaio 1996 davanti
Guido Salvini.
Visto quel fallimento precedente, stavolta con la strage di Brescia gli
autori si premunirono nel far risaltare chiaramente i “colpevoli”, facendo
esplodere pochi giorni prima un intero fascista con lo stesso esplosivo
poi usato in piazza della Loggia. Si consideri che, come a Peteano, bersaglio
erano i carabinieri, mancati solo per puro caso (le condizioni atmosferiche[258]).
A voler essere maligni, ragionando col metro di Pasolini e della “teoria dei
cerchi concentrici”, i “mandanti” di quella strage non sarebbero poi così
ignoti…
“Sarei curioso di vedere l’atteggiamento di certi magistrati se, per
nostra sfortuna, a Brescia dovesse avvenire qualcosa di veramente grosso”
(Mino Martinazzoli[259])
Se solo non fosse necessario nemmeno ricorrere a congetture…
“Quanti agenti di pubblica sicurezza sono morti sotto le Logge?” (Paolo Emilio Taviani, ministro dell’interno, 28 maggio ’74, ore 10.30, alla notizia della strage di Brescia[260])
Ma perché in quella cupa e
piovosa mattinata di maggio dovevano essere morti degli “agenti di pubblica
sicurezza” secondo il ministro dell’interno?
Per togliere ogni dubbio, oltre all’indicazione preventiva, si lavorò alacremente anche successivamente per indirizzare precisamente le indagini: quella di cui rimase vittima Giancarlo Esposti, due giorni dopo la strage di Brescia, pare più un esecuzione pianificata che una sparatoria casuale; con lo scopo, dopo quello preventivo dell’esplosione di Silvio Ferrari, di fornirne uno successivo come responsabile materiale della strage, onde darne un interpretazione golpista tramite la voce che il secondo passo di tale strategia sarebbe stato l’eliminazione del presidente della Repubblica Leone durante le celebrazioni del 2 giugno, motivo dell’accampamento laziale dei camerati milanesi armati fino ai denti. Per la morte di Esposti, Sandro Saccucci ha accusato espressamente il capo dell’ufficio D del sid, Maletti. --- Gianni Cipriani, “Lo Stato invisibile”, Sperling & Kupfer ed., pag. 427. Il probabile esecutore materiale della strage di Brescia, Ermanno Buzzi, non fu ucciso da Concutelli e Tuti per impedirgli di testimoniare, ma in quanto ritenuto autore della morte di Silvio Ferrari. Tuttavia la volontà di impedirgli di testimoniare può essere vista nel mandarlo nel carcere di Novara, dove si sapeva che sarebbe stato ucciso seppur per altri motivi. Il fatto che chi voleva metterlo a tacere aveva pure il potere di ordinare un trasferimento penitenziario è assai indicativa… Non è un pesce, ma vive nel mare.
Accanto al cadavere dilaniato di Silvio Ferrari vennero rinvenute
diverse copie della rivista “Anno Zero” (organo di stampa del movimento “Ordine
Nero”, effimero erede diretto del disciolto “Ordine Nuovo”). Copie dello stesso
giornale vennero trovate nell’auto di un gruppo di neofascisti schiantatasi
solo venti minuti dopo la morte del Ferrari, nella stessa città. Utile è
ricordare come Nico Azzi ostentasse una copia di “Lotta continua” prima che gli
esplodesse in mano una bomba nel cesso di un treno. Evidente appare come si
volesse fornire un collegamento tra Ferrari ed i quattro milanesi come latori
della bomba che lo dilaniò; utile ai nostri fini è far notare un paragone con
un altro strano incidente stradale che uccise 4 anarchici calabresi mentre si
recavano a Roma nel 1970 con un dossier sulle bombe ai treni di quell’anno,
colpiti da un camion alla cui guida stava, fatalità, una persona alle
dipendenze di Junio Valerio Borghese. Alla luce di questo non sorprenderebbe
che il detonatore della bomba data ad Azzi fosse stato predisposto
appositamente per scoppiargli in mano; dopotutto si inserisce appieno nel
contesto strategico enunciato, ed è simbolico in particolare in quanto
corrispondente al “giro di boa” e da certi ambienti si voleva rendere palese la
precedente strategia di far effettuare alla destra attentati da attribuire alla
sinistra. L’incidente di Azzi lo rivelò ampiamente a tutti. E poi vi era già il
precedente di Giangiacomo Feltrinelli…
“Il limone prima si spreme e poi si getta”
Azzi subito si prodigò per garantire il silenzio ai suoi mandanti onde salvarsi la vita. Avendo intuito l’antifona assecondò alla perfezione quanto essi auspicavano ottenere dall’attentato, rilasciando dichiarazioni che ricalcavano esattamente quanto si voleva far intendere. Obiettivamente è difficile credere che simili puerili farneticazioni possano essere sincere:
“Io mi batto per la dittatura militare. Con l’attentato al treno volevo scatenare il panico nel paese, provocare una tensione politica tale da rendere necessario l’avvento di un governo forte. Solo i colonnelli possono sistemare le cose in Italia. (…) Noi siamo missini. Il Msi ha promesso a tutti noi coperture e cariche nel partito. Servello è il nostro ispiratore ideologico” (Nico Azzi dopo l’arresto[261])
Inevitabile rimandare il ricordo alle dichiarazioni del “mostro di Nerola”…
L’addebito a Franco Servello ne è la conferma, dato che era parecchio malvisto negli ambienti extraparlamentari di destra, e non certo preso ad ispirazione come Azzi vorrebbe far credere.
Tanto più che per cinque giorni dopo era prevista a Milano una manifestazione proprio dell’Msi, quindi la scelta del momento non fu certo casuale. Alcuni “militanti” del partito pensarono bene di finire in bellezza quello che Azzi aveva iniziato, scatenando la guerriglia urbana e lanciando bombe verso i poliziotti uccidendone uno.
Riguardo l’offensiva contro la destra 1972-73 e Libia-Malta: Anche negli Stati Uniti sono state “messe in atto delle contromanovre destinate a provocare il fallimento del piano Nixon per il Mediterraneo” culminate con l’affare Watergate. Gianni Flamini, “Il libro che i servizi segreti italiani non ti farebbero mai leggere”, Newton Compton ed., pag. 173.
L’Italia ha sventato un colpo di Stato contro la Libia». Fu così, con
questa credenziale, che Aldo Moro nel 1971 si conquistò la fiducia di Gheddafi,
capovolgendo in breve tempo il pessimo avvio delle relazioni fra Italia e il
Colonnello, soprattutto dopo l’espulsione degli italiani. A ricostruire questo
passato non lontano è Arturo Varvelli, ricercatore dell’Ispi di Milano, in
L’Italia e l’ascesa di Gheddafi. La cacciata degli italiani, le armi e il
petrolio. Il saggio edito da Baldini Castoldi Dalai (in uscita il 7 aprile),
racconta, grazie a una approfondita ricerca d’archivio, quell’incontro del 5
maggio 1971, quando Moro informò il Colonnello del contribuito fondamentale al
fallimento di un golpe preparato proprio ai suoi danni. Ecco i fatti. Il 21
marzo 1971, a Trieste, la polizia italiana sequestrava un battello, il ConquistatorXIII,
che avrebbe dovuto trasportare armi e mercenari in Libia per un tentativo di
colpo di Stato voluto dal potente Omar Shalhi, ex emissario di re Idris, il
monarca libico scalzato da Gheddafi. Ciò che è del tutto nuovo nel saggio
storico di Varvelli, è che oggi questi e altri episodi non sono frutto della
fantasia di due inventivi giornalisti inglesi (che negli anni Settanta
scrissero questa storia in The Hilton Assignment), ma sono confermati da
rigorose fonti storiche: la documentazione degli archivi italiani, americani e
britannici. Secondo queste ricerche, il piano di Shalhi prevedeva l’invio di
mercenari europei in Libia con lo scopo di prendere la prigione di Tripoli e
liberare i dissidenti e i maggiori rappresentanti del vecchio regime
imprigionati da Gheddafi, tra i quali il fratello di Omar Shalhi, Abdul Aziz.
Allo stesso tempo sarebbe dovuta scattare una sollevazione militare per
rovesciare lo stesso leader libico. Il colpo si sarebbe compiuto a nome di Re
Idris, ma di fatto avrebbe portato al potere gli Shalhi. Omar aveva fatto male
i propri calcoli. Gheddafi era ancora considerato il male minore dagli
americani e dai britannici. Nonostante avesse fatto chiudere le rispettive basi
militari in Libia, il nazionalismo del Colonnello appariva ancora un baluardo
indispensabile contro l’espansione sovietica nel Mediterraneo. I golpisti
avevano interpretato male l’atteggiamento dell’Italia, facendo affidamento su
una presunta volontà di rivalsa. La politica italiana era tesa, invece, a
evitare qualsiasi gesto di interferenza nel mondo arabo. Nonostante le
divisioni interne al Sid (l’allora servizio segreto), tra fazioni filo-arabe e
filo-israeliane, la politica di distensione nei confronti di Gheddafi andava
difesa malgrado i risentimenti per le decisioni del governo libico contro la
comunità italiana. Moro in persona – come dimostrano i documenti del ministero
degli Affari Esteri – nell’agosto precedente aveva dato ordine ai servizi di
sorvegliare le comunicazioni dei libici e di conoscere quindi i preparativi del
colpo. Il saggio ricostruisce nel dettaglio come l’Italia incassò quel diretto
credito nei confronti di Gheddafi, puntando a uno scambio per entrambe la
parti, che coinvolse le grandi opere, il petrolio e perfino la vendita di armi
alla Libia.
Chi aveva un interesse a far naufragare il piano Nixon ovvero a tenere
la propria moglie lontana dalla propria alcova? La risposta sta nella domanda
stessa.
La tempesta scatenata sulla destra coincise con la parabola discendente di Nixon, la caduta delle dittature greca e portoghese, ed il declino di quella spagnola (iniziato con l’attentato a Luis Carrero Blanco del 20 dicembre 1973), ed il termine dell’operazione Chaos. Tutti effetti del ricambio massonico. Estremamente significativo simbolicamente è il riconoscimento ufficiale della DDR da parte dell’Italia, il 18 gennaio 1973 (Germania ovest lo ha già fatto?). Nel febbraio 1973 l’ambasciatore statunitense in Italia Graham Martin viene sostituito con John Volpe.
28 agosto 1974, Taviani: la teoria degli opposti estremismi è falsa - “Gli indizi, le informazioni, le prove raccolte dalla questura e da tutta la rete informativa della pubblica sicurezza m’hanno dato la certezza che non solo la matrice ideologica, ma l’organizzazione sovversiva va cercata a destra”
Se l’Italia contemporanea ha avuto un suo poeta civile, un testimone implacabile della corruzione e dell’alienazione novecentesca, questo è Pier Paolo Pasolini. Egli ha rappresentato la coscienza critica dell’Italia per due ragioni contrastanti. Da una parte Pasolini è lo specchio, poetico e esistenziale, di un’Italia avvilita e degradata, in preda al vuoto dei valori e all’assoluto permissivismo; un’Italia disgregata, uscita dalla storia. In questo quadro Pasolini è davvero il D’Annunzio della nostra epoca, il poeta civile e l’esteta di un’Italia “malata”. E in tanto diventa l’anti-D’Annunzio, in quanto egli è il poeta di un’Italia che è la negazione dell’Italia dannunziana, sia nel bene (come rifiuto della retorica e della violenza) sia nel male (come rifiuto di ogni altezza e bellezza).
“I contestatori distruggono esattamente quel che il potere neo-capitalistico vuole abbattere”: i legami tradizionali, religiosi, l’attaccamento alle radici, il senso comunitario, la solidarietà con gli altri, il senso dell’autenticità, dell’austerità, del mistero. E impongono esattamente ciò che il neocapitalismo vuole imporre: il primato del fare, il feticismo della roba, la proiezione totale nel futuro, il culto del progresso, la teologia del cambiamento” (Pier Paolo Pasolini)
Dall’altra parte, Pasolini ha rappresentato una voce accorata di protesta
contro gli effetti devastanti del consumismo, dell’omologazione, della
corruzione politica, sociale e ambientale, un irriducibile accusatore del
progressismo, dei falsi perbenismi e della violenza di ogni tipo, un cercatore
“religioso” dell’anima arcaica, rurale e incontaminata del popolo, un difensore
di ogni diversità e di tutti gli emarginati, un implacabile moralista, un
singolare profeta del passato e delle origini.(...) Pasolini, forse da solo tra
gli intellettuali, ritenne allora che vi fosse una omogeneità profonda fra il
’68 e i disegni stessi del capitalismo e della rivoluzione industriale,
comunista e borghese. L’obiettivo, secondo la sua analisi, era quello di
trasformare gli uomini in conformisti e consumatori. Ora, notava Pasolini, il
’68 ha praticamente aiutato il nuovo potere a distruggere quei valori di cui
voleva liberarsi. Al posto del vecchio
tipo d’uomo, il nuovo potere vuole semplicemente un consumatore.
“Come può il nuovo potere trasformare il vecchio uomo in consumatore? Mediante quel processo che si chiama acculturazione: cioè riducendo e appiattendo tutti gli altri valori e le altre culture non omogenee ai modelli di una cultura centrale, cioè di una cultura del potere” (Pier Paolo Pasolini)
Alla base di tutto ci stava questo. Alla base della contestazione, alla
base del terrorismo, ecc--------.
Pasolini aveva certamente intuito meccanismi di per sé evidenti,
tuttavia il grattacapo che alcuni vedevano in lui stava nella sua popolarità e
nella capacità di diffonderli; per questo, nonostante non avesse certo rivelato
nulla di segreto, alcuni lo ritenevano una spina nel fianco. Difatti se da
parte di “queste persone” si cercava di sviare e dare interpretazioni
fuorvianti, l’esistenza di un’intellettuale brillante come Pasolini che
rimescolava le carte poteva risultare imbarazzante. Così gli fu applicata la
“censura democratica”.
“Non appena la guerra è
dichiarata, è impossibile tenere fermi i poeti. La rima è ancora il miglior
tamburo” (Jean Giraudoux)
La conferma delle teorie di Pasolini ci viene dal destino di Federico
Umberto D’Amato, il burattinaio della strategia anticomunista, per più di 20
anni responsabile del famigerato Ufficio Affari Riservati del Ministero degli
Interni: il 30 maggio 1974, in seguito alle sue proteste sull’indirizzo dato
verso destra delle indagini sulla strage di Brescia, viene destituito e mandato
a dirigere la polizia stradale. Un vero sopravvissuto, dinnanzi all’ecatombe,
tra “suicidi”, “incidenti stradali”, e “disastri aerei”, occorsa ad altri nelle
sue medesime condizioni…
Altra conferma ci arriva dall’attivarsi di una reazione contro questa
nuova strategia antifascista, reazione concretizzatasi il 10 agosto 1974 col
tentato “golpe bianco” di Edgardo Sogno; unico golpe “balneare” tra i tanti
“natalizi”, ma tutti sempre festivi (il 10 agosto era sabato e vi era davanti
un lungo “ponte” col ferragosto). L’anticipazione da dicembre ad agosto fu
dettata dall’impellenza, in quanto il tempo per i golpe stava per finire dopo
l’avvicendamento massonico ai vertici del potere. Ma a loro malincuore due
giorni prima della prevista operazione venne meno la sua copertura
internazionale: Nixon trasloca dalla Casa Bianca… ed il piano deve essere
annullato.
L’ondata di arresti era già in corso. Contro la precedente
“amministrazione” si scatenò una vera persecuzione, i vertici dei servizi
segreti furono scompaginati da inchieste ed arresti, dal più alto grado (Vito
Miceli prima sostituito con Mario Casardi alla guida del SID e poi arrestato il
31 ottobre 1974) fino alla bassa
manovalanza (scioglimento di Ordine Nuovo e altri gruppi simili). A far da
timoniere del ricambio, il sempre pragmaticissimo Giulio Andreotti, che, ad
esempio, il 15 luglio 1974 rimuove diversi generali ed ammiragli, e
successivamente consegna alla magistratura un dossier sul golpe del dicembre
1970, ma accuratamente depurato da tutti i nomi che gli stavano a cuore, Licio
Gelli in primis. La reazione di queste
persone “trombate” al ricambio si concretizzò nell’attentato al treno Italicus
il 4 agosto 1974, seguito dal vagheggiato “golpe bianco”, “estrema ratio”
dei burattinai dell’“operazione Chaos” e dell’allegra combriccola che il
16 aprile 1968 si era fatta una bella gita d’istruzione in Grecia.
“E’ stato lanciato un sasso
contro la destra per nascondere la mano che stringe sempre più compromettenti
intese con la sinistra parlamentare e financo extraparlamentare” (Giorgio
Almirante[262])
Quando Leone dà l’incarico a Andreotti di formare il governo (1972 o 73?) il capo del Sid Miceli si reca dal presidente della Repubblica comunicando il suo parere non favorevole. Gianni Flamini, “Il libro che i servizi segreti italiani non ti farebbero mai leggere”, Newton Compton ed., pag. 167.
La conferma della tempesta nella quale si vengono a trovare i “congiurati” è evidenziata dalla costituzione di Guido Giannettini l’8 agosto 1974 dopo la fuga in Argentina: accortosi di essere stato abbandonato da tutti, temeva di essere eliminato. Giannettini per conto del SID rappresentava la cerniera tra questo organismo istituzionale ed i collaboratori esterni, superiore diretto di Freda verso l’infiltrazione a destra, e di Ventura per quella a sinistra. Dall’aprile 1973 entra nel mirino dei giudici, coperto però dai superiori fino a livello ministeriale. L’8 giugno 1974 il ministro della difesa Andreotti lo “brucia” ammettendone la dipendenza dal SID; lo stesso giorno annuncia la sostituzione di Miceli con Casardi al vertice del Sid. Il fatto che il suddetto trio sia stato condannato in almeno un grado di giudizio per la strage di piazza Fontana non è per un caso. Ed è avvalorato dal fatto che nel processo furono massificati tutti i loro sottoposti a prescindere da in quale ambito fossero infiltrati, fascisti o anarchici.
“La sua opera merita di essere conosciuta e meditata da tutti coloro che hanno a cuore le sorti della democrazia e delle sue istituzioni” (Giuseppe Aloja, in riferimento a Guido Giannettini[263])
Tutto questo ruota attorno al troppo spesso trascurato referendum sul divorzio, che acquistò un importanza che andava ben oltre alla semplice questione che proponeva. Rappresentava invece uno spartiacque nella scelta politica italiana: o a sinistra, o a destra.
Riguardo andreotti che conferma giannettini agente sid giugno 1974 e manovra contro la destra: “Il comportamento di Andreotti si spiega con la perdita del referendum. Andreotti, uomo di destra, ha avvertito la necessità di non rimanere isolato e ha quindi fatto la mossa che gli ha ridato la verginità politica” (Guido Giannettini) al giudice istruttore Gerardo D’Ambrosio, 5 settembre 1974.
La vittoria dei “no”, ovvero della sinistra, ha aperto la strada del compromesso storico con il Pci ed il ritorno sulla scena di Moro accantonato dal 1968; sulla vittoria dei “si” si possono fare solo congetture, ma una prospettiva è intuibile: Fanfani avrebbe certamente estromesso dal potere Rumor e Taviani, magari instaurando un governo militare come suggerito da Gianadelio Maletti[264]. Già nelle settimane precedenti Fanfani aveva cominciato a prepararsi la strada rinfocolando lo scandalo dei petroli contro il presidente del consiglio Rumor.
Qualcosa su Andreotti ----ecumenico--- poliedrico-----
“Quando il ministro ha deciso di tentare un operazione di sinistra, a partire dalla fine di maggio o dai primi di giugno del 1974, ha tentato di rifarsi una verginità antifascista denunciando le deviazioni degli ambienti militari e del S.I.D. e offrendo all’opinione pubblica prima la mia testa e poi quella del generale Miceli. Il generale Maletti ha accettato di marciare con il ministro Andreotti secondandone le manovre” (Guido Giannettini) atti inchiesta del giudice istruttore Gianfranco Migliaccio del tribunale di Catanzaro.
La reazione al fallimento del referendum sul divorzio si esplicò nella fondazione del Giornale, divenuto punto di riferimento delle frange sociali che avevano votato si all’abrogazione della legge, dato che il Corriere della sera divenne inviso avendo svolto una campagna spudorata per il no. La linea di Ottone era comunque già chiaramente vista come troppo “progressista”.
1976 radicalizzazione scontro politico esemplificata da: a destra di corriere della sera nasce il Giornale; a sinistra la Repubblica.
Il 12 giugno 1973, dopo la caduta del governo Andreotti, la finanza americana tramite la P2 ordinò a Sindona di organizzare una speculazione sulla lira che portasse tensioni politico-economiche atte ad impedire la formazione di un governo di centro-sinistra. Sindona perdette miliardi in questa operazione, che fu l’inizio della sua fine[265]. Tuttavia l’operazione si rivelò inutile dato che il 9 luglio (nonostante che dal 17 giugno segretario della Dc fosse diventato Fanfani) Rumor inaugura un nuovo governo di centro-sinistra; e, fatto maggiormente rilevante, con il nordista La Malfa a ministro del Tesoro. Il quale blocca ogni tentativo sindoniano di recuperare i soldi persi.
“Mezza Italia si sta muovendo per questa operazione, il che mi rende ancora più diffidente” (Ugo La Malfa[266])
Sindona così si rivolge da un lato a Cuccia (minacciando di rapirne la figlia), dall’altro a Roberto Calvi. Questi, creatura di Sindona (i loro rapporti d’affari iniziano nel gennaio 1968), presidente del banco Ambrosiano (la più grande banca privata italiana) dal gennaio 1975, lo trasformerà in una gallina dalle uova d’oro dal quale attingeranno come da un pozzo senza fondo tutti i più loschi personaggi del tempo, portandolo al fallimento lasciando i risparmiatori e gli azionisti con un palmo di naso. Come una volta minacciò lo stesso Sindona a Calvi, “se due scorpioni impegnano una lotta ad oltranza, questa ha, inevitabilmente, un esito letale per entrambi i contendenti”[267]. Fu quantomai profetico. Gli attacchi della finanza nordista a Ior e Ambrosiano si fanno più virulenti a seguito dell’attentato al Papa e durante la sua convalescenza, in quella sorta di assenza di potente copertura. Calvi viene arrestato proprio in quei frangenti.
Insomma, a cavallo dell’inverno 1974-75 il ruolo precedentemente ricoperto dal sudista Sindona viene preso dall’“ecumenico” Calvi. Entrambi sorta di super-commercialisti di tutte le sorte di attività illegali.
La sentenza del tribunale di Milano del 16 aprile 1992 svelerà come i vertici della P2 utilizzassero il banco Ambrosiano come fonte per l’approvvigionamento di capitali onde soddisfare esigenze personali e di amici e affiliati[268]. Ciò fu reso possibile dall’impostazione sociale del banco: l’azionariato era composto unicamente da una miriade di piccoli azionisti di estrazione cattolica, privi di alcun sindacato di controllo; il che metteva nelle mani del “dominus” Calvi un eccessivo strapotere sulla gestione di soldi non suoi. Il risultato fu la volatilizzazione di 2.000 miliardi, oramai inesigibili nell’intrico di ramificazioni tra le quali si erano dispersi. -----quando Roberto Rosone tentò di recuperare il credito dello Ior fu fatto oggetto di attentato-----anche qui??----
Il 29 gennaio 1974 in Abruzzo un attentato ferroviario potenzialmente stragista fallisce per caso. Due giorni prima, il 27 gennaio, “L’Unità” era uscita con un titolone, “Timore di un golpe”, parzialmente confermato dal ministro della difesa Mario Tanassi; lo stesso giorno il ministro dell’Interno Taviani avvia tramite Claudio Masi contatti per ottenere i voti dell’Msi per formare un “governo di salute pubblica”[269]. L’esperienza di Tambroni non era bastata? Strano appare questo proposito proprio da colui il quale veniva indicato come il papabile regista del compromesso storico… Eppure gli stessi avvenimenti del governo Tambroni ce ne danno il chiarimento: dato che questo portò come risultato il centro-sinistra, un nuovo affaire Tambroni avrebbe portato ancora una volta ad un ulteriore centro-sinistra… come nel 1960 qualcuno (Andreotti?) aveva manovrato Tambroni, nel 1974 qualcuno manovrava Taviani? O forse era Taviani il manovratore, ed avrebbe messo qualcun altro come “uomo di paglia”? Magari Flaminio Piccoli o Franco Piga… Almirante, memore del 1960, fu lungimirante, e rifiutò l’appoggio.
“Col pericolo fascista noi intendiamo il pericolo autoritario; questo esiste, ne converrà, pensi al Cile, noi corriamo i pericoli del Cile” (Paolo Emilio Taviani[270])
Per Taviani il “governo di salute pubblica” era un pallino. Anche nel 1970, dopo piazza Fontana Taviani lo aveva proposto. E lo riproporrà nel 1994 dopo la caduta di Berlusconi[271]. Dopo la sconfitta di Fanfani e l’inizio della sua parabola discendente, anche la carriera del duo Taviani-Rumor fu in ogni caso terminata in quello scorcio di 1974, per lasciar posto al duo Moro-Andreotti. Rumor lasciò in eredità un ultima impennata di tasse nell’estate ’74, a cui seguì in settembre il “mercoledì nero” della borsa (indice 48, 74; base 1963=100), e 65.000 operai fiat messi in cassa integrazione in ottobre, prima di dimettersi. ----Fanfani rinuncia---- ma il testimone del centro-sinistra viene preso idealmente da Moro, per la quarta volta, seppur limitato provvisoriamente a Dc-Pri. L’anno 1975 si presenta di recessione, e vede gli ultimi residuati del golpe non ancora datisi per vinti riproporre l’idea in febbraio (Pacciardi-Sogno); certo per progettare un golpe in febbraio non si deve avere tutte le rotelle a posto, o perlomeno si deve essere proprio con l’acqua alla gola. Sempre in febbraio i candidati democristiani alle elezioni scolastiche vengono sonoramente sconfitti dai comunisti, sgomentando Fanfani che scioglie i gruppi giovanili Dc inimicandoseli definitivamente. La susseguente approvazione del voto ai diciottenni non può non ----------- in previsione delle elezioni locali di giugno. In aprile la discussione sul nuovo diritto di famiglia rinsalda di nuovo il fronte Dc-Msi, mettendogli contro tutti gli altri. Lo stesso mese Fanfani ritira con sdegno la delegazione Dc dal congresso del Pci per motivi riguardanti il Portogallo. Le critiche di Berlinguer per questo gesto portano ---- la distanza tra i due maggiori partiti raggiunge livelli che da anni non si vedeva. ---elezioni 1975----- elezioni 1975: Dc 35% - Pci 33% - sinistre unite: 47% - significa che se nel 1948 ci fossero stati questi risultati la Dc sarebbe stata ampiamente sconfitta dal fronte popolare Pci-Psi col 47% contro il 35. anche i democristiani erano capaci di fare uno più uno. ---Msi regionali 1975 6,4----- Zaccagnini, morotei, prende il posto di Fanfani alla segreteria Dc. Anche la direzione dell’Eni passa ai morotei, ed alla luce del caso Mattei ciò è di una certa rilevanza in quel momento. ---
1976 anche Rumor aspirante segreteria Dc al posto di Fanfani – al fine Zaccagnini
23 settembre 1974? tentata bomba a la Spezia ultima della serie
aprile 1975 prima risoluzione strategica Br
30 dicembre 1975 legge su droga “modica quantità”
7 gennaio 1976 Moro 4 si dimette
1976 anno di ripresa economica
14 gennaio nasce la repubblica
4 febbraio scandalo lockeed --- la “trombosi” di Leone visto che si ostinava a non voler averne una vera come il suo predecessore.
12 febbraio Moro V monocolore
1 aprile 1976 nelle votazioni per la legge sull’aborto il fronte Dc-Msi stavolta risulta vincente.
30 aprile Moro dimesso (lockeed?)
5 maggio Sogno arrestato fino 19 giugno
28 maggio Saccucci a Sezze
21 giugno elezioni
5 luglio Ingrao presidente camera
13 luglio Craxi segretario Psi
31 luglio governo Andreotti III monocolore della non sfiducia
8 ottobre impennata di tasse
14 ottobre Moro presidente Dc
21 dicembre nasce democrazia nazionale (secondo tentativo, dopo la fondazione nel 1968 del “Fronte Nazionale” di Borghese, Dn ante litteram. ---mettere in altra parte?--- accostare a sinistra alternativa dc 1967??---
1977 anno di ristagno economico
21 gennaio 1977 aborto legalizzato – fronte Dc Msi perde
5 maggio la Dc promuove un accordo programmatico “e non politico” con Psi Psdi Pri Pli Pci
15 luglio l’accordo programmatico è approvato dal parlamento
21 ottobre Ottone filo-comunista via da corsera sostituito da P2
24 ottobre decisa abolizione del Sid
31 ottobre 1977 muore Mino - In questo periodo sono in corso gli avvicendamenti ai vertici dell’Arma. Mino apparteneva al ristretto gruppo che circondava Licio Gelli e Mino Pecorelli. Lo sostituisce il gen. Corsini.
1978 anno di ripresa
12 gennaio il dipartimento di Stato Usa avverte che “l’atteggiamento degli Usa verso il Pci non è mutato”
16 gennaio Andreotti III si dimette
30 gennaio Sid abolito
31 gennaio nasce Ucigos
11 marzo Andreotti IV
16 marzo Moro rapito --- fanfani disponibile a trattativa
9 maggio Moro morto.
29 maggio Legge aborto – Dc Msi sconfitti
Un importante risultato dell’affare Moro è il ritorno al vertice del potere Dc della destra e in particolare di Andreotti. Questo ---- solo qui?-----
15 giugno Leone si dimette --- ruolo venuto meno?
27 giugno nasce Sismi-Sisde
8 luglio Pertini presidente
20 luglio 1978 morto carabiniere Salvatore Florio
Autunno 1978: Una dopo l’altra, vengono archiviate dalla Procura di Roma tutte le inchieste relative ai tentativi di colpo di stato: da quello di Junio Valerio Borghese, a quello della Rosa dei Venti, a quello di Edgardo Sogno. La Procura della Repubblica di Roma viene soprannominata dai giornali “il porto delle nebbie”.
1979 anno di crisi
31 gennaio Andreotti Iv si dimette – stesso giorno le nuove nomine dei vertici delle aziende di Stato avviano il consociativismo.
22 febbraio 1979 la Malfa (primo non Dc) tenta la formazione di un governo col Pci (affidata da Pertini)– il 2 marzo rinuncia.
20 marzo 1979 Pecorelli ucciso poche ore dopo insediamento governo Andreotti V
21 marzo 1979 Andreotti V Dc- Psdi-Pri
26 marzo 1979 la Malfa muore
31 marzo 1979 Andreotti non ottiene fiducia
3 giugno 1979 elezioni
5 agosto 1979 Cossiga I Dc-Psdi-Pli
La Malfa morto al momento giusto ---- Come abbiamo già visto con Rolandi e Buzzi: dopotutto anche Antonio Segni, Palmiro Togliatti, Luigi Longo, Ugo la Malfa, J. V. Borghese, hanno subito lo stesso trattamento, ed è assolutamente innegabile che siano morti tutti proprio al momento giusto. Come la nonna di Barack Obama ed il presidente polacco nel 2010. Certo, una coincidenza è ------, due coincidenze ------, ma tre coincidenze----------! – la regola chi deve morire, in un modo o nell’altro muore è sempre rispettata in ogni caso --- se è omicidio sono stati gli italiani, se è morte naturale sono stati gli americani (chi??)---da libro fulvio martini--- ---tipici malori catecolamminici dal significato chiarissimo per chi sa cosa si intende con “morte da anatema”.
Come già detto, il limone una volta spremuto si getta --------
17 aprile 2005: Fidel avverte che negli Stati Uniti potrebbero far sparire Posada Carriles. “Che non lo ammazzino adesso, che non lo avvelenino, che non dicano che è morto d’infarto o di ictus, siamo disposti a mandare medici per proteggere la sua salute, perché racconti ciò che sa e vada a giudizio”, segnala il Presidente cubano. La persona in questione è uno che ha dedicato la vita a tramare e realizzare attentati contro la Cuba comunista.
Mogli che muoiono poco dopo i mariti
principessa Diana – omicidio
Pio XI morì un giorno prima di partecipare ad un incontro di vescovi italiani per il ripudio del concordato del 1929. –avvelenato per impedirgli la pubblicazione dell’enciclica. – Jonathan Luxmoore, Jolanta Babiuch, “Il Vaticano e la bandiera rossa”, Newton&Compton ed., pag. 61
“Si uccide il potente quando avviene questa combinazione fatale: è diventato troppo pericoloso, ma si può uccidere perché è isolato” (Carlo Alberto dalla Chiesa)
ad ucciderlo non è chi preme il grilletto, ma chi lo ha isolato. E lo ha isolato apposta come segnale/avvallo per farlo eliminare.
In ogni caso è interessante notare come spessissimo in un modo o nell’altro muoiano le persone giuste al momento giusto, quasi opera di un piano superiore, divino, “vox populi, vox dei”. ---- unire con lista la Malfa pertini borghese
21 agosto 1964 Togliatti malore appena dopo aver terminato memoriale di Yalta. Proprio mentre è in corso l’avvicendamento che farà tornare l’Urss indietro di dieci anni.
Dalla Chiesa ucciso perché in possesso dei fogli mancanti del memoriale Moro? Alcuni mafiosi stessi hanno dichiarato che fu ucciso dalla mafia per “fare un favore a qualcuno a Roma”.
“Certi minuziosi particolari contenuti nel memoriale e difficilmente presenti a Moro (e in quali circostanze) potrebbero essere studiati per arrivare a nuove piste inquisitive sui responsabili della cattura e dell’assassinio” (L’Unità, 15 maggio 1982)
Certamente tutto questo potrà sembrare nuovo. In realtà non c’è niente di nuovo o ignoto: sta già tutto scritto. Solo resta da raccogliere e interpretare. Pasolini fu ucciso per aver cercato di interpretare ciò che era già disponibile a tutti. Il modo in cui si cerca di stravolgere il significato dei fatti è chiaro nella descrizione del golpe Borghese, in particolar modo nel ruolo di Amos Spiazzi. Tutti sanno che la notte dell’Immacolata 1970 egli armò il suo battaglione e se ne partì per Sesto San Giovanni. Ma pochi comprendono che ciò implica necessariamente che quella sera l’intero esercito italiano fu mobilitato per attuare il fonogramma “operazione triangolo”; Roma fu circondata per tutta la notte da posti di blocco dei carabinieri, in 800 erano giunti da Firenze a supporto, alloggiati alla città militare della Cecchignola; la caratteristica peculiare di Spiazzi è che, di tutto l’esercito, è stato l’unico a testimoniare tale mobilitazione (e difatti è stato quello che ha pagato più caro). Ebbene, il ruolo di Spiazzi, come di tutto l’esercito italiano e dei carabinieri, in quel golpe non era di supportarlo come si lascia sottilmente far credere, ma di reprimerlo! Un operato che da tutti i benpensanti dovrebbe essere considerato più che legittimo! Ma pare che a qualcuno convenga non farlo notare, e lasciar passare lo “spione” Spiazzi come un perfido golpista.
“E’ ormai chiaro per tutti che la difesa deve adeguarsi al tipo di offesa moderna, a quel tipo di aggressione che raramente riveste la forma caratteristica dell’attacco armato; ancor più raramente questo attacco caratterizzato si realizza nella forma classica di attacco alle frontiere. L’attacco è invece e soprattutto di tipo rivoluzionario, il quale, pur non disdegnando la violenza e, in certi casi, l’impiego delle armi, ha come obbiettivo la caduta dell’uomo per rivoltarlo contro le proprie istituzioni, per strumentalizzarlo ai fini della rivoluzione mondiale […]. La difesa, quindi, deve occuparsi di più della situazione interna: là dove una volta bastavano le forze di polizia […]. Ci domandiamo: il nostro apparato militare […] è in grado di far fronte a questo tipo di minaccia, può garantirci quel minimo di validità deterrente che valga a deprimere ogni velleità di aggressione dall’interno? […] Alcuni autorevoli personaggi della maggioranza mettono in dubbio che esistano ancora in mano al governo strumenti democratici capaci di impedire che l’Italia vada a finire in mano comunista. In questo quadro qual è il ruolo delle forze armate contro questo tipo di aggressione dall’interno collegata ad un disegno strategico esterno? […] Le forze armate non sono preparate alla guerra non ortodossa, cioè non sono preparate a parare la minaccia globale di cui si diceva prima […] Grave appare il problema dell’addestramento ideologico del soldato; problema collegato con quanto si è appena detto. Un problema che va visto sotto il duplice aspetto di azione psicologica difensiva e guerra psicologica offensiva. […] Non si vuole riconoscere contro evidenza, che noi poco o tanto siamo in guerra, cioè la minaccia è costante, attiva e avvolgente. […] La difficoltà maggiore sta nell’indicare al soldato il nemico, il nemico reale, il comunismo – con i suoi metodi e procedimenti – quando il partito comunista gode del privilegio della legalità. Una difficoltà che non esiste là dove il partito comunista è fuori legge” (Dagli atti del convegno “guerra non ortodossa e difesa”, 24 giugno 1971[272])
Anche la confusione tra gruppi fascisti e gruppi istituzionali rientra in questo ambito. Il MAR, ad esempio, era guidato da un ex partigiano, Carlo Fumagalli. La “rosa dei venti” invece, era equivalente a Gladio, con la differenza che Gladio era finalizzata ad azioni partigiane di sabotaggio ad invasione avvenuta, mentre la “rosa dei venti” era finalizzata a difendere i confini. Di questo ne abbiamo conferma dal generale Ambrogio Viviani, secondo cui la “Rosa dei venti” era “un organizzazione Nato legittima, spacciata per eversiva[273]”. L’Aginter press, nata nell’estate 1966, era indipendente da altri organismi, direttamente sottoposta agli Usa, o meglio, alla Cia, per questo aveva sede a Lisbona, il luogo d’Europa più lontano dall’Urss e più vicino agli Usa. Lo scopo di origine dell’Aginter press era di fare da coordinatore dell’operazione Chaos. ---- Cohn Bendit, Capanna, Scalzone, Rudy Dutsche,----- Il suo fondatore, Yves Guerin Serac, si trovava a Lisbona dal 1961, quando dopo il fallimento della lotta dell’Oas per l’Algeria, pensò di poter offrire la sua esperienza di guerriglia in Portogallo nel momento in cui in Angola cominciava la lotta indipendentista. ---sostenuta da Usa--- Aginter Press anche per Usa o no? Agenzia di mercenari?—L’Aginter press venne sciolta nel 1974 in seguito alla “rivoluzione dei garofani” che fece virare in Portogallo a sinistra. Il suo ruolo venne spostato a Parigi dove venne fondata la “scuola di lingue” Hiperyon. Il fatto che il referente italiano fosse Guido Giannettini non dipende necessariamente dal suo ruolo nel SID. Stefano Delle Chiaie era un sottoposto di Giannettini nei confronti dell’internazionale Aginter press, non dell’italiana SID; per questo venne fatto operare nei paesi più disparati, e subì le critiche di Giorgio Pisanò a causa di operazioni non prettamente indirizzate ad un interesse italiano.
“E’ molto probabile che l’Aginter Press abbia funzionato come una sorta di sub-agenzia, sia in Africa e in Sud-America sia in Europa, incaricata delle azioni meno confessabili che dovevano essere eseguite senza una compromissione diretta di organismi ufficiali per non creare problemi né nei rapporti fra stati né, eventualmente, nell’opinione pubblica (…) l’Aginter Press ha fornito, a partire dalla fine degli anni ’60 un protocollo di intervento, valido anche per gli altri paesi europei, alle organizzazioni dei singoli paesi, fra cui l’Italia, in termini di tecniche di infiltrazione e di addestramento all’uso degli esplosivi, ispirando probabilmente anche singoli attentati o campagne terroristiche” (Guido Salvini[274])
Del resto, che Delle Chiaie fosse un agente anche (oltre che di Giannettini) dell’Uaarr è innegabile, come confermato dal Sid, dalle persone di Labruna e Giannettini, da vari agenti della questura di Roma (che a volte dovettero persino cacciarlo dai propri uffici dove aveva quasi “preso residenza”), da esponenti dell’Msi, da Vincenzo Vinciguerra, ed infine, da Giorgio Pisanò: “resta dove sei e sta zitto. Perché se torni dovrai raccontarci tante cose: certi traffici d’armi, per esempio, con relativa scomparsa dei fondi che ti erano stati affidati, o i tuoi intrallazzi con Mario Merlino. Oppure i tuoi rapporti con l’Ufficio Affari Riservati del Ministero dell’Interno”[275].
Da parte sue Delle Chiaie risponderà a queste accuse definendo Concutelli come un “paranoico manovrato”, Freda come un “complessato dell’emarginazione”, e Silvano Russomanno dell’Uaarr come un “incallito provocatore”[276].
“Certamente, gli informatori individuati sono un’esigua minoranza dell’universo che operava in quegli anni” (Gianni Cipriani[277]) ---- o Su Merlino eroe? ------
Nonostante tutti questi gruppi possano apparire a sé stanti, quando si trattava dei piani più importanti la loro collaborazione era necessaria. In pratica il potere “appalta” determinate azioni a qualcuno, e poi abbiamo tutto un “subappaltarsi” tra i vari ----------, pratica sapientemente esplicata nel film comico “servizi segreti all’italiana”. Per cui nel caso di piazza Fontana non c’è da stupirsi dei contatti tra gli apparentemente distinti gruppi di Freda-Ventura (Sid) e Delle Chiaie (UAaRr) nonostante che gli stessi abbiano sempre negato un qualsiasi rapporto operativo tra essi, che è invece testimoniato da chi fece da mediatore, Dario Zagolin, personaggio tutt’oggi alquanto oscuro il cui ruolo nella strage è ampiamente dimostrato da una banale fatalità quale una multa per divieto di sosta alla sua auto nei pressi del luogo dell’attentato il giorno precedente, sulla quale non ha voluto mai dare spiegazione agli inquirenti[278]. Tale ruolo di collegamento di Zagolin è confermato dal fatto che fosse stato il principale ispiratore della “Rosa dei venti”, sigla unificatrice di tutti quei gruppuscoli. Testimonianze lo indicherebbero come personaggio in diretto contatto con Cia e Mossad senza mediazioni di enti italiani, tanto da essere ammesso a riunioni riservate a bordo della portaerei Forrestal[279]. ------ tali ------ sono confermate dal luogo della sua latitanza, Parigi, notoriamente rifugio d’elezione per i latitanti internazionali al servizio del Mossad, secondo la dottrina Mitterrand ---- scambiata in cambio di -----. Una premessa va fatta su Cia e Mossad: il loro rapporto va visto esattamente come un rapporto tra marito e moglie (dove il marito è il Mossad), con gli stessi ------------ che caratterizzano un matrimonio.
Un ulteriore analisi andrebbe fatta anche su dissidi personali, e sulle inclinazioni ideologiche, come il contrasto apertosi in corrispondenza della guerra del Kippur tra agenti filo-arabi e agenti filo-israeliani, espressasi in quella tra il sudista filo-arabo Vito Miceli ed il nordista filo-israeliano Gianadelio Maletti (che non a caso scelse il Sudafrica come rifugio) tramite l’agenzia OP. Oppure nella naturale concorrenza tra il SID e l’UAaRr, tra gli acerrimi nemici Maletti e D’Amato.
Si tenga poi presente anche che una marea di sciacalli era sempre pronta a gettarsi su ----fondi usa---- non certo per idealismo ma per lucro.
“I meno idealisti credono semplicemente che noi siamo abbastanza stupidi da elargire fondi a gente di cui nessun italiano si fiderebbe” (John Volpe, ambasciatore Usa in Italia[280])
Finanziamenti da usa a Dc solo fino a 1967??? Emerso nel 1973 ----unire con partito di sinistra antistalinista Amendola---- abbiamo visto che dal 1966, che segna “una svolta nella storia politica dei nostri tempi. Un complotto internazionale immette nuove forze rivoluzionarie sia in Occidente sia in Oriente, superando a sinistra i partiti comunisti ortodossi. L’operazione viene condotta attraverso la manipolazione di due strumenti di azione parallela. I partiti socialisti, cui viene impressa una nuova spinta, per l’azione sul piano politico-parlamentare e come alternativa di potere” come abbiamo già visto era dal 1965 che gli americani avevano preso sul serio l’ipotesi di instaurare in Italia un bipartitismo che rispecchiasse quello americano. Ma avevano trovato nel Pci un ostacolo invalicabile. ---Berlinguer odia Amendola ------
Ed infine, gli arresti non erano quasi mai dovuti alla legittima attività investigativa, ma bensì a scontri di potere interni ai settori “terroristi” istituzionali, che utilizzavano la magistratura come strumento di faide. Come per i trafficanti di droga fanno arrestare uno per farne passare dieci o per eliminare la concorrenza. Il caso tipico è quello dell’arresto di Curcio, chiaramente favorito da Moretti. ----messo giù----
“Il Fumagalli, nel maggio del ’74, è stato arrestato in conseguenza dello scontro, all’interno dei servizi, fra Miceli e Maletti” (Gaetano Orlando[281])
Una volta chiarite tutte queste sottigliezze, le interpretazioni vengono da sé.
Come abbiamo visto, dopo il 1974 la precedente strategia stragista venne abbandonata e si ripiegò sistematicamente sugli opposti estremismi per far scornare a vicenda il nemico. Difatti perlomeno per gli anni 1975-76 l’attività criminale della destra si esplica esclusivamente come strascico degli anni precedenti (vedi Tuti--------) o a mera manovalanza al soldo di altri poteri (omicidio Occorsio affidato dalla P2 a Concutelli).
“Ora non sentirete più parlare di terrorismo nero, ora sentirete parlare solo di quegli altri” (Vito Miceli, al giudice Giovanni Tamburino, autunno 1974[282])
Strano, considerato che in quell’autunno, dopo l’arresto di Curcio e Franceschini (8 settembre 1974) tutti ne esultarono come la fine delle brigate rosse… in realtà l’arresto di Curcio e Franceschini favorisce la direzione di Moretti, evidentemente finalizzata proprio a realizzare la previsione di Miceli. ---- Curcio infiltrato o no?
Non a caso il numero di aprile 1975 della rivista satirica “La voce
della fogna” titola in copertina: “quest’anno niente golpe”, corredata di una
vignetta con due carabinieri che si sbellicano dalle risate, indicando come
negli ambienti di destra il golpismo avesse raggiunto livelli farseschi tanto
da venir identificato come una “macchietta”.
Il cambiamento della strategia è testimoniato dal tentativo dei vertici massonici di eliminare la P2, concretizzatosi durante la “Gran Loggia” del 14 dicembre 1974. Ma Gelli, utilizzando la sua tipica arma, il ricatto, impedisce la realizzazione di questo proposito. Il 9 maggio 1975 può ufficialmente ricostituire la sua P2, ovviamente dovendo accettare determinati compromessi.
Frattanto il clima sociale e politico generale è peggiorato, col Pci che raggiunge consensi prima impensabili, determinando come “causa-effetto” la sostituzione al vertice della Dc della destra di Fanfani con la sinistra di Zaccagnini, il 26 luglio 1975. Cosicché, già messi in disparte Rumor e Taviani, Aldo Moro rimane da solo in vetta, venendo a prevalere su Giulio Andreotti. Il comunista Pietro Ingrao viene nominato presidente della camera (lo sarà fino al 1979).
La paura raggiunge il culmine quando, il 15 ottobre 1975, il Presidente della Repubblica Leone invia un inusuale messaggio di preoccupazione alle camere in merito “alle difficoltà della nazione”. Ed a ragion veduta, considerando che a partire dall’aprile 1975 il capo dei servizi segreti Maletti allaccia personalmente insoliti contatti col Pci tramite Arrigo Boldrini, interrotti solo alla morte di Moro[283]. Forse voleva anche lui, come molti altri, ingraziarsi i nuovi temibili padroni? ---- saltare sul carro del vincitore----- E’ in questo contesto che gli Usa, nell’anno più buio della loro storia, si vedono costretti a propendere per misure drastiche nei confronti della Dc “che marcia a sinistra”.
“Lo scandalo per i finanziamenti della Cia deve tuttavia considerarsi un avvertimento e un monito a certi non individuati destinatari dei 6 miliardi a rivitalizzare realmente i partiti anticomunisti” (Mino Pecorelli) op 9 gennaio 1976
Difatti da diverso tempo gli Usa dubitavano dell’effettiva efficacia anticomunista della Dc (abbiamo già visto che “chiusero il rubinetto” dal 1967), e per questo poi negli anni ’80 puntarono prima sul Pri come proprio referente principale, e poi sul Psi di Craxi. Il referendum sul divorzio aveva dimostrato che lo strapotere della Dc era finito.
Le elezioni del 1976, precedute dall’immancabile fattore psicologico dell’omicidio Coco, fecero tirare un sospiro di sollievo per il mancato sorpasso da molti temuto del Pci sulla Dc. Cosicché la strategia nordista degli “opposti estremismi” sembrò dare i suoi frutti, e potè continuare. Perlomeno in Italia; per quanto riguarda l’Argentina invece, si dovette ricorrere al vecchio deprecabile sistema.
La nuova strategia può evincersi dal “piano di rinascita democratica”: “L’aggettivo democratico sta a significare che sono esclusi dal presente piano ogni movente od intenzione anche occulta di rovesciamento del sistema” (premessa del piano di rinascita democratica). Come si può vedere tutt’oggi, la strategia ha funzionato, sono stati ottenuti i risultati voluti dai golpisti (e che da un golpe sarebbero sicuramente stati originati) senza un golpe acuto, ma attraverso un lento “golpe cronico”.
Secondo il politologo Giorgio Galli, l’obiettivo era “creare difficoltà alla sinistra – in specie al Pci, ormai alle soglie del governo – determinando nel paese un quadro di destabilizzazione che in realtà era il presupposto di una stabilizzazione la quale avrebbe portato alla restaurazione degli equilibri moderati messi in crisi dall’ondata di sinistra[284]” .
L’eliminazione di Aldo Moro rappresenta un netto spartiacque all’interno della Dc. Viene a prevalere la corrente di Andreotti e Forlani, che assieme a Craxi come rappresentante della destra del Psi verranno a formare il trio che egemonizzerà la politica degli anni ’80 secondo gli schemi preconizzati dalla P2.
Nel contesto successivo
all’eliminazione di Aldo Moro l’agenzia di Pecorelli venne a rappresentare un
grande pericolo. rapimento dello
statista democristiano, fatto tre giorni prima in forma criptica dal
giornalista Mino Pecorelli, legato ai servizi italiani e alla Cia, sul suo
foglio scandalistico “OP”.
“L’assassinio di Pecorelli potrebbe essere stato determinato dalle cose che il giornalista era in grado di rivelare [sul caso Moro]” (Giovanni Galloni)
Riguardo in nuovi politici del psi : “Sono politici che si sanno presentare in modo chiaro e immediato, non come Moro che ogni volta che apre bocca ci vuole un esercito di esegeti per interpretarlo” (Silvio Berlusconi, 1977)
Riguardo cose complicate per complicare le cose --- frase fai che le tue parole siano migliori del tuo silenzio.----qui???---- Giampaolo Pansa, “L’intrigo”, Sperling & Kupfer, pag. 25
Un primo evidente indizio si
rivelò apertamente nel pretestuoso arresto del vice-presidente della Banca
d’Italia Mario Sarcinelli (24 marzo 1979), e l’incriminazione del presidente
Paolo Baffi, i principali ostacoli ai papocchi del duo Sindona-Calvi. A
sostituire Baffi il nordista Carlo Azeglio Ciampi (utile sottolinearlo per
inquadrare ulteriormente la già descritta caratura morale dei vari presidenti
della Repubblica succedutisi), mentre prima di Baffi vi era il sudista Guido
Carli.
Gli anni tra il 1974 ed il 1979 sono caratterizzati da un continuo stillicidio di episodi isolati nei quali a farla da padrone sono gli attacchi reciproci tra gli “opposti estremismi”, nei quali il potere politico sembra lavarsene le mani; la tipica prassi nordista. Il terrorismo, sulla stessa filosofia, viene basato sul concetto “colpisci uno per educare cento”; a farne le spese giudici, giornalisti, poliziotti, banchieri, ecc. Come conseguenza a farne le spese anche i semplici cittadini colpiti per l’uso smodato delle armi da parte della polizia: dal maggio 1975 al dicembre 1979 furono 71 i morti e 125 i feriti per errore.
“Darò l’ordine di sparare con maggior decisione” (Paolo Emilio Taviani, 1974[285])
Ma non solo: vittima designata dei terroristi di sinistra furono spesso
anche i militanti dell’MSI. Ma
questi strateghi non avevano fatto i conti con la reazione spontanea in
funzione difensiva o vendicativa incoscientemente incitata da Almirante durante
i vari funerali. Ai continui omicidi di fascisti culminati con quelli di Acca
Larentia del 7 gennaio 1978, fece seguito la risposta percepita come necessaria
e spontanea e per questo definita proprio “spontaneismo armato”, facendo con
ciò un chiaro distinguo con la situazione precedente dove le azioni non erano
identificate come spontanee ma come determinate da una linea guida di una
precisa strategia verticistica. Sotto la filosofia di questo “spontaneismo
armato” presero forma i Nar, che, come precisò decisamente il loro capo
carismatico Valerio Fioravanti, non erano tanto un gruppo ben definito, quanto
una firma che chiunque operando per un determinato motivo poteva utilizzare.
Essi si misero a “sparare nel mucchio”, ed a compiere rapine per il gusto di
farlo più che per ottenere qualcosa. Di fronte a questo spontaneismo di destra
che colpiva indiscriminatamente senza apparenti obiettivi l’offensiva
giornalistica fu feroce, come conferma in risposta l’attentato del 21 febbraio
al Gazzettino di Venezia attuato da Giampietro Montavoci avente tale movente
ritorsivo. Anche l’offensiva giudiziaria fu estrema, confermata dall’omicidio
del giudice Mario Amato (degno erede di Vittorio Occorsio) e di quello tentato
dell’ ------avvocato Giorgio Arcangeli? ------------------- entrati nel mirino
a causa delle loro inchieste. Difatti, a differenza dei precedenti gruppi,
questi non avevano alcuna protezione a livello politico, e quindi, a loro
vedere, dovevano “difendersi da soli”. Perlomeno fino ad un certo momento. Amato
abbandonato da altri giudici e minacciato da Alibrandi padre. In questo contesto tuttavia si devono
distinguere due fasi ben distinte, equivalenti ad uno spartiacque definito da
un episodio ben preciso: la prima carcerazione di Fioravanti, durante la quale
ebbe come compagno di cella il professor Paolo Signorelli.
“Le dichiarazioni sui rapporti fra Gelli e Paolo Signorelli hanno
fornito lo spaccato autentico di un mondo politico che da un lato incitava gli
elementi più sprovveduti ad attaccare il regime, dall’altro intrallazzava e
prendeva ordini da figure come Gelli” (Vincenzo Vinciguerra[286])
Da tale (breve) esperienza, Fioravanti ne uscì (ed inspiegabilmente
presto) totalmente cambiato, ed i “suoi” Nar presero una piega totalmente
diversa, tanto che in più pubblicazioni vengono definiti come “nuovi Nar”, non
più “spontanei” ma apparentemente divenuti “inquadrati” in una determinata
strategia.
“Prima vedevo che vi erano tre forze che si contrapponevano, e cioè
i fascisti, i comunisti, e lo Stato democratico, ritenevo che noi fascisti
dovessimo appoggiare lo Stato democratico contro i comunisti per poi affrontare
il vincitore dello scontro che sarebbe risultato indebolito. In seguito risultò
molto più logico il contrario, e cioè appoggiare i comunisti contro lo Stato
democratico” (Valerio Fioravanti[287])
Ce ne dà la conferma proprio l’indagine avviata da Amato, secondo cui era da parte di Concutelli, Tuti e Signorelli che si facevano pressioni verso i giovani dell’Msi per farli passare alla lotta armata.
Dopo il 1976 si cercò di sottrarre i voti dell’MSI-DN per portarli nell’area democristiana, tramite la creazione del partito “Democrazia Nazionale” tanto auspicato da Licio Gelli. L’operazione non riuscì (alle elezioni del 1979 ottenne solo lo 0,7%), ed ecco quindi comparire i “nuovi NAR”, che faranno da manovalanza in una vasta gamma di “operazioni speciali”, spudoratamente coperti fino al parossismo da organi dello Stato (e forse anche di altri stati).
“Cominciammo a sospettare che ci fosse qualcuno che non voleva prenderci perché si aspettava da noi determinati comportamenti” (Valerio Fioravanti[288])
Da parte interna, come reazione a questa recrudescenza del “militarismo”, si oppose il “movimentismo” di Terza Posizione, che fu in aspro contrasto coi Nar (o meglio, coi “nuovi Nar”), contrasto espressosi nell’omicidio di Francesco Mangiameli per motivi frivoli; mentre da parte dell’Msi si cercò di recuperare queste frange rinnovando l’immagine anche coi “campi hobbit”. Terza Posizione è tra tutti i gruppuscoli di destra il più peculiare: come abbiamo visto tutti avevano finito con l’abbracciare le teorie “evoliane” su opera di infiltrazione propagandistica al cui vertice organizzativo stava Franco Freda; TP esulava da questo tipo di incanalamento, e veniva a seguire un percorso squisitamente politico in particolar modo dell’ambito dell’economia e dei temi che tanto gli evoliani avevano contribuito a far obliare. TP rifiutò di perpetuare la decennale sostituzione di Mussolini con Hitler, dell’anticapitalismo con l’anticomunismo, e di abbracciare il bieco razzismo genetico propagandato ad arte da Freda. Paradossalmente a fare le spese della repressione dei Nar dopo la strage di Bologna fu soprattutto TP.
«Bisogna diffidare delle destre nazionaliste, antisemitiche, antibolsceviche, antiparlamentari che si mettono in divisa fascista, arrembano il potere e danno elegantemente lo sgambetto a chi ce le ha portate col proprio sangue: camicie verdi o guardie di ferro» (Berto Ricci)
Dai 2.039 episodi di violenza e attentati del 1979 si passa ai 173 del 1982. Da ciò se ne deduce che l’effetto indiretto della bomba di Bologna fu di metter fine agli “anni di piombo”. Stavolta la strategia sembra funzionare: i voti del Pci calarono del ------% dal 1976 al 1979, e del ------% dal 1979 al 1983. Ciò sembra confermare che la strategia nordista, per quanto sia più “cattiva”, dà risultati; e conferma che in questo mondo capovolto, paga più il male fatto con buone intenzioni, che il bene fatto con cattive intenzioni; ma spesso anche quello fatto con altrettanto buone intenzioni.
Riguardo il piano di rinascita democratica:
“Questo metodo è stato paragonato a una rana in una pentola piena di acqua messa a riscaldare lentamente, in modo che la rana, abituandosi pian piano all’aumento di temperatura, alla fine non si accorge di bollire. Se già dall’inizio venisse messa nell’acqua bollente, la rana reagirebbe immediatamente. Per usare la stessa analogia, le persone che sostengono la lotta al terrorismo dicono che l’acqua deve essere ancora più calda per proteggerli dal ritrovarsi bolliti!” (David Icke)
Bisogna ammettere che la strategia nordista lentamente funziona, visto che i votanti stanno sempre più diminuendo dal 1976 (anno nel quale si raggiunse il massimo dell’affluenza) ad oggi.
In sostanza i propositi del “piano di rinascita democratica” possono essere sintetizzati con questa frase di Noam Chomsky: “Perché la democrazia sopravviva, la gente comune deve smettere di partecipare al dibattito e all’azione politica ed essere ricondotta alla sua tradizionale apatia e obbedienza”. Implicito che uno dei principali mezzi per realizzarlo sia la televisione…
Non può sembrare causale che Rai 2 nasce con centro-sinistra (1962?) – Rai 3 con compromesso storico (1975)
La prima evidente strumentalizzazione in grande stile di questo mezzo fu ----------- nel giugno 1981, quando da settimane tutti i media avevano gli occhi puntati sulla P2, e quando capitò l’occasione propizia per distogliere tutti questi “onori” partì la grancassa sul caso del momento, la maratona televisiva sul caso di Vermicino, sul cui utilizzo pubblico di una tragedia privata successivamente un po’ tutti i giornalisti implicati si sono giustamente cosparsi il capo di cenere.
----come unire?-----
Con Craxi (4 agosto 1983) si realizza alla fine il decantato regime conciliare proposto da Spadolini e tanto caro ai vari Pacciardi, Sogno, Merzagora, Fanfani, Fumagalli, Degli Occhi ----- la Malfa? Maccanico? Taviani?
1981 termina la paura del comunismo – inizia l’offensiva terroristica oramai tesa a contrastare il pentitismo e ad ottenere amnistie ---- iniziano scandali fiscali – p2 rivelata – papa sparato
20 febbraio 1980 congresso del preambolo, dc – Craxi commenta “la tregua è finita”
governo Forlani ottobre 80 – maggio 81 inflazione 21,7%
22 marzo 1981 tasso di sconto record 19%
28 giugno 1981 governo Spadolini primo pentapartito
7 luglio 1981 borsa –20%
4 ottobre 1984: per chi ancora si chiedesse perché e ad opera di chi la P2 fu svelata, il 4 ottobre 1984 una cordata guidata da Gemina (holding di riferimento Fiat-Mediobanca) acquista la Rizzoli-Corriere della sera, che era stata la punta di diamante del sistema di potere piduista.
Il 16 ottobre 1984 le tre reti di Berlusconi vengono oscurate da alcuni pretori. Riprendono a trasmettere il 20 con un decreto legge di Craxi.
I referendum nei quali non si raggiunge il quorum – risultato della strategia P2 ---- qui e dove frase perché la democrazia funzioni bisogna che la gente se ne disinteressi???-------
anni 70 media ore di sciopero annue: 130.000.000
anni 80 media ore di sciopero annue: 50.000.000
1988 debito pubblico=pil
Inflazione %:
70 5,1 - 71 5,0 - 72 5,6 - 73 10,4 - 74 19,4 - 75 17,2 - 76 16,5 - 77 18,1 - 78 12,4 - 79 15,7 - 80 21,1 - 81 18,7 - 82 16,3 - 83 15,0 - 84 10,6 - 85 8,6 - 86 - 87 - 88 5,5 - 89 6,6
a testimoniare i ricambi politico-massonici anche il riflesso nella cultura, Battisti 69-73 – Franco e Ciccio ---- e la ripresa rinvigorita del festival di Sanremo a partire dai primi anni 80.
E su questo furono fondati gli “anni di fango”, caratterizzati dalla simbiosi tra politica e mafia. Molta ignoranza vige su cosa è la mafia, per cui è necessario prima spiegarlo.
“Politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d’accordo” (Paolo Borsellino[289])
Descrivere la lotta tra mafia e stato come la lotta tra feudi e comuni – e fare paragone tra toto riina come fedrigo barbarossa, e i giudici come i capitani comunali --- vassalli, valvassini, valvassori.
Il feudalesimo è la forma elementare di organizzazione sociale, politica ed economica in un contesto sovracittadino. Il feudalesimo era basato su vincoli personali a legare i diversi componenti della società su scala gerarchica. Per feudo si intendeva qualsiasi concessione o donazione di terre a titolo di godimento vitalizio ed in molti casi ereditario. Il feudatario doveva impegnarsi verso il sovrano a prestare servizio militare, fornendo soldati e mezzi, e ad esercitare alcune mansioni pubbliche (esazione tasse). Feudatario e sovrano erano uniti in un vincolo di mutuo soccorso in caso di necessità. I grandi feudatari (vassalli), a loro volta, potevano delegare determinate porzioni di feudo a dei gregari, detti valvassori, e questi a loro volta altre parti ancor più piccole ai valvassini. Le ripartizioni dello Stato venivano così a suddividersi in una gerarchia feudale in un complesso di sotto-staterelli (mandamenti?). Individui più deboli ricevono protezione in cambio di fedeltà. Il vassallaggio unisce la nobiltà, e le gerarchie hanno lo scopo di amministrare la giustizia. Le divergenze tra i feudi venivano ricomposte dall’imperatore. A volte i vassalli si ribellavano contro imperatore per scalzarlo oppure per ottenere l’indipendenza del feudo.
Secolare era la lotta tra l’impero feudale ed il papato. Oggi il “Papa” nei confronti della mafia sono gli Usa. E così inquadriamo tutto il gioco di -----------.
I valvassini, ossia i vassalli inferiori, possono essere identificati oggi nei proprietari di latifondi (pars dominica + pars colonica).
Riguardo l’amministrazione della giustizia, ed i casi di Rostagno, Impastato, La Torre, e Placido Rizzotto è facile immaginare quale sarebbe stata la sorte di chi, come Arnaldo Da Brescia, nel ---x--- secolo si fosse messo a proclamare che la servitù della gleba avrebbe dovuto essere abolita e la “pars dominica” distribuita ai contadini… o ad un Libero Grassi che si fosse rifiutato di svolgere i doveri banali.
In quasi tutta l’Europa il feudalesimo fu eliminato dalle lotte dei Comuni, ed abolito con la pace di Costanza (1176??). Tuttavia ciò non valse per alcune aree particolarmente sottosviluppate, come il mezzogiorno d’Italia, nel quale il feudalesimo giunge fino agli albori dell’epoca moderna. Dopo la breve ----- d napoleone, il sistema feudale riprese vigore con la restaurazione borbonica. Questo è il motivo per cui il fenomeno della criminalità organizzata è meno presente nel Settentrione e molto più presente nel nostro Meridione, che per sua sfortuna non conobbe la civiltà comunale, la grande distruttrice del sistema feudale.
“La mafia ci appartiene, tanto vale accettarla” (Francesco
Cossiga) ---anche su dif. Civ.?------
lotta tra parlamento e corona in Inghilterra come tra comuni e impero (su mafia)
La più azzeccata definizione di cosa è la mafia ci arriva dall’omicidio di Peppino Impastato. Egli non toccò alcun interesse economico, che avrebbe potuto giustificarne l’eliminazione. Non fece condannare nessuno. Solamente si ribellò pubblicamente ad un “feudatario”, incitando gli altri a seguirlo.
Gli affari economici non sono la mafia. Essa solo vi sovrintende come potere costituito. La mafia è una struttura di potere basato sul carisma, tra dominanti e subordinati. Ma non su base meritocratica bensì competitiva.
A tenere legati i vassalli all’impero ed i contadini al feudatario: la paura delle invasioni barbariche. Oggi: fino 1989 comunismo; poi islam. Crociate: Iraq, Afghanistan – religione come scusa per il commercio.
Caduto il pericolo di invasioni barbariche, i borghesi formano consorterie (lobbies???) opposte al potere feudale: Comuni. Eleggono magistrati – il più importante di essi: Console, espressione di un gruppo di magnati. – poi podestà, super partes.
Servitù della gleba sostituita da mezzadria.
Arti o corporazioni (lobbies) al cui capo sta il capitano del popolo – nemico di consoli e podestà.
Le lotte tra tutte le fazioni portarono poi alla Signoria, ovvero l’ex feudatario eletto “Signore” – o a volte un magistrato poteva essere eletto signore.
Lega lombarda e veronese.
Lotta Papa- Impero: Papa =Usa
Guelfi con Papa (Usa o Israele?)
Ghibellini con imperatore (Usa o Israele?)
1266 angioini campioni di feudalesimo in mezzogiorno d’Italia – vespri siciliani (1282) lotta non antifeudale ma anti-francese (questo spiega il nome operazione 1993?).
imperatore eletto da feudatari da quando?
Magna carta compromesso tra feudalismi e comunisti.
Utilizzo della giustizia “comunale” al posto di guerra di mafia per eliminare gli avversari.
“Io mi considero un carabiniere onorario” (Gaspare Pisciotta) ---nuovo corriere della sera, 4 maggio 1952
Cerimonia di investitura
Cavalleria: nobili privi di feudo - Salvatore Giuliano
Mafia non è criminalità di per
sé, ma in quanto istituzione, finalizzata anche a reprimere la criminalità, ma
il più delle volte anziché farci la guerra viene a patti, patti di non aggressione previo pagamento di
somme (“pizzo”). Di questo ne abbiamo un esempio dalla storia del regno
borbonico. In Sicilia fu introdotta una Costituzione nel 1812. Fu abolita la
feudalità, ma venne stabilito che “tutte le proprietà, diritti e pertinenze
feudali” rimanessero “giuste le rispettive concessioni” in proprietà
“allodiali”, cioè in proprietà economiche individuali. Ovvero venne abolito il
potere indiscriminato dei latifondisti sul popolo. Nello stesso anno 1812, per
contrastare la piaga del brigantaggio che dilagava nelle campagne, i Borboni
istituirono le “Compagnie d’armi”, gruppi di uomini armati e a cavallo, che
provenivano dalle fila dei gabellotti (gli esattori delle imposte) o dai loro
dipendenti, con il compito di dare la caccia ai briganti. L’incarico fu
conferito a questi uomini perché erano gli unici che a quel tempo possedevano
cavalli e armi e conoscevano benissimo il territorio. Nelle campagne siciliane
dell’inizio ottocento si vennero così a creare tre nuclei agguerriti e armati:
i briganti, le Compagnie d’armi e i gabellotti. I rapporti fra questi tre
gruppi armati furono contemporaneamente di conflitto e di comunione
d’interessi; agli scontri e agli ammazzamenti infatti si alternavano le
compravendita di bestiame e di merce rubata, patti di non aggressione previo
pagamento di somme. I rapporti fra questi tre gruppi armati furono
contemporaneamente di conflitto e di comunione d’interessi; agli scontri e agli
ammazzamenti infatti si alternavano le compravendita di bestiame e di merce
rubata, patti di non aggressione previo pagamento di somme. E’ nella
commistione degli intrecci economici di questi tre gruppi sociali che si
afferma la figura del mafioso, il cui potere diventa ogni giorno più palese e
aperto; venivano contrattati incarichi di razzie contro un determinato feudo o
nei confronti di un certo proprietario. Il proprietario terriero e
l’affittuario erano abituati a pagare “il diritto del maccherone” alla persona
che guardava i campi e il bestiame dai ladri: era una parte del “diritto di
guardiania” che si pagava al signore feudale per le spese che doveva sopportare
per il mantenimento di uno stuolo di guardiani nelle campagne. Quasi tutti i
proprietari, inoltre, pagavano “le componende”, per tenere buoni i briganti. Il
feudo, anche se formalmente soppresso, resterà in vita fino al 1860. La
sostanza economica dell’isola continuò a imperniarsi ancora e sempre sul
latifondo. La terra rimase sfruttata secondo il sistema delle affittanze e
delle “gabelle”. I gabellotti divennero così il perno dell’economia della
Sicilia occidentale. Essi seppero consolidare la loro posizione economica e
sociale, e provvidero a tramandare all’interno delle loro famiglie il loro
mestiere, insieme ai redditi connessi alla posizione ricoperta.
I gabellotti erano insostituibili, perché gli unici che sapessero come
far funzionare quel mondo; avevano alle loro dipendenze un esercito di campieri
e curatoli e guardiani armati, imponevano il prezzo del fitto dei terreni e
costringevano i subaffittuari a pagare i canoni, i braccianti a lavorare
duramente senza protestare e, se qualcuno di questi aveva voglia di reagire,
c’era sempre “una fucilata di chiaccheria” che gli passava un palmo sopra la
testa e ne portava via i fumi bellicosi. Pietro Calà Ulloa, procuratore del re
a Trapani, avvisò il governo che: “Vi ha in molti paesi delle unioni o
fratellanze, specie di sette, che dicono partiti senza colore o scopo politico,
senza riunione, senza altro legame che quello della dipendenza da un capo, che
qui è un possidente, là un arciprete. Una cassa sovviene ai bisogni di far
esonerare un funzionario, ora di difenderlo, ora di proteggere un imputato, ora
d’incolpare un innocente. Sono tante specie di piccoli Governi nel Governo”. Da
queste parole, risulta chiaro che il fenomeno mafioso crebbe assai prima
dell’unificazione dell’Italia; si può tranquillamente affermare che la mafia
non è stata solo uno strumento efficace per propagare gli interessi economici
di un gruppo sociale emerso nella feudalità siciliana, ma rappresenta la forza
stessa, che servì a trasformare una società ancorata agli schemi chiusi
dell’economia latifondista. A Napoli le sette carbonare diedero vita alla prima
vera rivoluzione liberale: il 1 Luglio del 1820 un reggimento della cavalleria
reale borbonica guidato dagli ufficiali Michele Morelli e Giuseppe Silvati si
ammutinò, marciando su Avellino, unendosi ai carbonari salernitani. Il generale
Guglielmo Pepe appoggiò con il suo esercito gli ammutinati di Salerno,
mettendosi a capo della rivolta. Nel frattempo Weishaupt morì il 18 novembre
del 1830, all’età di 82 anni, e nel 1834 l’Ordine degli Illuminati elesse un
nuovo leader: il rivoluzionario italiano Giuseppe Mazzini (1805-1872), che
divise la leadership con Albert Pike (1809-1891), Gran Comandante Sovrano della
Massoneria dell’Antico e Accettato Rito Scozzese della giurisdizione del sud
degli Stati Uniti, fondatore del Klu Klux Klan (1866), autore di diversi testi
come il “Morals and Dogma of the Ancient and Accepted Scottish Rite of
Freemasonery” (1871). Pike fu a capo delle operazioni degli Illuminati negli
USA, occupandosi degli aspetti teosofici e ideologici, mentre Mazzini venne
incaricato di curare quelli politici. Mazzini che aveva fondato nel 1831 la
“Giovine Italia”, il 22 gennaio 1870 inviò a Pike una
lettera in cui scrisse: “Dobbiamo permettere a tutte le federazioni di
continuare come stanno facendo attualmente, con i loro sistemi, le loro
autorità centrali, i diversi modi di corrispondenza tra gli alti gradi dello
stesso rito, e di organizzarsi come al presente. Però, dobbiamo creare un super-rito,
il più potente, perché la sua finalità rimarrà sconosciuta, al quale chiameremo
quei massoni di un più alto grado che sceglieremo”. Questo rito aggiuntivo
corrisponde al trentatreesimo grado massonico del Rito Scozzese, tuttora
esistente. L’unificazione del regno d’Italia significherà elezioni e con esse
nuove cariche e nuovi privilegi per quelle classi sociali che cercavano nel
nuovo regime spazio per le loro ambizioni e per la loro sete di guadagno. Fu
così che il torbido intreccio tra la delinquenza e la classe politica fece un
salto di qualità, trovando terreno fertile nell’alleanza che si andava
affermando soprattutto attraverso le speculazioni e l’affarismo. E’ questo
tessuto sociale che occorre esplorare per scoprire il successivo forte radicamento
della mafia nelle istituzioni legali del Regno d’Italia. Spazzato via il
feudalesimo, la Mafia trovò nell’assetto politico dell’unità d’Italia che aveva
contribuito a far sorgere, ragione della sua legittimazione storica nonché il
terreno favorevole per lo sviluppo delle sue attività. I campieri, i curatoli,
i guardiani, gli uomini armati del gabellotto ebbero gioco facile nel
trasformare i “diritti feudali del signore” nel “pizzo” ossia la punta della
barba che il mafioso doveva bagnare nel piatto altrui, obbligando coltivatori e
proprietari a pagare somme di denaro per la cosiddetta protezione, utilizzando
in caso di riluttanza, minacce e intimidazioni che potevano spingersi nei casi
più gravi fino agli omicidi e sequestri di persona. Progressivamente, poi, il
“pizzo mafioso” diventò una vera e propria tassa sugli utili dei fondi agrari,
che il proprietario o l’affittuario dovevano pagare. In Sicilia, gli eletti
alle prime elezioni per il parlamento del Regno d’Italia furono nella
stragrande maggioranza membri della piccola nobiltà terriera e di quella
borghesia cittadina strettamente e indissolubilmente legata a essa.
Descrizione di Cosa Nostra fornita dai giudici della Seconda Sezione di Corte d’Assise del Tribunale di Palermo, nella Sentenza del 12 aprile 1997 (Presidente, Vincenzo Oliveri - Giudice a latere, Mirella Agliastro): Il carattere unitario dell’organizzazione comporta (pur nella suddivisione territoriale in “famiglie”) l’esistenza di un organismo di vertice, variamente denominato, che regola i rapporti tra le famiglie, si ingerisce anche nella vita interna delle famiglie stesse ed è costituito dai capi mandamento. In ogni famiglia poi i consiglieri, i sottocapi, i capi decina e gli uomini d’onore formano i ranghi, affiancati dagli affiliati. L’unitarietà dell’organizzazione è evidenziata dall’unicità delle regole che presiedono alla vita delle diverse famiglie territoriali che costituiscono quasi le parti di uno Stato (illegale), contrapposto allo Stato (legale). Coerentemente con il livello di conoscenze ormai consolidate, si può affermare che si tratta di una macrostruttura di potere, unitaria, compatta e verticistica, fornita di precise regole tramandate oralmente e di una organizzazione che permette anche un’efficace programmazione dell’attività operativa, dotata di un “esercito armato” e di potenti circuiti finanziari. Essa tende, tra l’altro, al controllo del territorio, all’estorsione-protezione su un insieme di attività economiche, nelle quali si inserisce in forma parassitaria, ed ha propri regolamenti e statuti, codificati rituali e definite ideologie. Scopo di “Cosa Nostra” è la protezione e la promozione degli interessi, leciti ma soprattutto illeciti, dei suoi affiliati in senso economico, politico e sociale, attraverso relazioni di scambio, favoritismi, sviluppo dei rapporti familiari, costituzioni di clientele, prestazioni di favori che costituiscono il substrato della sua esistenza. Questa caratteristica, assieme all’obiettivo permanentemente perseguito dell’accumulazione del massimo potere possibile, conferisce a detta organizzazione criminale una “cultura”, una dimensione ed una strategia politica. Si può dire che l’esistenza in Sicilia dell’organizzazione “Cosa Nostra” costituisce ormai un portato storico oggetto di definitivo accertamento processuale nella sentenza emessa dalla Corte d’Assise di Palermo nel procedimento contro Abbate Giovanni + 459, il cui impianto argomentativo ha ricevuto autorevole avallo dalla Suprema Corte con la decisione del 30 gennaio 1992. Soprattutto dopo le decisioni della Corte di Cassazione e dopo quanto è risultato in numerosi processi, definiti con sentenze passate in giudicato, le caratteristiche dell’organizzazione “Cosa Nostra” costituiscono un’acquisizione consolidata con riferimento alla articolazione verticistica, alla struttura gerarchica all’interno degli organismi di aggregazione locale a base territoriale, alla diffusione capillare nel territorio attraverso una fitta rete di ramificazioni e consorterie collegate, all’affermazione del predominio con metodologie di sopraffazione e di intimidazione, all’esercizio della violenza come espressione ed affermazione di potere e, ad un tempo, come strumento di composizione dei conflitti.
“Io credo di aver fatto sempre bene nella mia vita” (Gaetano Badalamenti)
Interessante ---------- è il
libro di Nicola Biondo e Sigfrido
Ranucci intitolato “Il patto”, che indaga la trattativa tra Stato e mafia del
1992-93, partendo con la ricostruzione storica di come la mafia abbia le radici
ben piantate nel passato, in quel passato che ha visto gli americani rivolgersi
a Cosa Nostra per lo sbarco in Sicilia nel 1943 e che ha consentito a Cosa
Nostra di farsi Stato. Tutto ciò è avvenuto sotto la diretta responsabilità dei
servizi segretari americani, dell’Oss, della Cia e ha consentito a Cosa Nostra
di diventare quell’esercito della violenza che fino ai giorni nostri può
imporre trattative o può scatenare una guerra.
E’ subito dopo lo sbarco in Sicilia che Cosa Nostra si fa Stato, con lo
sbarco americano i boss mafiosi diventano amministratori dell’ordine pubblico,
alcuni addirittura sindaci, è il vecchio sogno di Cosa Nostra di avere non solo
un proprio esercito, ma di dettare legge, lo sbarco americano,
l’amministrazione americana lo garantisce. In cosa consiste davvero la presenza
degli americani in Sicilia? C’è un’informativa, un report dal titolo
emblematico: “La mafia combatte il crimine”. Cosa Nostra diventa l’esercito di
occupazione, insieme con gli americani, che gestisce l’ordine pubblico, che
deve evitare che le masse contadine potessero invadere e fare a pezzi il
latifondo, ma la Sicilia non è soltanto una colonna portante nella politica
estera, agli sgoccioli della seconda guerra mondiale, è un avamposto dal quale
si controlla l’intero Mediterraneo L’Intelligence americana capisce che c’è già
un’altra guerra da combattere e è quella contro il comunismo sovietico.
--------- si manifesta in tutto il suo orrore il primo maggio 1947, a Portella
delle Ginestre, un commando composto da mafiosi spara sulla folla che festeggia
il primo maggio, la festa del lavoro, tutto ciò accade a poca distanza dalle
elezioni regionali che avevano visto il trionfo del blocco popolare di
sinistra, il bilancio è di 14 morti e di decine di feriti.
La mafia finisce così assoldata in una sorta di guerra civile contro il latifondo, il voto popolare, la miseria, e Salvatore Giuliano lo si potrebbe definire come un nome collettivo dietro il quale si nascondono strategie, sigle e personaggi lontani anni luce dai volti truci dei mafiosi. Dietro Giuliano c’è una cerchia di personaggi che vagheggiano una Sicilia nazione autonoma o uno Stato federato agli Stati Uniti, ma soprattutto c’è un progetto preciso, studiato a tavolino dei documenti dell’Oss e poi della Cia, verrà chiamato: “Piano X” che prevede l’assistenza, il finanziamento e l’armamento di movimento anticomunisti affinché promuovano tutte quelle azioni di sabotaggio, di guerriglia e di disturbo, da attribuire al fronte popolare composto da comunisti e socialisti. Ci sono in particolare due esponenti dell’alba borghesia siciliana che raccontano perfettamente questa storia, uno è il principe Giovanni Alliata di Monte Reale, un massone, un fascista e che in seguito verrà coinvolto nello scandalo della loggia P2, secondo alcune testimonianze questo principe sarebbe uno degli ideatori della strage di Portella delle Ginestre, finirà poi in seguito coinvolto anche nei tentativi di golpe avvenuti negli anni 70, ci ritroviamo davanti, come dice il Giudice Roberto Scarpinato, a una lupara proletaria e un cervello borghese. Un altro importante nome è quello di Vito Guarrasi, il vero dominus della vita politica e economica siciliana per quasi 50 anni, una foto lo immortala nel 1943, appena ventinovenne alla firma dell’armistizio tra Italia e Stati Uniti, a volerlo lì è un importante generale, il generale Castellano, uno degli architetti di quella santa alleanza tra spie, mafia e neofascisti. Molti anni più tardi l’avvocato Guarrasi ammetterà di essere stato in stretti rapporti di stima per ragioni di servizio proprio con l’Oss e poi con la Cia, era una spia.
In quegli anni sono tantissimi i
rapporti che indicano come uno degli strumenti usati dalle classi dirigenti
italiane e siciliane era la carta del Movimento separatista, una sorta di lega
del sud che oggi stiamo rivedendo nel panorama politico, la manovalanza usata a
Portella delle Ginestre, viene però presto sacrificata. Giuliano muore in
seguito a una trattativa tra la mafia e i Carabinieri che mettono in scena una
fiction degna di una serie televisiva, un conflitto a fuoco, assolutamente
inesistente in cui il bandito, Salvatore Giuliano assurto come il nemico
pubblico N. 1 in Italia, sarebbe stato ucciso, ma non è così!
15 maggio 1949: In Sicilia viene costituito il Corpo Forze Repressione banditismo, al comando del colonnello Ugo Luca, proveniente dai servizi segreti (il 4 aprile l’Italia aveva aderito alla Nato, cessato primo pericolo comunista).
La lotta alla mafia oggi come oggi è inutile, perché una volta eliminato un mafioso il suo posto viene preso da un altro; la lotta dello Stato alla mafia non è altro che un mezzo di mafiosi per eliminare altri mafiosi per prenderne il posto. Solo accettando questa ----- si possono comprendere tutti i fatti di mafia.
“La mafia, come associazione e con tale denominazione, prima dell’unificazione, non era mai esistita in Sicilia. La mafia... nasce e si sviluppa subito dopo l’unificazione del Regno D’Italia” (Rocco Chinnici) ------- certo, prima era una consuetudine.
Mafia come perversione/alterazione dell’accezione del concetto di capitale sociale di reciprocità di J. Coleman ---mercato e società pag. 194.
La mafia americana agisce solo all’interno di comunità ristrette, e
quando esce da queste è sempre su utilizzo di altri poteri.
Giugno 1951: Durante un’inchiesta su alcuni esponenti di Cosa Nostra, viene scoperto per la prima volta nel nostro paese un traffico di eroina fra Italia e USA.
12 ottobre 1957: a Palermo, si riuniscono i capi delle famiglie di Cosa Nostra venuti dagli USA e i capi delle più importanti cosche mafiose siciliane. La riunione serve a pianificare nuove strategie per il controllo e la gestione dei traffici internazionali di droga ed armi; alla riunione avrebbe partecipato anche l’avvocato Sindona.
30 giugno 1963 strage di Ciaculli
30 marzo 1973: Leonardo Vitale, uomo d’onore della famiglia di Altarello, si presenta alla Squadra Mobile di Palermo in piena crisi mistica. Dice di essere pentito e racconta storie e organigrammi di Cosa Nostra. Verrà rinchiuso in manicomio criminale. Quindici anni dopo, ci si accorgerà che le sue dichiarazioni coincidono perfettamente con quelle di Buscetta, Sinagra, Calzetta e Contorno.
25 settembre 1979: Feroce agguato a Palermo, in pieno centro residenziale; a cadere sotto i colpi di un plotone di killer mafiosi sono il giudice Cesare Terranova e il maresciallo di PS Lenin Mancuso. Terranova, dopo aver istruito i primi delicati processi a carico degli esponenti di spicco di Cosa Nostra, aveva vissuto una breve parentesi parlamentare e aveva contribuito alla stesura della relazione di minoranza della Commissione parlamentare antimafia. Primo tra tutti, già negli anni ’60 Terranova sosteneva la tesi dell’unicità del sodalizio mafioso e della sua articolazione coordinata sul territorio. A Palermo, stava per assumere la guida dell’Ufficio Istruzione.
23 aprile 1981: Stefano Bontate, capo della famiglia mafiosa di S. Maria Del Gesù, figlio di “don” Paolino Bontate, discendente di una tra le più prestigiose famiglie mafiose della Sicilia, autorevolissimo membro della massoneria riservata, viene ucciso in un agguato a Palermo. Inizia la scalata dei “corleonesi” ai vertici di Cosa Nostra. Bontate era uno dei più grossi fruitori del sistema di riciclaggio garantito dalle banche di Sindona. I “corleonesi” utilizzano direttamente Licio Gelli.
11 maggio 1981:Il capo della famiglia mafiosa di Passo di Rigano, Salvatore Inzerillo, alleato di Stefano Bontate, viene ucciso a Palermo
26 gennaio 1983: Trapani: il giudice Giangiacomo Ciaccio Montalto - fortemente esposto sul fronte delle inchieste sul narcotraffico, sul riciclaggio dei suoi proventi e sulle coperture politico-finanziarie - viene assassinato in un agguato mafioso.
29 luglio 1983: Palermo. Esplode un’autobomba davanti l’abitazione del giudice Rocco Chinnici. Con il Consigliere istruttore, che si apprestava a recarsi in ufficio, muoiono anche i due poliziotti della scorta (Salvatore Bartolotta e Mario Trapassi) e il portiere dello stabile Filippo Li Sacchi. Chinnici - come testimonieranno Ninni Cassarà e Paolo Borsellino pochi mesi dopo - era in procinto di aggredire il livello politico-finanziario di Cosa Nostra, arrestando e mettendo sotto inchiesta i cugini Antonino e Ignazio Salvo.
14 luglio 1984: Tommaso Buscetta, estradato in Italia dal Brasile, dove era stato arrestato nell’ottobre ’83, inizia i suoi colloqui con Giovanni Falcone, rivelando la struttura e gli assetti di Cosa Nostra e chiarendo le circostanze e le dinamiche di numerose vicende criminali fino ad allora oscure.
3 novembre 1984: Il pool antimafia di Palermo procede all’arresto di Vito Ciancimino
12 novembre 1984: Arresto degli esattori Antonino e Ignazio Salvo.
23 dicembre 1984: “Strage di Natale”. Una bomba esplode sul treno 904 Napoli-Milano mentre sta percorrendo la galleria dell’Appennino, lunga 19 chilometri fra Vernio e San Benedetto Val Di Sambro, causando 16 morti e 139 feriti. Dalle indagini emergono legami e complicità tra i vertici di alcuni movimenti neofascisti e le famiglie di Cosa Nostra.
2 aprile 1985: Un’autobomba telecomandata riempita con circa 50 chili di tritolo esplode a Pizzolungo, zona all’estrema periferia di Trapani, mentre transita l’auto di Carlo Palermo, -- 19 aprile 1985: Il giudice Carlo Palermo emette 21 mandati di cattura per associazione a delinquere e truffa.
6 agosto 1985: A Palermo, in via Croce Rossa, una gragnola di colpi di mitraglia abbatte il capo della Squadra Mobile di Palermo Ninni Cassarà
13 gennaio 1986: Viene arrestato il boss mafioso Gerlando Alberti.
11 febbraio 1986 Si apre a Palermo il maxi processo alle famiglie di Cosa Nostra. Per la prima volta, accanto alle indagini svolte dalla magistratura e dalla polizia, vengono utilizzate le rivelazioni di alcuni collaboratori di giustizia, prime tra tutti quelle di Tommaso Buscetta e Salvatore Contorno. – 16 dicembre 1986: Il maxiprocesso di Palermo, presieduto da Alfonso Giordano, si conclude con una raffica di pesanti condanne per capimafia e gregari. 19 gli ergastoli e 2.665 gli anni di complessiva pena detentiva comminata agli imputati; 114 le assoluzioni.
12 gennaio 1988 Assassinato a Palermo l’ex sindaco DC Giuseppe Insalaco. Legato in passato all’on. Franco Restivo e ai servizi segreti, aveva svolto una discreta carriera politica all’interno del mondo democristiano palermitano; da sindaco della città, aveva tentato di rompere il regime di monopolio che stringeva i grandi appalti comunali, denunciando davanti alla Commissione parlamentare antimafia i legami tra potentati politico-finanziari e gli interessi di Cosa Nostra, anche in tema di appalti per la manutenzione dei servizi pubblici cittadini.
26 settembre 1988 L’ex dirigente di Lotta Continua, Mauro Rostagno, viene assassinato in un agguato a Trapani.
19 giugno 1989 Sugli scogli dell’Addaura, vicino Palermo, nella zona di mare prospiciente l’abitazione del giudice Giovanni Falcone, viene scoperta una borsa da sub contenente 58 candelotti di dinamite.
28 giugno 1989 Il CSM nomina Giovanni Falcone procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica di Palermo.
Agosto 1989 Scompare nel nulla il cognato del boss mafioso Stefano Bontate, Giacomo Vitale, uno dei più importanti anelli di congiunzione tra Cosa Nostra e Massoneria, già coinvolto in prima persona nelle concitate fasi del falso sequestro di Michele Sindona e della sua permanenza in Sicilia.
10 aprile 1991 Giovanni Falcone lascia la Procura della Repubblica di Palermo per trasferirsi a Roma alla guida della Direzione degli Affari penali del Ministero di Grazia e Giustizia.
9 agosto 1991 A Campo Calabro, nei pressi di Reggio Calabria, viene assassinato Antonino Scopelliti, sostituto procuratore generale presso la Corte di Cassazione, incaricato di sostenere le ragioni dell'accusa nel ricorso in appello presentato dagli imputati del maxiprocesso a Cosa Nostra.
29 agosto 1991 A Palermo Libero Grassi, imprenditore coraggioso, che aveva rifiutato di sottostare al ricatto dell’estorsione mafiosa, viene assassinato mentre passeggia per strada senza scorta e senza tutela.
29 ottobre 1991 Viene istituita la Direzione Investigativa Antimafia, che dovrebbe assicurare il coordinamento e l’integrazione dell’attività dei corpi di polizia sul fronte della lotta alla criminalità mafiosa.
30 gennaio 1992 La Corte di Cassazione rende definitive le condanne del maxiprocesso a Cosa Nostra.
17 febbraio 1992 Inizia a Milano l’inchiesta Mani Pulite. Viene arrestato Mario Chiesa.
12 marzo 1992 L’europarlamentare Salvo Lima, uomo-guida della corrente andreottiana in Sicilia, viene ucciso a Mondello
14 marzo 1992 Al processo d’appello per la strage del rapido 904, arriva la condanna per tutti gli imputati camorristi, mafiosi e neofascisti romani. Pippo Calò, legato alla banda della Magliana, ribattezzato “il cassiere di Cosa Nostra”, e Guido Cercola vengono condannati all’ergastolo. Lo stesso giorno della sentenza vengono uccisi mentre fanno ritorno a casa l’imputato Alfonso Galeotta e Assunta Sarno, rispettivamente braccio destro e moglie del boss camorrista Giuseppe Misso anch’egli condannato per la strage.
23 Maggio 1992: Strage di Capaci: Giovanni Falcone viene ucciso
24 luglio 1992 Paolo Borsellino, componente storico del pool antimafia di Palermo e naturale successore di Falcone, viene ucciso
25 luglio 1992 Operazione “Vespri Siciliani”: il Governo invia nell’isola oltre 7.000 militari per presidiare le strade e i centri nevralgici delle istituzioni.
26 luglio 1992 Sconvolta dalla morte di Paolo Borsellino, muore suicida la diciassettenne Rita Atria, figlia di un noto capomafia di Partanna (TP), che il magistrato aveva convinto a collaborare con la giustizia, rompendo con le tradizioni dell’omertà familiare.
6 settembre 1992 Viene catturato il boss mafioso latitante Giuseppe “Piddu” Madonia, alleato di Riina e Provenzano.
17 Settembre 1992: Ignazio Salvo viene assassinato
ottobre 1992 Il Procuratore di Palmi, Agostino Cordova, apre un’inchiesta sui rapporti fra mafia e massoneria.
24 dicembre 1992 Su richiesta della Procura della Repubblica di Palermo, viene arrestato Bruno Contrada, funzionario del SISDE, accusato di avere intrattenuto rapporti con esponenti di Cosa Nostra.
15 gennaio 1993 Arresto di Salvatore Riina.
27 marzo 1993 Giulio Andreotti riceve un avviso di garanzia per associazione a delinquere di stampo mafioso.
14 maggio 1993 Esplode una bomba in Via Fauro a Roma.
18 maggio 1993 Nelle campagne di Caltagirone (CT), dopo 13 anni di latitanza, viene catturato il boss mafioso Benedetto “Nitto” Santapaola.
27 Maggio 1993: Strage al tritolo in Via dei Georgofili, a Firenze,
2 giugno 1993 A Roma, a Via dei Sabini, a 100 metri da Palazzo Chigi, all’interno di una vettura viene scoperta una bomba.
27 luglio 1993 Alle 23,15 un’autobomba esplode in Via Palestro, a Milano, Poche ore dopo esplodono a Roma due ordigni di analoga potenza, uno davanti alla Basilica di San Giovanni in Laterano e l’altro davanti alla chiesa di San Giorgio al Velabro. Nelle stesse ore viene registrato un black out telefonico a Palazzo Chigi, che rimarrà isolato per alcune ore.
22 gennaio 1994 Grazie a una serie di intercettazioni telefoniche e ambientali, viene sventato a Trapani un attentato al giudice Luca Pistorelli, titolare di inchieste su mafia e massoneria, servizi deviati e Gladio.
23 Dicembre 1994: Vengono unificate e affidate alla Procura di Firenze le indagini per l’attentato in Via Fauro a Roma, la strage in Via dei Georgofili a Firenze, la strage di Via Palestro a Milano e l’attentato di San Giorgio al Velabro a Roma. A tale proposito il Procuratore capo Vigna ha dichiarato: “Le autobombe sono il frutto di un’unica strategia, sicuramente, ma non esclusivamente mafiosa.... stiamo verificando se esistono nell’ideazione delle stragi responsabilità da ricercare anche al di fuori di Cosa Nostra”.
2 agosto 1984: Carlo Palermo, giudice istruttore a Trento, indaga su un traffico internazionale di armi e droga. Viene accolta la richiesta di ricusazione del giudice da parte di un imputato. L’inchiesta è apertamente osteggiata da Bettino Craxi e da altri settori politici governativi, probabilmente perché vede il coinvolgimento del finanziere socialista Ferdinando Mach di Palmstein.
23 dicembre 1984 lo scoppio nella galleria --- 2 giorni prima Craxi dice “La nave va, siamo fuori dal tunnel” ---- evidentemente qualcuno non era d’accordo.
denunce per associazione mafiosa:
1984 4.484
1985 1.797
1986 1.424
1987 1.536
1988 1.833
1989 1.849
notare il crollo tra 1984 e 1985 ovvero dopo la strage di natale del treno Val di Sambro (23 dicembre 1984) – dopo tale data si avvia la sostituzione di varie figure istituzionali in Sicilia, tra cui il prefetto di Palermo. Tanto che il 6 agosto (1985?) durante un funerale gli agenti di polizia contesteranno i rappresentanti del governo.
Occorsio indagava sulla p2 ----riguardo giudici come capitani del popolo e antropologicamente diversi?
Buscetta racconta che in cambio dell’avvallo della mafia al golpe del 1974 gli fu promessa direttamente dal direttore del carcere di Palermo l’evasione e l’ospitalità a casa sua. ---misteri viminale pag. 300
Anche la mafia subisce l’influenza delle divisioni massoniche, non direttamente ma indirettamente: ognuna delle due osservanze massoniche utilizza i suoi rispettivi referenti mafiosi, senza che essi sappiano questo. Corleonesi (Leggio, Riina e Provenzano ) – (altri???) (Antonino Salvo Stefano Bontate e Gaetano Badalamenti)
“Cosa nostra non ha mai svolto ruoli subalterni agli interessi della massoneria, ma per utilitarismo ha accettato offerte di collaborazione” (Annibale Paloscia) ---misteri viminale pag. 300 o su comprensivo di relative “mini-istituzioni”. ?
da 1987 la mafia vota psi?
Con la riforma dei servizi segreti del 1977 viene ulteriormente accresciuto il controllo del parlamento sui servizi segreti, tanto che a questo punto viene a formarsi come soluzione una sorta di sotterraneo “servizio segreto del servizio segreto”, avente il difetto non da poco che essendo del tutto extra-legale non usufruisce di sussidi statali ma deve autofinanziarsi. In questo modo i servizi segreti possono continuare a svolgere i precedenti compiti senza l’intoppo delle opprimenti commissioni parlamentari, ma sono anche costretti a svolgere attività più o meno criminali per sostenersi. Questo sarà noto come “super-Sismi”, curato da Francesco Pazienza. Il caso più eclatante nel quale tale organismo fu coinvolto è il sequestro di Ciro Cirillo da parte delle Br nel 1981. Dalla requisitoria del Pm al processo del 1985: “una lotta [al sistema] invero particolare se Senzani – come è emerso nel dibattimento – si incontrava con esponenti del Sismi e accettava senza battere ciglio l’intervento della struttura statuale nella vicenda del sequestro. V’è da chiedersi se [la lotta] non fosse anch’essa funzionale al medesimo centro di potere [il super-Sismi, oggetto del processo][290]”. Dopotutto abbiamo già visto in quale modo si auto-finanziasse la P2…
“Il Sisde è diventato una specie di confortevole ricovero affollato da figli d’arte, figli di prefetti, di questori, di generali o anche di poliziotti e magistrati” (Riccardo Malpica) Dimitri Buffa, “Sisde. Parla Malpica”, Ed. Nord, pag. 64. --- inevitabile fare un pensiero al figlio di Donat Cattin…
18 ottobre 1993 Vengono nominati i nuovi responsabili dei servizi segreti italiani. Viene approvata anche una vera e propria epurazione di ufficiali dei Servizi e tra questi - dirà il ministro della Difesa Fabio Fabbri - 300 uomini del Sismi, tra i quali si annidano i 16 sospetti telefonisti della Falange Armata, e l’intera settima divisione, quella da cui dipende Gladio.
“In uno dei suoi memoriali Pacciani scrisse che il vero mostro era a Roma, era del Sisde e faceva un lavoro che gli permetteva di muoversi come e quando gli piaceva” (Gabriella Carlizzi) Pietro Licciardi – Gabriella Pasquali Carlizzi, “Gli affari riservati del mostro di Firenze”, autoprodotto, pag. 51.
21 Ottobre 1993: Attentato durante la notte a Padova contro il Palazzo di Giustizia, che viene gravemente danneggiato. L’attentato viene rivendicato dalla Falange Armata. A questo punto, chi sia ad usare tale firma appare più che evidente…
3 novembre 1993 Antonio Galati (Sisde) dichiara che dal 1982 al 1992 ogni ministro dell’interno ha ricevuto 100.000.000 al mese dal Sisde (scandalo fondi neri) provocando l’ira di Scalfaro che era stato proprio ministro dell’interno per un po’ di tempo. Ricordiamo che, se non fosse stato in qualche modo ricattabile, Scalfaro non avrebbe avuto alcuna possibilità di diventare Presidente della Repubblica.
“Purtroppo la fragilità umana rende vulnerabili anche i cosiddetti potenti, che per questo non cessano di essere uomini. Nella vita privata di rappresentanti delle nostre istituzioni possono esserci situazioni tali da rendere ricattabili figure che sul piano politico e professionale sono considerate irreprensibili” (Gabriella Carlizzi) Pietro Licciardi – Gabriella Pasquali Carlizzi, “Gli affari riservati del mostro di Firenze”, autoprodotto, pag. 21.
La sera stessa Scalfaro legge a reti unificate un messaggio che, con il pretesto della sua autodifesa lancia un preciso ---------. Eccone alcune interessanti righe:
“(…) Nessuno può stare a guardare di fronte a questo tentativo di lenta distruzione dello Stato, pensando di esserne fuori. O siamo capaci di reagire, considerando reato il reato, ma difendendo a oltranza e gli innocenti e le nostre istituzioni repubblicane o condanniamo tutto il popolo e noi stessi ad assistere a questo attentato metodico, fatale alla vita e all’opera di ogni organo essenziale per la salvezza dello stato. A questo gioco al massacro io non ci sto. (…) mio dovere primario è di non darla vinta a chi lavora allo sfascio. Lo stato democratico innanzitutto. Dunque il mio no all’insinuante e insistente tentativo di una premeditata distruzione dello Stato è un no fermo e motivato. (…) Siamo a un passaggio difficile per l’Italia e per il popolo italiano”
8 maggio 1990 gruppo di Delle Chiaie (sempre con le antenne in funzione…) fonda una serie di leghe indipendentiste che il 5 ottobre 1991 verranno riunite nella lega nazional-popolare. Due giorni dopo, il 7 ottobre, Gelli fonda la Lega Italiana.
“E’ da un pezzo che ci sarebbero tutte le condizioni per un colpo di Stato onde eliminare la teppaglia che ci sta rovinando. In realtà chi rappresenta l’unica speranza in questo paese alla deriva? Umberto Bossi” (Licio Gelli[291])
Quando la fine dell’Unione Sovietica chiude quell’epoca, il capitale nordamericano spazza via gli equilibri che reggevano l’Italia e quasi tutto cambia. ----- Lodovico Festa, Giulio Sapelli, “Capitalismi”, Boroli ed, pag. 86. ----
Il fatto è che a partire dal -----data scioglimento urss---- era venuto a mancare il motivo che aveva, a partire dal 1945, visto l’Italia come un paese da coccolare, e la Dc come un partito da sostenere, e quindi, da parte internazionale vi fu un tentato assalto al nostro paese, e da parte interna vi fu un simultaneo assalto al potere.
Contemporaneamente la tanto agognata svolta della Bolognina “mette sul mercato” i “comunisti” in una realistica aspirazione al potere, inevitabilmente terrorizzando quanti fino allora avevano tramato alacremente per impedirlo.
“Sono convinto della pista mafiosa ma non solo. Può essere un insieme di tante cose, schegge dei servizi di una volta, affarismo piduista, affarismo internazionale” (Bruno Siclari[292])
Alla luce di questo è chiaro che, dato che l’Italia ha retto l’urto, vi è qualcuno da ringraziare per aver----------. L’odio internazionale verso Berlusconi, e il----tradimento---- di Bossi nel 1994 dovrebbero essere chiarificatori.
“Ci sono paesi interessati a destabilizzare l’Italia” (Francesco Cossiga[293])
Da parte nordista si riteneva necessario abbattere il monolite Dc “partito di centro che marcia a sinistra”, ma tutti sapevano che questo avrebbe avuto l’unico risultato di spianare la strada agli ex comunisti del Pds, che seppur ex, ancora impaurivano -------------. Inevitabili le manovre da parte sudista per evitare ciò. In quest’ambito si inserisce poi la guerra apertasi tra Andreotti e Cossiga ed espressasi nella rivelazione di Gladio e nel ritrovamento “guidato” delle altre lettere di Aldo Moro nell’intercapedine di via monte Nevoso. Forse il “canto del cigno” di quel sistema “pseudo-elettorale” basato sugli scandali e le pugnalate alla schiena iniziato nel lontano 1947 con la “vicenda Campilli-Vanoni”.
“In Italia non esiste per ora un’alternativa alla DC eppure c’è un attacco concentrico a questo partito. Così si creano le condizioni peggiori per governare e quando non si governa qualcuno può sostituirsi ai partiti e tentare la svolta autoritaria” (Vittorio Sbardella)
Quella classe politica, come hanno detto altri esponenti socialisti e democristiani, da Pomicino a Formica, non era ritenuta più adatta a governare una situazione di ridislocazione geopolitica dell’impero statunitense che puntava ad allargarsi ad est. Insomma, l’Italia non era più un avamposto strategico e una portaerei naturale tra mondo capitalista e mondo comunista dalla quale tenere sotto osservazione e sotto costante minaccia i paesi del Patto di Varsavia. Aver fatto secco in un solo colpo un intero gruppo politico, mettendosi nelle mani di lacchè incompetenti e impreparati alla gestione del potere, ha rovinato la nostra nazione che da quel momento in poi è andata alla deriva rischiando ogni giorno l’inabissamento. Da questo bouleversement assistito giudiziariamente e mediaticamente (quanto peseranno sulla coscienza degli italiani le monetine tirate sulla testa di Craxi!) non poteva che scaturire una disfatta tragica per l’Italia, fino al raggiungimento dell’attuale stadio di marcescenza radicale delle strutture statali e dello stesso corpo sociale. L’Italia è oggi “serva e bordello” azzannata da una serqua di iene che continua a succhiare le sue ossa dopo averne spolpato la carne. Mani Pulite, facendo i conti dopo quasi un ventennio, non solo non ci ha liberati dal malcostume generalizzato, ma ha aggravato ruberie, corruzioni, malversazioni, sinecure, togliendoci pure la speranza di una risalita dal baratro, almeno finché resteranno in sella gli inetti PDL-PD che fanno la staffetta al governo a lustri alterni. Non abbiamo più una politica estera ed una visione dei processi mondiali degna della nostra storia, il tessuto sociale si è sfilacciato ed ha perso la sua identità sprofondando nel luogo comune e nella retorica del passato mitico, le nostre strutture produttive non hanno più dinamicità e sopravvivono con i prelevamenti dallo Stato.
28 settembre 1991 in Calabria riunione mafiosa che può essere considerata l’atto di nascita della nuova strategia che vede mancare dalla scena l’Urss. Ovviamente come punto principale viene riesumata l’indipendenza della Sicilia, ora che è possibile. Il 20 febbraio 1992 in una seconda riunione vengono decis ------ altre -------. Il primo bersaglio è Salvo Lima (12 marzo 1992), tanto per far capire a Andreotti che il vento è cambiato. Il 23 maggio viene eliminato il principale ostacolo, il “capitano del popolo” Giovanni Falcone, con un operazione che attribuire alla mafia è riduttivo. Difatti le indagini che porteranno ai dirigenti dei servizi segreti in Sicilia verranno bloccate in modo analogo, il 19 luglio, con un esplosione che è più che un antifona per chi avrebbe pensato di proseguire sulle orme di Paolo Borsellino. E se l’intrallazzo non fosse ancora chiaro, si consideri che la piccola base di Gladio a Trapani (sulla quale indagò Mauro Rostagno prima di venire ucciso) disponeva di una pista di atterraggio e di un piccolo aereo da turismo sul cui uso nessuno ha mai voluto fornire spiegazioni[294]. Certo è che su un simile aereo non si possono trasportare grandi quantità di merce. Solo piccole. Il responsabile della base, Vincenzo Li Causi, morì in Somalia il 12 novembre 1993.
“Non si può fissare un confine preciso tra terrorismo e loggia P2 né tra mafia e loggia P2” (Giovanni Spadolini[295])
Martini al sisde (o sismi???) fino a 27 febbraio 1991.
5 aprile 1992 elezioni Dc – 4,6
25 aprile 1992 Cossiga si dimette con due mesi di anticipo dalla scadenza del mandato. --- Partito trasversale che si oppone al presidente della Repubblica Cossiga (1990)
27 aprile 1992 giunta siciliana si dimette
23 maggio Falcone ucciso
25 maggio 1992 Scalfaro presidente
2 giugno 1992 Britannia
28 giugno 1992 nasce governo Amato Dc-Psi-Psdi-Pli. L’ex capo del SISMI, Fulvio Martini, diventa consigliere militare del presidente del Consiglio.
24 luglio 1992 Paolo Borsellino, componente storico del pool antimafia di Palermo e naturale successore di Falcone, viene ucciso
17 settembre 1992 Ignazio Salvo (esattore della mafia) ucciso
Inizia la recrudescenza fenomeno skinhead + si inasprisce la lotta alla mafia
17 ottobre 1992 fondata alleanza democratica
24 dicembre 1992 Bruno Contrada (sisde) indagato per mafia
15 gennaio 1993 arrestato Toto Riina
27 marzo 1993 Andreotti indagato per mafia
17 aprile 1993 arresti tra banda della Magliana per mafia
23 aprile 1993 Corrado Carnevale sospeso per mafia
28 aprile 1993 nasce governo Ciampi, con ministri anche Pds (ma ritiratisi subito?)
14 maggio 1993 bomba in via Fauro (Costanzo?)
27 maggio 1993 bomba a Firenze
28 giugno 1993 Il presidente del comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti, Ugo Pecchioli, annuncia l’apertura di un’inchiesta per lo scandalo dei fondi riservati del SISDE.
27 luglio 1993 bombe a Milano e Roma
21 settembre 1993 Va in scena la farsa: Il SISDE avverte la Polizia ferroviaria della stazione Ostiense di Roma che su una carrozza del treno “Freccia dell’Etna” ci sarebbe un ordigno esplosivo. In effetti, nella toilette di uno dei vagoni viene trovato un involucro contenente quattro chili di “Brixia”, un tipo di polvere da mina usata nelle cave; la bomba però non ha il detonatore.
7 ottobre 1993 Viene individuato l’informatore del SISDE che ha fatto scoprire la bomba sulla Freccia dell’Etna il 21 Settembre: è Rosario Allocca, un pregiudicato napoletano, il quale asserisce “E’ stato il mio corrispondente del SISDE a inventare tutto, è stato lui a chiedermi di fare in modo che sul treno 810 ci fosse una bomba da trovare”. Allocca avrebbe ricevuto l’incarico dal capo-zona del SISDE di Genova, il tenente colonnello dei Carabinieri in forza al SISDE Augusto Maria Citanna, che verrà in seguito incriminato.
23 novembre 1993 Berlusconi dichiara ingresso in politica
16 gennaio 1994 sciolte camere
26 gennaio 1994 fondata forza italia
privatizzazioni --- smobilizzazione delle proprietà dello Stato ----- non gioielli di famiglia, ma carrozzoni inefficienti -----
Anni 80 Prodi sostenuto da De Mita (e non Craxi) che impediscono il decollo delle istituzioni di un capitalismo aperto e contendibile. Invece di creare un vero mercato, si avvia la strada delle privatizzazioni senza liberalizzazioni che Prodi ripercorrerà ancora in modo più determinato negli anni 90, con la formazione di una nomenclatura bancaria superpotente. Se si compara l’Italia alla Russia, la gestione prodiana ha molti aspetti simili a quella di Eltsin. ----- Lodovico Festa, Giulio Sapelli, “Capitalismi”, Boroli ed, pag. 78.
In Italia le casse di risparmio sono state distrutte per colpire una certa ala della Dc e non stupisce che a guidare quel partito dal 1992, durante l’offensiva, fosse stato messo uno stretto amico di Giovanni Bazoli (equivalente di Prodi nelle casse di risparmio): Mino Martinazzoli. ----- Lodovico Festa, Giulio Sapelli, “Capitalismi”, Boroli ed, pag. 169. ----
“La storia italiana è già stata segnata da questo fenomeno. All’origine di tangentopoli ci fu un grumo di interessi che poi si espresse nelle grandi privatizzazioni e nelle integrazioni bancarie” (Maurizio Sacconi) --- gazze. 8 agosto 2010. -----
tangentopoli ---- dato che fino allora la corruzione aveva sempre prosperato ed ogni indagine era stata bloccata sul nascere, è evidente che da quel momento qualcuno ha dato l’autorizzazione, iniziando da un banalissimo caso quale quello di Mario Chiesa (17 febbraio 1992).
Anche la gestione della fine del lungo periodo del compromesso Dc-P.d’Az. sia stata portata avanti in modo ugualmente oligarchico, in un’intesa tra magistratura e circoli economici oligarchici. ----- Lodovico Festa, Giulio Sapelli, “Capitalismi”, Boroli ed, pag. 78. ----Qui Sacconi da gazzettino?????--------- :
“L’instabilità si spiega solo con il persistente desiderio di settori di interessi – prima ancora che della politica – di buttare giù il premier. Berlusconi è il nemico da abbattere, non l’avversario, ma proprio il nemico. Sottolineo: prima della politica i veri avversari di Berlusconi non sono Bersani, Di Pietro, non è neanche Fini e gli altri interni che vorrebbero accelerare la successione. Si trovano in quell’ambiente di gnomi de noantri, cioè di finanzieri impiccioni, moralisti con il prossimo e molto generosi con se stessi che impazziscono all’idea di un Berlusconi al governo per altri tre anni” (Maurizio Sacconi) ---gazzettino 8 agosto 2010. ------
Solo i fessi possono credere che i giudici di colpo si svegliano e fanno piazza pulita (mi viene anche difficile da pensare che si rubasse nel 90 e non nel 80 e nel 70...). Evidentemente la prima repubblica troppo statalista andava sostituita con la seconda repubblica liberista. E così come la corruzione, anche Gladio esisteva da parecchio tempo, ma lo come scandalo esplose solo nel 1990.
“Mani Pulite non nasce con l’arresto di Mario Chiesa. Ho parlato con
diversi imprenditori coinvolti, e tutti mi hanno detto che gli sono stati
contestati fatti appresi dai magistrati anni prima grazie alle intercettazioni.
C’è qualcosa che non torna: perché quelle inchieste da anni dimenticate sono
state di colpo lanciate tra i piedi del ceto politico? [Perché] l’azione della
magistratura fu incoraggiata dall’FBI americano e dai poteri forti italiani”
(Francesco Cossiga)
Con questo marchio d’infamia e di servilismo filo atlantico (che è ben
altra cosa rispetto all’ “ombrello Nato” della precedente fase storica, in cui
il mondo risultava diviso a metà e gli Usa erano centro regolatore della sola
parte occidentale) è nata la famigerata II Repubblica, la cui attuale
degenerazione partitocratica e istituzionale è il frutto avariato di quel colpo
di mano presentato dai suoi vili propugnatori come un’operazione di
moralizzazione dello Stato e dei suoi apparati; quest’ultimi presuntamente
pervertiti da una casta politica legata alla mafia e al malcostume tangentizio.
Ma oltre questa vulgata moralistica si trattava in verità, ed alla luce della
situazione attuale è impossibile smentirlo, di assecondare una subdola
rivoluzione di Palazzo suggerita ed eterodiretta dagli americani dopo la caduta
dell’Unione Sovietica. Cossiga parla di sistema politico logoro, considerato
ormai inservibile dagli Usa in virtù della nuova missione
storico-universalistica che questi si erano prefissati.
In Italia esiste […] senza dubbio una grande “partito” americano, con ali di destra oggi ben rappresentate da Murdoch, di sinistra con De Benedetti, più finanziarie con Marchionne e i noti amichetti di Goldman Sachs. Partito in cui certi umori dei più vari ambienti di Washington si riverberano e che al momento osserva con qualche fastidio alcune mosse e alleanze del governo Berlusconi. Con questo variegato partito molti ritengono si debba costantemente interloquire perché il ruolo italiano è anche quello di essere ponte con gli Stati Uniti, nella consapevolezza che senza di loro non si dà al mondo alcun solido punto di riferimento. Ma per una discussione seria, è utile che le varie ali del partito americano non sognino di trasformare i malumori di oggi in destabilizzazioni, come nel 1992 e nel 1994, cercando di ripetere quegli anni senza poter contare su adeguate basi sociali e con una Casa bianca che non riesce bene neanche a convincere Berlino su chi debba comprare la Opel. ----- Lodovico Festa, Giulio Sapelli, “Capitalismi”, Boroli ed, pag. 121. ----
Colaninno, Benetton e De Benedetti Ciampi, Amato, Dini Prodi, Draghi e Monti accozzaglia
Ancora più interessante ed inquietante è l’attività successiva di Robert McNamara che in ogni caso si è mosso sempre su una precisa direttrice mondialista, quella di creare un unico grande mercato globale “aperto” nel quale merci, capitali e lavoratori possano circolare “liberamente” ed essere collocati dove in quel momento sia più conveniente farlo. McNamara fu infatti il padre fondatore di Transparency International, un organismo finanziato dalle principali banche e società industriali statunitensi e britanniche che, sul finire degli anni ottanta, fece un cavallo di battaglia della lotta alla corruzione, considerata la madre di tutti i mali e un ostacolo al progresso e allo sviluppo. Un organismo che vantava alleati in Europa e in Estremo Oriente (per lo più legati alla Commissione Trilaterale) e che creò diverse filiali in tutto il mondo. Transparency International svolse un ruolo non indifferente nel sostenere ed alimentare, grazie anche a giornali “amici”, le varie campagne di Mani Pulite, dall’Italia fino al Giappone. Due Paesi governati da oltre 40 anni dallo stesso partito, la DC in Italia, i liberaldemocratici in Giappone. Il disegno in Italia era quello di sostituire la DC, e ovviamente pure il PSI (dopo Sigonella poco simpatico a Washington), con i comunisti trasformati in socialdemocratici e pronti a svendere le aziende pubbliche. In Giappone la campagna portò alla sostituzione al governo per qualche anno del PLD con i liberali e i socialisti. La conferma che si trattò di una manovra a largo raggio ed eterodiretta, è peraltro testimoniato da una copertina dell’Economist, il settimanale organo della City londinese, che prima delle martellanti inchieste giudiziarie titolava in prima pagina: “Come si dice in giapponese: basta?”. E la parola basta era riportata in italiano…
“Il vero capolavoro dell’era berlusconiana è stato quello di aver sganciato la nostra politica estera dallo schema di Yalta e reso autonomo il ruolo dell'Italia su due aree geopolitiche: nel Mediterraneo e nell'Africa del Nord attraverso la stretta cooperazione con la Libia guidata da Muammar Gheddafi; in Eurasia grazie al rapporto con la Russia del primo ministro Vladimir Putin e del presidente Dmitrij Medvedev” (Il tempo, 31 agosto 2010)
rievocando il gioioso giocattolo bellico-elettorale di Occhetto che però si inceppò nelle elezioni del ’94 mandando in frantumi il sogno degli ex piccìsti di salire al governo del Paese sotto la protezione di una “manina atlantica”. Probabilmente saranno l’Unità e il Secolo ad accogliere gli accalorati appelli di questi fantomatici liberali che marcheranno prima a zona e poi a uomo (ci sono molti squilibrati in giro in cerca di notorietà…) il PresdelCons nei suoi scatti sulla scena internazionale, affinché costui la smetta di recar nocumento ai loro padroni statunitensi. fermare l’ascesa di questi ascari al soldo di pericolose forze coloniali.
Ne costituiscono una formidabile incarnazione Eugenio Scalfari e la sua emanazione Repubblica, espressioni di quel coacervo laico-azionista-massonico ------. Polo laico – de benedetti – scalfari.
I custodi delle verità precostituite e delle letture storiche preconfezionate amano spesso e volentieri menar vanto di lungimiranti intuizioni e di eccelse frequentazioni ideali o effettive. Costruiscono e aderiscono ad un immaginario di personaggi e ad uno scenario di eventi che poi calano sulla cosiddetta opinione pubblica, appositamente indotta o educata a credervi. Scalfari, noto trombone di siffatto modus operandi, si è così prodigato per sé e per la Nazione nell’encomio di un uomo-simbolo che in tutti questi anni si è voluto piazzare sul piedistallo di moderno Padre della Patria, con tanto di “medaglia” al valore e al merito. Scalfari loda Ciampi, dunque. L’occasione, l’ennesima, è l’uscita del libro-conversazione dell’ex presidente con Arrigo Levi. Dagli spunti che fornisce il fondatore de la Repubblica pare trattarsi di qualcosa decisamente differente dal pregnante “Fotti il potere” di un altro ex presidente quale Cossiga.
Ecco, distanti dalla ferma tenuta liberal-democratica dell’egregio Direttore, molto più volgarmente il Gran Maestro livornese (Ciampi) nei nostri ricordi è un dissolutore dello Stato. La sua ascesa alle postazioni di comando è stata figlia dei tempi. Ciampi rappresenta quella fase di passaggio dal primato della politica alla prassi tecnocratica ed economicistica. Costituisce, di fatto, uno di quei personaggi dotati di un apparentemente neutrale sapere tecnico che si è voluto presentare come imprescindibile per muoversi all’interno delle nuove dinamiche globali. Così è accaduto che un Governatore della Banca d’Italia e punto di riferimento di una certa corrente finanziaria con determinati assetti e mire strategiche, sia stato indicato tra i prescelti a condurre il Paese in una fase di instabilità politico-economica. Tuttavia, se è pur vero che egli viene fuori da e in una situazione d’urgenza, resta il fatto che questa è stata determinata da un insieme di cause scatenati che non piovono dal cielo, ma sono la risultante di quello che può essere definito – a maggior ragione oggi a distanza di anni- un processo di ridisegnamento geopolitico e geoeconomico, all’interno del quale si inserisce a pieno titolo quell’ ”oscuro” fenomeno null’affatto solo giudiziario che fu Mani Pulite.
Evidentemente il nostro Ciampi, in scioltezza spalleggiato da Washington, Londra e Bruxelles, assurgeva a fidato alfiere del processo di sgretolamento predisposto per l’Italia.
Crisi finanziaria italiana 1992: “Un quadro che presuppone per la seconda volta la morte della Patria: non più l’8 settembre 1943, ma piuttosto il 12 settembre 1992 quando Banca d’Italia, Palazzo Chigi e Quirinale dovettero arrendersi e svalutare la Lira perché soverchiati dalle forze della speculazione. E forse presuppone persino che i mercanti allontanino garbatamente Dio e Cristo dal Tempio per cambio gestione. Perché loro è la religione subentrante: di Mammona, del Vitello d’Oro, dell’utilitarismo” (Giano Accame) “Il potere del denaro svuota le democrazie”, Settimo sigillo, 1998.
In uno scenario politico sempre più cumulo di macerie, nasceva il primo governo tecnico della storia della Repubblica, con a capo il Gran Maestro (aprile ’93- maggio ’94). Sintomo palese di una frattura storica. Prima di lui, fu Badoglio. In seguito ad un colpo di Stato. Allora il ’43, ieri il ’92. E ho detto tutto. Il governo Ciampi non badò, come naturale che fosse, alla tenuta del sistema. Nacque per gestire un itinerario all’interno di una transizione eterodiretta.
31 gennaio 1993 Spadolini dichiara: “Viviamo in un momento pericoloso, non posso escludere neanche l’ipotesi di azioni destabilizzanti e violente”.
Ottobre 1993 La Procura di Trento apre un fascicolo in cui inserisce i nomi di alcuni terroristi croati, di terroristi fascisti italiani e di alcuni avventurieri internazionali e due “insospettabili” romani che avrebbero contattato gruppi di mercenari stranieri per dare l’assalto al centro RAI di Saxa Rubra; l’intervento doveva svolgersi nell’ambito di un progetto di colpo di Stato. In una intercettazione agli atti dell’inchiesta, uno degli inquisiti dice: “Lei avrà quel che le serve. I soldi non sono un problema ma lei deve garantire il pieno controllo dell’obiettivo per tutto il tempo che sarà necessario. Al resto pensiamo noi, i nostri uomini prenderanno il controllo dei ministeri più importanti. Voi dovete entrare nel centro RAI di Saxa Rubra e tenere sotto controllo ogni struttura della emittente di Stato. Costi quel che costi”.
Il 26 luglio 1993 alla fine la Dc si scioglie. In politica i vuoti non esistono, perché vengono subito colmati. Così come dallo scioglimento dell’Urss sono nate una marea di repubbliche, dallo scioglimento dei vecchi grandi partiti nasce una marea di partitini, che non vale certo la pena di elencare tutti. Ma su due di essi vale la pena fare un accenno: -----La Rete, che si inserisce appieno nel contesto mafioso fin qui esplicato ----. Leoluca Orlando giunta Dc-Pci. Si consideri che la casa di Leoluca Orlando era difesa dall’esercito con pezzi di artiglieria pesante… -----Il Patto Segni, portavoce più fedele dei propositi espressi nel “piano di rinascita democratica” ------
Il 15 gennaio 1993 il feudatario Totò Riina viene arrestato, probabilmente per volere del feudatario Bernardo Provenzano.
16 aprile 1993 si dimette Giuliano Di Bernardo da capo della massoneria di Palazzo Giustiniani. Il 18 annuncia la nascita di una nuova obbedienza massonica.
Il 27 maggio 1993 bomba a Firenze. Altre bombe: 2 giugno, 27 e 28 luglio.
“Leoluca Bagarella mi disse in maniera molto chiara che i veri mandanti e ideatori degli attentati erano da ricercare in ambienti economici, politici e massonici” (Tullio Cannella, deposizione alla corte d’assise di Firenze 25 giugno 1997)
bombe 1993 Roma e Milano rivendicate da un telefono cellulare di proprietà di un cittadino israeliano…
stragi 92-93 – conseguenza di trattativa con Stato: “inabissamento della mafia”, secondo Beppe Pisanu, il gazzettino 1 luglio 2010.
Bossi agente dell’aggressione internazionale mossa contro l’Italia intera, Padania inclusa.
Bossi ipnosi di massa – come Hitler – ma Hitler perlomeno aveva un substrato programmatico ----- non il nulla come Bossi. Non discorsi da bar dello sport gridati nelle piazze.
Voto per lega nord voto antipartitocratico dei qualunquisti – partito privo di un progetto politico
La caratteristica della lega nord era l’essere un partito di destra che da tempo in molti settori veniva auspicato, sicuramente anticomunista, avverso al Pds ed alternativo alla Dc, ma privo dell’etichetta fascista che veniva spesso affibbiata perfino al Pli. Grazie a queste caratteristiche tale partito poteva permettersi liberamente comportamenti e ---------- del tipo “andremo a prendere tal dei tali casa per casa” senza che nessuno si sognasse di protestare, mentre per chiunque altro sarebbero insorti mari e monti. ------- visto che la maggior parte della “vecchia guardia” di quel partito arrivava proprio dall’Msi; il numero due Franco Rocchetta aveva fatto parte di quel gruppo che nel 1967 si era recato in Grecia --------. Ma tant’è, si sa, in questo mondo è l’apparenza ad avere rilevanza, non la sostanza. Evidentemente il cuoco delle feste dell’unità Umberto Bossi bastava a rabbonire ---------. Ovviamente il difetto di questo partito stava nell’essere localizzato solamente al nord. Inoltre Bossi era perfetto per le ----- Bossi ci ha dimostrato tutta la sua cultura e intelligenza quando commentando una frase di ------ fece intendere che a suo vedere i tedeschi usassero la parola “giudei” come dispregiativo di “ebrei”, forse senza valutare che i tedeschi non parlano in italiano, ed il “giudei” non è altro che il doppiaggio cinematografico (dal quale Bossi ha certamente attinto questa sua convinzione) dell’unica parola tedesca che definisce gli ebrei, ovvero “juden”. Il personaggio più adatto a ricoprire cariche politiche----non si può negarlo. E così per il suo degno erede.
Lega nord: non è causale che all’interno di una serata di current tv dedicata alla mafia (tra cui la presentazione del libro “Il patto”) sia stato inserito il documentario “la storia della lega nord”…
E non dimentichiamo i soldi con la faccia di Bossi, che venivano ceduti in cambio di lire italiane, ma si guardavano bene di ritirarli restituendo le lire. --- la banca del nord ----
Se si considera che nemmeno Mussolini si fece mai effigiare in una banconota…
Rocchetta
Eppure nessuno nota le assonanze di Bossi con Hitler.
Ma a parte l’elemento bonaccione, che porta a sottovalutare la pericolosità che questo partito doveva avere nei progetti di chi lo ha “coltivato”, un’analisi più accurata -----.
Lega nord: propositi e comportamenti -------mente ben peggiori dei peggiori imputati a quelli dei partiti rifacentesi al fascismo, eppure -------------. Nessuno sembra rendersi conto che probabilmente Adolf Hitler veniva visto dai tedeschi prima del 1945 come oggi Umberto Bossi viene visto dai leghisti… ed il parallelo è più che azzeccato sotto più punti di vista, il primo di tutti il carisma che sembra suscitare. E per di più d--- Bossi un carisma fine a se stesso, basato sul nulla politico- ideologico! ---qui o su bar sport?----o unire qui i due??----
E se si crede che il pericolo è scampato si consideri ---Fini oggi-----. Quelle forze agenti espressamente per restituire l’Italia ad una sorta di governo tecnico (tipo quelli di Amato, Ciampi, Dini o Prodi) in linea con i “dettami” dell’Alta Finanza internazionale. Credo fermamente che l’operazione di disgregazione che Fini ha condotto all’interno del PdL sia assolutamente indirizzata a riportare la nostra nazione nelle grinfie della banca d’affari americana Goldman Sachs (e dei suoi “agenti” alla Mario Draghi). Appaiono infatti intenzionali e calcolati a tavolino la sua ininterrotta conversione ideologica e il riposizionamento su tematiche di grande interesse (come il problema immigratorio), che hanno tra l’altro contribuito a determinare il notevole aumento percentuale della Lega Nord (i cui Sindaci farebbero bene ad intitolare a Fini una piazza o una strada in ogni Comune da loro amministrato…); la stessa ostinazione a rimanere all’interno del governo appare altresì strumentale al boicottaggio dell’improrogabile riforma della Giustizia, tanto annunciata ma purtroppo mai attuata da Berlusconi… Penso che i tentativi di delegittimare Berlusconi e l’inconfessata volontà di far implodere il PdL (al Nord sempre più prosciugato nei consensi dal Carroccio) con la Lega Nord che pur raccogliendo alte percentuali, difficilmente tornerà a governare (salvo ribaltoni), siano mirati a favorire quei “poteri forti” che continueranno tranquillamente a saccheggiare le nostre risorse. (Piero Puschiavo, 2010)
Se qualcuno avesse preso sottogamba l’ipotesi “jugoslava” auspicata per l’Italia si ricordi che negli anni 92-93 due o tre volte i giornali riportarono notizie di esercitazioni militari lungo il fiume Po definite, con cautela dai giornalisti, e con preoccupata sdrammatizzazione dai leghisti, anti-secessione del nord. -----Mercenari in Croazia ------ proprio la Germania, nel giugno 1991, la prima nazione europea a riconoscere le neonate Slovenia e Croazia. Partendo da questo dato, sostiene, diventa credibile un’opzione politica tedesca che preveda un’Italia settentrionale indipendente, ma legata all’area del marco. Il tutto con il benestare degli Stati Uniti. “Tra Germania e USA”, dice, “esiste una solida concertazione in politica estera. Washington vuole controllare il Mediterraneo, ma ha bisogno dei tedeschi per governare la NATO.
Vi sono gli elementi, insomma, per immaginare l’arrivo di denaro nelle casse della Lega e degli altri secessionisti, gentilmente inviato da frange dell’imprenditoria locale, interessata all’affermarsi del modello economico proposto dal Carroccio e di fatto già applicato in alcune aree del Nordest. Un modello che prevede l’annullamento del sindacato, il superamento dei contratti collettivi di categoria attraverso accordi ad personam e un totale liberismo garantito da una classe politica compiacente.
In tutto questo ------ si inserisce l’episodio dell’assalto al campanile di San Marco --------. Ora, non sono ben chiari gli eventi, ma ci si dica come è possibile che un mezzo come quello arrivi indisturbato fino all’imbarco del ferry boat, lo sequestri, e sbarchi in piazza San Marco, con tutto il tempo restante per arrampicarsi sul campanile. Senza che fino a questo momento nessuno ne sia stato informato. E’ semplicemente impossibile.
Insomma negli anni seguiti alla caduta del muro di Berlino si svolse un offensiva contro l’Italia ----.
Tale offensiva si svolse anche in ambito extranazionale, in particolare nel paese che aveva mantenuto i più saldi legami neo-coloniali con l’Italia: la Somalia. Per comprendere lo sconquasso provocato dalla fine del comunismo si pensi alla Repubblica Sudafricana, dove in seguito a tale evento è stato abolito l’apartheid.
Spiegazione di quanto successo dopo 1990: “Con il nemico scompariranno progetti, orgoglio, motivazioni e soprattutto finanziamenti da mille e una notte, le spie saranno costrette a sciamare fuori dalle loro tane” Gianni Flamini, “Il libro che i servizi segreti italiani non ti farebbero mai leggere”, Newton Compton ed., pag. 34.
Le sue parole al convegno I Nobel a Milano, riecheggiano la solita solfa del linguaggio moderno-liberista: “… i mali d’Italia si identificano in tre rigidità: quella del sistema economico finanziario, basato su grandi imprese in gran parte di proprietà pubblica incapaci di sviluppare un vero mercato del capitale di rischio; la rigidità del mercato del lavoro e del sistema fiscale; la rigidità della pubblica amministrazione.
« Assieme, queste tre rigidità - afferma Ciampi - hanno disegnato un volto del sistema economico italiano in cui la propensione naturale per il mercato è stata svilita, in cui lo stato è stato troppo presente dove non avrebbe dovuto essere - favorendo in tal modo l’inquinamento da corruzione - e non abbastanza presente dove avrebbe dovuto: nell'azione in difesa della concorrenza, nello sradicamento dell'economia criminale, nella promozione dei mercati finanziari al servizio di tutti». [da “I giorni dell’IRI” di M. Pini]
Nel 1993 comparvero in tutte le città d’Italia manifesti raffiguranti neonati e la didascalia “fozza Itaia”, sui quali tutti si domandavano il significato. ---26 gennaio 1994 fondata forza italia---
1993 offensiva contro la destra stesso motivo di 1973-4, per evitare che i voti persi da Dc vadano a partito fascista.
19 aprile 1995 attentato Oklahoma City --- attuato da destra delle milizie. Esse raggiunto il massimo sviluppo nel 1994. dopo tale attentato torna ad essere marginale nel panorama politico. Con un reflusso verso la destra conservatrice e governativa.
----tirare i voti fuori dal frigorifero-------
Il nome “Alleanza nazionale” non è casuale: fu scelto per definire il partito o coalizione che avrebbe dovuto contrapporsi all’analoga “Alleanza Democratica”, partito o coalizione che si sarebbe formato a sinistra (in previsione di un sistema a soli due partiti di cui tanto si parlava allora) e che appariva incontrastabile senza un’“Alleanza nazionale”.
Ma a rompere le uova nel paniere a entrambi intervenne Silvio Berlusconi. Cosicché alla fine “alleanza democratica” nacque come aborto che poi confluì essa stessa nella coalizione dei “Progressisti” (meglio nota come “gioiosa macchina da guerra”).
Silvio Berlusconi rompé le uova nel paniere a chi aveva già preparato accuratamente un progetto di un dualismo incardinato su Occhetto-Segni. Non si scordi che i governi italiani hanno sempre rispecchiato quelli britannici. ----- Aggiungere di Pietro a lista politici di Segni------
“La vita cambiò perché ci venne incontro la possibilità di potere, subito abortita in quei mesi febbrili quando Pinuccio Tatarella, forte d’ingegno e di strategia, capì presto la mala parata: i poteri forti. Saranno loro ad avvelenare questa opportunità di cambiare l’Italia e sottrarla al conservatorismo della sinistra. La vita cambiò perché il Cavaliere si faceva carico di sbrogliarsela con un progetto perfino eversivo: rovesciare l’establishment” (Pietrangelo Buttafuoco)
difatti Giovanni Bagnetti nel suo “La divisione dei poteri” (1994) conferma la tendenza in atto a spostare il centro di gravità del potere dal legislativo all’esecutivo. Il potere legislativo, pur favorendo una forma di collegamento con le masse tramite i partiti, ha sempre rappresentato un ostacolo a ---decisioni---- (si pensi ai ritardi di intervento in economia) con grave ripercussione su ---------. Per non parlare della -------presunta---- sorta di extraterritorialità dei partiti verso ogni ambito ----------, che ha alimentato un’illegalità diffusa, fenomeni di presa di possesso in pianta stabile di intere istituzioni, lottizzazione delle cariche pubbliche, ed inasprimento ideologico della vita politica, eliminando così ogni forma di elasticità nell’esercizio del potere.
“Là dove provvedimenti economici radicali hanno ristrutturato lo Stato sociale si è determinato uno scontento che ha invertito il ciclo politico, mentre là dove non si è osato prendere drastici provvedimenti è il ciclo economico a invertire la tendenza” ----- Umberto Cerroni, “Il pensiero politico del novecento”, Newton ed., pag. 75. ---- Grecia, Argentina, Berlusca?-----
governo Lamberto Dini?
Ecco finalmente compreso perché la lega ha fatto quella cosa (cadere berlusca) nel 1994…
Regime Dc fatto cadere per lo stesso motivo economico della caduta del fascismo (Iri – avversione agli gnomi)
Classe economica, quella che De Gasperi definì il quarto partito –oltre dc psi pci
Ed oggi? Come il fatto che prima dello scandalo P2 essa fosse segreta, oggi nulla impedisce che vi sia un analogo gruppo ugualmente segreto. Anzi, sarebbe da stupirsi del contrario.
Il ----giorno dopo morte ventura--- agosto 2010 il gazzettino scrive di Freda: “un uomo sconfitto dalla storia”. Un leit-motiv totalmente errato. Finchè ci saranno persone che telefoneranno alle due di notte ai medici per paura di essere stati contagiati dall’antrace, il terrorismo non potrà mai essere sconfitto. Potranno cambiare i contesti storici, ma il terrorismo funzionerà sempre per imporre determinate volontà. Gli attentati di Madrid del 2004 ce l’hanno confermato una volta per tutte.
Ancora più ------ l’errata convinzione che “il terrorismo non ha vinto”. Ora, dato che il comunismo non ha preso il potere, e ciò è stato ottenuto senza la necessità di ricorrere a soluzioni cilene, ed essendo stato proprio questo lo scopo del terrorismo, ci si dica dove si deduce che non avrebbe vinto… Il terrorismo ha vinto e vince continuamente ogni singolo giorno che passa, come desiderato dagli ---autori--- che non sono certo i manovali, ma si può dire in un certo senso siano tutti quelli che dallo status quo traggono vantaggio particolare, ovverosia almeno il 90% delle persone (per non dire indirettamente tutti), e questo tramite i politici eletti in loro rappresentanza.
Armi di distruzione di massa in Iraq ---- su Maine----
bombe 1993 come Budda di Bamiyan (più rilevanti che 11 settembre per spingere a guerra contro Afghanistan).
ad esempio facendo passare guerre d’aggressione per azioni umanitarie. La massoneria nordista utilizza in modo notevole i media a tale scopo.
“Non esistendo più, in una situazione del genere, il senso del ridicolo, viene dato credito e diffusione alla panzane più romanzesche” Gianni Flamini, “Il libro che i servizi segreti italiani non ti farebbero mai leggere”, Newton Compton ed., pag. 191. ----riguardo antrace e armi distruzione massa, neologismo di moda entrato nel lessico comune ------
La gente anche oggi rimane certamente impressionata nel vedere le auto-bomba esplodere a Baghdad. Nel settembre 2005 due soldati inglesi delle SAS camuffati da arabi col turbante vennero arrestati dalla polizia irachena dopo essere fuggiti a un posto di blocco ed aver intrapreso un conflitto a fuoco con essi. Presto fu chiaro il perché della fuga: portavano un auto-bomba, una delle molte che spesso in tv si vedono esplodere a Baghdad[296]. Più chiaro di così…
Dopotutto anche nel 2009 in Italia, a Pordenone, vennero scoperti dei militari americani compiere azioni antisemite.
Sugli “anni di piombo” non serve inoltrarsi, la bibliografia è già vasta sul tema, seppur troppo sottovalutata e costellata da “segreti di Pulcinella”. Ma è necessario puntualizzare che oggi la strategia non è molto cambiata se si osservano certi particolari. Purtroppo vi sono molte persone funzionali: finché si continuerà a diffondere lo stereotipo che i fascisti sono pazzi, è più che prevedibile che ogni pazzo si dica fascista ed utilizzi questa aggregazione come occasione per sfogare la sua follia. Quelli la cui attività politica si limita ad andare due volte l’anno a Predappio a farsi fotografare vestiti come Bracardi sono più che funzionali. I vari Bertoli.
Nel 1993, anno nel quale l’accanimento mediatico verso la destra raggiunse l’apoteosi più inconcepibile (stratega: il “sociologo” Luigi Manconi), si arrivò a mettere alla gogna i cosiddetti “naziskin” per ogni reato che fosse stato compiuto da una persona calva! E che dire dell’utilizzo ad arte del prefisso “neo”, solitamente identificato popolarmente con “neofascismo”, e dai media affibbiato perfino ai terroristi buddisti di Shoko Asahara (definiti “neo-buddisti”) come se tale parola indicasse “estremo” anziché “nuovo”; ovviamente a ben pochi poteva capitare di domandarsi in cosa fosse “neo” il buddismo di quei terroristi orientali… ma per i media tutto fa brodo per raggiungere i propri scopi, anche coniando o adottando neologismi assurdi e dosando sapientemente la semantica delle parole buone per tutti gli usi, come abbiamo visto con l’esempio della coniazione del dispregiativo “negazionismo”, ideato dai fanatici debunker di internet ma da un certo momento incredibilmente ripreso letteralmente perfino dai media nazionali. Per non parlare dei vari suffissi “fobia”, tra cui il recente “omofobia”, ovvero “paura dell’uguale”…
“La serva è ladra, la padrona è cleptomane” (Trilussa)
14 maggio 1994 manifestazione skinhead Vicenza – cagnara montata a più non posso ---- come 1973-74 -----
secondo Ugo Lo Porto, sottosegretario alla difesa (AN), organizzata dal Mossad. -----gazzettino 18 maggio 1994 ------- Ed i motivi non dovrebbe servire puntualizzarli…
Oggi, scomparso il “comunismo”, non dovrebbe più esserci apparente ragione da parte fascista di appoggiare gli USA come avvenne col Vietnam. Oggi il nemico è comune e gli scopi altrettanto. Solo i metodi sono diversi. L’ala comunistoide del proletariato fa riferimento sia alle vaghezze marxiane per alcuni, allo statalismo sovietico per altri. L’ala fascista del proletariato vuole come sempre la distribuzione del potere sia politico che economico al popolo, tout court, sotto forma di socializzazione dello Stato e dei mezzi di produzione. Purtroppo in tale area sussistono ancora persone che consapevolmente o meno continuano a scimmiottare i luoghi comuni della propaganda più becera sul fascismo. Pregiudizi xenofobi, violenza, dogmatismo, feticci, nostalgismo, autocollocazione a destra. Tutto questo rappresenta una barriera per chi, da sinistra marxista, osa guardare verso la socializzazione fascista. D’altra parte, anche tra di loro, tra i marxisti c’è chi continua imperterrito ad impersonare l’utile idiota del potere, e ne abbiamo un chiaro esempio nelle critiche da sinistra alla manifestazione del 13 dicembre 2003. Durante la guerra in Iraq fu organizzata per quel giorno una manifestazione a Roma indetta dal “campo antimperialista” che si proponeva di riunificare gruppi di destra e di sinistra. Da entrambi gli schieramenti si mobilitarono i manutengoli del potere strumentalizzati dai diretti infiltrati. Non era una novità, già Franco Freda in un’intervista aveva descritto questa prassi: “La formula paradossale del nazimaoismo - non del tutto falsa, ma anche non del tutto giustificata - permette di scindere i suoi elementi costitutivi, perché i comunisti mirano a rilevare l’aspetto nazi per terrorizzare i compagni e i neofascisti del MSI mirano ad evidenziare gli aspetti maoisti per impaurire i camerati”. Nel caso in questione, a sinistra ciò si espresse soprattutto in Indymedia[297]; a destra invece un partito indì precipitosamente per lo stesso giorno una manifestazione all’altro capo della città, con l’evidente unico scopo di sottrarre militanti per impedirgli di partecipare a quell’altra manifestazione. Nonostante a destra sia a tutti noto il ruolo di questo particolare partito, esso ha ripreso la stessa prassi tipica di Delle Chiaie, facendo dell’intimidazione il suo sostegno. Tanto che continua tutt’oggi, dopo ben 15 anni, a raccogliere consensi nonostante tutto. Interessante parallelo di continuità… che avvalla i pregiudizi della sinistra. Cui prodest?
“Innaturale è invece la rigidità e l’ostilità dei veri comunisti nei confronti della destra che si è allontanata dal MSI ed è tornata alle origini fasciste in senso antiamericano, anticapitalista” (Maurizio Murelli)
Nel contesto democratico anche i partiti antidemocratici sono costretti a ricorrere alla demagogia, dato che come è noto elettoralmente e consensualmente pagano di più le cose immediatamente comprensibili da tutti, come la persecuzione degli immigrati e l’opposizione all’aborto piuttosto che temi veramente fondamentali ma complicati come possono essere quelli concernenti la reimpostazione radicale di tutto il sistema stesso. L’organizzazione politica che più di ogni altra si dimostrò legata alla socializzazione fu “Sinistra nazionale” a partire dal 1988, sull’onda degli ideali di Beppe Niccolai. Ma rimase un movimento minoritario, per gli stessi motivi per i quali l’ala rautiana dell’MSI non aveva elettorato. Durante la breve segreteria Rauti, la tradizionale cultura politica missina, autoritaria, conservatrice e piccolo borghese, ispirata al “fascismo-regime”, viene emarginata a favore di una cultura anticapitalista, antioccidentale e sinistrorsa nella quale si ritrovano elementi del “fascismo-movimento” e nuove acquisizioni, quali la tolleranza e la plausibilità delle differenze. Grazie a queste innovazioni culturali il MSI, contrariamente ad altri partiti della estrema destra europea rifiuta decisamente il razzismo (anche se alcune frange giovanili indulgono ad atteggiamenti ostili soprattutto nei confronti degli ebrei). A ogni modo, nonostante la peculiarità di queste riflessioni, i cardini teorici della liberaldemocrazia continuano a essere chiaramente rifiutati in quanto costituiscono “il portato nefasto della rivoluzione francese”.
“L’anticomunismo non può essere fondato su motivi nazionali morali e politici; oggi, e senza dubbio per qualche tempo ancora, il comunismo appare integrato nel sistema in una curiosa simbiosi di marxismo-neocapitalismo sicché le precedenti contrapposizioni sono divenute scarsamente credibili mentre ogni giorno di più appare evidente la diserzione comunista dagli spalti rivoluzionari e persino dagli spazi della protesta. Ciò significa che l’attacco da destra (...) non deve essere più il tradizionale attacco frontale in termini nazionali e morali (...) deve assumere il suo risvolto sociale, protestatario, d’alternativa”. (Pino Rauti, dall’XI Congresso del Movimento sociale italiano, Roma, 14-16 gennaio 1977)
Difatti nel 1990 la segreteria di Pino Rauti si rivelò effimera dato che l’elettorato dell’MSI era prettamente di destra, mentre Rauti si rivolgeva soprattutto al proletariato.
“Un briciolo di utopia per dare un avvenire al nostro passato” (motto della segreteria Rauti, 1990)
La gestione di Fini moderata e conservatrice provoca una situazione di stallo all’interno del partito, della quale hanno approfittato marginalmente alcuni gruppi extraparlamentari: Meridiano Zero, Movimento Politico Occidentale, Fronte Nazionale, Lega Nazional-popolare, Veneto Front Skinheads. Solo in seguito a tangentopoli, nel 1994 finalmente il progetto di Gelli andò in porto: i voti dell’MSI furono “scongelati” grazie a Gianfranco Fini che lo trasformò in “Alleanza Nazionale”, mantenendo una continuità simbolica grazie all’accesso di Alessandra Mussolini nel partito. Ma data la natura da subito rivelatasi apertamente filo-sionista era solo questione di tempo che i rautiani se ne uscissero per fondare un partito che li rispecchiasse. Da quel momento fu tutto un fiorire di partitini ed alleanze varie, divenuto caratteristica tipica di quell’area, incomprensibilmente data l’entità sia di voti che di potere. Dal che ne derivò la coniazione del termine “ducismo” indicante la propensione di ogni militante a voler condurre il suo partitino personale. Poco chiaro è invece da dove giungessero i finanziamenti ad alcuni di questi partitini[298]. Con queste premesse ci sembra assurdo rivolgersi a questi piccoli personaggi come guide dell’ideale socializzatore.
Ci sembra giusto concludere questo capitolo con le parole di Enzo Pezzato apparse su “Repubblica Fascista” il 22 aprile del 1945, poco prima di essere ucciso dai partigiani, che esprimono in maniera chiara e determinata il pensiero di Mussolini: « Il Duce ha chiamato la Repubblica italiana sociale non per gioco; i nostri programmi sono decisamente rivoluzionari le nostre idee appartengono a quelle che in regime democratico si chiamerebbero “di sinistra”; le nostre istituzioni sono conseguenza diretta dei nostri programmi; il nostro ideale è lo Stato del Lavoro. Su ciò non può esserci dubbio: noi siamo i proletari in lotta, per la vita e per la morte, contro il capitalismo. Siamo i rivoluzionari alla ricerca di un ordine nuovo. Se questo è vero, rivolgersi alla borghesia agitando il pericolo rosso è un assurdo. Lo spauracchio vero, il pericolo autentico, la minaccia contro cui lottiamo senza sosta, viene da destra. A noi non interessa quindi nulla di avere alleata, contro la minaccia del pericolo rosso, la borghesia capitalista: anche nella migliore delle ipotesi non sarebbe che un’alleata infida, che tenterebbe di farci servire i suoi scopi, come ha già fatto più di una volta con un certo successo. Sprecare parole per essa è perfettamente superfluo. Anzi, è dannoso, in quanto ci fa confondere, dagli autentici rivoluzionari di qualsiasi tinta, con gli uomini della reazione di cui usiamo talvolta il linguaggio ».
IL CAPITOLO 1 VA SOLTANTO AGGIUSTATO IN ALCUNE SUE
PARTI GRAMMATICALI MA LO RITERREI DEFINITIVO.
IL CAPITOLO 2 VA ALLEGGERITO NELLA SUA PARTE
CENTRALE CON CONCETTI TROPPO LUNGHI.
2
2.1 Preambolo ---
o Per cominciare?
“Noi non abbiamo niente in contrario alla gestione completa di tutte le
industrie e servizi pubblici da parte dei sindacati e dei produttori. Noi
fascisti non abbiamo pregiudiziali di sorta. Se ci si dimostra che la gestione
collettiva dà un rendimento maggiore della gestione individuale, noi siamo
favorevoli alla prima e contrari alla seconda e viceversa” - Mussolini,
Il Popolo d’Italia, 14 settembre 1920
A noi ora sta dimostrarlo.
“Il programma fascista non è una teoria di dogmi sui quali non è più tollerata discussione alcuna. Il nostro programma è in elaborazione e trasformazione continua, è sottoposto ad un travaglio di revisione incessante, unico mezzo per farne una cosa viva, non un rudere morto” (Mussolini, Il Popolo d’Italia, 28 dicembre 1921)
La socializzazione da proporre oggi non è implicito debba essere dogmaticamente cristallizzata a quella che fu proposta quando tutto il sistema economico era ben diverso da quello attuale. Anche il liberismo si evolve; il cinema non è più in bianco e nero. Quanto detto in precedenza riguardo l’equivalenza del concetto “cosa produrre, come, e per chi” poteva essere valido al tempo in cui il distributismo fu concepito, ma da allora sono sorte nuove problematiche differenti, sulla base delle quali ci proponiamo in questo testo, partendo dai presupposti distributisti, di arricchirne l’analisi e proporre soluzioni adeguate alla società odierna.
Innanzitutto partiamo da un equivoco molto diffuso, ovvero che in alcune aziende, tra cui Mondadori, Fiat, Montecatini, Marelli, la socializzazione fu avviata. Questo non corrisponde a verità: in quelle aziende che vengono confuse come “socializzate”, si erano solamente svolte le elezioni corporative per i consigli di gestione, necessari in previsione della nascitura socializzazione. In nessuna azienda la socializzazione fu avviata. La data prevista per l’operazione era il 21 aprile.
“Dispongo che mi venga comunicato se in seguito alla pubblicazione del decreto sulla socializzazione sia stato effettuato nelle vostre aziende qualche tentativo di applicazione della nuova legge, oppure si sia giunti a qualche concreta realizzazione anche parziale. In caso di risposta affermativa, dispongo che mi vengano forniti i dati relativi, segnalandomi il nome delle persone che si siano fatte iniziatrici o abbiano partecipato ai fatti. Con l’occasione tengo a sottolineare esplicitamente che la legge sulla socializzazione non è attualmente in vigore. L’articolo 46 contempla che essa possa entrare in vigore nel giorno fissato da un successivo decreto del Duce. Se in futuro si notassero delle tendenze alla socializzazione nelle vostre aziende comunicatemelo senza indugio e con tutti i dettagli” (Hans Leyers, comandante del RUK, organo tedesco di sovrintendenza della produzione industriale italiana[299])
A Leyers non arrivò mai una comunicazione di questo tipo. La socializzazione codificata pudicamente nella “Carta di Verona” come semplice cogestione non la discosterebbe poi di molto dagli attuali rapporti della proprietà coi normali sindacati odierni... così come il corporativismo non si discostava molto dall’attuale “total quality management”. Ciò conferma che l’attuale esistenza di sindacati non costituisce una realizzazione di questo aspetto del distributismo, perché i sindacati sono organizzati allo scopo di promuovere gli interessi di classe senza considerarne le vere conseguenze collettive. D’altra parte, bisogna sottolineare che l’opera dei sindacati non costituisce affatto una minaccia per il capitalismo, al contrario, in quanto organizzazioni create per mercanteggiare con i padroni a nome dei lavoratori, i sindacati giocano una parte essenziale nel funzionamento del sistema liberal-capitalista.
“L’accorciamento dell’orario di lavoro non ha creato nuovo lavoro ma solo straordinari” (Geminello Alvi)
Il sindacalismo per sopravvivere ha bisogno di masse proletarie povere, così da poterle manipolare ideologicamente e istigarle allo scontro sociale come principale mezzo di ricatto per ottenere ricompense dai capitalisti. Inevitabile quindi che essi vedano come il fumo negli occhi qualunque realistica ipotesi di miglioramento delle condizioni delle masse proletarie quale è la socializzazione. Abbiamo già visto che i sindacati ricevettero il plauso di Agnelli per il loro boicottaggio delle ------- della socializzazione. A dimostrazione dell’immaturità degli operai istigati dai sindacati proni ai padroni, nelle elezioni per i consigli di gestione in alcune aziende risultò eletta Greta Garbo a presidente. Chissà se qualcuno l’avrà mai informata di questa carica ottenuta…
Abbiamo visto anche l’impazienza con la quale i vincitori si affrettarono ad abolire la socializzazione. Ma quelle che Mussolini definì “mine sociali” erano state alfin gettate oppure no? In realtà quello che fu buttato fuori dalla porta fu fatto rientrare dalla finestra, cosicché la frase di Bombacci si rivelò veramente profetica. Italia 1944-46: fondate 9.000 cooperative – 1949: arrivano a 23.000 --- lavoro pag. 181.
-----------Mettere il cappello qui?????----
Ma tali cooperative, inserite in un sistema per il resto liberista hanno spesso dimostrato di non poter reggere la competizione di aziende “spremute”, per questo dovettero limitarsi a settori ed attività di nicchia e marginali ---- e --- pochi soci ------ vedi pag. 183-4 lavoro.
un problema che incontrano diverse cooperative è la dipendenza da un singolo acquirente dei prodotti o servizi da loro forniti (monopsonio).
Da parte confindustriale si può accettare un sistema cooperativo formato da piccole imprese che non sono in grado, né vogliono giocare a tutto campo, ma l’esempio di grandi imprese, capaci di crescere e competere rappresenta quasi un affronto anche “ideologico”. ----- Lodovico Festa, Giulio Sapelli, “Capitalismi”, Boroli ed, pag. 130. ----
La regola d’oro per dominare il mercato, la sappiamo tutti, è di avere il prezzo più basso in relazione alla qualità del prodotto, il che potrà sembrare che tale tendenza porti un fattore positivo se non prendiamo in considerazione come il prezzo viene diminuito. Per l’appunto il prezzo può diminuire solo attraverso la conquista di nuovi mercati più convenienti sia sui prezzi di lavoro che sulle risorse naturali, ciò genera nel capitalismo la tendenza all’espansione che porta ad una forma di imperialismo che da economico si traduce in politico. La differenza di mercato che sopra ho citato non è eterna, anzi la tendenza è quella alla omogeneizzazione dei prezzi, da ciò nasce la globalizzazione ovvero l’interrelazione globale tra i metodi produttivi e i prezzi dei prodotti. Centrale come problema in questo periodo capitalistico è proprio il prezzo del lavoro, perché non si tratta di cose inanimate ma di uomini in carne ed ossa che subiscono tale competizione economica come se fossero oggetti. ----qui o su critiche alla socializzazione?------
Nelle spa “i proprietari del capitale, ossia gli azionisti, sono quasi interamente dissociati dall’amministrazione, col risultato che l’interesse personale diretto degli amministratori nel conseguimento di grandi profitti diventa del tutto secondario. Quando si è raggiunto questo stadio saranno più considerate dagli amministratori la stabilità generale e la reputazione dell’ente che il massimo profitto per gli azionisti” (John Maynard Keynes) ----“ la fine del laissez faire”-----
da quando il mercato è divenuto globale le prospettive temporali del capitalismo sono cambiate da un orizzonte a breve medio termine sono passate a breve brevissimo termine, cioè bisogna fare profitti prima che si può in modo da dare dividendi agli azionisti e tenere alto il valore delle azioni. Come io nel mio piccolo sposterei i miei risparmi in una banca che mi desse il doppio, così se fossi un imprenditore sposterei i miei investimenti dove mi renderebbero di più.
Il capitale agisce in modo automatico senza alcuna etica: Se in uno stato l’operaio lavorasse sedici ore incatenato al macchinario e frustato in caso di scarsa resa, il capitale accorrerebbe verso di esso. Solo gli stati possono imporre un etica. ------qui?------
Riguardo concorrenza estera: difficile ipotizzare che i lavoratori-soci rinuncino al lavoro a causa di ricavi sotto il livello di rendimento del capitale, in mancanza di alternative. E se le alternative ci sono, ben venga la riconversione ad attività più remunerative (e quindi più utili collettivamente, profitto simbolo di tale utilità ---–profitto=produzione---) .
A differenza del sistema liberista costellato dalle diatribe tra gli attori sul miglior impiego del capitale che portano alle aberrazioni di produzioni utili che chiudono per motivi economici quasi sempre inesistenti o sorvolabili (vedi Olivetti e la quasi persistente cronica incertezza Fiat).
Il break even (punto di pareggio uscite-entrate) sempre quello rimane.
“La criticità nel mercato del lavoro […] non può più essere affidata a una concezione formalistica e burocratica dei rapporti di lavoro che alimenta un imponente contenzioso e un sistema antagonista e conflittuale di relazioni industriali” (Maurizio Sacconi, “Libro bianco sul futuro del modello sociale”) ----qui??----
Socializzazione incipiente (Tremonti, Sacconi): preconizzata già da Joseph Schumpeter.
il problema fondamentale, quello della “giustizia nel campo economico” dovrà essere risolto e la soluzione non potrà essere che socialistica: il passaggio alle collettività operaie dei mezzi di produzione e di scambio. (Benito Mussolini) Tratto da Resoconto Stenografico del XIII Congresso Nazionale del Partito Socialista Italiano – Tipografia dell’”Unione Arti Grafiche” - Città di Castello, 1913).
In un articolo di fondo apparso alcuni anni or sono su “Il Giornale d’Italia”, fra l’altro si leggeva: 6) diritto alla iniziativa privata in quanto molla di ogni progresso sociale contro l’appiattimento collettivista e le concentrazioni capitaliste;
Giorgio Sorel che copre col suo dileggio le associazioni politiche dominate e utilizzate a scopi elettorali dai professionels de la pensée e ritiene che il passaggio del vecchio al nuovo mondo, dalla civiltà borghese alla civiltà socialistica avverrà per via economica e non per via ideologica, avverrà cioè nella fabbrica e non nel parlamento, collo sciopero generale e non coi provvedimenti di un’assemblea di legiferatori. (idem)
“Rivoluzione” fabianista non da uno sciopero generale come dice Sorel, ma da teorema di ---------- quello basato su imposta------. ----qui??----
“Il movimento cooperativo è fondato sulla convinzione che nella tua città, nella tua comunità, le immediate soluzioni ai problemi del lavoro, del credito, dell’instabilità famigliare e del rispetto di sé medesimi sono nelle tue mani; che la sola soluzione in cui veramente credi sia quella da te stesso delineata e per cui ti assumi la responsabilità” (Motto del “Cooperative council”) ----- Lodovico Festa, Giulio Sapelli, “Capitalismi”, Boroli ed, pag. 126. ----
mancanza di identità tra azionariato e persona (spa, borsa)
Qui??? – come esempio???: Data la difficoltà di poter regolamentare e controllare l’economia informale (lavoro nero, ecc) il punto non deve essere metterci lo zampino, ma (come esempio sito web puttane) favorire le alternative. Se uno vuole di sua volontà fare un secondo lavoro in nero è libero di farlo. Il punto è che tutti debbono avere la possibilità di non dovervi essere costretti. Tutti debbono avere la possibilità di possedere una quota aziendale. Che poi di loro iniziativa scelgono di rinunciarvi per ripiegare su ---------- peggiore, sono affari loro. Nessuno insomma proibirà ai bambini di vendere limonata per la strada, o il fai da te, il baby sitting, gli agriturismi, il lavaggio scale, colf, badanti.
Per eliminare il rapporto di colf non serve proibirlo legislativamente. Bisogna mettere in condizione chiunque potenziale colf di potervi rinunciare. ---- aumento domanda e diminuzione offerta = maggior costo = meno domanda.
“Da una concezione statica di tutela del singolo posto di lavoro si deve definitivamente passare alla promozione della occupabilità della persona” (Maurizio Sacconi, “Libro bianco sul futuro del modello sociale”)
Nonostante il boicottaggio dei sindacati, nel presente tutto indicherebbe che il sistema economico è destinato già da sé ad avviarsi verso una socializzazione incipiente e costante. Difatti si noterà subito come alcuni punti previsti nel nostro enunciato, siano da poco tempo applicati nella politica e nell’economia, ed altrettanti ne siano dibattuti. Non siamo noi andati a copiarli, il fascismo li prevedeva già; è la democrazia liberale che ne ha ritardato di decenni l’attuazione. Altri segnali rivelatori già ci sono, dalla diffusione dell’azionariato ai dipendenti (“stock option”), all’acquisto stesso di intere aziende in crisi da parte di loro cooperative (Fa.Sin.Pat in Argentina), anche in quanto favoriti dall’aumento di disponibilità economica generale. La “cogestione” in imprese con più di 2.000 lavoratori (“mitbestimmung”, codecisione) è difatti una realtà in un paese sviluppato come la Germania, ed è già presente nel documento programmatico di Alleanza Nazionale fin dal congresso di Fiuggi del 1994, inserita su proposta di Gianni Alemanno. Anche dopo la fondazione del PdL è stata inserita nel programma “la partecipazione dei lavoratori agli utili delle aziende” --- destra sociale pag. 18. Non è certo ancora la multiproprietà di distributista dottrina, ma è perlomeno un passo verso essa.
“Se ci fosse un avviso comune sulla compartecipazione all’utile dell’imprese, per concretizzare lo stare insieme nella stessa azienda, più di prima uniti insieme lavoratori e imprenditori, credo che sarebbe uno dei modi per uscire dalla crisi” (Giulio Tremonti, ministro dell’economia del governo Berlusconi)
“Il mercato è in grado di includere tutti e non escludere nessuno; se il mercato è vissuto compiutamente da una pluralità di forme di impresa profittevoli o meno, si sarà in grado di sviluppare un nuovo sistema (…) si tratta di trovare formule libere e responsabili facendo declinare il conflitto di classe con la piena condivisione del capitale e del lavoro con una prevalenza concettuale del secondo sul primo (…) la resistenza della Cgil è preconcetta, legata al vecchio schema di separazione tra datore di lavoro e lavoratori, cosa che non accade per Cisl, Uil e Ugl che sono culturalmente per una condivisione (…) la sinistra italiana è ancora vicina ai poteri forti e al relitto borghese sempre più parassitario e cialtrone, che è tra le cause dello sconquasso economico in atto” (Maurizio Sacconi, ministro del welfare del governo Berlusconi)
“I lavoratori non devono solo partecipare agli utili in maniera diretta ma poter collaborare anche nella gestione. Non è più accettabile che i dipendenti paghino per gli errori altrui e perché? le aziende hanno fatto scelte sbagliate senza dover rendere conto. La crisi finanziaria è nata così e non si può tornare agli eccessi di prima” (Raffaele Bonanni, segretario del sindacato Cisl)
Tutto sta nel tempo che ciò ci metterà a svilupparsi man mano sempre più, a meno che non gli siano ancora una volta messi i bastoni tra le ruote; rischio che i ministri ex-socialisti Tremonti e Sacconi sembrano non valutare. La tendenza pro-distributista globale trova la propria conferma nella recrudescenza a partire dalla fine del comunismo ed ancor più dopo il 2001 del lavorio dei sabotatori teso a impedirla, soprattutto tramite la solita “minoranza querula”.
“Il sapere e la ragione parlano, l’ignoranza e il torto urlano” (Indro Montanelli)
Non solo i capitalisti ed i burocrati, ma anche i parassiti delle organizzazioni criminali ed il loro “indotto”, chi campa sull’assistenzialismo e sugli “ammortizzatori sociali” causa stessa ed effetto dell’inefficienza, per non parlare dell’area “radical-chic” erede salottiera del più fanatico stile azionista, facente riferimento al partito dei “verdi”, al quotidiano Repubblica, ed a Rai 3, e parzialmente a Tmc, e dei loro astiosi “figli” no-global come “utile idiota”, ed avente in Giorgio Bocca il più manicheo rappresentante; a tutti quegli artisti ed intellettuali “di sinistra” risultato delle strategie gramsciane di conquista indiretta del potere, che campano lucrando sugli strumenti del capitalismo; alla sinistra liberale facente capo ai radicali; al “centro” dirigista facente capo agli eredi del partito repubblicano ed alla fallimentare IRI; ai capitalisti “illuminati” di mediobanca; ai tecnici economici prestati alla politica tipo Ciampi, Maccanico e Dini; al sindacalismo arrivista, corrotto, e classista; ai vari tribuni tipo Antonio Di Pietro e Marco Travaglio manovrati non si sa da chi; a quei giudici dell’“intellighenzia”, molti dei quali hanno certo tutto il merito di aver scoperto altarini che altrimenti sarebbero tuttora nell’ombra, ma che hanno avuto in ciò un limite proprio nell’obnubilamento dovuto al loro fanatismo ideologico (implicito è chiedersi quanti “misteri” siano rimasti ancora nell’ombra solo per colpa dell’incapacità di questi magistrati di guardare oltre i loro pregiudizi). La cecità di queste persone arriva al punto che, le rare volte che riescono a comprendere le cose, le rivoltano però secondo i loro interessi; il caso tipico è la spiegazione di Sabina Guzzanti sugli attentati di Madrid del 2004; ella ne dà l’interpretazione giusta del contesto generale, ma non riuscendo a comprendere che una qualunque strategia può essere usata anche per favorire indirettamente i “suoi”, ne deduce che in quel caso l’obiettivo non fu ottenuto. Invece, dove stia il fallimento in quell’attentato, non si vede. Le previsioni davano già per vincente Aznar. Quindi se un atto è stato compiuto logica vuole che sia per ribaltare quelle previsioni. Altrimenti che motivazione avrebbe avuto? Visto che a seguito degli attentati il risultato elettorale si modificò, è implicito che la strategia del terrore abbia funzionato più che ampiamente anche in quel caso. Evidentemente “qualcuno” presente in Iraq voleva togliersi gli spagnoli di torno. Questo conferma ulteriormente come la sinistra, in un modo o nell’altro, riesce sempre a fungere da strumentale “utile idiota”, nella sua cieca paranoia ideologica.
Tutti questi sono gli odierni nemici della socializzazione. Non Silvio Berlusconi, od i socialisti craxiani, od i pochi operai a dirsi ancora comunisti.
«Di fronte al golpe postmoderno che vede l’alleanza tra clan giudiziari e clan dell’informazione è praticamente impossibile difendersi» (Bettino Craxi)
Nonostante tutto, noi crediamo che il miglior giudizio su Silvio Berlusconi politico lo abbia dato la borsa. Così come nel 1943, all’annuncio della socializzazione essa ebbe un tracollo, così nel 1994 alla vittoria di Berlusconi alle elezioni, con il calo del 25%, la svalutazione del 10% della lira, e la fuga all’estero di 10 miliardi di dollari. Reazione opposta qualche mese dopo, all’annuncio delle dimissioni. Qualcosa non torna? Un abile imprenditore alla guida di uno Stato dovrebbe indurre rosee prospettive per il futuro alla finanza... Evidentemente c’è qualcosa di imperscrutabile che -----------------------. Ovviamente a prima vista questi effetti potrebbero apparire come segnali negativi, come solitamente vengono intesi dal sistema mediatico. Può sembrare paradossale giudicarli come positivi. Rispondiamo così: “verità è che la Mediobanca di Cuccia ha introdotto nell’imprenditorialità italiana una mentalità esclusivamente finanziaria. V’è uno scarso interesse a cosa si produce, a cosa si produrrà… Si pensa che brevetti e modelli si possano comperare, copiare… Ciò che conta è l’ingegneria finanziaria. Proprio questo è il guaio che Cuccia ha combinato, e soltanto col passare degli anni ci si è accorti di quanto sia importante la ricerca. Le difficoltà della Fiat, dell’Olivetti, della Montedison, dell’intera grande industria, vengono da lì. Ne parlai più volte con Gianni Agnelli e Carlo De Benedetti, e loro rispondevano che Cuccia la pensava diversamente… Magari avevano qualche dubbio, però si trovavano con le mani legate. Anche l’allontanamento di Vittorio Ghidella dalla Fiat, nel 1988, perché amava più le automobili della finanza, è avvenuto in questa logica” (Carlo Bombieri[300]). La borsa non è l’economia! Quale miglior indicatore della bontà di un ------------- se non l’opposizione della massoneria nordista? Noto è che il più tenace sostenitore della campagna contro Berlusconi fu l’“angelico” Enrico Cuccia, la “longa manus” di Wall Street in Italia…
“Un colossale e onnicomprensivo ingranaggio invisibile manovra il sistema da lontano. Spesso cancella decisioni democratiche, prosciuga la sovranità degli Stati e si impone ai governi eletti” (Il Presidente brasiliano Lula al World Hunger Summit del 2004)
Agnelli 1994 propone Spadolini come presidente del senato, come presa di distanza dal governo Berlusconi. Viene sonoramente fischiato dalla platea di confindustria a Verona. Fine del mondo paternalista di Agnelli e fallimento (parziale?) dell’operazione Britannia-tangentopoli-Bossi.
La fiat aveva impostato i suoi rapporti di lavoro secondo uno stile di paternalismo discriminatorio, influenzando negativamente tutte le imprese nelle politiche di relazioni industriali; questo paternalismo finiva per produrre ondate di anarchismo sindacale, da quelle degli anni venti a quelle della fine degli anni sessanta. ----- Lodovico Festa, Giulio Sapelli, “Capitalismi”, Boroli ed, pag. 111. ----
L’Italia è un paese Fiat-centrico - non è colpa nostra, il fatto è che la Fiat è la massima espressione del potere dei sindacati e dei partiti di sinistra per cui se viene *toccata* il paese viene messo a ferro e fuoco...
primo dopoguerra industria italiana divisa tra:
conservatori: Montecatini, industrie elettriche, piccola e media siderurgia (perché grande cliente prime due), confindustria. (contrari a Ceca)
modernizzatori: Fiat, Pirelli, Olivetti, Comit (mediobanca???). (favorevoli a Ceca)
Leo Valiani, azionista, legato alla Comit (e quindi a Mediobanca), legatissimo a Cuccia. ----- Lodovico Festa, Giulio Sapelli, “Capitalismi”, Boroli ed, pag. 87. ----
Inevitabile l’--------opposizione --------- agli uomini di Berlusconi da parte dell’ala più retriva del capitalismo ----------- italiano.
“Il carattere eversivo dell’azione di Berlusconi è ormai dichiarato, la sua volontà di assassinare la Costituzione nata dalla Resistenza è costantemente esibita” (Micromega)
“Una idea di libertà assoluta, svincolata da ogni legame, identificata nella possibilità di attuare qualunque scelta purché ipotizzabile, ha condotto le persone a sperimentare la vertigine di una solitudine esistenziale sempre più isolante […]. L’esito ultimo di un certo nichilismo moderno. Le società intermedie costituiscono un antidoto a questa deriva. Un principio sociale in grado di originare un welfare comunitario. Una rete fatta di persone, famiglie, piccole comunità, associazioni, imprese profittevoli e non, volontariato, cooperative che alimenta il senso di responsabilità civile, la fiducia e la solidarietà reciproca” (Maurizio Sacconi, “Libro bianco sul futuro del modello sociale”)
“Ugualmente fondante è il riferimento alla dottrina sociale della Chiesa, da cui discendono i principi essenziali di una nuova economia sociale di mercato libera dalle incrostazioni stataliste e dirigiste. Infine, il concetto di partecipazione, non solo politica ma anche sociale ed economica, dà sostanza comunitaria al valore della democrazia” (Gianni Alemanno) “Intervista sulla destra sociale”, Marsilio, 2002.
Interessante è ---riguardo Cuba------ che un anno dopo essere arrivato alla presidenza, Raul Castro, 79 anni, ha promesso nel 2007 “cambi strutturali”, ammettendo che lo stipendio medio, di circa 20 dollari mensili, non è più sufficiente, e l’opposizione ha chiesto da allora l’attuazione di questi cambiamenti. Nella prima sessione parlamentare del 2010, tenutasi ad agosto, Raul ha annunciato che il governo continuerà ad affidare in gestione piccoli negozi ai loro dipendenti, andando dunque oltre le botteghe di barbiere, ma senza puntare ad una vera economia di mercato. Nell’annunciare l’aumento del numero dei liberi professionisti e la riduzione dei lavoratori statali, Raul Castro ha definito queste decisioni un “cambio strutturale” per rendere il sistema socialista “sostenibile” nel futuro.
Fidel sta dicendo un cosa che suo fratello Raul dice ormai da quindici anni e cioè da quando si recò per alcuni mesi in Cina per studiare quel modello economico. La prima cosa che ha fatto Raul salito al potere è stato di implementare il modello denghista nell’agricoltura: ossia il modello a responsabilità famigliare, preso a ---spunto---- da Taiwan -----ecc----. Il che è del tutto ovvio. Cuba aveva il 50% di terre incolte e importava prodotti agricoli dall’estero, sicché Raul ha parlato chiaro: o ci si mette a lavorare oppure si vegeterà nella stagnazione. Da quando Raul è andato al governo Cuba si è ripresa enormemente. Senz’altro conta l’aiuto della Cina e le joint ventures con essa che sono già parecchie. Insomma oggi Cuba è paragonabile alla Cina del 1983 o giù di lì. Comunque già cinque anni fa in una lettera a Chavez Castro aveva elogiato il modello del socialismo di mercato. Il comunismo dal 1917 ha avuto altrettante varianti quanto il capitalismo. Oggi predomina la variante cinese di cui molti parlano e che praticamente nessuno conosce dato l’attuale stato di criminalizzazione della Cina da parte della stampa occidentale.
Il governo di Raul sta studiando, “senza fretta”, un “aggiornamento del modello economico cubano retto dalle categorie economiche del socialismo e non del mercato”, ha dichiarato ai giornalisti il ministro dell’Economia Marino Murillo. “Rimarrà la pianificazione centralizzata. La proprietà non sarà consegnata ai dipendenti”. Lo Stato cubano controlla il 90% dell’economia, dopo che, nel 1959, con il trionfo di Fidel Castro e la cacciata del dittatore Fulgencio Batista, la proprietà privata fu abolita.
E’ presto per capire l’effetto
delle parole di Castro a Cuba. Certo, se si pensa che solo qualche anno fa i
cubani vennero convocati ad esprimersi in un referendum nazionale
sull’immortalità del socialismo che ebbe un risultato “bulgaro” (quasi il 100
per cento dei sì), si può immaginare la sorpresa di coloro che, per il
socialismo, hanno affrontato i durissimi anni del “periodo especial”, dopo la
caduta dell’Urss, quando lo spettro della fame s’impadronì dell’isola. Allora
c’era chi scappava in cerca di un’altra vita, ma anche chi restava “per
costruire il socialismo”. Comunque vada, saranno i prossimi mesi a dare un
senso a quest’ultima sortita di Fidel. Dal suo ritorno alla vita pubblica, due
mesi fa, l’ex lider maximo aveva evitato qualsiasi allusione alla situazione
interna di Cuba, dedicandosi soprattutto a parlare di politica internazionale.
Mentre suo fratello Raul ha annunciato “cambiamenti strutturali” insistendo
però sul fatto che Cuba non abbandonerà mai “il socialismo per il libero
mercato”.
L’improvvisa franchezza di Castro sulla situazione economica dell’isola ha sorpreso tutti. In una dichiarazione al Miami Herald, un importante storico di Cuba come Jaime Suchlicki, direttore del Centro studi cubani dell’Università di Miami, ha detto: “O è impazzito o ha problemi senili. Questo è certamente qualcosa che stando al potere non avrebbe mai detto. Se la dichiarazione è vera, allora vuol dire che si è reso conto, come tutti, che il sistema di governo marxista-leninista non funziona. Ma la vera domanda adesso è un’altra: cosa farà adesso? Lavorerà per il cambiamento? E quale?”.
Ma nessuno ha notato la specificazione “la proprietà non sarà distribuita ai dipendenti”? Cioè, tutto, anche il liberismo reaganiano, fuorché la socializzazione. Certo, se si azzardasse gli americani gli farebbero la pelle a lui e a chi lo asseconda, e sarebbe un nuovo Cile di Pinochet. Speriamo che quella dichiarazione sia finalizzata proprio a tenerli buoni, per poi distribuire la proprietà ai dipendenti (ovvero socializzare) in una seconda rivoluzione cubana. Sarebbe una svolta epocale per il mondo intero. Speriamo bene. Anche se dubito che verrebbe lasciato in pace come è stato in questi 50 anni.
Cuba ha avviato un programma di riforma del lavoro che prevede il licenziamento di oltre un milione di dipendenti dello Stato. La Federazione ufficiale del Lavoro Cubana ha annunciato ieri che, entro il mese di marzo del prossimo anno quando si completerà la prima fase, i dipendenti pubblici verranno ridotti di 500.000 unità. Parallelamente, secondo quanto annunciato dal Partito Comunista, verranno rilasciate, entro la fine del 2011, 250.000 nuove licenze per il lavoro autonomo (bar, ristoranti, piccole società di servizi) e saranno creati 200.000 posti di lavoro non statale sul modello delle cooperative. Una trasformazione radicale per l’economia socialista dell’isola, dove fino ad oggi circa l’85% dei lavoratori erano dipendenti del settore pubblico. Che il sistema cubano non funziona più lo ha sostenuto anche il Líder Maximo Fidel Castro in una recente intervista ed il fratello Raul, ora al potere, aveva ripetutamente annunciato che l’ora del cambiamento era giunta. Tuttavia la decisione ha colto di sorpresa diversi osservatori.
Sembra proprio un avvio alla socializzazione. Alla faccia di quelli che aspettano al varco per accaparrarsi -------. Concentrazioni capitalistiche --
-------spostare qui discorso su privatizzazione Urss da fine capitolo comunismo sovietico???--------
---minaccia??---precisarla!!!!- ---
Verificato che questa minaccia di ostruzionismo sta covando, lo scopo politico dei movimenti pro-distributisti deve essere quello di favorire la tendenza in atto e nel farsene portavoce e difensori a livello politico. ----Area: avanguardia del distributismo.------ Ma per far ciò bisogna perlomeno stabilire PRECISAMENTE e comprensibilmente quali siano questi punti di cui ci si vuole far suggeritori. Non come la vaghezza e le elucubrazioni tipiche dei comunisti.
«Con la collettivizzazione della proprietà, la cosiddetta volontà popolare scompare per lasciare spazio alla volontà reale dell’ente cooperativo» (Karl Marx)
“Va riconosciuto che tali principi [il liberismo] hanno potuto far
breccia nelle menti dei filosofi e delle masse anche grazie alla qualità
scadente delle correnti alternative - da un lato il protezionismo, dall’altro
il socialismo di Marx. Queste dottrine risultano in fin dei conti
caratterizzate, non solo e non tanto dal fatto di contraddire la presunzione
generale in favore del laissez-faire,
quanto dalla loro semplice debolezza logica. Sono entrambe esempio di un
pensiero povero, e dell’incapacità di analizzare un processo portandolo alle
sue logiche conseguenze. (...) Il socialismo marxista deve sempre rimanere un
mistero per gli storici del pensiero; come una dottrina così illogica e vuota
possa aver esercitato un’influenza così potente e durevole sulle menti degli
uomini e, attraverso questi, sugli eventi della storia.” (John Maynard Keynes[301],
1926)
Tuttavia l’importanza del contributo di Marx allo studio dell’economia è enorme ed innegabile. pregio / utilità odierna di Marx: “sbagliando si impara”. Marx ci ha mostrato cosa l’economia non deve essere. Di Marx è apprezzabile il lato analitico e la “pars destruens”, mentre è da rifuggire totalmente la “pars costruens”.
Karl Marx difatti non da indicazioni su come il suo comunismo debba funzionare, ma si perde solo in una vastità di slogan puerili, ingenue banalità, critiche gratuite, e fumosi panegirici senza capo ne coda volti solo a confondere, che Manzoni avrebbe certamente definito “latinorum”. Tutt’al più, volendo essere buoni, si può dire che Marx abbia AUSPICATO il comunismo, non creato. Ma ad “auspicare” sono buoni tutti…
“Se non puoi convincerli, confondili” (Harry Truman)
Quindi la domanda da porsi è scontata: quello realizzato da Lenin è il comunismo auspicato da Marx?
Il comunismo leninista è incongruente fondamentalmente come teoria economica; non avrebbe dovuto servire sperimentarlo in pratica per capirlo. Sarebbe bastato il calcolo di un algoritmo. Ed a confermarlo bastano anche le odierne proposte comuniste di politica economica, come quella di tassare i titoli di Stato: essi, in quanto emessi dallo Stato, contengono già nel loro tasso di interesse l’imposizione rispetto ai redditi da titoli privati. Qualcuno lo dica a Bertinotti.
Secondo la “scuola neoclassica” l’economia, a differenza di quanto la maggior parte delle persone crede, è una scienza esatta, e quindi non può essere un opinione. Se ci sono “opinioni” è proprio perché gli “opinionisti”, come Marx, non sono economisti; il fatto che qualcuno abbia considerato l’economia assimilabile alla filosofia ha comportato quello che è stato il comunismo. Secondo l’economia marginalista, il mercato è la fonte e al contempo la manifestazione di un ordine naturale. Si può dire che si fonda sulle libere decisioni (“laissez faire”). Secondo la teoria neoclassica il mercato costituisce un semplice meccanismo allocativo avulso dalle condizioni storico – sociali di contesto, una sorta di ordine naturale instaurato e sostenuto dagli scambi e dalle scelte autointeressate effettuati da singoli attori ottimizzatori costantemente orientati alla massimizzazione delle proprie utilità individuali attraverso il calcolo razionale di costi e benefici secondo schemi mentali che ricalcano involontariamente equazioni matematiche. ---mercato e società pag. 79. Le altre scuole di pensiero economico non contestano totalmente ciò, ma vi annotano l’influenza di fattori sociologici, già genericamente contemplati da Adam Smith sotto il concetto di “mano invisibile”. Chi non concorda con questo sostiene che infatti, se è vero che l’econometria[302] fornisce modelli matematici del comportamento degli operatori economici, tuttavia tali modelli sono descrittivi e molto semplificati rispetto alla realtà concreta; per esempio, si deve supporre che il consumatore sia razionale nelle sue scelte, o che le imprese ricerchino esclusivamente il massimo profitto, ma tutto ciò non sempre accade realmente. Il che non fa altro che confermare la visione dell’economia come scienza esatta, in quanto è proprio per questi motivi se ci sono distorsioni, che mancherebbero se all’economia venissero sempre applicate esattamente le sue leggi matematiche. 1+1 fa 2, ma secondo i marxisti potrebbe risultare anche 3 o 4. Ma questo non significa che lo possa risultare effettivamente, come ci ha dimostrato tangibilmente (come se ce ne fosse stato bisogno…) l’applicazione pratica del comunismo.
« Il comunismo non è ideologicamente sbagliato per il numero di vittime che ha causato; basare la critica sulle vittime equivale a giustificarlo, cioè dire “se non ci fossero stati morti il comunismo avrebbe funzionato” » (Ray Bradbury)
Nonostante il solito “ritornello” propagandistico sul fatto che nessuno Stato comunista si sia mai definito ufficialmente tale, ma soltanto fosse sulla via per “raggiungerlo” attraverso la “fase” della “dittatura del proletariato”. In realtà la Cecoslovacchia nel 1960 dichiarò nella sua Costituzione di aver raggiunto tale obiettivo, seppur non si intravedesse alcuna differenza tra essa e gli altri stati comunisti. Ma ciò è rivelatore del fatto che nemmeno gli stati “comunisti” sapessero in cosa avrebbe dovuto consistere il “comunismo da raggiungere”, così come non lo sanno spiegare neppure i residui comunisti odierni… che continuano a ripararsi “a pappagallo” dietro quel trito ritornello auto-assolvente, ed altrettanti a seconda della necessità; i comunisti residui oggi si vergognano talmente della parola “comunismo” che hanno coniato il pudico sinonimo “socialismo reale” per definirlo. Non è ancora raro sentirli argomentare certe tipiche delucidazioni del tipo “sono comunista perché i comunisti vogliono fare gli interessi dei lavoratori”… ottenendo quale risposta più azzeccata il proverbio “tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare”.
“Comunista è chi legge Marx e Lenin, anticomunista è chi capisce Marx e Lenin” (Ronald Reagan)
comunismo il più grande imbroglio della storia.
comunismo come alternativa al capitalismo: dalla padella alla brace.
Sia chiaro, molte delle enunciazioni da noi espresse stridono con alcune convenzioni universalmente accettate dagli economisti più “alla page”, soprattutto nelle parti ove essi verificano delle discordanze tra teoria e realtà e cercano di identificarne le cause. Noi individuiamo queste cause unicamente nei fattori sociologici sfocianti nel dirigismo politico, e da questo tiriamo le nostre conclusioni. Che non tutti gli economisti “alla page” accettano. Tantomeno quelli radical-chic.
Una chiara divergenza è riscontrabile nelle cause della fine del boom economico italiano nel 1962-63. Secondo --------- Kindleberger, basandosi sul “modello di Lewis”, sarebbe da addebitare a ------ “disoccupazione invisibile” (o nascosta?)--- Ragnar Nurkse la chiama così----- “era semplicemente il fatto che l’Italia era rimasta priva della sua eccedenza di manodopera, e che pertanto ora avrebbe dovuto svilupparsi secondo un diverso modello”. ---- Vittorio Valli, “Politica economica”, ed. Carocci, pag. 129.
1963: aumento della quota dei salari e dei costi, caduta dei profitti, crollo dei listini di borsa e fughe di capitali all’estero con conseguenze negative sulla bilancia dei pagamenti. -----1963 minimo disoccupazione: 3,9%-----
Noi sappiamo che tuttociò non fu dovuto all’esaurirsi delle riserve di forza-lavoro “invisibili”, ma a fattori psicologici indotti dalla situazione politica. Quello che Marx chiama “sovrastrutture”.
1963-64 e 1969-70 ingenti fughe di capitali che, indebolendo la lira, contribuiscono a spingere le autorità di politica economica a manovre restrittive che bloccando lo sviluppo peggiorano ulteriormente la situazione.
Il “fattore umano” in economia è si un libero arbitrio, ma è inconsapevolmente mosso da ben precise e assodate leggi matematiche. In un algoritmo i numeri sono variabili, ma l’operazione da svolgere non lo è. Il fattore umano (“microeconomia”) può anche far variare i risultati delle leggi, ma non l’operazione, le cui variabili in un sistema efficiente ci ruotano attorno elasticamente senza riuscire a discostarsene, col risultato di dare, facendo la media globale (“macroeconomia”), il risultato esatto; che su queste basi è stato calcolato da scienziati, non deciso. E su questo tutte le scuole sembrano concordare. teoria di economia come non scienza esatta: “prospettiva istituzionalista” (Ronald Coase padre fondatore) Emile Durkheim? Max Weber? La più peculiare è quella “cognitiva” di Daniel Kahneman, il quale osserva che “il livello di soddisfazione o insoddisfazione raggiunto dall’operatore economico non dipende necessariamente dalla quantità assoluta del bene posseduto, ma spesso piuttosto dalla differenza tra una condizione iniziale e una finale”. Lo scopo dell’economia cognitiva è di connettere il lato microeconomico con quello macro. Alla luce di diversi risultati ottenuti nell’ambito della psicologia cognitiva infatti, l’approccio classico della teoria dell’utilità attesa non descriverebbe accuratamente il comportamento degli operatori economici. Ciò non implica necessariamente che le persone agiscano in maniera irrazionale: il concetto di razionalità nella teoria economica non è immediatamente riconducibile all’accezione comune del termine, ma consiste in una serie di ipotesi di regolarità delle preferenze degli agenti economici, finalizzate a consentirne la rappresentazione tramite funzioni matematiche dette “funzioni di utilità”. Inoltre, l’alternativa al concetto di razionalità dell’economia neoclassica non è unica: esistono approcci differenti, ad esempio quello della razionalità limitata ipotizzata da Herbert Simon. Gli scambi di mercato non sono del tutto astratti dall’effetto di processi sociali. L’agire di mercato non è il locus dell’asocialità, ma anche al suo interno possono venire riconosciuti i caratteri dell’agire sociale. Da un lato, il mercato crea legami sociali, dall’altro esso sfrutta le relazioni che preesistono o sono esterne alla sfera economica. ------ mercato e società pag. 41.
embeddedness: radicamento sociale dell’azione?
Tali assetti sono costosi da modificare e pertanto l’azione economica, pur essendo orientata al raggiungimento del profitto, è di norma influenzata dalle condizioni nelle quali ha luogo. Detto in altri termini, la capacità di trasformazione degli attori economici esiste, ma non va sopravvalutata. (mercato e società pag. 41).
“L’economia studia come le persone compiono delle scelte, la sociologia come esse non hanno alcuna scelta da compiere” (James Duesenberry)
In questo quadro, lo stesso concetto di razionalità, centrale nell’analisi della vita economica, assume un diverso statuto rispetto a quello con cui è prevalentemente identificato nel paradigma della teoria economica neoclassica: da assunto identificato una volta per tutte con l’uso efficiente di risorse scarse, esso è ridefinito come una variabile, da spiegare e comprendere di volta in volta, alla luce di una pluralità di definizioni e di finalità che entrano in gioco a seconda dei contesti situati di interazione sociale e delle premesse da cui facciamo derivare una particolare attribuzione di razionalità. ---mercato e società pag. 175.
Secondo ----- Le organizzazioni economiche non sono black boxes in cui hanno luogo soltanto decisioni e transazioni tecnico-finanziarie, ma contesti di vita nei quali gli stessi obiettivi d’impresa, le tecniche operative e i criteri di efficienza sono in qualche modo un prodotto socio-culturale, riflettendo o rielaborando le “razionalizzazioni” disponibili e le “prescrizioni” in vigore nei contesti istituzionali di riferimento. ---mercato e società pag. 131.
“Gli attori non si comportano e non decidono come atomi al di fuori di un contesto sociale, né aderiscono passivamente ad un copione scritto per loro da una particolare intersezione di categorie sociale a cui capita loro di appartenere. I loro tentativi di compiere azioni intenzionali sono, invece, radicati in sistemi relazionali sociali concreti e attivi” (Mark Granovetter) ---mercato e società pag. 172.
Tuttavia è da notare come in ogni caso ciò non contrasti con l’econometria e con la visione neoclassica, ma ne inserisca le questioni psicologiche tipiche del consumismo e del dirigismo, le quali sono appunto causa di distorsione dei risultati delle leggi economiche razionali. I teoremi dell’economia “non provengono dall’osservazione dei fatti, ma attraverso la deduzione dalla categoria fondamentale dell’azione che è stata a volte presentata come il principio economico (la necessità di economizzare), a volte come il principio del valore o come il principio del costo. Tali categorie sono di derivazione aprioristica e quindi rivendicano la certezza apodittica che appartiene ai principi base che in questo modo si formulano” (Ludwig Von Mises) ----mercato e società pag. 45. La possibilità di comprendere il legame tra micro e macro, pertanto, è invece compromessa per keynesiani e monetaristi (o marxisti???), nella loro mancata accettazione di una razionale teoria del valore.
“La legge del valore non regola direttamente i singoli atti di scambio, ma soltanto la loro totalità, da cui viene determinato il singolo atto di scambio, in quanto momento di quella totalità” (Rudolf Hilferding)
Per non parlare dei marxisti, che propinano una teoria del valore totalmente esente da ogni pensiero logico, apparentemente priva perfino della banalissima legge domanda/offerta. La tradizione marxista si è sempre opposta alla lettura neoclassica sostenendo che l’organizzazione della vita economica è intimamente legata a fattori di natura sociale. Secondo questa prospettiva, qualunque tentativo di separare economia e società è, per definizione, fuorviante. ---mercato e società pag. 49.
Tutto valore Marx spostare più giù???? ----- Valore per Marx – giusto da un punto di vista matematico ma non esatto nella sua applicazione --------sui singoli fattori ma solo nel complesso totale---- ------ su composizione organica del capitale?: dato dalle equazioni dei prezzi: il prezzo di un’unità di bene di consumo è dato dal salario moltiplicato per il coefficiente tecnico di produzione di quel bene relativo al lavoro (cioè la quantità di lavoro necessaria per ottenere un’unità di quel bene) più il profitto moltiplicato per il coefficiente tecnico relativo al capitale. Un ragionamento analogo spiega la formazione del prezzo dei beni capitali (-----di produzione???-----). Le equazioni dei prezzi permettono di determinare, dati un certo saggio salariale e data una certa matrice dei coefficienti tecnici, i prezzi relativi e il saggio di profitto ---del sistema----. Partendo dall’equazione del prezzo del bene di consumo (aggregato) si può inoltre facilmente ricavare che il salario in termini reali è funzione inversa del saggio di profitto. Ciò si ricava soprattutto dal modello neoclassico di crescita equilibrata di Hicks (che contiene le equazioni dei prezzi).
Sotto questo punto di vista è possibile anche calcolare in maniera pressoché esatta (ma pur sempre realmente teorica) quanta parte del prodotto (PIL) sia dovuta al lavoro, quanta al capitale, e quanta al progresso tecnico (come residuo del calcolo dei primi due).
Tuttavia i fattori esogeni implicano che “non si può determinare […] endogenamente il saggio di sviluppo indipendentemente dalla distribuzione”. -----Vittorio Valli, “Politica economica”, Carocci ed., pag. 80. -------- questo fa si che i prezzi relativi non si possano determinare in generale se non ipotizzando che il saggio di salario (o il saggio di profitto) sia esogenamente dato. Ciò farebbe cadere i legami fra teoria della produzione (aggregata) e teoria della distribuzione stabiliti dalla teoria marginalistica. Secondo essa difatti si potrebbe dare una spiegazione endogena della distribuzione facendo coincidere in equilibrio i saggi di profitto e di salario con i valori della produttività marginali del capitale e del lavoro. ---esogenamente: per via politica-----
Amartya sen ––attribuzioni: assegnazione-distribuzione dei diritti di accesso ad un prodotto
Teoria del plusvalore per Marx valida solo se la composizione organica del capitale è uguale in tutte le aziende e in tutti i settori. Se ciò non avviene ci si trova di fronte ad una grave contraddizione. Marx cercò di superarla nel III libro del capitale, senza riuscirvi.
Per vedere come ciò accada analizziamo la definizione di saggio di plusvalore (rapporto plusvalore/capitale variabile (lavoro)) e di saggio di profitto (rapporto plusvalore/capitale variabile + capitale costante). Per Marx il saggio di plusvalore è funzione esclusivamente del lavoro diretto impiegato (il capitale costante non fa altro che trasmettere il proprio valore al prodotto senza creare alcun valore aggiuntivo), mentre il saggio di profitto è funzione dell’intero capitale impiegato (costante e variabile). Ora, il saggio di plusvalore tenderebbe, secondo Marx, ad essere uguale, in un mercato di concorrenza perfetta, in tutti i settori produttivi e fra tutte le aziende di ciascun settore. Ma come sappiamo questa è un ipotesi solo parzialmente dimostrata da Marx, e completamente surreale nella realtà. Essa presumerebbe l’ipotesi di una concorrenza perfetta e una perfetta mobilità e omogeneità del mercato del lavoro (cosa inesistente), che presumerebbe conseguentemente un’unificazione dei saggi salariali. Ma essa dipende anche dalla scelta tecnica dei diversi capitalisti. Nonché da ---esogenità varie-------. Anche il saggio di profitto tenderebbe ad uguagliarsi tra tutte le industrie, ma dato che la composizione organica del capitale non è la stessa tra tutte, vi sarà sempre una contraddittorietà fra uguaglianza dei saggi di plusvalore e uguaglianza dei saggi di profitto. Anche in questo caso la differenza non è data da ------matematica----- sulla quale si può giustificare Marx, ma dalle ---esogenità------- che solo esse fungono da barriera al ristabilimento di un meccanismo matematico perfetto. ---- fondere con Per questo Marx successivamente abbandonò l’ipotesi????------
Marx cercò di rimediare suddividendo il valore delle merci in valore d’uso e valore di scambio.
Marx distingue tra “valore d’uso” (l’utilità di un oggetto, “il corpo della merce”, il “contenuto materiale della ricchezza”) e “valore di scambio” (la “forma sociale” della ricchezza, il “rapporto quantitativo” , la proporzione nella quale valori d’uso di un tipo sono scambiati con valori d’uso d’altro tipo; il valore, dunque, con cui la merce si presenta sul mercato e di cui il prezzo è indice sintetico). ---mercato e società pag. 137. --- Lavoro incorporato (nel valore dei beni) (Marx)----
Secondo Marx il valore di una merce è dato dalla “quantità di lavoro socialmente necessario” alla sua produzione, cioè dal “tempo di lavoro socialmente necessario per fornire un valore d’uso”, incluso il valore già incorporato nei mezzi di produzione che il lavoratore utilizza. Marx con “socialmente necessario intende “il tempo di lavoro richiesto per rappresentare un qualsiasi valore d’uso nelle esistenti condizioni di produzione socialmente normali, e col grado sociale medio di abilità e intensità di lavoro”. -----ma plusvalore----- secondo Marx “lavoro non pagato” ----- invece domanda/offerta di lavoro ---- ma successivamente ---decretò--- che tale ipotesi (plusvalore) è valida solo se composizione organica del capitale è uguale in tutti i settori produttivi. Se invece (come è nella realtà), la composizione organica del capitale è diversa da settore a settore, vi è una contraddizione che Marx non riuscì a dirimere. ------secondo Marx il capitale costante solo trasmette il proprio valore in modo esatto, mentre il capitale variabile (lavoro umano) e quindi il loro totale è -------- al saggio di profitto-------- saggio di profitto: rapporto tra profitto e capitale (non salari!). Un grande errore di Marx stette nel ritenere tale saggio di profitto uguale fra tutte le aziende e tra tutti i settori produttivi. Nella realtà essa dipende molto dalle scelte tecniche dei diversi capitalisti. Certo, la concorrenza tenderà ad eguagliare anche il saggio di profitto tra ------ diversi, ma nella realtà sappiamo che la concorrenza perfetta non esiste, e quindi la composizione organica del capitale non è uguale tra tutte le aziende, e sorge una disuguaglianza tra saggi di plusvalore e saggi di profitto. Per questo Marx successivamente abbandonò l’ipotesi di costanza della composizione organica del capitale e cercò di ---rivedere---- con il “problema della trasformazione dei valori in prezzi”, dove in sostanza riconosce che i prezzi di equilibrio delle merci non sono proporzionali “alla quantità di lavoro necessaria per produrle”; lo sarebbero nel caso che “l’intero prodotto del lavoro appartenesse al lavoratore che le ha prodotte”. Tuttavia Marx ripeté l’errore, passando all’ipotesi che i capitalisti -------- i prezzi sulla base dei costi di produzione aggiungendovi un margine di profitto arbitrario equivalente al saggio di profitto generale. Peggio il taccone che il buco, si direbbe. La conclusione di Marx rimane in ogni caso che i prezzi di equilibrio equivalgano alla quantità di lavoro “incorporato” nei beni. Come se ciò potesse essere costante numericamente, come che i numeri fossero una ----- immutabile. saggio di profitto: rapporto tra profitto e capitale (non salari!)
---- esista un agire economico in quanto tale, a cui la realtà concreta non aderisce, ma tende. –mercato e società pag. 45.
“La nozione di razionalità è infatti definibile soltanto in situazioni determinate. In altre parole, la possibilità di darle un senso è una funzione della struttura della situazione considerata” (Raymond Boudon)
In terzo luogo, se l’economia è una costruzione sociale, allora non c’è ragione di pensare che essa necessariamente raggiunga quegli standard di efficienza di cui parlano gli economisti. Le formazioni economiche possono sussistere anche a livelli di inefficienza relativamente elevata purché vi siano condizioni sociale adatte alla loro riproduzione. ----mercato e società pag. 43.
Salvo alcuni casi particolari, i mercati sono costruzioni sociali più imperfette e concrete, nelle quali i meccanismi sociali hanno il loro peso. ----mercato e società pag. 44.
Analizzando le condizioni di incertezza alla base della razionalità limitata del comportamento organizzativo, Herbert Simon e James March hanno messo in evidenza il ruolo di programmi routinari d’azione nei processi con cui gli attori organizzativi riducono la complessità delle decisioni e dei problemi operativi. Questa loro “svolta cognitiva” ricavarono che “nella teoria dell’organizzazione, incentrata sull’idea che il comportamento organizzativo – in special modo quello decisionale – sia determinato dall’adeguamento a regole e cornici cognitive che dirigono l’attenzione su alcuni aspetti selezionati della situazione, più che dal continuo calcolo delle conseguenze” (Robert G. Lord, Mary C. Kernan) ---mercato e società pag. 110.
“La composizione di azioni razionali non necessariamente produce effetti ugualmente razionali né contenuti nelle intenzioni originarie degli attori” (Raymond Boudon) ---mercato e società pag. 221.
Secondo Joseph Schumpeter, in una situazione come quella descritta dalla scuola neoclassica ogni attore economico tenderà a replicare esattamente quello che fanno gli altri, come dimostra il fatto che i profitti tendono in equilibrio verso lo zero. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, l’incertezza non è semplicemente un vincolo, che occorre cercare di neutralizzare. L’incertezza, oltre che essere un costo, è una risorsa: “l’incertezza in generale o, ancor meglio, le incertezze particolari che gravano sulla soddisfacente soluzione dei problemi chi gli attori sono chiamati a far fronte, rappresentano contemporaneamente anche la risorsa principale nelle loro reciproche interazioni. Infatti, se vi è incertezza, gli attori in grado di controllarla anche in modo parziale, potranno trarne un vantaggio e imporsi di fronte a coloro che invece ne dipendono. Questo perché ciò che rappresenta un’incertezza e un problema se osservato dal punto di vista dei secondi, costituisce invece una fonte di potere dal punto di vista dei primi. Le relazioni reciproche tra gli attori (individuali e collettivi) e tra questi e i problemi che li accomunano si collocano, dunque, in un campo di disuguaglianza strutturato da relazioni di potere e di dipendenza. Difatti, gli attori sono fondamentalmente diversi nei confronti delle incertezze pertinenti che condizionano la soluzione di un problema; prevarranno coloro che saranno stati capaci, per ragioni ogni volta specifiche, sia di imporre un certo modo di definire il problema da risolvere (e di conseguenza le incertezze pertinenti) sia di affermare il loro sia pur parziale controllo di tali incertezze […]. Ogni struttura di azione collettiva, e quindi ogni sistema di azione concreto, radicandosi nelle incertezze inerenti ai problemi da risolvere, si costituisce come un sistema di potere” (Erhard Friedberg) ---mercato e società pag. 52. -----Su incertezza e su aggiotaggio----e su nucleare affossato da coloro che dall’incertezza guadagnano-------qui inserire frase non metterti con un idiota perché ti trascina al suo livello----------
La nuova economia neoistituzionale introduce una dose di realismo nelle premesse della teoria economica neoclassica: benché gli individui possano effettivamente agire in vista della massimizzazione del proprio interesse, per una serie di condizioni poste dalla realtà (limiti cognitivi della razionalità, incompletezza delle informazioni, difficoltà operative nell’implementazione delle decisioni e nel monitoraggio delle loro conseguenze, instabilità dei sistemi di preferenze) ben di rado i risultati di questo sforzo si avvicinano all’ideale del soggetto ottimizzatore. ---mercato e società pag. 102.
La novità delle tesi della nuova economia istituzionalista rispetto alla visione dominante si riassume nell’idea che le istituzioni influenzino l’agire economico più che altro alterando e rendendo maggiormente complesso il calcolo costi – benefici dei soggetti nelle situazioni concrete. ---mercato e società pag. 103.
“Gli accordi istituzionali si riproducono perché spesso gli individui non possono nemmeno concepire un’alternativa appropriata” (Paul J. Di Maggio – Walter Powell, “Il neoistituzionalismo nell’analisi organizzativa”, ed. Comunità, pag. 18) ---mercato e società pag. 109.
I soggetti decidono e agiscono sulla base di processi cognitivi in cui non prevalgono le componenti razionali di calcolo (e nemmeno quelle di identificazione e adesione affettiva nei confronti di norme e valori) ma una ragione pratica sostenuta da schemi e regole di procedura appropriata che, nella misura in cui entrano a far parte del comportamento routinario quotidiano, vengono utilizzati dagli individui in maniera data per scontata (taken – for – granted) e a un livello di riflessività quasi preconscio (secondo, appunto, una coscienza pratica). ---mercato e società pag. 109.
“L’uomo è un essere capace di produrre un mondo che successivamente gli si offre all’esperienza come qualcosa d’altro da un prodotto umano” (Peter Ludwig Berger – Thomas Luckmann) ---mercato e società pag. 111.
La differenza tra teoria e pratica del neoistituzionalismo:
Per Di Maggio e Powell lo stesso criterio di discriminazione vale rispetto al vecchio istituzionalismo sociologico, che, con la sua visione dell’ego di matrice freud-parsonsiana, sembra promuovere l’immagine di un attore guidato primariamente dalla ricerca quasi intenzionale delle gratificazioni connesse al conformarsi alle aspettative culturali e di ruolo del contesto sociale di riferimento. La tesi che le teorie istituzionalista di derivazione funzionalista si distanzino solo in parte dalla tradizione dell’utilitarismo ed estendano, sotto vari profili, il campo di applicazione delle categorie razionaliste è condivisa da vari studiosi (per esempio B. H. Mayhew). ---mercato e società pag. 109.
In generale, l’intero impianto del neoistituzionalismo economico si regge sul concetto che “le parti coinvolte in uno scambio desiderano risparmiare sui costi di transazione in un mondo in cui l’informazione è costosa, alcune persone si comportano in modo opportunistico e la razionalità è limitata” ---mercato e società pag. 102. ------cioè ricavare una rendita del produttore???-----
L’“efficienza può essere definita come la concezione del controllo che produce una probabilità piuttosto elevata di crescita e utili per le aziende, date alcune circostanze sociali, politiche ed economiche. Questa definizione prende in considerazione i tre fattori principali necessari alla prosperità dell’azienda: una concezione del controllo appoggiata dal vertice dirigenziale; l’esistenza di un campo organizzativo stabile e un sistema politico che non metta in dubbio la legalità dei corsi d’azione intrapresi dal campo organizzativo” (Neil Fligstein) ---mercato e società pag. 211.
E da qui nascono tutte le disgrazie dell’economia che abbiamo descritto inizialmente riguardo ---meritocrazia--- arrivismo --- ecc.
Legami e vincoli massonici veleno per la libera concorrenza del mercato.----- vincoli collusivi ----- sovrastrutture marxiane ------
“Persino se si sono rispettate tutte le norme, un’impresa si può ritrovare nell’occhio del ciclone come un’impresa che mette a rischio l’ambiente. D’altra parte o mercati dei beni e servizi sono sempre più insicuri. In questo modo, l’insicurezza costruita fa capolino nel cuore dell’azione e del management basato sulla razionalità economica. In genere si reagisce a questa situazione bloccando la riflessione più seria e condannando come irrazionale o isterica la protesta che si esprime al di là degli accordi ufficiali. Considerandosi come la ragione in un mare di irrazionalismo, si rischia di cadere nella trappola di una situazione dominata dai conflitti connessi con la percezione del rischio che è molto difficile riportare sotto controllo” (U.-------- Beck) ---mercato e società pag. 223. ----su nucleare Ippolito e collegare con incertezza causa di alterazione gerarchia------frase non ti mettere con un idiota perché ti trascina al suo livello-------fiat in Serbia-------
Solo in uno schema teorico in cui l’azione non esiste si può pensare una situazione di totale fluidità dove chi ha le idee può realizzarle senza difficoltà, mentre chi non le ha è automaticamente espulso dal sistema. Se non altro ci si dovrà aspettare incapacità, resistenze, deviazioni, rallentamenti. ---mercato e società pag. 52.
Da quest ------ incertezza ---- origina l’altra faccia del potere, quella che tende a stabilizzare le posizioni acquisite, intervenendo sulla facoltà altrui di agire [di ottenere quota di azienda?]. Il potere è anche potere di impedire. A questo proposito si deve osservare che questa caratteristica non deriva solo dalle intenzioni dell’attore, ma anche dalla natura eminentemente relazionale del potere. La nozione di potere è infatti “inscindibilmente legata al contesto nel quale esso di pone” (Ben Barnes) e ciò in quanto ogni volta che noi esercitiamo il nostro potere di agire dobbiamo sempre fare i conti con altri, ai quali finiamo spesso per imporre la nostra volontà, anche a prescindere dalle nostre intenzioni. Così ad esempio, quando in un asta l’ultimo nostro rilancio ci consente di acquisire quel bene, altri saranno costretti a rinunciare all’acquisto a cui tanto avevano tenuto. Il potere di fare e quello di impedire sono dunque strettamente legati alla posizione occupata in una data configurazione relazionale. In definitiva il potere ha sempre una natura ambivalente. Esso è insieme “poter fare” e “impedire”; e se da un lato esso permette di accumulare le risorse necessarie per l’azione, dall’altro stabilizza le posizioni, e in questo modo riduce le capacità di trasformazione e innovazione. Il confine tra questi due aspetti è molto labile e basta un nonnulla per scivolare dal poter fare all’impedire. ---mercato e società pag. 53.
D’altro canto, gli attori economici cedono spesso alla tentazione di preservare la propria posizione competitiva attraverso il potere sociale e politico, piuttosto che attraverso i prezzi e la qualità dei prodotti. ---mercato e società pag. 59.
Mercato e società pag. 51-52: incertezza come occasione per i migliori: si ma il punto principale diventa: questa incertezza e la relativa possibilità di sfruttarla da parte dei più furbi va a beneficio della collettività? No, dato che l’interesse diretto dei pochi va di conseguenza a discapito dei molti. C’è incertezza sul futuro politico del nucleare? --- società commercio schiavi 1865 invece di nucleare? ----- Chi è a conoscenza della prevista abolizione delle centrali nucleari ha un vantaggio personale, e si affretterà a vendere le proprie azioni prima che la notizia venga ufficialmente resa pubblica (insider trading? Vincoli collusivi? Corruzione per concessioni), a discapito dei nuovi acquirenti e degli azionisti tenuti all’oscuro (o usare fallimento banca come esempio?). per quale motivo può essere giustificata questa preferenza per alcuni azionisti e per altri no? Per nessun motivo! Alla collettività occorre energia elettrica, stop! Ed il modo per produrla non può e non deve sottostare all’incertezza a seconda delle opinioni o degli interessi personali, ma al modo più efficiente ovvero migliore. --- annullando con ciò i cosiddetti “costi di transazione”. Su economia scienza esatta?: Costo di transazione: concetto che definisce la differenza tra massima efficienza teorica e realtà; differenza causata dall’incertezza e dai suoi risvolti nel mercato istituzionalizzato (ovvero quando esiste un limite politico al completo laissez faire).
Oppure: costi per gli scambi commerciali --- che nel complesso fanno la definizione sopra?
“Ironicamente dal punto di vista dell’ideologia del libero mercato, la questione è che i gruppi economici producono risultati efficienti solo quando sono esposti ai rigori della libera concorrenza, che tutti evitano a meno che essi vi siano spinti da un potente stato autonomo. Il libero mercato appare come risultato innaturale della costruzione sociale e politica” (Mark Granovetter) ---mercato e società pag. 60.
E proprio per questo Smith insisteva sulla necessità di tendere ad una situazione quanto più possibile prossima alla concorrenza, eliminando le sovrastrutture, unico efficace strumento per combattere la concentrazione di potere e la corruzione.
Come abbiamo visto, la teoria economica tradizionale ha sostenuto che le condizioni della concorrenza generano un sistema che coniuga al meglio la libertà individuale e l’efficienza del sistema. ---mercato e società pag. 59.
In discussione non è l’impiego da parte degli attori economici del potere – sia all’interno che all’esterno del sistema economico – ma semmai gli esiti a cui ciò conduce e gli strumenti che possono essere messi in campo per perseguire tali obiettivi. ---mercato e società pag. 61.
Come ha messo magistralmente in luce l’economista – sociologo austriaco J. Schumpeter, nel capitalismo la vera concorrenza viene giocata nell’innovazione. ---mercato e società pag. 65.
Come può quindi un ideologia filo-luddista quale il marxismo --------?
Il marxismo è la filosofia non plus ultra di ---------istituzionalismo --------.
I cosiddetti “progressisti” alfieri del luddismo sono i veri patrocinatori del regresso!
La più distante dall’istituzionalismo è la “scuola di Chicago” (termine che di fatto non significa nulla tanto è eterogenea), di impostazione neoclassica. ossia massimizzano le utilità e usano la matematica, cosa che gli austriaci aborrono. --- su diverse scuole e ricollegare a Cile.-----
Quando il risultato delle operazioni varia globalmente dai risultati teorici dati dalle leggi economiche è proprio per un generalizzato “fattore umano” alterato, ovvero per un intervento politico; per un “1+1=3”. Ovviamente in tal caso da qualche parte deve esserci un “1+1=1” a pareggiare i conti. E quando questo avviene, il risultato prende nome “crisi economica”; che nei paesi comunisti, fondati completamente sull’intervento pubblico (“dirigismo”), era praticamente perenne. E nei paesi capitalisti l’inefficienza cronica è tanto più grave quanto più essi sono dirigisti, visto che una società totalmente liberalcapitalista (cioè anarchica) finora non è certo esistita.
“Il governo migliore è quello che meno governa” (didascalia
dell’“United States Magazine and Democratic Review”)
Massima efficienza non possibile per sociale perché: è difficile immaginare che un chiosco di panini si piazzi sul luogo di un incidente o cataclisma per approfittare della presenza di una folla bisognosa di rinfreschi. Eppure è questo ------------ razionale di efficienza. ---- inquinamento------
La massima efficienza nella vinificazione si ottiene usando alcol di sintesi. Il meno costoso (e quindi più efficiente) è il metanolo. Ma ha il brutto difetto di essere anche un veleno mortale. Il latte con melamina dà l’impressione dell’efficienza, è certamente efficiente per l’azienda, ma è un efficienza socialmente artificiale dato che la maggiore quantità di proteine solo la simula.
La psicosi per le adulterazioni e l’ignoranza sulla chimica causa gli eccessi, cosicché assieme al velenoso metanolo la proibizione si estende anche all’innocuo etanolo di sintesi (che se non prodotto bene può presentare tracce di metanolo).
Analisi funerali costosi nel contesto di efficienza economica. – e fiori (collegare con status symbol? Simboli di stato alfa falsato)----
Azione economica come azione sociale.
Sfoggio di ricchezza nel contesto culturale est europeo e sud americano --- motivo per cui provoca disuguaglianza --- frena il percorso della curva di Kuznets ----- Simon
Effetto di dimostrazione: tendenza dei paesi poveri ad imitare lo stile di vita dei paesi ricchi
Status symbol: non che lo rifiuta ma che proprio non riesce a comprenderne/afferrarne il concetto.
Quindi nel liberismo oggi come oggi il massimo dell’efficienza non è assolutamente raggiungibile dato che in esso, a causa delle differenze economiche tra persone, non è possibile eliminare del tutto ogni forma di direzione statale ed affidarla al settore privato. Solo eliminando la proprietà accentrata ed il lavoro subordinato sarebbe possibile realizzare uno sviluppo definitivo del capitalismo.
“Con qualche notevole eccezione, gli uomini d’affare favoriscono la libera impresa in generale ma s’oppongono ad essa quando questa viene a riguardarli” (Milton Friedman)
Questo capovolge la convinzione
di Marx che “le crisi permanenti non esistono” in un più realistico “l’efficienza
permanente non esiste”. Ma prima di tutto bisogna comprendere
cosa si intende per “crisi” in economia: un rallentamento degli ingranaggi del
flusso circolare è fisiologico (“fase recessiva del ciclo economico”) ed è
determinata da cause esogene (come una diminuzione delle risorse); una crisi è
invece un granello endogeno (intervento umano) che inceppa gli ingranaggi.
Nella sua interpretazione sulle origini delle crisi economiche Marx invece si
rifà alla superficiale conclusione che
“ci sono troppe merci rispetto ai redditi disponibili a comprarle ed i
salari sono troppo bassi” (dalla quale fu traviato perfino Douglas, oltre a
Keynes e Hilferding), il che equivale a guardare il dito anziché la luna.
Secondo Marx, “la causa ultima
di tutte le crisi effettive è pur sempre la povertà e la limitazione di consumo
delle masse”. Sovrapproduzione di merci si tradurrebbe
in sovrapproduzione di capitale secondo Marx. Ma in assenza di fattori
endogeni ciò viene corretto istantaneamente, per cui di fatto in un economia
libera “sovrapproduzione” (sia di merci che di capitale) è un concetto ignoto.
Essa compare quando intervengono fattori endogeni ad impedire l’autocorrezione.
Solo in tal caso sovrapproduzione di merci (ovvero carenza di domanda) si
traduce in diminuzione in scala del rendimento produttivo, e con essa anche
delle cifre disponibili per i salari.
Eppure le interpretazioni ----di questo----- non mancano. ---- Neokeynesiani: Harrod, Domar, Kaldor. Hicks????? -----
Keynes sostiene che il risparmio dipenda dal reddito. In realtà vi è un equilibrio spontaneo e invariabilmente statico (sentiero harrodiano di equilibrio) che li ancora uno all’altro ceteris paribus.
modello di Harrod-Domar: aggregato – lungo periodo (Keynes: breve periodo – rapporto fisso tra reddito e risparmio) – equilibrio tra risparmi, investimenti, e domanda/offerta = piena occupazione (secondo Keynes no).
Piena occupazione viene meno solo quando si esce dal sentiero di equilibrio.
E’ comunque un modello keynesiano perché: crescita della domanda attiva gli investimenti = cresce reddito e risparmio.
Grande trade off tra disoccupazione e inflazione : knife edge (filo del rasoio harrodiano) : sopra o sotto: instabilità harrodiana. Filo del rasoio equivalente a: saggio di sviluppo garantito. Il saggio di sviluppo effettivo può stare sopra o sotto. Il saggio di sviluppo naturale è il massimo raggiungibile (piena occupazione).
Knife edge: quando saggio di sviluppo effettivo è diverso da quello garantito. In tal caso la posizione di quello naturale fa uscire dalla knife edge e si ha l’instabilità harrodiana. ---vero????----
Quando il saggio di sviluppo effettivo è inferiore a quello garantito: disoccupazione keynesiana (potenzialità inespresse nei confronti delle possibilità di investimento).
Oppure knife edge si raggiunge quando saggi di sviluppo garantito, effettivo, e naturale sulla stessa linea?
Quando tasso di crescita garantito è uguale a tasso di crescita naturale = stato stazionario.
Instabilità harrodiana si manifesta in due modi:
1 quando il saggio di sviluppo garantito è diverso dal saggio di sviluppo effettivo
in questo caso, quando il saggio effettivo è superiore a quello garantito si ha eccesso di domanda e quindi inflazione. Quando è inferiore si ha eccesso di offerta e quindi depressione e disoccupazione.
2 quando il saggio di sviluppo garantito è diverso dal saggio di sviluppo naturale (sia che quello garantito sia diverso o uguale a quello effettivo)
in questo caso il saggio di sviluppo garantito superiore a quello naturale è possibile solo quando vi siano sacche di disoccupazione, che in tal caso verrebbero rapidamente assorbite. Quando in piena occupazione non è possibile un saggio di sviluppo garantito superiore a quello naturale.
quando saggio garantito ed effettivo uguali e inferiori a quello naturale si ha disoccupazione strutturale (cioè non keynesiana). Ciò è dovuto non a difetto di domanda ma a scarsità di capitale investito rispetto alle possibilità esistenti. (come trattenere grano da semina non mangiato anziché seminarlo).
Quando il saggio garantito è superiore a quello naturale, dovendo quello effettivo adeguarsi a quello naturale, il saggio effettivo sarà inferiore a quello garantito (ovvero pari a quello naturale). Di conseguenza sviluppo con depressione e disoccupazione crescente di tipo keynesiano (difetto di domanda) – eccesso di capitale investibile? Oppure no???---
per avere un saggio di crescita costante tutti e 3 devono trovarsi sullo stesso livello, altrimenti quando si esce dal sentiero il sistema tenderà a scostarsene sempre più (secondo i modelli matematici). Tuttavia il modello Harrod-Domar è un modello matematico che non tiene conto di fattori esogeni e variabili. Il neoclassico Solow corregge questa lacuna facendo notare come ciò venga a ricadere (ammortizzato) sul rapporto capitale/prodotto e capitale/lavoro e relativi prezzi, finendo quindi per influire (scaricarsi) solo su ciò. Ovvero si tratta di una funzione di produzione, aggregata nel caso di Solow. valendo la ipotesi di concorrenza perfetta e massimizzazione dei profitti vi sarà in equilibrio l’eguaglianza fra saggio salariale e produttività marginale del lavoro e fra saggio di profitto e produttività marginale del capitale, e l’intero prodotto verrà distribuito fra i due fattori. ---modello di Solow----
Il tasso di interesse non influenza il risparmio ma fa variare il rapporto capitale/prodotto.
Presupposto del modello di Solow è che il saggio effettivo e quello garantito siano uguali – e questi con quello naturale, il quale è trattato da Solow.
Riguardo Knife edge: una volta giunto sul sentiero di sviluppo corrispondente allo stato stazionario, il sistema tenderà a continuare su tale sentiero di sviluppo poiché esiste un meccanismo di riequilibrio che agisce tramite variazioni del rapporto capitale/lavoro e che tende a ricondurlo su tale sentiero ogni volta che per una qualche ragione esso se ne discosti. Tuttavia, come è stato ricordato da Hahn e Matthews, già nel 1963 Sato ha mostrato che il tempo necessario per giungere al sentiero di stato stazionario può essere molto lungo, dell’ordine di un centinaio di anni.
-----modello di Harrod---- Saggio naturale di crescita secondo Harrod come “il massimo saggio di sviluppo permesso dall’aumento della popolazione, dall’accumulazione di capitale, dal progresso tecnologico e dalla preferenza lavoro/tempo libero della comunità, supponendo che vi sia sempre piena occupazione in un certo senso”.
“Il fine supremo della politica è aumentare la qualità della vita e non aumentare il PIL. Possedere un certo tempo libero quotidiano è indispensabile per la qualità della vita” (-------chi??-----)
Tre saggi uguali (sulla knife edge?): possibile solo con socializzazione. La quale ricalca i calcoli matematici nella realtà, a causa di --------!!!!!!!!!!!!!!!--------assenza esogenità--------. –qui?----
In un sistema equilibrato [solo socializzazione può dare!] il tasso di variazione del reddito è uguale al tasso di variazione della forza-lavoro occupata più il tasso di variazione della produttività più il loro prodotto. -----progresso tecnologico come residuo???----- quindi il saggio naturale di crescita è uguale alla somma dei due saggi di crescita della forza-lavoro e della produttività, e quindi il tasso di crescita del reddito è pari alla somma dei tassi di crescita della forza-lavoro e della produttività.
Conseguenza indiretta è il poter calcolare a partire da questi parametri il tasso possibile di crescita della popolazione. Tuttavia ciò è esogenamente mentre il calcolo è matematico e può non corrispondere alla realtà. -----Malthus----- un analisi più approfondita dovrebbe tener conto di ---esogenità----variabili----, la qual cosa però esula da quello che è un calcolo matematico. Quindi cosa succede se questa uguaglianza non è rispecchiata dalla società reale?
In stato stazionario, il tasso di crescita del reddito pro capite è nullo ed il reddito cresce solo al tasso in cui cresce la forza lavoro. Ne deriva anche il corollario che un più elevato tasso di risparmio non conduce, in condizioni di stato stazionario, ad una maggiore crescita del reddito pro capite.
In tal caso la scelta delle tecniche (“intensità capitalistica”) basata sulla relazione fra produttività e rapporto capitale/lavoro nella funzione neoclassica di produzione assicurerà costantemente la piena occupazione. Tenendo conto dei rendimenti di scala costanti e dei rendimenti decrescenti dei fattori lavoro e capitale che il modello implica, in generale vi sarà una relazione monotonica decrescente tra il rapporto saggio di profitto/salario ed il rapporto capitale/lavoro.
Solo nel caso che il sistema pur crescendo ad un saggio di crescita effettivo uguale a quello garantito, si sposti sotto al saggio naturale, vi sarà una disoccupazione strutturale crescente. Ma dato che questo è un modello matematico che non tiene conto delle esogenità, gli autori neoclassici apportano la correzione ----esogena---- che --- condurrà a una pressione sui salari reali che tenderanno a ridursi rispetto al saggio di profitto. Ossia vi sarà una modifica nella scelta delle tecniche con una tendenza a spostarsi verso tecniche a minore intensità capitalistica e quindi un maggiore assorbimento di forza-lavoro. ---o maggiore domanda---- questo processo continuerà fino a quando l’equilibrio ----knife edge---- sarà ristabilito.
Viceversa -----qui o giù???----- quando il tasso di sviluppo garantito fosse maggiore di quello naturale la conseguente ---?--- riduzione del serbatoio di forza-lavoro in eccesso facesse elevare il salario rispetto al saggio di profitto, si tenderà a ricorrere ad una scelta delle tecniche a maggiore intensità capitalistica e si avrà un’abbassamento del saggio garantito fino al ristabilimento della piena occupazione e dell’equilibrio. Tutte le analisi keynesiane e marxiste, in particolare quella di ---- Cozzi, che contestano ----ciò----- possono semplicemente venire confutate con il fatto che esse tralasciano completamente che ogni alterazione in ----ciò------ è prettamente di natura esogena, motivo per il quale gli autori neoclassici l’hanno completamente ignorata nel loro modello matematico.
Il numero di cartelli stradali non è dato da quanti ne servano, ma da quanto costi il metallo per farli, ovvero dalla disponibilità.
----crisi di realizzo??----- La massa monetaria esistente in un dato sistema è automaticamente quella adeguata a coprire il valore di tutti i beni esistenti. Quando questo equilibrio naturale viene alterato si hanno instabilità. Non si compra di meno perché mancano quei pezzi di carta. Se così fosse basterebbe stamparli e distribuirli, se proprio ci fosse chi li accumula sotto al materasso. Si compra di meno perché c’è di meno, o meglio, perché i costi di produzione superano le risorse disponibili e la produzione di un dato bene diviene insostenibile. Tutti dicono “aumentiamo i salari per vendere di più!” – o buon dio! – quale differenza col ribassare i prezzi? Nessuna! E allora perché il produttore, volendo vendere di più, non abbassa il prezzo? Sarebbe un intervento talmente semplice e discrezionale! Se non agisce in tal senso lui che può, e che ne avrebbe (a dire dei ----) un interesse personale diretto, ci sarà una spiegazione! I prezzi sono regolati da domanda e offerta, ma sotto il limite di costo un produttore non può andare! Può solo ridurre o cessare la produzione.
determinazione piramide:
Non è che manca la domanda perché mancano quei pezzi di carta chiamati soldi. Non è l’esigenza ----soldi------ del produttore a fare il prezzo, ma l’offerta del -----compratore----. Nella realtà si vengono incontro, determinando le cosiddette rendite del ---produttore--- e del ----consumatore---, a seconda degli eventuali concorrenti sul prezzo.
ci sono 3 Ferrari da vendere? Le si venderà alle 3 persone che potranno permettersele più del quarto. Il quarto vuole una Ferrari ed offre poco meno del terzo? Se il mio costo di produzione più il margine ---- o saggio?--- (saggio di profitto: rapporto tra profitto e capitale) di profitto sono inferiori a quanto offre, produco la Ferrari per lui. Se sono superiori, non la produco. Con quei soldi produco qualcosa che mi assicuri il maggior guadagno netto.
Non sono i prezzi a determinare i redditi, ma sono i redditi a determinare i prezzi. I redditi sono determinati dai prezzi solamente in quanto i simboli del valore, le banconote, passano di mano, non vengono distrutte. Di conseguenza tale valore rimane in circolo nel sistema, ed in qualche modo ci si allocherà. Nel modo automatico appena descritto.
Se il quarto potenziale acquirente della Ferrari ha un potere d’acquisto inferiore a quello necessario per produrre la desiderata Ferrari, non è per ------magia-------, ma è perché le priorità altrui superano in capacità quelle per la sua Ferrari. Solo quando saranno soddisfatte verrà il turno della sua Ferrari, ovvero si apriranno le possibilità per produrla. Allora sarà la sua offerta a superare le possibilità di un altro. Non c’è quindi da chiedersi come e perché siano distribuiti i redditi, ma come i redditi creino i rispettivi prezzi, casomai. La disuguaglianza è il metro ------ delle priorità. -----sceicchi petrolio??------
Amartya sen – attribuzioni –attribuzioni: assegnazione-distribuzione dei diritti di accesso ad un prodotto
Certo tutti vorrebbero essere i primi ad accedere ad ogni determinato nuovo bene, ma dato che ciò non è comprensibilmente possibile, in qualche modo si dovrà organizzare la distribuzione. Liste di attesa come nel comunismo? La distribuzione tramite potere d’acquisto assicura la più equa distribuzione, avvenendo in maniera automatica; in teoria dovrebbe farlo su base meritocratica, venendo a formare una lista naturale di allocazione, non decisa arbitrariamente da ---qualcuno----- come nelle liste di attesa comuniste (ovviamente suscettibili di favoritismi). Anche se non sempre la lista -----capitalista----- rispecchia un reale merito. ----rendimento decrescente del proprio lavoro al crescere del reddito ------ difficile accettare che il potere di acquisto di un Gianni Agnelli sia commisurato al suo effettivo contributo alla produzione. Tuttavia --------------.
Quando venisse forzata la produzione di un bene a scapito di uno più prioritario, come nel caso della legge della crescita prioritaria del settore produttore di beni di produzione praticata nei paesi comunisti, si ricadrebbe nel “principio dei costi crescenti” secondo il quale vi è una perdita -----------. --- vantaggio comparato?-----
Trade off tra efficienza ed equità: non è impedendo di produrre le Ferrari che si aumenterà il frumento o altri beni di consumo. ---ma perlomeno si evita lo spreco di risorse sia materiali che umane-----
In ogni settore l’aumento della capacità produttiva deve essere uguale all’aumento della domanda (condizione dell’accumulazione del capitale). Inoltre a livello del sistema nel suo complesso per mantenere il pieno impiego nel tempo la crescita della domanda totale deve essere tale da permettere l’acquisto di tutti i beni di investimento necessari per la produzione e di tutta la produzione restante sotto forma di beni di consumo (condizione della domanda effettiva).
Non si acquista un macchinario quando esso serve. Lo si acquista quando è possibile farlo (incluso quando sia un prestito di capitale a permetterlo). Condizione fondamentale difatti è che esso esista, perlomeno. Dopotutto oggi sarebbe molto utile un attrezzo che -------piombo in oro?-------, ma non per questo lo si può acquistare! A qualunque trasportatore africano servirebbe un camion con cui sostituire il suo carretto trainato da un asino, ma evidentemente ------camion più utile altrove-----.
anche Marx sostiene che prezzo = salario + profitto: ciò può valere in modelli aggregati, ma non per il singolo prodotto. E’ inevitabile che la somma dei prezzi debba eguagliare salari + profitti. Salari aggregati – prezzi aggregati (PIL?). ---- Il singolo prodotto viene analizzato nei modelli a due settori o quelli multisettoriali.
Assodato ciò ovvero che la causa a cui dover e poter rimediare sono i costi di produzione, è conseguente che le cause a monte sono i costi alti delle materie prime: materiali ed energia. Il costo del lavoro invece non influisce, grazie alla sua flessibilità. Influisce solo quando la flessibilità viene meno per colpa della politica sindacale. In alternativa potrebbe influire solo in una situazione di grave carenza di manodopera, ovvero a disoccupazione zero comprensiva di forte domanda di lavoro. Ma la flessibilità non verrebbe meno: si scaricherebbe sul flusso circolare dell’economia riportando al pareggio i conti, eccetto nei rapporti economici con ambiti esterni al flusso nazionale, ovvero con l’estero, che verrebbero fortemente alterati nei valori dei beni e delle risorse. ---frase da pag. 31 capitalismi. “Ciò che regola il commercio internazionale non è la speculazione, ma le economie di scala”?
Non si può cavare sangue da un muro.
Funzione di produzione: differenza tra capitale e lavoro, inversamente proporzionali. Marx contestò questo concetto con ----- composizione organica del capitale su tutte le linee della produzione ------.
diversi salari – su ferrari?: composizione organica del capitale (Marx): differenza dei vari parametri tra diversi settori e diverse aziende. Vedi politica economica pag. 43-44. (mettere anche su U)
Marx isolò il capitale investito nell’assumere i lavoratori perché, essendo l’esercizio della forza lavoro l’unica sorgente di nuovo valore, questa era la parte del capitale che aumentava per fornire gratuitamente al capitalista un profitto, o plusvalore. Marx chiamò questa parte capitale variabile. L’altra parte investita nella fabbrica, nelle macchine, ecc. era in ugual modo essenziale alla produzione, ma il suo valore veniva solamente trasferito al prodotto finale senza alcuna variazione nella sua grandezza. Per questo motivo Marx lo chiamò capitale costante. La composizione organica del capitale esprime in termini di valore la relazione tecnica tra gli apparati produttivi e il numero di lavoratori necessari per metterli in funzione, ciò che gli economisti accademici chiamerebbero grado d’intensità del capitale. ---Intensità capitalistica: + meccanizzazione – lavoro umano.----
--------- Cavallaro, scrive sulla opinione tradizionale del concetto di valore di Marx: “In terzo luogo, scontando la diversità di composizione organica del capitale nei diversi settori della produzione, si deve determinare il saggio di profitto come rapporto tra il plusvalore totale e la somma del capitale costante e capitale variabile, e, una volta dato quest’ultimo, provvedere a rettificare i prezzi dell’output... agli input si debbono applicare gli stessi prezzi dell’output; prezzi relativi e saggio di profitto vengono ora determinati simultaneamente a la Sraffa”. ---- saggio di profitto: rapporto tra profitto e capitale (non salari!)-----
L’effetto negativo si ripercuoterebbe anche sulla propensione all’investimento che andrebbe a forzare il sentiero harrodiano di equilibrio verso i beni di produzione anziché quelli di consumo, con conseguente -----inflazione-----.
Sraffa aveva introdotto l’esistenza dei fattori esogeni nelle due variabili distributive (saggio di profitto o saggio salariale), determinati da fattori socio-politici, identificati nell’incontro-scontro tra le forze contrattuali dei sindacati e del padronato (la più determinante secondo Hicks) oppure dalla politica monetaria della banca centrale. Entrambe possono forzare il livello del saggio di profitto e quindi influire sulla determinazione dei prezzi e sulla propensione al risparmio (e quindi investimento e crescita). ----saggio di profitto: rapporto tra profitto e capitale (non salari!)----
Kaldor ha analizzato la distinzione negli effetti sulla crescita tra quota del reddito che va ai capitalisti e quota del reddito che va ai salariati. Valutando come la propensione al risparmio dei capitalisti sia superiore a quella dei salariati ne ricavò che una ---pendere------ del reddito verso il capitale (ovvero l’aumento del saggio di profitto) fa aumentare, ceteris paribus, il risparmio e quindi il saggio di crescita d’equilibrio, mentre la diminuzione del saggio di profitto fa l’opposto. Inoltre Kaldor dimostra come automaticamente sia questa --------- a determinare lo stesso saggio di profitto. Probabilmente nel timore di apparire impopolari, nessun testo fa notare che tradotto in parole povere significa che diminuendo i salari il risultato è… l’aumento dei salari! Nella realtà significa che il livello aggregato dei salari, così come il saggio di profitto, sono sempre automaticamente quelli perfetti. Di conseguenza ogni forzatura del loro livello non può rivelarsi altro che una diminuzione del salario (inteso come potere d’acquisto)!
Tecnica: proporzione in cui combinare lavoro e capitale – intensità capitalistica delle tecniche. – al crescere dell’intensità capitalistica aumenta il prodotto ma in maniera decrescente, e quindi anche la produttività media crescerà ma con incrementi via via decrescenti. Vedi politica economica pag. 68.
Ritorno delle tecniche: aumentando ad esempio il saggio salariale si può passare ad una tecnica a maggiore intensità capitalistica (come per Solow), ma aumentando ancor più i salari ritornare alla tecnica originaria.
Puntualizzare che soldi servono come metro di misurazione ecc in assenza dei quali è impossibile quantificare ------prodotti-----beni-----.
Il funzionamento del sistema dei prezzi, cioè di un sistema informativo estremamente sintetico, veloce e preciso in grado di veicolare una notevole quantità di informazioni che consente ad ogni singolo operatore di effettuare valutazioni comparative di tipo quantitativo. -----mercato e società pag. 20.
Il mercato può dunque essere definito come quel particolare ambito dove, grazie all’esistenza di un sistema di prezzi, è possibile calcolare le conseguenze (economiche) delle proprie azioni. ---mercato e società pag. 21.
“Il concetto di scambio è profondamente legato a quello di sacrificio in vista di un guadagno” (G.------- Simmel)
Il denaro non ha dunque valore in sé, ma in quanto riesce a stabilire relazioni tra cose e persone. Esso è un simbolo perfettamente astratto.
E proprio perché potenzialmente ci consente di ottenere qualunque cosa, il denaro tende sempre a trasformarsi in un fine in se stesso. -----questo su consumismo??????-----
William Petty mise in luce il principio di divisione del lavoro e il ruolo delle condizioni tecniche di produzione nel determinare il prezzo delle merci; sostenne che una bilancia commerciale attiva non è bene in sé, ma solo in quanto sostiene il livello di produzione dell’economia
Richard Cantillon arriva a una concezione pura del lavoro-terra. Importante è anche il concetto sui beni di lusso, da lui definiti in due modi: o come residuo dell’età feudale o come ruolo di motore del sistema attribuito a consumi di lusso delle classi più elevate.
E qui si ha la grande frattura tra fisiocratici e mercantilisti. I primi fanno dell’agricoltura la base del sistema economico, base sulla quale tutto il resto si regge. Partendo da questo si può argomentare una ----decente---- teoria del valore, per il fatto che il contadino che da solo produce alimenti per 10 persone potrà usufruire del lavoro, sia manifatturiero (settore secondario) che servizievole (settore terziario) prodotto da quelle dieci persone; se riuscisse a produrre gli alimenti per 100 persone ---idem----. ----ulteriorizzare-----
Per i mercantilisti invece la base verte sui rapporti umani di scambio, e quindi a prescindere da quanto una persona meriti produttivamente, l’allocazione deriverà sempre dalla capacità contrattativa negli scambi commerciali, ed il valore delle merci vi si adeguerà di conseguenza disancorandosi da ------produzione come merito-----.
Amartya sen ––attribuzioni: assegnazione-distribuzione dei diritti di accesso ad un prodotto
Ricardo elabora quest------------ definendo “salario naturale” quanto sta alla base della sussistenza inteso nel sistema fisiocratici adeguato alla popolazione esistente, escludendo quindi i beni di lusso (che di conseguenza a causa del mercantilismo non vanno più interamente al contadino che sfama alla base le persone che sul suo prodotto poggiano).
O Su allocazione dei beni per via gerarchica ? piramide?? --- Allocazione piramidale dei beni: allocazione per via gerarchica. ----- Sovrappopolazione (Malthus): tanta più domanda = aumento prezzo e quindi impresa per colmare questa domanda. Limite? Aumento costi di produzione non ricade sul prezzo nel breve periodo, ma sui ricavi aziendali – solo quando esaurimento riserve aumento prezzo: 1.000 persone – 1 chilo oro = tot prezzo; 2.000 persone – 1 chilo oro = tot doppio; 500 persone – 1 chilo oro = tot dimezzato.
Crisi mutui case Usa: concessione molti mutui = distrazione fondi da altri usi (nome??) + crollo prezzi delle case = perdita per banche che pignorano.
mutui subprime: mutui contratti da persone inaffidabili. Col crollo dei prezzi del mercato immobiliare (conseguenza della stessa espansione dei mutui) la gente ha smesso di pagare le rate.
Quando una risorsa si esaurisce 1.000 persone tot costo – 2.000 persone doppio costo. Esempio della terra, che non è illimitata. --- oro??---- differenza tra risorse riciclabili (metalli) e petrolio.
Salario di sussistenza oggi generalmente fatto coincidere con il 50% di PIL pro capite (soglia internazionale della povertà relativa).
Su polli di trilussa: trickle down = concetto che il mero aumento del PIL pro capite vada a favore di tutti – disoccupazione? – sbagliato secondo: kuznets-Gini – piramide.
Teoria economica del “trickle-down” (letteralmente: del gocciolamento): teoria secondo cui i benefici finanziari alle grandi imprese si rifletterebbero a loro volta sulle imprese più piccole e sui consumatori. ------- su produzione -------
Consiste nell’abbassamento costante dei prezzi reali.
Indice Atkinson Si basa sul reddito pro-capite che, ove fosse condiviso da tutta la popolazione, genererebbe lo stesso livello di benessere che scaturisce dalla distribuzione dei redditi osservata.
Principio di trasferibilità detto anche principio di Pigou-Dalton: se il reddito (meno la differenza), fosse trasferito da una persona ricca a una povera (trasferimento progressivo) la distribuzione risulterebbe più equa.
La maggior analisi si deve a Simon Kuznets, il quale ha individuato una
relazione ad “U rovesciata” o “a gobba” tra disuguaglianze e livello di
sviluppo. ----curva di Kuznets--- La curva di Kuznets mostra come evolve
la distribuzione del reddito nel tempo. Sull’asse delle ascisse troviamo il
prodotto nazionale lordo pro-capite mentre su quello delle ordinate il coefficiente
di Gini; ricordiamo che il coefficiente di Gini può assumere valori che variano
da 0 (distribuzione del reddito uniforme) a 1 (massima sperequazione del
reddito). La curva di Simon Kuznets, la cui forma assomiglia ad una U
rovesciata, sta appunto ad indicare che la distribuzione del reddito tende a
peggiorare nella prima fase dello sviluppo, migliora invece successivamente.
Indice di Gini: con il valore 0 che corrisponde all’uguaglianza perfetta, ad
esempio la situazione in cui tutti percepiscano esattamente lo stesso reddito;
valori alti del coefficiente indicano una distribuzione più diseguale, con il
valore 1 che corrisponde alla più completa disuguaglianza, ovvero la situazione
dove una persona percepisca tutto il reddito del paese mentre tutti gli altri
hanno un reddito nullo. Quando i beni
agricoli erano gli unici esistenti avevano un grande valore assegnato, e non vi
erano disuguaglianze (dato per scontato che le necessità alimentari siano tutte
simili ciò è implicito). E’ con il sopravvenire di altri beni che inizia a
sorgere la disuguaglianza. Il primo abito prodotto nella storia dell’umanità è
inevitabilmente andato ad un uomo solo, e questo creò una disuguaglianza,
ripianata man mano che venivano prodotti abiti, fino a ritornare alla condizione
di uguaglianza iniziale allorquando tutti abbiano un abito. Da qui la curva ad
U, che raggiunge l’apice della disuguaglianza quando il 50% degli aspiranti
riesce ad accedere al possesso di un determinato bene. Ma di pari passo
----sorgevano---- nuovi tipi di beni, i quali seguivano tutti lo stesso
percorso.
Legge di Engel: assumendo che al crescere del reddito pro capite cresca meno che proporzionalmente la domanda di certi beni, e cresca invece di più la domanda di altri beni di ordine superiore, o la domanda di nuovi beni, si avrà: una crescita costante della popolazione nel tempo; una crescita costante nel tempo, ma diversa da settore a settore, della produttività; una crescita della domanda pro capite non costante nel tempo e diversa da settore a settore. --------Engel quello di Marx o no????------
Crescita dei bisogni – crescita degli obbiettivi produttivi ---
l’aumento pro capite della quantità dei beni e dei servizi prodotti viene
vanificata costantemente dall’avanzata della frontiera dei bisogni. La rincorsa
tra beni e bisogni rischia di non aver mai fine.
Effetto di dimostrazione: tendenza dei paesi poveri ad imitare lo stile di vita dei paesi ricchi
Paesi come Giappone, Taiwan, Corea del sud, con meno disuguaglianze hanno propensioni al risparmio alte, mentre paesi africani o sudamericani con forti disuguaglianze, maggioranza della popolazione ai livelli di sussistenza ed una piccola classe politica ricca che ama vivere nell’opulenza hanno bassi risparmi e quindi bassa possibilità di sviluppo. ----banana joe------
Andamento ad U impedito (mantenimento disuguaglianza) quando il paese produttore esporti all’estero il bene coinvolto, impedendone l’accesso ai propri abitanti, anche se (ma non sempre) a favore di importazione di altri prodotti (generalmente di lusso destinati ai più ricchi). ---neocolonialismo------
-----Tv a colori – la Malfa------
Indice di Gini = indice della disuguaglianza – può essere considerato come una retta che attraversa la U di Kuznets, nella quale ammettendola come 200 il caso di un 60% di Gini (poca disuguaglianza, il 60% possiede o non possiede un dato bene) passa sia per ------ che per -------, mentre il 25% (molta disuguaglianza, il 25% possiede o non possiede un dato bene) passa sia per ------ che per------. ---vedi immagine foglio-----
Polli di Trilussa metterli su pil pro capite – ferrari. Indice di Gini?
Quindi in questo caso il cosiddetto trade-off tra uguaglianza ed efficienza non può spiegare i ----impedimenti---- allo sviluppo; casomai lo spiega la ----politica------neocoloniale---- “di rapina”. Di conseguenza sottosviluppo e disuguaglianza vanno naturalmente di pari passo. ---- Da pagina 161?----
Abbiamo già visto il caso del Kenya, dove -----. Secondo gli studi compiuti da ----Alesina, ----- Rodrik, ----- Deininger, ----- Square, vi sono poi inoltre tutta una serie di ------- derivate che ------- il perpetuarsi del sottosviluppo: prima di tutto lo scontro sociale crea tensioni politiche che portano regolarmente a dover optare per scelte di economia notevolmente sbagliate; la povertà relativa aumentà la corruzione e quindi l’inefficienza burocratica; l’instabilità politica porta un insicurezza che riduce la propensione all’investimento sia interno che estero, con connessa fuga di capitali; ------l’accesso all’istruzione--------; -----l’accesso all’imprenditorialita-------impedito-----.
Legge dei rendimenti marginali decrescenti analizzata da Ricardo:
L’Argentina fino a qualche decennio fa era un paese molto ricco. La sua ricchezza si basava sull’allevamento e sull’agricoltura estensivi. Con il passare del tempo tale produzione non è certamente diminuita, anzi, è assai probabile che sia aumentata. L’Argentina si è impoverita per il semplice fatto che i suoi prodotti hanno iniziato a subire un calo del loro valore rispetto ai beni importati da altri paesi e scambiati coi prodotti carnei e agricoli argentini. --- petrolio? Bretton woods 1973???----
“La maggior parte degli uomini è tanto intenta a procurarsi la propria quota di biglietti-denaro per servirsene come misura di capacità d’acquisto, che si è scordata dello scopo del denaro” (Ezra Pound) da “A che serve il denaro?” ------ destra sociale pag. 31.
Di conseguenza non è con un rialzo dei salari che si elimina la
sovrapproduzione/sottoconsumo; anzi l’aumento dei salari ceteris paribus in
fase recessiva spinge ancora più a fondo la sinusoide del ciclo
economico, in un effetto noto come “stagflazione”. Se la capacità
produttiva di un paese raddoppiasse raddoppierebbe automaticamente il suo
potere d’acquisto; ogni merce viene invariabilmente venduta adeguandone il
prezzo. Il marxiano “sottoconsumo”
(ovvero “sovrapproduzione”) non
è determinato dai salari bassi, dato che in ogni caso tutta la produzione
esistente viene invariabilmente smerciata adeguandone il prezzo al ribasso
quando necessario. E’ determinata da fattori quali i costi più alti dei ricavi,
ovvero ad esempio 10 persone producono il pane necessario sempre a 10, ma a
causa di cattivo raccolto o di una tassa appostavi la farina viene a costare un
rapporto di 9 pani anziché di 8, cosicché solo 9 persone possono permettersi di
acquistare il pane, ed il pane in più risulta come sovrapproduzione nonostante
la bocca da sfamare esistente. E’ un esempio ricavato dagli studi di Robert
Giffen sui beni sostituti: quando c’è carenza di farina il prezzo del pane
aumenta; questo provoca un ribasso del potere d’acquisto delle fasce più
povere, con la conseguenza che esse dovranno rinunciare all’acquisto di
alimenti più superflui (beni superiori) tipo la carne, e sostituirli con un
maggior acquisto di pane (bene inferiore); come si può notare in tal caso
nonostante l’aumento di prezzo del pane aumenta anche la sua domanda, e
viceversa si ha un sottoconsumo ovvero sovrapproduzione di carne (e quindi
ribasso del prezzo e minori guadagni per gli allevatori), i cui effetti non si
limitano all’allevamento ma da esso si dilatano lentamente su tutta l’economia.
All’inizio almeno, la recessione incomincia in un settore, nel quale c’è una
capacità produttiva superiore alla domanda, e gradualmente si diffonde ad altri
settori. Se la recessione è abbastanza forte, si può arrivare a una situazione
di sottoconsumo generalizzato, ma anche in questo caso la distanza fra capacità
produttiva e domanda resta molto diversa nei vari settori. Se questo è vero,
non basta aumentare la generica propensione al consumo, perché ci sono comunque
dei settori che nel tempo si sono troppo sovradimensionati, fino a un livello a
cui la domanda non potrà più arrivare. In questi casi, l’uscita dalla crisi
esige che in questi settori la produzione diminuisca, con tutte le inevitabili
conseguenze: rottamazione dei beni strumentali, almeno quelli più obsoleti, e
riduzione della manodopera. Un ---- che in un sistema spontaneo avviene
automaticamente, ma in un sistema diretto politicamente viene frenato, con
conseguenze deleterie. La prima grande cassa integrazione alla Fiat fu avviata nell’autunno del 1974, dopo che
il mercato dell’auto si saturò. E si saturò per il semplice motivo che tutti
avevano già un automobile, non perché il salario non gli bastava! Quando il
salario non basta, e ci sono automobili in surplus e persone che ne sono prive,
semplicemente la Fiat ne abbassa il prezzo! Quando il costo supera il prezzo,
smette di produrle; ma questo non è dovuto al fatto che il salario non basta,
ma che non sussistono le possibilità materiali di produrre! ----come abbiamo
già visto, Contrariamente a quanto sostenuto dai keynesiani, secondo i
quali ---------, il che significa invertire ----i concetti---- di domanda/offerta.
Certo le nicchie vengono riempite, ma i keynesiani tralasciano che ciò ------
solo se esiste la possibilità di farlo. In questi casi il
sostegno alla fabbrica è contrario allo sviluppo spontaneo della produzione ed
il risultato non può certo essere positivo. Nel sistema italiano di quegli anni
la reazione dei dirigenti era impedita politicamente, e quindi era inevitabile
il ricorso sotterraneo ai “Luigi Cavallo”. Ricordiamoci che l’offensiva Br
verso la Fiat inizia in questi frangenti.
Nel caso della crisi attuale (2010), questa situazione è molto ben riconoscibile, perché esistono due settori con capacità produttiva sovradimensionata: l’edilizia e l’automobile. Sono attività che assorbono grosse quantità di manodopera, e quindi il loro ridimensionamento ha impatti più pesanti sul maggior parametro sul quale si calibra una crisi: la disoccupazione. I regimi di salari fissi impediscono l’assorbimento dei nuovi disoccupati da parte del sistema, ma inducono che anche quando i prezzi calassero a causa del sottoconsumo, il risultato sarebbe un calo del profitto; quindi è come se i salari reali salissero a discapito dei profitti. In un modo o nell’altro, si tratterebbe sempre di una redistribuzione del reddito da chi lo ha in eccesso a chi non ne ha abbastanza, rispettosa però delle proporzioni della piramide reddituale. Ma la ripercussione sui prezzi riporterebbe il potere d’acquisto dei secondi sui livelli precedenti, con l’ovvia conseguenza che l’unico risultato sarebbe la minore disponibilità di capitali per investimento e consumi superiori. Quindi l’adeguamento del potere d’acquisto verso l’assorbimento perfetto della produzione si regola da sé, capovolgendo le convinzioni di Marx (derivate da Hilferding) che se i salari fossero nominalmente rialzati i capitalisti venderebbero di più. Vi è più di un punto in comune con Keynes nel soffermarsi unicamente sui consumi (ovvero oggi sui numeri del PIL). Quando la quantità di un bene è invariabilmente statica e la domanda nominale aumenta, anche variarne il prezzo non ne aumenta la quantità. L’aumento dei costi di altri fattori di produzione in un regime di scambi concorrenziale o si traduce nel lungo periodo in rialzo dei prezzi, o, dove possibile, in ribasso dei salari, quando non nella cessazione dell’attività. Lo squilibrio nasce quando, ad esempio, se Tizio avesse prodotto un valore prima assegnato a 100 e Caio uno a 50 ne risulta che Tizio non potrà mai scambiare equamente con Caio tutto quello che ha prodotto. In parole povere Tizio ha prodotto per la metà solo per il magazzino e ciò non aumenta assolutamente il valore di scambio, nella pratica significa che sovrapproduzione comporta accumulo di scorte; esse causano ulteriori spese per lo stoccaggio e la sorveglianza (paragonabili al “costo delle suole”) oltre al fatto che oltre un certo limite arriva anche la sovrapproduzione per il magazzino stesso. Tizio non potrebbe far altro che abbassare il prezzo anche arrivando a dover ammettervi un danno. Il punto è chiedersi per quale motivo Tizio ha prodotto più di quanto potesse scambiare. Le odierne sovvenzioni statali e comunitarie all’agricoltura ci danno una risposta a questa domanda. A causare le crisi sono interventi politici sul sistema economico, non un generico sottoconsumo, inteso come propensione al consumo troppo bassa rispetto alle capacità produttive. ------come unire?------
“La prospettiva di economica energia di fusione è la peggiore cosa che potrebbe accadere al pianeta” (Jeremy Rifkin)
Non è che riducendo il consumo di petrolio aumenti la quantità di altri beni, nel sistema globale. Ma di sicuro si limita il flusso di beni dai paesi consumatori a quelli produttori. Un po’ come i debiti -----fatti----- dai paesi del terzo mondo quando i tassi di interesse reali in dollari erano negativi, negli anni ’70. Essi crebbero rapidamente negli anni successivi per cui ogni rinegoziazione del prestito veniva fatta a tassi sempre più alti. Dato che tutti i prestiti dovevano essere restituiti in dollari, ciò aggravava la bilancia commerciale già di per sé debole, nonché l’inflazione del paese debitore, che quindi era costretto a svalutare continuamente la propria moneta rispetto al dollaro. La conseguenza era che il paese debitore doveva esportare sempre più prodotti per riuscire a pagare i propri debiti, in una spirale malefica. ---strangolando i paesi poveri ------ ----------- qui discorso sulla disuguaglianza – riguardo sceicchi ai quali va la ricchezza del petrolio sotto forma di rubinetti d’oro negli yacht. --------- Quando il consumo di carburanti diminuisce, i petrolieri semplicemente pompano meno petrolio. Se il consumo è diminuito a causa del prezzo, abbassano il prezzo; i loro introiti rimangono comunque sempre gli stessi. Ma non si fraintenda: nel discorso, carburanti (benzina, gasolio, cherosene, ecc) e petrolio sono ben definiti. Esso vale per i carburanti ----finali-----, non per il greggio. Per il greggio valgono i normali meccanismi dell’economia, dato che il suo prezzo è indipendente dalle propensioni ----dei consumatori---- e vincolato a ----normali domanda/offerta----. Verso il greggio il discorso influisce solamente per quanto riguarda il suo rapporto con i carburanti ----finali----. Di conseguenza potrebbe benissimo verificarsi nel breve periodo una ----congiuntura---- nella quale vi sia un contemporaneo aumento del prezzo del petrolio e una diminuzione del prezzo dei carburanti petroliferi, o viceversa.
La variazione dei prezzi dei fattori non influisce sul prezzo finale, nel breve periodo. Il consumo di carburanti non è determinato dalla quantità che i petrolieri estraggono, ma da quanta strada la gente vuole percorrere; il prezzo per litro è determinato da quanto la gente è disposta a spendere per chilometro, non da quanto costa estrarlo e distribuirlo.
“Von Mises affermava che ogni economia – qualunque sia il contenuto istituzionale nel quale si svolge – ha da risolvere il problema del migliore utilizzo di risorse scarse; che a tal fine si richiede un calcolo che consenta di scegliere, tra tutte le alternative possibili, quella migliore; che tale calcolo si può eseguire solo in quanto le risorse siano dotate di opportuni indici di scarsità, così come avviene mediante la formazione di prezzi su un mercato; che nell’economia pianificata, poiché, come conseguenza della proprietà pubblica, non esiste mercato per le risorse produttive, la determinazione di tali indici è impossibile; che, perciò, l’economia pianificata, non potendo eseguire alcun calcolo, è condannata all’impossibilità di risolvere il problema economico, è cioè un’economia priva di razionalità” (Claudio Napoleoni)
Per quanto strano possa sembrare è proprio il discorso sul valore dei carburanti ad aver riscosso le più accanite critiche dagli esperti di economia che hanno preso visione del testo prima della pubblicazione. Secondo la loro ristretta e dogmatica visuale tutto si riduce a delle leggi fissate in maniera immutabile, per cui una minore domanda corrisponde invariabilmente ad una diminuzione di prezzo, qualunque sia il prodotto preso in considerazione. Inutile fargli notare come probabilmente anche Robert Giffen subì le stesse critiche dopo aver elaborato la teoria dei beni che prende il suo nome.
Ora, da un lato i neoclassici di scuola austriaca criticano quest’opera per l’applicazione di un fattore psicologico contrapposto alle convenzionali leggi economiche; i neoistituzionalisti invece criticano per l’opposto, ovvero per la definizione di scienza matematica applicata all’economia. Come diceva Antoine, “se sei bello ti tirano le pietre, se sei brutto ti tirano le pietre”…
Solitamente si è portati a pensare che gli economisti, a causa della serietà della materia che trattano, siano obbligati a scrivere in maniera particolarmente noiosa e soporifera; la migliore cioè per rendere le loro tesi accettabili e farle considerare importanti.
Stranamente nello studio dell’economia, di qualunque autore, ci si perde in una marea di elucubrazioni e --------, mentre il concetto di produzione viene quasi relegato in un angolino. Alla fine, di milioni di pagine scritte sull’economia, tutto si riduce a questo semplice concetto. Che è poi il concetto di partenza. Alla fine l’economia si rivela un -------- semplicissima.
“Un uomo percorre il mondo intero in cerca di ciò che gli serve e torna a casa per trovarlo” (George Moore)
------- il succo si riduce ad un solo semplice concetto: produzione. Non importano tutte ------- intorno, come, dove, quando. L’economia è la produzione. Il sistema migliore non deve -----,----,----. Non è quello che ----,-----,----. E’ quello con il quale la produzione è maggiore. Non dovrebbero esserci dubbi che la maggior produzione derivi dalla maggior volontà di ogni addetto ad essa. Non dovrebbero esservi dubbi che questa corrisponda alla socializzazione distributista. Ergo? ---collegare con terziario su?------
“Le necessità della vita vengono soddisfatte dal lavoro: cibo, abitazione, vestiti, luce e riscaldamento. Il benessere di una nazione sta nel lavoro e non nel capitale: è questo il punto. E perciò quando si tratta del problema della creazione di posti di lavoro lo Stato non deve, mai chiedersi: posseggo il denaro per fare ciò?, ma piuttosto c’è una sola domanda che deve porsi: come devo usare il denaro? C’è sempre abbastanza denaro per creare lavoro e come ultima risorsa si dovrebbe creare credito produttivo (incrementando il disavanzo) che è, in questo caso, economicamente del tutto giustificato” (Gregor Strasser, “Pane e lavoro”, 1932)
Ben diverso è il discorso di chi rompe apposta una lampadina in fabbrica: ----- Italia più povera del valore di una lampadina----
“Io ne ho abbastanza di queste dimostrazioni. Esse non nuocciono agli ebrei! Nuocciono a me, poiché io rappresento la massima autorità per il coordinamento dell’economia tedesca! Ma non capite? Se oggi viene distrutto un negozio ebreo, se le merci sono gettate nella strada e bruciate non sono gli ebrei che vengono danneggiati. Sono le compagnie di assicurazioni che devono pagare! Le compagnie di assicurazioni tedesche! Inoltre le merci che vengono distrutte sono merci di prima necessità che appartengono al popolo! (…) Con questo criterio allora io potrei dare alle fiamme le materie prime, senza neppure aspettare che arrivino a destinazione. Naturalmente la gente non capisce tutto questo (…)” (Hermann Göering) Leonard Mosley, “Il tempo a prestito”, Longanesi ed., pag. 181-2. ------ anche su pil, e soldi come lavoro umano ------
Il punto fondamentale che gli economisti tralasciano e che l’opinione pubblica ignora è questo, che la ricchezza, ovvero i beni, una volta prodotti vengono distribuiti e utilizzati, e rimangono nel mondo, ad uso delle persone, fino a quando non vengono distrutti. La loro distribuzione internazionale è regolata di per sé da precisi automatismi. L’azione socio-politica in questo senso ----- Amartya sen ––attribuzioni: assegnazione-distribuzione dei diritti di accesso ad un prodotto
Kindleberger, basandosi sul “modello di Lewis”, la crescita del terziario si può spiegare con ------ “disoccupazione invisibile” (o nascosta?)--- Ragnar Nurkse la chiama così
In riferimento a Kindleberger, basandosi sul “modello di Lewis , ma non necessariamente li – anzi, su TERZIARIO: Lutz rifiuta il modello di Lewis, ritenendo che lo spostamento della manodopera dal settore primario agli altri non sviluppasse un nuovo potenziale produttivo, ma fosse un banale adeguamento domanda/offerta del mercato del lavoro ---e quindi saggio salariale e di profitto ecc-------. Difatti coloro che restano nel primario avranno un analogo aumento di ----salario---- pari a quello di tutti, dovendo adeguarsi alla condizione domanda/offerta tanto quanto qualunque altro ---------. -----strutturale??---. A meno che di forzatura come balzo in avanti ecc----------. -----Struttura del sistema produttivo------
In Italia dal 1951 al 1973 vi è stata una crescita del prodotto agricolo del 2,2% l’anno, a fronte di un calo del 4,4% annuo degli addetti del settore.
Struttura del sistema produttivo: percentuali di primario, secondario, terziario.
Aumento II e III a scapito di I: legge dei tre settori o di Colin Clark.
Diminuzione primario a favore di II e III: funzione del progresso tecnico di Kaldor.
Fatti stilizzati di Kaldor: quando aumenta produzione ma non aumentano redditi nominali e profitti nominali.
Ad un certo punto anche il II diminuisce (deindustrializzazione) – saturazione – nuovi prodotti – consumismo – Kuznets-Gini.
Come primario e secondario
permettono l’esistenza del terziario, è il primario che permette l’esistenza
del secondario. ----qui???----
fisiocratici: agricoltura: base di tutto.
saggio di sviluppo naturale dipende da tasso di crescita della popolazione + il tasso di crescita della produttività del lavoro.
Saggio di sviluppo garantito è uguale a propensione marginale al risparmio/rapporto capitale/prodotto (quando in equilibrio!)
E’ la produzione a permettere al terziario di esistere. Tante meno persone sono necessarie alla produzione, tante più sono disponibili al terziario. ---- su esercito disponibilità spesa fissa o su donne lavoratrici? ------
Plusvalore: parte di raccolto da accantonare per la semina dell’anno successivo. (capitale costante) (grano consumato: capitale variabile – corrisponde per Marx al salario di sussistenza, cioè al “valore dei mezzi di sussistenza necessari per la conservazione del possesso della forza-lavoro”) (produzione di merci a mezzo di merci) consente di perpetuare la produzione - uomo non mangia più di altro.
Quando il grano per 10 può essere prodotto da 9, il decimo dovrà/potrà produrre qualcosa con cui scambiare per ottenere la sua parte.
Plusvalore: grano che supera la quantità necessaria all’alimentazione dei contadini (capitale variabile) e la semina successiva (capitale costante) e che va ad alimentare il secondario ed il terziario, a vantaggio dell’usufruire dei loro prodotti e servizi da parte del proprietario terriero.
PNL: capitale variabile + capitale costante + plusvalore (anche secondo Marx). Quindi prezzi in ogni caso ----- legge valore Marx------. Dal modello matematico di Solow ----- vi sarà in equilibrio l’eguaglianza fra saggio salariale e produttività marginale del lavoro e fra saggio di profitto e produttività marginale del capitale, e l’intero prodotto verrà distribuito tra i due fattori. Dal modello di Solow si può ricavare matematicamente il saggio di profitto e il salario unitario di equilibrio di piena occupazione corrispondenti a ciascuna tecnica (rapporto capitale/lavoro) utilizzata. Il -------calcolo----- potrà dare la produttività marginale del capitale, che è invariabilmente uguale in equilibrio al saggio di profitto supposto uguale (nel lungo periodo) al saggio di interesse. ---vedi economia politica pag. 66-67.
questo è in pratica lo schema di riproduzione semplice (senza crescita) di Marx. Con crescita di chiama schema di riproduzione allargata.
I comunisti in Urss hanno praticamente deciso di capovolgere questo ------, con la legge della crescita prioritaria del settore produttore di beni di produzione (o di investimento), la quale prevedeva di forzare la produzione di mezzi di produzione a scapito dei prodotti di uso. La più grande applicazione di questo ------- si ebbe in Cina a partire dal 1957 con il nome di “grande balzo in avanti” ed il risultato furono 16 milioni di morti per fame nella grande carestia tra il 1958 ed il 1961.
--------cosmonauti qui???--------
salario di equilibrio (di piena occupazione?) (salario aggregato) – ricordarsi: ma salari non tutti uguali! – salario naturale: dividendo sociale minimo (pil pro capite? Basato su pil di tipo sovietico?)
Nel libro I del Capitale Marx ipotizza che la composizione organica del capitale sia la stessa in tutte le industrie. Nel libro III rimuove questa ipotesi, ma ciò lo condurrà a importanti difficoltà analitiche che non riuscirà a risolvere prima di morire.
Amartya sen ––attribuzioni: assegnazione-distribuzione dei diritti di accesso ad un prodotto
Se in un annata si dovesse usare più grano per la semina la domanda di grano aumenterebbe e così il prezzo. Secondo Marx e keynes ciò avvia condizioni di espansione. Ma ci sarebbe meno grano disponibile per la distribuzione e quindi gente che deve mangiare di meno in quell’anno! Quindi ----?----. Se invece vi fosse un surplus di grano necessario rispetto la semina la domanda di grano diminuisce e con essa i prezzi. Secondo Marx e Keynes recessione. Invece più grano per secondario e terziario!!!! Ovvero per più prodotti e servizi!!! Se ciò in alcuni casi non avviene è perché -------.
Equilibrio di ciò: condizione di equilibrio della riproduzione semplice (Marx).
Vedi pag. 47 – settore I esempio auto 1900-1970 – settore II auto 1970-oggi (saturo). Ma sbagliato, entrambi sono II!!!!!
Condizione di equilibrio della riproduzione allargata – ovvero più gli investimenti netti, e non solo quelli per sostituzione e riproduzione - secondo Marx in capitalismo solo casuale. Mancato equilibrio: crisi di realizzo. Secondo Keynes la condizione di equilibrio può sussistere anche con sottoccupazione.
Nella riproduzione allargata vi è questa differenza: i lavoratori consumano sempre tutto il loro salario ma i capitalisti consumano solo una parte del loro plusvalore, l’altra parte viene risparmiata e investita per accrescere la capacità produttiva; ma secondo Marx mentre i capitalisti del settore produttore di mezzi di produzione reinvestono nel loro settore una costante proporzione del loro plusvalore, i capitalisti del settore produttore di beni di consumo variano i loro investimenti in modo da mantenere l’equilibrio tra offerta e domanda dei beni capitali. Vi è investimento netto. L’offerta di lavoro può adattarsi rapidamente e con facilità al variare della domanda di lavoro. -----analizzare Morishima ---------
Qualora gli imprenditori decidessero di seminare più grano del disponibile: uomo resta senza grano esempio, ma ---- dal modello di Harrod-Domar si può intuire facilmente cosa accadrebbe in pratica qualora gli imprenditori desiderassero investire più di quanto disponibile. -----concetto di moltiplicatore ignorato da imprenditori-----se lo stock di capitale desiderato fosse più alto dell’esistente, lo stock di capitale ----reale??---- effettivamente realizzato sarebbe inferiore ----a seconda del moltiplicatore---! Il paradossale risultato è quindi che avendo desiderato investire più di quanto disponibile, si ritrovano con uno stock di capitale (e quindi una capacità produttiva) inferiore a quello che avrebbero desiderato avere. Questo discorso non ----singolo imprenditore------, ma il sistema produttivo nel suo complesso. La domanda globale tende quindi a superare l’offerta globale, con il risultato dell’inflazione (la quale è essa a ridurre in termini reali lo stock di capitale).
Se invece gli imprenditori desiderassero investire di meno di quanto sarebbe necessario per mantenersi sul sentiero harrodiano di equilibrio (seminare meno grano di quello disponibile), si avrebbe al contrario un crescente eccesso di capacità produttiva e quindi di offerta sulla domanda (più grano, non seminato), e perciò una depressione sempre più grave con conseguente disoccupazione (servono meno contadini a coltivarlo).
Difatti riprendendo il discorso di Ricardo sulla differenza tra fisiocratici e mercantilisti ed applicandolo al progresso tecnico Marx elaborò lo “schema di riproduzione allargata” ------Leontief???----- che prevedeva due settori, al quale Lenin si rifece per la legge della crescita prioritaria del settore produttore di beni di produzione. Un’ulteriore analisi venne fatta in seguito nel modello di Harrod e in quello di Domar. Essi sostengono che il “saggio di crescita garantito” è uguale al rapporto fra la propensione al risparmio e il rapporto capitale\prodotto. Quindi secondo essi, per tassi normali di utilizzazione della capacità produttiva il prodotto e la capacità produttiva stessa vengono a coincidere. Il saggio di crescita garantito è come essi chiamano “né più né meno dell’esatto ammontare, che, in altri termini, porterà l’operatore economico ad effettuare ordini tali da mantenere lo stesso saggio di sviluppo”, il che avverrà secondo il calcolo matematico tra la propensione media al risparmio e il rapporto capitale/prodotto. Non si può non notare un assonanza con le teorie di Keynes. E come per Keynes -------criticare------ non considerano che essendo le merci oggetti e non numeri, il risparmio in un dato tempo non è una questione di volontà umana ma di disponibilità oggettiva. --------forzatura investimenti----------
Mentre il salario unitario monetario può aumentare nel tempo grazie all’aumento del prezzo del frumento in termini di oro (moneta?), il salario naturale reale, espresso in termini di frumento tenderà ad essere pressappoco costante a un livello di sussistenza, cioè a un livello pari a quanto è necessario ai lavoratori per sopravvivere e per riprodursi. Tale livello salariale “naturale” è regolato per Ricardo dall’andamento della popolazione. Allorché, infatti, nelle fasi di espansione economica cresce la domanda di lavoro, tende a crescere la popolazione e l’offerta di lavoro e questo comprime di nuovo il salario di mercato fino a riportarlo al livello del salario naturale. Quest’ultimo, anche se di regola è chiamato salario di sussistenza, può essere per Ricardo anche superiore alla mera sussistenza fisica ed è comunque diverso nel tempo e fra i vari paesi.
Dato che ad aumento di produzione non corrisponde aumento di frumento per il contadino, ma aumento di disponibilità per secondario e terziario.
Pane e cipolle: Quesnay – tavole di Leontief – poi Smith - Ricardo aggiunge oro.
Saggio di profitto necessario a sviluppo (perpetuazione della produzione nel tempo) --- modello di Solow (neoclassico). Senza progresso tecnico. --- saggio di profitto: rapporto tra profitto e capitale (non salari!)-------
Solow: in equilibrio, saggio di profitto = a produttività marginale del capitale
Saggio salariale (salario unitario) = a produttività marginale del lavoro.
Reddito = profitti complessivi (saggio di profitto x il capitale impiegato) + monte salari (salario x occupato x il numero di occupati)
Solow: saggi salariali + alti = maggior rapporto capitale/lavoro (funzione della produzione di Solow) ----- Solow: funzione aggregata della produzione
Saggio di profitto: rapporto tra profitto e capitale o meglio tra plusvalore / (capitale variabile + capitale costante).
Inoltre ----- risparmio equilibrato: quando qualcuno risparmierà di meno, qualcuno risparmierà di più, per via dei tassi.
L’equilibrio perfetto tra disponibilità per investimenti ed investimenti effettivi è detto “sentiero harrodiano di equilibrio”.
In quanto anche i mezzi di produzione sottostanno alle leggi del valore ovvero vengono domandati e prodotti quando ciò dia la massima convenienza.
Un tempo il lavoro di un contadino sorreggeva l’alimentazione di 6 persone; oggi di 50 (percentuale primario oggi???). il progresso libera manodopera per altri usi. ----su terziario--------collegare a discorso carne per surplus agricolo-----
Il terziario non sottrae risorse a primario e secondario, ma esiste proprio grazie alle risorse liberate da essi (meccanizzazione del lavoro).
Su terziario come automatico (esercito ecc): lo dimostrano gli effetti nefasti sui conti pubblici (e quindi sulle imposte, e di riflesso sulla produzione) indotti quando si spinge artificialmente il terziario come tampone per la disoccupazione, come la legge Treu del 2001.
Analizzare crescita % del terziario e calo del primario. Anche in relazione a qualcuno di questi concetti su quando le donne non lavoravano.
Nel caso del terziario la produzione può essere identificata dal risparmio, ovvero tanto meno costa un servizio tanto più lo si può definire “produttivo”. Perché minor costo per servizio significa non meno spesa (la cui disponibilità è fissa), ma più servizi.
Spaventa dice che le relazioni neoclassiche (funzione di produzione aggregata) fra saggio di profitto, valore del capitale per addetto e valore del prodotto per addetto non sarebbero valide in generale. Se così fosse verrebbe smentita la relazione inversa fra il saggio di profitto e l’intensità di capitale nelle tecniche, e la teoria marginalistica della distribuzione basata sulla funzione aggregata della produzione e i suoi legami con la teoria della produzione. -----ma Spaventa è uno stronzo------
Ciò smentirebbe anche: 1- la relazione fra i più bassi saggi di profitto e più alti rapporti capitale/prodotto. 2- la relazione fra i più bassi saggi di profitto e più elevati stati stazionari di consumo pro capite.
Modello di Hicks: calcolo tra i vari fattori nel quale uno dei parametri deve essere esogeno – solitamente esso è il salario, deciso contrattualmente, ed esso determina i risultati delle equazioni.
Le equazioni hicksiane delle quantità (-----E quelle dei prezzi?----) permettono di determinare, dato un certo saggio di sviluppo d’equilibrio, il consumo pro capite e tutti i rapporti di quantità. Inoltre partendo da esse si può giungere ad individuare una relazione (inversa) fra consumo pro capite e saggio di sviluppo simile alla relazione fra saggio salariale e saggio di profitto. Non si può determinare, pertanto, endogenamente il saggio di sviluppo indipendentemente dalla distribuzione. Questa a sua volta influisce (se non si considera dato il saggio di sviluppo) sui prezzi relativi che non si possono determinare in generale se non ipotizzando che il saggio di salario (o il saggio di profitto) sia esogenamente dato. Ciò farebbe cadere i legami fra teoria della produzione (aggregata) e teoria della distribuzione stabiliti dalla teoria marginalistica. Questa difatti dà una spiegazione endogena della distribuzione facendo coincidere in equilibrio i saggi di profitto e di salario con i valori delle produttività marginali del capitale e del lavoro. Altri come Sraffa danno invece una spiegazione esogena, ma in quanto tale esula dalla matematica economica per sfociare nella sociologia, come contratti sindacali, ---tasse---, politica monetaria.
Amartya sen ––attribuzioni: assegnazione-distribuzione dei diritti di accesso ad un prodotto
modello di sviluppo endogeno di Paul Romer.???
Ogni teoria dello sviluppo endogeno prevede una distinzione tra progresso neutrale (nel quale non vi è risparmio né di lavoro né di capitale, ---ovvero vi è crescita netta del prodotto?----- oppure un rapporto costante tra entrambi), progresso “labor saving” (nel quale vi è un risparmio proporzionale del fattore lavoro), e progresso “capital saving” (nel quale vi è un risparmio proporzionale di capitale). Secondo Harrod il progresso tecnico è neutrale se con un saggio di interesse costante, non vi sono mutamenti nel rapporto capitale/prodotto. Quindi secondo i neoclassici è neutrale se a parità di altri fattori rimane immutata la quota di reddito che va al lavoro e al capitale, ovvero il rapporto; è labor saving quando il rapporto aumenta a favore del capitale; capital saving quando aumenta a favore del lavoro. ----tra diversi paesi banana joe---------.
Progresso tecnico: esogeno quando “manna dal cielo” tipo un invenzione casuale (non dovuta a spese per ricerca) - endogeno quando dovuto a ricerca & sviluppo.
Quindi secondo la U di Kuznets uguaglianza e sviluppo vanno di pari passo. Se alcuni autori (Alesina, Rodrik, Deininger, Square) hanno individuato una relazione inversa tra la disuguaglianza e lo sviluppo, non è per cause econometriche, ma per cause sociologiche: per l’assorbimento delle ricchezze dei paesi poveri da parte dei paesi ricchi, le quali impediscono alla U di Kuznets di procedere lungo il suo percorso. L’unico motivo di ----questo---- è questo, e non un trade off tra efficienza ed equità. ----equità vera, non quella intesa dai sindacati, che è invece iniquità--------. Quando il concetto stesso di equità è stravolto dal suo ------ è prevedibile che ----tutto venga inteso come iniquo---- e quindi si cerchi di mettervi una pezza, col risultato di diminuire l’efficienza e quindi allontanarsi sempre più dall’equità reale. Alla fine gli stessi autori citati giunsero a questa conclusione -------: “una maggiore disuguaglianza iniziale può, attraverso il voto, spingere le autorità di politica economica a realizzare politiche redistributivo che riducono l’efficienza e lo sviluppo, oppure condurre a sommovimenti o tensioni sociali che aumentano l’instabilità politica e riducono la propensione ad investire delle imprese”. ---- Vittorio Valli, “Politica economica”, Carocci ed., pag. 97. ------
Addetti agricoltura: se 10% agricoltura, sorregge alimentazione dei restanti 90% - quando tutte esigenze agricole appianate, beni secondari e terziari disponibili anche a lavoratori del secondario e terziario. --- su terziario? ---- collegare con donne che lavorano?
L’economia si sviluppa al massimo saggio di crescita allorquando i capitalisti investono (ovvero risparmiano) tutti i loro profitti. ----modelli aggregati post-keynesiani + modello di von Neumann—
Tasso di crescita del reddito è uguale al tasso di crescita del fattore capitale, moltiplicato per la quota di reddito che va al capitale, più il tasso di crescita del fattore lavoro, moltiplicato per la quota di reddito che va al lavoro, più il tasso di crescita del progresso tecnico come residuo. ----secondo Solow---- riguardo a valore marxiano?----
Saggio di crescita garantito è uguale al rapporto fra la propensione al risparmio e il rapporto capitale/prodotto. Per tassi normali di utilizzazione della capacità produttiva il prodotto e la capacità produttiva stessa vengono a coincidere. Conoscendo la propensione media al risparmio e il rapporto capitale/prodotto si può quindi agevolmente calcolare il saggio di crescita garantito cioè quel saggio che, se realizzato, “assicurerà ogni operatore economico di aver prodotto né più né meno dell’esatto ammontare, che, in altri termini, lo porterà ad effettuare ordini tali da mantenere lo stesso saggio di sviluppo”. ------R. F. Harrod, “Un saggio di teoria dinamica” pag. 89-90---?????
Imbustatori ---- qui???
in Jünger il termine “operaio” (arbeiter) andrebbe piuttosto interpretato con il concetto di “produttore”.
Germania oggi paese con il costo del lavoro più alto del mondo. – esportazioni 38% del pil.
taylorismo - istituzionalismo : differenza di applicazione Germania – Burundi
“Vedi, il nero ha una cultura completamente diversa dalla nostra, se ha un campo lo coltiva solo per quella parte che gli basta, un bianco lo coltiva tutto” (Gerry Baldwin) Da Massimo Fini, “Il conformista”, Marsilio ed. ---su neocolonialismo?-------
I prezzi in Giappone altissimi.
Taiwan oggi 1° delle tigri asiatiche - risorse valutarie: 85.000.000.000 dollari. (3° al mondo)
allocazione dei beni per via gerarchica:
In Inghilterra (o Germania? O differenza nord-sud Italia?) una identica mansione “viene pagata” più che in Italia, perché in Inghilterra (o Germania?) vi sono più beni con cui coprire quei soldi. E vi sono più beni sia perché vi è una maggiore produttività a parità di ore lavorate (maggiore tecnologia), sia perché in un circolo vizioso essendovi più beni (e quindi a prezzo più basso in confronto) è possibile competere a prezzi più alti sui mercati internazionali per l’acquisto di materie prime. In tale contesto non si scordi il motivo fondamentale che sostiene questo circolo vizioso: la forza militare. ---esempi------ neocolonialismo---- capacità di intrallazzare coi responsabili politici locali dei paesi poveri ----- esempio opposto: paesi comunisti.
Come considerare nella merda una gratuita risorsa invece di un residuo restituito dal consumo.
Produttività: quando vi è un pane pronto ed una persona bisognosa, il pane non viene gettato via, a meno che il costo di allocazione non superi la capacità di pagamento del bisognoso.
Solo la Cina sembra averlo capito. Ma li la produttività non è su base volontaria, ma dietro coercizione, in qualunque modo essa venga attuata.
Perché la Cina si sta armando? Per poter avere la sicurezza di avere un giorno la capacità di pressione di farsi restituire dagli Usa (e in minor misura da altri paesi) l’enorme quantità di soldi oggi prestati. ------Cina oggi invece di farsi pagare i beni che esporta, presta i soldi------- questo anche o solo su eserciti?-----o su cina yuan???----
“Ho speso 33 anni nei Marines, la maggior parte del mio tempo facendo l’impiegato di alta classe per grandi affari, per Wall Street e banchieri. In breve, ero un malvivente per il capitalismo” (Smedley Butler, U.S. Marine Corps)
Marx in “Salario, prezzo e profitto” sostiene che tra aumenti salariali e inflazione non vi è rapporto, in quanto l’aumento salariale andrebbe a solo discapito del profitto del capitalista. In realtà --------- collegare a discorso risultato di aumento salari = aumento pari dei prezzi. Perché le cose da suddividersi sempre quelle rimangono se la produzione rimane invariata. ----qui???----- o anche li??---
Tutti gli errori di Marx hanno come base fondante la sua ignoranza dei meccanismi che regolano il valore. A differenza di quanto sostiene Marx, non sono i venditori a decidere i prezzi ed i padroni a decidere i salari, ma è il mercato. I singoli operatori possono farli variare in determinati ambiti circoscritti o globalmente a seconda di esigenze riscontrate (“teoria dei salari di efficienza[303]”, ad esempio) ma sempre ubbidendo inconsapevolmente a precise “leggi di mercato” che li fanno sempre ruotare attorno alla perfezione matematica, che non è un concetto astratto ma è derivata da “modelli”[304]. L’economia in quanto fondamentalmente scienza esatta si regola essa stessa da sé tramite “leggi” fondamentali. Ad esempio, il rapporto tra prodotto interno lordo, moneta circolante, e velocità di circolazione della moneta, è costante ed ognuno di essi è calcolabile conoscendo due di questi fattori (“equazione dello scambio”). Essendo questa una tautologia, le variazioni analizzate da Keynes possono essere riscontrate solo nel breve periodo per una questione puramente logistica, ma nel lungo periodo i conti debbono finire obbligatoriamente per quadrare; le sue obiezioni ebbero certamente un limite a causa della sua banale semplificazione che “nel lungo periodo saremo tutti morti”.
Anche quando variabili, le leggi sono sempre fissate su precisi parametri: “differenziale del PIL” e disoccupazione vanno sempre di pari passo, ad ogni punto percentuale di PIL nominale in meno rispetto al PIL potenziale corrisponde meno di un punto percentuale di disoccupazione in più. Ciò è acclarato; non perché l’abbia deciso qualcuno, ma perché avviene spontaneamente, come mosso da una mano invisibile. In particolare la legge appena esposta non l’ha stabilità Arthur Okun; egli l’ha solo constatata. Tanto quanto Rudolf Clausius ha constatato la prima legge della termodinamica. Che poi ci siano anche delle variabili circoscritte (“microeconomia”) è normale e previsto, ma le leggi fondamentali sono matematiche, e si è quindi in grado di prevederne gli effetti macroeconomici; ogni variabile ha un effetto (in positivo o in negativo) su tutte le altre variabili secondo leggi ben precise, dando alla fine risultati globali esatti; a meno, come detto, di draconiani interventi dirigisti invariabilmente deleteri nei fatti.
“I sistemi sono stati creati dagli uomini per gli uomini e non per i sistemi, l’interesse di un uomo è al di sopra di tutti i sistemi, siano essi di tipo teologico, politico o economico” (Clifford Hugh Douglas)
Neoistituzionalismo e dirigismo??
Nella prospettiva weberiana la comparsa delle forme razionali di organizzazione burocratica del lavoro è strettamente associata all’avvento della modernità. La burocrazia rappresenta uno dei vettori, e al contempo delle manifestazioni principali del globale processo di razionalizzazione che per Weber pervade ogni sfera di esistenza della sua epoca. Tra i caratteri “idealtipici” che egli attribuisce all’organizzazione burocratica, figurano: la separazione funzionale basata su competenze specializzate e certificate; la gerarchizzazione dei rapporti di responsabilità tra i titolari dei ruoli organizzativi; la formalizzazione, attraverso la definizione di norme e regolamenti astratti che disciplinano le relazioni tra i ruoli interni e nei confronti dell’ambiente; la standardizzazione, attraverso l’applicazione a diverse categorie di situazioni od eventi di procedure d’attività prefissate. ---mercato e società pag. 89.
Weber sul neoistituzionalismo: le pratiche e le forme dell’attività economica in un determinato spazio e tempo non necessariamente coincidono con quanto si dimostra o continua a rivelarsi più efficiente in senso puramente tecnico; molto spesso esse si impongono, si perpetuano e sopravvivono in quanto coincidono – nel gergo a noi più vicino – con delle logiche istituzionali, incarnando schemi di azione che progressivamente si sono intrisi di valore e hanno acquisito comprensibilità all’interno di un dato contesto socio-culturale e che pertanto giungono ad essere apprezzati e riprodotti di per se stessi (a prescindere dal loro verificabile, continuo o addirittura effettivo contributo all’efficienza). ---mercato e società pag. 95.
per i marxisti tutto veniva ridotto a potere; per i neoclassici il tema del potere rimaneva, invece, sostanzialmente tabù. ---mercato e società pag. 50. -----su analisi marxismo -----
Cornici istituzionali coincidenti con gli stati nazionali a capitalismo avanzato, due modelli (idealtipi), secondo D.-------- Soskice:
“economie coordinate di mercato” (modello renano o germano-nipponico) elevato dirigismo
“economie non coordinate di mercato” (paesi anglosassoni) basso dirigismo
---mercato e società pag. 214.
mercato = scambio – transazione.
Stato = redistribuzione.
E’ impossibile pianificare dall’alto l’economia di una società in
maniera coercitiva, per il semplice motivo che l’organo controllore/decisionale
non può avere la possibilità d’informazione adeguata tale da poter coordinare
gli agenti economici tramite modalità coattive. Il capitale, come
abbiamo visto, è una concezione soprattutto mentale: è il valore al prezzo di
mercato dei beni capitali. Non c’è niente di fisso, c’è invece un processo
continuato nel tempo in cui gli imprenditori prendono decisioni in un sistema
spesso caratterizzato da oscillazione. E’ quindi in particolare merito delle
decisioni, e non la mera quantità di denaro investito a definire il rendimento.
La differenza sta nel fatto che nell’economia libera gli agenti sanno cosa è
utile (le necessità altrui da colmare), per il semplice fatto che se non lo
sanno non lo raggiungono... e devono modificare decisioni rivelatesi sbagliate.
Lo “Stato” invece non lo può sapere... non sa quanto valgono i servizi per chi
li riceve e nemmeno per chi li paga. Un
sistema economico è un sistema spontaneo di interazioni volontarie che massimizza
l’utilità per ognuno degli agenti. Tale utilità è soggettiva e quindi
inconfrontabile. Il fatto che tale utilità sussista è insita nello scambio,
dato che se non conviene non si scambia. La volontarietà è garante
dell’utilità. Un sistema inefficiente è un sistema non spontaneo di
interazioni involontarie che tutt’al più massimizza l’utilità di alcuni a
scapito di quella di altri. Anche tale utilità è soggettiva, ovvero non
confrontabile. Quando un attività non produce un utile, ne ha o un pareggio o un
danno. Chi lavorerebbe non guadagnando nulla, ma anzi dovendo pagare? Ebbene,
solo lo Stato lo fa.
Molti economisti “sedicenti” hanno il difetto di
chi l’economia la prende come un gelato con tante palline di gusti
diversi; invece per riuscire a comprendere l’economia le palline vanno
mischiate tutte assieme a formare un gusto unico, ogni legge e teoria non è a
se stante ma è interconnessa assieme a tutte le altre a formare il gusto misto
“economia”. Quello che più di ogni altro sembra aver compreso tale
necessità è sicuramente lo spagnolo Jesús Huerta De Soto, dalle cui teorie abbiamo ricavato gran parte di questa
analisi critica sul marxismo.
Un altro rivelatore dell’ignoranza generalizzata sui temi economici ci è fornita dalla confusione sui significati di “utile”, “danno”, “profitto”, “rendita”, “ricarico”. E’ esatto dire che un impresa in un mercato perfettamente concorrenziale crea profitti? No: il profitto è solo la cifra che supera la rendita, e la rendita è il tasso di rendimento del capitale che è uguale per tutte le imprese in concorrenza in un settore, equivalente al tasso di interesse vigente in quel momento. Solo le imprese monopolistiche creano profitti nel senso letterale del termine, dato che essendo in monopolio i loro prezzi di equilibrio riescono a superare il livello di rendita che come abbiamo detto è quanto non supera i tassi di interesse. Oltre vi è il ricarico, che è quanto supera il profitto ed è ciò che viene aggiunto in modo arbitrario oltre il prezzo di equilibrio dell’impresa che opera in monopolio. Il tasso di interesse è il prezzo più importante di un’economia di mercato. Orienta tutti gli agenti economici, coordinandone il comportamento relativo. Un tasso di interesse relativamente basso dimostra che le persone dispongono di molti risparmi. Al contrario un alto tasso mostra una forte domanda di beni. Quando il tasso è alto, il motivo è che c’è poca disponibilità di fondi risparmiati, e questi sono in grado di finanziare solo progetti molto redditizi, cioè quelli che offrono un rendimento maggiore del tasso. Il tasso di interesse è quindi un segnale essenziale per poter realizzare o meno i progetti di investimento al margine. Difatti, cosa succede se si manipola e si riduce artificialmente il tasso di interesse, ad esempio attraverso una espansione creditizia dovuta alla riserva frazionaria[305]? Il movimento dei tassi verso il basso è lo stesso generato dall’aumento del risparmio nel sistema che invece di fatto non c’è. Ciò nonostante gli imprenditori avviano nuovi investimenti, nei quali impegnano i loro sforzi e la loro creatività, compiendo un errore di valutazione. La politica monetaria, in forma di espansione creditizia, distorce le decisioni degli imprenditori e si ripercuote sulla struttura economica reale. Questo è solo un piccolo esempio dei risultati distorsivi apportati da decisioni draconiane.
«Talvolta l’uomo moderno è erroneamente convinto di essere il solo autore di se stesso, della sua vita e della società. E’ questa una presunzione, conseguente alla chiusura egoistica in se stessi, che discende — per dirla in termini di fede — dal peccato delle origini. La sapienza della Chiesa ha sempre proposto di tenere presente il peccato originale anche nell’interpretazione dei fatti sociali e nella costruzione della società: “Ignorare che l’uomo ha una natura ferita, incline al male, è causa di gravi errori nel campo dell’educazione, della politica, dell’azione sociale e dei costumi”. All’elenco dei campi in cui si manifestano gli effetti perniciosi del peccato, si è aggiunto ormai da molto tempo anche quello dell’economia. Ne abbiamo una prova evidente anche in questi periodi. La convinzione di essere autosufficiente e di riuscire a eliminare il male presente nella storia solo con la propria azione ha indotto l’uomo a far coincidere la felicità e la salvezza con forme immanenti di benessere materiale e di azione sociale. La convinzione poi della esigenza di autonomia dell’economia, che non deve accettare “influenze” di carattere morale, ha spinto l’uomo ad abusare dello strumento economico in modo persino distruttivo. A lungo andare, queste convinzioni hanno portato a sistemi economici, sociali e politici che hanno conculcato la libertà della persona e dei corpi sociali e che, proprio per questo, non sono stati in grado di assicurare la giustizia che promettevano» (Benedetto XVI, dall’Enciclica “Caritas in veritate”)
La sovrapproduzione intesa come sintomo e causa di crisi è un’assurdità: se la capacità produttiva di un paese raddoppiasse raddoppierebbe automaticamente il suo potere d’acquisto. Come abbiamo visto, in un sistema di spontaneo anarco-capitalismo (che però oggi praticamente non esiste da nessuna parte) la massa monetaria esistente in un dato sistema è automaticamente quella adeguata a coprire il valore di tutti i beni esistenti. L’aumento di circolante assecondando l’aumento del Pil è già assicurato dall’attività bancaria complessiva, i cui utili totali rappresentano il volume di Pil aumentato. Tanto meglio va l’economia nazionale, tanto più alto il tasso di interesse erogato dalle banche, facendo dei correntisti una sorta di azionisti dell’intera economia nazionale, e quindi direttamente interessati ad essa. Costantemente una certa percentuale di PIL va alle banche come corresponsione di interesse. Ma non è una ricchezza dilapidata. E’ ricchezza che circola. Non vi è un profitto superiore per le banche dato che anch’esse sono sottoposte alle leggi del mercato. Per questo motivo il tasso di interesse è un indicatore di ------------------. In un sistema spontaneo le variazioni si avrebbero solo all’interno del ------ciclo?---------. Qualora il consumo per motivi artificiali (ad esempio tasse o dazi) diminuisse, la bilancia dei fattori di produzione si sposterebbe verso i beni superiori, ossia non verrebbe scalzata, mantenendo quindi la parità di occupazione ma l’aumento di produzione e quindi di reddito reale. Ricardo espresse questo meccanismo nel suo “effetto sui salari reali” (o “effetto Ricardo”): se l’espansione è finanziata da denaro artificiale salgono i salari nominali, ma presto cominciano a scendere quelli reali. Se l’espansione è finanziata da risparmio si realizza un effettivo incremento del potere d’acquisto dei salari. Con l’espansione finanziata da credito fiduciario (che può essere anche l’acquisto a rate, nel suo piccolo) finivano con il salire sopra i livelli iniziali, nell’altro caso rimangono bassi come effetto naturale di un aumento dei risparmi, ovvero di una riduzione delle preferenze temporali degli individui. Come suggerisce Jesús Huerta De Soto, se i prezzi dei beni di consumo scendono, il potere d’acquisto dei salari aumenta. I tassi di interesse si abbassano a causa di una offerta maggiore di risparmi. Come suddetto, il capitale si valuta a prezzi di mercato, e i tassi di interesse sono una componente fondamentale ai fini della determinazione del valore degli investimenti e dei beni di capitale. Il tasso infatti si usa per attualizzare i flussi di reddito futuro generati dal bene capitale. Il valore dei beni di capitale aumenta quando scendono i rendimenti. La riduzione dei tassi ha effetto anche sulle quotazioni di borsa, che rappresentano i beni capitali delle aziende quotate. Secondo Keynes il tasso di interesse è determinato meramente dalla domanda e dall’offerta di denaro. Ma a tutti gli effetti domanda e offerta di denaro determinano solo il potere acquisitivo della moneta, non il tasso di interesse! De Soto ci rammenta che il tasso di interesse è il prezzo dei beni presenti in funzione di quelli futuri, e che ciò che finanzia ciò che acquistiamo è ciò che produciamo. Il potere d’acquisto aumenta se si investe non se si consuma, perché l’investimento è influenzato da quanto si risparmia. Quando aumenta la capacità di risparmio, non c’è aumento, bensì diminuzione, dei prezzi dei beni al consumo. Il risparmio è infatti proprio la rinuncia al consumo immediato. I prezzi dei beni di consumo scendono, quindi il potere d’acquisto dei salari aumenta (il citato “effetto Ricardo” sui salari reali). Non solo, al margine si sostituiscono i lavoratori con i beni capitali. I lavoratori in eccesso tendono a confluire nei settori che producono beni durevoli, nella produzione di beni di capitale, nelle fasi di ordine superiore (“teoria dell’equilibrio economico generale”). Il risparmio finanzia un numero maggiore di beni capitali in grado di produrre un maggior numero di beni che saranno venduti a un prezzo inferiore. Secondo la “scuola austriaca” di cui De Soto è attualmente il massimo esponente, ciò è talmente banale che non dovrebbe nemmeno sussistere la necessità di puntualizzarlo. Ma tutto questo è turco per i marxisti. Su quale parametro potrebbe regolarsi un’economia dove non esiste nemmeno il concetto stesso di tasso di interesse?
Nonostante l’indentificazione
marxiana nelle sovrastrutture de ------------, il paradosso è che gli applicatori delle teorie di Marx nei paesi
comunisti hanno fatto della sovrastruttura il “tutto”.
Da un punto di vista rigorosamente marxiano delle istituzioni non adeguate allo stadio di sviluppo dei rapporti di produzione sono ineluttabilmente destinate a franare. Ne consegue...
Notato come il comunismo marxista-leninista fosse niente più che statalismo assistenziale portato all’estremo, alla luce di ciò appare sensata l’affermazione iniziale che negli stati che applicavano questo sistema la crisi economica era perenne. Soprattutto quando, come vedremo più avanti, l’assistenzialismo si esplica solo nei confronti dei più furbi ad ottenerlo.
“Lo Stato è la grande entità fittizia attraverso la quale ognuno cerca di vivere a spese di tutti gli altri” (Frédéric Bastiat)
Certo non si può pretendere che ai tempi di Marx o di Lenin fosse assodata la comprensione dei fondamenti attualmente noti. Ma il fatto che oggi, nonostante tutte le cognizioni e le esperienze accumulate, ci siano ancora fanatici seguaci di quella che nel tempo è via via diventata un’irrazionale e dogmatica religione, comprensiva di litanie, riti, guerre sante, infedeli, neologismi, tabù, libri sacri, santi, “verità” imperscrutabili, non può altro che confermarne la qualifica di “disturbo psichiatrico”[306], e sconvolgere un adolescente odierno quando viene a conoscenza per la prima volta nella sua vita della persistente sussistenza di questa isteria di massa.
“Che si trattasse di un partito di fanatici lo sapevo già, ma non credevo che tale fanatismo dovesse sfociare in lotte così brutali. Tutti ragionano con un cervello standardizzato, ma nello stesso tempo si controllano e si guardano, pronti ad aggredirsi senza il minimo rispetto. (…) Mi sono reso conto ancora una volta che i rivoluzionari hanno una tremenda paura quando si trovano di fronte ad una commissione d’inchiesta o di indagini. Sono tutti uguali, brutali e vili, senza comprensione e privi di ogni minima forma di rispetto per il prossimo. Sono amici finché loro conviene, ma al momento della lotta sono capaci di dilaniarsi come iene” (Giuseppe Menotti Mancuso, fonte “Rodolfo” del Sid, infiltrata nel partito marxista-leninista d’Italia, 1967[307])
Anche se ultimamente essa si è soprattutto sviata dal comunismo definito “reale” ed incanalata nell’irrazionale e manicheo astio misantropico-narcisistico prerogativa dei frequentatori dei centri sociali, rimasti “orfani” dell’ideologia-guida marxista, ma uniti in una setta fondata soprattutto sulla “cultura” degli stupefacenti e sul “cantarsi e suonarsi” le proprie convinzioni spesso non dissimili ad episodi tipo “immacolata concezione”. Affidare un ambito quale l’economia nazionale ad un orango uscito da questa classe equivarrebbe a suicidarsi. Checché essi siano autocompiaciutamente convinti della bontà del loro “commercio equo e solidale”.
“Gli uomini che vivono sotto il dominio di uno slogan vivono in un inferno creato da loro stessi” (Ezra Pound)
------come unire???-------
o mettere su attilio????
Una volta mi imbattei in un libro di storia (o su internet) dove il concetto base del liberismo “laissez faire” ovvero “lasciar fare” veniva interpretato come “lasciare le cose come stanno”. Ora, a qualunque persona dotata di un minimo di ---buon senso analitico ---- e conoscenza della lingua italiana, la locuzione “lasciar fare” può venir interpretata in un solo senso, ovvero appunto lasciar fare. Solamente l’ottusità tipica dei marxisti può arrivare al punto di stravolgere perfino il significato letterale delle parole per dare un interpretazione che gli sia di gradimento, anche quando essa fosse esente da ogni logica oltre che dal senso semantico. Lecito è poi chiedersi per quale motivo il liberismo dovrebbe far proprio un concetto come “lasciare le cose come stanno”… se esistono persone secondo le quali tale concetto ha senso applicato all’economia, questo chiarisce molte cose su di essi.
Basti pensare anche al concetto di “pauperismo”, ricondotto in molti dizionari come “povertà” tout court. Non tutti incapperanno a notare l’assenza di criterio in due termini che si sovrappongano con lo stesso identico significato e privi di alcuna sfumatura che solitamente differenzia i sinonimi. Oltretutto dato il fatto che il suffisso –ismo indica non uno stato (quale è la povertà, suffisso –rtà), ma un’aspirazione. Altrimenti quale necessità di due parole che indichino il medesimo concetto, lasciando conseguentemente privo di lemma un concetto definito da una di esse? Concepibile, per quelli di Wikipedia…
modernizzazione (concetto diverso da “progresso”) ---destra =modernizzazione – sinistra = progresso.
Ma dopotutto sono gli stessi che accusano il corporativismo di settarismo.
Viene spontaneo chiedersi quale tipo di economia insegnassero all’università di Mosca…
“Ciò che in Svezia non è proibito, è obbligatorio” (Milton Friedman)
La via riformista su cui ha
ripiegato la sinistra internazionale dopo la caduta del comunismo sovietico, si
è rivelata essere nient’altro che il solito strumento del liberismo per
mantenere soggiogate le masse dei lavoratori, col populismo e la demagogia, che
finora ha avuto l’esempio più estremo nel governo del venezuelano Hugo Chavez:
quale miglior modo di preservare lo stock di quella che gli Usa considerano la
propria riserva strategica di petrolio, se non toglierla all’iniziativa privata
ed affidarla ad una meno efficiente compagnia pubblica? Permettere o
addirittura favorire la statalizzazione fin dove risulta opportuno,
presentandola come una generosa elargizione, in modo da poter mantenere uno
stretto controllo su quanto è redditizio: “privatizzare gli utili, socializzare
le perdite”. Lo stesso ------ che diede nascita all’Agip nel 1925 dopo
l’omicidio Matteotti --- standard oil---- Agip, fondata nel 1926 dal ministero
dell’industria, con una significativa partecipazione dell’Anglo-persian (oggi
Bp). La statalizzazione di un azienda, pur andando a sfavore del proprietario,
va a favore dei proprietari di altre aziende, ovvero e soprattutto dei concorrenti;
ma anche di quelle dell’indotto. Le prime vedono una concorrenza meno
efficiente, le seconde vedono un contrattante più malleabile. Con la
socializzazione no. E’ quindi comprensibile che i capitalisti siano avversi più
alla socializzazione che al comunismo. Il fatto che il liberale Croce,
l’odiatore del proletariato, in gioventù avesse definito geniale Marx
--------- Marx vacuo. ----su rapporto
azionisti-comunisti------ ----
comunismo: oltre a vendere a prezzo più basso, comprare a prezzo più alto – già
messo su rischiare proibizione servizi segreti? ------ mettere anche per
paragone con spa e aziende socializzate al crescere del numero di soci –
paragone con banco ambrosiano -------- Nel sistema misto tipicamente italiano
(“azienda partecipata”) i soci privati (tipo mediobanca) non fanno nient’altro
che trascinarsi dietro come una palla al piede i soci pubblici. Impresa
pubblica o privata che sia, quando abbassa prezzi obbliga tutte le altre a
seguirla --- dumping? -----anche su
critiche a socializzazione ------ Se le aziende comunali sono quotate (in
borsa), ancor più il fine dell’impresa deve sempre prevalere, a dispetto anche
di esigenze immediate dell’ente locale, per esempio nelle politiche dei
dividendi, che non devono aver di mira il ripianare i deficit comunali o
consentire il perseguimento di fini estranei alle finalità d’impresa. Se la
società non è quotata, subordinandola alle esigenze immediate di bilancio
dell’ente locale se ne mina l’autonomia progettuale. Se invece è quotata si
danneggiano anche gli azionisti di minoranza.
----- Lodovico Festa, Giulio Sapelli, “Capitalismi”, Boroli ed, pag.
153. ----. Gli errori compiuti seguendo una logica privatistica possono essere
sanzionati dai meccanismi impersonali del mercato, mentre quelli compiuti
seguendone una pubblicistica lo possono essere soltanto in coerenza con il
principio di maggioranza e le connesse variabili del consenso elettorale.
Quest’ultima agisce con più lentezza, dando vita a compromessi spesso dannosi.
----- Lodovico Festa, Giulio Sapelli, “Capitalismi”, Boroli ed, pag. 151. ---- Questo
è stato l’unico risultato della “partecipazione” dello Stato all’economia
italiana. Il sistema misto a cui tanto aspirò il PCI di Berlinguer e Natta e
che sfociò nella trasformazione di Occhetto in PDS. Il suo governo tra il 1996
ed il 2001 e tra il 2006 ed il 2008 (con lo statalista Prodi) si dimostrò come
il più evidente esempio negativo di economia mista assistenzialista di cui ha
ampiamente approfittato anche la Fiat. Non è un caso che quell’area politica
ricevette le credenziali internazionali nel 1994 grazie alla “nordista”
mediobanca, e propose successivamente come presidente del consiglio l’azionista
Ciampi. I governi di sinistra sono
quelli infatti che con più facilità possono attuare i programmi “di destra”,
come le esperienze dei governi Prodi e D’Alema ben dimostrano. La guerra del
Vietnam ebbe l’escalation durante le presidenze dei Democratici, e fu fatta
cessare dai Repubblicani. Il percorso politico di personaggi come Antonio Maccanico
dimostra ampiamente questa contiguità. Quando Cesare Merzagora si presentò alla
Pirelli nel maggio 1945 per prenderne la gestione fu accolto festosamente dagli
operai ignari di quale boccone quelli come lui gli avevano appena tolto dalla
bocca. “Ragazzi, adesso andiamo a lavorare!”, furono le sue uniche esemplari
parole[308], alle
quali gli operai ubbidirono volenterosamente.
Vedi il primo governo Craxi, salutato come “un fatto storico” dalla Cgil ma poi rivelatosi ---il più reaganiano possibile, tanto quanto il contemporaneo Mitterrand in Francia----. Nulla da stupirsi da persone per le quali sono le parole e non la sostanza a fare differenza (vedi Allende): una megaimpennata di tasse basta chiamarla “conguaglio rimborso temporaneo” per incantarli.
Come: ----Nel valutare la contrarietà al centro-sinistra, si consideri che fino al 1985 il Psi aveva ancora la falce e martello nel simbolo (anche se rimpiccioliti nel 1978).?----:
Pinochet non era un politico, era un burattino, un militare, spezzò le reni alla sinistra cilena, l’economia invece fu affidata da Piñera ai “Ragazzi di Chicago” che adottarono politiche liberiste, simili a quelle di Margaret Thatcher, finalizzate a rilanciare lo sviluppo economico dopo le collettivizzazioni attuate da Allende.
Tutt’oggi da più parti si continua a giustificare Allende dicendo “in fondo non era comunista”… ma diavolo! Logico, neanche un agente di custodia si definisce secondino! Una rosa chiamata con un altro nome ha sempre lo stesso profumo (Lisa Simpson). Uno può definirsi in tutti i modi, ma è quello che compie a determinarne l’essenza. Non serve girarci intorno. Il Cile di Allende non aveva la falce e martello nella bandiera, non -------, non --------------. Che uno si professi non comunista, ma poi agisca in maniera comunista, è questione puramente semantica! Allende nazionalizzò (la solita parola ingannevole per nascondervi dietro la parola “comunismo”) le miniere di rame, le banche, il guano, l’industria dei nitrati, i telefoni, le assicurazioni, ed avviò sulla stessa strada la proprietà delle terre agricole. Ma più di così cosa doveva fare per essere definito comunista?
Era certamente più comunista il governo di Allende che quelli dichiaratamente comunisti di Somalia, Etiopia, Guinea, Grenada, Seychelles, Birmania. Ma dopotutto non c’è da stupirsi se sono le stesse persone che definiscono come fascista il Cile di Pinochet e l’Argentina di Videla…
Noriega???
Invertire, ovvero sono i comunisti che mettono il loro cappello sulla Cina???:
La propaganda è mettere il proprio cappello su ciò che è degli altri. La Cina funziona quindi è capitalista. Ma secondo una inchiesta fatta l’anno scorso il governo cinese è il più popolare del mondo con 87% dei consensi (con un aumento esponenziale dei consensi negli ultimi anni) secondo la Pew Research che sonda la governance nel mondo. L’80% dei cinesi crede che in Cina ci sia il socialismo.
Che
in Italia i comunisti siano sempre stati abbarbicati al potere e ai suoi abusi
nello sfruttamento dei cittadini, lo dimostra il fatto esemplare che un loro
importante esponente arrivò ad affermare in tempi recenti che il numero dei
parlamentari andava bene così com’era, ignorando l’esigenza avvertita in tutto
il Paese di ridurre il loro numero e quindi i costi esorbitanti della politica.
“Una minoranza di fanatici in buona fede si muove e si agita in mezzo a voi e mentre crede di essere al servizio di grandi ideali di umana giustizia, serve in realtà una sola causa: quella dei nemici del nostro paese. Gli emissari del nemico vogliono la guerra civile in Italia. Siate un po’ scaltri operai, tecnici e impiegati, sappiate leggere negli occhi dei falsi amici che vi vogliono mandare allo sbaraglio!” (Benito Mussolini[309])
Non si può non notare che gli acerrimi nemici del distributismo corrispondono oggi in toto ai nemici di Silvio Berlusconi…
“Noi vogliamo una economia sociale di mercato. Una democrazia non può permettersi cittadini in condizioni di miseria. Con il libro sul welfare approfondiamo i bisogni delle famiglie più deboli. E’ una politica decisamente di sinistra. Questo governo, che è di centro, liberale, con cattolici e riformisti, intende procedere con una politica che la sinistra promette solo a parole” (Silvio Berlusconi) ---destra sociale pag. 107. ---- o su difatti Giovanni Bagnetti nel???-----
Sfumature di ogni sorta nella politica italiana, specie dove storicamente c’è trippa per gatti, ovvero a sinistra --- democrazia in tutte le salse. --o su socialdemocrazia?----
Oggi i riformisti non si rifanno più nemmeno all’ultimo grande baluardo ufficiale del comunismo, essendo chiaro che il sistema cinese odierno non è nemmeno definibile socialismo riformista, ma liberal-capitalismo solo tinto esternamente di rosso, mantenente in comune con il vecchio sistema solamente la dottrina confuciana precedentemente appiccicata al comunismo da Mao. Il più estremo liberismo ma con la pretesa della pianificazione, e con in più l’adorazione dello Stato apportata dal confucianesimo. Oggi la Cina è un paese di schiavi volontari, ma non più al servizio dello Stato: oggi la tendenza ultra-capitalista cinese va perfino in controtendenza al mondo occidentale dove sempre più spesso lo Stato mette lo zampino. Ma nel liberismo degli scambi volontari la libertà è assenza di coazione; nel sistema di scambi coattivi la libertà si ridefinisce come il poter fare quello che si vuole, che sia un dittatore o la maggioranza democratica. I governi occidentali usano sempre più sovvenzionare i consumi, ad esempio attraverso programmi di assistenza ai poveri. Anche gli Stati Uniti di Barack Obama stanno prendendo sempre più questa piega. I risultati non sono una novità: già l’economia dell’impero romano cadde per colpa dello stato sociale “panem et circenses”. L’aiuto alla povertà genera solo ulteriore povertà. Come dando un incentivo alla vendita di automobili vengono vendute più automobili, allo stesso modo incentivando la povertà, finanziandola, si avranno più poveri. Uno dei punti basilari è da dove prendere la ricchezza per mantenere queste politiche. Per sostenere gli enormi costi sociali sotto Aureliano si cominciò a inflazionare la moneta. Ma inflazionare moneta non crea ricchezza, nel lungo periodo fa aumentare solo i prezzi. Questo tipo di economia odierna si basa fondamentalmente sui precetti keynesiani che già si sono rivelati deleteri.
“La coesione sociale di una nazione è ampiamente determinata dalla equa distribuzione […] della sua ricchezza. Equità non significa egualitarismo, ma contemporanea capacità di prevenire e sostenere i bisogni, da un lato, e di premiare i meriti, dall’altro […]. Prestazioni troppo generose determinano l’intrappolamento dei bisognosi in una condizione di esclusione sociale” (Maurizio Sacconi, “Libro bianco sul futuro del modello sociale”)
Nessuno qui ne da una definizione semantica degli Usa. Sono quello che sono. Milton Friedman disse che dato che negli Usa l’imposizione fiscale è oggi del 45%, significa che gli Usa sono al 45% comunisti. Il punto non è quanto e cosa, ma quale ne sia la base filosofica. E la base filosofica dell’economia Usa è il liberismo, a prescindere da esternalità ed esogenità sovrastrutturali.
Ma essendo quel liberismo inapplicabile senza socialismo “lasalliano” è ovvio che è solo una presa in giro il chiedersi quale sia la differenza tra una socialdemocrazia keynesiana ed un neo-liberismo corporativista essendo due fasi di un medesimo modello... Guarda caso le ideologie non posso che appoggiare, all'interno del modello, che una qualche sfaccettatura.
Il capitalismo predica l’assenza dello Stato dalla società. Ma lo stato controlla il 40% del PIL degli USA (lo stato più capitalista!).
liberismo inquinato da dirigismo in Usa, esempi: taxi e case a New York. --- sovrastrutture
Ma non è assolutamente vero che il capitalismo predica l’assenza dello Stato... così come non è assolutamente vero che gli USA siano lo stato più capitalistico....
Nel Capitalismo può variare il livello di Stato presente, non che esso sia assente, quella è anarchia, utopica quanto il comunismo. Cosi come considerare la Cina un paese comunista... c’è più capitalismo estremo in Cina che negli USA.
Questo è vero nella misura in cui uno stato capitalista che toglie spazio all’iniziativa privata e al libero mercato, per esempio nazionalizzando gli istituti i credito in crisi (come accaduto in USA e GB), riconosce che il sistema capitalista è un fallimento...
Ma il capitalismo non nega l’esistenza del settore pubblico, di forme di
capitalismo ve ne sono a iosa da quelle ultra a quelle soft, nel mentre il
comunismo nega in toto la proprietà privata, il profitto personale, c’è una
distinzione fondamentale fra i due sistemi.
Dipende.....negli anni ’20 in URSS venne promulgata una politica economica
chiamata NEP, che permetteva la piccola proprietà terriera ed e artigianale connessa
ad una forma di libero. Stalin invece cambio rotta totalmente negli anni ’30,
con le collettivizzazioni forzate. In Jugoslavia si applicava la proprietà e la
gestione cooperativa dei beni di produzione. Pol Pot deportava la gente nelle
campagne e abolì ogni forma di proprietà. Lo stesso vale per i sistemi
capitalisti: ci sono le socialdemocrazie scandinave, c’è il new deal di
Roosevelt e c’è il turbo capitalismo dei monetaristi...
Un momento, il comunismo implica l’assenza della proprietà privata ed il
concetto di profitto personale, i regimi comunisti nella pratica cercarono di
modificare la teoria appunto perché già di partenza era assurda ed
irrealizzabile, ma neanche le piccole modifiche lo hanno aiutato.
Privatizzazioni???
Il neoliberalismo in America Latina è stato una manna dal cielo... in Messico prima dell’apertura dei mercato, 1987, e quando furono aperti, 1994, la differenza fra il prima ed il dopo è stratosferica, le condizioni di vita, possibilità lavorative ecc ecc sono migliorate enormemente, basta pensare al livello generale, il petrolio era la voce negli export del Messico (dal 80 al 90%), oggi conta poco più del 10%.
Basti pensare che la “Decada Perodda” dell’America Latina venne in essere perché i paesi cercarono di adottare politiche economiche stile Chavez moderno. Difatti venne la decada perdida.... e se il continente Sud Americano oggi anche in presenza della crisi sta rispondendo molto meglio che in passato lo si deve alle politiche economiche liberiste degli anni 90... non a caso Chavez riesce pure nell’impresa di finire in deficit sottostimando il prezzo del petrolio nel fare il budget governativo (esempio quando il petrolio era a 150, nel budget governativo lo consideravano 75, e quindi ricevevano 75 extra sul budget, nonostante questo finivano in deficit...), in poche parole incompetenza allo stato puro... o malafede.
Come abbiamo visto la parte più
importante del prodotto nazionale non sta nella vendita finale, ma nelle tappe
anteriori. Se per i keynesiani la maggior parte dell’economia è rappresentata
dai consumi (basandosi solo sul PIL), non sorprende che per loro la panacea sia
agire sul consumo. Il sistema pubblico, dovendo automantenere se stesso,
non può per definizione costare mai meno del sistema privato, perché per
esistere deve ridistribuire soldi che erano stati allocati dal mercato a un
costo, e nel farlo determina un altro costo. Qui l’economista spagnolo De Soto, grande critico di Keynes, ci
da il quadro realistico della situazione. I suoi scritti critici si basano sul
fatto che il costo del mantenimento del sistema pubblico è per definizione più
elevato perché il sistema pubblico non è orientato al profitto. Non solo, anche
la perdita secca da errata allocazione di risorse tolte al mercato e da
distorsione di prezzi relativi, ed anche la tendenza all’aumento dei costi medi
nel tempo propria della pubblica amministrazione in generale costi non
quantificabili ma esistenti, laddove al massimo un sistema efficiente andrebbe
a costi pari, visto che per principio lo stato sussiste in pareggio e non
prevede l’utile. Un sistema che punta al profitto mantiene se stesso perché se
la gente è disposta a pagarne il mantenimento oltre al costo del bene prodotto
vuol dire che in sé il fatto che sia prodotto costituisce un vantaggio per la
società. Se la gente paga sul mercato con i propri soldi quanto basta perché
l’azienda campi allora l’azienda ha un senso economico, cioè supera il
presupposto di finitezza delle ricchezze date e soddisfa quello di ricchezza
crescente. Lo Stato, evidentemente, non riesce a offrire il “welfare” come
“assicurazione a costo così basso da venir comprata”, altrimenti non userebbe
le tasse, cioè non imporrebbe di pagare qualcosa che la società avversa.
In un sistema privato la gente può decidere la sua sussistenza acquistando o
meno i suoi prodotti o servizi; in un sistema pubblico la gente non può
decidere nulla, deve acquistare dietro coercizione (tasse) anche quando non sia
d’accordo sull’utilità e/o sul prezzo.
“Esistono solo due sistemi per procurarsi la ricchezza, il sistema basato sulla produzione e lo scambio nel rispetto dei diritti altrui... in tal caso parliamo di mezzi economici, e il sistema basato sull’appropriazione coatta della ricchezza altrui, in tal caso parliamo di mezzi politici. Tutto ciò che riguarda l’esercizio dei mezzi economici è capitalismo, al contrario il monopolista dell’esercizio dei mezzi politici è lo stato” (A.J.Nock.o Franz Oppenheimer ?)
Quando un impresa privata viene statalizzata il problema che si pone è che in questo modo abbiamo reso il modello fisso, e l’istante successivo non sappiamo più se le condizioni di mercato sono rispettate. In pratica alle persone che pagano le tasse non è più consentito cambiare opinione, gusti, o preferenze. Qualsiasi innovatore competitivo sarebbe tagliato fuori. E lo Stato non avrebbe alcun elemento per rendersi conto se le persone sono ancora disponibili a pagare quel prezzo per quel servizio. I parametri per stabilire quante risorse (e quindi quante tasse) devono essere assorbite divengono arbitrari (anche clientelari). Questo porta all’inefficienza, e allo spreco di ricchezza. Anche gli interventi pubblici sul privato non esulano da questo, soprattutto perché mirati in ambiti suscettibili di favoritismo. Se alla fine delle fasi del processo produttivo un settore che ha beneficiato dai provvedimenti statali ha prodotto qualcosa che non trova richiesta da parte del mercato, vi è una distorsione; le risorse umane e i beni di capitale sono già stati allocati nei posti sbagliati. La crisi economica è la conseguenza dell’aggiustamento delle cattive allocazioni che spesso è gravoso riportare al proprio posto. Secondo Rothbard, più un governo interviene per rallentare l’aggiustamento del mercato più lunga e più sofferta sarà la depressione e più difficile viene resa la strada verso il recupero totale. L’azione di intralcio dei governi aggrava e perpetua la depressione. Eppure, la linea politica dei governi durante le depressioni è sempre stata, e lo sarebbe anche adesso, quella di aggravare i mali stessi che loro dicono, demagogicamente, di provare a curare. Dato che anche la deflazione velocizza la ripresa il governo dovrebbe incoraggiare, invece di interferire, una contrazione del credito. Semplicemente il problema fondamentale è che queste sono distorsioni che non si vedono. Come diceva Bastiat nel “Racconto della finestra rotta”, in economia molto spesso è proprio ciò che non si vede ad avere rilevanza. Ed oggi sono stati proprio gli effetti di ciò che non si vedeva a causare la crisi, generati da quell’espansione monetaria e creditizia che viene sistematicamente organizzata dalle banche centrali a nome dello Stato. Quindi, ecco secondo De Soto i modi coi quali l’aggiustamento viene reso zoppicante: prevenire o ritardare le liquidazioni; prestare soldi ad attività in difficoltà, fare pressioni sulle banche perché facciano ulteriori prestiti ecc; inflazionare ulteriormente, bloccando la necessaria caduta dei prezzi, rallentando così l’aggiustamento e prolungando così la depressione; l’ulteriore espansione del credito crea ulteriori cattivi investimenti i quali, in ritorno, dovranno poi essere liquidati in una qualche futura depressione; una politica governativa di “soldi facili” previene il ritorno del mercato a tassi d’interesse necessariamente più alti; l’artificiale mantenimento di salari alti assicura una permanente disoccupazione di massa, e durante un periodo di deflazione, quando i prezzi stanno calando, il mantenere lo stesso livello di salari significa in realtà spingere il livello di salario più in alto; di fronte ad una domanda di occupazione in ribasso da parte delle attività tutto questo aggrava pesantemente il problema della disoccupazione; mantenere i prezzi al di sopra dei livelli del mercato libero crea invendibili eccedenze e impedisce il ritorno alla prosperità; stimolando artificialmente il consumo e scoraggiando il risparmio, abbiamo già osservato come più risparmio rispetto al consumo renda la ripresa più veloce, più consumo e meno risparmio invece aggrava ulteriormente la scarsità di capitale investito. Lo Stato può scoraggiare risparmio ed investimento attraverso l’innalzamento delle tasse, particolarmente tasse sulle attività produttive. Di fatto, qualsiasi rialzo di tasse e di livello di spesa dei governi scoraggerà risparmio ed investimento. Alzerà solo il livello di consumo, dato che la spesa dei governi va solo in consumo. Alcuni dei fondi privati sarebbero destinati a risparmio ed investimento, ma tutti i fondi del governo vanno solo verso il consumo. Qualsiasi aumento nella misura dell’intrusione del governo nell’economia quindi sposta il rapporto consumo-risparmio della società verso il consumo e prolunga, così, la depressione. Qualsiasi sovvenzione della disoccupazione prolungherà la disoccupazione a tempo indefinito e rallenterà la trasmigrazione dei lavoratori verso i campi produttivi dove i posti di lavoro diventano disponibili.
“Se tu paghi la gente che non lavora e la tassi quando lavora, non esser sorpreso se produci disoccupazione” (Milton Friedman)
Abbiamo visto che i keynesiani pensano che ciò che accade al consumo
trovi corrispondenza anche al resto dell’economia, ed abbiamo considerato che
se per essi il fulcro dell’economia è rappresentato dai consumi finali, non
sorprende che la loro soluzione per le crisi economiche sia fomentare il
consumo. Ma sembrano ignorare completamente che le cifre coinvolte
nell’acquisire beni di produzione nelle fasi di produzione superiore superano
di gran lunga le cifre che si spendono nell’ultima fase per i beni di consumo
(commercio). Detto in altre parole, lo sforzo imprenditoriale si concentra
nelle fasi precedenti a quella del consumo. Il settore commerciale
guadagna molto meno rispetto ai settori al livello superiore, esso pertanto in
caso di diminuzione dei consumi si ridimensiona, si contrae, e di conseguenza
libera fattori di produzione che trovano nuova collocazione nelle fasi
superiori, dove esistono ricavi più alti. La richiesta di fattori di produzione
da parte delle fasi superiori non crea pressione sui prezzi, proprio perché si
tratta di risorse liberate dalle altre fasi più prossime al consumo finale.
Tutto il sistema produttivo si riorganizza in maniera spontanea, guidato dagli
sforzi imprenditoriali che si dirigono lì dove è più conveniente. L’aumento del
benessere è dovuto a questo continuo processo, che vede una percentuale sempre
maggiore di capitale, umano e non, dedicarsi alle fasi superiori, e una
percentuale relativamente sempre minore dedicarsi alla fase finale. Nel
complesso di quella che oggi noi chiamiamo “crisi” in realtà ci troviamo di
fronte a quella che alla fin fine De Soto definisce una “ristrutturazione
sostenibile”. Se la si interpreta come crisi è per via dei parametri che oggi
ne danno definizione: disoccupazione e/o inflazione. I quali come abbiamo visto
non sorgono spontaneamente ma sono originati da quella che le politiche
keynesiane dei governi interpretano come soluzione! Contemporaneamente, quando
il consumo viene forzato (anche come spesa pubblica) l’incidenza delle
fasi finali aumenta, aumentando anche i tassi. L’intera struttura economica si
sposta verso le fasi finali, quelle con costi maggiori, ed i prezzi salgono. Il
reddito cresce in termini nominali ma c’è meno ricchezza di prima, perché il
valore reale della moneta diminuisce. De Soto denuncia con lungimiranza
l’incongruenza delle idee di Keynes in quest’ambito. Chi sostiene le
politiche keynesiane e in generale l’intervento dello Stato pensa che
l’economia sia fondata su numeri fini a sé stessi, che bisogna produrre tot
acciaio o costruire tot ospedali non perché richiesti ma solo perché si deve. E
questo lo si deve a Keynes ed alla sua assurda giustificazione delle piramidi.
Il grottesco è che spesso lo Stato, dopo aver creato le strutture e i servizi
sociali, poi deve varare incentivi o disincentivi (imposizioni coatte) affinché
siano usati. In pratica con l’assistenzialismo è la gente che deve mutare le
proprie esigenze per assecondare quelle dell’economia, non viceversa come
sarebbe lecito pretendere. L’economia
quando segue questo processo regredisce. Lo sforzo imprenditoriale, maggiore
nelle fasi anteriori primarie, è spesso motivo di delega voluta di queste fasi
allo Stato, in economie miste, come abbiamo letto ad inizio capitolo riguardo
“privatizzare gli utili, socializzare le perdite”, in quanto può risultare
utile ai produttori di beni finiti per ottenere i beni primari a prezzi
inferiori. Questo è uno dei motivi che portò alla nascita dell’IRI.
“Lo Stato fascista dirige e controlla [...] Allo Stato
appartengono molti stabilimenti. Tuttavia tutto questo non è socialismo di
Stato, perché noi non desideriamo nessun monopolio, in cui lo Stato faccia
tutto. Noi chiamiamo questo, intervento dello Stato. Questo è tutto definito
nella Carta del lavoro: se qualche cosa non funziona, interviene lo Stato”
(Benito Mussolini[310])
Un motivo che in quel momento era certamente reso necessario dalla crisi del ’29, come ci conferma anche questa frase detta da Giovanni Agnelli a Vittorio Valletta: “le obbligazioni sono per aiutare gli industriali, e noi dovremmo essere piuttosto dall’altra parte. E poi, fin che fosse farsi imprestar soldi dal governo bene, ma prestarne noi al governo è un pò troppo”[311]. E’ lo stesso ragionamento seguito al momento della nazionalizzazione dell’industria elettrica, per convincere gli oppositori. Ovviamente è previsto che si ripercuota nella spesa pubblica; l’Enel arrivò a pareggiare il bilancio solo nel 1984[312]. Ma il significato implicito è che se le aziende statali sono profittevoli, concorrono con i capitalisti privati a detrimento dei loro profitti. Viceversa, se sono in perdita dovranno ovviamente essere finanziate e dunque comporteranno un aumento dell’imposizione fiscale. Ma abbiamo visto che nelle logiche ----------------. Inoltre, secondo gli assistenzialisti, ai fini della crisi da realizzo l’unica soluzione possibile sarebbe dunque aumentare i salari, ma poiché nessun impresa in concorrenza può fare per primo questo passo, è anche in questo caso lo Stato, con le sue aziende, che di solito deve avviare una misura del genere. impresa pubblica o privata che sia, quando abbassa prezzi obbliga tutte le altre a seguirla --- dumping? -----anche su critiche a socializzazione ------ e su palla al piede ---- Questo oggi è reso di fatto impossibile dalla concorrenza internazionale, e comporta la delocalizzazione delle imprese private, con conseguente disoccupazione nel paese delocalizzante. In India la gran parte delle persone lavora nelle fasi prossime a quelle del consumo, negli USA in quelle più lontane. Da cui la differenza di salari e quindi di ricchezza complessiva tra i due paesi, e la causa della delocalizzazione delle produzioni in cui il lavoro umano è preponderante dove esso costa meno. E non costa meno perché i capitalisti sono più cattivi, ma perché i costi dei fattori di produzione variano da luogo a luogo a seconda del rapporto domanda/offerta presente (certamente anch’esso determinato da altri fattori, indipendenti da questo capitolo). Riguardo concorrenza estera: difficile ipotizzare che i lavoratori-soci rinuncino al lavoro a causa di ricavi sotto il livello di rendimento del capitale, in mancanza di alternative. E se le alternative ci sono, ben venga la riconversione ad attività più remunerative (e quindi più utili collettivamente, profitto simbolo di tale utilità ---–profitto=produzione---) .
A differenza del sistema liberista costellato dalle diatribe tra gli attori sul miglior impiego del capitale che portano alle aberrazioni di produzioni utili che chiudono per motivi economici quasi sempre inesistenti o sorvolabili (vedi Olivetti e la quasi persistente cronica incertezza Fiat).
Il break even (punto di pareggio uscite-entrate) sempre quello rimane. -----già messo, mettere anche altrove?---- Delocalizzazione: il bello è che se la Fiat decide di chiudere le fabbriche in Italia e aprirle in Polonia e Serbia, i sindacati, che sono la causa di questa scelta, hanno pure l’impudenza di protestare! ------------- percentuale introiti grandi aziende in maggior parte a salari (partire da qui per discorso contro delocalizzazione). ----qui???--- La cultura dell’assistenzialismo si ripercuote su di essi in questo ed in altri modi. Quindi non intendiamo criticare totalmente l’istituzione statale, dato che essa è necessaria laddove il privato avrebbe un conflitto d’interesse, ma appuntare come convenzionalmente il punto di equilibrio finanziario tra Stato e privato, si raggiunge quando le imposte non superano il mancato profitto da reinvestimento. Lo si può visualizzare con un semplice paragone: non è la quantità di acqua bevuta a determinare la quantità e velocità delle tossine espulse, ma è la necessità di acqua necessaria ad espellere quelle tossine a determinare la quantità di acqua da bere, con indicatore la sensazione di sete; bevendo di più non si espellono più tossine; è la sete a dirti qual è la quantità giusta da bere. Ma in ogni caso il sistema economico pubblico è sballato a priori perché non potendo fallire non viene mai autocorretto, prova ne sia che le tasse non scendono e le spese salgono e si arriva fino al punto di interi stati che iniziano a fallire, cosa che nell’ottocento del pareggio di bilancio, delle tasse al 10% e del mercato libero nessuno immaginava.
“Non di rado lo Stato si sostituisce al cittadino nelle sue decisioni con strutture viziate da ricorrente autoreferenzialità. Ciò diffonde una cultura assistenzialista che comprime il senso di autonomia e responsabilità” (Maurizio Sacconi, “Libro bianco sul futuro del modello sociale”)
Purtroppo l’ignoranza di queste convenzionalità è notevole tra le persone, e conseguente e regolare è la richiesta di “Stato” ogni qualvolta ne salti il vezzo, perfino tra i più accaniti anti-comunisti. Anche tra essi è raro trovare qualcuno che conosca la differenza tra comunismo e democrazia capitalista. Per tutti vale solo la generalizzazione “comunismo=povertà - capitalismo=ricchezza”, senza coglierne i motivi di ciò, ovvero ignorando che con il comunismo la società che conoscono verrebbe totalmente stravolta. Questo è il motivo per cui esistono perfino proprietari di negozi e di case che votano comunista, nonostante il fatto che se il comunismo andasse al potere ovviamente gli toglierebbe la proprietà del negozio e della casa. Ma i negozianti ed i proprietari comunisti non lo sanno, ed il partito se ne guarda bene dall’informarli.
“All’uomo irrazionale interessa solamente avere ragione. All’uomo razionale interessa imparare” (Karl Popper)
Questi equivoci basati sull’ignoranza hanno comportato che nel corso del divenire storico una mole di governi si siano appropriati del termine “socialismo” a sproposito, vedi Somalia, Etiopia, Congo, Benin, Guyana, ecc. Ma un paese per essere definito comunista non può limitarsi ad implementare voli aerei per Mosca o L’Avana! Si suole applicare spesso ad ogni esperienza dell’economia nazionale integrale tale etichetta, rendendo nessun termine più vago di quello di “socialismo”. La concezione statalista ha somiglianza col dirigismo marxista, poiché prevede “un’economia di coazione, centralizzata e programmatica” e si esplica in un “grande normativismo sociale”, come si esprime Werner Sombart. Se è socialista ogni economia che sia “per principio” regolata, mentre è liberale qualunque economia che sia “per principio” libera, è tuttavia innegabile che la parola socialismo ha assunto un significato specifico.
Per quelli di Wikipedia perfino il congolese Patrice Lumumba era fascista!
“Per quanto riguarda la parola che vi sta a cuore, socialismo, essa potrà liberamente circolare, ma a un patto: che essa non serva a far passare merce di contrabbando e non indulga a nostalgie marxiste. Parliamo un linguaggio socialista nostro, cioè fascista” (Benito Mussolini a Ugo Manunta)
In un certo senso è benefico che la concezione italiana sotto il titolo del “fascismo” abbia evitato il pericolo di equivoci che è implicito alla semantica del “nazionalsocialismo”. Questo consentirebbe un ampio margine di manovra, ma ne causa la “babele” attuale delle classificazioni che vengono accomunate al neofascismo e ne costituisce un limite proprio nella divergenza di interpretazione della socializzazione, che, da alcuni è assurdamente identificata con la stessa statalizzazione del marxismo! La nostra analisi della socializzazione parte anche dal presupposto di mettere ordine in questa babele di equivoci.
«Noi non abbiamo paura né del comunismo, né del bolscevismo. C’è un’altra cosa che ci fa paura: è che gli operai di queste fabbriche non abbiano a sufficienza da mangiare. Essi hanno fame. Bisogna che siano soddisfatte queste due necessità: la fame e il desiderio di giustizia» (Corneliu Z. Codreanu)
Anche nel proporre un sistema economico diverso non ci sarebbe nulla di ignoto, ma le leggi che lo regolerebbero possono essere già oggi conosciute, ed anche se ancora inesplorate dall’uomo comunque funzionanti nell’atto pratico. Quelle oggi individuate non lo sono per concessione divina, ma perché constatate da studiosi. Secondo il positivismo[313], l’economia è una scienza incompleta, che si migliora nel tempo. Quindi se in una società venisse modificato il sistema alcune leggi economiche potrebbero non avere più esempio di applicazione pratica, per essere eventualmente sostituite da altrettante già oggi constatabili (nel caso già non lo siano). Nel testo che state leggendo si vuole fare anche questo.
“Io sono per la massima libertà economica. Lo Stato forte non deve significare in ultima analisi lo Stato che desidera di fare ogni cosa per se stesso e da se stesso. Al contrario, io sono convinto che quanto è più forte lo Stato, tanto più grande è la libertà effettiva entro la quale si sviluppa la vita economica. L’impresa economica non ha meno bisogno di libertà in Patria che di sicurezza all’estero” – Benito Mussolini al Chicago Daily News, 24 maggio 1924
La socializzazione non può obiettivamente essere definita un “nuovo sistema
economico”, ma il mezzo tramite il quale riportare il corso dello sviluppo
economico sui binari che conducono alla sua destinazione finale che gli era
originaria. Essa è l’economia naturale, spontanea. A differenza del comunismo, NON
E’ LA PIANIFICAZIONE DI UN ESPROPRIO, ma è l’eliminazione
dell’individualista concetto sociale che equipara l’attività delle persone a
mera merce e che gli assegna un valore monetario come ad una qualunque merce.
Non si prefigge di essere un regime dogmatico e livellatore, ma solo di
correggere i guasti ove riconoscibili; non di rendere tutti uguali, ma di far partire
tutti alla pari; la sua filosofia fondamentale non è l’equità, ma
l’efficienza.
“Il libero sviluppo di ciascuno è la condizione del libero sviluppo di tutti” (dal “manifesto del partito comunista”, 1848, Karl Marx)
Solo eliminare il lavoro umano dal “mercato delle merci” potrà tradurre l’efficienza in vera equità e rendere possibile a tutti l’accesso al sistema produttivo in modo paritario e meritocratico, ovvero non più in modo mercantile e clientelare. Ciò che oggi è implicitamente “a priori” precluso alla maggior parte degli individui per quanto meritevoli essi possano essere, mentre è conseguentemente aperto agli arrivisti per quanto incompetenti possano essere. Ed è proprio e soprattutto dal costante lavorio di questi “furbi” (atto a mantenere le gerarchie immeritate) che sono nati e nascono tutti i guasti grandi e piccoli che hanno afflitto ed affliggono il mondo, e che hanno favorito il sorgere e sussistere delle classi sociali. Essi sono inconsapevolmente il piedistallo di chi ai livelli decisionali ha instradato il sistema portandolo fino all’odierno, grazie alla libertà d’azione concessagli dalla democrazia liberale nata dall’illuminismo, e con la base etica sita nell’ideologia ebraica e calvinista secondo le quali il ricco è tale perché benvoluto da Dio, mentre il povero evidentemente è malvisto dal padreterno. Una tesi che sarebbe certamente stata di grande utilità ai difensori degli imputati per la tragedia del Vajont…
“La libera competizione ha distrutto se stessa; la dominazione economica ha preso il posto del libero mercato. La smania dell’ambizione ha preso il posto del guadagno; l’intero regime economico è divenuto orribilmente duro, crudele e implacabile” (Pio XI, “Quadragesimo anno”, 1931)
Un punto sul quale i mutualisti hanno visto giusto è che se lo Stato non intervenisse, le leggi economiche assicurerebbero agli individui l’ottenimento di proventi esattamente proporzionati alla quantità di lavoro offerta. Essi assegnano il maggior valore al diritto alla iniziativa privata in quanto molla di ogni progresso sociale contro l’appiattimento collettivista e le concentrazioni capitaliste; solo eliminando la proprietà concentrata sarebbe possibile attuare uno sviluppo definitivo del capitalismo totale. Dato che l’intervento dello Stato in questo senso si esplica nel garantire la proprietà concentrata, si può dire che anche Marx ci avesse visto giusto in questo senso, ma come sappiamo fece intendere come soluzione l’opposto, ovvero l’abolizione della proprietà privata (che di conseguenza non poteva andare ad altri proprio che allo Stato). Oppure fu solamente travisato?
“Il regime bolscevico non aveva nessuna intenzione di abolire il sistema del lavoro salariato e non era quindi impegnato nel portare avanti una rivoluzione nel senso marxiano” (Paul Mattick)
Questa è una delle innumerevoli solite scuse con le quali i comunisti odierni cercano di difendere l’ideologia marxista ortodossa. Bisogna qui annotare che almeno in un punto Marx fu chiaro:
“Bisognerà centralizzare tutti gli strumenti di produzione nelle mani dello Stato” (Karl Marx)
Sulla base della consapevolezza espressa dai mutualisti il distributismo aspirò a privatizzare perfino le intere strutture statali, al contrario dei marxisti bolscevichi. In entrambi i casi (capitalismo e comunismo) l’economia é in mano ad un oligarchia: nel capitalismo ai proprietari, nel comunismo ai burocrati statali. Il resto, i lavoratori dipendenti, posseggono solamente i diritti che vengono avaramente elargiti loro da entrambi. Il problema principale insito in tali sistemi è proprio la divergenza sociale, la divisione in classi. Nell’economia statalizzata poi si aggiunge il fatto che l’amministrazione burocratica è implicitamente scadente per sua stessa natura, e non esiste la concorrenza a regolare il mercato, ma solo piani politici redatti a tavolino. Entrambi questi tipi di economia sono stati sostenuti dalle oligarchie che possiedono il controllo del pianeta, e proprio grazie a tale potere hanno potuto soffocare qualsiasi tentativo di alternativa. Come quello della socializzazione. La socializzazione altro non é che l’appiattimento delle differenze sociali, ovvero la scomparsa del concetto stesso di “padrone” e “dipendente”, e quindi delle “classi”. La fusione tra le figure di “stakeholders” (management e lavoratori) e “shareholders” (proprietari o azionisti). Semplicemente ricorrendo grossomodo al modello delle società per azioni allargandolo in una sorta di aziende cooperative. Ovvero, in un azienda con 10 lavoratori, ognuno di essi possiederebbe il 10 per cento della proprietà, in una di 100 lavoratori ognuno possiederebbe l’uno per cento. Una divisione equa della proprietà, dei ricavi, e delle decisioni. Ovviamente sarebbe comunque necessaria una dirigenza amministrativa, ma questa sarebbe scelta per elezione da tutti i soci, ovvero da tutti i lavoratori, così come eventuali “premi produzione” (è giusto che chi ha responsabilità abbia riscontri materiali tesi alla produttività, tenendo conto proprio che nell’economia statalista é l’assenza di tali stimoli a creare la corruzione ed il disinteresse, nonché il desiderio di fuggire all’estero): con “equa” ripartizione dei ricavi difatti non si intende “uguale”, ma “giusta”.
“I cattivi insegnanti son pagati troppo bene ed i buoni insegnanti troppo poco” (Milton Friedman)
Questo in parole povere è la socializzazione che il fascismo cercò di applicare nella R.S.I. dopo aver lavorato per 20 anni in tale direzione, sempre frenato ovviamente da quei poteri oligarchici plutocratici. Difatti nonostante la versione ufficiale risulti notevolmente edulcorata, la versione originale auspicata per quando le esigenze belliche l’avessero consentito ci è giunta dagli appunti di tre dei compilatori, Bruno Spampanato, Vittorio Rolandi Ricci, e Carlo Alberto Biggini: “ogni lavoratore della terra dovrà essere proprietario della terra che lavora e che acquisterà pagandone il valore in 30 anni e ogni lavoratore dell’industria dovrà essere proprietario di una quota azionaria dell’industria stessa che, pure, verrà pagata in 30 anni, rendendo ogni lavoratore proprietario di una quota azionaria che lo fa, insieme a tutti gli altri, proprietario dell’industria in cui lavora. Non ci sarà più un proprietario dei mezzi di produzione diverso dal lavoratore stesso e, quindi, non ci sarà più sfruttamento dell’uomo sull’uomo. E’ la fine del sistema capitalistico come lo abbiamo conosciuto. Ogni industria sarà una società cooperativa e un apposito ente, l’Ente Nazionale della Cooperazione avrà compiti di coordinamento, di promozione e di controllo[314]”, versione contenente anche i progetti di democrazia organica e fiscalità monetaria, e che verrà omessa proprio a causa dei contenuti del tipo “a nessuno sarà più consentito di vivere sfruttando il suo simile” sgraditi ai vari “cumenda” di turno. Nonostante questi accorgimenti era inevitabile che fosse comunque guardata con sospetto, se si nota come prevedesse che “in ogni azienda tecnici e operai dovranno collaborare all’equa ripartizione degli utili, all’equa fissazione dei salari, e alla partecipazione degli utili stessi anche da parte degli operai”, nonostante “che la proprietà privata, frutto di lavoro e risparmio sarà garantita, ma non dovrà per ciò trasformarsi in entità disgregatrice della personalità altrui sfruttandone il lavoro” (articolo 10). Il tutto, sia chiaro, permanendo in un economia capitalista di libera iniziativa, in più con la possibilità di liberalizzarla notevolmente rispetto al capitalismo oligarchico, come conseguenza del venir meno di ogni scontro sociale, e quindi non ci sarebbe nemmeno più la necessità di sindacati, ma solamente di corporazioni, ovvero associazioni di categoria (le quali esistono anche oggi in altre forme) che si autoregolerebbero esse al posto dell’attuale sistema legislativo politico. Quindi il controllo politico della vita pubblica verrebbe ad essere notevolmente attenuato, di fronte ad una responsabilizzazione collettiva dovuta all’allargamento del potere decisionale e distributivo ugualmente a tutta la nazione. Questo non significa che non ci sarebbero più né ricchi né poveri, ma che tali condizioni deriverebbero esclusivamente dalle proprie capacità, sia lavorative che decisionali nel contesto della propria azienda e di questa nel contesto economico complessivo. I proprietari resterebbero proprietari, ma alla pari degli ex dipendenti. La base filosofica di partenza della socializzazione deve essere creare fiducia creditizia (“solvibilità”) nel sistema bancario, quella fiducia che oggi non esiste. Nessuna proprietà verrebbe confiscata, ma si metterebbe le due parti di fronte ad una scelta inevitabile, disincentivando l’esistenza del rapporto semi-schiavistico “padrone-dipendente” spingendo implicitamente verso una regolare e legale divisione sotto forma di cessione della proprietà alle persone che quella proprietà portano avanti. Data la probabile esigua capacità d’acquisto da parte dei lavoratori, si dovrebbe approntare un finanziamento affidato a convenzioni bancarie particolari, con prestiti a lungo termine garantiti da entità pubbliche, come le corporazioni, se non proprio lo Stato. Gli ex proprietari, permarrebbero senza problema alcuno nella propria azienda ora a proprietà diffusa, con pari diritti e doveri di tutti gli altri soci-lavoratori. Sarebbe loro compensata la cessione delle quote come detto tramite crediti a lungo termine in convenzione bancaria con gli acquirenti (lavoratori). Tale pagamento sarebbe valido ovviamente solo dietro un accettazione consapevole e spontanea degli accordi e delle leggi. Per i servizi su licenza quali i trasporti ed il piccolo commercio l’assegnazione di essi si baserebbe sull’offerta libera che gli interessati offrirebbero all’ente pubblico, alla pari, ed in sostituzione, di una tassa. Ovverosia in un determinato settore le licenze verrebbero concesse al richiedente che preveda di poter far fronte coi suoi introiti all’entità della tassa pagata. Questo eliminerebbe la corruzione nell’assegnazione e la stasi nel ricambio, concedendo le licenze a chi veramente si dimostri capace di far bene il lavoro a cui la licenza fa riferimento. L’ingresso nel mondo del lavoro dalla scuola avverrebbe per avvicendamento, ovvero per cessione della quota sociale di un azienda da parte di un pensionando ad un neolaureato, il quale otterrebbe il denaro necessario dietro prestito bancario su convenzione a lungo termine regolata da incentivi particolari tesi a favorire tale pratica. Il pensionando in questo modo riceverebbe l’equivalente odierno della liquidazione e di quello di che vivere, dal momento che non sussisterebbe più il sistema pensionistico statale (sussisterebbe solo per chi ha già versato fin’allora i contributi sotto il precedente regime politico), ma solamente l’iniziativa privata. Il neo lavoratore riceverebbe un credito da poter restituire nell’arco della propria vita lavorativa, sostituendo in ciò perfettamente gli attuali contributi previdenziali obbligatori, ne più, ne meno. La differenza quindi starebbe solo nella forma.
“Il primo valore che ci deve guidare in questa sfida è la centralità della persona, in sé e nelle sue proiezioni relazionali […]. Da questo valore discende la tesi di un welfare delle opportunità e delle responsabilità […] che interviene in anticipo, con una offerta personalizzata e differenziata, rispetto al formarsi del bisogno e che sa stimolare comportamenti e stili di vita responsabili […]. Un modello sociale così definito si realizza non solo attraverso le funzioni pubbliche, ma anche riconoscendo, in sussidiarietà, il valore della famiglia, della impresa profittevole e non, come di tutti i corpi intermedi che concorrono a fare comunità […]. Questa visione vuole essere la risposta a ogni forma di egoismo corporativo e alle ricorrenti propensioni a favorire il declino della società da parte di coloro che – viziati da culture nichiliste – sembrano aver smarrito il senso stesso della vita” (Maurizio Sacconi, “Libro bianco sul futuro del modello sociale”)
In tale contesto verrebbe perfino a mancare la necessità della statalizzazione di molte strutture produttive ed assistenziali, ed addirittura la loro stessa esistenza. Questo comporterebbe la socializzazione non solo nel settore privato, ma anche in quello pubblico. Un allargamento della proprietà privata, quindi, in nome della libera iniziativa e dell’efficiente gestione concorrenziale privata. Ovviamente si dovrebbe ricorrere ad una diffusione capillare del sistema assicurativo privato, per pensioni e sanità, ad esempio. Essi stessi ambiti privatizzati-socializzati come tutti gli altri, tenendo conto che un livellamento delle differenze economiche tra cittadini (seppur non totale ma sicuramente notevole) porterebbe ad un adattamento generale dei costi dei beni e dei servizi (tra cui quelli ospedalieri) ad un livello accessibile a chiunque. Addirittura la gestione politica dello Stato potrebbe presentarsi sotto forma di iniziativa privata, con un sistema simile agli appalti.
“La nostra non è una destra statalista, perché una visione comunitaria della politica non può che limitare fortemente l’ingerenza dello Stato nella vita individuale e sociale dei cittadini. Il nostro comunitarismo, dunque, non può non essere nemico dello statalismo” (Gianni Alemanno) “Intervista sulla destra sociale”, Marsilio, 2002.
Ogni società di pubblici amministratori (non partiti politici, quindi, ma tecnici) potrebbe presentare agli elettori la propria offerta, ed essere eletta sulla base del rapporto qualità/prezzo (non prettamente su base d’asta, quindi). Le elezioni, effettuate sulla base di determinate prerogative (elezione collettiva dei rappresentanti delle corporazioni) avverrebbero nei confronti di persone, e non di partiti. Perfino il sistema contributivo potrebbe essere rivoluzionato, non sussistendo più la necessità di basarlo sul reddito effettivo, ma su quote fisse, sia a carico delle persone fisiche che delle aziende, per poi riadattarlo sulla base delle spese effettive personali tramite la fiscalità monetaria. Solo in una società non più suddivisa in classi sarebbe possibile realizzare questo, perché gli organi pubblici smettono di essere necessari quando tutti i membri della società stanno nello stesso rapporto riguardo al controllo dell’uso dei mezzi di produzione. L’esistenza dello Stato come strumento di controllo e di coercizione da parte di gruppi di pressione si dimostrerebbe superflua in un sistema privo di interessi particolari economici e di casta politica. Ogni proprietà statale è una forma di padronanza proprietaria e sudditanza esclusiva la quale implica un rapporto sociale che è totalmente inconciliabile con la socializzazione. Il concetto di Stato, in economia, deve sussistere nel sovrintendere e correggere, non nel dirigere. Tale rivoluzione avrebbe dovuto aver luogo il 21 aprile 1945, secondo il congresso di Verona. Tutti sappiamo poi com’è andata, casualmente o meno...
“Per decisione del Duce, in una vicina riunione il partito preciserà le proprie direttive programmatiche sui più importanti problemi statali e su quelle nuove realizzazioni da raggiungere nel campo del lavoro, le quali, più propriamente che sociali, non abbiamo alcuna peritanza a definire socialiste” (Alessandro Pavolini, 28 ottobre 1943)
Il fascismo concorda con la visione giansenista che il valore del denaro non va visto come mero pezzo di carta, ma come lavoro umano. Quando si spende una banconota non si fa altro che utilizzare lavoro umano.
“La maggior parte degli uomini è tanto intenta a procurarsi la propria quota di biglietti-denaro per servirsene come misura di capacità d’acquisto, che si è scordata dello scopo del denaro” (Ezra Pound) da “A che serve il denaro?” ------ destra sociale pag. 31.
Liberi di possedere ciò che si è costruito col proprio ingegno e lavoro, ma non con quelli altrui.
“Il capitale non esiste senza lavoro, né il lavoro senza capitale” (Leone XIII, “Rerum novarum”, 1891)
Nel secolo scorso ogni Stato ed ogni ideologia si sono impossessati del termine “lavoro” per darsi un tono. Il lavoro nobilita l’uomo – l’apoteosi della demagogia e ipocrisia – i nobili non lavorano.
Il lavoro è passato da una considerazione di calamità ad una mistica di provvidenza - per non dire di felicità -, in una perversione che dovutamente è stata caratterizzata da una precisa operazione di ampia, pressante e pervasiva demagogia. Ecco che, con seduttiva circonvenzione, si è giunti all’apologia dell’“umanesimo del lavoro” e della sua sublimazione nello “Stato del lavoro”. Si è iniziato a parlare di “lavoratori del braccio” e “lavoratori della mente”, di “lavoro intellettuale”, di “lavoro artigianale” - il massimo del paradosso e della corruzione linguistica -, cosicché: “Oggi accade che perfino l’azione e l’arte assumano i caratteri di un “lavoro”, ossia di un’attività vincolata, opaca e interessata svolta in base non ad una vocazione ma al bisogno e soprattutto in vista del guadagno, del lucro” ----- J. EVOLA, L’arco e la clava, cit., p. 41.-----. Questa manovra di lusinga si è sempre più affinata e resa molto più infiltrante. Si è millantato che attraverso il lavoro l’uomo si sarebbe liberato da ogni necessità contingente, avrebbe potuto soddisfare qualunque tipo di desiderio e, nella sostanza, sarebbe stato più libero. Ciò non è avvenuto, ma all’uomo è stato fatto credere ciò, e lui ci crede. La favola del Re Nudo è sempre attuale e di grande perspicacia. La sirena di questo abbaglio e di questo euforico naufragio ha un nome preciso - un misto tra un’evocazione ed un’invocazione -: benessere. Questo miraggio è il totem progressista, per il quale si sono uccise culture, decimate tradizioni, soffocati ideali e sterminate specificità; esso è diventato un tabù e, contemporaneamente, la parola d’ordine di quel totalitarismo globalizzante che sta cementificando il globo e desertificando le coscienze: “Distrugge le culture e apporta il benessere sopprimendo l’isolamento rurale e sostituendo le leggi di mercato ai rapporti sociali tradizionali” ---- S. LATOUCHE, L’occidentalizzazione del mondo, Bollati Boringhieri, Torino, 1996, p. 54.-----.
Una società sapientemente descritta da Paolo Villaggio con il suo Fantozzi. --- puntualizzare fatto che non è il datore di lavoro a dare qualcosa al lavoratore, ma l’opposto.-----come Montanelli-Crispi--------
Articolo 1 costituzione italiana: non si comprende quale sia l’interpretazione che intendono dare al termine “lavoro”, dato che tale concetto non ha un’accezione univoca. Come sta, l’articolo 1 è patetico e indecoroso. La questione “lavoro” è, per altro, particolarmente complessa per la falsificazione linguistica alla quale è stato sottoposto questo termine, e per la distorsione interpretativa che ha subìto a causa di una demagogica - ed ancora in atto - campagna di mistificazione. Il cambiamento del parametro e della considerazione del tempo è stata la condizione primaria per un’ulteriore deformazione del senso del lavoro in una dimensione apologetica. ----frase un ora persa 5 scellini persi???-----
Con la comparsa delle macchine e il trionfo dell’industrializzazione, ogni rapporto personale tra l’opera ed il suo autore è andata a sfumare fino a scomparire. Al di là delle dichiarazioni di principio e degli entusiasmi di copertura, è chiaro a tutti che l’esasperazione tecnologica - e la tecnocrazia che è la sua divinizzazione - hanno distrutto metodicamente ogni residuo di anima presente nell’attività artigianale, riducendo il risultato del lavoro a merce valutabile per vendibilità e comprabilità, quindi soffocata dalle esigenze del capitale, e l’uomo a mezzo di produzione e a strumento dell’economia. La robotizzazione del lavoro, pensata come la massima innovazione possibile per aumentare il tempo libero dell’individuo e, con esso, ampliare le sue opportunità di crescita personale, si è rivelata una trappola mortale per il fisico, per la psiche e per lo spirito. Pensiamo alle parole profetiche di Friedrich Georg Jünger risalenti al 1939: “Il potere che l’uomo ottiene attraverso l’automatismo a sua volta si impadronisce dell’uomo, costretto a dedicargli i suoi movimenti, la sua attenzione, il suo pensiero. Il suo lavoro, che è collegato alla macchina, diviene meccanico e si ripete con uniformità meccanica. L’automatismo afferra l’uomo e non lo lascia più” ----- F. G. JÜNGER, La perfezione della tecnica, Settimo Sigillo, Roma, 2000, p. 52.-------. E così è avvenuto. Con questo non si vuole deprecare la tecnologia, ma il modo con la quale è stata applicata all’organizzazione del lavoro. La tecnica unita al capitale ha determinato uno degli sconvolgimenti più devastanti - ed irreversibili - che la storia dell’uomo abbia mai conosciuto: la perdita di senso della vita. All’interno di un meccanismo perverso, la persona ha perduto ogni caratteristica di cultura in un appiattimento funzionale all’efficienza e all’efficacia dell’apparato di appartenenza; questa perdita di cultura, espropriandolo di qualunque competenza cognitiva, etica e spirituale, lo ha reso impotente nel giudizio e nella critica del contesto di azione e dei suoi stessi ruoli assunti. Ciò che doveva essere uno strumento dell’uomo si è trasformato in dominatore dello stesso, determinando un vero e proprio cambiamento del paesaggio esistenziale: “Poiché la tecnica è diventata l’ambiente dell’uomo moderno, è quest’ultimo che deve adattarsi a lei (e non lei a lui); essa costituisce il suo quadro di vita” ------------ J. ELLUL, La tecnica rischio del secolo, Giuffré, Milano, 1969 in S. LATOUCHE, La megamacchina, Bollati Boringhieri, Torino, 2000, p. 62. ------. Un sovvertimento di valori, perciò, che ha travalicato l’ambito lavorativo per metastatizzare l’intero campo relazionale della modernità - famiglia, amicizie, sport, arte, tempo libero.
“Base delle Repubblica sociale e suo oggetto primario è il lavoro, manuale, tecnico, intellettuale in ogni sua manifestazione” (Articolo 9 della “Carta di Verona”)
Quando il fascismo parla di lavoro non intende farlo con la demagogia implicita nella definizione capitalista. Lo fa esattamente per fare una precisa distinzione fra la ricchezza prodotta (per la quale è necessario appunto il lavoro) e quella rubata, includendo in quest’ultima, e distinguendosi proprio in questo dalla visione demagogica del capitalismo, quella originata dall’“usura”, intesa non meramente come prestito a interesse, ma come qualunque “guadagno” derivato dall’improduttiva attività finanziaria che esuli dal semplice e necessario “deposito-prestito”. accezione di Pound di usura non in senso letterale, ma come ogni attività parassitaria, non necessariamente improduttiva in senso letterale (anche chi crea ----yacht???--- produce, ma produce una cosa socialmente inutile): lavoro vendita porta a porta, suonerie, volantinaggio, non solo inutili, ma deleteri! Chi più parassita tra loro e uno spacciatore di droga o una puttana? Consumano risorse per dare in cambio il nulla, anzi peggio che il nulla! ---anche su programmazione economica--- Di conseguenza l’appropriazione indebita del termine “lavoro” da una Costituzione di un paese come l’Italia nel quale non è il merito nel lavoro a determinare la ripartizione dei beni ma è, diciamolo chiaro e tondo, la truffa, agli occhi dei fascisti appare oltremodo demagogica.
“Il triste fenomeno del pescecanismo non si verificherà più in Italia!” (Benito Mussolini, 1934[315])
Lo scopo della socializzazione non è andare contro i primi (padroni? Shareholders?), ma contro i secondi (sindacati?). Paradossalmente con il modo per andare indirettamente contro i secondi a rimetterci direttamente sono i primi. Per eliminare l’inefficienza indotta dai sindacati esosi la sola soluzione è eliminare il lavoro salariato e quindi il concetto di padrone. Senza più dipendenti a chi si appiglieranno i professionisti del sindacalismo per ottenere i loro scopi? I primi, come persone, soci e amministratori delle stesse aziende, rimarranno comunque “liberi di creare e inventare il lavoro”, guadagnando milioni “dando pane e sicurezza a tutti”. In modo anche più efficiente -------.
“I Donegani, i Pirelli, gli Scalera, gli Agnelli, i Valletta, debbono essere lasciati liberi di creare e inventare il lavoro, perché soltanto essi sanno crearlo e inventarlo. Che importa che guadagneranno milioni se, guadagnandoli, e perché vogliono guadagnarli, essi creeranno e inventeranno il lavoro che darà pane e sicurezza a tutti! I soli pagati nella questione sociale sono i professionisti del sindacalismo, sottospecie di professionisti politici, che vivono creando scioperi, agitazioni” (Guglielmo Giannini) --- il vento del nord pag. 208----
Il problema del latifondo non è quindi un problema di equità in sé, ma di inefficienza quando il proprietario se ne disinteressi (il che era quasi la regola). ----su socializzazione non equità ma efficienza – e unire con discorso su distribuzione ricchezza-----
“Per un liberale come me Cavallo è soprattutto una vittima della amoralità comunista tanto in quello che subisce quanto in quello che fa. E’ essenzialmente un uomo in rivolta contro l’egoismo e il cinismo dei grandi capitalisti e finanzieri” (Edgardo Sogno) --- dove sono le pretese sindacali a spingere i padroni ecc------o su freda ecc?----- Luciano Garibaldi, “L’altro italiano”, ed. Ares, pag. 192.
Spiegare meglio cos’è una SpA ed altri tipi di società - azionisti, amministratori, CdA, sindacato, ecc.
I manager non dovrebbero essere fedeli a un padrone tra i molti che l’impresa potrebbe avere. Dovrebbero essere fedeli all’impresa. ------più bilanci-----
mancanza di identità tra azionariato e persona (spa, borsa)
Valore azione per quantità cedole esistenti (valore totale della spa): capitalizzazione.
Rating – valore spa a discrezione di agenzie di rating
Chi “gioca” in borsa alla ricerca del capital gain – contrario (investitore): cassettista.
Corso di un titolo: il suo prezzo. Aumento di corso: aumento di prezzo. Fuori corso, corso forzoso, ecc.
Spread: differenza tra il prezzo d’acquisto e quello di vendita.
Dividendi = rendimento.
Flottazione: compravendita continua di azioni (capitale flottante: parte di quote di una spa soggette a flottazione)
Opa: quando qualcuno fissa un prezzo al quale intende comprare azioni.
Opv: quando qualcuno fissa un prezzo al quale intende vendere azioni.
Vendita quota come liquidazione --- T.F.R.
Volatilità: oscillazione della parte effimera del valore di un bene mobiliare. Eccessive valutazioni (spa) impedite oggi solo dall’azione degli speculatori. ----- messo su crisi 29 -----mettere anche dove valore aziende superiore----
Questo disegno [socializzazione] può risultare ancora più chiaro leggendo uno stralcio della relazione che accompagnò il “Decreto Tarchi”, (Tarchi fu Ministro dell’Economia): “la civiltà tende ad un nuovo ciclo nel quale l’uomo riassumerà il ruolo di protagonista della propria storia e del proprio destino in funzione della sua personalità estricantesi in attività concrete sociali, cioè nel lavoro. Sotto tale profilo l’affermazione programmatica che riconosce il lavoro come soggetto dell’economia”. o su Socializzazione incipiente (Tremonti, Sacconi): preconizzata già da Joseph Schumpeter.????
Prevedendo che con la socializzazione rispetto al sistema produttivo odierno in sé (e quindi il benessere generale) non ci si discosterebbe poi di molto, lo scopo si conferma essere non tanto la giustizia sociale, quanto la razionalizzazione del lavoro e dell’economia, che eliminerebbe quei difetti derivati dalla pianificazione a cui è stato ed è sottoposto il progresso naturale ed originati dal lavoro condizionato. Perciò il distributismo con la sua socializzazione non si prefigge di rivoluzionare il mondo rispetto ad oggi, alla vana ricerca del “sistema perfetto”, ma vuole essere una mera base grazie alla quale si possa pragmaticamente porre un rimedio proprio a questi evidenti guasti per i quali la soluzione di partenza sarebbe semplice: lavoro come espressione di attività umana finalizzata alla produzione per la soddisfazione delle necessità, e non più “braccia” come merce prezzata, venduta ad altre persone, e sul cui mercato si possa speculare.
« Noi abbiamo respinto la teoria dell’uomo economico, la teoria liberale, e ci siamo inalberati tutte le volte che abbiamo sentito dire che il lavoro è una merce. L’uomo economico non esiste, esiste l’uomo integrale che è politico, che è economico, che è religioso, che è santo, che è guerriero » (Benito Mussolini[316])
In sostanza, la filosofia base del distributismo (social-capitalismo) è
la produzione come elemento fondamentale dell’economia; mentre la rendita
speculativa è la base fondamentale del liberal-capitalismo, e la
coercizione è quella del comunismo (statal-capitalismo). Quindi se
l’estrema sinistra è antiliberista, e l’estrema destra è ultraliberista, a rigor
di logica il distributismo non potrebbe stare altro che al centro, teoricamente
assieme alla socialdemocrazia. Seymour Martin Lipset difatti descrive il
fascismo proprio come “estremismo di centro”. Anche da questo paradigma è nato
l’equivoco un tempo abbastanza diffuso che il PSDI fosse composto da “camerati eretici”, e l’ammirazione per
personaggi antitetici, come Olof Palme o Uhro Kekkonen.
“La scomparsa del senso critico costituisce una seria
minaccia per la preservazione della nostra società. Rende facile ai ciarlatani
imbrogliare la gente” (Ludwig von
Mises)
Anche se, considerando la linea politica ufficiale dell’MSI, una
qualifica in comune MSI e PSDI l’avevano: erano i due partiti più “americani”
d’Italia. Oggi la destra è di fatto un contenitore, o se
preferite un’etichetta, per esclusione, che ben si adatta a tutto ciò che non è
riconducibile alla sinistra, basta aggiungervi un opportuno aggettivo e il
gioco è fatto. Solo da questo punto di vista si può accomunare il distributismo
alla destra. Scrive Gianfredo Ruggiero: “Abbiamo infatti una Destra
reazionaria, tradizionalista, cattolica e antimoderna, quella di De Maistre e
di René Guénon, una Destra paganeggiante, quella di Evola, una nuova Destra di
Alain De Benoist, una Destra cristiana conservatrice, quella compassionevole
dei teocon americani patrocinata e sostenuta da Bush, un Destra monarchica e
una destra repubblicana, la Destra storica di Cavour e la destra rautiana,
abbiamo una Destra razzista, quella del National Party Sud Africano di De Klerk
e del Ku Klux Klan americano e una Destra golpista, quella dei colonnelli
greci, di Pinochet e di Videla e, per finire, la contraddittoria Destra Sociale
di Nicola Bizzi”. Insomma c’è una
destra per tutti, per tutti i gusti e per ogni convenienza, e l’unica cosa che
l’accomuna è il non essere sinistra. Queste destre, tra loro
distanti e spesso in conflitto, hanno però qualcosa in comune. Hanno in comune,
in antitesi alla sinistra, un certo patriottismo identitario e, soprattutto,
l’accettazione del principio del libero mercato. Tuttavia, capovolgendo il
discorso, si potrebbe anche dire che “sinistra è tutto ciò che non è destra”.
Il distributismo, rifiutando entrambe le opzioni, dove potrebbe stare?
« Gianfranco Fini a Fiuggi non ha deviato di una virgola dalle sue idee di sempre. Fini ha semplicemente ammesso pubblicamente quello che noi abbiamo sempre sostenuto, e cioè che il “fascismo di destra” non è fascismo, e non lo è mai stato » (Pino Rauti)
Con questo non si vuole assolutamente dire che il distributismo debba autocollocarsi al centro, ma rendere l’idea di quanto anacronisticamente fuori dalla realtà sia la classificazione ad arco della politica. Difatti, sempre a rigor di logica, l’anarchia dovrebbe essere l’estremità “non plus ultra” del liberismo ovvero della destra.
“Capitalismo è la piena
espressione di anarchismo e anarchismo è la piena espressione di capitalismo”
(Murray N. Rothbard)
Esiste una certa affinità profonda tra quella che si chiama estrema destra e l’estrema sinistra, perché per quanto possa sembrare strano, questi sono i due partiti dello scacchiere sociale coevo fra i quali, se non ci si ferma alla superficie, non esiste reale irriducibilità di interessi né antitesi d’obiettivi. Invece tali condotte esistono alla stessa stregua della necessità assoluta da parte di entrambi nei confronti di questo borghese...colui che è capitalista e democratico e relativamente “moderato” allo scopo di esserlo nell’interesse capitalista.
Perciò è più realistica una classificazione ottenuta utilizzando un cerchio, nel quale ai diametri opposti stanno comunismo e liberismo, e a metà da una parte socialdemocrazia e dall’altra distributismo. Questo schema conseguentemente smentisce l’assurda concezione politologica degli “opposti estremismi”, in quanto il fanatismo può stare da qualunque parte. Ne abbiamo un chiaro esempio nel gruppo terroristico estremista “di centro” “Movimento di Azione Rivoluzionaria” del partigiano bianco Carlo Fumagalli. Quel partito che nel 2009 usava lo slogan “estremisti di centro” quasi volendo presentare ciò come fosse un ossimoro, dovrebbe fare ammenda per essersi involontariamente autodefinito fanatico.
“Il bello dei politologi è che, quando rispondono, uno non capisce più cosa gli aveva domandato” (Indro Montanelli)
Ciò stride comunque con il distributismo, che non è un compromesso, una via di mezzo tra destra e sinistra come lo è la socialdemocrazia, ma è qualcosa di completamente alternativo: una terza via.
Per fare un generico paragone esatto useremo un riferimento esatto (doppio e metà): la sinistra aspira a raddoppiare i salari, la destra a dimezzare i prezzi. In sostanza che differenza passa tra le due cose? Proprio nessuna! Il distributismo esula completamente da questi due propositi equivalenti o da “vie di mezzo”. Come la scienza economica dice con il concetto di “neutralità della moneta”[317], li lascia affidati alla “mano invisibile”.
“La libertà non sta nello scegliere tra bianco e nero, ma nel sottrarsi
a questa scelta prescritta”
(Theodor Adorno)
L’espansione della spesa pubblica grava sulle economie con il dissesto dei conti pubblici e il peso degli interessi. I conti dello Stato oscillano fortemente in cicli economici a seconda della direzione presa dalla politica, a destra o a sinistra.
Spesso è anche la congiuntura
internazionale a premere in un senso o nell’altro.
ogni sistema ---sceglie la propria direzione a seconda -----------.
Un primo tipo di welfare regime è quello definito come residuale, o liberale. Nel modo in cui si presentano attualmente, i modelli di welfare residuale-liberale si caratterizzano per “l’impegno a ridurre al minimo i compiti dello Stato, a individualizzare i rischi e a promuovere le soluzioni di mercato”, tendendo quindi “a riconoscere ai cittadini diritti minimi”. ---mercato e società pag. 144.
Residuale-liberale tipico di Usa, Gb, Nz, Australia, Canada, Irlanda.
Modello opposto: istituzionale-redistributivo (socialdemocratico) --- Danimarca, Norvegia, Svezia, Finlandia.
Un terzo modello: meritocratico-corporativo (o remunerativo, o conservatore-corporativo). La copertura del rischio, in questo modello, è differenziata a seconda del gruppo o della condizione occupazionale d’appartenenza ed è fortemente segnata dallo statalismo. ---- Germania, Austria, Francia, Belgio, Italia, Spagna, ecc.
Tutti studiati da R. Titmuss
Familismo: derivato da terzo modello - welfare state che fonda la protezione sociale sul maschio principale percettore di reddito, e attribuisce alla famiglia la responsabilità ultima del benessere dei suoi membri e i principali compiti di cura (principio di sussidiarietà). Europa centrale e meridionale e Giappone. ---mercato e società pag. 145-6.
Differenza tra terzo modello e familismo: nel primo la limitazione dell’intervento dello Stato è dovuta all’enfatizzazione del ruolo del mercato; nel secondo si rimanda all’attribuzione delle funzioni di cura e assistenza primariamente alla famiglia, nonché alla centralità della protezione dell’impiego del breadwinner (portatore di pane). ---mercato e società pag. 146.
Il ciclo della reciprocità (terzo modello) “si oppone allo scambio di mercato, perché è indissociabile dai rapporti umani che mettono in gioco desideri di riconoscenza e di potere e si distinguono dallo scambio redistributivo perché non è imposto da un potere centrale” (J. L. Laville, B. Levesque) ---“La rinascita della sociologia economica francofona”, pag. 79.---- ---mercato e società pag. 152.
cooperazione: carattere dualistico di impresa e movimento sociale: il fatto che non può e non deve essere considerata settore marginale. Anzi essa può essere rimedio per alcuni fallimenti sia dello Stato (e della politica), sia del mercato. Da qui una qualche polemica con chi pensa che sia necessario superare alcune delle caratteristiche fondamentali della cooperazione. ----- Lodovico Festa, Giulio Sapelli, “Capitalismi”, Boroli ed, pag. 8. ----
Non confondere “terza via” con il concetto attuale di “terzo settore” ovvero l’economia no-profit. La terza via non è e non vuole essere un’alternativa tra Stato e mercato, ma un sistema totale che prenda il posto sia del primo, del secondo, e del terzo settore. Non in convivenza (“welfare mix”), e che assorba coniugando sia le spinte al profitto che quelle sociali.
Aziende statali e cooperative improntate sull’autosufficienza economica ovvero né utili né perdite, ma solo salari ai dipendenti. ----essendo prive di proprietario privato ------
Su coop: F. Girotti? “sostiene che gli individui possono uscire da una condizione di insicurezza e dipendenza solo se lasciati liberi di perseguire egoisticamente il proprio utile” ---mercato e società pag. 141. -----qui??-----
Differenza socializzazione con cooperative attuali: cooperative possono avere una massa di soci illimitata anche estranei alla vita della cooperativa. Ognuno di essi può essere socio di un numero illimitato di cooperative. Le cooperative possono avere un numero illimitato di dipendenti. Nelle coop insomma la partecipazione è insomma slegata dalla produzione, dalla vita sociale, dallo scopo dell’impresa. Le coop come personalità giuridica in alcuni casi possono possedere quote di altre società.
Non è difficile notare la perversione insita in questo, che oscura ogni più nobile proposito sociale di una tal fatta di “cooperazione”: l’istituzione cooperativa sfrutta i dipendenti tal quale una qualunque altra azienda. Ne consegue addirittura il venir meno di uno dei motivi che potrebbe essere ---menar vanto--- per la cooperazione, quale il venir meno dello scontro sociale. Invece nelle cooperative lo scontro sindacale raramente si differenzia da tutti gli altri ambiti lavorativi. In esse non mancano gli scontri tra lavoratori sindacalizzati e soci. E questo anche allorquando si introduce nelle legislazioni (quando prima proibita) la figura del socio-lavoratore, definito da ----- Lodovico Festa, Giulio Sapelli, “Capitalismi”, Boroli ed, pag. 140. ---- “sorta di Giano bifronte che, da un lato, detiene la proprietà collettiva con le sue quote azionarie e, dall’altro, è sottoposto allo sfruttamento da parte dell’oligarchia che dirige la cooperativa e che egli stesso ha contribuito ad eleggere”.
Su differenza cooperative – socializzazione: nelle cooperative di produzione e lavoro – su cui, in definitiva, l’analisi teorica si è accentrata – i soci eleggono una tecnostruttura formata da manager che via via hanno assunto anche la configurazione di soci – mentre per lungo tempo addirittura agli impiegati era vietato divenirlo in difesa della purezza operaia o contadina o piccolo borghese originaria. Ma tali manager di fatto acquistano il controllo completo della cooperativa. Essa diviene un’impresa di persone gestita nel tempo da un’oligarchia – intesa qui in senso aristotelico e quindi non valoriale – non proprietaria, ma tecnocratica, che si assicura il dominio attraverso il raggiungimento degli obiettivi economici e l’espletamento delle attività sociali che sono proprie della cultura cooperativa. ----- Lodovico Festa, Giulio Sapelli, “Capitalismi”, Boroli ed, pag. 139. ----
Solitamente in molti paesi esse sono sottoposte ad una legislazione di sostegno, con --- fiscale favorevole, senza la quale non riuscirebbero a reggere la concorrenza privata.
Coop: profitto non sempre distribuito tra i soci (o con molta cautela) in quanto l’assenza di responsabilità personale (che az. socializzata ha) impone l’accumulo di quanto più capitale possibile. Inoltre in molte lo statuto stesso ------
La base delle coop attuali è quindi fallata dal rifiuto preconcetto dell’utilitarismo. E’ un esempio applicato che può essere paragonato con la differenza filosofica tra il concetto di onestà e quello di empatia. L’organicismo non ha bisogno di solidarietà come elemento di stimolo sociale.
Cooperative = peste riformista (Lenin) – capitalismo pag. 133.
analizzare cooperative di consumo: distribuzione da libera iniziativa a lavoro salariato: bell’esempio di solidarietà sociale!
Anni 70 grande sviluppo coop sostenuto dal pci, il quale da un lato getta peste e corna sul fascismo, dall’altro non si tira indietro dall’usare il sistema economico squisitamente simile a quello scelto dal fascismo --- sindacati conflitto interessi ----
Dopotutto non sono rari gli autori che sottraggono indebitamente al fascismo, al socialismo, e al cattolicesimo francescano la cooperazione e la appiccicano proprio al settore della società più ferocemente avverso, la borghesia liberale!
Legge Basevi 1947 regolamenta cooperative
Legge Vietti 2004 idem (e legge Mirone?)
L’antiteticità tra distributismo e socialdemocrazia è confermata dal fatto che il partito più avverso al sistema economico distributista che sia mai esistito, l’economicista e “torinese” Partito d’Azione, fosse indulgente verso la socialdemocrazia, chiaramente non per altri motivi se non per contrastare il distributismo favorendo quello che ne era identificato come il compromesso liberista. Esemplare è che il noto “piano di rinascita democratica” (1975-76) del massone Licio Gelli avesse una impostazione chiaramente sincretica socialdemocratico-azionista. Oltretutto in forme talmente puerili da sembrare quasi pretestuoso… perlomeno le parti politiche, vergate da Gelli e derivate dal precedente “schema R”, dato che i progetti organizzativi non possono essere obiettivamente attribuiti al Gelli, il quale notoriamente non aveva un intelligenza politica tale da idearli. Questo ci porta a credere che Gelli fosse tutt’altro che un burattinaio come si suol credere (e come lui stesso amava vantarsi), ma bensì egli stesso un burattino; le sue capacità, delle quali i burattinai si servivano, stavano prettamente nell’abilità nell’intrattenere rapporti sociali. In un occasione si vantò che per contare le sue amicizie “ci sarebbero voluti gli elenchi telefonici di almeno tre nazioni[318]”. -----qui o su?-----
“Uno dei rimedi più efficaci perché le cose non cambino mai all’interno è rinnovarle costantemente all’esterno” (Antonio Machado)
Per non incorrere in equivoci si tenga presente che il sistema socialdemocratico è diverso dal socialismo riformista: il primo è prettamente liberista e sostiene unicamente la redistribuzione tramite imposte; il secondo propugna la statalizzazione in coesistenza con un certo margine di settore privato. In ogni caso nessuno dei due riesce a cogliere il fulcro del problema a cui vorrebbero porre soluzione. Cosa che li distingue entrambi anche dal socialismo craxiano, il quale essendo fondamentalmente improntato sul proudhonismo, ha invece notevole assonanza con il distributismo nell’identificare il lavoro salariato tout court come guasto originale.
“Il socialismo di mercato ideato da Proudhon è strettamente legato alle idee di democrazia industriale ed autogestione dei lavoratori” (Robert Graham)
La scomparsa del concetto di “salario” non significherebbe certo il venir meno dei rapporti di collaborazione umana, ma di impostarli appunto sul concetto letterale di collaborazione, anziché di asservimento come è inteso oggi il rapporto lavorativo. La socializzazione non solo rispetta il “diritto di proprietà”, ma quasi impone un “dovere di proprietà”! In tal caso il concetto stesso di proprietà nel senso di possesso esclusivo perderebbe senso: se nessuno è escluso, non c’è nessun non-proprietario.
“La servitù, in molti casi, non è una violenza dei padroni, ma una tentazione dei servi” (Indro Montanelli)
Difatti un potenziale ostacolo nell’applicazione della socializzazione è che sono i dipendenti per primi a voler rifuggire da ogni responsabilità diretta ed a puntare soprattutto sull’assistenzialismo del “posto fisso”. Un risultato effettivo di questa incomprensibile repulsione per la propria autonomia si evidenzia nel rifiuto verso il lavoro a cottimo, dai sindacati additato come sfruttamento, quando la logica dice invece l’opposto essendo esso ovviamente la forma di lavoro salariato più equa possibile. Stessa cosa per il lavoro interinale e “part time”, vera soluzione per tamponare i guasti liberisti del sistema occupazionale, verso la cui incomprensibile opposizione proletaria, tesa a mantenere i privilegi di pochi fortunati, ha fatto le spese dirette l’economista di sinistra Marco Biagi. Poi questi hanno pure il coraggio di stupirsi se nella Cgil sono rimasti solo i pensionati… Essi non sono molto diversi da quei negri che parteggiavano per gli schiavisti.
“Nessuno è più schiavo di chi si ritiene libero senza esserlo” (Johann Wolfgang von Goethe)
----Profit sharing: ripartizione dei profitti ma anche dei rischi---- qui?----
Oggi la partecipazione unicamente agli utili (da parte di chi??) ed il lavoro subordinato salariato tipica della proprietà accentrata può essere intesa come il rischio da correre perché non vengano messe in discussione proprietà, potere decisionale e margini di profitto potenzialmente superiori a quelli destinati ai dipendenti (altrimenti nessuno farebbe l’imprenditore), ma dai lavoratori viene interpretata come furto nonostante siano essi per primi a rifiutarla per sé stessi, e quindi a cederla ai “padroni”. L’apoteosi dell’incoerenza! L’incomprensibile paradosso è che i più estremi in questo diniego corrispondono ai più queruli sindacalisti marxisti! Accertato che essi rifiutino in tal modo l’acquisizione della proprietà, c’è da chiedersi cosa allora chiedano e vogliano ottenere con le loro proteste e scioperi... la risposta ci viene parzialmente dalle “stock option”: solitamente esse prevedono il divieto di vendere le azioni per un certo periodo di tempo dall’acquisizione, perché altrimenti molti beneficiari venderebbero subito le azioni vanificando così ogni significato di questa “regalia”. Ecco cosa vogliono i lavoratori istigati dai sindacati: tutto e subito, gli onori ma non gli oneri. In questo si esplica oggi il ruolo dei sindacati. Tutti sappiamo quali sono stati i risultati ottenuti dall’affidare a questo tipo di persone le redini di una nazione.
“I tentativi operati in tema di salari non sono meno rilevanti di quelli operati nella concezione della proprietà che ha subito un ribaltamento. Il risultato dei tentativi che si sono operati in tema di salario sono i privilegi ottenuti dai lavoratori: una organica legislazione del lavoro, le difese dei sindacati. Questo come ha cambiato la situazione precaria in cui versavano i lavoratori all’inizio della rivoluzione industriale. Gli operai, i tecnici e il personale amministrativo col passare del tempo hanno ottenuto diritti ritenuti da sempre irraggiungibili, anche se in realtà il problema persiste ancora. Gli sforzi effettuati allo scopo di migliorare il trattamento salariale non sono stati risolutivi bensì sono stati tentativi artificiosi di riforma, più vicini alla beneficenza che al riconoscimento dei diritti dei lavoratori. Perché si da un salario ai lavoratori? Perché svolgono una attività produttiva a favore dei terzi, e cioè per conto di chi li assume al fine di realizzare una produzione. Pertanto i lavoratori non consumano il proprio prodotto, ma sono costretti a cederlo in cambio di un compenso, mentre una sua norma è che chi produce deve consumare. I lavoratori anche se il loro trattamento salariale è migliorato, permangono degli asserviti, indipendentemente dall’entità della retribuzione. Il salariato è come uno schiavo del padrone alle cui dipendenze permane temporaneamente e la cui schiavitù si manifesta fino a quando egli lavorerà alle sue dipendenze ed in cambio di un compenso. Ciò indipendentemente dal fatto che il datore di lavoro sia un individuo o lo Stato. I lavoratori, nei loro rapporti individuali sia col singolo datore di lavoro sia con l’azienda produttrice, non sono altro che dei salariati, prescindendo dalla evoluzione che ha subito il concetto della proprietà. Infatti anche gli entri economici pubblici non offrono ai loro lavoratori dipendenti altro che paghe e altri servizi sociali assai simili alla carità che i ricchi titolari di un’azienda privata assegnano ai propri lavoratori” (Dal “Libro verde” di Muhammar Gheddafi)
« I principali membri attivi della professione di economista, la generazione che ha attualmente 40-50 anni, si sono uniti in una specie di politburo del pensiero economico corretto. In generale, come ci si deve aspettare da qualsiasi club di gentiluomini, si sono messi dalla parte sbagliata in tutte le questioni politiche importanti, e non solo di recente ma da decenni. Predicono disastri quando non succedono. Negano la possibilità di eventi che invece accadono. Si esibiscono in una sorta di fatalismo sulla “inevitabilità” di un problema (la disuguaglianza salariale) che subito dopo inizia a diminuire. Si oppongono alle riforme più fondamentali, più decenti e importanti, offrendo al loro posto dei placebo. Sono sempre sorpresi quando qualcosa di negativo (come una recessione) accade veramente. E quando finalmente si accorgono che certe posizioni sono divenute insostenibili, non rimettono in discussione le loro idee. Semplicemente, cambiano discorso » (James Kenneth Galbraith)
------inserire più già da qualche parte: come abbiamo visto nel preambolo, le cooperative trovano in una concorrenza liberista un ostacolo dovuto a ----------
Una sedicente falla su cui alcuni presunti autoelettisi economisti si ostinano nel criticare le teorie distributiste è espunta dal presupposto che minore è il divario del dividendo reddituale tra entità proprietaria e dipendenti - minore è complessivamente il valore aggiunto prodotto, perché in rapporto il costo totale del lavoro aumenta (“vantaggio competitivo” del modello neoclassico della crescita economica basato sull’accumulazione del capitale) a scapito di parte del risparmio indotto dai costi di scala decrescenti (e quindi viene paventata una ricaduta sui prezzi). Semplicisticamente questo sarebbe vero, perché equivarrebbe in pratica a distribuire il “plusvalore”, ma questi “pseudo-economisti” non tengono conto che il maggior isocosto paventato sussiste solo A CONFRONTO con le aziende in monoproprietà. Se il plusvalore prodotto è maggiore è proprio perché per esse il lavoro è considerato alla pari di una merce come risorsa indifferenziata il cui costo, come per qualunque altro fattore di produzione intermedio, è da ridurre il più possibile per poter risultare concorrenziali; da cui derivano i rendimenti di scala crescenti comparati, e per questo sono favorite rispetto ad un azienda dove non esiste lavoro come costo ma solo dividendi tra lavoratori-soci. Dato che tutte le imprese di un’industria perfettamente concorrenziale devono avere le stesse curve dei costi (e quindi vengono a pareggiare), quando qualcuna ha costi inferiori a quelli di altre, è la risorsa superiore ad assorbire questa eccedenza, ovvero nel caso di una normale azienda monoproprietaria è il proprietario ad assorbire il plusvalore o a stabilirne la destinazione. Quindi anche nel caso di aziende socializzate sarebbe la risorsa superiore ad assorbire l’eccedenza a seconda del costo di opportunità valutato, e non l’impresa che l’impiega; ne più ne meno che in qualunque altro tipo di azienda.
su scala: La prima contraddizione [nella realtà della piccola e media impresa italiana] è che più diminuisce la dimensione delle imprese più il proprietario possiede alte quote delle medesime, con un abbassamento drastico dei gradi di contendibilità generali del sistema. Per cui la crescita avviene solo come fenomeno interno, senza la possibilità di mobilitare ampie risorse dall’esterno come avviene in sistemi dove i diritti di proprietà sono diffusi. Da qui la dissociazione, che io vedo sempre più rilevante, tra l’alto tasso di profitto (che non è – come è noto – il grado di capitalizzazione) e il basso tasso di crescita, come l’ultimo decennio ha evidenziato. Troppe imprese piccole e medie guadagnano molto ma crescono poco. ----- Lodovico Festa, Giulio Sapelli, “Capitalismi”, Boroli ed, pag. 68. ----
------- raggiungimento limiti di scala? -------
Paragonare le aziende socializzate in un paese liberista ad aziende socializzate in un paese socializzato è assurdo tanto quanto paragonare entrambe ai kolchoz sovietici, oppure agli ateliers nationaux o alla filosofia no-global del “commercio equo e solidale”. Il “modello di Walras” sostiene che l’imprenditore è un mero coordinatore, acquisisce risorse e vende beni. Dato che il prezzo di vendita dei beni è fissato dal mercato, ne consegue che il guadagno dell’imprenditore sarà dovuto unicamente alla differenza tra “input” ed “output”, ovvero su quanto riuscirà a risparmiare sul costo nell’acquisto delle risorse (manodopera compresa). Quindi in tale regime non è possibile caricare sui prezzi il minor plusvalore della rendita. Nella socializzazione la voce “manodopera” viene ad essere cancellata dalla lista dei costi per le risorse e a diventare essa stessa coordinatore, ovvero imprenditore, e quindi destinatario unicamente di quell’avanzo tra input ed output accennato. E’ stereotipato che i liberi professionisti richiedano solitamente parcelle superiori al prezzo d’equilibrio, data la concorrenza imperfetta nella quale inevitabilmente operano; ma in una società dove sono tutti “liberi professionisti”, essi non potrebbero far altro che “fregarsi” a vicenda, facendo così spontaneamente tornare i conti generali.
“Se uno scambio fra due parti è consensuale, non avrà luogo a meno che entrambi credano di trarne beneficio. La maggior parte delle falsità dell’economia derivano dal dimenticarsi di questo semplice presupposto, dalla tendenza di assumere che ci sia una fregatura costante, cioè che una delle parti ci guadagni a spese dell’altra e basta” (Milton Friedman)
Per spiegare la differenza paventata dai critici, onde poterla smentire, si può considerare un esempio basato sulla teoria economica dell’orientamento all’offerta, portando come esempio un paragone: i supermercati hanno oggettivamente prezzi più convenienti rispetto ai negozi; limitando invece il raffronto in una media tra supermercati/supermercati, o negozi/negozi è prevedibile che la convenienza dei prezzi al consumatore si equivalga. Conseguentemente quando esistevano soltanto i negozi questa convenienza era tutta implicitamente sullo stesso piano, e quindi essi erano più convenienti rispetto ad oggi che operano in coesistenza con i supermercati. Ma concretamente non sono i supermercati ad essere divenuti più convenienti, bensì i negozi ad esserlo meno, in quanto secondo il modello di domanda/offerta “disponibilità a pagare”[319] e prezzi sono sempre mediamente proporzionali tra loro sul prezzo di equilibrio derivato dall’intersezione delle curve di domanda ed offerta, e i prezzi inferiori dei supermercati portano nel lungo periodo alla riduzione macroeconomica del costo del lavoro (e quindi dei salari reali) come conseguenza dell’automatismo derivato dall’“effetto reddito”[320]. Le conseguenze dell’“effetto reddito” possono essere riassunte così: ai tempi in cui le mogli non lavoravano, il salario dei mariti bastava a mantenere tutta la famiglia; quando hanno iniziato a lavorare anche le mogli, la famiglia si trovava con un reddito raddoppiato; però man mano che sempre più mogli iniziavano a lavorare, il potere d’acquisto di ciascuno dei due diminuiva (ovvero i prezzi aumentavano più velocemente rispetto ai salari); oggi che tutte le mogli lavorano, il totale dei due salari corrisponde in potere d’acquisto al salario del solo marito al tempo in cui le mogli non lavoravano. Di conseguenza oggi è la famiglia in cui la moglie non lavora che si trova con un potere d’acquisto dimezzato (non in termini nominali assoluti ma in termini reali decrescenti rispetto all’aumento del PIL pro capite), e non la famiglia con entrambi lavoratori un reddito reale doppio. Quindi ogni variazione dei prezzi tra i due sistemi si equilibrerebbe da sé. Pertanto, ricollegando questo risultato al paragone supermercati/negozi, escludendo le variazioni del PIL, il reale potere d’acquisto generale rispetto a quando i supermercati non esistevano è il medesimo, dato che, come le leggi che analizzano i costi di produzione confermano, il quoziente di produttività del capitale e la produttività marginale del lavoro rimangono i medesimi, “ceteris paribus” (a parità di condizioni, ovvero nel caso di questo esempio senza tener conto di tutti gli altri parametri che determinano l’“economia di scala”, che nel raffronto liberismo/distributismo rimangono anch’essi immutati). Il potere d’acquisto in questi casi aumenta solo all’aumentare della produzione (PIL); se oggi si concepisce un potere d’acquisto maggiore rispetto a 40 anni fa è dovuto solo all’aumento del PIL, determinato comunque certamente anche dall’aumento di produttività[321] del sistema logistico dei supermercati (“economia di scala a rendimento crescente” ovvero a “costi decrescenti”), ma questo esula dal nostro discorso in quanto basato sulla teorica “parità di condizioni”, e da questo punto di vista a nessuno è mai saltato in mente di predire una ipotetica diminuzione della produttività in aziende socializzate; per questo motivo gli altri parametri “ceteris paribus” dell’enunciato precedente vengono definiti “immutati”. A tale specificazione si è ritenuto usare il termine “convenienza” riferito solo ai prezzi al consumatore, e non “efficienza” che sarebbe stato convenzionale ma equivocabile con “produttività”. In particolare il raffronto negozi/supermercati non è stato portato con l’intenzione di vituperare i supermercati, ma solo come simbolico esempio per facilitare la comprensione di come le rendite di un azienda monogestita sono maggiori in confronto a quelle di una multigestita, ma se esistessero solo aziende multigestite esse sostituirebbero perfettamente in convenienza quelle monogestite, senza variare di una virgola il potere d’acquisto di ciascun consumatore, in quanto l’equilibrio tra domanda ed offerta aggregate (“modello AD-AS”) rimarrebbe il medesimo.
O Su luddismo?: “Tecnici di buon senso e uomini saggi ci assicurano che la questione della produzione è risolta. L’apparato produttivo mondiale può produrre tutto ciò di cui l’uomo ha bisogno. Non c’è la minima ragione di dubitarne. Con l’aumento dell’efficienza meccanica, la produzione di cui si è ora parlato richiederà sempre meno tempo e fatica umana. In una sana economia questa fatica, per varie ragioni, dovrebbe essere distribuita fra una quantità molto considerevole di persone” (Ezra Pound) –in “Abc dell’economia” ---- da destra sociale pag. 31.
La differenza socio-economica sta
nel fatto che il lavoro umano non sarebbe più visto come il costo di una merce;
così come il plusvalore una concussione che il proprietario estorce al
lavoratore dipendente in cambio dell’assunzione “concessa”. Se ne ricava che il
plusvalore precedentemente incamerato dal proprietario non può considerarsi
“distribuito” nel senso di “perso”, “eliminato”, ma verosimilmente accumulato
collettivamente (magari in un conto comune aziendale) come “utili non
distribuiti” finalizzato alla spesa per investimento, conseguentemente evitando
di provocare i nefasti effetti dell’eliminazione del plusvalore che possono
venire ingenuamente imputati alle aziende multigestite inserite in un sistema
economico liberista da alcuni pseudo-economisti confusi o in malafede. Questo
equivoco trova terreno fertile solo perché un sistema interamente socializzato
non è mai stato applicato. Lo stesso Israele a cui abbiamo già accennato ha un
sistema misto (il quale è in parte all’origine dell’equivoco assieme
all’esperienza ottocentesca degli “ateliers nationaux” di Louis Blanc, che si
era rivelata una goccia nel mare, schiacciata dalla reazione della concorrenza
liberalcapitalista, come quella odierna delle Fa.Sin.Pat. argentine). Inoltre, è superficiale la teoria che sia la
concorrenza ad abbassare la rendita. Come già aveva osservato Ricardo
criticando Adam Smith: la concorrenza può livellare il saggio, ma non eliminare
rendite, la concorrenza esegue le leggi di movimento del capitalismo, non è
queste leggi. Il break even (punto di pareggio uscite-entrate) sempre
quello rimane.
“Il cattivo
economista vede soltanto ciò che colpisce l’occhio immediatamente; il buon
economista guarda anche oltre. Il cattivo economista vede soltanto le
conseguenze dirette di un percorso proposto; il buon economista scruta anche le
conseguenze più lontane ed indirette” (Henry Hazlitt)
Riassumendo, se odiernamente i prodotti di aziende in multigestione potrebbero ipoteticamente produrre un plusvalore minore (così come le merci del “commercio equo e solidale”) è perché esse sono in competizione (non sul prezzo in sé dei beni, ma sui costi di produzione) con quelle che si avvalgono di manodopera salariata, ed i paragoni dei critici sono fatti sullo stato attuale, non sulla possibilità che le socializzate siano le uniche esistenti. Impresa (pubblica o privata che sia), quando abbassa prezzi obbliga tutte le altre a seguirla --- dumping? -----anche su critiche a socializzazione ------ e su palla al piede ---- Se tutte le aziende si trovassero sullo stesso piano la concorrenza si equilibrerebbe tra esse ed il livello dei prezzi così come i costi di produzione si adeguerebbero da sé sui redditi generali determinati proprio dalla nuova distribuzione della proprietà, assestandosi sullo stesso rapporto odierno, come nell’esempio illustrato mediante agenti riscontrabili in quanto basati su situazioni verificatesi realmente. Ne ricaviamo e ribadiamo che i paragoni teorici con altri sistemi sono del tutto impropri e confutabili quantomeno dalla logica anche senza scomodare l’“effetto Pigoù”.
Il paragone proposto ha come fine solo l’analisi dell’ambito economico nazionale, mentre estendendo i concetti all’economia internazionale si annota come vi funga già il tasso variabile di cambio tra le monete dei diversi paesi a riequilibrare automaticamente l’eventuale disparità di valore delle merci (“potere di acquisto internazionale”) tra un paese liberalcapitalista ed uno socializzato (“teoria della parità dei poteri di acquisto”[322]). Difficile ipotizzare che i lavoratori-soci rinuncino al lavoro a causa di ricavi sotto il livello di rendimento del capitale, in mancanza di alternative. E se le alternative ci sono, ben venga la riconversione ad attività più remunerative (e quindi più utili collettivamente, profitto simbolo di tale utilità ---–profitto=produzione---) .
A differenza del sistema liberista costellato dalle diatribe tra gli attori sul miglior impiego del capitale che portano alle aberrazioni di produzioni utili che chiudono per motivi economici quasi sempre inesistenti o sorvolabili (vedi Olivetti e la quasi persistente cronica incertezza Fiat).
Come già detto, il break even (punto di pareggio uscite-entrate) sempre quello rimane. -----già messo, mettere anche altrove?---- La moneta della nazione socializzata compenserebbe automaticamente ogni ipotetica variazione artificiale (dovuta ad esempio ad una differenza di prelievo fiscale) grazie alla fiscalità monetaria, portando alla riequilibratura dei bilanci sui livelli precedenti. Ne consegue anche in questo caso che ogni possibile critica è smentita preventivamente.
Tra parentesi un’altro errore del mito del “grande è meglio”, si ha nell’agricoltura, ove è noto che la produzione agricola per unità di lavoro è minore nelle grandi fattorie, a coltivazione estensiva, che hanno i mezzi finanziari per accedere a costose macchine e la possibilità di sfruttarle a pieno su ampie distese. Però, ... la produzione totale per unità di superficie agricola è di molto superiore nelle piccole fattorie (da 2 a 10 volte). La grossa agricoltura pianificata sovietica è anche fallita per questo semplice dato di fatto: il piccolo produce molto di più per unità di terra. Insomma, occorre sempre tenere presente che cosa si “misura”. ----principio dei costi crescenti-----
L’altra ipotetica falla incomprensibilmente addebitata alla socializzazione è la presunta scomparsa dell’iniziativa imprenditoriale. Basandosi sul “modello di Walras” si può dedurre come l’interesse della figura dell’imprenditore nel miglior funzionamento dell’azienda sarebbe invece ampliata a tutti i lavoratori e rimarrebbe complessivamente perlomeno tale e quale, se non anche maggiore a causa dell’approvazione che l’amministratore dell’azienda deve ricevere dagli altri lavoratori su votazione. Se si considera che pur sussistendo l’organigramma in parità di proprietà i dividendi non sarebbero uguali per tutti ma legati proporzionalmente alla responsabilità che l’assemblea aziendale delegherà ad ognuno dei lavoratori, se ne ricava che i guadagni netti dell’amministratore aziendale rimarrebbero (in proporzione agli altri lavoratori) grossomodo gli stessi di un azienda liberista. Cambierebbe soltanto il metodo di attribuzione di tali responsabilità/dividendi (sempre basato sul “costo di opportunità”, ma non più determinato dalla proprietà, ma dal merito riconosciutogli da tutti gli altri lavoratori), venendo a separare il lordo ovvero i costi di produzione e il plusvalore da accantonamento per reinvestimenti (“accumulazione estensiva del capitale”), che verrebbe già gestito e contabilizzato nel bilancio aziendale. L’unica rilevante differenza dovuta ad intervento statale sarebbe l’obbligatorietà della polizza assicurativa sulle responsabilità penali per gli amministratori di aziende, che sarebbe per essi una valvola di sicurezza ed una compensazione del maggior dividendo ricevuto (in negativo, ma limitando per essi la necessità di accumulazione di capitali di sicurezza per spese impreviste). Oltre a questo, visto che l’ex-amministratore di una società fallita avrebbe difficilmente possibilità di ottenere la medesima fiducia in un’altra, egli sarebbe più che incentivato al miglior funzionamento dell’azienda gestita, tanto quanto (se non maggiormente) di un odierno proprietario. Anche per quanto riguarda il concetto letterale di “imprenditore”, in riferimento alla fondazione di nuove aziende anche in nuovi settori produttivi non si evidenzia quale impedimento potrebbe sorgere. Anzi l’imprenditoria sarà favorita sia dalla defiscalizzazione preventiva (vedi capitolo “programmazione economica” a pagina ---) che dalla sparizione delle barriere fondative burocratiche resa possibile dalla maggior liberalizzazione dei sistemi aziendali.
amministratori eletti da assemblea aziendale in azienda socializzata: possibilità di corruzione (come gli amministratori comunisti) pari (ne più ne meno) a quella degli attuali manager delle spa. Ma limitata dal fatto che tanto più efficiente azienda = + possibilità di mantenere il ruolo, in una competitività e controllo di molto superiori ad un azienda liberista.
Con la socializzazione viene meno la necessità di rigidi controlli sull’operato degli impiegati.
Si calcola che il 30-50 % dei fallimenti: per furto.
mancanza di identità tra azionariato e persona (spa, borsa)
A scomparire sarebbe invece la figura del “manager”, sostituita proprio dalla diffusione di quella dell’imprenditore. O meglio, i manager diventerebbero imprenditori. Lo stesso principale fautore della socializzazione, Angelo Tarchi, era di provenienza culturale manageriale. Non è quindi stupefacente che nel 1943-45, se da un lato i proprietari vedevano come il fumo degli occhi la socializzazione, dall’altro veniva un consenso che all’apparenza potrebbe sembrare inaspettato, da parte delle istituzioni manageriali. Questo dualismo di opinioni ci dà un ulteriore conferma della nostra interpretazione della socializzazione, difatti se da un lato i proprietari vengono parzialmente esautorati, dall’altro i manager vedono aprirsi ulteriori possibilità come conduttori effettivi delle aziende non più castrati e frenati come si sussiste da sottoposti ad un proprietario, ma solamente all’assemblea aziendale. Non stupisce quindi la dichiarazione del manager della Fiat Vittorio Valletta “la legge del Duce sulla socializzazione incontrerà l’approvazione di tutti coloro che, al di sopra degli interessi privatistici, vedono nel programma sociale del fascismo non solo la salvaguardia per una ordinata convivenza fra capitale e lavoro, ma anche la possibilità di affermare la personalità e l’iniziativa dell’individuo”, parole quanto mai indicative, che male saranno andate giù a Gianni Agnelli. Difatti Valletta nel 1945 solo per un pelo si salvò dalla fucilazione. Se poi fu reintegrato in Fiat, il 6 febbraio 1946. ------ per ricatto?
Va ricordato che mentre Agnelli finanziava il movimento partigiano, il suo braccio destro Valletta intratteneva rapporti di grande cordialità e collaborazione proprio con il “manager” Angelo Tarchi, ministro dell’economia corporativa fino al febbraio 1945 e poi ministro dell’industria e commercio. Entusiasta iscritto al Pfr e convinto assertore delle teorie corporativistiche, Valletta aveva avuto un ruolo decisivo nell’imprimere la Fiat verso la socializzazione. Ciò che non torna, è perché Agnelli lo rimise al suo posto dopo la guerra… ricatto? ----Valletta: p azione per l’epurazione--- ---qui?-----
«In materia sociale è chiaro che il socialismo fascista non può essere il socialismo marxista, cioè quel socialismo che non vede se non il lavoro manuale e trascura demagogicamente il lavoro tecnico e intellettuale che è, da un punto di vista puramente umano, un valore necessario e indispensabile come l’altro, da un punto di vista di gerarchia nell’azienda, qualche cosa di superiore all’altro, non come origine sociale, ma come estrinsecazione e come apporto individuale al lavoro collettivo. Non potrà esser, il socialismo nostro, un socialismo comunistico, tipo russo, nel senso che è contrario al nostro spirito, il pensiero di un’assurda totale statizzazione di tutte le attività economiche fino alle attività artigianali, fino a tutte le attività rurali, fino a tutte le attività professionali così come in Russia si pratica. Il nostro deve essere un socialismo sindacale il quale realizzi però un deciso passo innanzi sulla via della giustizia sociale, senza nulla rinnegare di quanto, sulla via del progresso sociale, era gia stato compiuto nel ventennio del Regime Fascista. Per ciò che concerne quella proprietà privata che è, dicevo, dianzi, una proiezione della personalità umana e che noi vogliamo garantire e proteggere, la proprietà che sorge dal lavoro individuale, dall’individuale risparmio.» (Alessandro Pavolini al congresso di Verona, 1943)
I comunisti non si propongono di realizzare una
distribuzione più ripartita della proprietà privata, poiché, secondo loro, così
facendo si resterebbe sempre nell’alveo della tradizione borghese e della sua
convinzione della sacralità della proprietà privata. Per essi si tratta, non di
redistribuire, bensì di eliminare la proprietà privata, anche perché,
limitandosi a redistribuirla, essa continuerebbe ad esistere nella sua forma di
furto, come loro la intendono. Tuttavia a fronte di queste critiche negative
hanno saputo contrapporre ben poco di costruttivo.
“Il socialismo è la filosofia della colpa altrui” (Nicolàs Gòmez Dàvila)
La proprietà privata, la libera concorrenza, la legge della domanda ed offerta, la libertà d’iniziativa, sono fondamentali per il funzionamento tout court del libero mercato e rappresentano imprescindibilmente la base anche della socializzazione, come del liberismo. Ma fondamentale NON E’ l’accentramento della proprietà in un unica persona (o in un gruppo di persone) di un azienda che abbia bisogno anche di ulteriori persone (oggi dipendenti) per funzionare. Nessuna legge economica menziona una necessità di questo tipo. La critica sul vantaggio competitivo applicata fantasiosamente alla socializzazione è già stata ampiamente smentita nelle pagine precedenti mediante il modello logico espostovi, ricavato dall’“effetto Pigoù”. Assodato definitivamente ciò, diviene implicito che perfino gli scopi della socializzazione sono diversi (se non addirittura opposti) a quelli del marxismo. La differenza principale fra le due finalità è rappresentata dal fatto che il marxismo basa la sua filosofia nell’acredine verso i ricchi proprietari e la scarica ossessivamente nel rifiuto del concetto di “plusvalore”.
“Le teorie storiche precedenti si sono occupate del problema economico solo dal punto di vista dell’appartenenza dei fattori produttivi e dei salari rispetto alla produzione, senza riuscire a chiarire l’essenza della produzione stessa. Gli elementi caratterizzanti dei sistemi economici esistenti ancora oggi nel mondo si fondano sul salario. Tali sistemi escludono il lavoratore da qualsiasi diritto sulla produzione realizzata con il suo diretto intervento. Sia essa realizzata per conto della collettività oppure per conto di una azienda privata. (…) Malgrado tutto la remunerazione che va direttamente a tutti i lavoratori, sia essa sotto forma di salario, sia sotto forma di percentuale sugli utili, sia sotto forma di servizi sociali, è indicata a quella percepita dai lavoratori in un’azienda privata; pertanto sia i lavoratori che operano in un ente pubblico sia coloro che lavorano in una società privata, sono tutti dei salariati indipendentemente dal tipo di datore di lavoro” (Dal “Libro verde” di Muhammar Gheddafi)
Anche non considerando le somme esatte con le imposte, la differenza tra salari totali di un azienda e introiti netti è il plusvalore, che secondo Marx è un aberrante concetto da abolire; ma le teorie di Marx sul paragone salari/prezzi risultano errate, perché nella realtà sono piuttosto i prezzi delle merci che vengono spontaneamente ad adattarsi sui redditi generali (come confermano i princìpi della scuola economica “marginalista” e le conseguenze della legge economica nota proprio come “effetto reddito”), e non viceversa. O meglio, il prezzo di mercato di un bene capitale è dato dall’attualizzazione dei flussi futuri di reddito che è in grado di generare. Il suo costo non ha niente a che vedere con il suo prezzo. Ciò avviene secondo le semplici leggi domanda/offerta che determinano i prezzi (compreso quello del lavoro). Il salario è un costo come quello di una merce, ed in quanto tale ha un suo valore perfetto rispetto a quello di tutte le altre merci (“le merci si pagano con merci”, legge di Say). Eliminando il plusvalore ovvero distribuendolo e quindi aumentando ceteris paribus i salari, avremmo automaticamente un aumento della propensione all’acquisto e conseguentemente della “domanda”, e quindi di pari misura (nel lungo periodo) dei prezzi, annullando di fatto ogni ipotetico aumento fittizio di potere d’acquisto, avviando una spirale inflazionistica. Questo perché le somme superiori al salario normale non rappresentano beni di consumo autonomo esistenti.
“Che cosa ne è del buco una volta finito il formaggio?” (Bertolt Brecht)
Con l’eliminazione della rendita del proprietario i valori si adeguerebbero portando i poteri d’acquisto su livelli sfalsati che causerebbero l’aumento di domanda a fronte di produzione invariata (e quindi ad inflazione) ed il blocco degli investimenti per perdita secca con “forzatura del risparmio” tanto quanto una tassa appostavi. Si veda anche il discorso sul prezzo dei carburanti a pagina ----------. E’ proprio qua che interviene l’imprenditore, per produrre beni che hanno un costo inferiore al suo prezzo di mercato utilizzando il risparmio del sistema. Se tutti i proprietari rinunciassero ceteris paribus a trattenere parte di plusvalore mensile per cedere 10 euro in più ad ogni salariato, il risultato non sarebbe altro che l’aumento di 10 euro dei costi per i medesimi acquisti mensili del salariato!
In definitiva il plusvalore è un adattamento spontaneo ed inevitabile del mercato, non un “aberrazione disonesta” creata dal padrone. Il plusvalore viene in modo automatico suddiviso da una “mano invisibile” a formare complessivamente una piramide perfetta, determinandola congiuntamente ai diversi livelli di salario suscettibili dei costi di opportunità. Se questa piramide venisse spuntata l’unico risultato sarebbe una diminuzione della spesa per investimenti e per l’acquisto indotto di beni elastici superiori. Non dovrebbe essere difficile immaginare le conseguenze generali di ciò. Ripetiamo che il potere d’acquisto aumenta se si investe, non se si consuma, perché l’investimento è influenzato da quanto si risparmia, in rapporto al consumo. Ciò che finanzia ciò che acquistiamo è ciò che produciamo, conferma De Soto.
Come già spiegato col “modello di
Walras”, il plusvalore altro non è se non quanto l’unità produttiva riesca a risparmiare
nel processo di produzione. Non è qualcosa di “sottratto”, ma qualcosa di
“creato”. Gli imprenditori raffrontano di continuo le opzioni di investimento
per capire quale sia il più conveniente da intraprendere, a confronto con il
tasso di interesse lordo. Quando il tasso di interesse è alto, significa che
c’è poco risparmio, e questo è in grado di finanziare solo quei progetti molto
redditizi che offrono un rendimento maggiore del tasso stesso. Solo i progetti
per i quali si prospetta un tasso di rendimento maggiore del tasso di interesse
lordo appaiono convenienti e possono essere avviati con la ragionevole aspettativa
che al termine si rivelino redditizi come stimato inizialmente. Questo riprova
che il plusvalore è definito unicamente dalla “mano invisibile”. In seguito se ne resero conto anche i
marxisti: nella risoluzione dell’Internazionale Comunista stilata per il suo
primo congresso del 1919 si legge: “le lotte degli operai per l’aumento dei
salari non comportano - anche in caso di successo - lo sperato miglioramento
delle condizioni di vita, giacché l’immediato aumento del costo dei beni di
consumo rende illusorio ogni successo”.
Dato che i valori sono convenzionali (stabiliti dal mercato), non esiste la possibilità di quantificare matematicamente l’intero frutto di un lavoro in modo da poterlo cedere all’operatore che l’ha realizzato. Ma anche fosse possibile farlo, in tal caso quale opportunità vedrebbe l’imprenditore nell’imprendere? Ovvero nell’impiegare produttivamente i fondi a lui disponibili? La necessità del plusvalore per l’imprenditore diviene un rischio da correre perché non vengano messe in discussione proprietà, potere decisionale e margini di profitto potenzialmente superiori a quelli destinati ai dipendenti, e quindi incentivo all’impresa. Per Keynes l’efficienza marginale del capitale è il tasso di sconto che rende uguali il costo attuale del capitale reale ed il valore attuale del flusso monetario generato dall’investimento reale. Anche Keynes, come Marx, commette l’errore di pensare che siano i costi a determinare i prezzi.
Vi è sempre una potenziale differenza nella creazione di plusvalore a seconda dell’efficienza della produzione, sfociante nei livelli di profitto. Partendo dal presupposto che a parità di capacità professionale (“capitale umano”), di responsabilità assegnata, e di appetibilità del ruolo, non si vede motivo per cui il tempo di un individuo dovrebbe valere di più di quello di un altro, si terrà conto che un addetto a macchine robotizzate in un azienda ad alto coefficiente tecnologico produrrà più plusvalore rispetto ad un manovale in un azienda artigianale, per una migliore “funzione di produzione aggregata”[323]; i costi di scala decrescenti sono solo una conseguenza di ciò. Se un azienda possiede un alto coefficiente tecnologico è grazie all’impiego dei capitali accumulati precedentemente, dal proprietario, tramite l’“appropriazione” del plusvalore. Quindi il plusvalore prodotto dall’addetto ad un robot non è dovuto completamente al lavoro che egli vi svolge. Di conseguenza come sarebbe possibile poter calcolare quale sia la percentuale di tale plusvalore da assegnare al dipendente a seconda della percentuale di sua compartecipazione alla produzione? Secondo Marx, la sostituzione della manodopera umana con quella tecnologica avrebbe portato come risultato tendenziale del processo produttivo un profitto sempre minore (“caduta tendenziale del saggio di profitto”), ------ Saggio di profitto: rapporto profitto/capitale------- immaginando che il padrone avrebbe potuto “sottrarre” sempre meno plusvalore agli operai a fronte di un incremento di spesa per l’acquisto dei macchinari; sulla base di ciò Marx ne dedusse che per non soccombere alla concorrenza, il capitalista avrebbe dovuto investire in misura crescente il profitto ricavato in macchinari, cioè in capitale costante, ovvero creare/sottrarre più plusvalore possibile proprio allo scopo di investire, e per non diminuire i propri profitti avrebbe dovuto recuperare queste spese (“ammortamento”) a discapito del capitale variabile (gli stipendi). Però come abbiamo visto gli stipendi sono indipendenti dalla volontà del singolo proprietario capitalista. Secondo Marx, ogni nuova macchina, che richiede investimenti maggiori e dunque rovina i piccoli produttori, appena messa in funzione porterà certamente a un aumento della merce prodotta per unità di tempo e dunque si mostrerà più conveniente, ma la variazione del saggio del plusvalore non sarà uguale a quella della produttività. Se le merci/salario si producono in meno tempo, il capitalista incamera la differenza, e quindi la riduzione del prezzo del prodotto non corrisponde necessariamente alla crescita della produttività a meno che tutto l’incremento non si riversi nella svalorizzazione del capitale costante. Egli ne ricava che la crescita del saggio del plusvalore trova dei limiti nell’ipotesi che più il lavoro umano viene sostituito dal lavoro meccanico, meno ulteriori guadagni si possono fare, se non aumentando enormemente il capitale costante (macchinari). Questi costi sono spesati nel bilancio delle aziende, ovviamente (ammortamento). Ignorando la teoria del valore, tenne conto solo dell’ovvietà che per quanto più o meno velocemente possa svalutarsi il macchinario, è un fatto che ogni singolo operaio muova rispetto ad esso nel tempo un valore crescente di capitale. E da questo ne ricavò che la svalorizzazione dei beni capitali non riuscirebbe a compensare la caduta del saggio di profitto, ----- Saggio di profitto: rapporto profitto/capitale------ divenendo il capitale costante una parte crescente del capitale complessivo. Inoltrandosi ulteriormente aggiunse che sia che si sia investito troppo e che dunque vi sia del capitale fisso immobilizzato (che pesa sul saggio di profitto), sia che un nuovo macchinario abbia eliminato parte del valore del capitale costante stesso, l’unico modo per uscire dall’inpasse sarebbe stato svalutarlo, ma dato che questo capitale fisso è stato pagato, svalutarlo comporterà un peso notevole per il futuro. Per questo sostenne che l’aggiustamento non può essere immediato, chiedendosi con quale denaro potrà il capitalista sostituire il vecchio macchinario, quando gli attuali prezzi già non consentono di ricostituire il costo di produzione iniziale. Ovviamente se i profitti, qualunque ne sia la causa, scendono, vi sono minori risorse per investire, concludendo quindi con il paradosso che il progresso porterebbe al regresso. La determinazione algebrica del livello di equilibrio del reddito ci dice invece l’opposto, ovvero che è la quantità di plusvalore disponibile a determinare gli investimenti, non viceversa. La quantità di fondi disponibili all’investimento è determinata dalla disponibilità di risparmio in rapporto alla produzione, come ci conferma il concetto di “forzatura del risparmio”. La “teoria dell’equilibrio economico generale” sulla concorrenza lo conferma implicitamente, verificando che il costo maggiore per risorse superiori (un macchinario più produttivo in questo caso) comporta comunque il livellamento dei profitti sulle curve dei costi di tutto un determinato settore produttivo: in ogni caso l’impresa dovrebbe applicare un prezzo ad ogni risorsa posseduta e le forze della concorrenza costringerebbero l’impresa a pagare tutte le risorse che essa non possiede un prezzo che copra i loro costi di opportunità; sono i possessori delle risorse superiori (che siano un lavoratore meglio qualificato od il fornitore di un macchinario più produttivo) che ricevono i benefici (in forma di salario maggiore per il lavoratore, di valore aggiunto per il macchinario acquistato) della loro maggiore produttività, ed in ogni caso non (come costi minori) le imprese che li impiegano. Schumpeter: vera concorrenza nell’innovazione – diminuzione costi – mercato e società pag. 65. Di fronte alla smentita empirica del suo ragionamento Marx cercò di opporre che il processo di distruzione della sovra-accumulazione non avviene armonicamente e in un istante ma attraverso una guerra aperta tra capitalisti e tra le classi, e che i critici abbiano astratto dal processo di diffusione dell’innovazione e dal capitale fisso, togliendo all’analisi del capitalismo l’aspetto del processo contraddittorio del rapporto tra il singolo capitale e i molti capitali. Dipinge la progressiva caduta del saggio di profitto ------- Saggio di profitto: rapporto profitto/capitale------- come un’espressione peculiare al modo di produzione borghese dello sviluppo della produttività del lavoro, nel quale il modo con cui si presenta questa caduta può dipendere da ogni tipo di circostanza singola ma il lavoro morto, accumulato per generazioni, cresce sempre di più. Questo denota come Marx mancasse totalmente di “orientamento alla produzione” e considerasse il denaro come “entità assoluta” dell’economia: caratteristica tipica della filosofia ebraica delle merci come numeri fini a se stessi anziché come beni fisici (ma i numeri sono infiniti, le risorse no); ironico è che fosse egli stesso un imprenditore capitalista. Anche la persona più sprovveduta intuirebbe che sostituendo un operaio con un macchinario, il proprietario potrebbe trattenere non solo il plusvalore, ma addirittura tutto lo stipendio che prima andava all’operaio! A fronte di una spesa certo notevole per l’acquisto, ma minima per la gestione e la manutenzione. In totale grazie all’aumento di produttività ed alla diminuzione dei costi variabili l’imprenditore potrebbe accumulare ancora più plusvalore da utilizzare per acquistare ulteriori nuovi macchinari o sostituire quelli vecchi una volta svalutati. Per questo motivo un analisi superficiale quale quella di Marx induce a pensare che l’aumento di tecnologia porti ad un ribasso dei salari, sulla base del paragone tra spesa per salari e spesa per tecnologia, ed i marxisti odierni identificano la conferma di ciò nel fatto che il divario tra salari e guadagni dei proprietari si è allargato sempre più a partire da quando Marx espresse le sue teorie. Impoverimento: assoluto = diminuzione potere d’acquisto. Relativo = solo in confronto ai più ricchi. Ma come abbiamo già detto il maggior divario non è dovuto ad una maggior sottrazione, ma ad una maggior produzione! I salari reali stessi ne guadagnano da questo aumento di ricchezza, e puramente demagogico è definirli minori paragonandoli a quelli di cento anni fa nel rapporto utile/salari! Davanti alla diminuzione dei costi e simultaneamente all’aumento della possibilità di investimento, concorrenzialmente si ridurrebbero i prezzi, a vantaggio del potere d’acquisto di tutti i consumatori, salariati compresi. Quindi le unità monetarie dedicate ai beni di consumo saranno in grado di acquistare un numero di beni di gran lunga superiore, prodotti dalla nuova struttura produttiva (effetto “trickle down”). ------le teorie marxiste hanno raggiunto il paradossale punto che una minor fatica richiesta all’uomo viene considerata negativamente anziché positivamente!!! C’è da chiedersi come lo possano conciliare con l’uso della lavatrice a casa loro… anziché assumere una domestica che lavi a mano i loro abiti.. ------------ In un azienda socializzata la robotizzazione non potrebbe essere vista come ladra di lavoro, ma come in realtà è, sgravio dalle fatiche umane. ----- qui frase Pound da capitolo sopra?----
Tuttavia sembra che nel secondo libro del “Capitale” Marx capovolga questa sue precedente erronea credenza sulla promozione della sfera finanziaria al rango di forza autonoma (carattere feticistico della finanza) --- “Il libro nero del capitalismo”, Tropea ed., pag. 496-7------
Anche la prospettiva che l’automazione avrebbe aumentato i livelli di disoccupazione ed avrebbe accentuato la monopolizzazione è presto smentita: nella realtà in ogni caso l’equilibrio macroeconomico permane stabile dato che allorquando i livelli di profitto di un settore superino di un certo margine il livello di rendita tali valori vengono spontaneamente ripianati dall’imprenditoria che essi stessi attraggono per la loro appetibilità (“teoria dell’equilibrio economico generale”), secondariamente assorbendo essi la manodopera disusata causa automazione. Ma non serve inoltrarsi in inutili ulteriori analisi, dato che l’interpretazione offertaci da Marx è già stata ampiamente confutata da Nobuo Okishio nel suo semplice teorema[324]. Si veda piuttosto lo schema sulla progressiva riduzione spontanea dei prezzi reali a pagina --------, e si considerino quali altri esempi la “teoria della crescita endogena[325]” sul problema della determinazione della crescita nel tempo del reddito e delle sue fluttuazioni, e, più banalmente, l’introduzione delle navi e dei treni frigoriferi, che hanno reso possibile il trasporto da grandi distanze di cereali e carne in scatola, contribuendo enormemente a ribassarne i prezzi per tutti. Un ribasso irrilevante per i ricchi, fondamentale per i poveri.
“Dovunque, in ogni tempo, il progresso economico è valso molto di più per il povero che per il ricco” (Milton Friedman)
Il plusvalore accumulabile dal capitalista è intrinsecamente finalizzato non solo nel caso di prevedibili investimenti, ma anche ad essere impiegato nel caso di necessità impreviste, quali eventuali danni o risarcimenti. Solo nel caso tali necessità non si verifichino (e quindi il proprietario in questione si dimostri un buon amministratore) allora potrà ponderatamente permettersi di attingere per sé al plusvalore capitalizzato. Dopotutto non potrebbe obbiettivamente cederlo ai dipendenti confidando in una improbabile restituzione in caso di necessità aziendale. Il suo accumulo è in ogni caso un fattore indispensabile per il proprietario capitalista (sia esso singolo o società), il quale proprio in quanto tale non ha alcuna giurisdizione sui patrimoni privati dei suoi dipendenti (mentre in un azienda socializzata ogni socio si sentirebbe egli stesso responsabilizzato in tal senso) ed è di conseguenza forzato a mantenere il salario dei dipendenti il più basso possibile in quanto costo di produzione. Ma anche qui la critica marxista è fuorviata. Karl Marx ha basato le sue teorie analizzando in particolare il concetto di plusvalore, valutandolo nel lavoro dipendente trasformato in mercificazione. Quest’ultimo risultato è, secondo Marx, possibile perché il lavoro necessario alla reintegrazione del valore della forza-lavoro assorbe solo una frazione dell’intera giornata lavorativa. Così, ad esempio, mentre la giornata lavorativa è di otto ore, nell’equivalente pagato per l’uso giornaliero della forza lavoro, nel salario, sono oggettivate solo cinque ore. Il lavoro svolto nelle rimanenti tre ore (“pluslavoro”) determina il “plusvalore” di cui si appropria il capitale e rappresenta l’entità della sua valorizzazione. In conseguenza di ciò, Marx, rifacendosi alle teorie di Adam Smith e David Ricardo, assegna un valore al tempo (“teoria del valore-lavoro”[326]), cosa che oggettivamente non corrisponde alla logica, per questi semplici motivi: è scontato che una persona possa rimanere attiva (e quindi essere impiegata) ogni giorno per un preciso tempo massimo, corrispondente alle ore di veglia; un dipendente non potrebbe permettersi di prestare opera al di sotto di una certa retribuzione giornaliera, corrispondente alla cifra minima per sopravvivere (pena la morte per denutrizione), che quindi esigerà, a prescindere dal compito da svolgere e dal tempo impiegato; indipendentemente dal salario minimo giornaliero il padrone cercherà ovviamente di usufruire dell’opera prestata per più tempo possibile; ma il dipendente, potendo, opterà per il padrone che tra tutti offra la retribuzione maggiore; il padrone opterà invece per il lavoratore meno esigente: ecco solo così stabilita un’equivalenza. Quindi ogni rapporto salario/orario è scollegato e fittizio, è stabilito solo per convenzione bilaterale in considerazione dei rispettivi “costi di opportunità”, non cristallizzato temporalmente. Anche qui ci vengono in aiuto i calcoli di Nobuo Okishio e la “teoria della crescita endogena” nell’analizzare il plusvalore “relativo”, che Marx ignora: ponendo costante la durata della giornata lavorativa, all’affermarsi di metodi che consentono di ridurre le ore di lavoro necessario (o, che è lo stesso, del capitale variabile), il pluslavoro aumenta. Poiché il salario non può scendere al di sotto del livello di sussistenza, il modo tipico di ridurre il tempo di lavoro necessario è l’aumento della produttività del lavoro: se occorrono meno ore di lavoro per produrre i beni di consumo dei lavoratori, si riduce il lavoro necessario anche senza diminuire i consumi dei lavoratori, cioè i salari reali. La teoria di Marx e Smith implicherebbe anche che i prezzi siano oggettivi, ovvero ancorati al prodotto, e non che potrebbero essere basati sul valore attribuito dal mercato all’oggetto; nella realtà il prezzo viene determinato dal rapporto tra domanda e offerta, e non è collegato direttamente ai costi di produzione tra i quali la quantità di lavoro umano che deve essere impiegata per produrre l’oggetto; un pezzo d’oro proveniente da un meteorite è di grande valore, pur non avendo alcun lavoro incorporato in esso. La terra ha un prezzo che, nella sua forma pura, è soltanto la capitalizzazione della sua rendita. La terra non ha costi dal momento che non è il prodotto del lavoro umano. Una casa costruita 400 anni fa ha grossomodo lo stesso valore di una costruita oggi. Il fattore essenziale nel determinare il valore è la scarsità. Una teoria del valore è solo una teoria sulla scarsità. Questa è la prima cosa che viene insegnata nei corsi di economia. Esempio pratico: un identica bottiglia di acqua, prodotta con il medesimo lavoro ha potenzialmente un valore molto più alto nel deserto che di fianco ad una sorgente di montagna; e questo valore gli viene assegnato anche a seconda di quanta sete si ha (“teoria dell’utilità marginale”). Questo vale per qualsiasi bene o servizio, dai notai, alle fragole, e nonostante possa essere interpretato come un libero arbitrio umano, è pur sempre dettato da calcoli ben precisi che possono essere tradotti in matematica. Inoltre il lavoro è solo uno dei fattori di produzione, esempio semplice: il cofano di una Fiat richiede all’incirca la stessa quantità di lavoro che richiede il cofano di una Ferrari. ma il cofano della Ferrari vale molto di più. Quindi anche l’oro meteorico non “ha” un grande valore, ma “gli viene assegnato” un grande valore. Altrimenti non si potrebbe dare un senso alla differenza di prezzo tra un oggetto “firmato” e la sua identica copia falsificata. La base delle teorie del valore è rappresentata dal valore assegnato, ma secondo la “legge dell’utilità marginale” all’ultima unità di un bene ritenuta utile: ho sete, bevo un bicchiere d’acqua, soddisfatto, ne bevo un secondo, che mi soddisfa ma meno del primo, poi un terzo bicchiere, un quarto, quinto, sempre meno utile, fino a quando non se ne può più ed il prezzo si ferma, anche per non incorrere nei costi aggiuntivi dovuti alla necessità di accumulo... questo mostra come si abbassa l’utilità e se ne ricava un grafico a curva decrescente. La legge dell’utilità marginale non è una legge della sazietà, non è una legge psicologica o sperimentale. E’ una legge prasseologica, apodittica, fa parte della logica dell’azione umana. L’ultima unità rilevante per il soggetto nel contesto di una sua azione, sempre che sia perfettamente intercambiabile, è quella che dà valore a tutte le altre unità, indipendentemente dalla sazietà o considerazioni di tipo psicologico. Esemplare è l’uso del parametro noto come “indice Mc Donald” per determinare i reali valori differenziali tra paesi diversi e confrontare i vari PIL. Quei ristoranti sono ugualmente distribuiti in ogni angolo del mondo, tuttavia il medesimo panino costa cifre diverse da un paese all’altro. Obiettivamente non si potrebbe far pagare a Bombay lo stesso prezzo di New York! Ma il costo per la produzione del panino è grossomodo uguale sia a Bombay che a New York. E’ inferiore a Bombay nella stessa misura di quanto lo siano le spese di Mc Donald in loco; il che è esso stesso a determinare poi la disponibilità alla spesa dell’indù per l’acquisto del panino. Quest’ultima è visualizzata da un altro indice, l’“indice Coca Cola” che classifica la ricchezza comparata di ogni paese sulla base del consumo pro capite di Coca Cola. Questo dimostra come Mc Donald stabilisca i prezzi non sulla base dei suoi costi, ma sulla base di quanto un americano o un indiano siano disposti a spendere per lo stesso panino. Se questa disposizione è inferiore ai costi, semplicemente Mc Donald non costruisce ristoranti in un luogo simile. Ma finchè sarà superiore, lo farà. Superiore (o meglio, uguale) al tasso di rendimento del capitale, si intende.
Analisi prezzo farmaci – su benzina? E monopolio
Marx: approccio opposto – riguardo cosa???
analizzare economia di software
differenza Pentium – Celeron: stesso costo di produzione, stesso prodotto, ma al Celeron viene disattivato il co-processore matematico.
Puerili
sono quelle battute che sbeffeggiano i pellerossa per aver venduto l’isola di
Manhattan per pochi spiccioli: se la transazione è avvenuta per quella cifra,
significa che in quel momento quell’isola aveva quel valore!
« Nulla è più utile dell’acqua, ma difficilmente con essa si comprerà qualcosa, difficilmente se ne può avere qualcosa in cambio. Un diamante, al contrario, ha difficilmente qualche valore d’uso, ma in cambio di esso si può ottenere una grandissima quantità di altri beni. » (Adam Smith, “La Ricchezza delle Nazioni”)
Marx cercò in seguito di rivedere la sua teoria con il “problema della trasformazione” (dei prodotti in merci), ma senza riuscire a venirne a capo definitivamente, e non c’è da stupirsene con queste premesse... accolse il banale dato di fatto che non è solo la scarsità o abbondanza relativa che rende un semplice prodotto del lavoro una merce avente la duplice caratteristica d’essere valore d’uso e valore di scambio, ma sono determinati rapporti sociali che rendono merci i prodotti del lavoro; ma contrappose ipotizzando che i valori cadranno quando saranno abbattuti quei rapporti di produzione e non quando i prodotti saranno semplicemente prodotti esageratamente (la caratteristica essenziale della produzione di valori secondo lui è proprio il produrne illimitatamente).
Come detto, il plusvalore altro non è se non la differenza tra input ed output, ovvero tra costo e prezzo, i quali non seguono regole pianificabili a tavolino. Tanto più se si considera che nulla impedisce al costo di uguagliare o superare il prezzo, nel cui caso l’imprenditore privo dell’utile non può far altro che cessare di produrre.
Nell’economia liberista i salari seguono le leggi di mercato e come una qualunque merce sono sottoposti alle stesse leggi della domanda/offerta e della libera concorrenza, sia tra i proprietari che tra la forza-lavoro, di conseguenza i salari saranno sempre superiori alla soglia di sopravvivenza, non per filantropica elargizione del padrone, ma per le leggi che spontaneamente regolano il mercato, della “merce” lavoro in questo caso. Più la domanda esuberi dall’offerta, più alto sarà il prezzo (ovvero i salari richiesti), e viceversa, come per qualunque bene. Convenzionalmente si ammette che a parità di condizioni di produttività del lavoro, la cifra totale disponibile per i salari è quella teoricamente perfetta quando il quoziente di rendimento del capitale uguaglia il tasso di interesse generale; a ciò si adatterà il rispettivo “costo di opportunità”; la sua suddivisione globale è determinata solo dalla considerazione della legge dei rendimenti decrescenti del capitale umano, mentre solo quella marginale lo è da decisioni unilaterali dei proprietari (“teoria dei salari di efficienza” basata sul rispettivo “costo di opportunità”). Generalmente si può semplificare con queste parole: la cifra esistente per i salari totali di tutti i lavoratori (“reddito personale aggregato”[327]) corrisponde al valore attribuito al totale delle merci prodotte (“produzione aggregata[328]”, ovvero il “reddito nazionale” di origine interna meno la spesa pubblica), tralasciando le somme definite plusvalore (e qualunque prelievo fiscale), che vengono suddivise piramidalmente ed impiegate secondo parametri fissati spontaneamente dal mercato (ovvero dalla “mano invisibile”). A parità di tali variabili, maggiore sarà il numero di salariati, ed in più parti dovrà essere suddivisa la cifra disponibile, dando come risultato cifre pro capite conseguentemente minori. L’aumento della domanda aggregata aumenta solo il divario inflazionistico (e quindi i prezzi), senza coinvolgere la produzione aggregata, secondo la “macroeconomia neoclassica”, mentre secondo Keynes ciò avviene solo raggiunto il PIL[329] potenziale[330] ovvero eliminato il divario recessivo[331], dato il flusso circolare dell’economia. Quindi la rivendicazione salariale tipica del sindacalismo marxista verso i padroni è fuorviata e controproducente. Così come accade per i prezzi, anche la concorrenza per i salari è interna alle classi. La determinazione perfetta del salario di ognuno deriva dalla cifra per la quale altri si offrono di eseguire quel lavoro, in reciproca concorrenza; non da decisione unilaterale del crudele padrone. Il totale dei salari in tal caso viene a corrispondere automaticamente al totale disponibile. Altrimenti, lo squilibrio derivatone si ripercuote generando inflazione e/o disoccupazione; ed è quel che accade in seguito all’esistenza di regolamenti politici-sindacali fissanti livelli obbligatori di salario minimo, in cui i costi artificialmente elevati impediscono alla domanda di assorbire l’offerta, dando origine a quell’area di “perdita secca” nel modello domanda/offerta della merce-uomo, nota come disoccupazione; e tale meccanismo in un causa-effetto riduce quella stessa produzione che potrebbe essa stessa contribuire a ribassare i costi aumentando il PIL.
“Non posso accettare che con tante cose da fare ci siano tante persone senza lavoro” (Barack Obama)
L’esistenza della disoccupazione, che dai marxisti viene anch’essa imputata al solito perfido capitalista, è colpa in realtà dell’“esosità” dei lavoratori aggregati in sindacati, solitamente maldisposti a diminuzioni di salario, perfino seppur in cambio di simultanea riduzione dell’orario di lavoro. I sindacati e le pressioni politiche per mantenere i salari più alti di quanto possibile fanno il resto contribuendo a tenere alta la disoccupazione. Se lo Stato sotto la pressione dei sindacati fissa un salario minimo troppo alto, c’è molta gente disponibile a lavorare ma che non trova analoga domanda di questa risorsa. L’ostacolo alla libertà di licenziamento non provoca altro che impedire le assunzioni. Il risultato dello statuto dei lavoratori del 1970, che prevede la sua validità solo in aziende con più di 15 dipendenti, è stato il limitare a tale soglia un gran numero di aziende che alternativamente avrebbero potuto espandersi ulteriormente assumendo lavoratori. Questo è il motivo per cui l’Italia è il paese “delle piccole imprese”. Il 1° luglio 1972 vengono abolite le gabbie salariali, ovvero vengono parificati i contratti salariali tra nord e sud (prima al sud i salari erano minori). Risultato: la caduta di ogni precedente incentivo ad investire al sud anziché al nord. Una botta per l’Alfasud da poco impiantata a Pomigliano d’Arco. Nonché per gli aspiranti lavoratori meridionali, di nuovo costretti ad emigrare al nord. Uno dei disastri del 1968 è stato questo: prima si litigava sulla distribuzione della ricchezza, ma l’idea che fosse necessario l’aumento della produttività era comune a tutte le parti politiche e sindacali. Dopo il 1968 ----- iniziano pretese insensate da parte dei sindacati-------. Arrivando così all’accordo sul punto unico (di contingenza?) della scala mobile nel 1975, “un duro colpo all’economia italiana, pari a quello inferto a metà degli anni ottanta con l’abolizione dell’energia nucleare” ----- Lodovico Festa, Giulio Sapelli, “Capitalismi”, Boroli ed, pag. 65. ----. La legislazione del lavoro di fatto impedisce ad alcuni di trovare un occupazione. A rimetterci sono i giovani, le parti più deboli, i più volenterosi, tutti coloro disposti a lavorare a salari inferiori a quelli minimi fissati per decreto. Quindi il marxiano “esercito industriale di riserva” non è creato dai capitalisti, ma dai lavoratori stessi!
«Il problema della disoccupazione è, in sostanza, un fallimento di lavoratori e di imprese (che cercano di fare ognuno i propri interessi) nel coordinare le loro azioni in vista di raggiungere benefici comuni con lo scambio. In questo senso la disoccupazione assume un aspetto “involontario” (non “naturale”) e quindi la sua correzione richiede l’intervento di un agente fuori mercato come può essere il governo» (Robert P. Inman, “Manuale dell’economia pubblica”)
Come appena detto, la politica economica nazionale è spesso costretta a stabilire coi sindacati dei contratti collettivi su salari minimi fissati a cui i padroni devono attenersi, e ciò provoca lo squilibrio del flusso circolare dell’economia, con risoluzione in aumento artificiale (cioè non determinato da fattori endogeni) del costo del lavoro, e conseguentemente disoccupazione e/o inflazione. Si ha un tipico esempio di “fallimento del mercato”, impedendo con ciò il raggiungimento di un “ottimo paretiano[332]” dei redditi e contemporaneamente provocando lo scompenso verificato dalla “legge di Okun”. Se invece si aumenta artificialmente la quantità di lavoratori salariati bisognerà necessariamente diminuire l’orario di lavoro e di conseguenza la cifra del RN (reddito nazionale) disponibile per la distribuzione dei salari dovrà essere suddivisa tra più persone; oppure in caso di diminuzione del PIL una quantità minore dovrebbe essere suddivisa tra lo stesso numero di persone. Lo stratagemma ideato dalla politica in questi casi è la “cassa integrazione guadagni”, un metodo per suddividere ugualmente le medesime cifre disponibili tra più persone (o cifre inferiori tra le stesse persone), ma “senza dirlo in giro”! Ottenendo le somme mancanti tramite un maggior prelievo fiscale su tutti i redditi. Come si può intuire da ciò, la “cassa integrazione” si rivela perlomeno solo un demagogico “placebo”.
Normalmente disoccupazione ed
inflazione[333] sono in
equilibrio inverso (“curva di Phillips”), ragion per cui ogni governo deve
decidere quale privilegiare a discapito dell’altra; ma se si tenta di forzarle
artificialmente (ovvero sotto il livello di PIL potenziale) in contemporanea (bloccando i prezzi e proibendo i
licenziamenti, ad esempio), il solo risultato possibile è
paradossalmente quello di aggravare entrambe (prende il nome di
“stagflazione”); tale congiuntura ha avuto un esempio tangibile in Italia nel
biennio 1979-80 a causa dell’estremizzarsi delle rivendicazioni sindacali, e
che non a caso ha determinato il “canto del cigno” della stagione delle lotte
operaie. La crisi del 1979-80 non fu
quindi determinata solo da motivi economici (aumento del prezzo del petrolio),
ma anche sociologici (consumismo). Per il sopravvenire di un
sovraccarico di domanda causato dall’aumento delle aspettative.
“La
speranza di diventare ricchi è una delle più diffuse cause di povertà” (Tacito)
Non era un problema solo italiano, e lo confermano la nascita contemporanea del tatcherismo e del reaganismo come reazione opposta. L’abbandono della scala mobile nel 1984 ha dimostrato chiaramente l’effetto nefasto che essa aveva causato, portando all’apice le quotazioni della borsa di Milano il 20 maggio 1986 (indice comit[334] 908,02), a cui è però seguita la caduta del 1987 per eccessiva espansione fiduciaria della quale gli speculatori avevano ampiamente approfittato. Per evitare la stagflazione bisogna quindi fermare l’espansione monetaria, e rendere più flessibile il mercato del fattore lavoro per favorire i processi di riaggiustamento. Ciò è spesso reso impossibile solamente dalle assurde e deleterie pretese esose di sindacati e consumatori. E questo perché non arrivano a comprendere il concetto di valore del denaro non come pezzo di carta ma come lavoro umano. Protestano per quello che loro stessi causano, e protestando lo peggiorano ulteriormente; eppure tutti dovrebbero sapere che quando si sta nelle sabbie mobili agitarsi fa affondare più rapidamente. Il minimo storico della borsa di Milano fu toccato il 22 dicembre 1977 (indice comit 54,9), preceduto da una grande manifestazione dei metalmeccanici a Roma (2 dicembre) contro la politica economica del governo “delle astensioni”. La domanda senza risposta è: era la crisi economica a determinare la protesta operaia, o la protesta operaia a determinare la crisi economica?
“Solo gli stupidi sollevano pietre che poi ricadono sulla loro testa”
I sindacati avevano troppo tirato la corda aggravando la crisi avviata dalla scarsità petrolifera, la gente se è accorta in quel momento, e quello sciopero è stato il canto del cigno della stagione delle lotte operaie iniziata nel 1969. Chi troppo vuole nulla stringe.
Un evento positivo di coloro che avevano piene le balle di fancazzisti, comunisti e violenti (che poi son sinonimi...), in quegli anni l’Italia si stava subdolamente sovietizzando, il 18 politico l’abbiamo visto tutti a cos’ha portato. Era un periodo in cui frange del sindacato erano filo-terroriste, in cui a causa dello Statuto dei Lavoratori non si poteva nemmeno verificare l’operato dei lavoratori (per cui ancora oggi è difficilissimo licenziare i dipendenti aeroportuali che rubano i bagagli dei passeggeri...), un’era di fortissimo socialismo e anti-meritocrazia, in cui l’egualitarismo era diventato quasi una religione. Oggi siamo all’estremo opposto, alcuni residuali nuclei di garantiti, specie nel pubblico o nel privato gli ultimi che hanno contratti vecchi e poi una mare di neo-precariato.
Marcia dei 40mila ------ non pensavano che il sindacalismo bianco potesse portare succosi frutti. No, volevano che la si smettesse di calpestare i frutti che c’erano!
--------- Pasinetti nel suo modello multisettoriale a crescita non proporzionale ------------- afferma che il naturale sviluppo della crescita dei livelli di produzione è spontaneamente accompagnato da riduzione del lavoro umano necessario, e quindi l’azione politica dovrebbe essere tesa ad assecondare questo automatismo; nella realtà sappiamo che chi possiede un privilegio tende a volerlo mantenere o aumentare, e ciò determina anche la -------- politica del lavoro.
“La scelta fra una quantità maggiore di merci (o una migliore qualità della stessa) ed il tempo libero non è una semplice possibilità, ma una necessità se si vorrà mantenere la piena occupazione” (--------- Pasinetti)
Così oggi il progresso tecnico invece di sgravare le fatiche umane suddividendole tra tutta la forza-lavoro, le accentra su sempre meno soggetti, lasciando i restanti privi di occupazione.
Lo slogan di Bertinotti “lavorare meno, lavorare
tutti” è giustissimo, finchè non si aggiunge l’assurdità “a parità di salario”
(inteso come potere d’acquisto, dal suo punto di vista). Forse che i beni che
dovrebbero coprire l’aumento di massa monetaria (la quale i destinatari
desidereranno comprensibilmente scambiare con beni) ad ovvia parità di
produzione intende tirarli fuori lui dal cilindro magico?
“E’ la produzione che fa la moneta e non l’inverso” (Guillaume
Faye)
la critica alla critica del part
time qui????
Nel marzo 1955 il crollo della Cgil alle elezioni interne Fiat avviò il boom della produzione ed il crollo dei prezzi al consumatore.
Neoliberismo: Reagan, Tatcher, Piñera, Friedman? Mitterrand 1981 avvia neoliberismo in Francia. , Argentina 1976, Cile 1973. ---qui o poco su?-----
Per analoghi motivi anche il misoneismo marxista di stampo neo-luddista nei confronti della meccanizzazione è sbagliato: meno operai (sostituiti dalle macchine) rappresentano meno parti in cui doversi dividere il medesimo RN. Gli operai licenziati “dai robot” sarebbero riassorbiti dal sistema secondo la “teoria dell’equilibrio economico generale[335]” con un derivante aumento stesso della produttività, che garantirebbe i salari al livello “meno suddiviso” pur riportando la suddivisione tra il medesimo numero di salariati: in pratica salari nominali pro capite teoricamente immutati, ma realmente maggiori in potere d’acquisto dato l’aumento del RN. Per quanto riguarda i fattori produttivi eccedenti, durante una “crisi” l’occupazione subisce inevitabilmente una flessione, ma essa mette a disposizione dell’intero sistema economico dei lavoratori disoccupati, cosa che rende possibile trovare manodopera disponibile ad essere impiegata nei settori che non sono sovradimensionati. Un discorso simile vale sia per i beni strumentali e per i capitali finanziari. Ma per questi il problema è diverso. Un lavoratore si può riadattare ad altra mansione, un macchinario difficilmente si adatta ad una finalità diversa. I capitali finanziari invece sono un fattore amorfo, perciò più poliedrico. Ma questa caratteristica lo rende più rischioso, perché agevolmente lo si può spostare dagli investimenti produttivi alle speculazioni, anche edilizie, o ai beni di consumo, con effetti conseguentemente inflazionistici.
In quest’ottica per un impresa sarà più facile acquistare nuovi macchinari, per aumentare la sua produzione, dalle imprese che li producono, che presumibilmente avranno scorte di essi e quindi prezzi ribassati.
Gli aumenti salariali riducono i margini di resa, conseguendone il calo delle capacità di autofinanziamento delle imprese, imponendo loro un crescente indebitamento presso le banche, mettendo di fatto la sorte delle imprese nelle mani della politica bancaria.
Tornando ad accennare al sistema tipicamente socialdemocratico di redistribuzione tramite il prelievo fiscale, sempre secondo le leggi appena riportate si comprenderà come ad un aumento di pressione fiscale finisca inevitabilmente per corrispondere un uguale aumento dei prezzi, riportando con ciò l’effettivo potere d’acquisto teoricamente sui medesimi livelli, ma praticamente perfino a livelli inferiori, perché il peso fiscale come costo aggiuntivo (non a caso noto anche come “perdita secca”[336]) è un disincentivo alla produttività, la quale diminuisce e assieme ad essa le cifre concretamente disponibili alla suddivisione dei salari, tanto più se la tassazione è progressiva; per di più quando il gettito fiscale dipende dal reddito si ha una fuga indotta di reddito assorbito dal risparmio, la quale altera l’effetto moltiplicativo di variazioni autonome della spesa. Se, banalmente, si alza il livello di tassazione e contemporaneamente le tasse accumulate vengono spese (pensioni, stipendi pubblici, sprechi, enti inutili ecc...), prima o poi si arresta il processo di accumulo del capitale e addirittura si può anche diminuire tale stock, se si impedisce la semplice manutenzione dei beni capitali. E questo senza considerare le politiche monetarie che in tempi di boom inflazionistico gonfiano i profitti e inficiano la bontà delle informazioni contabili portando quindi a quei fenomeni di consumo di capitale tipici di queste manipolazioni.
“L’inflazione è l’unica forma di tassazione che può venir imposta senza legislazione” (Milton Friedman)
Secondo l’economista De Soto, un grande errore di valutazione commesso
dagli economisti keynesiani è pensare che i lavoratori siano tutti idioti;
effettivamente con senno di poi è difficile dire chi abbia ragione… ma anche
davanti le peggiori prospettive sulle capacità intellettive delle masse, queste
presto o tardi cominceranno a rendersi conto dell’inganno e a chiedere un adeguamento
dei salari proporzionale all’aumento dei prezzi (inganno ristabilito a partire
dagli anni novanta grazie all’aiuto degli statistici, che hanno fatto leva
sull’aumento della produttività e sugli effetti della globalizzazione, sempre
secondo l’economista spagnolo). Solo la separazione tra le politiche monetarie
e quelle fiscali, cioè l’indipendenza formale delle banche centrali dalla
politica, impedisce ai politici di ingannare il popolo come si usava fare ai
tempi dello scandalo della Banca Romana.
“Mi si consenta di battere e
controllare la moneta di un Paese e dopo non mi importerà chi siano i suoi
governanti” (Meyer Amschel Rothschild)
L’apoteosi dell’ottusità nella gestione del denaro pubblico l’hanno raggiunta i comuni norvegesi che si sono messi ad investire in fondi speculativi i soldi dei cittadini, ovvero prelevando tasse non con lo scopo di spenderle per il pubblico interesse del quale dovrebbero essere prerogativa, ma con l’azzardo di fungere da società finanziaria coattiva. L’incongruenza che non tutti noteranno è che le società finanziarie solitamente non usano estorcere alla popolazione le somme da investire; somme che i cittadini potrebbero aver avuto intenzione di spendere in altre maniere. I comuni così facendo utilizzano per scopi di lucro le somme ottenute dalle imposte (per definizione ottenute in modo coercitivo). Ciò è scorretto, sia che tale investimento si riveli fruttuoso oppure no, dato che certamente non tutto il ricavato si convertirà in diminuzione futura di tasse. Comunque, per la cronaca, i comuni norvegesi hanno perduto tutto l’investimento a causa proprio della malgestione dei fondi. Inevitabile, quando si “gioca” senza vincoli coi soldi degli altri. Se in Italia è proibito l’accesso ai casinò ai dipendenti pubblici, c’è un motivo.
“Con usura nessuno ha una solida casa di pietra squadrata e liscia per
istoriarne la facciata; con usura non vi è chiesa con affreschi in paradiso
harpes et luz e l’Annunciazione dell’Angelo con le aureole sbalzate; con usura
nessuno vede dei Gonzaga eredi e concubine non si dipinge per tenersi arte in
casa, ma per vendere e vendere presto e con profitto, peccato contro natura, il
tuo pane sarà straccio vieto arido come carta, senza segala né farina di grano
duro; usura appesantisce il tratto, falsa i confini; con usura nessuno trova
residenza amena. Si priva lo scalpellino della pietra, il tessitore del telaio;
con usura la lana non giunge al mercato e le pecore non rendono; peggio della
peste è l’usura, spunta l’ago in mano alle fanciulle e confonde chi fila.
Pietro Lombardo non si fe’ con usura Duccio non si fe’ con usura né Piero della
Francesca o Zuan Bellini né fu “La Calunnia” dipinta con usura; L’Angelico non
si fe’ con usura, ne’ Ambrogio de Praedis. Nessuna chiesa di pietra viva firmata:
Adamo me fecit. Con usura non sorsero Saint Trophine e Saint Hilaire; usura
arrugginisce il cesello arrugginisce arte e artigiano tarla le tela nel telaio,
nessuno apprende l’arte di intessere oro nell’ordito; l’azzurro si incancrena
con usura; non si ricama in cremisi, smeraldo non trova il suo Memling. Usura
soffoca il figlio nel ventre arresta giovane drudo, cede il letto a vecchi
decrepiti, si frappone tra i giovani sposi contro natura. Ad Eleusi han portato
puttane carogne crapulano ospiti d’usura” (Ezra Pound, Cantos, quinta decade, XLV, Contro
l’usura)
Ricordiamo che il significato che Pound dà alla parola usura non va inteso in senso letterale, ma in senso di guadagno di simboli di potere d’acquisto senza produrre. Tenendo conto che il sistema terziario, improduttivo per definizione, è creato dal surplus produttivo di primario e secondario, la normale attività bancaria non va compresa in tale concetto di usura. Il sistema bancario è uno scambio redistributivo della ricchezza prodotta da altri, non un appropriazione indebita. Il sistema bancario è necessario per non dire essenziale a----------. Chi investe non in banca scavalca banca. Ma se le banche esistono ci sarà un motivo! Investire al meglio le disponibilità di crescita nazionali, e non a caso col pericolo di rimanere preda di avvoltoi.
Gente non capisce niente di economia:
Azionisti Parmalat e bond argentini: come si permettono di protestare, e soprattutto come possono pensare che la protesta popolare possa influire in economia come in politica? Quando hanno consapevolmente loro aderito ad un rischio seguendo la loro avidità? Chi è causa del suo mal pianga se stesso. Nessuno li ha costretti a diventare soci della Parmalat o a prestare soldi a sconosciuti!
La crisi odierna della Grecia causata dallo spettro dell’insolvenza è esemplare. La Grecia è assediata dalle proteste e dagli scontri di quelli che non accettano il taglio ai “benefits” dell’assistenzialismo. Questi dimostranti vorrebbero continuare a vivere nel loro paradiso socialista, nonostante lo Stato abbia un deficit di quasi mezzo “triliardo” di euro e rischi la sorte dell’Argentina. Sembra scontato, ma a questa gente non frega niente del proprio paese; l’essenza esatta del socialismo: “pretendere di ricevere a spese di qualcun altro”. Certo, essi ricevono “gratis” molti “benefits” che in stati come gli Usa si pagano personalmente: istruzione (inclusa l’università), sanità, pensioni (in alcuni casi la possibilità di riceverla a partire dai 55 anni), 6 settimane minimo di vacanze pagate, ecc. Ma quanti poi queste tasse esorbitanti per mantenere questo sistema di “ricevere gratis” non le vogliono pagare? Quanti evadono le tasse in un paese come la Grecia? Come al solito gli altri paesi tramite l’FMI daranno miliardi di dollari per risanare questo sistema del “ricevere gratis”. Ossia, le tasse pagate da chi vive e lavora negli altri paesi facendo 2 settimane di vacanza l’anno, serviranno a tirare fuori dai casini chi invece di settimane di vacanza l’anno è ormai abituato a farne 8-9. Quale Stato “socialista” europeo sarà il prossimo nella lista: Portogallo, Spagna, Italia? Sembra che le sinistre, inclusa quella di Obama purtroppo, una cosa proprio non la capiscano: non ci sono più paesi in grado di sostenere questo tipo di assistenzialismo. Bisogna lavorare per ciò che si vuole ottenere. Difatti il paese più liberista, gli Stati Uniti, non sono da meno, essendo il paese col debito pubblico più alto al mondo; se applicassimo gli stessi parametri che si usano con l’Italia per misurare lo stato dei conti pubblici, gli Usa sarebbero già in bancarotta; se possono ancora permettersi di vivere al di sopra delle possibilità è grazie alla politica della Cina che per anni ha tenuto il valore della Yuan artificialmente basso per poter esportare di più, sicché finanziando gran parte del debito Usa, è responsabile per i bassi tassi di interesse che hanno poi portato alla crisi.
“Come ogni altro errore, il comunismo comprende alcuni elementi di verità, e i suoi adepti giocano abilmente con questo, in modo da contraffare la repulsiva crudeltà che è intrinseca nella dottrina e nei metodi. Così essi riescono ad abbindolare persone di un integrità più che ordinaria; questi nel loro cambiamento divengono apostoli dell’errore e lo instillano nelle menti degli altri” (Pio XI, “Divini Redemptoris, 1937)
La scusa degli assistenzialisti è sempre quella di “redistribuire” i redditi dai più ricchi ai più poveri. Convenzionalmente sembrerà una filantropica soluzione il concetto di “prendere ai ricchi per dare ai poveri”, come un novello Robin Hood. Ma nella realtà quello che viene dato ai poveri viene tolto ad altri poveri, non ai ricchi. Si riduce demagogicamente ad un mero interpassaggio di beni. La concorrenza per i beni non è tra classi, ma interna ad ogni classe; i ricchi non hanno bisogni alimentari maggiori rispetto ai poveri, ed i poveri non mangiano oro. “Se il Papa vendesse uno dei suoi anelli”, NON sfamerebbe proprio nessun africano! Questo per il semplice motivo che gli africani non mangiano anelli d’oro! Se il frumento prodotto rimane il medesimo, toglierlo ad alcuni per darlo ad altri non ne aumenta la quantità esistente, ma piuttosto ne disincentiva la produzione.
“Si svuotino gli arsenali, si colmino i granai” (Sandro Pertini)
I paragoni anti-militaristi su “quanti africani si potrebbero sfamare con i soldi spesi per un carro armato” sono pura demagogia, perché non è che rinunciando alla costruzione di un carro armato i campi producano più grano. La legge economica nota come “principio dei costi crescenti” è chiara su questo.
E’ facile intuire l’unico risultato ottenuto dai mezzadri quando durante il biennio rosso raccoglievano solo la parte a loro necessaria lasciando marcire quella “del padrone”. Necessariamente per il bene di tutto il popolo il fascismo dovette schierarsi contro queste aberrazioni provocate dalla propaganda marxista, anche se questo volle dire venire a compromessi coi padroni.
« Noi ci permettiamo di essere aristocratici e democratici, conservatori e progressisti, reazionari e rivoluzionari, reazionari e rivoluzionari, legalisti e illegalisti, a seconda delle circostanze di tempo, di luogo e di ambiente » (Benito Mussolini)
Per il distributismo il plusvalore è un fattore secondario. Non identifica il punto cardine nella destinazione del plusvalore (difatti come il liberismo anch’esso la decisione la lascia alla “mano invisibile”), piuttosto eventualmente nel limitare le cause (pretendere di eliminarle è assolutamente assurdo, per i motivi già spiegati) che portano a doverlo esigere ed accumulare; non si propone di redistribuirlo artificialmente od annullarlo come invece fa Marx. La questione primaria dovrebbe essere la consapevolezza che le distorsioni di questo sistema sono dovute solo al fatto che oggi il lavoro umano è una merce, e solo come tale dotata pure di plusvalore.
I distributisti non deprecano
i proprietari dal punto di vista patrimoniale, ma sono convinti che
anch’essi siano assimilati in un sistema al quale (come tutti) non vedono
alternativa migliore. Come già detto, la partecipazione unicamente agli utili
tipica della proprietà concentrata è il rischio da correre perché non vengano
messe in discussione proprietà, potere decisionale e margini di profitto
potenzialmente superiori a quelli destinati ai dipendenti, come molla in
assenza della quale in un sistema concorrenziale accentrato nessuno farebbe
l’imprenditore. Dopotutto come abbiamo visto nella maggior parte dei casi
sono i dipendenti stessi a rifuggire da ogni responsabilità ed a pretendere
tutto e subito, senza preoccuparsi se questo “tutto” esista o meno.
«La colpa non è dell’individuo, ma del sistema in cui l’individuo è stato creato» (Robert Owen)
Il distributismo constata ed accetta che per godere interamente di ciò che produci (plusvalore compreso) non basta genericamente lavorare, bisogna prendersi le intere responsabilità della produzione, che consistono nello scegliere cosa produrre, nel farsi carico dei costi delle materie prime e i rischi della scelta, nel decidere come e quanto produrre, nell’attivarsi per ottenere il risultato sperato... e nell’accollarsi i rischi delle perdite se nessuno desidera quello che fornisci. Produrre inizialmente significava costruirsi una lancia e andare a caccia. Produrre significava trovare un campo inoccupato, dissodarlo, coltivarlo, raccogliere, e raffinare il raccolto. Produrre significa inventare un congegno, comprare il ferro e la plastica, costruirlo, e venderlo a chi lo vuole sperando di poter ottenerne un ricavo sufficiente a coprire i costi. Produrre non significa andare da uno e dirgli: fammi fare ciò che ti pare, mi metto a tua disposizione in cambio di denaro. Come detto, il distributismo non critica il concetto di plusvalore, anzi lo riconosce come implicito nell’economia, nel formare la piramide che regola l’accessibilità proporzionale ai beni. I distributisti vogliono che il lavoro umano non sia più una merce, né col plusvalore, né senza; né acquistabile dai privati, né dallo Stato. Ma solo con la socializzazione come descritta in questo testo si può ipotizzare questa prospettiva, che come conseguenza determinerebbe la scomparsa del concetto stesso di “disoccupazione”. Nel liberismo del “lavoro mercificato” non è possibile eliminare draconianamente la disoccupazione ignorando la “curva di Phillips”, sarebbe una forzatura che si ripercuoterebbe in tutto il sistema economico, perché, come già spiegato, minore è la disoccupazione, e maggiore è il costo del lavoro. A parità di PNL eliminare artificialmente la disoccupazione comporterebbe un minore RN pro capite suddividibile tra i lavoratori (non sulla popolazione totale!) ma con un uguale richiesta, cosa che provocherebbe inflazione annullando immediatamente il potere d’acquisto che superasse la percentuale di RN suddiviso disponibile.
«La disoccupazione si sviluppa perché la gente vuole la luna: gli uomini non possono essere occupati quando l’oggetto del desiderio (cioè la moneta) è qualcosa che non può essere prodotta e la cui domanda non può essere facilmente ridotta. Non vi è alcun rimedio, salvo che persuadere il pubblico che il formaggio sia la stessa cosa e avere una fabbrica di formaggio (ossia una banca centrale) sotto il controllo pubblico» (John Maynard Keynes, “Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta”)
Lo Stato dovrebbe quindi stampare continuamente denaro per colmare la scarsità; pezzi di carta cioè basato sul nulla, e che perderebbero di valore rispetto a tutto il resto man mano che la quantità circolante aumenta (inflazione), come si osserva nella “teoria quantitativa della moneta”. Nel 1997, Giano Accame, ne “Il potere svuota la democrazia” scriveva: “la liquidità internazionale è stata valutata sui 9.000 miliardi di dollari e i prodotti finanziari hanno raggiunto la cifra di 60.000 miliardi di dollari”. Non è più il lavoro, il commercio o le stesse rendite immobiliari, ma è il maneggio di questi pseudo-soldi a produrre denaro. Non è ricco chi produce, ma chi lavora col denaro. Ma in pratica l’espansione monetaria diventa solo una ottimistica scommessa sul futuro. Con una logica che ha come punti cardine l’insicurezza e la speculazione, nel mercato mondiale viene immessa una enorme massa di “contratti a termine” e di investimenti su attività future, derivati, e “depositi trasnazionali”. Già nella relazione del 1996, il governatore della banca d’Italia affermava: “Questi 8.000 miliardi di dollari sono più del prodotto lordo degli Stati Uniti, una volta e mezzo il valore delle esportazioni mondiali di merci e la loro velocità di circolazione è esaltata dal ricorso ai prodotti derivati”. L’enorme massa di pseudo-denaro si configura come entità sganciata dalla realtà, in quanto non ci sono in tutto il mondo beni equivalenti al denaro circolante esistente. Ma come sappiamo, ben pochi creditori si presentano a cambiare la loro banconota. Trent’anni fa, il 90% delle transazioni finanziarie riguardava l’economia reale, ora la situazione si è capovolta ed è la componente speculativa a rappresentare il 90%. Anche Edward Luttwak sostiene che oggi il mercato dei titoli e delle attività bancarie cresce molto più rapidamente rispetto all’economia reale, fatta di aziende agricole, industrie, energia ed esercizi commerciali. L’espansione creditizia genera una mala assegnazione anche del fattore lavoro. Milioni di lavoratori vengono assunti per lavorare a progetti di investimento non sostenibili. Con la crisi non si fa che scoprire un fatto ovvio: anche i lavoratori erano stati allocati male insieme agli altri fattori produttivi. Si sono specializzati in qualcosa di sbagliato, che non aveva senso produrre, e vanno poi ricollocati.
“Quali che siano infatti le possibili obiezioni, è innaturale - e quindi impossibile - che la gente crepi di fame per aver prodotto troppi beni di consumo” (Joaquin Bochaca[337])
Notoriamente gli stati di tutto il mondo puniscono con pene severe i falsificatori di moneta. I legislatori non attuano sanzioni così pesanti solo per punire il falsario, che mettendo in circolazione banconote false ne ricava beni e servizi senza esserseli meritati producendo, ma soprattutto perché aumentando artificialmente la massa monetaria circolante deruba indirettamente tutti i suoi concittadini, dato che quanto maggiore è la moneta circolante, tanto minore è il suo valore. Tutto ciò è talmente ovvio che non dovrebbe nemmeno servire puntualizzarlo. Se un falsario riuscisse a stampare e diffondere una quantità di banconote false pari a tutto il normale volume già circolante, ogni persona si vedrebbe automaticamente dimezzato il suo potere d’acquisto. La falsificazione non è un reato senza vittime, ma al contrario è il reato con il maggior numero di vittime: tutti! I falsificatori con la diffusione di moneta falsa si appropriano dell’equivalente ricchezza dei concittadini i quali dovranno compensare di tasca propria il prezzo dei beni e servizi che i falsari si sono procurati ingiustamente. Ciò che va a loro è tolto a me. Qualsiasi nuova emissione di moneta, da chiunque provenga, diminuisce il valore di quella già esistente. In passato erano le banche a stampare moneta, poi in seguito a insulse frodi lo Stato se ne accentrò il monopolio. Esso procedeva ad emissioni in quantità adeguata che le necessità richiedevano ed, essendo la funzione della moneta quella di permettere lo scambio, la quantità circolante si manteneva abbastanza stabile. A volte lo Stato realizzava emissioni artefatte di valuta per coprire la spesa pubblica. Con questa nuova emissione i cittadini avevano una perdita di valore reale della moneta. Ovviamente tale perdita viene compensata da una minor quantità di imposte necessarie a realizzare servizi e lavori pubblici. Ancora oggi il dibattito tra monetaristi e keynesiani è vivace.
«Se il Ministro del Tesoro riempisse delle bottiglie con banconote, le interrasse a profondità convenuta in vecchie miniere di carbone abbandonate, ricoprisse il tutto fino alla superficie di immondizie e lasciasse alle imprese private, secondo il ben noto principio del laissez-faire, il compito di dissotterrare le banconote (il diritto di fare ciò essendo ottenuto, naturalmente, mediante l’appalto dello sfruttamento del terreno), non ci sarebbe più disoccupazione e, grazie agli effetti secondari, il reddito reale della collettività, e anche il suo capitale, diventerebbe senza dubbio più alto di quanto è attualmente» (J. M. Keynes, “Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta”)
Keynes sosteneva che anche la moneta conservata contribuisca all’inflazione: seppur bisogna considerare che se tale ipotesi fosse totalmente vera, il fatto che le persone detengano conti bancari i quali la banca ha concesso in prestito, dovrebbe provocare il teorico raddoppio nel circolante di tali quantità, con conseguente inflazione. Ciò è quello che pensano i critici della “riserva frazionaria”. Ma chiaramente non corrisponde a realtà, dato che raramente i clienti bancari chiedono indietro i loro soldi. L’Argentina aveva stabilito un 100% di riserva, eppure la sua economia è scoppiata ugualmente. Secondo De Soto, il motivo va visto nel fatto che le misure adottate a suo tempo da Perón erano inoltre inserite in un contesto sbagliato: lo Stato continuava a decidere quanta massa monetaria creare, mentre allo stesso tempo decideva a chi prestarla. Unitamente all’espansione incontrollata della bolla del debito pubblico, in poco tempo il clientelismo e l’inflazione, hanno messo in ginocchio il paese.
“Un potere illimitato e una dominazione economica dispotica si trovano concentrati in pochissime mani. Questo potere diviene particolarmente sfrenato quando sia esercitato da coloro che, controllando il danaro, amministrano il credito e ne decidono la concessione. Essi somministrano - per così dire - il sangue all’intero organismo economico e ne arrestano la circolazione quando loro convenga; tengono in pugno l’anima della produzione, in guisa che niuno osi respirare contro la loro volontà” (S.S. Pio XI, Enciclica “Quadragesimo Anno”)
Questi critici sostengono in virtù di ciò che la maggior parte del denaro circolante sono costituiti da denaro considerabile falso, in quanto i banchieri creerebbero ricchezza fittizia con un operazione di contabilità bancaria. Come se il ruolo del banchiere dovesse essere l’immagazzinare gratuitamente tale merce, anziché poterla utilizzare laddove necessaria.
Questo equivoco nasce dalla constatazione del meccanismo derivato dall’esperienza quotidiana che mostrò ai banchieri che solo raramente i loro depositanti si presentavano a riscuotere il denaro depositato. Quindi, se un banchiere che custodisce cento Luigi d’oro, ne perdesse novanta, i dieci restanti sarebbero sufficienti a fronteggiare la normale richiesta dei depositanti. Ispirati da ciò i banchieri iniziarono a mettere in circolazione ricevute al di sopra dei loro effettivi depositi, sino a moltiplicarle. Allorquando i depositanti dovessero chiedere in massa indietro i loro depositi, il banchiere non avrebbe alcuna possibilità di farvi fronte, dovrebbe dichiarare bancarotta, ed i clienti perderebbero tutti i loro risparmi. A meno che non intervenga lo Stato in soccorso della banca, con una manovra che sarà la società a pagare. Ogni volta che il sistema bancario cessa di assegnare prestiti, la ricchezza smette di crescere, il mercato si affloscia, ed avvia le condizioni propizie allo scoppio finale della bolla. Banca centrale e moneta simbolica non risolvono il problema, ma lo capitalizzano e stratificano nel tempo, posticipandone la resa dei conti. Ma non bisogna confondere la causa con l’effetto. I fallimenti bancari sono effetti dovuti ad altre cause. Anzi, la soluzione intesa dai critici, ovvero la regolamentazione della riserva frazionaria, potrebbe essere causa di fallimenti bancari! In particolar modo risulterebbe deleteria nello spingere ad aumentare gli spread fra tassi attivi e tassi passivi, dovendo in qualche modo scaricare, in toto o in parte, sui clienti il costo dei mancati interessi riscossi sulle riserve.
21 dicembre 1958, la lira assieme ad altre 9 monete europee passa dalla convertibilità bilaterale tra oro e monete ad una “esterna” (stato cede moneta in cambio d’oro, ma non cede oro in cambio di moneta) limitatamente agli stranieri.
Bond confederati ancorati al cotone e non ai soldi. ---qui??----
Forza e carisma di un governo infondendo fiducia garantisce il rispetto degli investimenti e del valore della moneta.
Corso di un titolo: il suo prezzo. Aumento di corso: aumento di prezzo. Fuori corso, corso forzoso, ecc.
Speculazioni su valute estere – picco speculativo: Francia 1958, Canada 1962, Italia 1963, Gb 1964, Francia 1968, Usa 1973.
Collasso Bretton woods 1973: picco speculativo 1969 – crollo 1974-75.
Oro come moneta di riferimento internazionale a causa della babele monetaria – dollaro agganciato a oro per questo – sganciamento 1973?
“Non siamo stati così sciocchi da creare una valuta [collegata all’] oro, di cui non abbiamo disponibilità, ma per ogni marco stampato abbiamo richiesto l’equivalente di un marco in lavoro o in beni prodotti… ci viene da ridere tutte le volte che i nostri finanzieri nazionali sostengono che il valore della valuta deve essere regolato dall’oro o da beni conservati nei forzieri della banca di Stato” (Adolf Hitler, citato in “Hitler’s Monetary System”)
Nelle banconote ci stava scritto “pagabili al portatore”. Certo, ma in un
regime di cambio flessibile ciò è in confronto alle merci esistenti che vengono
scambiate con essa. Nei regimi di cambio fisso (con l’oro, ad esempio), lo
Stato dovrebbe cambiare con una quantità prestabilita di oro. Ma non è detto
che questo oro sia posseduto dallo Stato. Per questo motivo nel 1973 gli Usa
dovettero passare dal cambio fisso in oro al cambio variabile: avevano stampato
e diffuso troppe banconote in confronto all’oro posseduto e che sempre più
veniva richiesto dai paesi produttori di petrolio in cambio dei dollari. Anche
nel cambio variabile non è detto che tutte le merci esistenti possano sostenere
le richieste di cambio. Difatti quando accade il risultato è la perdita di
valore della moneta (inflazione).
“Questo danaro nasce ogni qualvolta le banche “prestano” e sparisce ogni
volta che il prestito vien loro rimborsato. Di modo che se l’industria tenta di
pagare, il danaro dello Stato sparisce. E’ questo che rende così pericolosa la
prosperità, giacché distrugge il danaro proprio quando è maggiormente
necessario e fa precipitare la crisi”. (Frederick Soddy)
Secondo Joaquin Bochaca, quando, nel 1930, gli Stati Uniti d’America si
trovavano con i magazzini zeppi, fu la mancanza di danaro necessario a farne
commercio, cioè a far giungere i prodotti ai consumatori, a spingere tramite
l’inflazione i piccoli risparmiatori a cercare fonti di investimento che
garantissero un reddito superiore alla svalutazione del danaro. L’investimento
maggiormente rimunerativo era rappresentato dall’acquisto di azioni. Il “gioco
al rialzo” provocò un sempre maggiore afflusso di capitali nel mercato
azionario, e quindi la sottrazione degli stessi al mercato del consumo di
merci. Ciò provocò il fallimento di numerose aziende medio-piccole. Conseguenza
di tali fallimenti fu la caduta verticale del valore dei titoli azionari di
queste aziende. I piccoli azionisti temettero di perdere i propri risparmi e si
affrettarono a vendere le azioni da loro possedute, provocando la caduta
verticale di tutti i titoli quotati a Wall Street. Si verificò il famoso
“crack” del “Venerdì nero”, le imprese fecero bancarotta a migliaia e il trenta
per cento degli operai rimase senza lavoro. Per aumentare il volume di danaro
circolante fu abbassato il tasso di sconto, a fine di scoraggiare l’immobilizzo
di capitali presso le banche. Ciò aggravò la situazione di crisi dell’apparato
produttivo, dato che all’aumento della liquidità non corrispose una ripresa
della produzione, bloccata dalla mancanza di capitali bancari di investimento.
Da questa analisi di Bochaca diventa quindi evidente come le pretese crisi
economiche non siano altro, in realtà, che crisi finanziarie, provocate spesso
artificialmente e deliberatamente. La soluzione a suo dire va letta nel fatto
che la circolazione monetaria in un determinato paese dovrebbe riflettere
esclusivamente la sua capacità di produrre ricchezza, le sue possibilità di
sviluppo e di espansione e la necessità di occupare la manodopera. Ma il suo
limite fu nell’indicare l’espansione creditizia come causa della crisi,
confondendo causa ed effetto.
Oggi la nuova moneta, cioè quella in più della semplice sostituzione di banconote logorate, viene emessa in questo modo. La banca centrale acquista dalle banche dei titoli di stato (precedente emessi), che le banche avevano acquistato per loro esigenze di portafoglio. Le banche si tengono la moneta, per poi prestarla, e la banca centrale si tiene i titoli. La banca centrale può emettere moneta solo in cambio di titoli, non può andare a farci la spesa. ---contrapporre al fatto che con fiscalità monetaria la quantità di moneta sempre quella esatta?------ o su politico, ovvero il tasso di sconto. ?
Secondo il sociologo Juan Beneyto, l’enorme problema imposto all’economia statale dall’incipienza del debito pubblico, deriva dalla alterata concezione di spesa pubblica, nel senso che lo Stato abbia bisogno di danaro. Questo equivoco deriva dall’assurda assimilazione dello Stato come fosse un privato. Lo Stato invece non dovrebbe avere alcuna necessità di seguire gli stessi meccanismi che regolano le imprese private, perché lo Stato ha altri possibili modi di sopperire alle sue necessità finanziarie. La funzione dello Stato non è commerciale o speculativa, bensì è di garantire la sinergia tra i suoi componenti. La soluzione del problema sta quindi nel recepire questa differenza finanziaria tra Stato e privato.
“Dire che uno Stato non può perseguire i propri scopi per mancanza di
denaro è come dire che non si possono costruire strade per mancanza di
chilometri” (Ezra Pound) -----messa anche su altro libro ------
Ritenere il deficit del bilancio statale un qualcosa di giusto e di
apprezzabile era un’idea che nelle più prestigiose università inglesi ed
americane avrebbe inibito l’incauto assertore dal proseguire gli studi
economici nella maniera più assoluta. La sufficienza con cui venne riguardato
il programma economico nazionalsocialista negli ambienti finanziari avrebbe
dovuto rientrare completamente in meno di tre anni, prima ancora della
pubblicazione della Teoria Generale di Keynes.
La soluzione proposta da Keynes era, tutto sommato, perfettamente
logica. Presentava, però, il difetto di mandare inevitabilmente in rosso il
bilancio dello Stato; ciò che gli economisti “seri”, che di certo non avevano
perso il lavoro, come era invece accaduto a milioni di lavoratori americani ed
europei, non apprezzavano granché. --------mancava fiscalità monetaria a
pareggiare le cose---------
Il programma che ne segui fu, come già accennato, accolto dal mondo economico e finanziario ufficiale con l’irritazione cui è destinato chiunque voglia quadrare il cerchio, ovvero garantire la piena occupazione a prezzi stabili.
In precedenza la Germania attraversa, dalla fine della Prima Guerra
Mondiale, una crisi profondissima: in balia di una disoccupazione-record,
umiliata dalle condizione di pace, costretta a pagare indennità che lo stesso
Keynes, un inglese, definì nel 1919, in Le conseguenze economiche della
pace, come eccessivamente gonfiate. L’inflazione del 1922-23, che giunse a
stabilire il cambio di un dollaro contro quattro miliardi di reichsmarks,
lascia come conseguenza, anche quando si attenua, le riserve monetarie della
Reich-sbank ridotte al lumicino. Nel 1929, quando il livello di disoccupazione
è già alto, la Grande Depressione mette la Germania definitivamente in
ginocchio. Le riserve della Banca di Stato passano dai 2.381 milioni di reichsmarks
del gennaio ’29 ai 923 milioni dello stesso mese quattro anni dopo, alla
vigilia della vittoria elettorale del N.S.D.A.P. La “soluzione” di Brii- ning,
del ’31, fu degna del miglior conservatore inglese: riduzione dei redditi e dei
prezzi e, nel contempo, aumento delle tasse. La situazione, che già non era
rosea, s’incupì ulteriormente. A tutto ciò si aggiungano le conseguenze
psicologiche del pesantissimo stato di cose del dopoguerra.
Secondo gli economisti nazionalsocialisti, l’unico combustibile, di cui
un tale motore abbisognava, era la fiducia del pubblico; esattamente ciò che
nei primi anni trenta, in tutto il mondo, mancava più di ogni altra cosa. Si
sarebbero adoperati per fare si che il popolo tedesco la riacquistasse.
L’esperienza nella gestione della moneta ha dato ampia dimostrazione di
due fatti. Primo: la moneta, specialmente quando è cartacea, si può creare a
piacimento; secondo: seguire disinvoltamente questa pratica è estremamente
pericoloso e quantomai sconsigliabile. 4 Il rimedio nazionalsocialista contro
la disoccupazione era, tutto sommato, piuttosto semplice e non si può dire che
rappresentasse una grande scoperta. Se manca il lavoro si tratta di crearlo.
Tuttavia, se il problema fosse di cosi pronta soluzione, è abbastanza probabile
che una buona percentuale di Paesi l’avrebbe adottata fin dai tempi della prima
rivoluzione industriale, sia pur contro il parere dei responsabili dei
ministeri economici per tradizione scelti accuratamente fra gli uomini politici
più incompetenti in materia. Il problema non è quindi il crearlo, il lavoro, ma
individuare e eliminare le cause che ne impedivano l’auto-creazione.
Le cause della possibile inflazione avrebbero potuto essere due. La
grande massa di denaro posta in circolazione dallo Stato per pagare i lavori da
esso commissionati e il giustificabile desiderio degli ex disoccupati di
spenderlo immediatamente, sia per mancanza di fiducia nello stesso sia per
acquistare tutti quei beni cui avevano dovuto rinunciare per troppo tempo. Al primo
problema venne ovviato con i cosiddetti “effetti Me.Fo.”, una sorta di
pseudo-denaro garantito dalla Banca di Stato ma con il pregio di non alimentare
la massa monetaria nominale e quindi di non influire sulla fiducia del pubblico
nel valore della stessa. Fiducia che il nuovo stato nazionalsocialista aveva
conquistato immediatamente. L’inflazione, tenuta “sotterranea” nel modo
sommariamente descritto, non era percepita ed era pertanto priva degli effetti
catastrofici che altrimenti avrebbe avuto.
Di fronte a queste misure clamorosamente eterodosse e al loro
altrettanto clamoroso successo gli economisti dei Paesi democratici, oltre a
giudicare artificiale l’esperimento nazionalsocialista, e a predirne il
collasso, vollero dare dimostrazione ufficiale della loro scienza consigliando
accoratamente a Roosevelt il ritorno al pareggio del bilancio.
In buona sostanza il sistema economico oggi osannato porta delle falle evidentissime e che si rivelano continuamente, alle quali vengono solamente apposti dei tamponi.
Nella socializzazione distributista tutte queste insanabili diatribe non avrebbero più motivo di sussistere, dato il venir meno di un mercato di contrattazione tra proprietari e forza-lavoro. Se il lavoro non fosse più un costo fisso (ossia se non ci fossero più masse di lavoratori sindacalizzati a richiedere un salario minimo fisso) l’aspettativa di guadagno si dovrebbe adeguare al reddito aziendale derivato dal commercio della produzione (tangibile o finanziaria che sia) in quanto non più vincolata al lavoro quantificato come costo fisso orario dal mercato dei fattori; il tutto secondo il cosiddetto “effetto Pigou”[338]. La cifra data dalla produzione aggregata (PNL) e disponibile alla spesa (reddito personale aggregato) verrebbe automaticamente suddivisa tra tutti i lavoratori a seconda della disponibilità di questa, e non a seconda delle pretese minime degli individui. In caso di calo autonomo[339] della domanda di beni l’unica possibilità per una singola azienda sarebbe variare i turni di lavoro interni. Potrebbe utilizzare i periodi morti per migliorare la qualità del capitale fisico con la manutenzione, oppure del capitale umano tramite l’acculturazione, in luogo dell’odierna dissipante “cassa integrazione”. Qualunque ipotesi di cali indotti della domanda nella socializzazione è invece estremamente remota, per via della regolamentazione dei sistemi aziendali e fiscali che leggerete più avanti.
Quando le rendite totali di un azienda fossero costantemente tanto basse da non poter essere ammortizzate mediante il bilanciamento interno, la stessa azienda come alternativa alla cessazione attività avrebbe la riconversione, la fusione, la suddivisione (ed altre opzioni lasciate libere), piuttosto che i licenziamenti e la diminuzione dei salari come vige nel liberismo. Coesistendo in concorrenza con altre aziende non gli sarebbe possibile aumentare discrezionalmente i prezzi.
Per fare un raffronto col liberismo, con la socializzazione sarebbe il PIL ad essere determinato dalla quantità di lavoro impiegato, e non viceversa; fino al raggiungimento del PIL potenziale ovviamente, ossia il massimo ottenibile dalle risorse esistenti, oltre il quale un aumento di lavoro non potrebbe comunque più portare un aumento di PIL per carenza di risorse materiali. Si può verosimilmente dedurlo da quanto finora esposto. Solamente il raggiungimento di tale limite potrebbe causare le conseguenze negative sopraccitate. Questo porterebbe un invalicabile “ottimo paretiano” dei redditi, come conferma implicitamente il modello di Kalecki[340], e qualunque eventuale alterazione deriverebbe unicamente da fattori meramente produttivi, non socio-politici come è oggi.
Quindi la disoccupazione ciclica sarebbe automaticamente eliminata, quella strutturale e frizionale sussisterebbero (sotto forma di “aspettativa”) delegate ai regolamenti interni aziendali ed alle possibilità disponibili (fallimento, fusione, divisione, assorbimenti di quote, flussi tra aziende, crediti), esonerando quindi la loro responsabilità dalla politica nazionale. La produzione aggregata (che determina i redditi), in qualunque maniera essa venga distribuita, a parità di condizioni rimane la medesima. Per questo è esatto dire che la filosofia della socializzazione è la produzione, sulla base della “Legge di Say”.
Non che la socializzazione porti automaticamente un aumento di produzione, ma la responsabilizzazione verso una cosa sentita “propria” comporta conseguentemente un aumento di produttività da parte del singolo. Non che significhi poi automaticamente maggior guadagno da parte dei lavoratori, in quanto la legge della domanda e dell’offerta terrebbe come sempre i prezzi al limite minimo, ma l’amministrazione congiunta assicurerebbe giuste divisioni degli utili, basate sulle capacità personali e non sulla proprietà.
Il RN ed il PIL rimarrebbero pro capite immutati, ceteris paribus, ma suddivisi più equamente (ovvero anche a chi oggi è disoccupato). Questo, non influendo sul consumo autonomo, ma solo su quello indotto, modificherebbe le propensioni al risparmio e al consumo, ma compensandosi per via del rapporto tra propensione all’accumulazione di capitale e tassi di interesse (che aumentano col diminuire del risparmio). L’ipotesi che ciò alteri il modello reddito-spesa con ripercussioni sulla domanda e quindi sulla quantità di moneta immessa è smentita da Keynes osservando che il limite della “scuola di Cambridge” (dalle cui teorie si potrebbe dedurre ciò) è quello di negare alla moneta la funzione di “fondo di valore” di per sé stesso, cioè di deposito di ricchezza pur sempre allignante seppur non circolante. La teoria quantitativa è una teoria basata sulla piena occupazione, dove la moneta agisce da velo. Keynes invece distingue tre motivi per i quali la moneta è detenuta (transazioni, precauzione, speculazione). La relazione fra equilibrio dei beni e tasso di interesse dipende dall’elasticità della spesa rispetto all’interesse e dalle propensioni marginali alla spesa e al risparmio, mentre la relazione fra equilibrio monetario e tasso di interesse dipende dall’elasticità della domanda di moneta rispetto al tasso di interesse e dalla grandezza della domanda di moneta per transazioni. Ciò rispecchia il modello reddito-spesa, che è il tentativo di rappresentare l’idea di Keynes che il reddito è determinato dal lato della domanda, più in particolare dal livello della spesa autonoma, dato il moltiplicatore del reddito (il modello nella sua formulazione semplice considera solo imprese e famiglie, alle quali si aggiungono di volta in volta il settore pubblico e il settore estero). Circa la relazione tra settore reale (scambi) e monetario, si consideri che anche per Keynes gli imprenditori confrontano l’efficienza marginale del capitale con i tassi. Il modello keynesiano è causale, mentre le critiche derivate dalla “scuola di Cambridge” puntano alla versione del modello “IS-LM” di John Hicks.
Allo stesso modo l’ipotesi che le necessarie concessioni di credito e mutuo sociale riducano i fondi per altri investimenti (“spiazzamento”) è smentita perlomeno dai risvolti della fiscalità monetaria sul “paradosso del risparmio”[341]: nella socializzazione l’inflazione è controllata dalla fiscalità monetaria e quindi eventuali squilibri provocati sui tassi di interesse dai suddetti crediti verrebbero automaticamente compensati sull’aumento di domanda di questa moneta[342]. Comunque, la socializzazione con i suoi riflessi (scomparsa degli investimenti speculativi e abolizione della riserva obbligatoria) comporterebbe indirettamente una maggior disponibilità di crediti bancari, e per feedback un uguale richiesta (mantenendo i tassi di interesse, ceteris paribus, in equilibrio al livello precedente), ragion per cui problemi in questo senso nemmeno si pongono. Inoltre la mobilizzazione degli investimenti ed in alcuni casi il loro vincolo come “deposito a tempo” (vedi pagina ---) comporterebbe in pratica che esse coincidano con i fondi implicati, compensandosi tra loro in un movimento di numeri meramente interno alla banca, che lascerebbe al di fuori ogni altro fattore di risparmio (che rimane tale e quale a prima).
La scomparsa dei tassi di disoccupazione oggi necessari come mezzo di contenimento del costo del lavoro, assieme all’applicazione del sistema fiscale monetario in luogo di quello reddituale, consentirebbe di creare il perfetto “equilibrio generale macroeconomico” tra il “Modello AD-AS[343]” e il “Modello IS-LM[344]” preconizzato da John Maynard Keynes eliminando i guasti illustrati dalla “curva di Phillips”[345] e dalla “legge di Okun” (secondo cui il rapporto tra differenziale del PIL e disoccupazione è costante), portando il PIL perennemente al suo livello potenziale a parità di produttività del lavoro, ed ad una concorrenza perfettamente autocompensante tra le aziende, la quale sarebbe sia causa che effetto di una razionalizzazione reddituale e patrimoniale. Per cui settori produttivi nei quali le aziende registrino profitti verrebbero immediatamente colmati da nuove aziende (“teoria dell’equilibrio economico generale[346]”), che riporterebbero ogni utile aziendale perennemente al livello di rendita. Ma la diffusione della proprietà livellerà i ricavi in modo equo tra tutte le unità, considerando che quando alcune imprese hanno costi inferiori a quelli di altre imprese, ciò è dovuto al fatto che esse impiegano risorse più efficienti, e queste esigono, dietro prospettiva di passare ad altra azienda, di usufruire di un rendimento maggiore (e quindi ottenendo un prezzo maggiore, costo per l’impresa) per coprire i “costi di opportunità” a seconda della loro maggiore produttività, venendo a livellare i profitti dell’impresa annullando i minori costi. Quindi i redditi (ed il valore) delle rispettive aziende verrebbero automaticamente regolati sul numero di lavoratori e sulla loro qualità solo dalla libera concorrenza, non più anche dal volubile mercato azionario (suscettibile dell’emotività speculativa) o da aliquote fiscali o da privilegi politici di comparto o professionali; con conseguente attenuazione dei cicli (per questo motivo ogni paventabile “calo indotto di domanda” diventa un ipotesi assai remota). Ma per dare un senso al tutto si deve innanzitutto considerare che il PIL non è un indicatore razionale del benessere. Difatti il PIL contiene anche i soldi spesi per le “finestre rotte”. Che non sono ricchezze disponibili all’utilizzo o al consumo ma ricchezze dissipate. --- Produzione: calcolo = paniere. ----- Esemplare è che non vi venga conteggiato il valore delle merci usate, cosicché un loro spreco non influisce sull’indice, mentre invece vi influisce il valore delle merci nuove prodotte appositamente per sostituirle, dando risultati completamente sballati della ricchezza reale dell’economia nazionale dato che per produrre quel valore (in sostituzione dei beni demoliti) si sono sprecate inutilmente risorse che se utilizzate per altre produzioni avrebbero certamente creato un valore aggiunto maggiore (e perlomeno un utilità maggiore), il cui differenziale è realmente in meno sul PIL, mentre oggi si considera ciecamente quel valore totale nominalmente come “in più”. Si consideri ad esempio (come già detto nella nota ---) come una causa la tassa sul passaggio di proprietà delle automobili: essa è talmente alta che spesso supera di molto il valore stesso dell’auto; cosicché molte vetture che avrebbero potuto essere vendute sul mercato dell’usato e così svolgere il loro servizio utile per altri anni, oggi vengono invece demolite ancora funzionanti; il valore totale dell’usato di queste auto è una perdita secca per un economia nazionale. Non venendo conteggiata nel PIL, si conferma l’assoluta inaffidabilità di esso come indicatore dell’economia reale.
“Ho provato a mangiare il denaro, ma non era mica buono” (Marco Paolini)
Per poter fare un confronto tra i livelli del PIL tra paesi aventi ciascuno la sua unità monetaria, si verrebbe fuorviati traslando i tassi di cambio della moneta, in quanto essi rispecchiano l’andamento della bilancia commerciale (comprensiva di movimenti finanziari) e non ---dei beni effettivamente usufruibili pro capite nei rispettivi paesi. Si otterrebbe quindi un ---analisi---- distorta, per questo motivo si usano gli indici mc donald e coca cola. Oppure in “parità dei poteri d’acquisto”, basata su un paniere più vasto. ------qui o su altro pil o su commercio internazionale?-------
Per poter confrontare i livelli del PIL e del PIL pro capite dei vari paesi è assai opportuno, tuttavia, evitare di usare i tassi ufficiali di cambio per convertire i dati dei vari paesi in una valuta comune, ad esempio il dollaro. I tassi di cambio rispecchiano infatti l’andamento delle bilance dei pagamenti, che sono influenzate sia dalle diverse competitività dei paesi rispetto ai soli beni e servizi commerciabili internazionalmente, sia dai movimenti di capitale, anche transitori. Essi tendono quindi a distorcere profondamente i confronti, conducendo a sovrastime, anche di due o tre volte, dei dati dei paesi industrializzati nei confronti di quelli dei paesi poveri rispetto agli effettivi poteri d’acquisto relativi esistenti nei diversi paesi.
Si è quindi proceduto, a partire dal 1954, a ricalcolare i dati di contabilità nazionale dei vari paesi esprimendoli in PPA (parità dei poteri d’acquisto). Si cerca essenzialmente, con tale approccio, di tener conto di quanto costi un certo paniere di beni e servizi di diversi paesi, e di tener conto di questi rapporti, e non del tasso di cambio, per costruire su base bilaterale o multilaterale i rapporti di conversione che, ad esempio, esprimano il PIL italiano in dollari. ---metodo Geary-Khamis-------
Ricapitolando, un azienda in cui tutti i lavoratori sono soci ha molta più flessibilità in quanto non ha il costo base fisso in bilancio rappresentato dai salari, costo per il quale il proprietario singolo può intervenire solo (ove possibile) diminuendo i salari o licenziando; mentre i soci di un azienda socializzata possono lasciar fluttuare periodicamente i redditi accumulando collettivamente gli utili non distribuiti, ridistribuendo così i dividendi tra periodi espansivi e periodi recessivi[347], conferendo magari col proprio capitale personale in caso di bisogno e suddividendo i rispettivi turni a seconda delle esigenze produttive e personali. Mentre un singolo proprietario oggi non può nemmeno chiedere un temporaneo abbassamento dei salari ai propri dipendenti, figuriamoci un prestito. L’aumento della concorrenzialità sarebbe determinato anche dall’estensione dell’imprenditorialità a tutti i lavoratori e dall’eliminazione delle barriere fondative burocratiche e dei privilegi di categoria, col risultato che, nonostante la differenza di valore totale tra ogni azienda, ceteris paribus tale valore suddiviso pro capite verrà tendenzialmente ad eguagliarsi, congiuntamente ai redditi. Ovvero in parole povere per questi motivi se un azienda socializzata il cui valore totale stimato è, ad esempio, 100.000 fosse posseduta da 10 soci, una il cui valore stimato è 1.000.000 verrà ad equilibrarsi su 100 soci. -----saggio di profitto-------- A parità di tecnologia ovvero di capitale investito. In quanto il valore delle aziende non sarebbe più determinato da fattori psicologici, ma dal valore reale della loro produttività, e secondo la teoria dell’equilibrio economico generale verrebbe ad adeguarsi per socio, non su valori assegnati irrazionalmente generalmente. Per questo motivo le somme come fornitura del credito sociale non dovrebbero variare di molto da persona a persona, e mantenersi su livelli piuttosto bassi rispetto al valore oggi sicuramente gonfiato attribuito alle aziende nel mercato azionario rispetto al rapporto con la massa monetaria circolante (M1, M2, M3[348]).
“Le borse e l’economia son due cose diverse” (Milton Friedman)
Eccezione farebbero quelle aziende a numero artificialmente limitato, tipo le squadre di calcio. In quel caso il valore della squadra verrebbe ad adeguarsi al --------- del nuovo socio. In tal caso il credito sociale per i nuovi --------- verrebbe calibrato su quanto sia promettente il nuovo calciatore.
Data per presunta una situazione nella quale gli ingressi dal mondo della scuola e le uscite per pensionamento si equivalgano, in cui tutti gli abili abbiano una quota in azienda, i valori di ogni quota aziendale così stabili varierebbero nei confronti di una situazione nella quale gli ingressi dal mondo della scuola superassero i pensionamenti o viceversa. Come in disoccupazione o opposto?
+ uscite da scuola – pensionamenti = + valore aziende
- uscite da scuola + pensionamenti = - valore aziende
-----come
unire???-----
I polli di Trilussa: se uno ha due polli e un altro non ne ha, in media i due hanno un pollo a testa.
Come
conseguenza alla critica del plusvalore i marxisti si impuntano sulle
differenze reddituali e patrimoniali tra persone, che essi vorrebbero
appianare. Ma non si rendono conto che la definizione dei prezzi di un bene è
determinata da una concorrenza tra le persone aventi lo stesso livello di
potere d’acquisto, e non tra persone con redditi diversi (si veda l’esempio
fatto su “Robin Hood” a pagina ----). Ovverosia, il prezzo del pane solitamente
non viene ad aumentare a causa di una spropositata domanda da parte di persone
con redditi superiori, dato che obiettivamente anch’esse necessiteranno della
stessa quantità massima di pane quotidiano umanamente consumabile (“consumo
autonomo”). Il concetto fondamentale che ribadiamo è che la concorrenza per
l’accesso ai beni è interna a ciascuna “classe”, quindi nessun “ricco”
toglie il necessario al “povero”. Gli “toglie” il superfluo, gli toglie quello
che in ogni caso il povero non avrebbe: ponendo che in un anno vengano estratti
100 diamanti (ovvero il “superfluo”) come si potrebbe suddividerli tra un
milione di persone ipoteticamente esistenti? I 100 diamanti dovranno per forza
andare solo alle 100 persone che in concorrenza tra tutti potranno offrire le
condizioni migliori al venditore. Oppure i 100 diamanti potrebbero essere
distrutti o non estratti… in tutti i casi ci sarebbero almeno 999.900 persone
prive di diamanti. Probabilmente chiunque sopravvivrebbe senza problemi anche
senza il possesso di un diamante…
“Un uomo è ricco in proporzione al numero di cose di cui
può permettersi di far senza” (Henry
David Thoreau)
Il problema si pone quando si desidera un diamante…
2.6 La ripartizione
delle ricchezze ed il consumismo
« Non serve a niente che il superbo e insensibile proprietario terriero ispezioni i suoi vasti campi, e che, senza pensare ai bisogni dei suoi fratelli, nell’immaginazione consumi da solo tutto il grano che vi cresce. Il familiare e comune proverbio, che dice che l’occhio è più grande della pancia, non è mai stato così vero come nel suo caso. La capacità del suo stomaco non regge il paragone con l’immensità dei suoi desideri, e non è maggiore di quella del più umile contadino. [...] La produzione del terreno mantiene in ogni momento quasi lo stesso numero di persone che è in grado di mantenere. I ricchi non fanno altro che scegliere nella grande quantità quel che è più prezioso e gradevole. Consumano poco più dei poveri, e, a dispetto del loro naturale egoismo e della loro naturale rapacità, nonostante non pensino ad altro che alla propria convenienza, nonostante l’unico fine che si propongono dando lavoro a migliaia di persone sia la soddisfazione dei loro vani e insaziabili desideri, essi condividono con i poveri il prodotto di tutte le loro migliorie. Sono condotti da una mano invisibile a fare quasi la stessa distribuzione delle cose necessarie alla vita che sarebbe stata fatta se la terra fosse stata divisa in parti uguali tra tutti i suoi abitanti, e così, senza volerlo, senza saperlo, fanno progredire l’interesse della società, e offrono mezzi alla moltiplicazione della specie. Quando la Provvidenza divise la terra tra pochi proprietari, non dimenticò né abbandonò quelli che sembravano essere stati lasciati fuori dalla spartizione. » (Adam Smith, “Teoria dei sentimenti morali”)
Una volta in televisione un sindacalista commentò: “non mi capacito di come un operaio possa essere fascista”. A parte il fatto che con tale commento “politically correct” intendeva in realtà dire “non mi capacito di come un operaio possa non essere comunista”, il punto fondamentale è che con “operaio” si riferiva ad una persona disoccupata. Ecco, il fatto stesso che i comunisti accomunino un disoccupato ad un operaio dovrebbe essere già di per sé chiarificatore sui loro concetti sociali. Ed in secondo luogo il fatto ugualmente indicativo che i comunisti vedano la politica come uno scontro non tra proposte migliori per tutti ma tra classi i cui interessi sarebbero divergenti a prescindere da tutto, e di conseguenza da una parte debbano stare gli uni, e dall’altra gli altri, dà l’idea di cosa intendano loro per politica: la difesa degli interessi particolari personali. A prescindere che magari vadano a discapito di altri o ancor peggio, come è in realtà, indirettamente di tutti, loro stessi compresi. Ma sembra la loro filosofia sia “muoia Sansone con tutti i filistei!”.
“Il capitalismo è una ingiusta ripartizione della ricchezza. Il comunismo è una giusta distribuzione della miseria” (((----chi???----) o Su Le crisi sono autocorrezioni del sistema????
Dato che per loro la politica è questo, sicuramente immagineranno che anche per tutti gli altri sia così, e debba esserlo; non potrebbero riuscire ad immaginare che esista qualcuno per il quale il motivo dell’impegno politico non sia dettato da interesse personale ma da interesse globale. Strabuzzerebbero gli occhi. Paradossale appare quindi una frase del genere pronunciata proprio da un comunista:
“Molti agrari sono spesso gretti, egoisti, crudeli, ma soprattutto essi sono ignoranti. Costoro non riescono a capire un’azione morale qualsiasi, un gesto di generosità, non riusciranno mai a capire perché un uomo si batte e lotta e va incontro a gravi pericoli per il bene di tutti. Sempre essi penseranno che quell’uomo sia mosso da un qualche interesse, da una avidità di guadagno simile alla loro” (Giuseppe Di Vittorio)
Ma probabilmente anche Di Vittorio, lungi dal ritenerlo “camerata oggettivo”, lo intende come interesse di classe, non come interesse globale. Interesse globale inteso non come filantropia, ma come consapevolezza che il proprio interesse è unicamente (e non potrebbe essere altrimenti) originato di riflesso dall’interesse globale. Ma come si può pretendere che ciò sia comprensibile a ----------? Chiedendosi se sia lecito usare ogni mezzo contro i comunisti, si consideri che le loro intenzioni avrebbero portato tutti (loro stessi compresi) alla povertà più nera. Alla fine, l’ovvia risposta da dare a quella persona avrebbe dovuto essere, secondo il loro metro, piuttosto, “perché mai un disoccupato potrebbe non essere fascista?”. Se, come è per loro, la politica è lo scontro tra interessi divergenti, perché mai un disoccupato dovrebbe parteggiare per chi è la causa della sua disoccupazione, ovvero l’operaiato sindacalizzato comunista? Ovviamente, fargli capire che chi è disoccupato lo è a causa degli altri lavoratori, e non dei padroni, è pura utopia. Come inculcargli che la concorrenza è tra i lavoratori, e non verso i pochi padroni (meri coordinatori)? I padroni, come si sa, sono il capro espiatorio di ogni male, per i comunisti. Di conseguenza è inevitabile che i comunisti nel loro fantastico immaginario pensino che il fascismo sia composto da padroni, borghesi, militari, ecc, anziché com’è nella realtà, di una vera e propria “corte dei miracoli” della più ampia gamma del disadattamento sociale esistente. E non certo per i motivi addotti dai comunisti (cioè per ogni aggettivo negativo affibiato ai fascisti), ma proprio per il fatto in sé che è il fascismo, e non altri, a promettere l’eliminazione delle cause del disagio sociale.
“Vivere semplicemente per permettere agli altri di semplicemente vivere” (Mahatma Gandhi)
E le promette non per prometterle demagogicamente per attrarre quei pochi voti, ma implicitamente in maniera insita nel suo stesso ----essere------ in quanto le cause del disagio sociale attuale sono implicitamente causate dal liberal-capitalismo, ma ancor più dai rimedi che il liberal-capitalismo deve attuare per attutire le ----istanze----- del sindacalismo classista. Quindi essendo il fascismo opposto sia all’uno che all’altro è implicito che chi sia consapevole dell’origine delle proprie disgrazie si rivolga a chi con il quale condivide queste disgrazie con lo scopo di annullarle. Che non sono certo i padroni, ma nemmeno i ben pasciuti salariati, comunisti o meno che siano. Sono quelli che non hanno nulla più che i soldi per mangiare, elemosinati qua e là o risparmiati faticosamente chissà da quando, ed una casa comunale della quale non possono pagare l’affitto. Quelli ai quali l’Enel sigilla il contatore per morosità. Quelli ----esempio------. Ma quello che più è straordinario è che queste persone non sempre giungono al fascismo con tale cognizione di causa. Si può dire che ne siano attirati come da una calamita, che li attira inconsapevolmente verso il polo giusto per loro. -----frase tassi?----- mago Otelma ------ Teodoro Buontempo ----- cameratismo oggettivo -----
analizzare nostalgismo come concetto
“Sud”, libro in cui Marcello Veneziani descrive la sezione missina della sua giovinezza come una tana puzzolente di reduci e reietti, petomani e ruttatori, dove si passava il tempo fra saluti romani e scherzi da caserma. “Una genìa di umanoidi”, scrive: gli aristocratici devono essergli sfuggiti.
E questo non è una novità. Se si spulciano le biografie dei personaggi del regime mussoliniano si ritrova la medesima “corte dei miracoli”, in contrapposizione ai governi precedenti e successivi omogeneamente composti di persone “per bene”. Non vogliamo presentarlo come una cosa positiva o negativa, ma come non fare un paragone tra un qualunque incartapecorito ministro degli esteri pre o post fascista, con un ministro degli esteri che emette un comunicato da un balcone con sotto uno stendardo con la morte che stringe un pugnale tra i denti? Quale ministro ---------- può, come Farinacci, essere --------- di aver perso una mano pescando di frodo con l’esplosivo in un laghetto abissino? La cosa potrebbe far sorridere, ma la presentiamo come indicativa della citata “corte dei miracoli”. Ne come positiva, ne come negativa. Ad ognuno valutarla dal proprio modo di vedere.
“Non potevo non avere una certa fedeltà e riconoscenza verso quel regime attraverso il quale io, che ero nessuno, figlio di povera gente, di operai, cominciando col fare il fattorino, ero arrivato a dirigere un quotidiano” (Alberto Giovannini)
Per quanto inconcepibile possa apparire ciò ad una persona dotata di razionalità, questo è un pensiero assai comune tra i comunisti. Basterà citare il libro di Guido Caldiron “La destra sociale, da Salò a Tremonti”, di cui un capitolo è intitolato “perché i poveri votano per i ricchi”, riprendendo uno studio eseguito da Thomas Frank negli Usa. Il risultato a cui lui giunge è comune a quanto ----da noi scritto qui------, quelli che lui definisce conservatori, la classe non ha a che vedere coi soldi che uno possiede: “ciò che fa di voi un membro del valoroso proletariato, non è tanto il lavoro in sé, quanto l’umiltà, l’assenza di pretese e tutte le altre qualità che gli analisti hanno osservato negli stati che hanno votato per George W. Bush. I produttori della nazione se ne fregano della disoccupazione, di una vita fatta di impasse o del padrone che guadagna cinquecento volte più di loro” ----- destra sociale pag. 72-73. ------ , osservando come ad unire in un comune -------- padroni e dipendenti sia il disprezzo verso -------------------: “il grande fossato che separa le regioni che hanno votato repubblicano e quelle che hanno votato democratico, sembra avere un qualche rapporto con questa idea di classe sociale: i veri produttori contro i parassiti, i laboriosi contro i gaudenti, la gente comune contro gli snob”. Egli ed altri autori (tra cui il blogger conservatore Andrew Sullivan) definiscono ciò come una “guerra di classe” tra ricchi liberal e poveri repubblicani.
Nel libro “La destra sociale – Da Salò a Tremonti” di Guido Caldiron (edizioni Manifestolibri) un capitolo è dedicato a “perché i poveri votano per i ricchi”. Non esiste voto per i ricchi o voto per i poveri. Esiste voto per chi amministra bene o per chi amministra meno bene. E come abbiamo già visto la differenza tra le due cose non vale tanto per i ricchi (c’è poca differenza tra 30 e 31, ma molta tra 1 e 2), quanto per i poveri. ----- destra sociale pag. 60 e seguenti ------
Il risultato di questa ignoranza da parte dei comunisti li porta a capovolgere la loro cognizione di chi siano i “benefattori del proletariato” e chi i malfattori. Ed ha portato sedicenti comunisti a colpire i veri benefattori, quali Gino Giugni, Sergio D’Antona e Marco Biagi. Questo pone anche dei seri dubbi che a volerli colpire siano stati dei veri comunisti… ----Treu?----
“Rosse, dobbiamo considerarle proprio rosse? Provo molta vergogna perché al marxismo, al socialismo, ho dedicato una vita. Ma giorno verrà in cui scopriremo la verità. Sapremo cioè che la centrale del terrorismo è sempre la stessa e che di volta in volta cambiano le marionette e non i burattinai” (Sandro Pertini[349])
----come unire???-------
Sottoproletariato in inglese: underclass. Più concernente.
Sciopero: criticarlo o giudicarlo necessario? Sui soldi di Agnelli?
“Un bisogno essenziale di una persona può essere soddisfatto solo in mezzo ad altre persone” (Mary Douglas) - “Noi consumiamo per gli altri, non per noi stessi” (Mary Douglas) ---mercato e società pag. 210.
I soldi di Gianni Agnelli sono di Gianni Agnelli? Mettiamola così: se di punto in bianco non ci fosse più niente da comprare con quei soldi, tale domanda non avrebbe più alcun senso. Quindi il potere d’acquisto di Gianni Agnelli dipende dalla volontà di tutti di produrre quei beni che Gianni Agnello può scambiare coi suoi soldi. E’ sbagliato ------catto-comunisti ------ cruna ago cammello ---- ricco perché rubare, non tutti. ----mercato e società pag. 174.
differenza cattolici – protestanti: cruna ago cammello --- anche perché esiste una definizione univoca di “ricco”? --- su uso dei soldi. ----tutto qui o più giù su uso dei soldi?----
Un esempio della differenza tra mentalità fascista e mentalità capitalista-comunista: in determinati ambiti tipo Mc Donald è imposto ai dipendenti il sorriso, pena il rischio di licenziamento. Per la mentalità fascista, prima di tutto il licenziamento non è concepibile come “rischio” unilaterale ma come normale evento in un rapporto bilaterale. In secondo luogo la mentalità fascista rifiuta di attuare comportamenti frivoli dietro costrizione. Il lavoro salariato è un lavoro costrittivo. Uno dei punti che contraddistingue -------------- è:
“La creazione di un mercato del lavoro, dove il lavoro sia scambiato liberamente, con persone che non solo siano in grado giuridicamente di vendere in modo libero la loro forza di lavoro sul mercato, ma che siano anche costrette a farlo” (da “Mercato e società”, pag. 20)
Solo nel lavoro libero, ovvero socializzato potrebbe “sorridere” al cliente, non per costrizione ma per proprio interesse e libera scelta. Questa una fondamentale differenza del concetto di “lavoro” tra fascisti e non fascisti.
Un concetto la cui applicazione è ancor oggi resa impossibile appositamente da leggi ovvero ---obblighi--- che impediscono o scoraggiano mediante punizione prospettata qualunque intrapresa di attività che esca dal seminato del padronato. Un chiaro esempio è la regolamentazione di determinati servizi e attività tramite la necessità di licenze solitamente quasi impossibili da ottenere, che impedisce quindi a chi abbia la volontà e la capacità di svolgere una determinata mansione. Il che fino ad un certo punto è necessario (se tutti avessero la licenza di pesca non rimarrebbero più pesci…), ma quando (come è oggi) questo è finalizzato a far mantenere ---garantire?—giuridicamente---- interessi particolari (tra cui il prezzo artificialmente alto del servizio al consumatore) di una ristretta cerchia lobbistica o sindacale allora il guasto all’economia nazionale che ciò causa non dovrebbe essere permesso. Intraprendenza castrata, repressa.
A volte capita che qualcuno prenda le difese della commercializzazione delle licenze. Non sempre tali difensori sono persone dotate di caratura criminale come sarebbe prevedibile attendersi, ma sono semplici persone comuni, che magari mentre apologizzano un reato ne deprecano altri. Una tipica ipocrisia. Inutile fargli notare che non solo i detentori di licenza l’hanno pagata, ma anche gli spacciatori di droga hanno pagato la merce che gli viene sequestrata. Secondo la loro logica, togliendo il loro “due pesi e due misure”, anche lo spacciatore avrebbe il pieno diritto di vendere la sua merce, avendola pagata. Diverso sarebbe, ovviamente, il discorso allorquando il sistema delle licenze venisse tolto dal limbo di anarchia nel quale si trova ora e regolamentato secondo crismi sensati.
Ma il problema principale non è il guasto al sistema economico complessivo; è piuttosto l----- guasto----- che impone a specifici gruppi di persone. Dato che, davanti a queste barriere artificiali, non viene oggi posto nulla in ---contraccambio ----- a pareggiare --------, ma ogni minimo ----- viene legalmente impedito, per impedire che una persona possa fuggire dal serbatoio della disoccupazione finalizzato al ricatto ai salariati “terrorizzati”.
Per chi non vede nel licenziamento una minaccia è impossibile mantenere efficienza quando questa viene solo estorta sotto tale minaccia. Per questo motivo i lavoratori migliori (e tali proprio in quanto e perché non vedono nel licenziamento una minaccia) in una società che fa della coercizione il suo stimolo produttivo non possono altro che trovarsi spaesati e maggiormente crollabili in alterazioni psichiche che inevitabilmente aggravano ulteriormente come in una spirale la condizione generale dei rapporti sociali dell’individuo. ----- Unire a lavoro in urss ----- alienazione -----
Il rapporto padrone-salariato non deve essere paritario o pendere a favore dell’uno o dell’altro. proprio non deve esistere! ------ concetto di organizzazione lavoro (liberismo, socializzazione, ecc): “cultura organizzativa” --- rinforzo: incentivi per produttività
“Meglio essere un delinquente che un borghese” (Ernst Jünger) -----qui???----
non iscritto a liste di disoccupazione e quindi rinunciare a sussidio per non voler dare il proprio contributo a chi si avvale delle percentuali di disoccupazione per il proprio profitto e quindi tende a favorire la disoccupazione. Non voler esserne complice.
Sottoproletariato disoccupato non iscritto a collocamento: perché non vuole alcuna beneficenza, nulla di più di quanto si meriti e sa di meritarsi. Nulla in regalo, ma la restituzione di quanto oggi gli è tolto! Non da qualcuno in particolare (come un datore di lavoro, sia anche un istituzione). Solo quello che è giusto, e che non avendolo equivale esattamente a che gli sia stato sottratto preventivamente. ----frase la povertà quando è immeritata ---------.
Per questo fascisti si scagliano contro il denaro.
Errore che fanno quei fascisti che preconizzano l’abolizione del denaro. Vorrebbero tornare al baratto? ---qualche frase da libro?---- certo lo Stato potrebbe limitare la necessità di ricorrere al mezzo del denaro, fornendo gratuitamente i servizi basilari tipo un alimentazione minima. Ma questo sarebbe solo una variazione di forma, non di sostanza. Superflua ed inutile quindi.
“Maledetto colui che inventò il denaro!” (Fulvio Rossato)
Alienazione – making out –
Identificazione dei dipendenti con i valori d’impresa – interiorizzarli
Cottimo: cameriere americane – mance – spinte ai limiti della prostituzione – lavoro pag. 72.
Questa ignoranza economica dei comunisti è oggi chiaramente riscontrabile nel retaggio ----- lasciato dall’educazione marxista negli abitanti dell’Europa orientale. Ben poca differenza si intravede tra essi e quelle scimmiette che in India strappano di mano qualunque oggetto ai turisti. Uomini regrediti al livello precedente a quello che li distinse dagli animali, la collaborazione sociale.
“L’educazione dovrebbe inculcare l’idea che l’umanità è una sola famiglia con interessi comuni. Che di conseguenza la collaborazione è più importante della competizione” (Bertrand Russell)
Concetto di lavoro in persone che non si sentono parte di una società – esempio con zingari, e dal lato opposto, ebrei ------ denaro numero fine a se stesso per entrambi, non merce prodotta. --- unire con est Europa?
----frase Simmel da mercato e società pag. 28?----
questa?: Simmel osservava che la disponibilità di denaro – che consente di ottenere qualunque cosa – può rendere difficile la costruzione delle scale di preferenza e indebolire la capacità di effettuare delle distinzioni tra i valori delle cose.
viene di nuovo spontaneo chiedersi quale tipo di economia insegnassero all’università di Mosca…
concezione est europea della ricchezza e depredamento museo bagdad
Zjuganov (ritenuto da più di un osservatore un autentico neo-fascista russo
Sollevare la polvere senza pulire
Nel 1955 truppe usa lasciano Austria
Avidità dell’est Europa – Marx da libro nero pag. 496 ------- su Marx pag. 496 come causa di povertà, su consumismo come originata da comunismo come filosofia economica----
tutti sono DIPENDENTI dello stato che amministra tramite ------appartenenti al partito unico, che in pratica vengono a sostituire i padroni, solo non interessati alla produttività se non per quel che tocca la propria carriera politica. E di conseguenza neanche i lavoratori (con quell’ esempio…) si sentono protagonisti del--------. Per porre rimedio a questo -----è stato creato il mito di Stachanov.
Il tutto condito dalla generale sostituzione della classe dirigente con
il residuo non “fatto fuori” della stessa , politicizzato e generalmente
incapace di dirigere aziende affidate
secondo criteri politici e non
attinenti alla capacità in nome di un egualitarismo ipocrita e falso.
Dittatura proletariato: ma se
tutti diventavano proletari, contro chi era questa dittatura? ----- qui
eliminazione 10% della società -------- ingegneria sociale sovietica. ---
“che interesse ho a curare la coltivazione dell’ orto se tanto il
prodotto non mi appartiene e i soldi che ricevo sono comunque gli stessi?” è il
ragionamento del contadino. “che interesse ho a controllare che il contadino
curi bene la terra se il prodotto non mi appartiene, non devo pagarlo io e i
miei superiori come me se ne disinteressano?” è il ragionamento della
nomenclatura.
La castrazione dell’ ingegno era causa di fughe di “cervelli” che in
diverso sistema sarebbero stati valutati -----------, mentre nello stato
comunista in nome dell’ egualitarismo ------------. Dopotutto anche volendo,
concedendo privilegi ad alcuni si
sarebbe creata una contraddizione dalla quale avrebbe potuto sorgere una
critica interna da parte dei duri e puri. Per fermare le fughe non trovarono di
meglio che impedire l’ uscita dallo Stato. Per far sopravvivere un sistema
chiaramente fallimentare fin dall’ inizio hanno dovuto alzare cortine di ferro
ed erigere muri. Che per inerzia ha vegetato per 70 anni.
Qualche tempo fa Billy comprò da un contadino un asino per 100 dollari.
Il contadino gli assicurò che gli avrebbe consegnato l’asino il giorno
seguente.
Il giorno dopo il contadino si recò da Billy e gli disse: “Mi dispiace
ma ho cattive notizie: l’asino è morto.”
Billy rispose: “Allora dammi indietro i miei 100 dollari”
E il contadino: “Non posso, li ho già spesi”.
A quel punto Billy si fece pensieroso, poi disse al contadino: “Va bene,
allora dammi l’asino morto.”
- “E che te ne fai di un asino morto, Billy?”
- “Organizzo una lotteria e lo metto come premio”
Il contadino gli disse ironico: “Non puoi vendere biglietti con un asino
morto in palio”.
Allorché Billy rispose: “Certo che posso, semplicemente non dirò a
nessuno che è morto”.
Un mese dopo il contadino incontrò di nuovo Billy, così gli chiese:
“Come è andata a finire con l’asino morto?”
- “L’ho messo come premio ad una lotteria, ho venduto 500 biglietti a
due dollari l’uno e così ho guadagnato 998 dollari”
- “E non si è lamentato nessuno?”
- “Solo il tipo che ha vinto la lotteria, e per farlo smettere di
lagnarsi gli ho restituito i suoi due dollari”
Billy attualmente lavora per la Goldman Sachs.
“Anche l’operaio vuole il figlio dottore” (Contessa
----chi?----)
Il fascismo si rende conto delle diversità, delle specializzazioni, e le incoraggia. In quest’ottica va vista la riforma scolastica di Gentile del ’3? ----econometria??? O parola simile ---
“Non è il male il vero pericolo per il mondo, è la parola sbagliata, è la stupidità a essere pericolosa” (Jack Kerouac)
I redditi superiori a quelli di sussistenza permettono l’acquisto di beni il cui consumo è per antonomasia definito “indotto”; la cui disponibilità è in ogni dato tempo limitata, generalmente superflui, spesso innovativi, dei quali le fasce inferiori non possono certo sentire la mancanza. La regolazione è data dalla suddivisione verticale del plusvalore (piramide) che crea la curva di domanda tramite la funzione di consumo aggregato. L’ignoranza del concetto di “consumo indotto” ha portato al consumismo spingendo le persone al desiderio di prodotti di cui gli viene fatta sentire un inesistente scarsità, e come conseguenza di ciò a pianificare utopici “sistemi economici perfetti”. Avendo assodato come il ruolo sociale dei sindacati si esplichi nello spingere i lavoratori a volere “tutto e subito senza sforzo” ed avendo riassunto come ciò sfoci in “chi troppo vuole nulla stringe” (stagflazione), rimane da verificare che, a loro malincuore, i “replicatori” di oggetti esistano solo nella fantascienza della serie tv “star trek”, ed ancora nessuno sia riuscito a trasformare il piombo in oro e ad inventare il moto perpetuo. Per Carl Popper e Noam Chomsky l’idea della possibilità di una “società perfetta” si deve spiegare proprio con l’abbassamento del livello di razionalità.
“Come uomini razionali... dovremmo preoccuparci solo di manipolare il comportamento in una direzione desiderabile, e di non farci ingannare da mistiche idee di libertà, esigenze individuali o volontà popolare” (Noam Chomsky)
Ed è su questo che distributismo e buddismo convergono. Da cui una parziale conferma del luogo comune che accosta il sottoproletariato al fascismo. Ma l’antimaterialismo non deve essere confuso con ascetismo; i fascisti fanno lo stesso errore iniziale di Budda quando predicano e praticano il loro tipico ascetismo ed il disprezzo del denaro; quella giusta è la buddista “via di mezzo”, che nel caso in questione è simbolizzata dal mito del “contadino, del monaco, e del guerriero”; il pauperismo non contrasta con i suoi propositi quando si nota la ricchezza posseduta per antonomasia dagli ordini religiosi: a differenza dell’ascetismo il pauperismo è accettazione della povertà, non ricerca della povertà. Non è nichilismo, ma altruismo e pragmatismo. Non è importante quanto denaro si possieda, ma come esso venga impiegato. Quest’anima pauperista è chiaramente simbolizzata da Teodoro Buontempo che viveva nella carcassa di un automobile. ----spostare su???----- I fascisti che in nome del loro antimaterialismo sottoproletario non hanno vergogna ad elemosinare col loro tipico spirito goliardico sintetizzato dallo stereotipo “camerata camerata, fregata assicurata” consci che il “camerata” meno povero non gli negherà il giusto, potranno trovarne soddisfazione nel loro “ego” alla pari di un boehemiennè[350], ma il voler appositamente non produrre è contrario ai princìpi pauperisti. Il pauperismo disprezza l’avidità, non la ricchezza.
“Il denaro che si possiede è
strumento di libertà; quello che si insegue è strumento di schiavitù” (Jean-Jacques Rousseau)
Oggi il volontariato è quantomai diffuso tra tutt------ecc---. Ma si dimentica troppo spesso in quale ambito nacque in modo organizzato il lavoro volontario: prassi, solamente attuata, nel movimento legionario romeno e nella RSI, del lavoro volontario, la cultura del lavoratore, che abbatte, con l’autoconsapevolezza della forza-lavoro, la schiavitù del capitale e del salario, ---- su ---collaborazione umana -------.
Ben diverso da chi lavora solo dietro pagamento. Ecco perché in diverse parti del testo abbiamo definito più parassita chi lavora per i soldi, che chi non lavora ma lo farebbe anche gratis. Inconcepibile per, appunto, i veri parassiti.
“Il lavoro migliore non è quello che ti costerà di più, ma quello che ti riuscirà meglio” (Jean-Paul Sartre)
Ciò lo avvicina anche ad ideologie di alcuni gruppi nazional-anarchici, che hanno in comune con fascismo e buddismo queste teorie antimaterialiste interclassiste; l’esempio è il filosofo inglese Troy Southgate. Egli considera l’anarchismo di per sé equidistante dal liberalismo (“destra”) e dal socialismo (“sinistra”). Questo perché ritiene che il liberalismo sbagli ponendo la libertà individuale prima di quella collettiva, e il socialismo faccia l’esatto contrario. Ambedue le prospettive sono inaccettabili per un anarchico: libertà e uguaglianza, libertà individuale e sociale, secondo loro devono proseguire parallele. Essi non negano il principio di autorità a livello economico, e cioè la proprietà privata e il capitalismo. Ma valutano che il capitalismo per sua stessa costituzione nega l’uguaglianza economica.
“La povertà condanna
saldamente i popoli ai lavori forzati più di quanto lo fossero stati dalla
schiavitù. Da essa potevano anche liberarsi, ma non dalla miseria. I diritti
repubblicani per un uomo povero non sono altro che un boccone amaro di ironia,
poiché la sua necessità di lavorare duramente quasi tutto il giorno ne toglie
qualsiasi bisogno attuale, ma d’altra parte lo deruba di tutte le garanzie di
un guadagno certo e regolare, rendendolo dipendente dagli scioperi dei suoi
compagni o dalle serrate dei suoi padroni. Oggigiorno i popoli sono caduti
nella morsa dei farabutti spietati avidi di denaro che hanno creato un dominio
alle spese dei lavoratori. Il nostro potere sta nella mancanza cronica di cibo e
nella debolezza fisica del lavoratore, perché ne deriva la sua assoggettazione
alla nostra volontà, e non troverà dalla parte delle sue autorità né il potere,
né la forza, per contrastare la nostra volontà. La fame conferirà al
capitalismo dei diritti di comandare il lavoratore infinitamente più potenti di
quelli che il legittimo potere del Sovrano potesse conferire all’aristocrazia.
Dal bisogno, dall’invidia e dall’odio che genera, mobiliteremo le folle
tumultuanti, e con le loro mani cancelleremo tutti quelli che ci ostacolano la
via” (dal “pamphlet contro
Napoleone III” di Maurice Joly)
Oggi il bisogno alimentare descritto in questa citazione è stato sostituito attraverso la propaganda individualista al consumismo. Esso è un Moloch che si nutre delle necessità indotte nella massa ignorante dei meccanismi economici e del proprio ruolo organico nella società, insinuandovi egoismo, cinismo, nichilismo, sfociati nella criminalità. La deriva della società odierna è evidente nel crescente scempio di beni artistici che per centinaia di anni hanno resistito alla mercé di tutti ed oggi vengono mutilati per essere venduti a caro prezzo, e sarà sempre peggio man mano che si allarga la differenza tra ricchi disposti a spendere sempre di più per questi superflui beni, e poveri sempre più disposti a fare qualunque cosa per poter mangiare quel poco. Oggi la pubblicità ci dice che abbiamo bisogno di tanti aggeggi costosi e tenta di convincerci che il valore umano dipende dalla ricchezza materiale. L’economia intesa nel modo odierno richiede consumo, e ci spinge a consumare fino a tutte le nostre capacità di pagamento (e spesso oltre) per questo consumo.
“La tradizionale relazione tra bisogno e soddisfazione deve essere rovesciata: la promessa e la speranza della soddisfazione devono precedere il bisogno […] in realtà la promessa è tanto più attraente quanto meno il bisogno in questione è familiare; c’è molto gusto a vivere un’esperienza che non si sapeva nemmeno esistesse o che fosse disponibile. L’eccitamento del nuovo e la sensazione dell’inedito sono il nome del gioco del consumo” (Z.------ Bauman) ---mercato e società pag. 232.
Consumare per produrre, anziché produrre per le esigenze sentite. Appena vennero costruite le autostrade molti commercianti dei paeselli si lamentavano che assieme al passaggio di auto erano diminuiti gli affari. Ecco il tipico retaggio del lavoro non come necessità, ma l’opposto. A loro vedere evidentemente non erano loro a lavorare per colmare una necessità, ma era la necessità a “permettergli” di lavorare. Non a costringerli. Se non c’è necessità non c’è bisogno di faticare e perdere tempo per colmarla!
Marx aveva chiamato, questo fenomeno, feticismo della merce. La logica del mercato risponde appunto in questo: ogni oggetto in virtù della domanda aumenta di valore. Detto altrimenti, il desiderio dell’individuo è sempre il desiderio degli altri. ----più giù???----
“L’economia non segue la logica intrinseca dei bisogni” bensì “sono i bisogni a seguire la logica intrinseca dell’economia” (Niklas Luhmann) ---mercato e società pag. 139.
E proprio perché potenzialmente ci consente di ottenere qualunque cosa, il denaro tende sempre a trasformarsi in un fine in se stesso.
smentire assioma che il tempo è denaro e ogni ora di riposo sono “5 scellini” persi o spesi. ----da Weber-------
“Io ho quel che ho donato” (Gabriele D’Annunzio) ---- reciprocità --- specificare che comunque la ricchezza rimane nello stato -----
Come non ci stancheremo di ripetere, sembra quasi che persino nel complesso le persone siano soddisfatte di come stanno le cose. In realtà, più che soddisfatti, è giusto dire rassegnati. La normalità viene continuamente frustrata da fantomatiche crisi economiche, frustrazione nel lavoro, criminalità e violenza. Si reagisce rifugiandosi nell’apatia e nel qualunquismo, perché ci si sente impotenti ad agire secondo la propria testa. Si ricorre allora a palliativi come ad esempio la televisione, la droga, lo sport, la vana rincorsa al successo, illudendosi e dando l’impressione di essere “felice” in questo modo. Il risultato è il nichilismo.
“Che cos’è che ha trasformato
i proletari e i sottoproletari italiani, sostanzialmente, in piccolo borghesi,
divorati, per di più, dall’ansia economica di esserlo? Che cos’è che ha
trasformato le «masse» dei giovani in «masse» di criminaloidi? L’ho detto e
ripetuto ormai decine di volte: una
«seconda» rivoluzione industriale che in realtà in Italia è la «prima»: il
consumismo che ha distrutto cinicamente un mondo «reale», trasformandolo in una
totale irrealtà, dove non c’è più scelta possibile tra male e bene. Donde
l’ambiguità che caratterizza i criminali: e la loro ferocia, prodotta
dall’assoluta mancanza di ogni tradizionale conflitto interiore. Non c’è stata
in loro scelta tra male e bene: ma una scelta tuttavia c’è stata: la scelta
dell’impietrimento, della mancanza di ogni pietà” (Pier Paolo Pasolini)
Oggi tutto è subordinato al denaro, per cui anche la maggiore potenzialità, quando priva di tale prerogativa rimane sopita ed inutile. Attuali sono le polemiche sugli scarsi fondi per la ricerca scientifica. Come sappiamo l’origine di tutto questo va ricercata nelle filosofie illuministiche espressesi nella rivoluzione francese e debordate poi nel marxismo come critica alle presunte iniquità patrimoniali. Tendenzialmente, se vogliamo trovare una parola contraria a “fascismo”, essa è “nichilismo”.
“Chiunque ha tentato di creare uno Stato perfetto, un paradiso in terra, ha in realtà realizzato un inferno” (Karl Popper) ----qui???---
Agli occhi di Henry Kissinger appariva assurdo che, tanto più cresceva il benessere nei paesi europei, tanto più crescevano i voti al partito comunista. Il fatto è che ---- in Europa (e soprattuto Italia) scarsa cultura di mercato ----------vogliono------ tutto e subito-----, e la demagogia comunista lo promette a piene mani. A differenza dei comunisti, i fascisti non provano invidia verso i ricchi. A chi desidera così tanto i soldi verrebbe da chiedere perché allora non li ha. Uno che li volesse, potrebbe, al limite, rapinare una banca. Se non lo fa è solo per paura della prigione, come giudicarlo? Non perché non li desidera. Il pregio della ricchezza cambia allorquando la persona in questione ha accumulato non producendo, ma rubando, truffando o sfruttando e soprattutto tramando per mantenere il suo stato; egli usufruisce indebitamente di lavoro umano altrui. Ma in ogni caso il disprezzo maggiore va per chi crede che la sua ricchezza sia fonte di potere e di invidia.
“Anche il povero ha una precisa funzione nella vita sociale: permettere al ricco l’esercizio della generosità. Il povero non sa che la sua funzione nella vita è permetterci l’esercizio della generosità” (Jean-Paul Sartre)
I comunisti fanno il loro gioco, invidiandoli e odiandoli avallano le certezze di superiorità e legittimano i loro comportamenti. Il borghese sa che il comunista è in linea con lui, sa che al suo posto farebbe le stesse cose. Già secondo Sorel i socialisti aspirano a diventare borghesi.
“Sono in trattative per
comprare una casa in Marocco e andarmene là. Nessuno dei miei
amici comunisti lo farebbe, per un vecchio, ormai tradizionale e mai ammesso
odio contro i sottoproletariati e le popolazioni povere” (Pier Paolo
Pasolini) --- da Nuovi Argomenti numero 6, aprile-giugno 1967
Lo dimostra un avvenimento concreto: il 1° novembre 1951 il ministro La Malfa riduce i dazi, trovandosi una contrapposizione nell’atipica alleanza confindustria e sindacati. I dazi, il “non plus ultra” dell’avido egoismo, gli affossatori del commercio mondiale e la causa della crisi del ’29, unirono (ed uniscono) in una comune finalità d’intenti i due più acerrimi nemici per antonomasia… che poi sono anche quelli che criticano il fascismo per via dell’autarchia… ma si sa che per i comunisti vale il motto “le sole cose giuste sono quelle che facciamo noi”, ed ogni scusa è buona per sputare sul fascismo. --- su Non cioè il nazionalismo dei borghesi? ----oppure dove comunismo = capitalismo di stato. ---qui da destra sociale pag. 73!!!----
“Una società di uomini tra i quali il denaro rappresenti ancora una distinzione di rango e uno strumento di potere personale, non può dirsi fascista. Non si può transigere con la civiltà del denaro, cioè con la concezione mercantile della vita e con quella plutocratica della società” (Berto Ricci)
Ancor più, il disprezzo va al modo come vengono spesi i soldi. Ripetiamo: non è importante quanto denaro si possieda, ma come esso venga impiegato. Il denaro accumulato è in fin dei conti un pezzo di carta; il denaro speso è lavoro altrui usufruito. Questa è l’unica caratteristica che il fascismo porta in comune col suo opposto azionismo, incentrata su una visione giansenista della vita.
“Socializzazione è altruismo, è dignità di lavoro, è dirittura morale e politica del lavoratore. Se sarete egoisti, sarete peggio dei vostri padroni” (Nicola Bombacci[351])
Il denaro è un mezzo simbolico finalizzato ad organizzare la distribuzione dei beni (lavoro compreso), tramite il valore in denari che ogni bene viene automaticamente a prendere rispetto al valore di tutti gli altri. La questione quindi non è chi possiede e a chi va quel valore rappresentativo, dato che ciò è attribuito automaticamente, da una “mano invisibile”, e non da qualcuno che sia additabile di ciò. Piuttosto ci si può casomai chiedere il perché ovvero analizzare cosa partecipi all’automatismo nell’assegnazione del simbolo dei beni esistenti. E su questo, e solo su questo, si può, una volta identificato, agire.
Amartya sen – attribuzioni – biocarburante – attribuzioni: assegnazione-distribuzione dei diritti di accesso ad un prodotto --- quindi mettere attribuzioni tramite potere d’acquisto, non distribuzione o allocazione!!!!!
“L’uomo non è la somma di ciò che ha, ma la totalità di quello che non ha ancora, tra quello che potrebbe avere” (Jean-Paul Sartre)
I soldi sono simboli del lavoro inteso come produzione. Come dovremmo aver capito fin ora dalla lettura, è meglio una persona che guadagna 10.000 euro al mese e ne spende 1.000 che una persona che ne guadagna 2.000 e li spende tutti. Non è importante quanti pezzi di carta o numeri in un conto una persona ottiene, ma quanto lavoro umano sottrae, usufruendone, sia complessivamente che rispetto a quanto ne produce. ----aggiungere???--------- E’ questo il motivo per cui a Susy Blady in un documentario “viaggiatori per caso” in un paese sudamericano nel quale vuole comprare un gelato ad un gruppo di bambini secondo la sua logica pseudo-keynesiana “i bambini hanno bisogno del gelato, il gelataio ha bisogno di vendere il gelato”, viene detto dalla sua guida locale che così fa più del male che del bene ad entrambi. Un intelligenza del tutto inaspettata in una semplice guida turistica… un intelligenza, tra l’altro, assai rara in qualunque ambito, anche tra i più sopraffini economisti. ------Drogare l’economia ----- Non è benefattore chi distribuisce soldi (ovvero pezzi di carta), ma chi produce e vende frumento (o gelato…).
“Quando io do da mangiare a un povero, tutti mi chiamano santo. Ma quando chiedo perché i poveri non hanno cibo allora tutti mi chiamano comunista!” (Dom Hélder)
Valore aggiunto in droga e prostituzione – benefico per l’economia il commercio di beni con il maggior valore aggiunto, deleterio l’opposto.
Obiettivi di scala: tanti prodotti a costi calanti.
Obiettivi di scopo: prodotti diversi a seconda delle esigenze dei mercati.
Battaglia del grano: a scapito di colture più redditizie si, ma redditizie in che senso? In senso di valore numerico monetario! ---legge dei costi crescenti---- certo, toglieva radicchio e rucola ai ricchi sia italiani che all’esportazione, ma per dare grano ai poveri! Poco male se, secondo la legge economica dei rendimenti decrescenti, il valore della quantità di grano prodotta in più era inferiore al valore della quantità in meno di altri prodotti della terra. E coi dazi non si poteva svicolare importando rucola e radicchietto dall’estero. I poveri spendono la stessa cifra ma mangiano di più; i ricchi spendono la stessa cifra e mangiano meno verdurine pregiate, ma compensando con un possibile aumento di consumo di cereali (il cui prezzo è ridotto) in proporzione inferiore alle maggiori quantità prodotte a scapito di verdurine. Inoltre il crollo del prezzo dei cereali permetterebbe una maggiore produzione di carne per tutti. ---esportaz?---
Secondo il “principio dei costi crescenti” il valore monetario incrementato è inferiore a quello decrementato, ma i soldi sono pezzi di carta!
“Il guadagno è considerato
come scopo della vita dell’uomo, e non più come mezzo per soddisfare i suoi
bisogni materiali. Questa inversione del rapporto naturale, che è addirittura
priva di senso per il modo di sentire comune, è manifestamente un motivo
fondamentale del capitalismo così come è estranea all’uomo non tocco dal suo
soffio” (Max Weber) ---o su Lo slogan di Bertinotti
“lavorare?---
La crisi economico-finanziaria che attanaglia oggi, dopo il boom degli anni passati, l’America, la Gran Bretagna e l’Europa è il frutto di un’affaristica, che ha voluto tutto e subito, a suon di debiti. Ha creato una ricchezza virtuale e non reale, che sta per finire sommersa in un mare di cambiali, di pezzi di carta. ---o Su L’apoteosi dell’ottusità nella gestione del????------
Oggi ci sono migliaia di persone
creditori dello Stato. Cioè ci sono migliaia di persone che “possiedono”
miliardi di euro. Se essi dovessero chiederli, da dove arriverebbero questi
soldi? Da tutti noi (essi stessi compresi). E’ una ricchezza che oggettivamente
non esiste. Perché non esistono beni per simili cifre. Il sistema viene
salvato dal fatto che essi non li chiedono. Questo significa che ogni italiano
ha attualmente 31.000 euro di debiti verso un certo numero di concittadini che
hanno investito in bot ecc. L’indebitamento italiano rispetto al PIL è
oggi il 117%.
“Incerte sul loro stesso essere, le persone si appoggiano sempre più sul denaro criterio di valore. E’ considerato migliore ciò che costa di più. Il valore di un’opera d’arte è stabilito in base al prezzo. Le persone meritano rispetto e ammirazione perché sono ricche. Quello che è sempre stato un mezzo di scambio ha usurpato il posto dei valori fondamentali, rovesciando il legame postulato dalla teoria economica” (George Soros)
Oggi perfino la selezione naturale viene alterata dal consumismo, col risultato che viene percepito come alfa (dominante) un individuo sulla base del patrimonio personale; ma dato che come già spiegato, tale parametro oggi non è basato sulle effettive capacità, anzi spesso proprio l’opposto, il partner sessuale è indotto a fare una scelta sbagliata nell’errata convinzione di fare quella giusta. Come gli uccelli che covano le uova deposte appositamente da altri uccelli, o come farsi inseminare da un brutto maschio divenuto artificiosamente bello dopo interventi chirurgici.
“Questa prodigiosa materia è capace di rendere nero il bianco, bello il brutto, diritto il torto, nobile il basso, giovane il vecchio e valoroso il codardo” (William Shakespeare, sul denaro)
Quindi il sistema sociale attuale non è deleterio limitatamente all’oggi, ma lo è nei confronti della selezione naturale della specie, con risvolti prevedibili certamente anche nel futuro. Un probabile futuro che ritroviamo in un film di seconda categoria molto sottovalutato, “Idiocracy”, che descrive il risveglio di un normale uomo di oggi dopo secoli di ibernazione, in una società di completi idioti, dove però, come oggi, la ricchezza non manca (“panem et circenses”), e dove lui, oggi considerabile di intelligenza mediocre, si ritrova ad essere un “genio” in confronto agli altri.
“Strappa all’uomo medio le illusioni di cui vive, e con lo stesso colpo gli strappi la felicità” (Henrik Ibsen)
Ed in quella società, così come anche oggi, chiunque sia al di sopra della media si ritrova come minimo da solo seduto in cima ad una colonna come gli antichi stiliti, e quando pensasse di poter dimostrare il suo valore superiore si ritroverebbe semplicemente nella stessa situazione in cui si trovò Gesù Cristo al suo tempo. Disprezzato e crocifisso dal volgo stupido e ignorante.
“Gli schiavi felici sono i nemici più agguerriti della libertà” (Marie von Ebner-Eschenbach)
Non è un segreto che da circa un secolo, da quando Binet inventò i test d’intelligenza, si è registrata una progressiva diminuzione del quoziente intellettivo medio delle popolazioni, diminuzione che ha avuto un’accelerazione nell’ultimo trentennio. E’ un tipo d’informazione che ricercatori, psicologi, pedagogisti hanno messo molta cura nell’evitare di far arrivare al grosso pubblico. Per il semplice fatto che è considerata “politicamente scorretta”, in quanto “retriva” eugenetica.
Certo i test non sono -------. L’opinione pubblica spesso tende a considerare i test di intelligenza standardizzati come prova infallibile. Tuttavia essi non ci dicono molto sulla creatività e le attitudini sociali ----- ecc--- di una persona, come l’empatia (ovvero la capacità di conoscere se stessi e di comprendere gli stati emotivi e i comportamenti di altre persone immedesimandosene).
“Il problema nazionale è quello dell’educazione e dello sviluppo integrale e armonioso di tutte le facoltà dell’individuo e non della sola intelligenza” (Antonio de Oliveira Salazar) ---- o su affidabile garanzia di cultura e capacità.??? O su Cyril Burt per primo definisce disadattate?????
Parecchie persone ritengono che l’intelligenza sia una dote genetica e non possa essere sviluppata nel corso della vita. Ciò stride fortemente con il dato di fatto che le doti intellettive parentali ben raramente si ricalchino di generazione in generazione. Si potrebbero fare un nugolo di famosi esempi, perciò tanto vale non farne alcuno. I fattori ambientali sono certamente più determinanti nello sviluppo dei circuiti neuronali - (ovvero dei collegamenti assonici tra cellule nervose, le quali come è noto non si riproducono).
darwinismo sociale: trasposizione delle teorie darwiniste (selezione, evoluzione, più adatto) dalla biologia alla sociologia.
“Si dice che molto del lavoro del mondo è fatto da uomini che non sentono molto bene. Marx è uno di questi” (John Kenneth Galbraith)
Solamente allo scenario descritto in quel film può portare l’involuzione odierna del DNA umano. Oggi sono soprattutto gli individui inferiori a proliferare, mentre le persone realmente alfa rifiutano volontariamente di generare ulteriore sofferenza quale loro non possono far altro che vedere la vita in una società come quella attuale. L’unica possibilità per ribaltare questo declino della specie umana è lo ristabilire meritocraticamente le gerarchie effettive. Ma il tempo corre.
“Quando vengono meno le gerarchie, a spadroneggiare è, più che il caos, l’insulsaggine” (Nicolàs Gòmez Dàvila)
La più interessante analisi sul tema la si trova ad opera di Fabio Calabrese nel suo “L’Era della stupidità”: la paurosa decadenza dell’intelligenza degli esseri umani non può però essere associata solo alla mancanza di selezione naturale positiva. Ma anche dal fatto che ogni gruppo umano ha una sorta di mente collettiva. Mente che è formata dalla somma di quelle individuali e nello stesso tempo le plasma con forza in direzione di un conformismo che esclude duramente i discordanti. Oggi tale mente è governata magistralmente dalla televisione. Mentre famiglia ed etnia sono in crisi forse irreversibile. I media, soprattutto la televisione, sono concepiti per essere accessibili e catturare l’attenzione al livello mentale più basso possibile (raggiungendo un apice estremo su raiuno con il programma “i pacchi”, come fatto notare anche da Walter Veltroni), specialmente negli ultimi anni sono diventati il trionfo della stupidità, dell’ignoranza, della volgarità, del cattivo gusto. Guardando gli spettacoli televisivi si ha il sospetto che l’ignoranza, la stupidità, la volgarità non siano semplicemente la mancanza di cultura, di intelligenza, di educazione, ma una forza attiva terribilmente distruttiva. Nell’essere umano genetica e cultura s’intrecciano in modi complessi e sottili (le ramificazioni assoniche dei neuroni e la chimica sinaptica sono determinate anche dall’ambiente), nessuno ci dice che l’incultura mediatica non possa alla lunga avere conseguenze anche genetiche, se per esempio l’uomo rozzo, volgare, intellettualmente limitato che i reality show propagandano diventa dotato di appeal per il pubblico femminile per queste sue caratteristiche da subordinato, questo potrebbe rendere più difficile trovare una compagna ed avere una discendenza agli individui alfa più intelligenti e sensibili.
“Tu cos’hai per dimostrare una
vita di infingardaggine? Tutto! Sei tu quello che non va con l’America, tu la
vita la costeggi soltanto, fai il minimo possibile, come una sanguisuga ti
nutri di persone per bene lavoratrici come me. Sei un imbroglio, e se
vivessi in un altro paese saresti già morto di fame da un pezzo!”
(Frank Grimes ad Homer
Simpson)
Ma la parola “sensibilità” nella sua accezione comune inserita in questo contesto può essere fraintesa. su qualità positive di nerd: non sensibilità, ma empatia, intraprendenza, impegno costante per l’automiglioramento, autocritica, umiltà, gentilezza, collaborazione, altruismo, gratitudine, disponibilità. Inventiva, laboriosità. Iniziativa, ricettività.
carisma basato su percezione empatica alterata dalla furbizia propria del sedicente alfa e dalla suggestionabilità altrui.
“Le altre persone sono lo specchio di noi stesse” (proverbio giapponese) ---- ma a volte specchio falsato
forse potrà stupire, ma il motivo per cui i cosiddetti “nerd” lasciano credere di lasciarsi calpestare è per compassione, ovvero per empatia che li porta a provare pena per tutti (eccetto che per se stessi, sembrerebbe…). Superfluo dovrebbe essere far notare che non può esistere nessuna dimostrazione di superiorità più alta di questa. Eppure sembra che le altre persone non se ne rendano conto, e li giudichino invece subordinati.
chi è superiore non ha certo bisogno di dimostrarlo a qualcun altro. umiltà virtù dei forti. Il deprimente è che in questo modo si lascia agli inferiori credere di essere superiori… il problema non è certo questo, anzi, il superiore in quanto empatico desidera che tutti si sentano migliori. Il problema si pone quando di questa presunta superiorità che l’inferiore gli lascia credere di avere l’inferiore intende approfittarne contro il superiore, ovvero quando il superiore viene ad averne un danno diretto. Il problema, nella società odierna è che i veri inferiori si danno manforte tra di loro (branco o gregge) e quindi anche qualunque palese affermazione di superiorità è sbeffeggiata dalla massa belante.
deferenza dei superiori verso gli inferiori
su selezione naturale alterata: dopotutto cosa si può pretendere da una cultura nella quale viene considerato “macho” chi soffre di un sistema gastrico difettoso (eruttazione) mentre viene considerato effeminato chi invece ne possiede uno perfetto e quindi non necessita di ruttare?
Questo costringe i nerd a dover perfino invidiare organismi evidentemente inferiori biologicamente e culturalmente.
“Oggi, con l’espansione della civiltà consumistica americana, l’uomo è sicuramente privato, o, quantomeno, indebolito, della sua dimensione spirituale. Ogni fenomeno viene visto come un’opportunità per creare consumo, e il solo valore sta nella spendibilità di una persona. Per questo in tv trovano alloggio personaggi che, fino a qualche secolo fa, sarebbero stati ai margini della società” (Giuseppe Antonio Pio Colombo)
La vera gerarchia tra due individui è riscontrabile sociologicamente da dei parametri ben precisi. Uno di questi è rappresentato dal fatto che una volta stabilite le gerarchie l’alfa (o presunto tale) tende a comportarsi paternalisticamente con il subordinato. Donando qualcosa si crea così un legame sociale, si rinforza una condizione relazionale di dipendenza, nella quale anche la reciprocazione del ricevente (la gratitudine) non fa che confermare questo rapporto di subordinazione tra beneficiato e benefattore. Si pensi al ----piano marshall ------ ---mercato e società pag. 154. Di conseguenza esiste anche un ---comportamento--- rivelatore di quando una scala gerarchica è falsata: quando il ---presunto--- subordinato rifiuta le concessioni paternalistiche elargite dal sedicente alfa. Questo avviene quando la gerarchia è stata imposta in maniera coercitiva (violenza) e non rispecchia la vera caratura biologica delle due parti in causa. Ma la ragione vera non è determinata dalla coercizione. Un ------ può ----coercere---- quanto vuole, ma questo non significa necessariamente che ha ragione e/o che è egli il migliore. Il pacifismo di Gandhi è l’esempio più lampante, dato che nessuno lo scambierebbe con arrendevolezza, anzi tutt’altro! Idem per Nelson Mandela. Egli non ha mai fatto segreto che qualora fosse stato fatto uscire di prigione avrebbe ripreso gli atti di terrorismo. Il loro è l’esempio più evidente del vero alfa che rifiuta di accettare le gerarchie falsate da un alfa autonominatosi tale mediante coercizione. retaggio bestiale di ragione per coercizione -- La ragione non è determinata dalla coercizione, e tantomeno dalla maggioranza.
“Una viva fede non può scaturire dalla regola della maggioranza” (Mahatma Gandhi) ----- Umberto Cerroni, “Il pensiero politico del novecento”, Newton ed., pag. 74.
Rigettare la non violenza di Gandhi come accettazione, ma come affermazione di superiorità su chi da inferiore si autoimpone arbitrariamente con la forza (la quale è tutto fuorché sinonimo di superiorità biologica, essendo determinata da condizioni psico-ambientali).
Difatti Gandhi non chiede “che l’India pratichi la non-violenza perché debole”, ma perché “consapevole della propria forza e del proprio potere”. ----- Umberto Cerroni, “Il pensiero politico del novecento”, Newton ed., pag. 74.
La non-violenza è sopportazione consapevole, ma non sottomissione remissiva. E’ un “opposizione di tutta la propria anima alla volontà del tiranno”. ----- Umberto Cerroni, “Il pensiero politico del novecento”, Newton ed., pag. 74.
Ideologia gandhiana opposta a Sorel – Hegel (?) di forza – prevaricazione di presa del potere, fatta propria dai comunisti e da essi mutuata e mantenuta come retaggio anche da Mussolini come mezzo--- ed oggi perpetuata dai centri sociali ------ 900 pag. 17 --- Jurgen Habermas - soprusi.
Sia chiaro che come caratteristica dell’individuo vero alfa ---non solo intelligenza-----, ma tutto l’insieme.
“Il potenziale di una persona non dipende esclusivamente dalla sua intelligenza” (Michael Howe)
Ma nemmeno qui sta tutta la colpa. L’altro fattore da considerare è quello che forse finora è stato meno studiato in quest’ottica, ma è con ogni probabilità uno dei fattori di decadenza più importanti, che agisce sia sul piano culturale sia su quello biologico: l’avvento della società di massa e della democrazia, che va considerato un fattore di decadenza estremamente potente. Innanzi tutto, con le rivoluzioni degli ultimi secoli abbiamo assistito quasi dappertutto al rovesciamento delle antiche élite e spesso alla soppressione fisica dei loro membri, e non è che ogni superiorità sociale fosse esclusivamente privilegio, ma corrispondeva talvolta ad una superiorità effettiva, come abbiamo incluso nell’evidenziare la differenza tra l’economia odierna e quella medievale. La sostituzione delle vere elitè con idioti eletti dalla massa demente. L’effetto più importante dell’avvento della società di massa è però un altro. La società e la politica di massa hanno creato una pressione selettiva in termini darwiniani a favore del conformismo, della supina passività, quindi in ultima analisi della stupidità, mentre l’originalità, l’anticonformismo, la creatività, quindi l’intelligenza, sono stati emarginati, scoraggiati, eliminati. Bisogna notare che l’effetto non è solo sulla componente culturale, ma è anche biologico, perché le personalità ribelli, che di solito sono le più intelligenti sono emarginate ed escluse dalla riproduzione, talvolta soppresse.
secondo Christopher Lasch oggi si tende a misurare gli uomini non da ciò che fanno ma dal successo che ne ricavano, che deve essere protocollato dall’opinione pubblica. ----o su Corona---- o su chi produce cose inutili ------
L’edonismo maschera in cinismo e la lotta per il potere e per l’apparenza.
Quello che trasforma i “furbetti del quartierino” in miti.
“Il singolo si riduce a un crocevia di reazioni e comportamenti convenzionali che si attendono praticamente da lui” Umberto Cerroni, “Il pensiero politico del novecento”, Newton ed., pag. 81.
Rave party come esempio di sociologia? ----- carisma -----
riguardo carisma dei debunker: sedurre (nell’accezione letterale del termine, l’opposto di condurre) – sviare dalla giusta via, dalla verità.
Il sistema comunicativo-informazionale moderno riduce la personalità a “fare di sé l’apparecchio adatto al successo” ---spingendo--- un “isolamento per comunicazione” e a una “imitazione coatta”. Umberto Cerroni, “Il pensiero politico del novecento”, Newton ed., pag. 81.
Fingersi stupidi per uniformarsi al gruppo sociale: nella lingua inglese esiste perfino una locuzione a definirlo: “downward levelling norms”. ---- conformismo ---
Gli esaltatori della cultura “for dummies” di Focus, giornale appositamente dedicato agli ignoranti. ---riguardo i nobel?----
La dimostrazione dell’inaffidabilità del test Q.I. sta anche nel fatto che molti individui che sono stati considerati dei geni avessero registrato bassi punteggi Q.I. Ma c’è da notare il fatto che (a prescindere dai test Q.I., sia beninteso!) su quali parametri e da chi essi vengano considerati dei geni. Basti pensare a quattro esempi: Picasso, Guttuso, Dario Fo, Margherita Hack. -----
“E del
resto ostentare la propria intelligenza è una cosa volgare, ancor più
volgare... che mostrare la propria ricchezza” (Ayn Rand)
Ovviamente questo discorso non intende criticare chi dispone di un
intelligenza inferiore, ci mancherebbe. Non è giusto imputare a qualcuno una
cosa di cui non ha colpa. Diverso è il discorso che analizza il come
certe persone appartenenti a questa categoria riescano a superare in questa
società altri ben più meritevoli. E soprattutto, quando accade che ambiti
concernenti persone superiori siano affidati a persone inferiori, soprattutto
per quanto riguarda l’ambito giudiziario. Dovrebbe essere comprensibile quanto
per una persona dotata di una decente capacità analitica delle cose possa
apparire ---ignobile--- dover essere giudicata da persone che dimostrano
di avere un intelletto inferiore e che esse pretendano di poter imporre i
risultati di questa inferiorità anche alle persone superiori, ed oltretutto
senza che la cosiddetta “opinione pubblica” possa rendersi conto di questa
aberrazione, e quindi si allinei col giudicante. Certo pretendere che un
siffatto “opinionista pubblico” provi a ragionare con la propria testa è
utopia, ma ancor più lo sarebbe pretendere, dato il calibro stesso, che anche
una volta provato a ragionare con la propria testa emettesse un giudizio
sensato. Ecco spiegato il motivo stesso per cui le persone inferiori
mentalmente riescano a raggiungere livelli più alti nella società: la massa su
cui sovrastano non può riuscire a rendersi conto della loro inferiorità
rispetto ad altri, in quanto la massa tende ad osannare chiunque stia sopra se
stessa, indipendentemente da quanto stia sopra.
wrestling: nessuno obbliga a seguirlo, certo, ma ciò non impedisce la ------- di giudicare interiormente chi lo segue.
----qui frase di Tommaso Campanella???-------
“Assai sa chi non sa, se sa
obbedire” (Tommaso Campanella)
In ogni caso il discorso disprezzante vale per gli ambiti di potere. Lo
stereotipo che i negri mediamente siano meno intelligenti dei bianchi concerne
più che altro l’intelligenza logico-matematica. Ma nulla ci dice del valore
come persona. Una persona stupida può anche essere moralmente superiore ad una
più intelligente. E come moralmente non si intende cose come sesso ed
educazione. Gli ebrei sono considerati per antonomasia il gruppo sociale più
intelligente del mondo ma la loro religione assurdamente razzista e pregna di
assurdità (il cibo kasher, la rigidità sul sabato, il taglio del prepuzio)
mostra che tutta questa capacità intellettiva non si manifesta in un modus
vivendi migliore sia moralmente, spiritualmente che culturalmente. E’ una
intelligenza frammentaria e specialistica, tipica di persone incapaci di
sentire meraviglia e rispetto per il mondo. Buona per la scienza e la finanza.
Non per l’uomo e il mondo. Se questa si esplicasse esclusivamente al loro
interno, affari loro. Ma il fatto è che questa loro pretesa superiorità li porta
e li ha sempre portati a voler immischiarsi e ad agire dal loro punto di vista
per dirigere anche tutti gli altri, e ne hanno avuto buon gioco proprio
nell’incapacità di tutti gli altri di rendersene conto. Perlomeno sulla maggior
parte di “tutti gli altri”. Il bello è che, oggi come oggi, non è possibile
dire se ciò sia stato un bene oppure un male. Certo, hanno causato una marea di
disastri e tragedie (la maggior parte dei quali non gli sono tutt’oggi
addebitati), ma chi può dire che in alternativa non ve ne sarebbero state di
peggiori?
Fra tutte le idee che hanno imperversato nel ventesimo secolo, il comunismo è stato incontestabilmente la più assurda e incongruente, e si è assunta il compito di colpire non solo il privilegio sociale, ma la superiorità in sé, contribuendo direttamente al peggioramento genetico della razza umana. Fabio Calabrese fa notare per esempio come la strage di Katin fu compiuta dai sovietici precisamente allo scopo di eliminare l’élite polacca, od ai Kmer rossi che eliminavano tutti gli intellettuali, allo scopo, appunto di creare in Cambogia una società-alveare. Oggi il comunismo non esiste quasi più, ma il danno fatto a livello genetico rimane. La democrazia di tipo americano “occidentale” dove non è conciliabile qualcosa che si possa chiamare libertà di pensiero, con il soffocante conformismo “politically correct” produce effetti pressappoco analoghi. Il quarto fattore che Calabrese annota è quello propriamente culturale. Gli psicologi “democratici”, specialmente i comportamentisti hanno arbitrariamente negato che la base genetica abbia una qualche importanza. Noi dobbiamo guardare ai fatti e considerare il fatto che l’essere umano è il prodotto sia di fattori genetici sia culturali, che questi ultimi hanno importanza anche se sono ben lontani dall’onnipotenza loro attribuita dai “democratici”. Se tutto quello che potremmo ancora fare per arrestare ed invertire la tendenza al decadimento intellettivo della nostra specie suona elitario, razzista, eugenetico, nazista, allora forse dobbiamo cominciare a contemplare che c’è davvero qualcosa di terribilmente sbagliato nei presupposti etici che imperano in questa società. Alla luce di questo è ora possibile dare una risposta alla domanda posta a pagina -----------.
“Cosa chiede tutta la folla moderna? Chiede di mettersi in ginocchio
davanti l’oro e davanti la merda” (L. F. Celine)
----cancellare?:-------
Il produttore del pane (che chiameremo “Faraone”) non avrebbe nessun guadagno a negare il pane alle altre bocche da sfamare (“sudditi”), alle quali piuttosto che buttarlo lo cederà, magari in cambio di servizi che esse possano svolgere. Uno di questi servizi potrebbe essere proprio l’aiuto nella produzione, trasporto, distribuzione del pane. L’unica condizione sarebbe che la distribuzione di quel pane non superi il costo marginale di produzione ovvero non ricada come costo su di lui. Se le risorse della terra non potessero dare più di 10 pani, essi saranno il PIL potenziale; se la terra potesse dare 11 pani, 10 saranno il PIL reale, e un pane il differenziale. Non avendo senso produrre un pane in più del necessario, che rimarrebbe “invenduto”, questi servizi prenderebbero ciascuno il valore di un pane quotidiano al giorno. Esso è il “consumo autonomo”, mentre i servizi sono un “consumo indotto”. Ne deriva che l’unico che potrà permettersi di ottenere servizi è chi possegga almeno due pani quotidiani. Il Faraone potrà pagare due pani alla “bocca” che gli offra il servizio migliore, rinunciando al servizio che gli dà il suddito peggiore. Di conseguenza il suddito migliore si troverà nella disponibilità di un pane quotidiano in più, mentre il suddito “disoccupato” se ne troverà privo. Così il suddito con due pani sarà indotto a cederne uno al disoccupato, in cambio di un servizio. Così inizia a formarsi una piramide sociale. Nel caso il Faraone avesse ceduto “segretamente” un pane prodotto in più, cioè anche al disoccupato, e quindi non ci fosse nessuno privo che lo necessiti, il pane in più (“differenziale inflazionistico”) posseduto dal miglior suddito sarebbe a questi inutilizzabile al fine di ottenere un servizio. Ovvero ci sarebbe un “inflazione” di pane. Questo prova che il superamento del PIL potenziale provoca solo inflazione. Ma se ogni pane perdesse peso nel corso della giornata, “svalutandosi”, egli potrà suddividere quel pane in più con tutti gli altri ottenendo in cambio piccoli servizi complessivamente equivalenti ad uno normale. Nel caso egli fosse lo Stato, si parlerebbe di “fiscalità monetaria”, ammettendo il pane come “moneta”.
In un sistema sociale basato sino ad un certo momento sul baratto tra alimenti diversi e la loro lavorazione, nel quale fa il suo ingresso un surplus, che indicherò con un esempio, nei diamanti. Il diamante inteso come oggetto ambito a livello estetico e non pratico viene a rappresentare il “surplus”. Il cavatore che estrae il primo diamante e lo mostra al villaggio, al che si fa avanti un acquirente che fa il suo prezzo in generi alimentari o pelli. Se un altro offre di più il prezzo aumenta in conseguenza, fino ad arrivare al punto che il penultimo offerente ceda. –Il secondo diamante trova una situazione nella quale la persona che ha comprato il primo non può più spendere la stessa cifra e neanche il precedente concorrente come non ci arrivava prima, idem poi. Al cavatore non resta che abbassare il prezzo sino a raggiungere una cifra accessibile al precedente penultimo sulla quale nessun altro possa rilanciare. Per il terzo diamante identica storia , e via sino a quando il primo acquirente non può permettersi di concorrere per un secondo diamante ------. Il prezzo si abbassa man mano che—fino ad arrivare all’ “inflazione”, la caduta di valore. La merce con la quale sono stati barattati i diamanti è probabilmente alimentare, cosicché il cavatore si trova per le mani cibo in avanzo a quello che può ingurgitare, per quanto troglodita sia. Lo sviluppo logico di questa sua ricchezza ----- è il cederla in cambio di lavoro di escavo al posto suo, con l’unico bisogno di controllare lo scavo per prendere i diamanti. Oppure acquistando la proprietà dei terreni, scambiando il lavoro coi prodotti della terra a lui superflui. Il tutto in una spirale che lo porta ad essere sempre più ricco.
Un giorno anziché combattere per la terra, i capi di due tribù si accordano. Un primordiale accordo commerciale, con scambio di beni artigianali: vasi, coltelli, pelli, --. –accenno a massoneria--- L’ex cavatore scambia tutto con generi alimentari. Come conseguenza si ha che la disponibilità di cibo diminuisce e quindi la richiesta aumenta, come anche il prezzo. Per lo stesso lavoro i dipendenti ricevono meno cibo di prima come paga essendo diminuito il totale. Ma il padrone in quanto tale sarà eventualmente l’ultimo a patire la fame, per cui se ne disinteressa. Gli basta che si produca cibo per lui e per scambiarlo con i prodotti dei mercanti. ---. Oppure ottenendo sesso dalle femmine affamate in cambio del cibo.
Qualora un suddito trovasse una
pepita d’oro (o catturasse un topo), il Faraone cederà ad esso tutti i pani
(eccetto il suo) in cambio della pepita (l’“effetto reddito” stabilisce il
valore della pepita); il fortunato suddito potrà cedere i pani quotidiani agli
altri sudditi in cambio di servizi (che verranno in modo equivalente a mancare
al Faraone, eccetto quello necessario). Il PIL reale e la soglia del PIL
potenziale si alzano. Qualora il Faraone abbia la possibilità di produrre un
pane in più rispetto alle bocche da sfamare, egli potrà accumulare
(“risparmiare”) la farina in esubero, oppure convertire il terreno a produzione
di una cipolla per sé. Se intendesse risparmiare una quantità ancora maggiore
di farina dovrebbe produrre un pane in meno, che verrebbe a mancare ad una
persona, alzandone il prezzo sia del pane che della farina. Si avrebbe una
“forzatura del risparmio”, il cui concetto ci indica che è il risparmio ad
essere determinato dalla disponibilità, e non viceversa. La forzatura del
risparmio non va confusa con i precetti del “racconto della finestra rotta” o
“la favola delle api”, che ruotano attorno all’uso da fare del denaro, non
necessariamente sul suo risparmio o meno.
Qualora riuscisse a produrre due cipolle, cederà la seconda come premio incentivo al miglior suddito. Il consumo di una cipolla sarà un “consumo indotto”. Egli potrà mangiarla oppure cederla ad un altro per ottenere egli stesso un servizio; valuterà cioè il suo “costo di opportunità”. Probabilmente la possibilità del Faraone di produrre farina da accumulare o cipolle sarà data proprio dai servizi ricevuti che egli avrà destinato alla coltivazione (plusvalore). Tanta più farina accumulerà, tanto meno frumento farà produrre, a vantaggio della produzione di cipolle, a seconda della “frontiera delle possibilità di produzione”. Se il terreno inaridisse, o se la popolazione aumentasse, la produzione di pane diverrebbe più redditizia rispetto alle cipolle. Se la terra desse una cipolla in meno, un suddito ne rimarrebbe privo e di conseguenza smetterebbe di fornire il servizio maggiore in cambio della cipolla. Tutti gli altri sudditi per ottenere le cipolle dovrebbero offrire un servizio migliore (quindi il “prezzo” delle cipolle aumenta) per non vedersi sostituire dal “disoccupato”. Chi anziché mangiarle le avesse accumulate, ora potrà cederle ricevendo in cambio maggiori servizi o maggior farina; potrà acquistare la pepita d’oro (o il topo) dal possessore per una quantità di cipolle inferiore rispetto a prima. Chi disponesse di scorte di farina potrebbe cederle in cambio della cipolla quotidiana di qualcuno, cedendola poi al disoccupato in cambio di un servizio; la quantità di farina da cedere sarebbe maggiore rispetto a quando tutti avevano una cipolla (diminuzione del “prezzo” della farina). Chi ha accumulato farina ci rimette; ci vorrà più farina anche per comprare la pepita d’oro ed i servizi. Ma di conseguenza la produzione di frumento verrebbe diminuita a vantaggio di quella di cipolle, riportando all’equilibrio i “prezzi”. Solo la quantità di servizi per ottenere la pepita d’oro è rimasta immutata, come si può notare. L’oro ha quindi funto da “bene rifugio”. Tante più cipolle cresceranno, tanto meno farina si dovrà cedere per averne una, fino ad arrivare all’equilibrio perfetto (ottimo paretiano) quando tutti arriveranno a poter avere una cipolla quotidiana, al che il meccanismo riparte da capo con un altro prodotto, mele ad esempio. Non serve inoltrarsi in quanto anche per esse così come per qualunque altro ulteriore bene rivale vale lo stesso schema seguito con le cipolle (legge di Say); ogni bene viene ad adattare il proprio valore rispetto a tutti gli altri beni (compreso anche il bene simbolico “moneta”). Se un suddito che ha accumulato una certa quantità di farina gettasse la sua cipolla quotidiana (perché guasta) e ne acquistasse un’altra pagandola in farina, egli toglierebbe una cipolla quotidiana ad un altro suddito, oppure forzerebbe a usare terreno per coltivare una cipolla in più a scapito del frumento, oppure ad aumentare la superficie coltivata per produrre una cipolla in più; queste sono le conseguenze: nel primo caso, aumento del prezzo delle cipolle e diminuzione di quello della farina; nel secondo caso, aumento del prezzo della farina; nel terzo caso, aumento del costo del lavoro; tutti questi sarebbero artificiali perché non dovuti ad un bisogno reale ma contingente; equivale al “racconto della finestra rotta”. Nel caso la produzione del pane sia affidata al 10% dei sudditi, ne consegue che a fronte di un pane ricevuto come salario, ne producono altri nove. Questi nove sono il plusvalore. Tanti più sudditi a servizio del Faraone ci sono, tanto più sarà suddiviso e leggero il servizio, a parità di salario. (ricchezza più accentrata - legge rendimenti multipli?) L’uso del pane e delle cipolle come esempio non è casuale: essi erano la base alimentare degli antichi egizi. Perché essi costruirono le piramidi? L’antico Egitto data la fertilità della terra aveva una produttività agricola molto alta per impiegato. Quindi aveva molta disponibilità alimentare ma avrebbe avuto anche molti “disoccupati”. Per dare un senso alla distribuzione del pane e delle cipolle il Faraone utilizzava i servizi disponibili per far costruire “inutili” piramidi. Questo significa che i fondi pubblici non vengono utilizzati quando servono, ma quando c’è la possibilità di farlo. Il faraone avrebbe potuto giustificare la distribuzione alimentare utilizzando i servizi in surplus come proprio esercito. Paragonato all’oggi significa che gli armamenti e gli eserciti non sono un peso sull’economia, ma esistono proprio e solo perché è l’economia a permetterlo; e l’entità di essi è determinata dalla disponibilità. E’ quando essi vengono forzati sia in più che in meno per pianificazione politica, che ne deriva un alterazione dell’economia (alterazione dei “costi di opportunità”). Una facile dimostrazione di questo è il cibo per cani: esso è realizzato con frattaglie che l’uomo getterebbe via; di conseguenza il cibo per cani non è tolto alla disponibilità umana, ma esiste proprio come scarto delle necessità umane. Se il Faraone di un’altra società uguale a quella dell’esempio volesse acquistare la pepita d’oro, potrebbe cedere le cipolle dei suoi sudditi; egli avrebbe la pepita ma resterebbe privo di alcuni servizi, ed i suoi sudditi rimarrebbero privi di cipolle. Quindi nella società A il prezzo delle cipolle diminuirebbe, mentre nella società B aumenterebbe. Ciò porterebbe ad un flusso di cipolle dalla società A alla società B, e di servizi (oppure di farina) nel senso opposto, portando un riequilibrio economico. Se per mantenere alto il prezzo delle cipolle il Faraone B impedisse con un dazio ai sudditi di acquistarle dalla società A, essi rimarrebbero con le mani in mano, pieni di farina superflua, e privi di cipolle; mentre i sudditi della società A diverrebbero possessori di un bene a loro superfluo e non potrebbero ricevere servizi o farina. Quindi: tassi di cambio alterati.
Qualora in una di queste società si aggiungesse un secondo produttore di pane (concorrente al Faraone), egli potrà chiedere una quantità di servizi inferiore per ogni pane. Cosicché il Faraone non agirà più in regime di monopolio e dovrà adattarsi alla concorrenza. Qualora il Faraone non fosse più il produttore, ma continuasse ad avere la necessità di servizi come Stato, dovrà chiedere ai produttori la fornitura delle quantità di pane necessarie a pagare i servizi, come tasse. Ammettendo il caso che ci siano 5 produttori di pane e 4 dipendenti statali, il Faraone esigerà come tasse un pane da ogni produttore.
Esistono anche tipi di beni che non sono in rivalità con tutti gli altri beni, e quindi non seguono la stessa determinazione del prezzo: i beni pubblici, il cui accesso da parte di una persona non toglie l’accesso ad un’altra e quindi non hanno un prezzo stabilito sulla concorrenza. Se il Faraone costruisce un acquedotto che dal lontano fiume porta l’acqua ad una fontana pubblica, tutti avranno la possibilità di usarla senza ulteriore spesa da parte del Faraone, in quanto l’acqua scorre da sé continuamente e l’unica sua spesa è stato l’investimento tecnologico iniziale. Ma il Faraone deve rifarsi di questa spesa, altrimenti cosa lo spingerebbe a costruire acquedotti che tutti possono utilizzare a volontà? Come potrebbe costruirne un altro o migliorare l’esistente? Nel decidere il prezzo che farà pagare a chi voglia utilizzare la sua fontana dovrà tenere presente ciò: più il prezzo sarà alto e meno persone lo pagheranno per ottenere il servizio; più il prezzo sarà basso e più persone lo pagheranno. In entrambi i casi la cifra totale che incamererà sarà la stessa, basata sulla valutazione collettiva di utilità del bene. Se obbligherà tutti a pagarlo questa sarà una tassa; se obbligherà a pagarlo solo ai possessori di secchio, nel caso l’acqua sia raggiungibile solo così, questo sarà un canone. In entrambi i casi gli usufruitori tenderanno ad abusarne sprecandola, a meno che il Faraone non faccia pagare l’acqua per quantità usata. Nel caso la società si dotasse di un bene simbolico finalizzato a semplificare il “baratto”, il valore di esso si adeguerebbe sui beni già disponibili per la sua velocità di circolazione; se venissero coniati 20 soldi, e se ogni giorno venissero prodotti e consumati dieci pani quotidiani, ogni pane prenderà il valore di 2 soldi, ovvero un soldo varrebbe mezzo pane. Se il valore di un pane corrisponde ad una giornata di servizi, 2 soldi sarebbero il salario giornaliero. Se venisse accumulata una quantità di farina in esubero corrispondente a 10 pani, ogni pane verrebbe a valere un soldo; in assenza di altre condizioni il costo del lavoro rimarrebbe immutato; ogni giorno circolerebbero 10 soldi, mentre altri 10 rimarrebbero immobili. Se la produzione di frumento viene a diminuire e si utilizza tutta la farina in surplus per fare pane, un pane verrebbe a valere 2 soldi. Se si aggiungesse una cipolla, ed essa fosse cambiata con due pani, il suo valore sarebbe di 4 soldi. Si potrebbe andare avanti all’infinito, ma è già troppo prolisso come esempio, e non vogliamo certo arrogarci di sostituire un qualunque testo scolastico di economia.
“Il primo uomo che, recintato un terreno ebbe l’idea di dire: questo è mio, e trovò persone così ingenue da credergli, fu il vero fondatore della società civile. Quanti delitti, guerre, assassinii, quante miserie e orrori avrebbe risparmiato al genere umano colui che, strappando i paletti o colmando il fossato, avesse gridato ai suoi simili: guardatevi dall’ascoltare questo impostore; siete perduti se dimenticate che i frutti sono di tutti e la terra non è di nessuno” (Jean-Jacques Rousseau, “Discorso sull’origine dell’ineguaglianza”)
Rousseau, come Marx, dimostra ingenuamente di non comprendere per nulla la natura umana; non è mai esistito un primo uomo che recintò un terreno e disse “questo è mio”. Piuttosto esistette un primo uomo più furbo e forte degli altri che recintò un terreno e disse “questo è mio e a chi si oppone gli spacco la faccia”. Se Rousseau e Marx avessero compreso meglio il feudalesimo ed il suo retaggio odierno (mafia) forse ci saremmo risparmiati ulteriori delitti, guerre, assassinii, miserie, e orrori.
“Nella fase della produzione manuale il processo produttivo si realizza grazie al concorso delle materie prime e dell’intervento dell’uomo. Poi via via si introducono i mezzi di produzione adottati dall’uomo nei diversi processi produttivi. Questi mezzi nel tempo si avvicendano passando dall’animale alle macchine. Dalle materie prime più elementari e meno costose si passa alle più complesse e alle più costose. Come l’uomo da semplice operaio si evolve e diviene tecnico o ingegnere, così da folti gruppi di lavoratori emerge un numero limitato di tecnici. La modificazione quantitativa e qualitativa degli elementi della produzione non ha cambiato essenzialmente il ruolo degli stessi che rimane nel processo produttivo necessariamente invariato. Ad esempio: il ferro grezzo che costituiva anticamente e costituisce ancora oggi un elemento della produzione, era lavorato dapprima con un sistema primitivo: il fabbro produceva manualmente un coltello, un piccone o una lama e via di seguito, mentre ora gli ingegneri e i tecnici lavorano lo stesso ferro con metodi industriali e per mezzo di altri forni producono macchinari, motori e veicoli di ogni genere. Alla stessa stregua l’animale (cavallo, mulo, cammello o qualsiasi animale di fatica) che costituiva un elemento della produzione ora è sostituito dalle grosse fabbriche e da potenti macchinari. Così pure gli utensili primitivi sono stati sostituiti da complicate attrezzature tecniche. Tuttavia i fattori naturali e fondamentali della produzione, nonostante gli enormi mutamenti sono rimasti essenzialmente costanti e la stabilità del loro rapporto fa della norma naturale la giusta base insostituibile per la soluzione del problema economico in forma definitiva; e ciò spiega il fallimento dei precedenti tentativi storici che non hanno tenuto conto di questi fondamenti naturali” (Dal “Libro verde” di Muhammar Gheddafi)
Se la terra è di tutti, che interesse ha il contadino a seminare qualcosa che chiunque potrà raccogliere? Torneremmo tutti a dover mangiare bacche raccolte sugli arbusti e topi catturati a mani nude. Ad ucciderci a vicenda (allora si!) senza motivo. Indicativo è l’esempio di De Soto sul destino degli elefanti in alcune zone dell’africa: laddove sono una specie protetta inibita al lavoro rischiano l’estinzione, mentre paradossalmente dove sono privatizzati, assegnati in proprietà alle tribù locali, vengono gestiti in maniera oculata per il loro lavoro. Anche le vicende della raccolta delle vongole nella laguna di Venezia fino a quando fu lasciata nell’anarchia sono esemplari. “Homo homini lupus”, altroché “comunismo primitivo”, “fondamentale bontà dell’uomo” e il mito del “buon selvaggio” di anarchica speranza.
“Se l’esperienza storica potesse insegnarci qualcosa, sarebbe che la proprietà privata è inestricabilmente connessa alla civiltà” (Ludwig von Mises)
Il cambogiano laureato alla Sorbona[352] Pol Pot cercò di rispondere a ciò: ideò un sistema “primitivistico”, antitetico ad ogni concezione di organicismo. Nella Cambogia “comunista” ognuno doveva essere autosufficiente: contadino di se stesso, sarto di se stesso, maestro di se stesso, dentista di se stesso, chirurgo di se stesso. Il commercio era proibito, e la moneta eliminata. La conseguenza più ovvia ed evidente fu che le città si spopolarono, e migliaia di medici, avvocati, commercianti, professori, ecc, incapaci di coltivare il proprio appezzamento di terra, morirono di fame. Anche i contadini, a cui fu tolta parte di terra per distribuirla ad incapaci, non se la passarono tanto bene, privati di altri beni e servizi che i settori secondario e terziario gli avrebbero fornito in cambio di prodotti agricoli. Da questo sistema prese spunto pure il Reverendo Jim Jones per la sua comunità “perfetta” Jonestown nella giungla della Guyana, culminata in un suicidio collettivo nel 1978. Il fatto che i maggiori sostenitori di Pol Pot fossero gli Stati Uniti ---------------------.
“Stiamo allontanandoci dalla scienza per addentrarci nel regno del fanatismo religioso, dove i seguaci della dottrina, pieni di furia farisaica, credono di essere in possesso di una più alta verità… E proprio come in molte religioni, la strada verso la salvezza personale sta nell’esecuzione di rituali superstizioni, come cambiare una lampadina oppure far si che un albero venga piantato dopo ogni viaggio aereo” (Richard Lindzen, docente al MIT)
Oggi i loro emuli possono essere
identificati nei movimenti definentisi ecologisti, che in realtà sono spesso
marionette manovrate a seconda degli interessi economici dei loro finanziatori.
L’inquinamento è causato soprattutto dallo spreco. Di conseguenza solo un idea
che propugni l’efficienza dell’economia può dirsi
veramente ecologista. Solo il distributismo punta all’efficienza economica,
tutti gli altri privilegiano gli interessi personali di qualche categoria. Solo
il distributismo può dirsi veramente ecologista. Basti pensare come
esempio il fatto che per antonomasia i movimenti ecologisti sono contrari alla
fonte convenzionale di energia più ecologica tra tutte, quella nucleare: un
vero paradosso! Quando c’è da
remare contro al progresso non si tirano mai indietro. Basti pensare che questi
“neo-luddisti” oggi sono contrari alla tecnologia che più di tutte
contribuirebbe ad eliminare la fame dal mondo, gli O.G.M. Esemplare in tal
senso è la reazione compiuta a Pordenone dai “disobbedienti” di Luca Casarini
il 30 aprile 2010, solitamente i primi a compiere azioni eclatanti, come
risposta ad un azione di semina “illegale” di semi O.G.M. attuata dal
“movimento libertario” nei giorni precedenti[353].
Conoscendola come prassi dei disubbidienti, verrebbe logico immaginare che
trovi la loro piena approvazione, se non proprio contributo. Ma quando sono
altri ad utilizzare le loro prassi, ai “disobbedienti” non va più bene. Difatti
invece paradossalmente stavolta li troviamo sul versante opposto: a difendere
una presunta legalità, addirittura vantandosi “per la prima volta siamo stati
noi a fare una denuncia alla polizia”. Evidentemente le azioni illegali
eclatanti vanno bene fino a che comoda a loro. E’ il tipico stereotipo
comunista “le sole riforme giuste sono quelle che facciamo noi”. Lecito
è chiedersi su quali basi si arroghino di possedere la Verità su cosa è giusto
e cosa è sbagliato. E ciliegina sulla torta, l’assessore veneto all’agricoltura
si augura pene durissime per i seminatori, addirittura arrogandosi di
dichiarare egli “la stupidità non ha limiti”… il bue che dice cornuto all’asino
insomma.
Eppure basterebbe andare a guardare un qualunque libro di storia
dell’alimentazione per vedere quanto fossero piccole le pannocchie prima che
l’uomo si mettesse a selezionarle.
“Oggi il principale ostacolo alla scomparsa della fame nel mondo sono le filosofie no-global” (dal documentario “Il capitalismo fa bene?” trasmesso da “current tv”[354])
Questa breve frase riassume in sé tutta una serie di diversi concetti espressi fin’ora nel testo, a partire dall’ignoranza dei temi economici da parte del volgo, passando per la demagogia politica, l’influenza dei poteri forti, la dogmatizzazione delle ideologie, per arrivare fino al dubbio su chi è interessato ad impedire lo sviluppo. Ed usa i cosiddetti “no-global” come manovalanza, così come in America veniva usata la mafia sindacale per tenere a briglia i lavoratori. Zaia: governatore Veneto. Galan ministro agricoltura. Su O.G.M. definire i no global pagliacci con le loro tute bianche con le quali si credono tanto “fighi”. Arroganza di autonominarsi detentori della legalità. Incredibilmente ricevendo il plauso e l’avvallo di un ministro, e per di più quello dell’agricoltura!!! Il quale a rigor di logica dovrebbe essere il primo ad essere a favore del progresso dell’agricoltura!!! Perfino la Lega Nord ha lodato l’atto teppistico! Per quanto riguarda i verdi è inutile esprimersi, sarebbe come sparare sulla croce rossa: “ridicoli i tentativi di intimidirci”, ----- senza poter chiarire chi è che li intimidirebbe dato che come sempre possono fare il bello ed il cattivo tempo impunemente, cantandosela e suonandosela ed ottenendo sempre il plauso degli allocchi. Perfino le forze dell’ordine, che avrebbero avuto il compito di impedire il vandalismo ------- sono stati a guardarli compiere un reato, un reato tra l’altro estremamente odioso quale può essere la distruzione del cibo. Ed ancora più odioso perché per devastare il campo coltivato hanno atteso apposta che il lavoro fosse al termine, proprio il momento della raccolta! Perché non prima, così da evitare ulteriori sprechi? Eccoli quelli che si vorrebbero campioni della lotta alla fame nel mondo. E poi sono capaci pure di lamentarsi se i ricercatori scientifici italiani devono emigrare all’estero… ---- Gazzettino 11 agosto 2010. I no-global amano definirsi “disobbedienti” ed anticonformisti… in realtà sono l’inconsapevole prototipo del conformismo e dell’obbedienza più servile ai poteri forti. Il già citato “utile idiota”.
“Chi insegna che non la ragione, ma l’amore sentimentale deve governare, apre la strada a coloro che governano con l’odio” (Karl Popper)
Da parte sinistra c’è chi nonostante si dichiari combattente contro il potere, ne è il principale sostenitore, perché come oramai dovrebbe essere chiaro, la base su cui questo potere dal 1967 basa la sua sopravvivenza è l’economia degli stupefacenti, e chi ne è il più sfegatato sostenitore di tale economia se non la sinistra dei centri sociali? Senza una consapevolizzazione di ciò, essi permarranno in quel loro ruolo di zombi ammaestrati, buoni quando serve, cattivi quando serve. Ma sempre utilizzati a scopi prefissi. Degni eredi del comunismo, il più grande imbroglio di massa della storia umana. Disobbedienti fin dove fa comodo a loro. Impareggiabile il commento di un no-global veneziano riferendosi agli arresti domiciliari impostigli: “Tanto ho Sky”.
Abbiamo in precedenza accennato anche al concetto di “commercio equo e solidale”, sostenuto proprio dai “no-global”; esso potrà propagandisticamente apparire cosa buona, ma contiene la stessa filosofia economica del marxismo delle merci svincolate da prezzi spontaneamente esatti, e quindi come gli ateliers nationaux e le Fa.Sin.Pat. è sottoposto al rischio certo di essere schiacciato dalla concorrenza in quanto inserito in un sistema basato su regole dalle quali pretende di esimersi; si veda al riguardo il capitolo sulle critiche alla socializzazione. Se tutto il mercato fosse “equo e solidale” quale sarebbe il risultato finale ottenuto? Sarebbe semplicemente IL MERCATO ATTUALE.
Riprendiamo e rimpinguiamo come esempio la tesi che ha riscosso le maggiori critiche: se tutte le auto consumassero metà carburante rispetto ad oggi, quale sarebbe il risultato? Sarebbe il raddoppio del prezzo dei carburanti, nel lungo periodo. Almeno in via teorica, dato che si deve tener conto che parte del minor costo della risorsa andrebbe al bene superiore ovvero al fabbricante del motore, e parte andrebbe all’utilizzatore come rendita del consumatore, ma un altra parte (quindi non propriamente il doppio) andrebbe al petroliere che vedendo dimezzata la produzione vedrebbe dimezzata la sua scala (tenendo conto anche della diminuzione dei costi ovviamente) e quindi dovrebbe aumentare i prezzi. O meglio, potrebbe, dato che come sappiamo i prezzi non sono determinati dai costi; il prezzo del carburante non è determinato da altro se non da quanto il consumatore è disposto a spendere a seconda dell’utilità percepita, ovvero per chilometro, non per mero litro effettivo di combustibile acquistato. Il fattore psicologico è la quantità di reddito (e non la quantità di carburante) che siamo disposti a spendere per chilometro. Si consideri il concetto di anelasticità dei carburanti e si tenga presente che la maggior parte dei costi di lavorazione del petrolio sono… il petrolio stesso! Il prezzo del carburante, è tarato su quanto una persona è disposta a spendere in un dato periodo per fare quei chilometri. Quanto si è disposti a pagare per dissetarsi nel deserto? Tutto quello che si possiede. Prevedendo che per arrivare alla fontana più vicina si abbia bisogno di un litro di acqua, si sarebbe disposti a pagare quel litro tutto quello che si possiede. Se invece bastasse mezzo litro, lo si pagherebbe metà di tutto quello che si ha? No, sempre tutto si pagherebbe. Se invece si avesse avuto bisogno di due litri, li si pagherebbe il doppio di tutto quello che si ha? Assurdità. Dato che i prezzi non sono legati ai costi, il prezzo della benzina non è determinato da nient’altro che dalla necessità di ottenere l’utilità che essa fornisce. Non si paga un euro per un litro di benzina; si paga un euro per fare 10 chilometri. Sia che per farli occorra un litro, sia che ne occorra mezzo, sia che ne occorrano due. Il mezzo (benzina) è il dito, il fine (la percorrenza) è la luna. Il petroliere questo lo sa, e su questo basa il prezzo. E dulcis in fundo, questo spiega perché il prezzo della benzina cala in inverno (quando la domanda è alta) e cresce in estate (quando la domanda è bassa). O meglio, è proprio questa realtà a confermare i motivi addotti. Per quanto riguarda le accise, essendo in percentuale (o comunque in proporzione) esse non influiscono sui termini del discorso. Il consumo mondiale è sempre identico, ed il ritmo di estrazione asseconda il consumo. Non viceversa. Mai visto un distributore esaurito per più di qualche ora, e sempre solo per questione logistica. Tutto questo discorso è avvalorato dal fatto che anche dopo la liberalizzazione dei prezzi non è cambiato nulla. Lo scopo delle lobbies non è solo difendere assieme i propri interessi quando vengono toccati dall’esterno, ma anche “calmierare” la concorrenza tra di loro.
Notando che i carburanti costano grossomodo lo stesso prezzo sia dove i redditi sono di 2.000 euro sia dove sono di 150 euro (la differenza di prezzo in questo caso sta unicamente nei livelli di accise e nel saggio di profitto della distribuzione), tale fattore psicologico riguarda la percentuale di reddito che siamo disposti a spendere. Se la spesa per carburanti si dimezza, la gente avrà più soldi (pezzi di carta) in tasca, che non corrispondono a beni esistenti. Quindi, se i motori da un certo momento consumassero la metà di carburante, quale produzione di beni dovrebbe coprire un aumento di potere d’acquisto della stessa misura? Cioè derivante dai soldi (pezzi di carta) che resterebbero in più nelle tasche di ognuno? Se il prezzo dei carburanti restasse uguale o diminuisse come domanda/offerta dice, in che modo si scaricherebbe questo surplus di pezzi di carta in tasca? Dato che in caso di calo dei costi per carburanti ci sono più soldi in tasca, questi soldi in tasca provocano inflazione, cioè i prezzi nominali salgono. Dato che anche i guadagni delle persone salgono di pari passo (ammettendolo teoricamente) il potere d’acquisto resta immutato. Specificando che come “guadagni” non ci si riferisce ad aumenti di salario dovuti alla normale inflazione che esula dal discorso, ma alla minor spesa per carburanti, che va a riversarsi su tutti (anche chi non usa l’automobile) come minori costi di trasporto delle merci. Quindi ci sarebbe un inflazione che riporterebbe il prezzo reale dei carburanti a quello attuale. Non in riferimento ai prezzi nominali, ma a quelli reali, e nel lungo periodo. In tale contesto di continuo rialzo dei prezzi, per una questione psicologica quello a salire più velocemente sarebbe quello dei carburanti (che inizialmente era sceso per la domanda diminuita). Non propriamente un’inflazione di tutti i beni, ma una deflazione di tutti i beni in confronto ai carburanti. Non si tratta dell’aumento di tutti i prezzi al consumo, ma dell’aumento di pari passo della stessa entità corrispondente a quanto in meno si spende per carburanti. Per venire a riequilibrare le rendite del consumatore e del produttore. Tenendo conto della rendita del consumatore e del concetto “a cosa si deve rinunciare per ottenere qualcos’altro” o meglio, potendo rinunciare a qualcosa (il carburante) cos’altro posso ottenere in più rispetto a prima. Questo qualcosa esiste? Viene creato dal mio maggior risparmio? Una situazione teorica di costante rialzo dei prezzi fino al raggiungimento dell’equilibrio che la diminuzione artificiale delle spese ha sballato. E secondariamente per compensare il danno alla scala. E sarebbero comunque numeri notevoli data l’importanza delle spese per carburanti in questa società. Il prezzo del petrolio è uno dei maggiori indicatori osservati. In termini reali, a situazione stabilizzata, il prezzo dei carburanti è aumentato. Il potere d’acquisto è immutato. Viceversa, se il consumo dei motori raddoppiasse, il prezzo dei carburanti si dimezzerebbe, ma non all’infinito: solo fino a quando i costi di estrazione e trasporto non superino la rendita.
Di conseguenza, tanto più carburante consumano gli altri, tanto meno lo pago io. In particolare, quando cresce il prezzo del petrolio, gli USA ne guadagnano nel confronto su Europa e Giappone, perché gli USA possono ricorrere alle proprie scorte. Ecco chiariti i motivi dell’accanimento contro Felice Ippolito, l’ingigantimento dell’incidente di Cernobil, ed il boicottaggio dell’auto ibrida. Ognuno è libero di pensare che sia un caso il fatto che l’incidente di Cernobil sia avvenuto nel momento in cui il prezzo del petrolio raggiunse livelli -----bassi------ non per nulla definito “contro-shock energetico”.
“Fornire alla società una energia economica ed abbondante sarebbe l’equivalente di dare ad un bambino idiota una mitragliatrice” (Paul Ehrlich)
Perché i petrolieri (e quindi i politici che li sostengono) remano da
sempre contro al progresso energetico? Per il loro interesse personale,
solitamente si crede. Ma qualcosa non quadra...: perché questo discorso vale
solo per le fonti energetiche? Il grande potere dei petrolieri lo giustifica?
Facendo un paragone, i taxisti avrebbero un interesse a che sia proibita la
vendita di auto private. Eppure ciò non è nemmeno preso in considerazione. Non
è possibile che dietro ci sia ben più che il mero interesse del singolo
petroliere? Non è strano che da decenni una sola lobbie possa fare il bello ed
il cattivo tempo ufficialmente a discapito di tutti? Evidentemente la risposta
è che non è a discapito di tutti. Se i politici americani appoggiano questa
strategia, significa che anche loro sono consapevoli del meccanismo implicito.
Quelli italiani, che sotto la pressione dei partiti di sinistra nell’inverno
1973-74 vararono i provvedimenti per l’austerità, non fecero altro che spingere
ulteriormente verso l’alto il prezzo dei carburanti. Come abbiamo già analizzato,
il boicottaggio allo sviluppo energetico italiano può essere visto come una
tassa che l’Italia deve pagare agli Stati Uniti, od in alternativa (il che non
fa alcuna differenza) come il pagamento degli interessi del piano Marshall. Un
debito di guerra pagato per via indiretta e mascherata. E’ anche parte
dell’enorme consumo italiano che mantiene bassi i prezzi della benzina ai
consumatori americani. Ed apre inquietanti scenari sul petrolio libico come
concausa del coinvolgimento dell’Italia nella seconda guerra mondiale.
Questa non dovrebbe essere una tesi capita e analizzata per la prima
volta nel 2010 da un qualche pinco pallino.
“Sarebbe quasi disastroso per
noi scoprire una sorgente di energia pulita, economica, abbondante per quello
che ne faremo” (Amory Lovins)
Lo stesso discorso lo si potrebbe fare per le sigarette: se da questo
momento l’effetto biologico delle sigarette durasse il doppio, e quindi tutti
acquistassero metà sigarette, il prezzo rimarrebbe sempre lo stesso? Dato che,
come si sa, il prezzo è poco influente sulle propensioni dei fumatori, il costo
quotidiano per la dose potrebbe agevolmente rimanere lo stesso di oggi ovvero
essere raddoppiato per sigaretta. Sia che lo faccia il venditore, sia che lo
Stato ne approfitti per aumentare la percentuale di accisa, ma in quest’ultimo
caso si deve tener conto che le accise sono regolate su un ben determinato
parametro ovvero sulla percentuale massima possibile che però eviti il ricorso
al contrabbando.
Anche le tariffe telefoniche seguono la stessa logica, e concorrono
anzi a confermarla in quanto gli stessi che criticano l’analisi sulla benzina
mancano completamente di una proposta da presentare in alternativa a
quella da noi esposta, per quanto riguarda le tariffe telefoniche. E’ questo il
motivo per cui i settori indicati sono notoriamente fortemente regolamentati da
barriere istituzionali nell’accesso e da accordi lobbistici nella concorrenza. Se
il saggio di profitto è più alto in un settore vi sarà una tendenza all’entrata
in quel settore da parte di nuove imprese, e ciò porterebbe il saggio di
profitto a livelli in equilibrio con l’intero sistema economico. Le barriere
imposte dai cartelli impediscono --------- permettendo in questo modo la
permanenza di queste differenze di saggio di profitto. -------concorrenza
tramite pubblicità, gadget, e concorsi a premi---------.
Il
grafico successivo riguarda l’andamento di un prezzo in regime di oligopolio di
un bene dal momento in cui viene prodotto per la prima volta, al momento in cui
tutti hanno la possibilità potenziale di averne accesso (ovvero ci sia la
possibilità di produrne uno pro capite) e il mercato si satura.
----correggere
immagine: (costi superiori ai guadagni) e sostituire dirigista con
marxista – e beni prodotti con quantità prodotte---area di profitto?—sostituire
con utile-----
Un
applicazione molto indicativa è mettendo alla base della linea temporale l’anno
1900, e sulla linea di confine tra blu e giallo l’anno 1970: lo schema diventa
applicato all’automobile. A partire dal 1970 si ha la saturazione, e la
domanda è solamente una “domanda di sostituzione”, il prezzo rimane stabile,
seguendo solamente l’andamento dell’inflazione o l’innovazione. Questo ci porta
anche a fare una riflessione sui beni complementari[355]:
fino ad allora il prezzo della benzina era rimasto relativamente basso, e ciò
invogliava ad acquistare automobili; a partire dalla saturazione del mercato
dell’auto non si è più avuta questa necessità, e quindi si è potuto lasciar
schizzare il prezzo della benzina. Che è quello che è effettivamente successo
con la crisi petrolifera nel 1973. Un pò come lo spacciatore che regala le
prime dosi fino al raggiungimento della dipendenza dalla sua droga. Questo apre
un inquietante interrogativo: la guerra arabo-israeliana del 1973 fu causata dalla necessità
di avere una scusa per alzare il prezzo del petrolio? Ad avvalorare questa
ipotesi funge l’ammiraglio Fulvio Martini nel suo libro “Nome in codice
Ulisse”: i servizi segreti italiani avvisarono per tempo Israele dell’imminenza
dell’attacco; la fondata informativa fu ignorata. Non stupisce se si va a
vedere lo stillicidio di omicidi di leader palestinesi ad opera del Mossad un po’
in tutto il mondo nei mesi precedenti, a scopo chiaramente provocatorio (“operazione collera di Dio”). L’allarmismo petrolifero
era in atto già dal 1970, esploso nel 1973 quando il 26 gennaio la Texaco annunciò il
razionamento del petrolio per il riscaldamento in alcuni stati degli Usa.
“L’industria petrolifera come l’avevamo conosciuta non esisterà mai
più. Chiunque guidi un trattore, un camion o una macchina nel mondo occidentale
sarà colpito da tutto ciò” (George Williamson)
Quindi attribuire la crisi alla volontà dell’Opec è
inesatto, quando è noto che si tentava di motivare l’aumento del prezzo da ben
prima dello scoppio della guerra del Kippur. La chiusura del canale di Suez
avrebbe certamente favorito il porto di Rotterdam, mitigando parzialmente i
costi maggiori del più lungo tragitto; se solo contemporaneamente, per una
curiosa coincidenza, i paesi arabi non avessero decretato l’embargo petrolifero
proprio verso l’Olanda (colpevole di essere uno dei paesi più filo-sionisti,
come abbiamo effettivamente già visto); una misura che colpisce anche tutti i
paesi nord europei che si riforniscono dai porti e dalle raffinerie olandesi,
aggravando le già gravose difficoltà.
Come si può notare nell’immagine, la differenza tra il sistema dei prezzi liberi e quello dei prezzi stabiliti politicamente ha forti ripercussioni nella distribuzione; ma per questo vi rimandiamo al capitolo “Il comunismo sovietico”.
Si scusi il divagare ----- Prima di guerra 1973 sospette forniture di armi da Italia a Libano, Turchia (paesi antagonisti dei nemici di Israele), Sudafrica (notorio alleato di Israele) e a Libia (che come abbiamo visto------)
“Nel suo rapporto edipico con il padre-America, l’industria militare italiana giunge nella seconda metà degli anni sessanta, dopo l’infanzia dei doni e l’adolescenza dell’apprendistato, alla maturità dell’indipendenza e del distacco. Il distacco sarà soffice, tuttavia, e l’indipendenza sarà una limitata libertà sotto il vigile occhio paterno[356]”
Argo 16 caduto novembre 1973 durante Kippur
1969 gheddafi messo al potere da Israele per tenere usa fuori da
mediterraneo orientale --- pied a terre ----
Il 3 gennaio 1971 Gheddafi
impone alle compagnie petrolifere operanti in Libia nuovi accordi, per esse
assai più onerosi dei precedenti.
27 giugno 1971 Il Dipartimento di Stato di Washington annuncia il che il
Governo di Malta ha informato gli U.S.A. che esso non desidera più ricevere
visite di navi da guerra americane, restando in sospeso la revisione degli
accordi generali, e che conseguentemente una visita dalla 6^ Flotta americana
programmata per luglio è stata cancellata.
----riguardo bombardamento isra 1967??? E crisi petrolio?
Se si potesse produrre tutta l’elettricità dal nucleare -----. L’energia fornita dall’elettricità prodotta da una centrale nucleare sarebbe sicuramente molto più economica rispetto ai combustibili fossili, per qualunque uso. Dico sarebbe in quanto tutti sappiamo che i costi dell’elettricità dal nucleare sono artificialmente alzati da molti fattori. Ma sono soldi per fattori che rimangono nel paese produttore, non vanno agli sceicchi arabi (Enrico Mattei fece un discorso simile, riportato dal film “Il caso Mattei”). In Italia oggi sostituire il gas con l’elettricità sarebbe improponibile per il costo dell’elettricità.
Come per il petrolio, il prezzo dell’uranio non è calcolato di per sé, ma in rapporto in quanto concorrente delle altre fonti di energia.
-----qui una delle frasi sull’energia???-----
L’utilizzo di migliori tecnologie è un fattore che da il via a un incipiente sviluppo della produttività. I costi si riducono e si produce di più, come effetto del conseguente risparmio. Il bene che era di lusso diventa via via alla portata di tutti. Di fronte a questo sviluppo della produttività, i prezzi reali unitari nel medio-lungo periodo tendono a scendere (effetto “trickle down”). Se non ci fossero i più ricchi nessuno potrebbe comprare i beni la cui produzione è più costosa, che non verrebbero più prodotti (“costo di opportunità”) e non potrebbero di conseguenza aumentare in quantità ed essere progressivamente resi disponibili ad un numero crescente di persone ad un prezzo reale decrescente fino a raggiungere tutti con lo spostamento della curva di offerta. Ciò può essere ininfluente per prodotti superflui (come i diamanti), ma diventerebbe rilevante nel caso ad esempio delle automobili o dell’acquedotto. Se esistono i più ricchi è unicamente perché esistono merci i cui costi di produzione sono talmente alti rispetto tutto il resto da poter essere prodotti solo in pochi esemplari per volta; e non il contrario. Se il Faraone non avesse avuto i pani come avrebbe potuto pagare la pepita e quindi incentivarne la ricerca di altre? Un computer oggi costa notevolmente meno rispetto a vent’anni fa e ha una capacità migliaia di volte superiore. Tutto questo è facilmente esplicabile con un esempio pratico, il costo dei biglietti (del treno ad esempio) di prima classe e seconda classe: se quello di prima classe costa 40 euro, e quello di seconda 20 euro, è prevedibile che abolendo la divisione in classi il biglietto unico costerebbe teoricamente 30 euro, con sommo svantaggio per gli utenti più poveri, che dovrebbero in molti casi rinunciare al viaggiare in treno. Proprio per questo nella pratica (legge domanda/offerta) il gestore dovrebbe mantenere comunque al minimo cioè a 20 euro il prezzo per tutti del biglietto, con la sola conseguenza della scomparsa della prima classe ed il peggioramento della qualità della seconda in assenza dei fondi per investimento che derivavano dai biglietti di prima classe. Come già spiegato, ogni pianificazione per redistribuire i redditi porta solo perdite per tutti. La perfetta distribuzione dei beni è quella determinata automaticamente dalla “mano invisibile”.
«I soldi devono essere portati dal ricco al povero in un secchio bucato. Una parte di essi semplicemente svanisce nel trasferimento» (Arthur Okun, “Eguaglianza ed efficienza: il grande trade-off”)
Il distributismo non pretende di annullare le differenze reddituali per redistribuire i beni ed i patrimoni, non è questo il suo proposito.
Tuttavia risulta chiaro, analizzando la socializzazione in tutti i suoi aspetti, che ne porterebbe inevitabilmente una razionalizzazione più o meno grande, soprattutto grazie alla diversa concezione del rapporto redditi/PIL (non più “ostaggio” del mercato del lavoro), che modificherebbe il “consumo indotto” con risvolti sull’“effetto reddito” e sui “costi marginali di produzione”, confermando l’“effetto Pigoù”. Questo non porterebbe ad una distorsione dello schema capitalistico dei prezzi in senso marxista, ma ad una diversificazione della possibilità di acquisto ovverosia alla diffusione della possibilità di acquisti indotti, a seconda dei gusti e delle necessità delle persone, evitando che solo una piccolissima parte di persone possa accedere a tutti i beni per loro stessi superflui; ma rendendola accessibile ad una maggior numero di persone che ne abbiano un reale interesse all’uso, ovvero in termini economici: una variazione autonoma della spesa aggregata risultante nel perfetto equilibrio reddito/spesa. Semplificando: le proporzioni della “piramide” rimarrebbero immutate, ma a partire dal vertice in giù i poteri d’acquisto reali si ridurrebbero, mentre a partire dalla base in su aumenterebbero, incontrandosi alla metà (ove sarebbero immutati) con conseguente riflessione sui prezzi tramite “effetto reddito” e quindi sulla propensione marginale al consumo e sulla valutazione dei costi di opportunità. Questo porterebbe ad una razionalizzazione delle produzioni verso la reale necessità delle persone (che viene spiegata ulteriormente a pagina --), massimizzando la “funzione di utilità” del sistema economico con un autocompensazione di tutti i fattori. Ma sia chiaro, questo è ciò che si può dedurre come risultato della socializzazione, analizzandola. Risultato indiretto e secondario, non appositamente ricercato. Non è questo il suo scopo, quindi anche se la realtà smentisse questo dettaglio (ovvero si mantenesse come oggi), non verrebbe meno lo scopo primario che è la razionalizzazione del sistema conseguente alla diffusione della proprietà con la scomparsa del castrante schiavismo istituzionalizzato noto come “lavoro dipendente”.
“Così il processo evolutivo che ha caratterizzato il concetto di proprietà, spostandola da una mano all’altra, non ha risolto il problema del diritto che il lavoratore ha sulla produzione stessa che si è realizzata col suo apporto diretto e non per tramite della società o dietro salario; in realtà i lavoratori (produttori), nonostante si sia mutato il concetto di proprietà, restano ancora dei salariati. La soluzione definitiva rimane nell’abolizione del salario e nella liberazione dell’essere da questo genere di schiavitù; e cioè il ritorno alle norme naturali che hanno definito il rapporto prima del sorgere delle classi, e delle varie forma di governo e delle legislazioni elaborate dall’uomo. Le norme naturali sono l’unità di misura, il punto di riferimento, e l’unica fonte dei rapporti umani. Da queste norme naturali è scaturito un socialismo naturale fondato sulla eguaglianza tra gli elementi che concorrono alla produzione economica. L’applicazione di questo principio ha consentito di distribuire quasi equamente tra gli individui i prodotti della natura. Al contrario lo sfruttamento del proprio simile da parte dell’individuo, il possesso di beni in misura superiore al proprio fabbisogno costituiscono l’abbandono della norma naturale, l’inizio della corruzione e della deviazione dai valori fondamentali e segna il sorgere della società dello sfruttamento” (Dal “Libro verde” di Muhammar Gheddafi)
Oggi chi si rifiuta di accettare ciò non può far altro che estraniarsi come un eremita, ed entrare a far parte del ceto dei “sottoproletari”. Dato che in politica queste filosofie sono portate avanti dai partiti fascisti, è inevitabile che tale ceto si assimili a questi partiti. Difatti, se, come abbiamo visto, il sindacalismo comunista è la causa della disoccupazione, è più che prevedibile che i disoccupati provino avversione verso la causa della loro disoccupazione. La differenza fondamentale tra marxisti e fascisti sta nella concezione di ricchezza: i marxisti la inseguono, i fascisti la assecondano.
“La povertà stessa, quando è immeritata, rende orgogliosi” (Johann Wolfgang von Goethe)
Una dotta analisi del maggior teorico odierno del socialismo, Gian Maria Freddi, ci fa notare come moltissime persone, condizionate da un educazione mortificante e dalla propaganda dei mass-media, credono che ci si debba considerare estremamente fortunati quando imprenditori generosi o governi ben intenzionati offrono possibilità di impiego. Questo non fa altro che rinnovarci la consapevolezza di vivere in una società del tutto capovolta. Anche Marx e i comunisti ci mettono del loro: la definizione marxista di “classe lavoratrice” include tutti coloro che sono costretti a vendere il proprio tempo allo scopo di guadagnarsi da vivere. La cosiddetta classe operaia è perciò essenzialmente una classe di salariati, ed in quanto tale, oltre agli operai, include gli impiegati, gli statali, gli insegnanti, i medici, e così via. Gli interessi di questa classe vengono presentati come divergenti da quelli dell’altra classe in cui Marx divide la società: la classe capitalista, che comprende coloro che possiedono i mezzi di produzione ed utilizzano la classe operaia salariandola. A queste si aggiunga la classe dei sottoproletari, ovvero di coloro che pur non avendo la possibilità di vivere senza bisogno di vendere le proprie capacità, rifiutano a priori di farlo. Il concetto più brillante su quest’argomento è opera di Totò nel film “Le motorizzate”: “Ho una dignità io! Non sono io a dover cercare il lavoro, è il lavoro a dover cercare me!”, tutt’altro che ironico come forse viene interpretato dagli spettatori. Ed essi oggi trovano di conseguenza il loro unico referente politico nei partiti fascisti. Da quale altro pulpito potrebbe provenire una tale lucida affermazione? A Berlino nel 1931 Martin Kohler, della Federazione operaia nazionalsocialista, ebbe a dichiarare: “Il capitalismo si arroga il diritto esclusivo di dare lavoro alle condizioni da lui medesimo stabilite. Questo dominio è immorale e dobbiamo spezzarlo”.
Mai udite parole simili da bocca comunista; difatti la maggior parte di essi, pur professandosi rivoluzionari, non si sono mai tirati indietro dal lavorare in cambio di un salario. Alla faccia della coerenza rivoluzionaria!
“Non facciamo quello che vogliamo e tuttavia siamo responsabili di quel che siamo” (Jean-Paul Sartre)
Secondo i marxisti tutto quello che va a vantaggio dei capitalisti va a svantaggio dei lavoratori e viceversa: più basso è il salario dei lavoratori, più alto è il guadagno per i capitalisti; più alta è la paga, più basso è il profitto. A questo punto dovrebbe essere già chiaro a tutti che ciò non corrisponde al vero. -----indice di Gini?----- Sarebbe sciocco, quindi, avercela personalmente coi capitalisti. Ma nel sistema odierno non si può evitare che fra gli interessi della classe lavoratrice e della classe capitalista sussista un antagonismo irriducibile. La società in cui viviamo è una società divisa in classi perché è il capitalismo liberal-democratico a creare questa frattura. E finché la società sarà divisa in classi esisterà la lotta di classe la cui espressione più caratteristica è lo sciopero, assieme ad altre diseconomie: oltre alla continua lotta di classe fra padroni e lavoratori, il sistema liberalcapitalista genera tutta una serie di problematiche che abbiamo in parte già riscontrato, che contribuiscono a comporre il quadro di una società afflitta da conflitti apparentemente irrisolvibili in cui la qualità della vita è giudicata insoddisfacente, perennemente angustiata da un senso di frustrazione e insicurezza. Spesso ciò spinge i vari partiti politici a promuovere riforme. Ma una volta entrate in vigore, queste molto spesso non sortiscono l’effetto sperato e, a un esame accurato, si rivelano esse stesse prodotti del sistema tese a far funzionare meglio l’inefficiente meccanismo liberista. Il quale in ogni caso finisce per controbilanciare in qualche modo le imposizioni.
Non credo sia precisamente in corso una lotta di classe in nessuno dei
sensi opposti. Credo piuttosto che l’apparenza di una contrapposizione
“capitale-lavoro” effettivamente esista ma che il suo sottostante sia completamente
diverso dalla polemologia classista convenzionale. La mia sensazione è che si
giochi e si combatta principalmente una battaglia per la radicalizzazione dei
processi di mondializzazione e unificazione planetaria, per un disboscamento
politico delle forme residue di organizzazione socioeconomica della piccola
borghesia e del mondo operaio. Paradossalmente mi pare quindi che -per quanto
possa sembrare un capovolgimento prospettico- sia adesso l’ideologia a
determinare l’economico e le forme della produzione. Vedo una volontà cioè
ideologica e politica di costruire un mondo nuovo attraverso profonde revisioni
dei rapporti del lavoro e della produzione. Ma è tutto iniziato molto tempo fa
con i processi di de-colonizzazione e di americanizzazione spinta dell’Europa.
Processi cui hanno inconsapevolmente o consapevolmente collaborato le forze più
dure della sinistra internazionalista che a sua volta ha usato gli argomenti
materialistico-economici per preconizzare un mondo senza barriere, senza
frontiere, senza diversificazioni. E il linguaggio escatologico adesso si
rivolge contro le stesse masse che in quella terminologia antagonista intesero
una via all’emancipazione dai rapporti di forza del mercato del lavoro.
E
la coscienza di classe non esiste più perché fa riferimento - anche a
livello fraseologico - a un sistema di interpretazione della realtà - il
marxismo - che si è mostrato chiaramente inadatto a interpretare la modernità
del resto, Marx scriveva nella seconda metà dell’800, in piena rivoluzione industriale,
quando il proletariato era un blocco monolitico, che versava in condizioni di
vita e di lavoro quasi disumane ancora negli anni ’70, il modello predominante
era quello della catena di montaggio ma oggi la società è enormemente
parcellizzata gli interessi e la coscienza di classe di un precario del call
center sono diversi da un lavoratore metalmeccanico. e anche all’interno di una
medesima categoria produttiva, vi sono interessi confliggenti: giovani/anziani,
nord/sud e via discorrendo. del resto, il fallimento della chiave
interpretativa marxista appare evidente in relazione al fenomeno
dell’immigrazione: in linea puramente teorica, vi dovrebbe essere la naturale
solidarietà di classe (“proletari di tutti i paesi unitevi”) tra le classi
subalterne indigene ed allogene, in realtà, l’ostilità verso l’immigrazione
massiccia si radica soprattutto tra i ceti meno abbienti, che si trovano
costretti a condividere i quartieri con comunità diverse per cultura,
tradizione, lingua, religione... i professionisti benestanti che abitano le
case in centro da 12.000 € al metro questi problemi li vivono più
superficialmente
Buttiamo quindi via tutto del capitalismo, come voleva fare Marx? No, il distributismo non è un idea nata “anti” qualcosa. Anzi, è perfino errato definirla “nata”. Esso è semplicemente la filosofia della volontà di riportare la società a quella normalità che da tempo è stata lentamente stravolta. Le basi dell’ideale distributista non nascono da Mussolini, o da Douglas, o da Gesell, ma sono insite nell’uomo, e conferma di ciò ne è proprio il fatto che sono state sviscerate in modo indipendente da diverse correnti filosofiche, anche all’insaputa l’una dell’altra, sia in precedenza e sia contemporaneamente, che sono solo sfociate in piazza S. Sepolcro nel 1919 come reazione al risultato di decenni di lavorio occulto delle forze massoniche, lavorio che aveva avuto il suo evidente risultato nella prima guerra mondiale; è in seguito ad essa che in quell’anno questa filosofia si è organizzata necessariamente come partito politico per riportare il progresso economico sulla strada della spontaneità produttiva castrata fin’allora da quelle forze. Assieme alle conseguenti implicazioni sociali e culturali. Perché non si ripetesse mai più una nuova guerra mondiale a causa di un economia dolosamente alterata da quelli che sono i veri “anti”, quelli che loro si hanno pianificato per deviare. E’ quella guerra che ha aperto gli occhi sul fatto che l’economia non seguisse più un corso naturale ed i modi coi quali questa deviazione veniva attuata e protetta dall’altrimenti inevitabile fallimento: in primis le due guerre mondiali. La stessa rivoluzione russa lo dimostra. Anche Marx (però basandosi sul suo “materialismo storico”) aveva previsto il fallimento di quel sistema, ma non aveva previsto la tenacia dei capitalisti nel non voler mollare l’osso: Marx sosteneva che i lavoratori sarebbero diventati sempre più poveri, man mano che i capitalisti li sfruttavano sempre più; che le differenze tra i membri all’interno di ogni classe sarebbero divenute sempre più piccole e le classi sarebbero diventate quindi più omogenee; che gli operai specializzati sarebbero stati rimpiazzati da lavoratori generici che eseguivano un ripetitivo lavoro di assemblaggio in linea; che le relazioni tra la classe lavoratrice e i capitalisti sarebbero sempre più peggiorate; che i capitalisti sarebbero diventati sempre meno a causa di un numero crescente di monopoli; e che quindi la rivoluzione proletaria sarebbe avvenuta per prima nelle nazioni più progredite[357]. Le predizioni di Marx riguardanti il crescente immiserimento della classe operaia avevano alcune somiglianze con quelle fatte da altri economisti in precedenza, come le conclusioni di David Ricardo derivate dalla sua “legge ferrea dei salari”. Se queste predizioni non si avverarono o lo fecero solo in parte, il motivo è che ci furono una serie di eventi che Marx non aveva previsto: imperialismo, I guerra mondiale, economia Keynesiana (che introdusse il concetto di redistribuzione della ricchezza tramite trasferimenti pubblici sperimentata nel “new deal”), II guerra mondiale e infine Guerra Fredda (con i suoi vari risvolti). I marxisti stessi quindi implicitamente riconoscono una avvenuta deviazione dal sistema economico naturale. Ma non arrivano a capire anche che se così tanti eventi “imprevedibili” sono avvenuti in passato, un numero pari potrebbe avvenire in futuro, e quindi il loro “materialismo storico” non è un metodo affidabile per fare previsioni, perché il liberalcapitalismo per non scomparire troverà sempre le soluzioni con cui reagire, più o meno spregevoli che siano, ma sempre funzionali ad esso. Il solo ed unico risultato ottenuto da Marx è stato proprio il consigliare i capitalisti su come prepararsi per poter evitare il fallimento, illustrandogli le problematiche prevedibili.
“In realtà i suggerimenti di Adam Smith sulla psicologia economica dell’uomo primitivo erano tanto falsi quanto la psicologia politica del selvaggio di Rousseau. La divisione del lavoro, un fenomeno antico quanto la società, nasce da differenze inerenti al sesso, alla geografia e alla doti individuali e la presunta disposizione dell’uomo al baratto, al commercio e allo scambio è quasi del tutto apocrifa. Se la storia e l’etnografia parlano di diversi tipi di economie la maggior parte delle quali comprendenti l’istituzione del mercato, esse tuttavia non ne conoscono alcuna, antecedente alla nostra, anche approssimativamente controllata e regolata dai mercati” (Karl Polanyi, “Economie primitive, arcaiche e moderne”, Einaudi Paperbacks, 1980)
2.7 Le crisi
economiche e le guerre
“Chi non s’intende di economia non capisce affatto la storia” (Ezra Pound)
Per identificare i motivi di questi eventi “imprevedibili” basta analizzare le cause delle cosiddette “crisi economiche”. Ma si deve far attenzione a guardare la luna, non il dito. Anche in economie pre-capitalistiche c’erano delle crisi, ma dipendevano da condizioni diverse rispetto a quelle odierne: infatti, il problema di quelle economie era che in certi casi si verificava una sottoproduzione dei beni rispetto alle esigenze dalla maggior parte della popolazione; per esempio delle annate di cattivi raccolti facevano sì che il prezzo degli alimenti salisse riducendo il salario reale (“potere d’acquisto”) di molti lavoratori, con conseguenza una depressione generale dell’economia; ed avveniva qualcosa di simile quando la popolazione cresceva con un tasso troppo elevato rispetto alle risorse disponibili (carestie). Queste crisi furono ampiamente studiate da Malthus. Invece, nell’economia dei paesi più avanzati odierni vi sono due tipologie di crisi che dipendono da condizioni differenti. Secondo gli economisti keynesiani una tipologia, che potremmo definire come una tendenza alla stagnazione, consiste nel fatto che nel lungo periodo si manifesta una tendenza al sottoconsumo, o meglio una crescita dei consumi più lenta della crescita della capacità produttiva, che dipende dal fatto che da una parte con la crescita del reddito cresce la propensione al risparmio più velocemente della propensione al consumo, dall’altra il progresso tecnico riduce il numero di lavoratori impiegati. Secondo i fautori di questa teoria, per contrastare tale tendenza lo Stato dovrebbe o correggere la distribuzione del reddito tramite la tassazione, in modo da spostare il reddito verso coloro che avrebbero una propensione al consumo più alta, ossia i cittadini più poveri; in tal modo la capacità di consumo della popolazione potrebbe nel complesso crescere, e potrebbe migliorare la condizione della parte della popolazione più povera; oppure lo Stato dovrebbe avviare una politica di lavori pubblici, che direttamente o indirettamente crei nuovi consumatori in concomitanza dei nuovi lavoratori impiegati. Questo significa guardare il dito anziché la luna, perché come già detto, gli aumenti di redditi base non corrispondono ad aumenti di beni di base, ma viceversa i redditi più alti esistono perché esistono prodotti di maggior valore. Richard Cantillon arriva a una concezione pura del lavoro-terra. Importante è anche il concetto sui beni di lusso, da lui definiti in due modi: o come residuo dell’età feudale o come ruolo di motore del sistema attribuito a consumi di lusso delle classi più elevate.
Obiettivi di scala: tanti prodotti a costi calanti.
Obiettivi di scopo: prodotti diversi a seconda delle esigenze dei mercati.
La seconda tipologia di crisi sono quelle congiunturali, come quelle che nascono quando si verifica un evento particolare e imprevisto: per esempio, un improvviso rialzo del prezzo di una risorsa necessaria come il petrolio. Secondo i keynesiani in tal caso la spesa pubblica dovrebbe cercare di contenere la crisi tramite l’istituzione di incentivi al consumo in relazione ai settori economici sovradimensionati. In tal modo l’aumento di domanda giungerebbe proprio dove c’è più bisogno. Abbiamo già visto quanto incongruente sia questo ragionamento.
--------- arrabattarsi con arzigogolate soluzioni palliative ----------- la gara a chi scopriva per primo la formula per trasformare il piombo in oro -----------
L’economia di un Paese, tuttavia, non è semplicemente soggetta ad una serie di regole tecniche, seguendo le quali si ottiene, quasi fosse un problema scolastico, la soluzione meccanica. Esiste una complessa interazione di equilibri geopolitici dei quali è obbligatorio tenere conto.
Così come nella “grande depressione” del 1873-95, le cause principali vanno sicuramente addebitate ai dazi doganali, ma soprattutto ai motivi che li avevano fatti introdurre. Alcuni stati producevano beni in surplus che però importatori di altri stati non potevano acquistare a causa dei dazi che venivano imposti dai produttori interni per non vedere diminuito il valore dei propri prodotti. Contrariamente ad ogni logica economica sul “vantaggio comparato”. Ogni ambiente ha un vantaggio rispetto ad altri nella produzione di determinati beni. Ad esempio la Mesopotamia ha un vantaggio nella produzione agricola se comparata all’Antartide. Viceversa l’Antartide ha un vantaggio nella produzione di ghiaccio se comparato alla Mesopotamia. Altrimenti non si spiegherebbe perché delle esportazioni tra Germania e Francia, il 52% dell’interscambio avviene tra prodotti simili, a conferma che ciò che regola il commercio internazionale non è la speculazione ma le economie di scala, secondo Paul Krugman. ----- Lodovico Festa, Giulio Sapelli, “Capitalismi”, Boroli ed, pag. 31. ---- Lo scambio delle rispettive produzioni in cui sono rispettivamente avvantaggiati è efficiente nelle maggiori quantità reciprocamente scambiabili rispetto ad una situazione di autoproduzione autarchica. Quindi quando in un paese produttore di un dato bene questo raggiunge livelli di saturazione (ovvero la parte azzurra del grafico di pagina ----) il suo prezzo scende sotto un livello che non è più conveniente per il produttore produrre e trasportare (“costo di opportunità”), se non trovando nuovi mercati dove poter continuare a vendere a prezzi vantaggiosi. Commercio internazionale, bilancia commerciale, tendono ad equilibrarsi come la teoria dei vasi comunicanti. I dazi lo bloccano. ----- -- Grado di apertura (al commercio con l’estero) -------
Analizzare sanzioni e aumento del prezzo di domanda di stato sanzionato.
In assenza di tali nuovi mercati la produzione pur mantenendo una potenziale produttività ed una potenziale domanda mondiale, diminuisce o si ferma. ----Dazi 1929: scrivere che bloccato crescita. --- 1929: da crisi finanziaria a crisi reale. --- Per fare un esempio riguardo la crisi degli anni 1873-95 il grano è il bene ideale: negli Stati Uniti vi era una sovrapproduzione di grano dovuta all’ampiezza degli spazi coltivati estensivamente, alla bassa densità di popolazione, ed all’introduzione del filo spinato. I progressi nei trasporti consentivano sempre più l’esportazione per lunghe distanze cosicché grazie a questo suo “vantaggio comparato” gli USA divennero esportatori di grano in Europa. L’Europa di bocche da sfamare ne aveva e quindi acquistava il grano americano, a prezzo più basso rispetto alla produzione locale. Ma ciò danneggiava i proprietari terrieri europei, i quali imposero ai rispettivi governi i dazi per gravare sulle importazioni dall’America. Quindi la responsabilità va ricercata negli interessi particolari di un gruppo ristretto, in questo caso la lobby dei grandi proprietari terrieri. Questa anomalia provocava un risvolto noto come “fallimento del mercato” causato da uno “shock della domanda” negativo, con le seguenti conseguenze: carenza di grano e quindi suoi prezzi più alti in Europa; eccedenza di grano in USA con conseguente abbandono di terre coltivate e disoccupazione; mancato afflusso di beni dall’Europa all’America (coi quali veniva pagato il grano); tali beni potevano essere prodotti industriali o minerari o beni di lusso o servizi svolti dagli immigrati; mancato afflusso di rimesse in Europa dagli immigrati disoccupati in America.
“La completa libertà di mercato non è politicamente fattibile. Perché? Perché è solo nell’interesse generale e non nell’interesse di qualcuno particolare. I benefici di un dazio sono visibili. I sindacati possono vedere che sono “protetti”. Il danno che fa un dazio è invisibile. Si diffonde largamente. C’è gente che non ha lavoro per via dei dazi ma non lo sa” (Milton Friedman)
In pratica una “forzatura del risparmio”, che come abbiamo visto nel modello faraonico provoca solo diminuzione del PIL. Quindi che l’eccesso di risparmio sia la causa della crisi è una conclusione affrettata che non tiene conto delle ipotesi semplificatrici non ben esplicitate. Un aumento di consumi che avviene a parità di ogni altra condizione (per esempio con un aumento di spesa pubblica fatto a scopo anticongiunturale, o una riduzione del risparmio), ha una sola prima conseguenza immediata: un aumento dei prezzi dei prodotti verso i quali si dirige la domanda. Come effetto mediato, può esserci un aumento di produzione. Le condizioni che permettono il raggiungimento del risultato anticongiunturale voluto sono: o i prodotti verso cui si dirige la domanda innescata dalla spesa pubblica sono esattamente quelli che soffrono per eccesso di produzione; o esistono fattori produttivi disoccupati (uomini e capitali), che possono destinarsi ad accrescere la produzione di quei beni verso i quali si dirige la domanda. In mancanza di queste due circostanze il risultato anticongiunturale atteso non avviene. Come risultato della riallocazione del consumo e delle vendite la produzione in surplus diminuisce; al popolo europeo viene a mancare il nutrimento a basso prezzo; ai grandi coltivatori americani vengono a mancare quei beni “indotti” ma che erano l’incentivo alla produttività agricola; i coltivatori americani più piccoli e i dipendenti restano senza lavoro; i superflui beni “indotti” che restano in Europa vanno alle classi agiate (anche agricole) locali, che li possono acquistare a prezzo più basso rispetto al prezzo che pagherebbero contro una concorrenza americana; i produttori europei di questi beni superflui vedono quindi anch’essi ridotte le loro entrate oppure falliscono o rischiano il licenziamento se dipendenti; stesso discorso per il settore indotto (trasportatori, dettaglianti); gli emigrati europei in America diventano disoccupati, e le loro rimesse vengono a mancare in Europa. Come si vede questo circolo vizioso nuoce a tutti fuorché a una ristretta minoranza. Ma in una visione macroeconomica più ampia nuoce anche a questa cieca minoranza, nella crisi economica generale. Nell’aumento generalizzato dei prezzi rispetto ai ricavi (nel complesso deflativo generale), dato che anche i produttori di grano non vivono di solo grano. Quando la propensione al reinvestimenti è scarsa: Il denaro non va alla produzione di merci per mezzo di merci e alimenta piuttosto la produzione di consumo per mezzo di consumo, affluente e tipico delle classi agiate di vebleniana memoria. ----- Lodovico Festa, Giulio Sapelli, “Capitalismi”, Boroli ed, pag. 170. -----qui o su???----- Domanda/ offerta spinge al ribasso i prezzi per mancanza di soldi (beni diminuiti, non moneta aumentata) --- aumenta risparmio?---- Questo stesso circolo vizioso che causò la crisi del 1873-95 è la causa principale pure di quella del 1929, ma con modalità differenti.
La crisi del 1873-95 aveva trovato soluzione con il colonialismo, grazie al quale si erano aperti nuovi mercati nei quali si poteva dirigere il commercio, ogni nazione nelle sue colonie le quali erano precluse al commercio con altre nazioni sempre tramite i dazi. In questo modo gli stati europei potevano ricevere il grano americano senza gravare sui coltivatori locali grazie alle conseguenze dello “shock della domanda” positivo. Così quella che fu la soluzione alla crisi del 1873-95 divenne la causa di quella del 1929. La conferma di questo è il crollo dei prezzi (deflazione) avvenuto dopo il 1929. Questo perché a un certo punto anche i mercati coloniali arrivarono a un punto di saturazione (e in questo contesto come mercati coloniali dobbiamo riconoscere come parzialmente tali anche il sudamerica, la Cina, ed il Giappone, nei confronti degli Stati Uniti), quindi in assenza di una impossibile diversificazione di produzioni quello che, ad esempio, l’Inghilterra vendeva all’India non poteva venderlo al Marocco, e nemmeno acquistare. Viceversa la Francia poteva commerciare con il Marocco ma non con l’India. O se volevano dovevano farlo secondo i prezzi imposti dalla potenza coloniale e tramite essa, certamente più alti a causa dei dazi; questo gli consentiva di tenere al cappio tutte le nazioni indipendenti prive di colonie rilevanti (quindi anche l’Italia). Ed i prodotti di Marocco e India non sono gli stessi: ognuno di essi ha un “vantaggio comparato” nella produzione di determinati beni. Quindi a causa di questo stallo commerciale si ritornò alla situazione del 1873-95, nella quale si poteva produrre ma non si vendeva e se si vendeva si doveva vendere a prezzi tanto bassi da dover abbandonare la produzione od il trasporto; mentre i prodotti da comprare avevano prezzi talmente alti da non poterseli permettere. Quindi forzatura del risparmio a causa dello spostamento verso il basso della “funzione di consumo aggregato” con ripercussione negativa sul “PIL di equilibrio reddito/spesa”, e quindi diminuzione della “spesa aggregata programmata” ed accumulo di scorte, che per “aggiustamento” provoca recessione. Tuttavia se la causa di fondo è questa, il crollo del 1929 è stato così repentino a causa dell’accumulo continuo di valore anche dal momento i cui tale valore era diventato fittizio. Il crollo, come fattore psicologico è stato originato dall’essersi resi conto di ciò. Ed è stato seguito da una crisi così imponente perché il valore nominale complessivo delle azioni di società aveva superato di gran lunga i beni esistenti acquistabili con tali cifre. E quindi ogni società aveva superato di gran lunga il suo valore reale. Un po’ come se oggi un falsario si mettesse a distribuire certificati azionari falsi. Il crollo del valore era inevitabile allorquando ci si sarebbe resi conto di ciò. -----Deflazione???? ---- Tuttavia ciò non spiegherebbe il motivo per cui il crollo della borsa fu così repentino; effettivamente la spiegazione fin qui data giustificherebbe un lento --------------. La spiegazione sta proprio nella frase precedente: il crollo del “martedì nero” non fu il crollo dell’economia in senso lato, ma il crollo della borsa! Fu cioè una crisi finanziaria, che divenne crisi economica reale solo -----a dazi?------ Riguardo motivo crisi economica post caduta borsa: nonostante ciò non sia assolutamente indice di caduta produttiva: effetto ricchezza, psicologico, induce comportamenti irrazionali i quali in un causa-effetto reciproci comportano in definitiva una reale riduzione della produzione, con un effetto che si moltiplica man mano che le propensioni vengono alterate nel/dal contesto generale.
Volatilità: oscillazione della parte effimera del valore di un bene mobiliare. Eccessive valutazioni (spa) impedite oggi solo dall’azione degli speculatori.
1929 l’aumento del valore dei titoli azionari (artificiale) distolse capitali Usa che prima andavano come prestito alla Germania la quale li utilizzava per pagare i debiti di guerra ai paesi vincitori, i quali li utilizzavano per acquistare prodotti dagli Usa. Il risultato fu un crollo delle esportazioni Usa dovuto all’aumento del valore del dollaro rispetto alle monete dei paesi coinvolti. Aumento prezzo oro deprezza moneta
Moneta legata a oro – contrario: corso forzoso.
Deflazione: Le perdite dovute a un calo dei prezzi sono immediate e ben identificabili; i benefici del conseguente aumento di potere d’acquisto si diffondono invece piuttosto lentamente.
Abbiamo già visto che il fulcro dell’economia è la produzione.
Crisi economica: ovviamente non è derivata e conseguente ad una distruzione di beni (che potrebbe giustificare ---materialmente--- la diminuzione di ricchezza), quindi la “distruzione” di valori monetari non è legata ad un effettiva causa produttiva. Da ciò se ne ricava che il valore delle azioni delle aziende non è esatto quello precedente alla crisi, ma quello successivo. Un azienda il cui valore delle azioni crolla da un momento all’altro nel contesto della crisi non è fisicamente meno dotata produttivamente e materialmente di prima. Vi possono essere fattori quali concessioni e diritti di privilegio politici. Ma nel contesto di una crisi generale questo è indipendente dal calo globale. L’azienda nel suo complesso non perde valore vero; perde valore fittizio che in precedenza era stato determinato da fattori psicologici. In teoria gli azionisti non perdono nulla in un calo generalizzato, come quando chi possiede milioni di denaro contante non perde nulla in un contesto inflativo che ????????? il valore delle azioni (capitalizzazione) viene tenuto su da una -----psicosi?------- comune che va a creare un valore che è puramente convenzionale. Certo determinato soprattutto dal saggio di profitto rispetto a tutte le altre azioni esistenti.
Tutto a causa dei dazi doganali, un “costo aggiuntivo” imposto fittiziamente alle merci con l’unico scopo di salvaguardare gli interessi particolari di una ristretta minoranza, che portava di conseguenza a combattere una guerra commerciale tra nazioni. Guerra che da commerciale era divenuta militare negli anni 1914-18, addirittura riavvicinando le due nazioni nemiche storiche per antonomasia, Gran Bretagna e Francia, e il cui risultato (l’eliminazione di un forte concorrente, Germania, che, essendosi sganciato dalle crescenti logiche globalizzatrici, ostacolava l’oligopolismo ritenuto essenziale da Gran Bretagna e Francia per poter tenere alti i loro prezzi sui mercati internazionali[358]) aveva ridato “ossigeno” al sistema economico coloniale per qualche anno “ruggente” in più, fino al 1929 appunto. Senza la Prima Guerra Mondiale la crisi non sarebbe iniziata nel 1929, ma molto prima, probabilmente a partire dal 1914 stesso in continuità con la recessione iniziata nel 1907. Per questo è esatto dire che è stata la prima guerra mondiale (come apoteosi dei guasti derivati della deviazione dell’economia) a risvegliare gli ideali distributisti. C. H. Douglas per primo sostenne che quella guerra era mossa dall’“internazionale usuraia”, contro gli inglesi come contro i tedeschi.
“Nel 1925, ricomincerà la lotta per la conquista dei mercati. Credete voi che ci possiamo trastullare con dei giocattoli ad uso interno, quando domani possiamo essere di fronte a delle prove in cui si deciderà se saremo vivi o no, se diventeremo colonia o resteremo grande potenza?” (Benito Mussolini all’associazione costituzionale, 4 ottobre 1924)
Se qualche anno prima si era posto rimedio all’imminente crisi con la guerra, nel 1929 una tale soluzione non si vedeva praticabile nell’imminenza. La morsa imperialista sulle colonie era troppo forte per poterla spezzare da un giorno all’altro. Ma una volta iniziata la crisi la consueta soluzione venne spasmodicamente favorita, fino a raggiungerla, avendovi trovato nella Germania revanscista il “mezzo” ideale, facendo così del periodo trascorso tra l’11 novembre 1918 ed il 3 settembre 1939 solo una lunga tregua, e della cosiddetta “seconda guerra mondiale” nient’altro che un’inevitabile continuazione della “prima”, e che come risultato previsto aprì i mercati coloniali a tutte le nazioni in vista della futura e auspicata indipendenza di tutte le colonie. Periodo tra prima e seconda guerra mondiale (comprese): “guerra civile europea” (Ernst Nolte) – “seconda guerra dei trent’anni” (Antonio Giolitti) Umberto Cerroni, “Il pensiero politico del novecento”, Newton ed., pag. 30. Con i nuovi accordi economici internazionali (Bretton Woods, piano Marshall, ecc) ai quali gli stati “riconoscenti” dovettero obbedire.
“Gli spettacoli della piccola Vicky salvarono l’America dalla grande depressione” - “Dimentichi la seconda guerra mondiale” (tratto da “Ultimo tiptap a Springfield”, da I Simpson)
Secondo questa analisi, l’effettiva causa della seconda guerra mondiale sarebbe da ricercare nella volontà del capitalismo internazionale espresso nella massoneria nordista di provocare uno scossone planetario che portasse ad un rivoluzionamento del sistema geopolitico globale, soprattutto all’eliminazione degli imperi coloniali ed in generale ad un’unificazione dell’economia globale in un sistema neo-colonialistico apolide sull’allora sperimentato modello sudamericano, in previsione di un progetto noto in seguito come “Nuovo Ordine Mondiale”, rivelato apertamente quando il 17 febbraio del 1950 il banchiere James Warburg, alla Commissione Esteri del Senato Usa, affermò: “che vi piaccia o no, avremo un governo mondiale, o col consenso o con la forza”.
Scopo che, almeno inizialmente, sarebbe stato raggiunto in ogni caso, qualunque fosse stato il vincitore, come dimostrano anche l’impostazione prettamente neocolonialista data dal Giappone nei territori da esso occupati, la rinuncia della Germania a riottenere le sue vecchie colonie, la definizione italiana di quella come una sua “guerra contro le nazioni affamatrici dei popoli e detentrici di tutto l’oro del pianeta”, e lo schieramento a favore dell’Asse da parte di tutti i movimenti indipendentisti mondiali e, perlomeno fino a quando le sorti del conflitto rimasero in bilico, della maggior parte delle nazioni neutrali. Usa compresi, checché oggi se ne voglia dire, i quali avevano in comune con l’Italia il non secondario scopo di eliminare il controllo britannico del commercio mondiale e l’autarchia coloniale tipicamente francese.
« “...A proposito... hai sentito? Dicono che sia entrata in guerra anche l’America...” - “Con noi?” - “Contro di noi, caro mio!” » (Roberto Mieville, “Un racconto della guerra perduta”)
Infatti secondo Salazar «è insensato supporre che la Germania avrebbe potuto indefinitivamente rassegnarsi a vivere sotto una tutela, che ledeva la sua coscienza nazionale, col risultato di privare l’Europa delle straordinarie capacità organizzative, lavorative di decine di milioni di uomini egregiamente equipaggiati e qualificati. […]. La politica delle democrazie europee si è lasciata incautamente intrappolare nell’avversione contro il sistema politico del III Reich, innalzandogli intorno barriere ideologiche contro ogni logica nel momento in cui le “grandi democrazie” si vantavano di ottenere la collaborazione sovietica. La Germania, dal canto suo, ha commesso qualche esagerazione e sentendosi perseguitata ha creato un imponente apparato militare che la porterà verso la guerra». Egli «si rende sempre più conto che la guerra civile di Spagna è solamente un pretesto che già prepara il grande scontro finale: la “crociata” delle democrazie contro i fascismi». Tale agitazione prelude alle attività del «partito della guerra, che cerca uno scontro globale fra democrazie e fascismi. Ora le democrazie non preparano mai le guerre se non quando le hanno già dichiarate. Quindi si comincerà col cercare il pretesto per dichiarare la guerra. […]. Dietro la Francia c’è l’Inghilterra; dietro l’Inghilterra ci sono gli Usa, e dovunque ci sono le Internazionali della “crociata” delle democrazie». Infatti “la congiura contro la pace” delle democrazie plutocratiche liberiste e socialiste non poteva tollerare che “l’Europa stesse cambiando. Ampi settori dell’opinione pubblica consideravano la democrazia come il regno del denaro. Un diffuso antigiudaismo popolare esprimeva questa presa di coscienza. L’Europa, dopo la fondazione dell’Impero italiano in Africa del nord, scivolava verso i fascismi, che rimettevano in causa i principii della Rivoluzione francese, del liberalismo e del democraticismo”.
La Germania aveva fatto la sua scelta radicale rifiutando di sottostare
al dominio del dollaro e della sterlina. Si delineava la possibilità del
sorgere di un mondo economico parallelo a quello che faceva centro a Londra e a
New York e, nei suoi confronti, assolutamente autonomo. Una simile prospettiva
non doveva certo far saltare di gioia i banchieri e i responsabili delle
multinazionali, che vedevano sottrarsi ai loro affari una parte del mondo, da
essi considerata ormai sotto il loro pieno controllo. Inoltre lo spargersi
dell’idea nazionalsocialista (in senso lato, quindi non solo tedesco) faceva
presagire la creazione di un blocco economico-politico-militare di cui si
supponeva avrebbero fatto parte l’Italia, la Spagna, forse il Giappone e,
ovviamente, la Germania, con un ruolo di guida da parte di quest’ultima in
ragione delle sue maggiori potenzialità economico-militari. A fianco di questo
blocco vi sarebbe stata tutta una schiera di Paesi quali la Romania,
l’Ungheria, l’Irlanda, l’Austria, alcuni stati arabi e forse qualcuno
sudamericano, in cui una larga parte della popolazione era favorevole ad
inserirvisi alla prima occasione e, addirittura, si temeva che esso potesse
costituire un punto di appoggio per le istanze nazionali in Francia e in
Inghilterra. Questa miscela di minacce, portate contemporaneamente su tutti e
tre i piani geopoliticamente più importanti, non lasciò di certo indifferenti
coloro che, favorita la crisi del ’29 per distruggere le piccole e medie
imprese, rischiavano ora di trovarsi di fronte ad un’opposizione ben più
radicale.
La retorica vorrebbe la seconda guerra mondiale una guerra tra ideologie, tra il fascismo e l’antifascismo. La verità è che questa fu solo una scusa per incantare i gonzi. Tra le nazioni è guerra perenne. Una guerra sotterranea per conquistare “mercati”, ovvero fette di popolazioni alle quali vendere a caro prezzo e dalle quali acquistare a basso prezzo. Una guerra richiesta dalle strutture economiche di ogni Stato. Questa guerra coinvolge trasversalmente tutti gli stati del pianeta, dalla Mongolia alla Bolivia. A volte questa guerra diviene aperta, e a darne la scusa sono regolarmente eventi secondari ed irrilevanti, come l’assassinio di un imperatore, l’affondamento di una nave, o una diatriba per una città distante centinaia di chilometri come Danzica.
“Il nostro interesse è nostro diritto” (Wilhelm Dilthey) Umberto Cerroni, “Il pensiero politico del novecento”, Newton ed., pag. 15.
ai poli antagonisti della terra: le realtà continentali e quelle talassocratiche.
Valutazione questa, assolutamente vera per il passato, forse un po’ meno vera da quando, nel secolo XX, un secolo dagli enormi progressi soprattutto nel campo dei trasporti e delle comunicazioni che hanno globalizzato le economie e le culture del pianeta, sono entrate pesantemente in gioco lobby e consorterie transnazionali, tendenti al dominio mondiale svincolato da un riferimento etnico e geografico, perché forti di una potenza finanziaria cosmopolita mai vista in passato.
Nella visione geopolitica le aree del pianeta appaiono caratterizzate da due distinti ambiti differenti: l’Hearthland, ovvero un area territoriale continentale, nella quale è importante il controllo delle vastità terrestri; Il Rimland, l’“anello marittimo”, nel quale è importante il controllo delle vie di comunicazione marittime. Non è però esatto identificare la Russia come un blocco unico centrale e gli altri marginali, e tantomeno vederlo come una divisione concorrenziale, anzi. Prima di tutto, la classificazione non è univoca, ma variabile. Ad esempio l’Italia può essere considerata in certi periodi marittima, in altri terrestre. Bisogna tener conto che la classificazione è indicativa degli interessi contingenti degli stati nel periodo. Ovvero, per uno stato come la Russia è solitamente prioritaria la garanzia terrestre, mentre per gli USA quella marittima. La concorrenza è ovviamente interna a ciascuna delle due classificazioni, non trasversale. Quindi: gli USA saranno avversi alla Gran Bretagna per il predominio dei mari, la Russia sarà avversa alla Germania per il predominio terrestre. Durante la guerra fredda la situazione si mantenne stabile proprio perché gli interessi di USA ed URSS erano divergenti, e solo quando si incrociavano la guerra si “intiepidiva”, come a Cuba nel 1962, ed Afghanistan nel 1980 (col famoso boicottaggio delle olimpiadi che politicamente rappresentò per ogni nazione del globo una ben chiara scelta di campo). In questa divergenza di interessi, l’Urss vedeva una necessità nel mantenere il controllo dell’Ungheria (messo in forse nel ’56), che per gli Usa invece era irrilevante. Invece la Grecia era importante soprattutto per la Gran Bretagna e gli USA. Così come l’Italia. Le tensioni si acuivano solamente quando uno dei due blocchi tentava di entrare nell’ambito dell’altro, vedi la spasmodica ricerca sovietica di accedere ai mari, direttamente verso il Pakistan, Corea, Turchia, o indirettamente con basi sparse in paesi amici (Siria, Yemen del sud, Seychelles, Cuba, Guyana, Mozambico, Albania). Si consideri che i pochi accessi sovietici agli oceani (Murmansk, Vladivostok) erano per molti mesi all’anno bloccati dai ghiacci; motivo per cui tale nazione era all’avanguardia nella costruzione di navi rompighiaccio.
E’ in questo contesto che si può dare finalmente spiegazione di strategie all’apparenza incongruenti. La Cina comunista fu favorita dagli Usa come antagonista dell’Urss (“due galli nello stesso pollaio”), e con il contorno di Albania e Cambogia. Il 9 novembre 1948 Truman nega ulteriori aiuti a Chang Kai Shek, provocandone il collasso; un motivo l’avrà pur avuto nel “perdere” l’intera (o quasi) Cina, se si considera il successivo accanimento nel tenere la piccola Corea.
Dalla metà dell’ottocento gli
USA, dopo essere arrivati al limite dei confini terrestri (la “conquista del
west”), avviarono un tentativo di ulteriore espansione, verso le isole del
pacifico, le Hawaii ed altre isolette che conservano tuttora. Famosa è la
spedizione del commodoro Perry che aprì il Giappone a colpi di cannone. Per
giungere fino al controllo delle Filippine nel 1898; che tuttavia non pose
termine alla “conquista del west”: si noti quale territorio si trova ad ovest
di quelle isole, ed il quadro apparirà più chiaro. “West more land”.
Nell’america del sud della prima metà dell’800 da poco indipendente ci fu fin da subito una rivalità tra britannici ed americani per il predominio dell’economia (dottrina Monroe). USA e Gran Bretagna non sono state più in conflitto in queste lande solo dal momento in cui una è diventata suddito dell’altra, dopo il 1945. Ma una sottile “lotta per l’indipendenza” continua tuttora (con il risvolto “caldo” nel conflitto argentino per le Falkland del 1982, già rivendicate nel 1938). Fino alla seconda guerra mondiale vi è stata un aspra sotterranea guerra commerciale tra USA e Gran Bretagna per il dominio degli stati indipendenti, quelli sudamericani soprattutto. Non si dimentichi che non a caso i maggiori alleati del Messico erano Gran Bretagna e Giappone, proprio in funzione antiamericana. Si veda ad esempio la questione di fine ottocento sui diritti per la costruzione del canale di Panama, risolta con il compromesso confinario tra Alaska e Canada britannico.
Sulla base di questa distinzione di ambiti è possibile fare un analisi realistica delle cause degli eventi geopolitici internazionali, tra cui le due guerre mondiali. Prendiamo come esempio la seconda guerra mondiale. Ad un analisi superficiale (quella storiografica accettata tuttora per buona dagli storici ufficiali) potrebbe sembrare una guerra tra due blocchi distinti, ciascuno di essi omogeneo, costituiti uno da Germania, Italia, e Giappone, l’altro da Gran Bretagna, Francia, Stati uniti, Urss. Potrebbe addirittura sembrare una guerra politica, data l’analogia di sistemi di governo degli stati coinvolti (atipica l’URSS, ma comprensibile dal punto di vista “il nemico del mio nemico è mio amico”). L’analisi geopolitica invece rivelerebbe in quegli anni una rivalità tra Gran Bretagna ed USA, per il controllo delle vie marittime sempre più importanti; una rivalità reciproca contro le aspiranti talassocrazie Italia, Francia, e Giappone; una rivalità terrestre tra l’immensa Russia e la sovrappopolata Germania. In particolare l’Italia era stata fino allora ondivaga tra terrestre e marittima, e nel momento in cui scelse la strada marittima (“mare nostrum”), venne in contrasto con le due talassocrazie anglosassoni. L’alleanza tra Germania ed Italia va letta in questo contesto, ovvero la divergenza di interessi, che non si contrastavano a vicenda. Storicamente l’Italia ha avuto come barriera insormontabile le alpi, dal punto di vista terrestre. Nel XX secolo la presenza di uno stato forte come la Germania impediva ancor più un improbabile espansione terrestre. Motivi contingenti quindi imponevano la scelta marittima negli anni ’30, ma anche lì c’era una barriera, la Gran Bretagna, padrona del Mediterraneo, che come abbiamo visto nella primavera del 1940 strinse sempre più la morsa al collo attuando sistematicamente tutte le provocazioni possibili onde stimolare gli italiani ad aggredire apertamente per primi così da ribaltare agli occhi del mondo e della storia i ruoli di aggredito ed aggressore. Ecco spiegata la politica mussoliniana in questo senso; l’errore di Mussolini fu quello di cadere ingenuamente in questa astuta trappola. Condotta tuttavia obbligata, pena la prospettiva perenne di rimanere economicamente (e quindi politicamente) dipendenti dalla Gran Bretagna. Come abbiamo già visto, non tutti gli italiani lo vedevano come un male. Ma si pensi al caso Sinclair oil: l’Italia, padrona della Libia, non poteva estrarne il petrolio per ordine di una nazione straniera. Ecco cosa si intende per “dipendenza economica e politica”. Significa avere di cui nutrirsi, ma solo finché va bene al padrone, e nelle quantità da esso elargite. Significa dover sottostare ai suoi ordini, pena il vedersi perlomeno chiudere il rubinetto. Ecco la guerra “ufficiale” vista dal punto di vista del fascismo: una guerra per levarsi la palla al piede, una guerra per l’indipendenza, una guerra del “sangue contro l’oro”.
Successivamente il conflitto cambiò volto e assunse ben altri significati che hanno finito con l’estendersi anche retroattivamente, ma nel momento in cui l’Italia si schierò, questi significati, anche se probabilmente esistevano già, non erano ancora comunemente percepiti e men che meno erano predominanti nelle concezioni. La guerra, per l’Italia, avrebbe assunto aspetti ideologici, ideali, totalizzanti, e persino sacrali non prima del gennaio 1941.
Alla luce di questo, la seconda guerra mondiale, all’origine, può essere vista come guerra anticolonialista mondiale, una guerra dei popoli colonizzati od in generale sottomessi, contro le nazioni depredatrici (Francia e Gran Bretagna soprattutto), ed in tale contesto l’unica cosa che non torna è lo schieramento americano (l’America della “dottrina Monroe”) ufficialmente in aiuto di queste due nazioni. Si ricordi che l’Italia nella primavera del 1940 scelse le banche americane anziché quelle Svizzere per mettere al sicuro le riserve auree in previsione di un invasione.
Da notare anche che da praticamente mezzo mondo affluirono nell’Asse una massa di volontari mai vista prima, compresi inglesi ed americani (perfino pellerossa e negri!). Mentre all’opposto, agli Alleati mai riuscì di arruolare nei loro ranghi una qualche legione italiana, giapponese o tedesca! Ad eccezione di un pugno di mafiosi nel 1943, e solamente per interesse personale. E si consideri il gran numero di emigrati italiani presenti negli Usa, Canada, e Australia! Perché nessuno mai puntualizza questi particolari? Mentre al contrario viene montata la grancassa su Marlene Dietrich e Arturo Toscanini.
Si può dire, insomma, che in divisa tedesca mancassero solo gli ebrei, come etnia arruolata… quelli, del “terzo reich”, ne erano “solo” ai vertici.
A conferma di questa visione si deve tener presente che in praticamente tutto il globo i movimenti di resistenza anticolonialisti si schierarono in favore dell’Asse, dall’India fino al Kenya, dall’Ucraina fino alle Filippine, dall’Iraq all’Uganda, fino ai boeri sudafricani. Alla luce di ciò è possibile schierare gli USA nel campo colonialista, ovvero dire che predicano bene ma razzolano male? Alla luce di ciò, manicheamente parlando, chi erano i cattivi oppressori? Se avesse vinto l’Asse, secondo l’alternativa storiografia ufficiale la situazione sarebbe ribaltata oppure l’opinione pubblica sarebbe stata del parere che a vincere siano stati i “cattivi”?
“Al vincitore non verrà chiesto, in seguito, dal vinto se abbia detto più o meno la verità. Nell’iniziare o nel condurre una guerra non è il diritto che conta, ma la vittoria” (Adolf Hitler) –Mosley pag. 20.
No, chi vince è sempre buono. Perché è chi vince che scrive la storia. La scrive agiograficamente, è normale e prevedibile. Si può forse scrivere male di se stessi? E, a tutti gli altri, ci si può forse fidare di un autobiografia? Non è possibile stabilire se sarebbe stato meglio vincesse l’Asse: nessuno ha il dono della veggenza. In ogni epoca e luogo, il sistema vigente è il migliore ipotizzabile, è funzionale alla sua società. Ma è anche da essa creato... e la società è composta di tutte le persone nessuna esclusa... nulla vieta ad una società di creare e sperimentare nuovi sistemi in ogni momento.
I veri interessi americani in quella guerra si comprendono da un fatto ben
preciso: nei primi mesi del 1943 da parte britannica si premeva per far entrare
l’Argentina in guerra contro la Germania e l’Italia. Il 4 giugno ci fu un colpo
di Stato anti-britannico, che di conseguenza non poteva essere altro che
filo-fascista. Così l’Argentina non entrò in guerra in quel momento, ma il
punto principale che ci preme far notare è che come conseguenza la Gran
Bretagna fu estromessa economicamente da quel paese (dove fino allora aveva
avuto mano libera), ed il suo posto fu preso dagli Usa; che fossero stati essi
a manovrare quel colpo di Stato “fascista” è abbastanza evidente. Dato che,
come sappiamo dalla successiva esperienza di Pinochet, gli Usa dovevano mantenere
una versione ufficiale rovesciata rispetto a quella reale (erano stati essi
stessi i fautori e sostenitori del golpe di Pinochet, nonostante la facciata di
critici), preme far notare come “di facciata” anche in questo caso “perdurando l’atteggiamento di indipendenza e
neutralità nei confronti dei paesi dell’Asse da parte dell’Argentina, gli Stati
Uniti decidono il ritiro del proprio ambasciatore a Buenos Aires, Norman
Armour”, il 30 giugno 1944. Solo a guerra oramai in conclusione, dopo il
fallimento dell’offensiva delle Ardenne che aveva dato come risultato
l’avanzata sovietica fino al cuore dell’Europa, l’Argentina entra in guerra, il
27 marzo 1945, specificando che non era diretta alla Germania in quanto
tale, ma in quanto alleata del Giappone; ma il vero motivo era per non risultare esclusa dalla fondazione
dell’Onu; stesso motivo della Turchia e di molti altri paesi fino allora
neutrali.
Il referendum Roper del settembre 1939 dimostrò che appena il 2,5% degli americani era favorevole ad entrare in guerra al fianco di Francia e Gran Bretagna[359]. La scelta di campo statunitense arrivò ben dopo l’inizio della guerra. Fu una scelta, come abbiamo visto, contraria ad ogni apparente logica... o perlomeno avente una logica imperscrutabile...
“Un americano è un ebreo o un antisemita, a meno che non sia entrambi” (Jean-Paul Sartre)
Così come la guerra tra la Gran Bretagna talassocratica e la Germania terrestre nel ’39-40, una guerra assai strana. Cosa spinse la Gran Bretagna ad insistere nell’accanirsi contro la Germania? E poi perché da entrambe le parti inizialmente fu una guerra così palesemente fittizia? I britannici fecero praticamente finta di combattere al fianco dei francesi nella primavera del ’40.
“Secondo le mie informazioni, se la Germania occuperà la Polonia, non c’è da temere nessun intervento inglese. Sir Samuel Hoare ascolta quanto dice Neville Chamberlain. Egli è del parere che in caso di attacco alla Polonia, l’Inghilterra possa dichiarare la guerra ufficialmente, senza doverla poi combattere” (Fritz Hesse, diplomatico tedesco a Londra) –Mosley pag. 564.
A Dunkerque i tedeschi permisero alle truppe britanniche di sgomberare senza approfittare di quella temporanea vulnerabilità. Cosa andò a fare Hess in Gran Bretagna? Immaginava di essere arrestato oppure ne rimase stupito? Sappiamo che prima di partire (maggio ’41) aveva avuto un incontro a Parigi con Edoardo VIII, deposto Re d’Inghilterra filo-tedesco, insieme a Martin Bormann. La domanda principale da porsi è questa: Hess fu inviato da Hitler o agì di sua volontà, magari contro il parere di Hitler? Perché la Gran Bretagna sotto i bombardamenti rifiutò ostinatamente le continue offerte di pace tedesche, anche dopo la resa della Francia? I nemici storici della Gran Bretagna difatti erano sempre stati la Francia e gli USA, nonché sporadicamente la Russia come potenziale aspirante talassocrazia (da cui l’alleanza britannica con impero ottomano e Giappone a inizio secolo). La Germania era stata un nemico temporaneo fino al 1918, quando come la Russia aveva cercato di emergere come talassocrazia colonialista. Ma nel ’39 non c’era nessun apparente motivo di conflitto tra Gran Bretagna e Germania. Solo una mentalità superficiale può pensare che alla Gran Bretagna interessassero le sorti della Polonia.
“Egli [Neville Chamberlain] dice che l’aspetto più spaventoso della situazione è la totale inutilità di tutto ciò. In realtà essi non possono salvare i polacchi. Possono soltanto addossarsi una guerra per vendetta, la quale significherà inevitabilmente la distruzione di tutta l’Europa” (Joseph Kennedy al presidente Roosevelt) Mosley pag. 537.
Questo porta a pensare che Gran Bretagna e Germania furono inizialmente alleati inconsci e contrastati, e a differenza della divisione in due blocchi la seconda guerra mondiale andrebbe vista in modo diverso, ovvero uno scontro tutti contro tutti, ma più contro uno che contro un altro. Germania contro Francia tanto, Germania contro USA pochissimo, Germania contro Italia poco. Italia contro Inghilterra tanto, Italia contro USA pochissimo, Italia contro Russia pochissimo, Italia contro Giappone pochissimo, Francia contro Gran Bretagna tanto, USA contro Giappone tantissimo, eccetera. Se accettiamo che gli Stati Uniti fecero una strana scelta di campo, dobbiamo però considerare che “USA” e “Wall Street” sono due cose ben distinte l’una dall’altra... Quella vera non fu una guerra degli Usa, ma una guerra di Wall Street e della massoneria nordista. La guerra è a tutti gli effetti servita per l’instaurazione di un sistema mondiale di controllo dell’economia e della finanza in mani private e l’appropriazione dei centri di potere nell’amministrazione degli Stati Uniti d’America, giusto la Dottrina Monroe ma estesa al mondo intero.
Le intenzioni di Roosevelt erano chiare quando come alternativa incruenta alla soluzione della crisi del 29 propose il 15 aprile 1939 una conferenza sul commercio internazionale, intesa a “mettere ogni paese del mondo in grado di comprare o vendere in condizioni di parità sui mercati mondiali”. Superfluo far notare come ciò coincida con le stesse parole di Mussolini. Questa era l’unica alternativa alla guerra mondiale, che in modo cruento avrebbe portato alla realizzazione di questo desiderio. Ma ovviamente non poteva certo essere accettata da quei paesi “padroni di tutto l’oro della terra”… Leonard Mosley, “Il tempo a prestito”, Longanesi ed., pag. 309.
Questo messaggio conteneva anche una richiesta di garanzia per lo status quo europeo. Hitler rispose -------- a questo------: non si sentiva offeso per questa pretesa giunta da oltreoceano, ma contrappose che se fosse stato lui a fare simili inchieste a proposito dell’attività americana nell’America centrale o del sud gli si sarebbe risposto con la dottrina di Monroe. Leonard Mosley, “Il tempo a prestito”, Longanesi ed., pag. 312.
Il bello è che tra gli stati elencati da Roosevelt erano presenti alcune colonie francesi e britanniche. Hitler puntualizzò quindi che “in Siria e in Palestina, per esempio, l’opinione degli abitanti non può essere accertata, data l’occupazione delle truppe francesi e di quelle inglesi, e non tedesche” allorquando si fosse stato chiesto se si sentissero minacciate dalla Germania. Leonard Mosley, “Il tempo a prestito”, Longanesi ed., pag. 312.
Anche politicamente la seconda guerra mondiale, nei primi 2 anni, fu qualcosa di completamente diverso dallo stereotipo comunemente accettato: bisogna pensare non a una guerra tra alleati capitalisti contro il fascismo, ma bensì guerre di cooperazione per spartirsi il mondo tra le potenze Germania e Gran Bretagna.
“Fu abbastanza grottesco che solo l’ambasciatore italiano parteggiasse per i cechi, continuando a lottare contro i tedeschi quando le loro richieste andavano troppo oltre” Leonard Mosley, “Il tempo a prestito”, Longanesi ed., pag. 134. (Monaco) ---- su 444????
Gli stessi britannici si allargarono a spese delle colonie italiane e francesi e dei territori degli stati arabi semi-indipendenti e dell’Iran, senza venire a scontrarsi direttamente con la Germania fino a guerra inoltrata. Ma non avevano considerato gli Usa, che attendevano l’occasione per poter approfittare di questa superficiale ignoranza altrui.
Cosa comportò la seconda guerra mondiale? La penetrazione economica multinazionale nelle colonie ed ex colonie delle nazioni europee. India, Indocina, Medio oriente, ed infine Africa. Il controllo delle economie degli stati vinti (tra cui la Francia perlomeno fino al golpe di De Gaulle del 1958) e della Gran Bretagna (col piano Marshall). L’allargamento delle nazioni ad economia pianificata centralizzata. Tutto funzionale a Wall Street, come si può vedere.
I trattati di pace legarono indissolubilmente le economie dei paesi sconfitti ai paesi vincitori.
Finché c’è Mattei l’Italia si procura petrolio senza inchinarsi agli oligopoli. In sostanza tuttavia si tratta di un compromesso. In questo senso la sua eliminazione potrebbe essere indicata nell’Oas.
---mettere da qualche parte giù------
Questa strategia multinazionale fu la prassi di cui approfittò anche Enrico Mattei, il quale puntava fiduciosamente sulla penetrazione dell’Eni in Algeria, motivo per cui venne in contrasto con la Francia. Che anche da parte francese ci fosse un interesse alla sua morte è prevedibile. Tuttavia, nonostante da molte parti si cerchi di accreditare l’Oas come responsabile del suo omicidio, c’è da far notare che quando Mattei morì l’Algeria era già divenuta indipendente, quindi l’interesse ad eliminarlo l’avevano i concorrenti alla penetrazione multinazionale in Algeria. In questi pragmatici ambiti gli omicidi per vendetta non sono norma. Inoltre c’è da dire che se infatti a Washington si giunse alla conclusione che fosse opportuno scendere a patti, il motivo inizialmente non risiedeva certo nel timore che l’Eni minacciasse il dominio delle sette sorelle. La ragione principale della volontà statunitense di accordarsi con Mattei andava invece ricercata nel peso politico che questi aveva nel sistema italiano, e nel rischio che ne facesse un uso “sconveniente” in ottica atlantica, soprattutto in virtù dei suoi assidui contatti con l’Urss. Ma anche qui c’è da notare che tutte le nazioni, Usa compresi, intrattenevano commerci con l’Urss. Quindi vi era certamente anche una concorrenza commerciale. Inoltre non si può non considerare che il periodo di operato di Mattei corrispose alla presidenza Kennedy in Usa e Kruscev in Urss, un periodo di distensione quindi. La sorte comune a tutti i 3, assassinio per Kennedy e Mattei, “morte politica” per Kruscev è indicativa di come dietro al potere ufficiale ci sia il potere vero dell’economia e della massoneria (tutti e tre erano “sudisti”). La concordia raggiunse l’apice il 10 marzo 1961 con l’incontro tra Mattei e William Averell Harriman, già ambasciatore a Mosca e consigliere personale di Kennedy in politica estera; l’incontro convinse l’emissario americano che gran parte delle polemiche “antiatlantiche” sollevate da Mattei fossero ricomponibili, essendo fondate principalmente su problemi di orgoglio nazionale e personale. Mattei fugò inoltre ogni dubbio circa la presenza di un valore politico celato dietro l’accordo economico coi sovietici, così come sull’esistenza di una sua volontà di turbare il sistema politico italiano, due punti cui naturalmente gli americani tenevano molto. Da quel momento in entrambe le parti, soprattutto in quella americana, si fece strada la sensazione che si sarebbe raggiunto un accordo che permettesse a Mattei di inserire l’Eni nel novero delle grandi società petrolifere mondiali e agli Usa di inquadrare il Mattei “politico”, l’unico che ha sempre preoccupato la massoneria sudista, più del Mattei imprenditore, che invece preoccupava la massoneria nordista. Ma le resistenze anche a queste minime concessioni erano pur sempre forti, e quando i nordisti subentrarono ai sudisti, anche Mattei fu eliminato. Come Kennedy e Kruscev, anche Mattei fu sostituito da un esponente della massoneria “nordista” (Eugenio Cefis, anche se la presidenza ufficiale fu affidata ad un suo “uomo di paglia”, Marcello Boldrini). Interessante notare il medesimo contemporaneo ricambio politico in Vietnam del sud.
Un paragone in piccolo della differenza tra strategia multinazionale ed autarchia lo abbiamo dal lavorio di queste forze ad inizio anni ’90 per dividere l’Italia. Può risultare utile un piccolo esempio: Sant’Erasmo è un isola della laguna veneta; è un isola agricola, da sempre considerata l’“orto di Venezia”. Da qualche anno i contadini di quell’isola premono per avere un collegamento con la terraferma tramite ferry boat, che gli consentirebbe di poter vendere i prodotti agricoli anche a mercati più lontani, mentre oggi sono implicitamente obbligati dai costi di trasporto a vendere solo nella Venezia insulare. Di conseguenza il monopsonista mercato veneziano può pagare prezzi più bassi per gli ortaggi di questa sua “colonia”. Se il ferry boat venisse concesso, gli agricoltori di Sant’Erasmo, invogliati dai prezzi più alti dei mercati di terraferma potrebbero alzare i prezzi dei propri prodotti anche sul mercato veneziano, a loro vantaggio e dei mercati di terraferma, ma a svantaggio dei fruttivendoli veneziani.
“Il sud è il Bancomat d’Italia, è il derubato che continua a essere chiamato ladro” (Beppe Grillo)
Il paragone con l’Italia intera e con il mondo differisce solamente nelle grandezze in gioco. Se l’Italia venisse divisa in due il sud rappresenterebbe un nuovo mercato di conquista aperto a tutti mentre oggi è riservato al nord Italia, che però ne è anche responsabile come parte di Stato unitario, politicamente e finanziariamente. Questo è chiaramente sintetizzato da alcuni semplici numeri:
Esportazioni regionali verso estero 2009:
Lombardia: 28,3%
Veneto: 13,2%
Calabria 0,1%
Basilicata 0,5%
-----Qui prendere qualche frase da Britannia e ricollegare?????----
Il nord perderebbe il mercato privilegiato (sia di vendita che di acquisto) e il sud verrebbe saccheggiato senza alcuna remora dai nuovi lanzichenecchi della Nestlè. L’Unione Europea ha certamente rappresentato una scorciatoia, ma non tanto quanto un effettiva divisione politica ed economica della penisola. Inoltre l’UE come ben sappiamo impone regole ferree in materia commerciale, che mettono un freno a possibili saccheggi. Ne deriva che in un Italia divisa, il meridione se escluso dall’UE (come spesso hanno proposto esponenti secessionisti) subirebbe un assalto degno delle “repubbliche delle banane”. E nei primi anni ’90 non pareva un ipotesi così remota, se si pensa che ciò è effettivamente accaduto in un paese confinante che era allora oramai consolidato politicamente ed economicamente, la Jugoslavia. Quello che vi accadde è conseguenza di quel “limbo” nel quale si era trovata a seguito del trattato per i Balcani del 1944, che fu arrotondato per tutte le nazioni implicate eccetto che per la Jugoslavia, che permase in uno stato indefinito sino al 1991, alla caduta dell’Urss, fin quando aveva valso la regola 50-50. Venuto a mancare il detentore di un 50% (l’Urss) tutti gli altri si accordarono per dividersela territorialmente in modo da avere ciascuno il controllo totale sulle rispettive aree anziché quello parziale in tutto il territorio. Ad esempio, a Gran Bretagna: Slovenia e Croazia; a Russia eltsiniana: Serbia, Montenegro, Macedonia. Con deleghe regionali a: Austria per la Slovenia; Ungheria per la Croazia; Bulgaria per la Macedonia. Ma nessuno aveva pensato di dover fare i conti con gli “insider” Germania e Italia? E con l’intromissione degli Usa in appoggio a Turchia ed Arabia Saudita per la Bosnia e per il Kosovo? Come si può non vedere nei bombardamenti di Belgrado uno scontro Usa-Russia? Deviato poi magari sulla Cecenia…
Abbiamo visto come James Warburg preconizzò il “governo mondiale”. Lungi da noi cadere nella dietrologia, ma per onestà non si può tralasciare determinate prove a nostra conoscenza che parrebbe una censura volontaria. In una lettera del 15 agosto 1871, indirizzata a Mazzini, Albert Pike enunciò un piano per conquistare il mondo con tre guerre mondiali, che consentissero a instaurare infine un “nuovo ordine mondiale”. La prima guerra mondiale avrebbe dovuto essere pianificata per portare la Russia sotto il dominio degli “Illuminati” (ovviamente questa parola va intesa con “massoneria”). La Russia avrebbe dovuto poi essere adoperata come uno spauracchio per favorire i piani della massoneria in tutto il mondo. La seconda guerra mondiale sarebbe dovuta scaturire da un’accorta manipolazione delle differenze tra nazionalisti tedeschi e sionisti. Le conseguenze di questo avrebbero dovuto determinare un’espansione dell’influenza russa e la costituzione dello Stato d’Israele in Palestina. Tutti fatti che a ben vedere si sono realizzati pienamente. La terza guerra mondiale era programmata come risultato dei contrasti, fomentate dagli agenti della massoneria, tra i sionisti e gli arabi.
A inizio secolo le nuove generazioni di finanzieri iniziavano a predicare quello che oggi chiamiamo globalizzazione, che altro non è che il campo libero di ogni singola persona in ogni singola parte del mondo. --- neo-colonialisti apolidi----- il neo-colonialismo super-capitalista, che avrebbe soltanto sfruttato le ricchezze naturali dell’Africa, lasciando gli africani in balia di se stessi. E’ il sistema che ha permesso e permette agli USA di assorbire le ricchezze dal resto del mondo in modo “pulito”, senza le responsabilità governative che invece avevano gli stati nei confronti delle colonie. Era accaduto il contrario nel 1908 in Congo ad opera del Belgio, a causa delle proteste internazionali riguardo le crudeltà praticate dalle compagnie private. Gli USA hanno dato avvio alla prassi multinazionale dall’America latina negli anni ’20 dell’ottocento, ma quando quel pur vasto mercato si è saturato, cos’è accaduto? Quella cosa sulla quale ancor oggi gli economisti non riescono, non vogliono, o non possono far luce. Prima la “grande depressione” iniziata nel 1873, e poi come strascico il crack di Wall Street, il venerdì nero del 1929. Non serve scervellarsi, basta la logica per capirlo. A quel punto Wall Street come si è regolata? Ha preso atto di dove stesse insito il problema, e la risposta era: nella chiusura dell’economia mondiale, divisa tra diritti coloniali e dazi doganali; nelle terre migliori e potenzialmente produttive affidate a pigri latifondisti anziché a rampanti imprenditori; nella difficoltà di vendere un bene a chi di quel bene necessiterebbe, a causa di burocrati indolenti e corrotti. Neanche le materie prime che arrivavano sottocosto dall’URSS bastavano più. La soluzione era eliminare le colonie. Dal 1929 in poi assistiamo ad una frenetica attività anticolonialista degli USA: per primi danno il buon esempio sgombrando gli stati centramericani precedentemente occupati; nel 1931 col trattato di Westminster la Gran Bretagna da prova di buona volontà all’amico americano (indipendenza totale del Canada ed altri dominion); nel corso degli anni ’30 i mandati nel medioriente acquistano via via maggior indipendenza; nel 1936 l’Egitto si libera formalmente dell’occupazione britannica, eccetto il canale di Suez. Le restanti nazioni colonialiste, al contrario aumentano la presa sulle colonie (vedi Italia in Abissinia), impaurite dall’attività frenetica degli agenti USA in esse (allora non esisteva un servizio segreto statale americano, ma ogni compagnia multinazionale aveva i propri agenti che svolgevano tale compito. Poi durante la guerra entrarono quasi tutti a far parte del neonato OSS). Erano i tempi sapientemente descritti dal film “Casablanca”. Ma serviva impellentemente un grande scossone per far crollare gli imperi autarchici, e tale attività segreta lavorava anche per portare questo scossone nel pianeta. Si tengano presenti inoltre due cose: la sempre maggiore capacità di trasporto di beni da una nazione all’altra via mare, cosa che spianava la strada alle nazioni “talassocratiche”, in primis USA e Gran Bretagna, mentre la precludeva a quelle continentali. Questo è confermato dall’importanza primaria che Benito Mussolini diede alla conquista del mare Mediterraneo, i cui posti chiave erano controllati dalla Gran Bretagna. Utile è notare che la grande differenza militare tra USA ed URSS nella guerra fredda fu proprio nel controllo dei mari, con gli USA che controllavano ogni oceano con le loro basi e quelle dei loro alleati, e l’URSS costretta a garantirsi strettamente le Kurili (quando invece nel ’72 gli USA restituivano anche Okinawa al Giappone) e ad impegnarsi militarmente in un area desertica (Afghanistan) per trovare uno sbocco “al resto del mondo” tramite la costa pakistana. Secondo punto: la sempre maggior importanza del petrolio come materia prima, e della crescente ingerenza tedesca in aree di tradizionale influenza britannica, tipo Iran, medio oriente, e Argentina (non a caso l’Argentina fino al 1945 fu l’unica nazione del sudamerica a non dichiarare guerra a Germania e Italia). Avrete capito quale è stato lo “scossone”: la seconda guerra mondiale. Fin dall’inizio? Pearl Harbour è stato solo un episodio, che ha permesso a “Wall Street” di far entrare in guerra gli USA. Era già successo (affondamento del Maine) e succederà ancora (incidente del golfo del Tonchino) l’utilizzo del terrorismo da parte dei “nordisti” per influenzare l’opinione pubblica americana. E’ la loro prassi. Oramai dovrebbe essere evidente a tutti. Invece no, la massa continua a cadere nella trappola. Solo pochi riescono a vedere la realtà. Troppo pochi.
“I giornali di un paese possono in due settimane portare la folla cieca e ignorante a un tale stato di esasperazione e di eccitazione da indurre gli uomini ad indossare l’abito militare per uccidere e farsi uccidere allo scopo di permettere a ignoti affaristi di realizzare i loro ignobili piani”.
Se credete l’abbia detto Joseph Goebbels, siete del tutto fuori strada: lo scrive Albert Einstein in “Come io vedo il mondo”.
In quegli anni anche la finanza e l’industria italiane iniziavano ad aprirsi al mondo. Gli industriali italiani negli anni ’20 certamente sostennero la politica mussoliniana, vista come unica alternativa alla rivoluzione comunista. Ma quando il regime cominciò a non andargli più comodo lo abbandonarono gradualmente. Il punto di rottura può essere identificato col “venerdì nero” di Wall Street, a seguito del quale ogni governo di ogni nazione del mondo dovette prendere misure radicali per rimediare alla crisi economica. Si pensi alla fine del liberismo sfrenato in USA ad opera del democratico nordista Roosevelt col suo new deal; alla nascita di regimi reazionari in america latina, primo su tutti quello brasiliano di Vargas, a torto e paradossalmente definito (come tanti altri) “fascista”, forse senza tener conto che mise fuori legge proprio il partito fascista brasiliano di Plinio Salgado e ne incarcerò gli aderenti; ai fronti popolari in Francia e Spagna; al 2° piano quinquennale sovietico; all’ascesa del nazionalsocialismo in Germania. L’Italia scelse purtroppo la strada più sbagliata, l’autarchia (anche se a forza, a causa delle sanzioni) e l’invasione dell’Abissinia. Se da una parte rinsaldò le fila della parte sana della nazione (vedi la donazione d’oro alla Patria), dall’altra questo fu la goccia che fece traboccare il vaso per tutta l’area (anti)nazionale borghese, ma non solo, visto che la nascente classe finanziaria era pervasa da “idee nuove”, liberali, che trovarono poi la loro referenza politica nel partito d’Azione, espressione di una classe finanziaria che si definiva implicitamente “illuminata”, che in particolare seguiva i dettami delle logge massoniche del nord. La caratteristica basilare del partito d’Azione era l’avversione più viscerale verso il sistema di governo economico che il regime fascista attuava, ed ancor più verso quello che il fascismo si proponeva di attuare.
“Il fascismo dovrebbe più appropriatamente essere chiamato corporativismo, perché è la risultanza della fusione dello Stato con il potere corporativo” (Benito Mussolini) ----mettere frase un po’ più calzante ---------
Perfino il Pci di Togliatti dovette più volte intervenire a moderare i propositi dell’eruttante partito d’Azione. E se lo si unisce al fatto che fu il P.d’Az. che fornì le sue squadre partigiane di GL ad Agnelli come scorta personale, è intuibile la natura di questo partito.
Prevedibile quindi il lavorio fin sui più alti gradi per abbattere il regime politico fascista, anche a costo di dover perdere una guerra per farlo. Abbiamo già analizzato i continui casi di sabotaggio fin dai più alti gradi militari e sulla produzione bellica. Il 25 luglio e l’8 settembre furono solo i risultati di un ben determinato percorso pianificato da anni da parte dei vertici militari ed economici. Gli industriali durante la RSI dovettero sottomettersi a forza, ma di certo non la sostennero volontariamente, ed è abbastanza comprensibile visti i propositi che tale Stato si dette al congresso di Verona, e che erano quelli del Mussolini primordiale, quello socialista (ammesso ma non concesso che non lo fosse stato perennemente).
“Lo Stato che noi vogliamo instaurare sarà nazionale e sociale nel senso più lato della parola; sarà cioè fascista nel senso più alto della parola, sarà cioè fascista risalendo così alle nostre origini” (Benito Mussolini, 17 novembre 1943)
A conferma dell’origine, va fatto notare come, a differenza di quanto viene fatto credere, notevoli prove indicano come la seconda guerra mondiale non possa nemmeno essere vista totalmente come una guerra politica tra fascismo e democrazia, in quanto in alcuni paesi (Francia, Belgio, Danimarca, ecc) partiti democratici accettarono di collaborare coi tedeschi, mentre in altri (Polonia, Lettonia, Bulgaria, ecc) i principali partiti fascisti si schierarono con la resistenza antitedesca. Anche in Giappone i due piccoli partiti fascisti erano fortemente avversi al governo ed alla guerra, e per questo perseguitati. La Finlandia (alleata con Germania e Italia) era un paese con un governo democraticamente eletto, mentre lo stesso non si può dire, ad esempio, del Brasile alleato degli Usa. Gli stessi schieramenti ufficiali erano visibilmente assai labili. Agli inizi della guerra e fin ben dopo la sconfitta francese gli Usa erano stati risoluti nel dichiarare che era del tutto sbagliato posizionarli nel campo anglo-francese. L’Unione Sovietica solo per un pelo non aderì al “patto d’acciaio”: il 12 novembre 1940 nella visita di Molotov a Berlino, Ribbentropp propose senza successo la spartizione dell’Impero britannico (Persia e India nella sfera di influenza sovietica) per ottenere l’adesione dell’URSS al patto tripartito[360]. Il bombardamento di Mers-el-Kebir attuato contro gli ex-alleati francesi rivelò al mondo la vera faccia dei britannici; non c’è da stupirsi quindi se poche settimane dopo, a Dakar i francesi li respinsero a cannonate. La pretesa popolarità della “guerra antifascista” risulta smentita anche da un episodio ben definito: quando i britannici occuparono la Siria ed il Libano, solo 6.000 francesi su 31.000 optarono per schierarsi con essi, mentre i restanti 25.000 preferirono la prigionia.
“Quando l’America è entrata in guerra, l’unica Francia che conosco stava dalla parte dei tedeschi” (Franklin Delano Roosevelt, 1944[361])
Esemplare è anche che nei campi di concentramento tedeschi i prigionieri inglesi e polacchi dovevano stare separati, in quanto i polacchi accusavano gli inglesi di averli spinti alla guerra e poi abbandonati a sé stessi[362]. Ulteriormente indicativo è come gli inglesi pur avendo dichiarato guerra alla Germania per l’aggressione alla Polonia, inspiegabilmente non fecero lo stesso verso l’altro aggressore, l’Urss; la quale non invase solo la Polonia, ma anche gli stati baltici, ed aggredì la Finlandia che però si difese accanitamente; mentre contro questo aggressore, in aiuto della Finlandia, corse, ebbene si, proprio l’“alleato” tedesco, l’Italia[363]! In quei giorni Mussolini arrivò perfino a considerare l’ipotesi di affiancarsi a Francia e Gran Bretagna nella guerra contro la Germania. E’ lecito porsi la domanda: cosa lo fece desistere da ciò? Forse il “tintinnio di sciabole” noto come “golpe delle barbette”[364]? Ripiegò in trattative per la fornitura di armamenti alla Gran Bretagna, interrotte bruscamente nel gennaio 1940[365] appena dopo un ordine, bloccato, di 300 caccia Reggiane 2000 da parte del governo di Londra. La Francia arrivò fino ad ipotizzare di dichiarare guerra all’Urss, e arrestò numerosi comunisti (molti italiani, tra cui Palmiro Togliatti e Luigi Longo), ma nessun fascista. Negli Usa le manifestazioni comuniste anti-britanniche erano all’ordine del giorno. In Gran Bretagna solo dopo il 10 giugno 1940 vennero arrestati e deportati gli italiani, fascisti o comunisti che fossero. Alla fine nei confronti dell’Urss ci si limitò ad espellerla dalla Società delle Nazioni, nel dicembre 1939 con voto unanime, un particolare troppo spesso trascurato. La Germania, come alleata dell’Urss (checché i comunisti ne vogliano distorcere l’interpretazione di ciò), impedì ogni passaggio attraverso il suo territorio di aiuti destinati alla Finlandia.
“Nelle vostre conversazioni, ci sarà modo di esprimere comprensione per il punto di vista dei russi. Siete pregati di astenervi da qualunque sentimento di simpatia per la posizione della Finlandia” (Documento del ministero degli esteri tedesco ai suoi ambasciatori in tutto il mondo)
Von Ribbentrop fece bloccare nei porti le esportazioni di armi dirette alla Svezia. I sottomarini russi nel baltico furono riforniti da navi tedesche. La via di rifornimento della Finlandia passava attraverso il porto norvegese di Narvik, essendo il baltico bloccato dai tedeschi. Narvik quindi era già diventata un importante obiettivo anglo-francese nel 1939[366]. La Germania invase la Norvegia non per sfizio, ma per prevenire l’invasione anglo-francese già in atto finalizzata ad andare in soccorso della Finlandia. Conferma ne è che è a seguito dell’armistizio tra Urss e Finlandia che caddero i governi britannico e francese.
“Sarebbe temerario supporre che la Germania assista passivamente ad un nostro intervento nelle acque norvegesi” (Ammiraglio Darlan[367])
Nel 1938 Italia e Germania avevano promesso protezione all’Arabia Saudita contro un eventuale invasione (che non avrebbe potuto arrivare da altri che dalla Gran Bretagna, i cui possedimenti la circondavano). C’è da chiedersi: se ciò si fosse verificato ed i due paesi dell’Asse fossero intervenuti come hanno fatto i franco-britannici in difesa della Polonia, dall’opinione pubblica mondiale chi sarebbe stato considerato l’aggressore? Dato che, come abbiamo appena visto, nel caso della Norvegia i ruoli nell’aggressione sono già stati storicamente invertiti, non serve fare congetture.
“Le dittature sono fuori legge. Ogni Nazione libera aveva il diritto di invadere la Germania nazista e, oggi, ha il diritto di invadere la Russia sovietica, Cuba o qualsiasi altra gabbia di schiavi. Che una Nazione libera scelga di farlo o meno, è una questione del suo interesse, non di rispetto di diritti inesistenti di una gang al potere. Non è un dovere di una Nazione libera, liberare altre Nazioni a costo di sacrificarsi, ma una Nazione libera ha il diritto di farlo, quando e se sceglie di farlo” (Ayn Rand)
Come adeguato commento a questa frase di Ayn Rand basta portare questa di Churchill:
«I sottomarini nemici devono essere chiamati “U-Boot”. Il termine “sottomarino” deve essere riservato solo ai vascelli subacquei alleati. Gli U-Boot sono quei codardi furfanti che affondano le nostre navi, mentre i sottomarini sono quegli apparecchi nobili e coraggiosi che affondano le loro» (Winston Churchill)
Dopo aver rifiutato di dare aiuto alla democratica Cecoslovacchia, Chamberlain si impegnò ad intervenire in difesa della Polonia, un paese totalitario, persecutore di ebrei, e che aveva collaborato con Hitler nello smembramento della Cecoslovacchia.
“Il Fuhrer continuava a ripetere che amava e stimava i polacchi, perché erano anch’essi antisemiti” Leonard Mosley, “Il tempo a prestito”, Longanesi ed., pag. 295.
Certo si dice che Francia e Gran Bretagna ritenevano che un loro irrigidimento nella questione cecoslovacca avrebbe provocato subito la guerra contro la Germania, guerra che esse ritenevano le avrebbe definitivamente indebolite anche se l’avessero vinta. Ma per difendere la Polonia abbandonarono questa logica. Perché?
“Ed è a questo punto che incomincia il mistero. Perché se quelle erano le condizioni che Hitler era disposto a discutere con i polacchi, non vi era una ragione logica che impedisse all’Inghilterra di far pressioni sulla Polonia per iniziare immediatamente dei colloqui. Erano delle condizioni ragionevoli, sulle quali sarebbe stato possibile basare delle discussioni ed inoltre erano le stesse che gli inglesi, e in particolare i francesi, avevano precedentemente ritenuto del tutto accettabili. Eppure quel giorno non venne fatto alcuno sforzo da parte di Neville Chamberlain per trasmettere tali condizioni a Varsavia e per persuadere i polacchi ad iniziare dei colloqui” ---Mosley pag. 586.
Qui diatriba pacifisti-antipacifisti --- nonostante la parola adeguata a definire un antipacifista esista già (guerrafondaio), la cricca britannica che voleva la guerra amava definirsi antipacifista. Sir Horace Wilson definiva gli anti-pacifisti come “la cricca Churchill-Eden-ebrei”. Leonard Mosley, “Il tempo a prestito”, Longanesi ed., pag. 207.
Chamberlain – churchill
Halifax – eden
così come riguardo l’Abissinia i britannici hanno avuto pure l’ipocrita faccia tosta di indignarsi loro! O di scrivere che “la gente comune in Inghilterra (…) sentiva per la prima volta parlare di campi di concentramento” quando erano stati proprio loro i primi a realizzarli! ---- mosley pag. 26.
Avevano provato ad usare la Romania come casus belli ------Tilea come provocatore-----. Fallita l’ “operazione Romania”
“Halifax decise che era necessario un altro alleato da mettere di fronte ai tedeschi (…). Tilea suggerì la Polonia” Leonard Mosley, “Il tempo a prestito”, Longanesi ed., pag. 289.
La Polonia in quegli anni non era quella inerme nazione che viene dipinta dalla storiografia ufficiale, ma era un paese visceralmente antisemita, nato da una guerra che aveva lasciato il paese carico di nazionalismo ed anticomunismo e di una sorta di “grandeur” sul modello francese, e, fino al 1º settembre 1939, sicura di poter arrivare a Berlino in pochi giorni, nonché di prendersi la rivincita della guerra sovietico-polacca del 1919-21. Secondo alcuni storici[368] l’intenzione della Polonia in quegli anni era quella di sfruttare la sua posizione nell’ambito di una plausibile alleanza anglo-tedesca anticomunista con lo scopo recondito di annettere l’Ucraina, sulla base di vaghi accordi del trattato di Brest-Litovsk tra Russia e Germania del 1918. A conferma vi è la pressione fatta da Hitler su Stalin il 18 agosto 1939, del fatto che “la Germania non può più aspettare” e deve firmare un trattato, “altrimenti – se un conflitto esplodesse senza un preventivo accordo - sarebbero gli interessi sovietici a subire dei danni. L’Urss deve sbrigarsi a firmare, oppure perderà l’Ucraina”. La Gran Bretagna dell’anticomunista Chamberlain non poteva certo esserne contraria. La Germania però, per aderire a tale progetto, chiedeva l’annessione di Danzica, cosa che la Polonia rifiutò, sostenuta dalla Gran Bretagna. In questo “ingolosimento” potrebbe essere insito il motivo scatenante dell’attacco tedesco alla Polonia?
“Fu evidente che i termini inqualificabili della garanzia misero il destino dell’Inghilterra nelle mani del colonnello Ludwig Beck [non Jozef Beck ????? Ministro esteri polacco.], un uomo molto discutibile. La garanzia data ai polacchi era il mezzo più sicuro per provocare un esplosione e una guerra mondiale. Incitò Hitler a dimostrare l’inutilità di un simile patto con un paese fuori dalla portata dell’Occidente, rese gli ostinati polacchi sempre meno inclini a fargli qualunque concessione e contemporaneamente lo misero in condizione di non potersi tirare indietro senza perdere la faccia” (Basil Liddel-Hart) Leonard Mosley, “Il tempo a prestito”, Longanesi ed., pag. 306.
Si considerino prima di tutto i maneggi che precedettero il settembre 1939: il 31 marzo la Gran Bretagna garantisce il sostegno a Polonia e Romania (un accordo analogo esisteva già con la Turchia); il 6 aprile lo specifica ulteriormente ma stavolta alla sola Polonia; il 28 vengono alla luce gli accordi segreti presi in quel lasso tra Gran Bretagna e Germania; l’11 agosto una missione diplomatica anglo-francese è a Mosca; il 23 viene firmato il patto Molotov-Ribbentrop.
“Devo dire, a nome del mio gruppo, che abbiamo preso nota con dispiacere di questa politica delle garanzie che il governo inglese ha iniziato fin dall’aprile scorso. Siamo sicuri che le garanzie che l’Inghilterra ha dato all’Est e al Sud-est d’Europa (alla Polonia, Romania, Grecia, Turchia) più che intimorire Hitler lo provocheranno” (Erich Kordt) Leonard Mosley, “Il tempo a prestito”, Longanesi ed., pag. 363.
Non si scordi un altro particolare importante: gli ebrei polacchi inizialmente accolsero i tedeschi come liberatori[369]. Questo perché lo Stato polacco era dichiaratamente antisemita (basti pensare che l’ingresso nelle università polacche era vietato ai cittadini di religione ebraica), nel quale i pogrom erano all’ordine del giorno, praticati con sempre maggior frequenza dopo la crisi del ’29 che aveva avviato una “guerra sociale” nella quale non poteva rimetterci altri che la minoranza più ricca e rilevante (in Polonia gli ebrei rappresentavano ben il 10% della popolazione), per raggiungere il culmine (250.000 vittime) durante l’avanzata tedesca e sovietica (dato che i polacchi ritenevano gli ebrei responsabili dell’istigazione di quell’invasione); stesso discorso valido per gli ebrei dell’Ucraina nell’estate del 1941.
“Una verità detta con cattiva intenzione, batte tutte le bugie che si possono inventare” (William Blake)
La cosa abbastanza curiosa è che, a seguito delle ondate furibonde di antisemitismo, prima della guerra moltissimi ebrei polacchi decisero di emigrare, e chiesero la nazionalità... tedesca! Un sintomo quantomai indicativo. Come abbiamo detto, fu durante l’invasione tedesca della Polonia che gli abitanti soprattutto delle aree rurali ne approfittarono per compiere massacri collettivi (pogrom) di israeliti (il che in certi villaggi corrispondeva fino ad una buona metà della popolazione)[370].
“Questa sera è stato annunciato che gli ebrei polacchi verranno espulsi (…) Vogliono espellerci dalla Germania e rimandarci in Polonia. Cosa faremo là, figlio? E che cosa ci faranno?” (appunto trovato in tasca a Herschel Grynszpan dopo l’omicidio di Ernst Von Rath) Leonard Mosley, “Il tempo a prestito”, Longanesi ed., pag. 164.
Un pensiero che sorge riflettendo su questi fatti, anche se può sembrare paradossale, è: a quel punto non sarebbe stato meglio per loro se fossero stati messi subito in campo di concentramento, piuttosto che essere linciati dai vicini di casa? Almeno dai campi di concentramento qualcuno ne è sopravissuto. La prigione (come istituzione) non serve solo come punizione, ma anche a proteggere da eventuali vendette, no? E chi ci dice che non sia stata proprio questa la preoccupazione di chi ha effettivamente deciso il loro concentramento nei campi? La localizzazione dei campi di concentramento attorno al “governatorato generale” avrebbe voluto originare uno stato polacco a conduzione ebraica? Con la prospettiva futura di trasferirne almeno parte in Palestina a fondare il nuovo stato d’Israele? Per questo Hitler non prese in considerazione l’ipotesi italiana di trasferirli in Etiopia? Ed aveva realmente intenzione di trasferirli in Madagascar? A dare un senso è esemplare il parere favorevole espresso (seppur in fondo ingenuo) dai giapponesi quando nel 1934 ai confini con il Manchukuo fu fondato da Stalin l’oblast ebraico: “ben vengano gli ebrei, sono creatori di ricchezza”. Sulle reali intenzioni hitleriane è sintomatica anche l’esperienza di Anna Frank: fu deportata ad Auschwitz, ma quando quel campo fu raggiunto dai sovietici essa fu trasferita in un campo interno alla Germania, Bergen Belsen[371]. Uno Stato oramai sull’orlo della disfatta, con le infrastrutture devastate, si poteva permettere il lusso di impiegare preziosi treni per portare al salvo “inutili” prigionieri? Evidentemente Hitler per primo non li considerava affatto inutili. Come si può quindi conciliare il comprovato trattamento di favore ricevuto da Anna Frank con un presunto proposito di eliminare appositamente il popolo di cui faceva parte? Hitler, rinchiudendo gli ebrei nei lager, voleva proteggerli dalla guerra? La logica e le testimonianze autentiche appaiono rivelatrici. Ma non siamo qui per impelagarci sulla logica, che vorrebbe che una nazione in guerra utilizzi i prigionieri per eseguire un lavoro, anziché illogicamente distogliere proprie forze per implementare un industria dell’assassinio. Una gigantesca industria, che avrebbe richiesto migliaia di persone al lavoro, che avrebbe creato migliaia di prove documentali e di testimonianze veritiere e/o verificabili. Dove sono? Primo Levi fu forse ucciso? O costretto a lavorare come un mulo senza mangiare? Come lui stesso ci racconta, nel campo di “sterminio” faceva il chimico, mangiava bene e senza essere tenuto sotto controllo dalle SS poteva dedicarsi anche al contrabbando! Gli unici veri carnefici sono quelli che poi vennero trasformati in eroi, gente come Oscar Schindler, che cercavano schiavi per mandare avanti le proprie attività capitaliste, oggi sono tra i “giusti”.
“Le alte sfere tedesche hanno utilizzato il fanatismo razzista; non l’hanno affatto creato” (Rene Alleau[372])
Autore: Mauro Manno:
Un recente articolo del Sunday Times ci informa che Adolf Eichmann, considerato il principale responsabile dell’olocausto, salvò 800 ebrei tenendoli segretamente al sicuro in un ospedale di Berlino Secondo l’articolo, “questi ebrei sopravvissuti erano collaboratori, spie o le mogli di tedeschi influenti sotto alta protezione nazista. Altri ebrei costituivano il personale dell’ospedale, incaricati da Eichmann di curare i malati”.
Gli inglesi, prima della Dichiarazione Balfour (1917), proposero a Herzl il trasferimento degli ebrei in Uganda. Alcuni sionisti, contestualmente, proponevano uno stato ebraico in Argentina. Il sionista Zangwil proponeva il trasferimento in America del Nord. I sionistiche contavano, in particolare i sionisti “socialisti”, rigettarono decisamente queste soluzioni e insistettero per la costituzione di uno stato ebraico in Palestina.
Leo Pinsker, proponeva un raggruppamento ebraico in una parte della Russia meridionale, intorno ad Odessa, dove già gli ebrei erano numerosi.
I nazisti tra il 1933 e il 1940 accettarono la proposta sionista di trasferire gli ebrei tedeschi in Palestina e solo in Palestina.
Non ci hanno detto che nella ricerca di una soluzione territoriale i nazisti trovarono la fattiva collaborazione dei sionisti. Non ci hanno detto che, perfino nei campi di concentramento, furono molti gli ebrei che collaboravano con i tedeschi. Ne fa testimonianza il libro (poco o per niente pubblicizzato) della storica ebrea Idith Zertal: Israele e la shoah, la nazione e il culto della tragedia [2]. [2] Idith Zertal: Israele e la shoah, la nazione e il culto della tragedia, Einaudi, Torino, 2002. Nel suo racconto, riporta gran parte dei processi ai collaboratori, emigrati in Israele dopo la guerra e riconosciuti come torturatori e assassini di altri ebrei. Nei primi anni ’50, lo stato ebraico fu costretto ad emanare una legge che permettesse, senza suscitare troppo clamore, di giudicare questi criminali. “Tutti i processati in base a questa legge, -- afferma la Zertal – sino al processo di Adolf Eichmann celebrato nel 1961, furono cittadini ebrei di recente immigrazione, individui miserabili e meschini, sopravvissuti alla Shoah, che, al loro arrivo in Israele, furono riconosciuti, talvolta casualmente, da altri sopravvissuti e denunciati alle autorità di polizia. Il sistema giuridico israeliano li processò in base alla stessa legge che, circa dieci anni dopo, sarebbe servita per perseguire l’alto ufficiale delle SS Adolf Eichmann”. [3] [3] Idith Zertal: Israele e la shoah, la nazione e il culto della tragedia, Einaudi, Torino, 2002, pag. 63.
Ironia della storia: sapevate che con la stessa legge sono stati perseguiti Eichmann e i tanti ebrei collaborazionisti? Adesso apprendiamo che il ‘maggiore rappresentante del male assoluto’, Eichmann, salvò 800 ebrei. Alcuni di essi erano effettivamente collaboratori e spie dei nazisti del tipo di Karesky e Wiesenthal, altri erano semplicemente medici, infermieri o donne ebree sposate con tedeschi.
Lo scopo di questo libro non è impelagarsi mettendo la mano in quell’alveare di cui non ci azzardiamo ad osare nemmeno fare il nome. No, non siamo qui per discutere sulla fisica delle autoclavi, sulla fisica-chimica del cianuro, sulla biologia umana. Non siamo qui nemmeno a discutere di denti d’oro, masse di occhiali, forni crematori, fosse comuni, quantità di ceneri, tassi di mortalità. Libri inoppugnabilmente argomentati su questo pericoloso tema ne esistono già in quantità, non sarebbero certo queste poche pagine a fare la differenza.
“I nazisti spinsero l’inutile fino al dannoso quando, in piena guerra, e malgrado la penuria di materiali da costruzione e di rotabili, avviarono enormi e costose imprese di sterminio e organizzarono il trasporto di milioni di persone. [...] la contraddizione manifesta tra questo modo di agire e gli imperativi militari dà a tutta la faccenda un’aria folle e chimerica” (Hannah Arendt[373])
Nemmeno Roger Garaudy o l’abbè Pierre sono mai giunti a mettere in dubbio che determinate categorie di prigionieri dei lager fossero trattate indegnamente. Se dobbiamo esprimere un parere, questo è che non ci permettiamo di mettere in dubbio ciò, ma ci chiediamo “chi?” e “perché?”. Nel 1935, anche Reinhardt Heydrich distingueva gli ebrei in due categorie, i sionisti e i fautori dell’assimilazione, esprimendo la sua preferenza per i primi, perché “professano una concezione strettamente razziale e con l’emigrazione contribuiscono a edificare il loro proprio Stato ebraico […] I nostri auguri e la nostra benevolenza ufficiale sono con loro” (12). E Alfred Rosenberg: “Il sionismo deve essere vigorosamente sostenuto, affinché ogni anno un contingente di ebrei tedeschi venga trasferito in Palestina” (13).
(12) Émmanuel Ratier, Les guerriers d’Israël, Facta, Paris 1995, p. 78.
(13) Ibidem.
“Per molti anni ho ritenuto che la completa separazione delle attività culturali dei due popoli sia la condizione per rendere possibile una collaborazione pacifica (…) a condizione che essa si basi sul rispetto della nazione straniera [gli ebrei]. Le Leggi di Norimberga (…) mi sembrano, se si escludono le disposizioni legali, conformarsi interamente con il desiderio di una vita separata sulla base del mutuo rispetto”. [1] [1] Georg Karesky Approves of Ghetto Laws - Interview in Dr Goebbels’ Angriff, (Georg Karesky approva le Leggi Razziali – Intervista riportata nel giornale del Dr. Goebbels, Angriff), Jewish Chronicle, 3 gennaio 1936, p. 16.
David Icke in questo contesto fa una differenza tra ebrei di tipo ashkenazi e gli altri. Ma non specifica bene quali siano gli altri. Una spiegazione proviamo a darla noi: gli “altri” potrebbero riferirsi agli slavi convertiti all’ebraismo. Difatti ufficialmente ignoto è il motivo per cui gli ebrei si siano ammassati nella regione polacca. La spiegazione è invece molto semplice, e non serve ricorrere alla teoria dei kazari. La parola “slavo” porta la stessa radice della parola “schiavo”, e difatti nel medioevo i territori abitati da slavi erano il principale serbatoio di schiavi, che venivano catturati e venduti nella Spagna musulmana, e di lì verso i restanti paesi islamici, dove la schiavitù era consentita, a differenza dei paesi cristiani, dove era proibita. Ma non il commercio, che era permesso anche nei paesi cristiani, difatti il maggior mercato degli schiavi era Aquisgrana. Tuttavia ai cristiani era comunque proibito tale commercio, ragion per cui a colmare questo vuoto ci pensarono gli ebrei già presenti da secoli in Spagna. L’ovvia conseguenza di ciò fu che per sfuggire ai cacciatori di schiavi, molti slavi si convertivano o fingevano di essere ebrei. Inevitabile quindi che il “territorio di caccia” agli schiavi divenisse l’area col maggior numero di ebrei, seppur presunti tali. Dopo la proibizione del commercio di schiavi (XV secolo, Polonia e Lituania non a caso primi stati in Europa) sicuramente molti continuarono a mantenere questa identità tradizionalmente acquisita, ed ecco spiegato il perché della quantità di ebrei tra Polonia e Lituania. Verosimilmente il tipo “ashkenazi” farebbe riferimento agli ex cacciatori e commercianti di schiavi installatisi in Europa, mentre gli ebrei rimasti in Spagna si distinsero come “sefarditi”, fino alla loro cacciata nel 1492 dopodiché si diffusero nel resto d’Europa già abitato da ashkenaziti e da pseudo-ebrei slavi. ---ebrei favorito invasione araba in Spagna----- Non stupisce che i primi mercanti di schiavi nelle americhe furono ebrei installatisi in Olanda dopo la cacciata dalla Spagna. Prima pochi indios dal nuovo al vecchio mondo, poi l’inverso, negri dall’Africa all’America. Cosa per la quale Louis Farrakhan oggi accusa gli ebrei. Secondo Icke è per questo motivo che “tali famiglie sostenevano i nazisti e non gliene fregava un accidente di cosa essi facessero al resto del popolo ebreo[374]” ed usarono la persecuzione verso questi pseudo-ebrei per il loro scopo, che alla fine, come sappiamo e vediamo, hanno ottenuto.
“Gli ebrei ashkenazi, che sono emigrati in
Israele dalla Germania, pur essendo favorevoli al comunismo e pur sostenendolo
tendono tuttavia ad adottare strategie tipiche del fascismo nazista. Durante la
seconda guerra mondiale questa elite ebrea di ashkenazi sionisti collaborò con
la Gestapo di Hitler nella persecuzione degli ebrei tedeschi appartenenti alle
classi inferiori, che venivano portati nei campi di concentramento. Ora che
vivono in Israele, questi ebrei sionisti, che si sono formati alla scuola del
nazi-fascismo, stanno imponendo alla loro nuova patria molti aspetti di quella
ideologia. Per dare l’impressione che Israele sia una democrazia i membri della
Knesset vengono eletti – ma si tratta di una elezione davvero singolare. E’ qui
che si arena la democrazia israeliana. Non fa differenza quale partito vinca le
elezioni; che sia il Likud o il partito laburista, a governare è sempre la
stessa elite di ebrei sionisti che usa metodi dittatoriali – favorendo i pochi
e soffocando brutalmente ogni forma di dissenso” (Jack Bernstein[375])
D’altronde in “Das jüdische Paradox” (Europaische Verlagsantstalt, 1976, p. 263), Nahum Goldmann, che fu per parecchi anni presidente del Congresso mondiale ebraico, scrive questo: «Nel 1945 c’erano circa 600.000 ebrei sopravvissuti nei campi di concentramento che nessun paese voleva accogliere». Se i nazisti avessero voluto sterminare gli ebrei, come mai 600.000 di essi hanno potuto sopravvivere ai campi tedeschi? E’ così astruso immaginare che la maggior parte dei sopravvissuti fossero ebrei ashkenazi dell’Europa occidentale, mentre la maggior parte dei morti fossero pseudo-ebrei dell’area slava? Innegabile è la differenza nel trattamento tra gli ebrei occidentali ed orientali, da sempre. La maggior difficoltà sicuramente la si dovette proprio nel riuscire a garantire questa suddivisione, conosciuta dagli antisemiti “sedicenti”, ma sconosciuta agli antisemiti veri, e questi ultimi premevano per applicare lo stesso trattamento a tutti gli ebrei; il principale lavoro dei “sedicenti antisemiti” “alla Streicher” fu proprio quello di “legare le mani” ai veri antisemiti. In questo contesto va visto l’incredibile campo libero che fu permesso anche in Italia ai vari prefetti e questori nel nascondere e proteggere gli ebrei.
E dei “kapò”, che vogliamo dire? Ebrei che collaboravano apertamente coi nazisti contro altri “ebrei”.
Il 15 febbraio Himmler incontra
il conte Folke Bernadotte, delegato svedese della Croce Rossa, ufficialmente
con lo scopo di intavolare trattative per ammortizzare la sorte tedesca. Ma la
reale motivazione di quest’incontro la si potrebbe dedurre da un successivo
incontro, che Himmler ebbe con l’ebreo Norbert Masur il 21 aprile avente,
sempre “ufficialmente”, lo scopo di “sotterrare l’ascia di guerra tra Germania
ed ebrei”. Bernadotte sarebbe stato in realtà il tramite per questo accordo.
Come ben si sa, ufficialmente Hitler ne fu infuriato. Ufficialmente… Come
spiegare questa impresa personale di Himmler? Di quali indicibili segreti venne
a conoscenza Bernadotte? Il ruolo di Bernadotte vede una conferma anche e
proprio perché in seguito gli fu affidata la questione della Palestina, dove fu
ucciso dagli ebrei in un attentato. Come può essere considerato casuale che il
principale sostenitore della fuga di Hitler fosse il conte Bernadotte, ossia
quello che il 2 aprile Himmler aveva contattato per trattare la resa e poi fu
ucciso dagli ebrei? Quale fu il vero motivo del suo omicidio? Segreti di cui
era a conoscenza?
Sotto questa nuova luce l’“operazione Odessa”
acquista un senso più chiaro, soprattutto se considerata unitamente all’operato
del famoso “cacciatore di nazisti” Simon Wiesenthal (stranamente sosia del
generale ----), autoattribuitosi grandi meriti ma sbugiardato come un
truffatore anche dal capo dei servizi segreti israeliani Isser Harel, che lo
accusò di aver addirittura depistato molte ricerche. Evidentemente Harel era
all’oscuro di segreti che invece Wiesenthal conosceva bene.
---come unire?-------
Tornando alla Gran Bretagna, per dare un senso agli eventi si deve tener conto che il potere in essa non era un blocco monolitico, ma la sua politica era divisa in due fazioni ben distinte: quella di Churchill anti-tedesca e filo-russa; quella prima di Chamberlain e poi di Halifax, filo-tedesca ed anti-russa. Per cui quelle che a prima vista potrebbero sembrare incongruenze nella condotta diplomatica britannica erano piuttosto determinate da queste diatribe interne. L’evento che fece pendere definitivamente la bilancia del potere verso la fazione di Churchill fu la pace conclusa tra Urss e Finlandia (e non la perdita della Norvegia come oggi si vuol far credere!) il 12 marzo.
“In quei giorni in molti ambienti si vedeva il nemico principale in Stalin piuttosto che in Hitler e ci si preoccupava di trovare i mezzi per colpire la Russia più di quanto si pensasse di venire alle mani con i tedeschi” (Charles De Gaulle[376])
L’Urss fino alla fine delle ostilità con la Finlandia fu molto timorosa verso gli anglo-francesi (che avevano già predisposto l’invasione della Norvegia), e la conferma di ciò è che fino a quel momento risparmiò la vita degli ufficiali polacchi prigionieri. Ma conclusa la pace con la Finlandia, veniva meno il pericolo di guerra contro Francia e Gran Bretagna. Anzi, addirittura sembrò l’occasione per la fine delle ostilità anche tra esse e la Germania. Non è certo casuale la presenza di Sumner Welles (segretario di Stato Usa) a Berlino in quel frangente (1-6 marzo). E’ solo a questo punto che Stalin ordina l’eliminazione dei prigionieri polacchi a Katin[377] e vira decisamente verso Hitler; oltretutto in un certo senso trascinandosi dietro in ciò l’Italia, soddisfatta dell’indipendenza mantenuta dalla Finlandia, e convinta anch’essa che questo significhi la pace imminente su tutti i campi. Pace che avrebbe però significato anche la resurrezione della Polonia, con conseguente pretesa di restituzione dei territori occupati dai sovietici, e degli ufficiali prigionieri che avrebbero rappresentato un futuro pericolo per l’Urss proprio in questa visualizzazione.
“In molti ambienti britannici si ritiene che a primavera marceremo tutti insieme contro i russi, tedeschi compresi” (Drew Middleton, corrispondente da Londra della Associated press, autunno 1939[378])
Ma nonostante la sopravvivenza della Finlandia, il piano anglo-francese di invasione fu ugualmente avviato, rivelandosi però una sconfitta per gli aggressori. Essendo la Norvegia oramai saldamente nelle mani dell’alleato tedesco, l’Urss poteva stare ancor più tranquilla.
Ma gli anglo-francesi ancora non mollavano.
“La situazione: l’Inghilterra ha perduto la guerra. Come una persona che sta per annegare, essa si afferra ad ogni fuscello. Ciò nondimeno alcune sue speranze non sono prive di una certa logica. La distruzione della Francia ha fatto continuamente volgere lo sguardo dei guerrafondai inglesi verso il luogo in cui essi avevano tentato di far cominciare la guerra: verso la Russia sovietica. Entrambi i paesi, la Russia sovietica e l’Inghilterra, hanno interesse a vedere l’Europa prostrata da una lunga guerra. Dietro di loro, a spronarle, sta l’Unione nordamericana” (Adolf Hitler[379])
Viene spontaneo chiedersi: rifiutare di fare la pace è molto diverso da dichiarare la guerra? No, risposta ovvia. E’ la stessa cosa. E’ ugualmente la medesima scelta possibile tra pace o guerra. Eppure stranamente nessuno contesta e Churchill e Roosevelt di aver dichiarato effettivamente 10, 100, 1.000 volte consecutive guerra! Perché essi ben sapendo che per ogni singolo giorno della loro partecipazione al conflitto stava ad una loro scelta la decisione di mettervi fine, non l’hanno mai fatto. Risoluti fino a che non gli avessero consegnato le chiavi della nazione in prostrazione come ha fatto Badoglio l’8 settembre. Quindi a rigor di logica ogni giorno che passava era loro che si doveva maledire, ed invece si malediceva chi la guerra non l’aveva nemmeno dichiarata e chi l’ha fatto una sola volta e per di più non per propria scelta ma su ingannevole richiesta del vero guerrafondaio!
---un aereo tedesco aveva per errore sganciato qualche bomba nella periferia di Londra. Per quanto possa sembrare strano, data la situazione di guerra in corso, il governo tedesco corse a scusarsi. La risposta di Churchill non fu altrettanto garbata: dopo aver fatto bombardare Berlino esclamò “noi non cerchiamo di scusarci. Al contrario, noi siamo fieri di annunciare la grande notizia: la Raf ha bombardato Berlino[380]”. Più di così…
E sempre a proposito di ipocrisia, oggi nessuno accusa l’Urss di aver pugnalato alla schiena il Giappone nel 1945, a differenza dell’Italia accusata di averlo fatto alla Francia nel 1940. Senza dimenticare che anche l’Italia democratica “pugnalò alla schiena” il Giappone, il 15 luglio 1945. Sempre il solito “due pesi e due misure”.
------come unire?-------------
Per mantenere questo equilibrio la paventata “operazione leone marino” fu determinante, e lo stesso Churchill chiese ad Hitler (tramite l’ambasciatore ungherese Gyorgy Barcza) di bombardare Londra[381]. Inoltre questo avrebbe fatto pendere ulteriormente la bilancia politica verso la sua fazione guerrafondaia anziché verso quella chamberliana di Halifax favorevole alla pace. Questo perché la mentalità germanica (e quindi anche inglese) è l’opposto di quella latina: mentre gli italiani sotto i bombardamenti maledivano non chi li bombardava, ma chi “aveva voluto la guerra”, ai germani il bombardamento li spinge a continuare ancor di più la guerra, anziché volersi arrendere, scagliandosi contro chi li bombarda e non contro chi cerca di difenderli. Difatti a Londra, in mancanza di bombardamenti, si manifestava per le strade contro una guerra di cui nessuno capiva il senso. La Polonia non esisteva più, la Francia era stata umiliata, la Germania faceva offerte di pace a condizioni accettabili. Solo che queste offerte di pace furono rigorosamente tenute segrete al popolo inglese.
“Gli inglesi non saranno mai schiavi. Avranno sempre la libertà di fare ciò che il governo e l’opinione pubblica pretendono da loro” (George Bernard Shaw)
Nonostante fosse consapevole che Hitler aveva espressamente proibito di bombardare città inglesi, Churchill insistette nel voler bombardare Berlino in modo da ottenere una reazione analoga da parte tedesca. Perché Churchill premette per dare così rapidamente il via ai bombardamenti aerei sulla Germania? “Secondo alcuni storici, Churchill con il suo primo attacco a Berlino trascinò intenzionalmente Hitler in una guerra di bombardamenti. Lo fece per sviare i tedeschi dalla Battaglia d’Inghilterra e ridurre la pressione sulla RAF. Inoltre ora poteva applicare la strategia per la quale la flotta aerea britannica - al contrario di quella tedesca - era stata costruita: la distruzione dei centri abitati nemici, per cui l’avversario veniva messo fuori gioco moralmente e militarmente già in una fase precoce della guerra[382]”. Si consideri che Churchill non era quel fulgido eroe che la vulgata ci dipinge; e nemmeno quel bonario beone. Tutt’altro. Era chiaramente uno psicotico misantropo, guerrafondaio, razzista all’estremo[383].
La battaglia d’Inghilterra può essere considerata anche una mossa politica di Hitler per screditare Göering (che come abbiamo visto era stato in prima fila nelle trattative di pace primaverili), infatti un’invasione dell’Inghilterra sarebbe sicuramente stato un successo che avrebbe garantito la conquista di Londra in pochi mesi, se non fu fatto è solo perché a Hitler non interessava conquistare l’Inghilterra, o per meglio dire: c’erano già accordi segreti anglo-tedeschi per spartirsi il mondo. Se poi la pace separata con i britannici non avvenne fu per colpa di Churchill, il quale in tal caso sarebbe stato politicamente finito perché aveva sempre spinto per una guerra alla Germania.
Göering unico nazista non antisemita, ma solo per convenzione.
Göering antirusso – contrario ad alleanza 1939 – e contrario a guerra.
Quale interpretazione dare al fatto che ancor oggi nella storiografia gli attentatori del 20 luglio 1944 non sono considerati eroi ma tutt’altro? Fino al 2006 non si poteva dare alcuna interpretazione. Oggi sappiamo che fu Churchill in persona a non approvare alcun piano di eliminazione di Hitler. Strano, no? Per quale motivo il premier inglese riteneva che Hitler fosse più utile vivo che morto? Non diversamente dall’atteggiamento che poi assumerà nei confronti dell’attentato di Von Stauffenberg, quando farà mancare ogni appoggio alla congiura. In questo contesto come si inserisce l’operato di Eddie Chapman? Leggenda vuole che egli fosse un agente segreto inglese doppiogiochista; ma alla luce dei fatti appare una verità diversa: egli era veramente un fascista simpatizzante di Mosley, e che proprio per questo operò per l’eliminazione di Hitler di concerto con i veri fascisti tedeschi, e quindi contro i veri interessi britannici che la guerra hitleriana continuasse. Fu paracadutato in Inghilterra dai congiurati tedeschi pochi giorni prima del 20 luglio 1944, con l’evidente unico scopo di portavoce in loco dei congiurati dopo la prevista morte di Hitler, per contrattare la stipulazione della pace ormai inevitabile. Chapman fino alla sua morte ostentò con fierezza nel suo salotto londinese la “croce di ferro” che ricevette dalla Germania per i suoi servizi. Già fin dal 1968 un documentario di Arrigo Petacco smentiva ampiamente la leggenda di Chapman come agente doppiogiochista.
Dalle biografie di De Gaulle si intuisce anche il sospetto che inizialmente la seconda guerra mondiale in realtà sia stata anche una guerra contro la Francia da parte della Gran Bretagna, utilizzando la Germania come un burattino. Ed a loro volta a “stimolare” in tal senso sarebbero stati anche gli Stati Uniti, i quali non a caso sono stati la prima nazione a riconoscere il governo Petain. Esemplare è la frecciata di De Gaulle alla moglie di Churchill: «I francesi sarebbero più contenti di cannoneggiare gli inglesi, che i tedeschi»[384].
“Tutte le grandi verità cominciano come bestemmie” (George Bernard Shaw)
La “legge affitti e prestiti” non significa nulla, se, come abbiamo visto, inizialmente anche l’Italia fornì armi ai britannici, ma poi si schierò con la Germania. Quando si parla di propensione americana (ma non solo) verso la guerra e con chi, non si deve pensare agli Usa come ad un unico cervello. Altrimenti, se così fosse, Roosevelt non avrebbe certo avuto bisogno di andare a ---rincorrere---- una “Pearl Harbor”! Quando Sumner Welles visitò l’Europa nella primavera del 1940 non si deve pensare che lo fece necessariamente per soffiare sul fuoco, come si potrebbe erroneamente intuire da quanto scritto finora sulle responsabilità originali del conflitto. Non erano “gli americani” a volere la guerra. Era Roosevelt. Ma nemmeno Roosevelt come persona in quanto tale, piuttosto quelli che manovravano i suoi fili. Grossomodo la fazione nordista della massoneria. --------5 novembre 1940 elezioni in usa-----------. Riguardo pearl harbor e strategia dietro le quinte per influenzare il presidente americano: fin dal 1938 fonti diplomatiche Usa iniziarono a impensierire il presidente Roosevelt inviandogli preoccupanti messaggi riguardo intenzioni anglo-franco-tedesche riguardanti la cessione di colonie britanniche nel continente americano alla Germania (Trinidad e Martinica), ovviamente del tutto campate in aria. Leonard Mosley, “Il tempo a prestito”, Longanesi ed., pag. 153.
“Penso che il Presidente sia deciso a mandare immediatamente la flotta degli Stati Uniti ad occupare tutte e due queste isole, se ciò dovesse avverarsi” (Harold Ickes) Leonard Mosley, “Il tempo a prestito”, Longanesi ed., pag. 153.
-------1956 esercito italiano con gb-francia-israele? ----------- Basti pensare che nel 1956 il governo italiano si schierò con Usa e Urss nella questione di Suez, mentre con Francia e Gran Bretagna si schierarono, guarda un po’, quelle stesse forze economicistiche che avevano remato contro il loro paese durante la guerra mondiale dopo averla fatta scoppiare… ---Saragat?---- Questo in un certo senso ci dà la conferma che gli Usa intervennero nella guerra mondiale non contro qualcuno e a favore di qualcun altro, ma per “rimettere le cose a posto”, seppure nel senso dei loro interessi. E ciò non toglie che lo stesso scatenamento di quella guerra fu favorito dagli ambienti che in Usa intendevano favorire proprio questo senso delle cose tramite quel successivo intervento.
“Chamberlain si lamentava spesso che l’America ed il mondo ebraico stessero forzando l’Inghilterra ad entrare in guerra” (Joseph Kennedy, ambasciatore statunitense a Londra) Leonard Mosley, “Il tempo a prestito”, Longanesi ed., pag. 287.
Come confermato -----:
“Il Presidente continuava a raccomandare a Kennedy di mettere un po’ di fuoco sotto al sedere di Chamberlain” ----- Leonard Mosley, “Il tempo a prestito”, Longanesi ed., pag. 287.
Gli Stati Uniti, che erano già da tempo in guerra commerciale col Giappone per via degli interessi divergenti nella “neocolonia Cina”, provocarono in ogni modo per subire un “casus belli” in modo da poter entrare impudentemente nella “mischia”.
“Se gli toglieremo il petrolio, il Giappone non avrà alternative: o la guerra o il suicidio” (ministro della marina Usa a Roosevelt[385])
Il Giappone dovette scegliere la guerra. Tuttavia, documenti giapponesi recentemente pubblicati suggeriscono che Yamamoto abbia accettato di pianificare l’attacco a Pearl Harbor soltanto per sabotarlo. Era certo che durante il lungo tragitto la sua flotta sarebbe stata prima o dopo avvistata da un qualche ricognitore, il che gli avrebbe dato la scusa per ritornare indietro, come concordato preventivamente con Tojo. Ma questo, tra il suo incredulo sgomento, non accadde. --- “Il libro nero del capitalismo”, Tropea ed., pag. 160----- Pur prevedendo l’attacco di Pearl Harbor, gli organi competenti americani non fecero nulla per evitarlo, unico modo “democratico” (tipico degli USA nordisti, dal prototipo “esplosione del Maine[386]” all’“11 settembre 2001”[387]) per convincere l’opinione pubblica ad approvare l’entrata in guerra[388]. Stavolta furono i britannici ad essere scornati, tanto che cercarono subito di pacificarsi col Giappone; questo da l’idea di quanto i britannici stessi potessero auspicare l’ingresso degli Usa nella guerra… L’ostinazione americana (alla quale i britannici poi si accodarono) di puntare unicamente ad un’immotivata resa incondizionata aveva il solo risultato di prolungare ad oltranza la guerra, con vivo disappunto di Stalin che sarebbe stato favorevole ad una pace immediata seppur condizionata.
“Vincere non è sufficiente. Tutti gli altri devono perdere” (Gore Vidal)
Quantomai ipocrita appare che poi si siano giustificati dei due bombardamenti atomici con la scusa di voler porre termine celermente alla guerra. Più plausibile è che abbiano voluto dare dimostrazione di forza ai sovietici (che nel frattempo avevano anch’essi dichiarato guerra al Giappone moribondo), come con Dresda e Koenigsberg, e che la repentina resa giapponese sia stata un effetto collaterale non del tutto previsto. Oppure è da inquadrare nel ricambio avvenuto tra il nordista Roosevelt (deceduto) con il sudista Truman, cosa che spiegherebbe anche molte altre cose, tra cui il rifiuto alla “pastoralizzazione”. Davanti a questo accanimento americano altro motivo non si vede se non la volontà di prolungare appositamente il corso del conflitto, desiderio evidentemente condiviso guarda caso anche da Hitler, seppur verso est. Hitler ed il popolo tedesco difatti non desideravano la guerra contro l’occidente, ma Roosevelt la voleva e si diede da fare affinché essa scoppiasse. Ma preventivamente lasciò che i contendenti si scannassero tra loro, per poi farvi il suo ingresso da “liberatore”.
“Scoppierà così quell’incidente che da tanti mesi Roosevelt va ansiosamente cercando?” (“Parole e fatti”, Il resto del carlino, 9 novembre 1941)
La voleva perlomeno per motivi politici interni. Jesse Jones, un membro del gabinetto di Roosevelt per cinque anni, sostiene: “Al di là delle sue ripetitive affermazioni circa il suo odio per la guerra, egli propendeva ad entrarci poiché ciò gli avrebbe assicurato un terzo mandato”[389]. Il Dr. Milton Eisenhower, il fratello del Generale Eisenhower, conferma: “Il Presidente Roosevelt ritenne necessario far entrare il paese in guerra per salvare le sue politiche sociali”[390]. Politiche sociali che si erano rivelate un totale fallimento. Le vere intenzioni di Roosevelt furono palesate quando i tedeschi riuscirono ad esaminare i documenti polacchi e trovarono negli archivi di Varsavia i dispacci degli ambasciatori polacchi a Washington e a Parigi che misero allo scoperto gli sforzi di Roosevelt di trascinare la Francia e l’Inghilterra in una guerra contro la Germania. Nel Novembre 1938, William C. Bullitt, suo personale amico ed ambasciatore a Parigi, aveva indicato ai polacchi che il desiderio del Presidente era di fare arrivare la Germania e la Russia ad uno scontro, dopodiché le nazioni democratiche avrebbero attaccato la Germania per costringerla alla sottomissione. Nella primavera del 1939 Bullitt disse che Roosevelt era determinato a partecipare alla guerra non dall’inizio ma di entrarvi alla fine[391]. Nell’opinione dello storico inglese J. F. C. Fuller, “il Presidente Roosevelt non lasciò nulla di intentato per provocare Hitler affinché dichiarasse guerra a quello stesso popolo cui egli [Roosevelt] aveva in modo così appassionato promesso la pace. Rifornì l’Inghilterra di cacciatorpediniere americane, inviò truppe americane in Islanda, e dispose il pattugliamento delle rotte atlantiche per salvaguardare le navi inglesi; questi erano tutti atti di guerra… Nonostante le sue molteplici dichiarazioni di voler tenere gli Stati Uniti fuori dalla guerra, era deciso a provocare qualche incidente che ne avrebbe provocato l’ingresso”[392].
“Si dice che la verità trionfa sempre, ma questa non è una verità” (Anton Cechov)
Trionfò così la democrazia odierna: una dittatura ipocrita, che ha la pretesa di avere il monopolio del concetto di libertà. Una dittatura che per sopravvivere deve continuamente utilizzare trabocchetti ed espedienti, “strategie della tensione”, crearsi nemici per poi doverli mettere l’uno contro l’altro. Una dittatura che per poter fare quello che le interessa è costretta a far scoppiare bombe in mezzo alla folla. Una dittatura che non ci si può permettere di criticare pena l’essere additati e banditi dalla società. Alla luce di ciò, manicheamente parlando, chiediamo nuovamente: chi erano i cattivi e chi i buoni?
“Privandolo in un sol colpo di tutte le forniture vitali, l’unica sorpresa è che Tokio abbia atteso quattro mesi prima di attaccare l’America” (Liddel Hart[393])
E’ realistico ammettere che le nazioni fasciste non furono le sole sconfitte. Francia ed Inghilterra uscirono prostrate dalla guerra ed avendo dovuto venire a patti con gli Stati Uniti perché profondamente debitrici. Poco a poco i loro imperi coloniali si sfaldarono, come avevano desiderato gli Stati Uniti. In definitiva, l’Europa intera uscì sconfitta dalla seconda guerra mondiale, assegnata dalla conferenza di Yalta per metà agli Stati Uniti, e per metà all’Urss, divisa da una cortina di ferro. I vincitori furono questi due, e quindi il capitalismo, ma soprattutto il comunismo, che si vide espandere in mezza Europa e poi in Cina. Gli sconfitti furono non solo l’Europa, ma tutto il resto del mondo, che negli anni a venire rimarrà in balìa delle dispute tra i due vincitori sfociate nella guerra fredda e nelle guerre neocolonialiste, tragedie belliche, sociali, e umane che ne sono scaturite fino ad oggi. Lo scontro Usa-Urss iniziò ancor prima della fine della guerra, con la guerra civile greca. La lungimiranza di Stalin, che ignorò la lotta dei comunisti greci ed anzi si precipitò a riconoscere il governo legittimo, evitò l’allargamento del conflitto; cosa che certamente contribuì a guastare i rapporti con Tito. Sintomatico è che il momento di maggior attrito tra Jugoslavia e Italia si ebbe subito dopo la morte di Stalin (la “Osoppo”, antesignana di “Gladio”, fu mobilitata per l’unica volta[394] tra il 21 ottobre e il 15 dicembre 1953), rivelando come esso avesse fin’allora tenuto a freno i bollenti spiriti dei suoi simili. Ma il pericolo maggiore arrivò dal “terzo incomodo”, la Cina: solo per un pelo la guerra fredda non degenerò in guerra mondiale a causa della Corea. In questo contesto si inseriscono i vari piani statunitensi per il “riutilizzo” degli sconfitti in funzione anticomunista.
Siamo ancora in guerra? L’antifascismo di cui è intrisa Wall Street non è solo una prova d’arroganza, è una prova che per loro ancora non è chiusa la faccenda. Non finirà finché tutto resterà legato a quegli episodi: politica nazionale ed internazionale, storiografia, economia.
Abbiamo già appurato l’importanza degli scambi commerciali nell’originare la crisi del ’29, e l’importanza di tale crisi nello scatenare la seconda guerra mondiale. Abbiamo già visto come per gli italiani più svegli veniva sentita la necessità di liberarsi dal ricatto economico dei due paesi che avevano il controllo della maggioranza dei beni del pianeta, ed avevano il totale potere di decisione sulle vie di commercio italiane anche dai paesi che non controllavano. Viste le rimanenti capacità economiche italiane, c’è da chiedersi: senza tali impedimenti quale potenza economica sarebbe stata l’Italia? La risposta è: tale da far paura a Gran Bretagna e Francia; tanto da indurle a coinvolgerla in una guerra distruttiva.
su crisi 29 e oro del mondo in poche mani: basti pensare ai motivi per cui il Giappone attaccò l’america, e più in piccolo, la Germania attaccò ad est: il venir meno delle forniture seppur pagate. Petrolio e ferro per il Giappone, grano per la Germania.
Abbiamo già visto come il governo italiano si schierò contro Gran Bretagna e Francia nel 1956. Inevitabile vederci una sottile vendetta per le umiliazioni subite in passato, nonché la continuazione di quanto Mussolini aveva iniziato… La crisi di Suez rappresentò la fine dello strapotere coloniale anglofrancese, quel potere che avevano usato ampiamente contro l’Italia (al di là della carità pelosa di cui gli immigrati-schiavi erano tanto riconoscenti) e che avevano difeso accanitamente quando essa tentò di spezzare le catene.
----enrico mattei qui?-----
Il “nuovo corso” mondiale ebbe l’inaugurazione simbolica in Algeria, dove l’8 maggio 1945, in occasione dei festeggiamenti francesi per la resa tedesca, la popolazione musulmana scese in piazza per manifestare le proprie rivendicazioni indipendentiste. La repressione francese fu durissima: 45.000 morti. Pare superfluo far notare che questo evento fu un antifona americana a De Gaulle sul mantenimento delle promesse fatte. Ed i britannici non erano da meno: i primi di giugno 1945 per poco non scoppiò un’altra “Fascioda” a causa della Siria. La storia della Francia del dopoguerra è praticamente basata su questo, il tira e molla su queste promesse: sostegno americano ai Vietcong prima del 1954, sostegno francese ai Vietcong dopo il 1954, golpe del 1958, Oas, incessanti test atomici francesi dal 1960 (l’“anno dell’Africa”), veto francese all’ingresso della propaggine americana (“accordo di Nassau”) nota come Gran Bretagna nell’Unione Europea (14 gennaio 1963), “maggio francese”, le bombe del 1968 a Parigi, l’uscita unilaterale dalla Nato (1966) e relativa denuncia pubblica degli accordi-capestro franco-americani firmati in cambio dello sbarco in Normandia, per concludere con gli immancabili attentati alla vita di De Gaulle, ai quali miracolosamente sfuggì sempre. Con il culmine simbolico raggiunto il 6 giugno 1964, quando De Gaulle rifiutò di partecipare alla cerimonia commemorativa per il ventennale dello sbarco in Normandia. L’incontro con Kennedy del maggio-giugno 1961 servì a ben poco, e non portò alla sperata conciliazione. Anzi, in seguito i toni della polemica si faranno sempre più accesi e si può dire che da questo momento inizi la vera e propria offensiva gollista contro il dominio politico statunitense in Europa. De Gaulle, non convinto dalle assicurazioni americane, riconferma le sue posizioni in merito alla necessità di un arsenale nucleare europeo indipendente, e, pur continuando a far parte della NATO (fino al 1966), ne critica l’impostazione poco propensa a concedere autonomia politica alle nazioni europee. Sebbene, nel corso dell’incontro, egli rilanci la proposta di direttorio tripartito offerta in precedenza ad Eisenhower, riceve, come allora, una risposta che non lo soddisfa, in quanto Kennedy non fa che rassicurarlo (sarebbe meglio dire “zittirlo”) sulla protezione militare statunitense. La ferma volontà del generale de Gaulle di non permettere che né il proprio paese né l’Europa intera risultino sottomesse ad un tale disegno porta ad un conflitto politico dagli ampi margini, che va dalla diversa interpretazione sull’atteggiamento da tenere nei riguardi dei paesi del Terzo Mondo allo scontro sui temi di economia: se, nel primo caso, ad una politica aggressiva statunitense si contrappone un’impostazione neutrale della Francia, nel secondo, la ferma determinazione nel contrastare l’egemonia mondiale americana porta de Gaulle ad intraprendere una battaglia contro il ruolo del dollaro nell’economia globale e a rifiutare gli investimenti americani in Francia. Ci sarebbe da scriverne un libro intero su quella che fu la vera e più accanita guerra dal 1945 in poi, quella che vide contrapposti Stati Uniti e Francia. E la causa principale non fu il diniego americano sul possesso della Valle d’Aosta come si suol credere.
Oggi la bibliografia che ci permette di fare un analisi ben chiara e inoppugnabile sulla vera seconda guerra mondiale è vastissima, e così come per la guerra fredda la stessa cronologia degli avvenimenti ci permette di comprenderne appieno il vero significato di ogni evento nel contesto. Ce ne sarebbe da scriverne all’infinito, ma per non appesantire il testo ci siamo limitati a citare solamente le fonti più importanti, che comunque riteniamo bastino ed avanzino a capovolgere la versione ufficiale che da 65 e passa anni vige a sostegno del fulgore dei vincitori buoni e puri. A nostro vedere, l’immagine che se ne ricava è, a nostro vedere, inequivocabile.
Tale immagine è sostenuta sia in virtù degli avvenimenti che precedettero la guerra partendo dalla crisi del 1929, sia da quelli che la seguirono, la decolonizzazione in primis[395]. Anche l’italiana guerra d’Etiopia fu tollerata, se non fomentata, con lo scopo di instillare nell’opinione pubblica mondiale un moto di opposizione al sistema colonialistico, come dimostra il consenso internazionale alle sanzioni come risultato di questo moto. Sintomatica è l’enfasi con la quale Re Vittorio Emanuele III diede a Mussolini l’autorizzazione alla “campagna d’Etiopia”: “Duce, vada avanti, ci sono io alle sue spalle. Avanti le dico.”[396]. Ovvero tradotto in altre parole: “abbiamo l’autorizzazione della massoneria internazionale”. Per quale motivo la massoneria permetteva un azione contraria ai suoi interessi? Forse perché per qualche recondito motivo, ciò andava a favore dei suoi interessi… forse addirittura confidavano che l’Italia sarebbe stata sconfitta come nel 1896! Ironico potrebbe apparire a prima vista che gli stati che più si accanirono contro la conquista italiana dell’Abissinia furono Gran Bretagna e Francia, già padroni di mezzo mondo. Invece è inevitabile, “mors tua, vita mea”.
“Questa aggressione (…) non solo indignò tutti coloro che credevano nella libertà, specialmente in Inghilterra, ma compromise seriamente le linee di comunicazione e la futura strategia dell’impero britannico” Leonard Mosley, “Il tempo a prestito”, Longanesi ed., pag. 24.
Si potrebbe parafrasare al riguardo l’aforisma “speculatore è chi abbatte i boschi per costruire case, ambientalista è chi la casa nel bosco già ce l’ha”. E col senno di poi, alla luce dei successivi avvenimenti della seconda guerra mondiale, prende senso l’astruso comportamento tenuto da Badoglio nella guerra d’Etiopia: l’Italia ha sconfitto gli abissini non grazie a Badoglio, ma nonostante Badoglio!
“Noi sappiamo che per i vostri variopinti nemici, la posta non è l’Abissinia, ma la vostra personalità. Le loro ire sono interessate: abbattendo la schiavitù africana, voi colpite quella ben più vasta e secolare di cui essi sono i profittatori” (Nicola Bombacci a Benito Mussolini[397])
Ma sotto un determinato punto di vista vi era interesse anche che l’Italia conquistasse l’Abissinia, per creare nell’Italia un nemico alle democrazie. Nel caso della guerra di Spagna, dopotutto, il discorso è simile, in quanto, ovviamente checché ne dicano Hemingway ed Hollywood, l’interesse britannico ed americano non stava certo nella vittoria dei comunisti (e conferma ne è implicitamente proprio il fatto che questi non abbiano vinto…). Da quell’esperienza i paesi liberaldemocratici impararono che potevano manovrare le nazioni “canaglia” per fargli fare ciò che essi non potevano permettersi, in questo caso per contrastare il comunismo.
Il paragone col 10 giugno 1940 viene spontaneo… ma di questo abbiamo già parlato.
I mondiali di calcio del 1978, vinti dal paese ospitante, l’Argentina, furono al centro di aspre polemiche di “combine”. In particolare la partita Argentina-Perù, con un 6-0 che era assolutamente necessario all’Argentina per passare il turno. Pochi mesi dopo l’Argentina fece al Perù una straordinaria donazione di cereali. Come non vedervi un parallelo con certi fatti storici fin qui analizzati?
“Il mondo è governato da personaggi ben diversi da quelli creduti da coloro i quali non sanno guardare dietro le quinte” (Benjiamin Disraeli)
Hitler non sarebbe stato altro che un burattino nelle mani di determinati poteri economici internazionali, i cui finanziamenti alla sua fazione continuarono durante tutto il Terzo Reich (anche durante la guerra!) sostenendo l’altrimenti inspiegabile crescita economica tedesca degli anni ’30. La Standard Oil of New Jersey attraverso il banchiere Kurt von Schröder, che curava gli interessi della multinazionale americana in Germania, finanziò regolarmente, dal 1932 al 1944, lo stesso Himmler e l’ambiente legato alle SS[398]. Alla nascita e allo sviluppo del nazional-socialismo risultano strettamente legati gli stessi uomini e gruppi finanziari che offrirono il sostegno economico decisivo alla Rivoluzione d’Ottobre. In particolare il famigerato centro finanziario newyorkese sito al numero 120 di Broadway, finanziatore nel 1917 del bolscevismo in Russia e poi del nazionalsocialismo in Germania del quale, tra l’altro, fu determinante nel portare al potere. Fa certamente impensierire che il gruppo dirigente di quell’ambiente finanziario facesse capo alla nota “confraternita” americana “Skull and Bones”, tuttora esistente e di cui fece parte anche l’ex presidente americano George Bush… Il famoso criminologo Giuseppe Cosco ci fa notare come a questi livelli, parole come “destra e sinistra” perdono significato, più esattamente, non si bada a razze, religioni o ideologie: questi sono visti solo come mezzi da utilizzare per raggiungere un obiettivo, su scala mondiale, con l’antica strategia del “divide et impera”. Quella americana non era una guerra contro il totalitarismo. Gli era ininfluente chi tra le parti in causa vincesse. L’importante per Roosevelt e la sua cricca era solo che si facesse una guerra che alla fine gli cedesse nelle mani le sorti del mondo. E la figura di Hitler era la più funzionale allo scopo per manovrare il revanscista popolo tedesco. Il presidente della Reichsbank, Hjalmar Schacht, legato all’Establishment da vincoli familiari, fu l’uomo che si rivelò il “legame chiave tra l’élite di Wall Street e il circolo più chiuso di Hitler”. Il libro di Sidney Warburg “De Geldbronnen van Het NationaalSocialism (Drie Gesprekken Met Hitler)” descrive una riunione segreta dell’alta finanza americana svoltasi nel giugno del 1929. Il problema sul tappeto era quello delle pesanti richieste francesi di riparazioni di guerra che ostacolavano la cooperazione economica tra la Repubblica di Weimar e Wall Street. Secondo i presenti, per liberare la Germania dal ricatto economico francese si sarebbe dovuto ricorrere a una rivoluzione, comunista o nazionalista. In una riunione successiva si optò per la seconda soluzione e a un giovane banchiere israelita presente, sedicente “Sidney Warburg”, venne affidato l’incarico di stabilire un contatto con l’uomo politico prescelto: dopo alcune difficoltà iniziali, riuscì a incontrare Hitler a Monaco. L’accolita di Wall Street offrì al leader nazional-socialista, tramite Warburg, dieci milioni di dollari. La somma fu pagata attraverso la banca Mendelsohn di Amsterdam, che emise assegni in marchi incassati da dirigenti nazionalsocialisti in dieci diverse città tedesche. Nello stesso anno, Frédéric Hirth, ignorando quanto oggi sappiamo, si chiedeva: “Un profondo mistero cala sui movimenti e su tutta l’azione del nazionalsocialismo. Chi ha pagato queste spese di propaganda? Quale partito al mondo potrà vantarsi di disporre di cifre simili?”[399]. Qualche settimana dopo la stampa americana cominciò a interessarsi del nazionalsocialismo e il New York Times iniziò a pubblicare regolarmente brevi resoconti sui discorsi di Hitler. Da allora, il New York Times non smise di mostrare particolare “propensione” nei confronti di Hitler. Il segretario di Stato USA Cordell Hill, due mesi dopo l’avvento di Adolf Hitler al governo, dichiarò pubblicamente: “la persecuzione degli ebrei in Europa è finita”. Il secondo capitolo del libro descrive un’altra riunione dell’alta finanza, svoltasi nell’ottobre 1931 in seguito a una richiesta di aiuto economico dello stesso Hitler. Le opinioni, questa volta, furono discordanti. Mentre alcuni finanzieri (tra cui Rockefeller) si dimostrarono favorevoli alla nuova sovvenzione, altri, tra cui Montagu Norman della Banca d’Inghilterra, si dissero contrari, sostenendo che Hitler non sarebbe mai riuscito a impadronirsi del potere. Fu stanziato, tuttavia, un nuovo finanziamento e Warburg riprese la strada della Germania. A Warburg Hitler disse che si presentavano per il suo movimento due possibili vie di conquista del potere: una via rivoluzionaria, che avrebbe avuto bisogno di tre mesi di tempo e sarebbe costata 500 milioni di marchi, e una via legale, che avrebbe richiesto tre anni e 200 milioni di marchi. Wall Street preferì la seconda via, assicurando un finanziamento di 15 milioni di dollari, pagati anche in questo caso da banche diverse, in città diverse, per disperderne ogni traccia. Il terzo capitolo del libro riferisce l’ultimo incontro di Warburg con Hitler, la notte dell’incendio del Reichstag. Hitler informò il suo interlocutore dello sviluppo del suo partito e chiese un nuovo finanziamento di 7 milioni di dollari, pagato attraverso i consueti canali. Fin qui il contenuto del volume, che si conclude con note amare sul mondo di Wall Street e sul futuro di Hitler da parte del presunto signor Sidney Warburg[400].
I maggiori finanziatori del partito nazionalsocialista tedesco erano quasi tutti ebrei: Bank House Mendelson & Co., Khun-Loeb & Co., J. Morgan & Co., Samuel & Samuel. Il finanziatore ebreo Barone von schroder, il finanziatore ebreo Paul Silverberg, il finanziatore ebreo Lord Rothschild, Rothermere, Stern, proprietario in Inghilterra di una catena di giornali. Sir Henry Deterding of The Royal Deutsch Shill, Erhard Milch, ebreo direttore della Lufthansa, Philip Lenard, figlio di un mercante ebreo- David Lenard, Gauss, Abraham Esau, e chissà quanti altri minori.
Quando alcuni generali si resero conto di ciò e decisero l’attentato del 20 luglio 1944 per attuare il Piano Walküre, era ormai troppo tardi, e per poter dare una spiegazione il più razionale possibile al tutto, non si può pensare ad altro che all’ipotesi che Hitler doveva perlomeno avere dei santi in paradiso. Egli stesso affermò di essere stato salvato dalla “Provvidenza”, e non solo in quel caso, ma in più occasioni anche durante la prima guerra mondiale. Oggi sappiamo che Hitler scampò a non meno di sedici o diciassette tentativi di colpo di Stato, tutti da parte dei più alti gradi delle forze armate, non da avversari politici; e non solo quando le cose andavano male, ma perfino nel 1940! Se ne dovrebbe ricavare che il suo è veramente il “popolo eletto”?
“La verità che ha bisogno di prove è solo mezza verità” (Kahalil Gibran)
Hitler: “la mano della provvidenza che mi indica di completare il mio compito” – dato come stavano andando le cose per la Germania, magari il concetto espresso dalla frase “completare il mio compito” avrebbe dovuto mettere la pulce nell’orecchio ai tedeschi su quale potesse essere questo compito in via di completamento… non avrebbe dovuto poter essere equivocabile, ma invece gli permisero di portare a termine quel compito, cosa che avvenne il 30 aprile 1945.
“Ci vorrebbe un 25 luglio anche in Germania!” (Ammiraglio Canaris) – Arrigo Petacco, “La nostra guerra 1940-1945”, Mondadori, pag. 147.
Incredibile è come Hollywood per la prima volta si schieri in un film contro gli interessi Usa! Forse ciò si inserisce nel filone revisionista ormai in voga. Non stupisce che il primo film sul colpo di Stato di Stauffenberg sia stato prodotto nel 2008. Dopotutto come avrebbero potuto fare un film che inevitabilmente avrebbe dovuto essere pro-Hitler?
“In realtà quei cospiratori erano tutto fuorché santi. Il loro scopo era molto più immediato del paradiso: speravano soltanto di salvare la Germania. Pensavano che Adolf Hitler stesse portando la loro patria alla rovina con la sua politica e con i suoi eccessi che inevitabilmente avrebbero costretto l’Inghilterra ad entrare in guerra e quindi a sconfiggere la Germania” Leonard Mosley, “Il tempo a prestito”, Longanesi ed., pag. 357.
Nel 1938 Hitler attuò il primo gesto eclatante della sua politica antisemita espellendo la comunità ebraica di Graz, fatto sospetto perché negli anni precedenti la sua politica razzista fu piuttosto tollerante con gli ebrei, dopo gli eccessi della “notte dei cristalli”.
“Abbiamo imprigionato già parecchie persone che stavano saccheggiando e cercheremo di riavere la merce rubata” (Reinhard Heydrich, riguardo la “cristallnacht”) Leonard Mosley, “Il tempo a prestito”, Longanesi ed., pag. 183. -----qui???-----
il cimitero in cui era sepolta la nonna di Hitler venisse praticamente cancellato dai mezzi corazzati di truppe tedesche durante un’esercitazione viene interpretato da alcuni come prova di questa cancellazione totale.
Perché Graz? L’unica spiegazione possibile è che intendesse cancellare le tracce che potessero condurre alle sue vere origini, che, come oggi sappiamo, proprio là portavano. Perché voleva cancellare queste tracce? Tracce, guarda caso, in un modo o nell’altro ritrovabili un pò in tutti gli uomini ai vertici del governo di Hitler, da Alfred Jodl a Rudolf Hess, ed a cominciare proprio dai due maggiori propagandisti antisemiti del Reich, Alfred Rosemberg e Julius Streicher: essi stessi ebrei… Dopotutto anche Kant aveva definito gli ebrei “nazione di usurai”-- Destra sociale pag. 86. Nessuno dei congiurati di Stauffenberg può essere inserito in questa lista, e difficilmente si può pensare a un caso. ----ultimo di 15 attentati------ Interessante sarebbe investigare sotto questo punto di vista il vero interesse del nazismo per le ricerche araldiche e genealogiche…
“Ripensai a quello che mi aveva detto Rudolf Kommer circa un
programma antisemita diretto da fanatici ebrei o mezzi ebrei. Rosenberg aveva
un aspetto chiaramente ebreo, anche se diventava furioso se qualcuno provava a
indagare sui suoi antenati. Eppure mi capitava di vederlo quasi ogni mattina
seduto in uno squallido caffè all’angolo tra la Briennerstrasse e la
Augustenstrasse insieme a un ebreo ungherese di nome Holoschi, che era uno dei
suoi principali assistenti. Quell’uomo si definiva un olandese in Germania ed
era un altro dei tanti ebrei antisemiti… Nutro dei seri dubbi sulla presunta
origine ariana di molti degli altri. Strasser e Streicher mi sembravano ebrei
come molti altri personaggi tra cui Ley, Frank e persino Goebbels, che
avrebbero avuto non pochi problemi a dimostrare il loro pedigree” (Ernst
Hanfstaengl[401])
Per quanto incredibile possa sembrare, invece risponde ad una chiara
logica. Se su alcuni verte ancora il dubbio, così non è per altri, e questa
stessa certezza avvalora il sospetto su tutti gli altri. Ne riportiamo
qualcuno:
Adolf Frankenberger Schicklengruber Hitler, era nipote dell’ebreo Frankenberger, di origini ungheresi ed il cognome Hitler pare essere di origini ebraiche. Il suo “Mein kampf”, lo batte a macchina da scrivere l’ebreo Max Amann, nella villa di Hitler nella Obersalzberg. Il cimitero dove riposavano ebrei imparentati con Hitler, fu fatto distruggere da Hitler stesso.
Reinhard Heydrich, era di padre ebreo, un musicista, Heydrich Bruno-Suess. Heydrich collaborava direttamente con “Hagana”, organizzazione sionista e i loro capi vivevano nella Germania nazista, con tanto di passaporto tedesco. I più stretti collaboratori erano l’ebreo Schkolnic e Levi Eschkol, il futuro ministro d’Israele. Il comandante di Hagana, Feivel Polkes, invitò Adolf Eichman in Palestina per discutere la “soluzione finale”, la Elyah, cioè l’immigrazione degli ebrei in Palestina. Disponevano addirittura di una villa, messa a loro disposizione da Eichman a Berlino, una vera e propria ambasciata, con il nome di “Unione degli ebrei di Germania”, che era in piena collaborazione con l’ufficio di Eichman, Unione del Reich. L’ebreo Raaman Melitz, era rappresentante a Gerusalemme, con Golda Meir. Eichman, dopo l’annessione dell’Austria, trasferì il suo quartier generale a Vienna, nel palazzo del finanziere ebreo Rothschild. Faccio presente in oltre che l’ufficio di Eichman, aveva contatti diretti con lord Bearsted, il finanziere ebreo Marcus Samuel, Chaim Weizman, Golda Meir, Menachen Begin, Isak Shamir, il ministro degli esteri inglese, l’ebreo Balfour (amico intimo di lord Rothschild), ecc. ecc.
Adolf Eichman, ebreo nato ad Haifa, parlava yiddish e la sua famiglia si trasferì in Germania prima a Solingen e poi a Linz. L’istruttore di Eichman era l’ebreo Leopold von Mildenstein, un ufficiale delle SS, grande ammiratore del Sionismo.
Lanz von Liebesfels, figlio dell’ebrea Hopfenreich. Lanz era l’editore della rivista anti ebraica “Ostara” di Vienna, (aveva una tirata di 100.000 copie) ed era favorevole ad uno Stato per gli ebrei in Palestina. Il suo motto era: “noi controrivoluzionari consentiamo agli ebrei il loro diritto di creare uno Stato in Palestina”. La rivista poi era pubblicata dall’ebreo Lanz in compagnia dell’ebrea Liebenfels.
Julius Streicher, mezzo ebreo, editore della rivista “der Sturmer”. Il disegnatore delle vignette anti ebraiche della rivista era l’ebreo Jonas Wolk Alias Fritz Brand.
Moses Pinkeles, Alias, Trebitsch-Linkon, ebreo e finanziatore del quotidiano nazista “l’osservatore popolare”. Era famoso per il suo detto: “I NazionalSocialisti e i NazionalSionisti -uniti nella lotta”.
Dr. Ernst Hanfstengel, figlio di una ebrea di New York, capo dell’ufficio stampa estero del partito nazionalsocialista fino al 1937. Scappò dalla Germania e diventò poi consigliere del presidente americano Roosevelt, anche lui ebreo di origine italiane-ebree. Il suo vero nome era Rossocampos.
Hans Frank, l’avvocato di Hitler, era figlio di un avvocato ebreo di Bamberga. A Norimberga, alla testa del partito Nazista dichiaro: “La questione ebraica può essere risolta solo costruendo uno Stato in Palestina”.
Robert Ley, nipote dell’ebreo Levy, capo del “fronte dei lavoratori tedeschi”, proprietario del negozio fotografico a Monaco, con l’ebreo Hoffmann, dove Hitler incontrò la 17enne ebrea Eva Braun per la prima volta. Quest’ultima aveva i capelli castani scuri, ma, se li tinse biondi per essere più “ariana”.
Josef Goebbels, ebreo di origine spagnole-olandesi. All’università era soprannominato “il rabbino”. Sua suocera, l’ebrea Friedlander, visse in casa sua fino alla fine della guerra.
Rudolf Hess, nato in Egitto da una madre ebrea con passaporto Britannico. All’università di Monaco (scienze) Hess, era assistente del professore ebreo Hanshofer, sposato con una ebrea. Hess e Hanshofer erano membri della società segreta “Thule”.
Alfred Rosenberg, anch’egli ebreo.
Hermann Goring era mezzo ebreo e sua moglie, anch’essa ebrea si chiamava Sonneman.
Heinrich Himmler, ebreo.
Perfino il dottore di Hitler era ebreo e si chiamava Morrell. Il 21 aprile del 1945, venne premiato con una medaglia al valor militare, come “eroe della resistenza”.
L’Ammiraglio tedesco Canaris era di origine greche-ebraiche.
Il Reich ministro Ribbentrop (ebreo), vantava la sua stretta amicizia con Chaim Weizman, l’ebreo sionista che divento il primo capo dello Stato d’Israele.
Von Kudel, ebreo.
I comandanti Globocnik, Jordan e Willem Hebe (soprannominati i distruttori degli ebrei), Erich von dem Bach-Zelewski e von Keudel II, erano tutti ebrei.
Altri ebrei della Germania NazionalSocialista furono: Shronerer, Viktor Adler, Heinrich Friedjung, Porzer, dr. Luger, famoso per il suo detto: “io decido chi è ebreo”! Karl Wolff,...appartenenti fra l’altro alla società segreta “Thule”. La sede centrale fu a Monaco nell’hotel 4 stagioni e fu anche fortemente finanziata dai “Logen brothers” ecc. Altri membri della “Thule” ma anche nazisti furono: dr. Berger, Adam Glauer, Barone von Sebottendorf, famoso per il suo detto: “I membri della Thule furono i primi a morire per la Svastica!”.
Tutti da: Henneke Kardel, “Adolf Hitler, fondatore dello stato d’Israele”, Marva Verlag ed., 1974.
Eppure ragguardevoli indizi sembrerebbero apparentemente condurre anche in altro senso, dato che effettivamente gli ebrei per primi si erano scagliati contro la Germania hitleriana… ciò farebbe propendere quindi non tanto in una malafede di Hitler, ma in un tacito accordo teso ad una comune finalità degli scopi da ottenere. Il dubbio resta sulla domanda: “Hitler ottenne i suoi scopi oppure no?”. Risulta difficile pensare che il suo desiderio fosse suicidarsi in un bunker a 56 anni. Ammesso che ciò risponda a verità, si intende. Ma se si considera che l’unico familiare vivente di Hitler, tra tutti i paesi esistenti al mondo, vive oggi proprio in Israele, qualche dubbio sorge spontaneo…
“Non neghiamo e non abbiamo timore di confessare che questa guerra è la nostra guerra e che viene condotta per la liberazione del popolo ebraico... Più forte di tutti gli altri fronti messi insieme è il nostro fronte, quello degli ebrei. Non solo stiamo offrendo a questa guerra il nostro supporto finanziario, su cui è fondata l’intera produzione bellica, non solo stiamo impegnando il nostro pieno potere propagandistico, che costituisce l’energia morale che consente alla guerra di proseguire. La garanzia della vittoria ha per fondamento essenziale l’indebolimento delle forze nemiche, nel distruggerli nel loro stesso paese, nel fare resistenza dall’interno. Noi siamo i cavalli di Troia nella fortezza nemica. Migliaia di ebrei che vivono in Europa rappresentano il principale fattore nella distruzione del nostro nemico. Dunque, il nostro fronte è un dato di fatto ed è il più prezioso dei contributi alla vittoria” (Chaim Weizmann, Presidente del Congresso Ebraico Mondiale, capo dell’Agenzia Ebraica e poi Presidente d’Israele, discorso del 3 dicembre 1942 a New York).
“La Seconda Guerra Mondiale viene combattuta in difesa dei fondamenti dell’ebraismo”
(Rabbino Felix Mendelsohn, Chicago Sentinel, 8 ottobre 1942)
Attentato a Von Rath per avviare l’antisemitismo e guastare i rapporti tedeschi con il mondo. ---- Herschel Grynszpan ---- ----- Ernst Von Rath era notoriamente antinazista ----
A Parigi il 7 novembre 1938 l’ebreo Herschel Grynszpan, ebbe l’idea di assassinare il primo segretario dell’ambasciata tedesca Ernst von Roth. Per questo delitto non venne punito ma protetto dall'ebreo Heydrich, sotto custodia cautelare. Fu liberato alla fine della guerra. Come per Anna Frank, anche nel caso di Grynszpan non può non saltare agli occhi l’incongruenza che a fronte di milioni di ebrei morti, lui, che era già imprigionato fin prima della guerra, e per reati precisi, sopravvisse!
“Sostiene che agì da solo, che non ebbe istigatori per questo mostruoso gesto. Ma noi ne sappiamo di più non è vero?” (Adolf Hitler) --- Leonard Mosley, “Il tempo a prestito”, Longanesi ed., pag. 170. forse il senso inteso da Hitler voleva essere un altro, ma involontariamente ammettendo di “saperne di più” egli ----- strategia tensione-------
Molto tempo prima che il governo di Hitler iniziasse a restringere i diritti degli ebrei tedeschi, i dirigenti della comunità ebraica mondiale dichiararono apertamente guerra alla “Nuova Germania” di Hitler con un articolo sul “Daily Express” di Londra del 24 Marzo 1933[402]. Questo può essere considerato il primo della serie di eventi che portarono allo scoppio di quella che poi sarebbe stata la seconda guerra mondiale, e ciò ben prima che fossero attuate misure ritorsive o sanzioni contro gli ebrei da parte del governo tedesco. In particolare si lanciò il proposito di un boicottaggio dei prodotti tedeschi con il preciso scopo di mettere in ginocchio la già precaria economia di quel paese. Fu solo allora che la Germania rispose di conseguenza col boicottaggio dei negozi ebrei, iniziando col boicottaggio di un giorno il 1° Aprile 1933[403]. La conseguenza che non tutti riescono a comprendere fu che la guerra economica dichiarata alla Germania dalla dirigenza ebraica non solo portò a determinate ritorsioni da parte del governo tedesco ma mise le basi per un’alleanza politico-economica fra il regime di Hitler e i capi del movimento sionista i quali contavano che le persecuzioni tedesche verso gli ebrei avrebbero portato ad una massiccia emigrazione verso la Palestina.
“Chi sa ascoltare la verità non è da meno di colui che la sa esprimere” (Kahalil Gibran)
In breve, il risultato fu un implicita alleanza tattica fra i nazionalsocialisti ed i fondatori dell’odierno Stato di Israele. Come spiegare altrimenti il sospiro di sollievo che il “New York Times” fa intendere tra le righe sull’attentato ad Hitler del 20 luglio 1944, descrivendo gli autori come “delinquenti” che “per imprigionare o per uccidere il Capo dello Stato e il Comandante supremo dell’Esercito” “organizzano per un anno intero il loro piano con una bomba, l’arma tipica del mondo dei delinquenti” “in una congiura che ricorda l’atmosfera del tenebroso mondo del crimine più che quella che ci si attenderebbe normalmente nel corpo degli ufficiali di uno stato civile”, in un articolo del 9 agosto 1944[404]? E’ degno di nota anche il fatto che l’Associazione Sionista tedesca emanò un telegramma il 26 Marzo 1933 che rifiutava molte delle affermazioni fatte contro la Germania dai giornali ebraici americani[405]. Perché? Si consideri che allora nell’economia tedesca la componente ebraica era fortissima, e quindi un boicottaggio sarebbe stato rovinoso. Le esportazioni tedesche furono ridotte del 10% e molti chiedevano il congelamento dei beni tedeschi all’estero[406]. Tuttavia è da far notare che il blocco dei commerci tedeschi con l’estero avrebbe influito negativamente sulla moneta, verso la quale anche gli ebrei tedeschi avevano interesse a mantenerla apprezzata per poterla esportare più lucrosamente. Necessità sentita come impellente nella prospettiva di un emigrazione. Di conseguenza, i sionisti ispirarono forti denunce circa le persecuzioni tedesche nei confronti degli ebrei, mentre allo stesso tempo chiedevano moderazione in modo che il governo nazionalsocialista rimanesse stabile finanziariamente e politicamente. Per i sionisti, sia lo spauracchio delle politiche tedesche verso gli ebrei (per spingerli ad emigrare), sia il rinvigorimento dell’economia tedesca (per accumulare i fondi necessari a raggiungere l’insediamento finale), erano prioritari per il loro movimento. Esasperare la situazione per ----uno scopo preciso------ e lo scopo lo sappiamo tutti. Quello che ha a tutti gli effetti ottenuto. Che è riscontrabile proprio in certi sentimenti, commuoversi (perchè alla fine così è) per una cosa fasulla. Se non ci fosse chi di questa commozione ne ricava un diretto interesse non ci sarebbe nulla da contestare, ognuno è libero di commuoversi per qualunque fandonia voglia. Ma difficile è accettare certe arrampicate sugli specchi con la convinzione di avere ragione e la legittimazione sentita ad insultare e delegittimare impunemente (tipicamente come il bue che dice cornuto all'asino) chi invece constata (non revisiona e nemmeno nega) la verità logica ed obbiettiva nonchè ampiamente provata. A differenza di chi crede a fantasie palesemente inventate di sana pianta. Nella pratica il boicottaggio si rivelò di conseguenza puramente propagandistico.
“Stern era convinto che il popolo ebreo dovesse concentrare i propri sforzi sulla lotta contro gli inglesi, piuttosto che sostenerli nella seconda guerra mondiale; e che i metodi forti fossero un mezzo efficace per ottenere qui risultati. Egli faceva distinzione tra i “nemici del popolo ebreo” (per esempio gli inglesi), e “coloro che odiavano gli ebrei” (per esempio i nazisti), ritenendo che i primi si dovessero sconfiggere, e gli altri neutralizzare. A questo scopo, iniziò a prendere contatti con le autorità naziste proponendo un alleanza con la Germania in cambio del trasferimento in Palestina degli ebrei presenti in Europa e la costituzione di uno Stato ebraico[407]”
il collegamento è il sionismo, che fu fondato prima del nazionalsocialismo. Guarda caso il nazionalismo tedesco fu un movimento fondato in un primo tempo da veri tedeschi (allegri bevitori che si riunivano nelle birrerie) capeggiati dal capo delle SA, un omosessuale che fu fatto giustiziare da Hitler. Invece i capi del nazionalsocialismo erano tutti di incerti natali, forse tutti mezzosangue ebrei raccoltisi per autoproteggersi dagli attacchi antisemiti. Fatto sta che in quegli anni Hitler studiava a fondo il libello “I protocolli dei savi di Sion”, lui che sapeva di essere un mezzoebreo cittadino di uno stato con tendenza antisemita. L’ipotesi di complotto c’è eccome se si pensa che negli anni venti i sionisti si erano comprati mezza Palestina, ma nessun ebreo voleva andarci a vivere e preferivano tutti emigrare in america. La fondazione dello stato d’Israele imponeva dunque una costrizione all’immigrazione ebraica in Palestina. Da quì ci vuole poco a immaginare che gli ebrei reclusi nei campi di concentramento nazisti, più che essere eliminati, avrebbero dovuto essere trasferiti in massa in Palestina a fondare il nuovo stato d’Israele. Però la storia andò diversamente: la Germania non riuscì mai ad occupare la Palestina, in cui gli occupanti inglesi chiusero le porte all’immigrazione di ebrei, e Hitler vide morire di fame il suo popolo che si era affannato a radunare e proteggere dalla guerra nei campi di concentramento. Nel dopoguerra fu diffuso il mito dell’olocausto dalle menti perverse dei sionisti, affinché si avesse un motivazione storica alla fondazione di un popolo israeliano sulle base incerte di una estrema variabilità etnica.
“Un ebreo può mentire e spergiurare per condannare un cristiano. Il nome di Dio non è profanato quando si mente ai cristiani” (Talmud, BabaKama, 113a, 113b)
Questa fu la genesi del
cosiddetto “Accordo di Trasferimento”, cioè l’accordo fra gli ebrei sionisti ed
il governo nazionalsocialista per trasferire gli ebrei tedeschi in Palestina[408].
Lecito è chiedersi con quale autorità la Germania poteva promettere agli ebrei
la Palestina, colonia britannica… Quale senso dare al rifiuto britannico e
americano di accogliere nei loro territori gli ebrei desiderosi di emigrare
dall’Europa[409]? Anche
l’emigrazione in Palestina era proibita, e lo fu perfino dopo la sconfitta
della Germania; i britannici deportavano a Cipro le navi cariche di ebrei
dirette nella “terra promessa”, cosa che comportò un ondata di terrorismo
ebraico culminata il 22 giugno 1946 con la bomba al King David Hotel (91
morti). Nemmeno l’Europa ne rimase immune, dato il ben noto attivarsi di canali
di contrabbando per l’invio di armi in Israele; uno dei principali porti di
imbarco di queste armi era Venezia, cosa che diede non pochi grattacapi alla
questura di quella città. Il governo italiano aveva difatti dovuto accondiscendere
ad un’accordo siglato con certa Ada Sereni. Ma per qualche imprescindibile
ragione, gli ebrei erano ovunque praticamente intoccabili ed ingiudicabili.
Quale altra nazione avrebbe potuto permettersi impunemente di tenere una
condotta come quella tenuta da Israele nel mondo? Si pensi all’omicidio del mediatore nominato dall’Onu conte Folke
Bernadotte il 17 settembre 1948, o il massacro di Deyr Yassin, che non solo non
si cercò di occultare, ma addirittura lo si pubblicizzò per mettere il terrore
nei palestinesi onde farli fuggire via dai loro villaggi. Ingenui sono quelli
che credono che l’assassinio del --------------- dell’Olp a Dubai ripreso dalle
telecamere nel 2009 li abbia “colti con le mani nel sacco”. Hanno agito
appositamente in questo modo, per dare al mondo un preciso segnale “state
attenti, noi facciamo quello che vogliamo, quando vogliamo, e dove vogliamo”.
La storia si ripete, visto come anche Hitler nella sua analisi dei “Protocolli
di Sion” fatta nel “Mein kampf” elogiò le pragmatiche capacità ebraiche nel
saper manipolare i gentili.
L’origine di questa impunità è chiara: siamo noi, tutti noi, a
concedergliela. Ed il perché lo sappiamo tutti, nessuno escluso.
“Conoscere gli altri è
saggezza, conoscere se stessi è illuminatezza; dominare gli altri è forza,
dominare se stessi è superiorità” (Lao Zi)
Samuel Untermeyer, in una dichiarazione alla Radio WABC di new York, una trascrizione del quale fu pubblicato sul The New York Times il 7 Agosto 1933, dichiarò che “la Germania è impegnata in un progetto per sterminare gli ebrei”, con una lungimirante predizione che definir sospetta è davvero poco; soprattutto sapendo che sempre nello stesso anno Edith Stein fece altrettanto, in una lettera al Papa. Come se non bastasse, la cifra dei sei milioni appare incredibilmente già 25 anni prima! Nel 1919 un ex governatore dello stato di New York, Martin Glynn, pubblicò un articolo intitolato, “The Crucifixion of Jews Must Stop!” sul quotidiano ebraico “American Hebrew” di New York, dove egli ripetutamente parla “dell’imminente morte di sei milioni di ebrei in Europa” in quello che egli chiama esplicitamente “olocausto”. Se consideriamo che ciò avviene nello stesso periodo nel quale viene fondato il DAP (5 gennaio 1919) e Adolf Hitler muove i primi passi in politica, e lo accostiamo al fatto che il DAP fu voluto dalla loggia massonica Thulegesellschaf di Rudolf von Sebottendorf, le cui risorse finanziarie offerte al partito sono tuttora di origine sconosciuta, già abbiamo un quadro più concreto.
“Da questo
momento diciamo che l’ebreo è il nemico mortale, a partire da oggi vogliamo
agire!” (Rudolf von
Sebottendorf, gennaio 1918[410])
Von Sebottendorf, tedesco naturalizzato turco, anch’egli dalle origini poco chiare (fu adottato), durante la guerra balcanica del 1912-13 aveva operato come dirigente della “mezzaluna rossa” turca, ed era in tal modo entrato in contatto con l’ambiente sionista fervente nell’allora territorio ottomano; da tale contatto rientrò in Germania nel 1917 con molto denaro di provenienza sconosciuta. La “dichiarazione Balfour” non aveva evidentemente accontentato le richieste sioniste, soprattutto dopo che saltò l’accordo Faysal-Weizmann. Von Sebottendorf scomparve nel nulla il 9 maggio 1945; probabilmente nello stesso modo di Hitler pochi giorni prima. Quale sia questo modo, non è certo così assodato come si può pensare...
Noi non siamo assolutamente contro l’esistenza dello Stato di Israele. Semplicemente pensiamo questo: gli ebrei hanno bisogno di una loro terra, ovviamente. Dato che gli Usa ne sono così infatuati, e possiedono immensi territori sottopopolati, anche più fertili del medio oriente, e dato che nel territorio americano già si ammassano una quantità di ebrei equivalente a tutti quelli abitanti Israele, cosa impedisce di creare un Israele in Texas? Grande anche 2, 3, 4, 10 volte l’Israele mediorientale?!? Senza per questo dover rinunciare ad una presenza simbolica, ma certamente non così asfissiante, in Palestina, se ci tengono proprio tanto. Non ci capacitiamo del motivo per cui non si possa, anzi, non si sia da sempre ricorsi a questa evidente e semplice soluzione! L’unico motivo che vi si possa intravedere è il godimento di qualcuno per l’attuale stato di cose, questo tizzone ardente che da decenni tiene sulle spine il mondo intero. Era proprio necessario, insomma, tutto -----seconda guerra mondiale --------? Parrebbe proprio di si.
“Io odio l’antisemitismo, ma non amo gli ebrei” (Harold Nicolson) Leonard Mosley, “Il tempo a prestito”, Longanesi ed., pag. 189.
----come unire???--------
Si tenga presente che in quegli anni le persecuzioni che avvenivano in Germania non erano niente in confronto a quelle che avvenivano in paesi come la Polonia e la Lituania. Ma contro esse nessuno si scagliò con tanta veemenza. Attesero il 1° settembre 1939…
“I criminali marxisti e comunisti assieme ai loro istigatori ebraico-intellettuali, che hanno portato con se i loro capitali oltre confine al momento giusto, stanno scatenando una campagna di agitazioni sediziosa e senza scrupoli contro il popolo tedesco nel suo insieme. Menzogne e diffamazioni di una perversità da fare accapponare la pelle vengono lanciate contro la Germania. Storie orribili di corpi smembrati di ebrei, occhi strappati dalle orbite e mani amputate stanno circolando col preciso scopo di diffamare il popolo tedesco nel mondo per la seconda volta, proprio come riuscirono a fare nel 1914” (Adolf Hitler, 28 Marzo 1933)
Oramai assodata dovrebbe essere l’evidenza che Hitler non avesse alcuna vera intenzione di fare la guerra alla Gran Bretagna[411]; inspiegabile sarebbe altrimenti la sua contrarietà il giorno in cui i giapponesi occuparono Singapore[412]. Quali erano le uniche condizioni richieste da Hitler per addivenire alla pace con la Gran Bretagna nell’estate del 1940? Lo scrive Goebbels nel suo diario del 25 giugno 1940: “Telefonata del Führer: è travolto dalla felicità. Non sa ancora con certezza se proseguirà contro l’Inghilterra. Crede che l’impero [britannico], se possibile, vada mantenuto. Perché se crolla non lo erediteremo noi, ma le forze straniere, perfino nemiche. Ma se l’Inghilterra non vorrà altrimenti, sarà costretta ad inginocchiarsi. Il Führer sarà tuttavia disposto a parlare di pace solo in base a quanto segue: l’Inghilterra via dall’Europa, riconsegna delle colonie e dei mandati [tedeschi]. Risarcimento per ciò che ci è stato rubato dopo la guerra mondiale. [...] Questa volta l’Inghilterra non può cavarsela con poco[413]”. Di nuovo nel Gennaio 1941 Hitler riprese attivamente il tentativo di arrivare ad un accordo di pace con la gran Bretagna, facendo offerte generose. Egli promise in caso di pace, di ritirarsi da tutto il territorio francese, di lasciare l’Olanda, il Belgio, la Norvegia, e la Danimarca e di sostenere le industrie francesi ed inglesi intrattenendo nuovi rapporti commerciali con esse. Nella sua proposta comprese tutta una serie di punti favorevoli sia nei confronti dell’impero britannico che dell’Europa Occidentale, chiedendo solamente lo “statu quo” in Polonia. Ma i leaders inglesi che “festeggiarono la loro dichiarazione di guerra ridendo, scherzando e bevendo birra”[414] potevano avere forse un qualche interesse alla pace? Quando Churchill partì da Londra per incontrare Roosevelt ad una conferenza in Québec nella tarda estate del 1943, un giornalista chiese se avesse intenzione di offrire condizioni di pace alla Germania. Churchill rispose: “Santo cielo, no! Accetterebbero immediatamente”[415]. Come disse Hitler a Vidkun Quisling il 18 Agosto 1940: “dopo aver fatto una proposta dietro l’altra agli inglesi circa la riorganizzazione dell’Europa, mi trovo ora costretto contro la mia volontà a combattere questa guerra contro l’Inghilterra”.
Come abbiamo visto ripetute e continuate furono le sue proposte di pace
soprattutto nel periodo tra la resa francese e l’avvio dell’“operazione leone
marino[416]”; la quale
difatti fu messa in piedi come farsa, fatto confermato dall’ammiraglio Canaris
al capo del SIM italiano Giacomo Carboni[417]
in seguito alle preoccupanti note che giungevano dalla base italiana a
Bordeaux, che definivano l’operazione come uno “specchio per le allodole”. Il
14 settembre Hitler la annulla del tutto. Il suo vero obiettivo (esortato dagli
stessi britannici, secondo l’opinione di Stalin[418])
era solamente la Russia. Ed ecco che dopo 69 anni troviamo finalmente un
plausibile motivo con cui poter dare un senso all’altrimenti incomprensibile
attacco italiano alla Grecia: il tentativo mussoliniano di contrastare lo
scellerato proposito hitleriano di aggredire l’Urss.
“Se abbiamo perso la guerra è stata colpa dell’Italia. Il suo attacco alla Grecia è stato quanto di più assurdo abbia mai visto. Un tipico gesto alla maniera dei fascisti: tanto fumo e poco arrosto. In questo modo abbiamo ritardato di tre mesi l’attacco all’URSS. Un ritardo decisivo” (Adolf Hitler, “Testamento politico”)
Assodato è che Mussolini disapprovasse fortemente un attacco all’Urss giunti a questo punto, ovvero dopo la cessazione delle ostilità tra essa e la Finlandia filo-italiana. E sicuramente non approvò nemmeno l’invasione della Polonia nel 1939. Il principe Strdza lo conferma: “solo poche ore dallo scoppio delle ostilità fra la Germania e la Polonia, Mussolini, rinnovando i suoi sforzi per la pace, propose a tutte le potenze interessate un’immediata sospensione delle azioni belliche e l’immediata convocazione di una conferenza fra le grandi potenze, alla quale avrebbe partecipato anche la Polonia. Le proposte di Mussolini furono sollecitamente accettate da tutti i governi interessati, tranne che dalla Gran Bretagna”[419].
“Non aprite altri fronti, lo scongiurai, ma lui non volle darmi ascolto” (Mussolini riferendosi ad Hitler riguardo l’attacco all’Urss[420])
Mussolini scrive ad Hitler il 3
gennaio 1940: “è mia convinzione che la creazione di una modesta Polonia
esclusivamente polacca, liberata dagli ebrei, per i quali io approvo pienamente
il vostro progetto di raccoglierli in un grande ghetto di Lublino, non può
costituire mai più un elemento di grande importanza, che toglierebbe ogni
giustificazione alle grandi democrazie per continuare la guerra e liquiderebbe
la ridicola repubblica polacca creata dai franco-inglesi ad Angers. A meno che
voi non siate irrevocabilmente deciso a fare la guerra fino in fondo, io penso
che la creazione di uno stato polacco sotto l’egida tedesca sarebbe un elemento
risolutivo della guerra ed una condizione sufficiente per la pace[421]”.
I primi di dicembre 1940 Mussolini tentò addirittura un approccio di alleanza
con l’Urss, entusiasticamente accolto a Mosca. Il possesso della Grecia sarebbe
stato indispensabile nell’assicurare il collegamento marittimo tra Italia ed
Unione Sovietica attraverso il mar Nero, e territoriale attraverso Jugoslavia,
Bulgaria[422], e
Romania, le quali furono proprio al centro di queste trattative italo-russe,
fortemente avversate dalla Germania che già si dimostrava interessata al
controllo di quelle nazioni balcaniche secondariamente al suo scopo di
conquista del territorio russo. Il 28
ottobre 1940, giorno dell’attacco italiano alla Grecia, si tiene un incontro
tra Mussolini e Hitler, nel corso del quale emerge il problema dei rapporti
dell’Asse con l’Unione Sovietica: Hitler ribadisce la sua diffidenza verso
Mosca, aggravata da due questioni, la Finlandia e soprattutto la Romania, dove,
dice Hitler, sono state inviate truppe tedesche non tanto per proteggere i
pozzi petroliferi dai tentativi di sabotaggio inglesi, bensì per l’incapacità
dell’esercito romeno di poter reagire ad un eventuale attacco sovietico.
Durante il colloquio Hitler esprime inoltre la volontà di “indirizzare il
dinamismo russo verso le Indie”, evitando un’avanzata bolscevica verso il
Bosforo. Mussolini, dovendo fare buon viso a cattivo gioco, annuisce a quella
che è chiaramente un antifona. Ma intanto ha già ordinato l’attacco.
Prima dell’attacco italiano, in Grecia c’era il regime filotedesco del generale Ioannis Metaxas, che dopo l’aggressione sarà soccorso… dai britannici! Il 25 novembre 1940 l’ambasciatore tedesco ad Atene Erbach riferisce a Berlino ciò gli è stato comunicato dal Ministero degli esteri greco, cioè che “solo per la difesa contro l’aggressione italiana è stato richiesto l’aiuto inglese, e lo scopo dell’aiuto si limita solo a questo, che la Grecia non intende immischiarsi nella guerra tra inglesi e tedeschi”. Questo, come molti altri episodi della seconda guerra mondiale, smentisce la vulgata che ci fossero due schieramenti con valori diversi, piuttosto che due formazioni antagoniste con obiettivi analoghi. Ad avvalorare ciò si tenga conto che il generale Antonescu accolse i tedeschi in Romania (fino allora filo-francese[423]) nell’autunno del 1940 in funzione ufficialmente anti-sovietica, ma in quest’ottica non risulta comprensibile il colpo di Stato tentato dalla filo-italiana “guardia di ferro” nel gennaio 1941, represso dal filo-tedesco Antonescu col pieno avvallo di Hitler. Ecco che diamo un senso anche a quel tentato golpe (senso che altrimenti non avrebbe), ed a quello (riuscito) in Jugoslavia (27 marzo 1941); nonché all’amnistia concessa da Re Carol il 21 giugno 1940 alle guardie di ferro ed ai comunisti romeni. E’ solo dopo l’entrata in guerra dell’Italia e la sconfitta della Francia, che l’Urss prende possesso della Bessarabia e della Bucovina (28 giugno 1940) con un sofferto benestare tedesco. Dato che il 30 agosto la Romania, sempre dietro manovre tedesche, dovette cedere parte di Transilvania all’Ungheria, ed il 7 settembre la Dobrugia alla Bulgaria, è comprensibile come il malcelato sentimento anti-tedesco montasse, trovando unico appiglio nell’Italia. E come altrimenti spiegare il fatto che il KKE (partito comunista greco) fosse dichiaratamente anti stalinista? Dato che sia Hitler che Mussolini erano ovviamente pienamente consapevoli di tutto questo, è prevedibile il livello di fiducia reciproca che provassero in quei frangenti, e che sicuramente determinò anche gli eventi successivi.
“Quel tragico buffone si ostina a cercare in Russia una vittoria che sta di casa da tutt’altra parte. Gliel’ho ripetuto almeno dieci volte, ma non vuole capirla” (Benito Mussolini[424])
Difatti il 18 dicembre Hitler emana la “direttiva 21”: la preparazione dell’“operazione Barbarossa”[425]: il rischio di una guerra tra Italia e Germania giunge al culmine, scongiurato solamente, guarda il caso, da una furente offensiva britannica in nordafrica. Il 31 dicembre Molotov è a cena all’ambasciata italiana a Mosca, ma il 15 gennaio Mussolini è costretto a troncare ogni trattativa con l’Urss. Perché? Quale altro senso poter dare all’ammassamento di truppe sovietiche soprattutto ai confini con la Romania, e fin da ben prima dell’attacco tedesco[426]? Un particolare rende ancora più intricato il tutto: la preparazione del corpo di spedizione italiano in Russia (“CSIR”) fu ordinata il mese precedente all’inizio dell’“operazione Barbarossa”; questo contrasta apertamente con quanto è risaputo, ovvero che il governo italiano fu informato dell’operazione tedesca solo il 22 giugno, ad attacco iniziato… l’unica ipotesi che se ne può ricavare è che l’allestimento del CSIR fosse finalizzato a tutt’altro che al sostegno di un attacco tedesco, casomai il contrario. Cosa poi gli fece capovolgere destinazione d’uso? Un’altra vana promessa britannica? Quel che è certo è che Hitler cercò in ogni modo di evitare questa intrusione italiana. Tuttavia ciò non è del tutto inequivocabile, dato che la stessa cosa valse per i contingenti volontari spagnoli e francesi: Hitler ne gradì così poco l’intrusione, che li spedì nel posto peggiore di tutto il fronte, davanti a Leningrado.
Come abbiamo visto, il 12 novembre 1940 il ministro degli esteri
sovietico Molotov si reca in visita a Berlino, dove ha colloqui sia con Hitler
che con Ribbentrop. La prima discussione viene impostata dal ministro tedesco
in termini colloquiali, cosicché fra i due non vi sono motivi di contrasto,
mentre il clima è ben diverso nei diverbi che Molotov ha con Hitler. Il Fuehrer
cerca di rassicurare il proprio interlocutore, soprattutto per quanto riguarda
la penisola balcanica, sottolineando che la Germania non ha interessi politici,
ma solo economici, tuttavia Molotov sbianca in volto quando Hitler prospetta
una possibile azione militare per evitare lo sbarco inglese in Grecia, da dove
potrebbero rappresentare un pericolo per i pozzi petroliferi romeni. Il
ministro sovietico accenna invece alla Finlandia come all’unico punto del patto
tedesco-sovietico che non ha trovato realizzazione; chiede notizie più
particolareggiate su quale sia l’atteggiamento tedesco nei confronti degli
interessi sovietici nei Balcani e nel Mar Nero, sul nuovo ordine europeo e i
confini della sfera della “Grande Asia Orientale”, che si assegna al Giappone.
Un altro punto di discussione riguarda la proposta tedesca di chiudere lo
Stretto dei Dardanelli a tutte le navi da guerra escluso quelle sovietiche: a
questo proposito Molotov si ritrae, dato che il divieto comprenderebbe di
conseguenza anche quelle italiane. Durante l’incontro di commiato fra i due
ministri degli Esteri, Ribbentrop presenta al collega una bozza dell’accordo
tra le potenze del Tripartito e la Russia. Molotov si mostra possibilista, però
si accorge anche della volontà tedesca di escludere l’Unione Sovietica
dall’Europa (parlando delle sfere d’influenza, Ribbentrop ha insistito più
volte che il punto “centrale” delle aspirazioni territoriali sovietiche è verso
sud, in direzione dell’Oceano Indiano) e sottolinea invece che gli interessi
sovietici in Europa orientale riguardano non solo la Bulgaria (con la quale
Mosca vuole stipulare un patto analogo a quello siglato dall’Asse con il
governo di Bucarest, ritenendolo essenziale per la propria sicurezza), ma anche
Romania e Ungheria, inoltre vuole essere informato sull’atteggiamento tedesco
nei confronti della Jugoslavia e della Grecia. L’andamento dei colloqui non
soddisfa il governo tedesco, ed ogni decisione è rimandata a un nuovo incontro
da tenersi a Mosca, in modo da permettere a Molotov di discutere le proposte
tedesche con Stalin. Il 25 novembre 1940 l’ambasciatore tedesco a Mosca
Schulenburg ha un incontro con Molotov e Dekanozov, durante il quale gli
vengono presentate le condizioni sovietiche per l’accettazione del “patto a
quattro” proposto dalla Germania, condizioni che stravolgono le intenzioni
tedesche e che difficilmente verranno accettate. I sovietici chiedono la
conclusione di un patto di mutua assistenza tra Russia e Bulgaria, la
dichiarazione che l’area a sud di Batumi e Baku in direzione del Golfo Persico
è riconosciuta come il centro delle aspirazioni sovietiche e, infine, la
rinuncia da parte giapponese alle concessioni di carbone e petrolio nella parte
settentrionale dell’isola di Sakhalin. E’ interessante notare come l’Oceano
Indiano, che secondo la bozza preparata da Ribbentrop doveva rappresentare il
fulcro delle aspirazioni sovietiche, non viene neanche nominato. E’ assai
improbabile che il governo tedesco accetti le condizioni sovietiche, difatti il
telegramma di Schulenburg non otterrà risposta ed è probabilmente un elemento
determinante per convincere Hitler ad accelerare i preparativi per attaccare
l’Unione Sovietica. Il 5 dicembre 1940 il piano dello Stato Maggiore
dell’esercito tedesco per l’invasione dell’Unione Sovietica viene presentato ad
Hitler e da questi approvato dopo una riunione di quattro ore.
Il 7 maggio 1941 Stalin sostituisce Molotov alla carica di Presidente del Consiglio dei Commissari del Popolo, un cambiamento all’apparenza formale ma estremamente indicativo della volontà del dittatore sovietico di mantenere buone relazioni con la Germania. A Berlino, infatti, Stalin è considerato colui che ha voluto a ogni costo il patto tedesco-sovietico, mentre durante le trattative dell’autunno precedente abbiamo visto come Molotov si sia distinto come principale assertore dell’alleanza italo-sovietica. A chiarire definitivamente le intenzioni di Hitler dovrebbe bastare l’episodio del volo di Rudolf Hess in Inghilterra, e le motivazioni che alternativamente lo renderebbero incomprensibile: proporre un alleanza anglo-tedesca contro l’Urss, in nome di un evidente convergenza di interessi geopolitici (Gran Bretagna potenza marittima, Germania potenza terrestre) entrambi divergenti rispetto a quelli russi. In quel momento ciò implicitamente avrebbe significato il conseguente rovesciamento dell’alleanza tedesca con l’Italia, e per l’Italia l’inevitabile necessità di convergere accanto all’Urss contro gli anglo-tedeschi. La verità è che Churchill spinse Hitler a schierarsi contro l’Urss, e non per far cessare di combattere sul fronte occidentale, cosa che difatti non avvenne benché proprio Churchill ne avesse la possibilità. Un’altra promessa non mantenuta di Churchill? Quale senso dare all’assassinio di Trotsky in questo contesto? E a quello del Duca di Kent nell’agosto 1942? Tutto questo può sembrare fantapolitica alla “Fatherland[427]”, ma probabilmente nella realtà solo per un pelo le cose non sono andate in questo modo.
“L’individuo si trova di fronte ad una cospirazione così enorme che fa fatica ad immaginarsi che solo possa esistere” (Edgar. J Hoover)
Solo in seguito al rifiuto britannico con l’arresto di Hess, le cose andarono come oggi sappiamo; e all’Italia fu scongiurata una posizione che l’avrebbe sicuramente travolta immediatamente, ma come amara conseguenza essa non poté più svincolarsi dalla Germania hitleriana. Si compì così definitivamente la soluzione auspicata dai britannici a quello strascico diplomatico lasciato aperto dalla prima guerra mondiale che era l’alleanza anti-Intesa nata dal “trattato di Rapallo” del 1922 e sempre più rafforzata durante il “periodo di Weimar” tra le due nazioni reiette Germania “debitrice insolvente” e Russia bolscevica. Difatti la vera responsabilità del massacro di Katin[428] fu negata dagli anglo-americani anche per un motivo secondario: essa conferma il fatto che Stalin non si aspettava neanche lontanamente un tradimento tedesco di quell’alleanza che pareva consolidata (altrimenti il massacro sarebbe stato compiuto ben più addentro al territorio sovietico, non a pochi km dal vecchio confine). Stalin si fidava ciecamente di Hitler, quindi; non diede retta nemmeno alle accurate informazioni in merito giunte dal Giappone dalla spia Richard Sorge. Ma come abbiamo appreso fin’ora, la prassi di Hitler esulava da ogni logica. Nonostante la contrarietà di tutto lo “Stato maggiore” del Reich, Hitler diede l’ordine, convinto che di fronte ad una “crociata antibolscevica” la Gran Bretagna si sarebbe accodata agli stati europei. La conseguenza che pochi arrivano a capire è la pericolosa posizione nella quale si sarebbe venuta a trovare l’Italia in un simile contesto. Soltanto la Bulgaria si mantenne neutrale, ed indicativo è che quando l’operazione “Barbarossa” scattò, il partito fascista bulgaro (“Zveno[429]”) si schierò con la resistenza anti-tedesca. In questo contesto, in corrispondenza col momento di maggior attrito tra Italia e Germania, accadde però un qualcosa al quale non viene dato il giusto risalto: dopo l’incontro di Berchtesgaden con Hitler, Mussolini attuò un vero e proprio colpo di Stato, liberandosi di quella opposizione interna, sovvertendo i comandi militari, ed imboccando risolutamente la via della guerra non più “parallela”, ma ormai in stretta unione con la Germania. Questo fu il risultato ottenuto da chi sabotò l’attacco alla Grecia facendo impantanare l’esercito italiano in Albania. Tra il 17 ed il 18 gennaio 1941, i vertici fascisti furono sconvolti: vennero mandati al fronte tutti i membri del gran consiglio, tutti i ministri, e più di 250 gerarchi minori. Furono prese anche altre particolari misure, per esempio a carico dei servizi segreti, sulle quali nessuno storico si è mai soffermato. Solo in seguito a questo frangente venne interrotta la costruzione della linea di difesa chiamata “vallo alpino” (o “vallo littorio”), progettato in funzione antitedesca, la cui costruzione continuò indefessa appunto fino al gennaio 1941[430]! Cosa lo spinse in questo cambio di direzione? Visto che di tale si tratta, checché se ne voglia dire, questa fu la data dell’entrata dell’Italia nella vera guerra. Perché, fino a quel momento tutto era rimasto in bilico, e conferme ce ne sono a bizzeffe, ma tenute ben nascoste da chi vuole che si continui a credere alla guerra di conquista scatenata dal fascismo. Essi badano a tenere ben nascosti fatti che contrastano con questa visione, come quello che fin dal 1935 la flotta russa era stata costruita per la maggior parte da aziende italiane o comunque su progetto italiano, in accordo tra Mussolini e Stalin. E’ il 4 dicembre 1933, che Mussolini riceve ufficialmente a Palazzo Venezia il ministro degli esteri russo Maxim Litvinov: da tre mesi (2 settembre 1933) i due paesi avevano sottoscritto un patto d’amicizia e l’occasione rafforzò ulteriormente le buone relazioni. Così, assieme al contemporaneo avvicinamento italo-germanico, si chiudeva quel triangolo tra le due nazioni reiette avvicinatesi col trattato di Rapallo nel 1922, e la terza reietta, l’Italia della “vittoria mutilata”; dopo 10 anni dal primo tentativo, che fu impedito dall’omicidio di Matteotti; difatti già il 30 novembre 1923 alla camera si discusse il “patto col diavolo”, con l’infuocato discorso di Bombacci che parla di “due rivoluzioni che si incontrano”; Renzo de Felice lo avvalla, rivelando che in quei frangenti giunse da Mosca ad opera del delegato italiano al Comintern Vittorio Ambrosini, una richiesta di alleanza a tre tra Urss, Germania, e Italia[431]. Come già abbiamo visto, l’Italia fu la prima nazione a riconoscere l’Urss, nel 1924.
“Bombacci fu uno dei fautori dell’accordo commerciale con la Russia. Il partito comunista italiano non condivise il punto di vista da lui illustrato nel discorso che tenne alla Camera e lo invitò a rassegnare le dimissioni dal mandato. Non capii perché. Il trattato, in tutto e per tutto favorevole all’Urss, sembrò diventare il terreno di una discussione destinata a non avere più fine. L’avvocato Terracini, capo dei comunisti italiani, era fuori della grazia di Dio per i rapporti di cordialità intercorrenti fra me e l’ambasciatore sovietico. In quei giorni era morto Lenin, il lavoro di burocrazia del Cremino andò a rilento. Alessandro Rykoff, successore di Lenin sul piano delle cariche statali, si era dimostrato amico dell’Italia eppure, per un attimo, le interferenze dei comunisti italiani avevano fatto arenare la firma del trattato italo-russo” (Benito Mussolini[432])
Questo panorama pone svariate e inquietanti domande, la prima delle quali è che, dato che ad interrompere le trattative del 1923-24 fortemente volute da Mussolini intervenne l’omicidio di Matteotti, a chi giovò quell’omicidio?
“Alle origini dell’assassinio di Matteotti vi fu un putrido ambiente dei finanza equivoca, di capitalismo corrotto e corruttore, privo di ogni scrupolo, di torbido affarismo. S’era sparsa la voce che nel suo prossimo discorso alla Camera (sull’esercizio finanziario) Matteotti avrebbe prodotto documenti tali da portare alla rovina certi uomini che erano pervenuti a infiltrarsi profondamente tra le gerarchie fasciste. L’idea di catturare Matteotti per metterlo nell’alternativa o di restituire gli accennati documenti o di perdere la vita, sorse in questo sporco ambiente dove, ogni volta che riprendeva a circolare la voce di una possibile collaborazione fra me e i socialisti, si manifestava immediata una reazione che chiamerei feroce. Il discorso del 7 giugno fece temere che io mi fossi definitivamente orientato nel senso di offrire ad alcuni socialisti la partecipazione al ministero. Da ciò forse il precipitare dei tempi, da ciò la cattura di Matteotti, già da parecchi giorni predisposta, avvenuta nel pomeriggio del 10 giugno” (Benito Mussolini[433])
E’ noto che la rottura tra Bombacci ed il Pci avvenne in questi frangenti, nell’incapacità (o malafede?) dei comunisti italiani di vedere nel progetto mussoliniano l’avvallo sovietico di cui Bombacci era invece consapevole. Così, nonostante Bombacci fosse ancora schedato dalla Sip (oggi comunemente ma erroneamente nota come “Ovra”) come sovversivo, ad esso erano affidati in via non ufficiale i non irrilevanti rapporti tra Italia e Urss.
Del trattato navale italo-russo del 1935 invece non si è mai saputo nulla, né allora né oggi, in sede storica. Nessuno storico navale, indagando sui precedenti del secondo conflitto, ha mai minimamente alluso alle alterazioni nella bilancia marittima che l’entrata in servizio delle nuovissime e potenti unità sovietiche avrebbe comportato se non fosse intervenuta la seconda guerra mondiale ad impedirlo. E nessuno sembra abbia mai avuto la curiosità di chiedersi, e di spiegare, come mai Mussolini, il fiero anticomunista, sia stato di fatto il ricostruttore della potenza navale sovietica, con uno sforzo unitario e prolungato che non trova alcun riscontro negli annali dei rapporti tra potenze moderne. Questo silenzio è totale anche nelle pubblicazioni tecniche ed ufficiali della marina italiana, benché larghe frazioni dello stato maggiore e del comitato progetto navi siano state assorbite per anni in rapporti bilaterali dei quali però non è rimasta alcuna traccia. Egualmente dicasi per il “Diario” di Galeazzo Ciano, che per essere a quel tempo il ministro degli esteri, nonché personalmente interessato alle vicende del cantiere Oto della sua Livorno, dovette ben sapere quanto si stava facendo per la Russia, addirittura durante la guerra di Spagna. Invece, non una parola. L’unica testimonianza ci giunge da Franco Bandini, che con queste parole descrisse questo strano connubio nel suo articolo “L’Uomo nero e la flotta Rossa (fascismo e Urss)” uscito su “Il Sabato” del 15 dicembre 1990. Sul piano tecnico-politico, l’opera di ricostruzione della marina russa intrapresa da Mussolini pone un problema storicamente assai grave, al quale in qualche modo si dovrà dare soluzione. Un’analisi minuta delle nuove costruzioni sovietiche dimostra molto bene quali fossero gli intendimenti perseguiti dall’ammiragliato sovietico dal 1935 in poi. E’ immediatamente possibile concludere che questo schieramento navale non era diretto contro il nemico storico Giappone, ma contro le potenze occidentali. Le grandi unità nell’Artico avrebbero causato seri imbarazzi alla Gran Bretagna. Oltrechè a Svezia e Norvegia, in aggiunta alle unità del Baltico, gli imbarazzi tedeschi sarebbero stati ancora più gravi. Non esiste alcuna documentazione sull’allarme che le nuove costruzioni, ed anzi la nuova politica navale sovietica, sicuramente generarono in tutta l’area nord europea, segnatamente a Londra e Berlino. Ma, mentre può essere avanzata l’ipotesi che l’inquietudine tedesca abbia potuto essere moderata sia per una corretta valutazione delle capacità sovietiche a servirsi bene di questi formidabili strumenti, sia per la certezza che Hitler nutriva di arrivare comunque ad un accordo con Stalin, l’allarme britannico dovette essere invece notevole, poiché una possibile collusione tra le tre dittature sarebbe stata disastrosa a partire dal 1942. In quell’anno, i programmi navali italiani, tedeschi e sovietici sarebbero stati completati, e la già angusta superiorità navale britannica sarebbe divenuta soltanto un ricordo. Non c’è alcun dubbio che queste considerazioni, indubbiamente fatte, accelerarono di molto la “fatalità” del secondo conflitto. E forse è per questo che se ne tace. Per ciò che riguarda il mar Nero e l’Italia l’aiuto prestato da Mussolini alla allora inesistente marina russa in quel mare sembra, di primo acchito, il prodotto di una strategia incomprensibile. Difatti, una potente flotta installata a Sebastopoli avrebbe portato al calor bianco le apprensioni turche, come difatti avvenne: ed avrebbe accentuato la pressione sovietica su tutti gli stati rivieraschi, Romania, Bulgaria, ed indirettamente anche sulla Grecia. Alla lunga sarebbe stato impossibile mantenere in vigore il regime degli Stretti sancito nel 1936, col risultato di veder comparire la flotta russa in Egeo. A prima vista non si trattava dunque, per Mussolini, di una politica sensata, a meno che non si accetti la comune finalità di intenti espressasi nel tentativo italiano di controllare la Grecia. A venirci incontro nel capire questo intrico è la rigorosa neutralità mantenuta fino all’ultimo dalla Turchia: chiaro indizio della sua consapevolezza della fittizietà di quella guerra, ovvero del doppio gioco in atto in tutti gli stati; come potersi schierare con un alleato che si sa essere doppiogiochista nei confronti degli altri suoi alleati? Sarebbe come fare l’informatore per un poliziotto che è in busta paga del mafioso sul quale gli si portano informazioni! E la posizione della Turchia era la più idonea a notare lo strano gioco in atto.
“Non si possiede ciò che non si comprende. Ciò che non si comprende, nemmeno si possiede” (Johann Wolfgang von Goethe)
Così, dopo
l’effimero trattato firmato con Francia e Gran Bretagna il 19 ottobre 1939, la Turchia si mantenne
estranea al conflitto anche dopo l’attacco italiano alla Grecia. Questo
trattato, strettamente difensivo, prevedeva che Londra e Parigi aiutassero il
paese asiatico se esso fosse stato attaccato da una potenza europea;
reciprocamente, la Turchia sarebbe intervenuta se la Francia e la Gran Bretagna
fossero state coinvolte in una guerra nella zona mediterranea, o se si fossero
impegnate in applicazione delle garanzie offerte a Romania e Grecia. La stipula
di questo trattato lascia intendere che l’attacco italiano alla Grecia (poi
attuato un anno dopo, il 28 ottobre 1940) era nell’aria già per il 28 ottobre
1939. Difatti già l’11 ed il 20 settembre Mussolini dovette esplicitamente
garantire alla Grecia la neutralità italiana. La data del 28 ottobre, che fosse
del 1939 o del 1940, era stata scelta come simbolismo, essendo l’anniversario
della marcia su Roma. Con questo si può spiegare perché dopo aver perduto
l’occasione del 1939, Mussolini attese ben un anno intero per ritentare. Quale
ruolo ebbe in ciò l’ambasciatore italiano a Mosca, Augusto Rosso, notoriamente
inviso a Mussolini, oppure al fatto che durante i negoziati con il governo
sovietico lo stesso Mussolini appare in una posizione più defilata, lasciando
il ruolo principale al ministro degli Esteri Ciano?
Attacco a Grecia 1939: non inserito nel contesto di una guerra locale che non era ancora divenuta totale e mondiale, ma come l’invasione dell’Albania di pochi mesi prima, che dell’attacco ala Grecia ha rappresentato solo la base. Ovvero attaccare la Grecia il 28 ottobre 1939 non avrebbe assolutamente comportato di dover dichiarare guerra a Francia e Gran Bretagna in alleanza con la Germania come sarà poi qualche mese dopo.
Da ciò si ricava che anche Mussolini, fino all’obbligato cambio di rotta del 17 gennaio 1941, fosse persuaso che gli sarebbe stato più facile intendersi con i sovietici, piuttosto che con le potenze occidentali, dalle quali, nonostante tutto il primo decennio di governo, non era riuscito ad ottenere nulla di consistente, e per le quali nutriva un sottile disprezzo. Dopo questo passo, per un istante, Mussolini ipotizzò di inviare a Mosca Galeazzo Ciano, evidentemente sulla falsa riga degli accordi Hitler-Stalin dell’anno precedente: poi ci ripensò, o più probabilmente fu costretto a ripensarci. Ma pare evidente che gli antefatti della guerra di Grecia nascano così: in questo contesto taciuto, e che se un giorno sarà chiarito, sotto tutt’altra luce appariranno gli eventi storici italiani. Non solo a difesa di Mussolini, il cui gioco a partire dal gennaio ’41 fu comunque pericoloso in ragione direttamente proporzionale alla debolezza italiana, nonostante fosse un vaso di coccio tra vasi di ferro, situazione che, come abbiamo visto, egli ben conosceva: se avesse scelto di vincere con le democrazie, non avrebbe potuto attendersi da tali “alleati” più di quanto l’Italia aveva ottenuto dopo il 1918, e cioè poco o niente del tutto. Se avesse abbracciato l’altra opzione, in un ipotetico schieramento a tre, avrebbe dovuto comunque successivamente fare i conti con una Russia padrona del Medio Oriente, dei Balcani e del Mediterraneo di Levante. L’unica possibilità di scelta (se mai l’ebbe, si intende) per Mussolini riguardo la guerra fu a chi farla.
“Mentre in tante parti del mondo tuona il cannone, farsi delle illusioni è follia, non prepararsi è delitto. Noi non ci illudiamo e ci prepariamo” (Benito Mussolini)
L’aver riarmato sul mare la Russia sovietica fu forse l’errore decisivo: questa potrebbe essere la non ultima ragione per la quale i britannici talassocratici cominciarono a concepire per Mussolini, ma anche per tutta l’Italia, quell’astio permanente che ci costò così caro. Ai conservatori inglesi, a Churchill, Hitler non andava giù: ma odiavano silenziosamente Stalin, da buoni inventori del “cordone sanitario”. Che qualcuno coltivasse clandestinamente quello che essi ritenevano un virus mortale, di certo non li rallegrò. E con ragione. A chi altri avrebbe potuto giovare l’operazione Barbarossa, se non unicamente ai britannici?
“Si è giocata una partita estremamente pericolosa e sconsiderata, che un qualsiasi discepolo di Clausewitz non avrebbe certamente mai intrapreso” (dalla relazione del generale Grazioli a Mussolini, 15 febbraio 1943[434]).
L’attacco all’Urss fu l’unica impresa “di Mussolini” a trovare compatto benestare anche nelle forze antinazionali della borghesia industriale e finanziaria e nei vertici militari. Il pensiero sorge spontaneo: se in tutti gli altri casi Mussolini avrebbe agito contro la loro volontà, mentre oggi sappiamo che agì col loro sottile beneplacito, nel caso dell’Urss diventa più che plausibile che il “beneplacito” fosse ben più che tale, ma piuttosto una vera spinta. Quindi a chi imputare le “centomila gavette di ghiaccio”, i morti in Russia? Soprattutto considerando che Hitler accettò gli italiani controvoglia, dopo aver inizialmente tentato di rifiutarli.
Con la “relazione Grazioli” il Duce ottiene la scusa per il ritiro totale dell’Armir dalla Russia, in previsione di una pace. La disponibilità di Stalin sarebbe implicitamente confermata anche da un episodio oscuro, il discusso bollettino n. 630 del comando supremo russo, che recitava tra l’altro “soltanto il Corpo d’armata alpino deve ritenersi imbattuto sul suolo di Russia”, che nonostante sia oggi da molte parti ritenuto falso, se fosse vero acquista un senso proprio inserito in questo contesto.
Assai indicativo è anche che Urss e Giappone si guardarono bene dal dichiararsi guerra, ed altrettanto indicativo è il momento della firma di tale trattato: aprile 1941. Anche la Bulgaria non si schierò contro i sovietici, nemmeno dopo il suo “25 luglio” dell’agosto 1943. A completare il parallelismo tra Italia e Bulgaria, il dato che essa seguì l’inversione di rotta italiana, aderendo all’asse il 1° marzo 1941.
Tutto l’insieme raggiunge livelli grotteschi quando si viene a sapere che il 21 giugno 1941 (ossia il giorno prima dell’attacco) Stalin, invitato da tempo, fa sapere a Berlino che accetta l’invito a recarsi nella capitale tedesca[435].
sul 25 luglio come pace con urss l’iniziativa era giapponese e non italiana. Su Tojo ---- enfatizzare che Giappone non in guerra con Urss
In Germania il fronte filo-russo era rappresentato da Reinhard Heydrich; il 29 maggio 1942 egli rimase vittima di un attentato i cui veri autori sono tuttora sconosciuti. Un particolare davvero sospetto visto che nel dopoguerra sarebbero stati sicuramente riconosciuti come dei benemeriti della loro nazione[436] al posto di quelli notoriamente fittizi… Quella che si trattasse in realtà di emissari di Hitler è più che un ipotesi, come fa intuire Eugen Dolmann nel suo libro di memorie “Roma nazista”.
“Le verità vere sono quelle che si possono inventare” (Karl Kraus)
In questo contesto di pressione italo-giapponese su Hitler vanno inseriti molti fattori ai quali finora la storiografia ha dato un interpretazione completamente stravolta, a cominciare dall’assenza di Stalin a Casablanca, per non parlare dello scioglimento del “Comintern” il 10 giugno 1943. Quest’ultimo non avvenne come leggenda narra come atto di apertura verso gli Alleati, ma verso gli stati dell’Asse! Altrimenti non si riesce ad inquadrare la contemporanea sostituzione degli ambasciatori sovietici (di origine ebraica) a Londra e Washington con due non ebrei. In previsione dell’armistizio caldeggiato da tutti fuorché Roosevelt, Churchill, ed Hitler. A questo punto ci possono essere ancora dubbi da chi fosse composta la cricca beneficiaria diretta della devastazione in atto in Europa? In una lettera inviata a Stalin, il 1° Gennaio 1944, Churchill scrisse: “Non abbiamo mai pensato alla pace, nemmeno in quell’anno quando eravamo completamente isolati ed avremmo potuto fare la pace senza troppe conseguenze per l’Impero Britannico e quindi a Vostre spese. Perché dovremmo pensarci ora quando la vittoria si sta avvicinando per noi tre?”[437]. Non c’è da stupirsene se si considera che Churchill auspicava che il suo paese dichiarasse guerra alla Germania fin dal 1936 con la scusa della violazione del trattato di Versailles[438] ed il mancato pagamento dei debiti di guerra (il cui termine rateale, per venire incontro alla Germania, era stato posticipato al 1988 nel 1931).
“Fino ad ora siamo riusciti ad uccidere sei-sette milioni di tedeschi. Può darsi che riusciremo ad ucciderne un altro milione prima della fine della guerra” (Winston Churchill a Yalta, dagli archivi sovietici)
I suoi desideri furono scaricati soprattutto su Dresda[439]. Ma le città che in rapporto agli abitanti furono maggiormente martellate furono Koenigsberg e Zara. Se per Koenigsberg una certa valenza strategica ci può stare, lo stesso non si può dire per Zara, dove è chiaro che l’unico motivo dell’accanimento fu eliminare gli abitanti per lasciare posto agli slavi delle campagne. La pulizia etnica fatta con colpo alla nuca è molto diversa da quella fatta con bombe dagli aerei? Anche se come già detto non ci fu la tanto desiderata “pastoralizzazione”, la sua inapplicazione non bastò a salvare la vita di 9 milioni di tedeschi che dopo l’8 maggio 1945 morirono di fame e di stenti, privati come furono del lavoro, di una casa e pure del cibo[440]. Tre milioni furono i morti, prevalentemente donne, vecchi e bambini (tre volte di quelli che erano stati uccisi dai bombardamenti anglo-americani) nelle popolazioni costrette all’esodo dalle regioni orientali. Un esodo di 16.500.000 tedeschi. La sorte dei soldati tedeschi sopravvissuti alla guerra non fu migliore. In 3.242.000 morirono nei campi di concentramento; due milioni in quelli sovietici, un milione in quelli americani, 242.000 in quelli francesi, jugoslavi, polacchi e cechi. Otto milioni di persone abbandonarono le loro case in Prussia, Pomerania e Slesia per fuggire dall’Armata Rossa e rifugiarsi nei territori occupati dalle truppe anglo-americane[441]. I sovietici lasciarono andare gli ultimi prigionieri (non solo tedeschi) solo dopo la morte di Stalin. La repressione anti-partigiana non ebbe nulla da invidiare a quella tedesca, e la conferma è proprio che la sua efficienza fu ampiamente premiata dalla rinuncia da parte dei “werwolf” a persistere davanti a simili crudeli rappresaglie. Non serve citare i famosi casi di Strasburgo o quelli descritti nel film “Europa” di Lars Von Trier. Come i Werwolf, nel sud Italia le “volpi argentate”, che davanti alla ---- della repressione dovettero rinunciare a -----------.
“La verità è un’affermazione che non ha niente a che vedere con la sua credibilità. E viceversa” (Robert Anson Heinlein)
Il caso di Solomon Morel, comandante del campo di Schwientochlowitz per prigionieri tedeschi dopo il 1945. La storia di Morel e del suo campo di sterminio è narrata nel libro “Occhio per occhio” del giornalista ebreo americano John Sack, il quale ha affermato che scriverlo gli è costato vergogna e dolore [4]. [4] John Sack, Occhio per occhio, Asti, Baldini Castoldi Dalai, 1995.
Durante la seconda guerra mondiale negli Stati Uniti furono internati
70.000 cittadini americani di origine giapponese e 42.000 civili giapponesi
residenti in California, oltre ai prigionieri di guerra. Stessa sorte per
numerosi italiani e tedeschi. Lecito è chiedersi con quale pretesa oggi gli
americani critichino l’analogo comportamento da parte tedesca nei confronti dei
civili di nazionalità ostili.
Spesso viene fatto il paragone tra la differenza di trattamento nei campi di concentramento americani e tedeschi. E’ facile dare quando si ha, più difficile è quando non si ha neanche per se stessi. Ma quando pur possedendo si rifiuta, allora diviene disumanità. Ed è quello che è accaduto dopo che i soldati americani videro le scene che si trovarono davanti nei campi di concentramento tedeschi, di persone che in seguito alla fuga dei guardiani erano rimaste da giorni e giorni prive di qualunque sostegno. Equivocare era giustificabile. Dopo ciò il trattamento nei campi americani cambio radicalmente ed appositamente. Alla luce di ciò sotto un altra luce appare il lavoro forzato a cui furono sottoposti perfino donne e bambini tedeschi per ripulire i campi di concentramento tedeschi. Ma anche dopo che l’equivoco apparve chiaramente come tale, le alte sfere si guardarono bene dal ritrattare ed anzi lo favorirono cominciando da quello che da normale processo (Norimberga) oggi ai nostri occhi appare divenuto una farsa proprio per questo insistente “tirare la corda” per accampare una giustificazione pubblica alla devastazione dell’Europa della quale, come oggi sappiamo, erano in realtà responsabili soprattutto i “giudici” di quel processo.
“La costituzione degli USA, che non consente l’introduzione di leggi retroattive, non è una raccolta di parole soggette a libera interpretazione: è il fondamento della nostra giustizia. E’ cosa disgustosa che a Norimberga si sia venuto meno ai nostri principi costituzionali per punire un avversario sconfitto. Queste conclusioni sono condivise, ritengo, da molti americani di oggi. E furono condivise, sia pure riservatamente, da molti americani del 1946. Un processo tenuto dai vincitori a carico dei vinti non può essere imparziale perché in esso prevale il bisogno di vendetta. E dove c’è vendetta non c’è giustizia. Nei processi di Norimberga noi accettammo la mentalità sovietica che antepone la politica alla giustizia, mentalità che nulla ha in comune con la tradizione anglosassone. Gettammo discredito sull’idea di giustizia, macchiando la nostra costituzione e ci allontanammo da una tradizione che aveva attirato sulla nostra nazione il rispetto di tutto il mondo” (John Fitzgerard Kennedy[442])
In quel momento sembrava che vi fossero decine di campi di sterminio, ma man mano che passava il tempo venivano via via “declassati”, tanto che alla fine restarono “di sterminio” solamente quelli in territorio comunista, dove era impedito poter indagare. Il calo è stato costante, fino ad arrivare agli odierni 5 o 6. Immaginando che questo declassamento prevedibilmente continui, c’è da chiedersi quando si arriverà ad uno, e poi? Quando anche sull’ultimo si ristabilirà la verità? Zero. E quindi? Indipendentemente da ciò, il punto principale è un altro: dato che il fraintendimento è partito dai campi liberati dagli americani, e già oggi è notorio che nessuno di essi è più classificato come “di sterminio”, l’ovvia conseguenza è che già oggi è accertato che delle falsità furono raccontate. Ma a nessuno fa comodo puntualizzarlo. Anzi, dopo la caduta del comunismo, col conseguente pericolo di scomode indagini e di diffusione di “puntualizzazioni”, si è assistito ad un “revival”, con l’indizione di “giornate della memoria”, cambiamento di denominazioni, gite scolastiche dogmaticizzanti, strani furti di insegne, e la fervida produzione di mirati film propagandistici.
“Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte, e diventerà una verità” (Joseph Goebbels)
Di tutti i crimini commessi dagli anglo-americani oggi è espressamente proibito il ricordo commemorativo. In quel triste periodo che seguì la sconfitta, ai tedeschi era proibito perfino celebrare funerali, pena il mitragliamento indiscriminato del corteo come accadde in più occasioni.
Al riguardo sarebbe stata buona cosa che gli storici fossero andati ad intervistare le popolazioni di Marocco, Algeria, e Tunisia, dove dopo lo sbarco americano del novembre 1942 le stragi per rappresaglia a danno degli arabi si sprecarono, come si deduce dalle cronache di molti quotidiani dell’epoca; ed il trattamento subìto persino dai cittadini francesi ad Algeri e soprattutto a Tunisi non fu molto migliore. Ma probabilmente per gli “storici” i nordafricani non valgono quanto i romani delle fosse ardeatine…
Non che giunti in Italia abbiano abbandonato del tutto tale prassi. Ma la sostanziale differenza tra le rappresaglie tedesche al nord e quelle angloamericane al sud è che nel caso delle prime si trattava di attacchi diretti alle truppe o sabotaggi indiscriminati ad attrezzature, nel secondo si trattava di assalti a magazzini alimentari da parte della popolazione affamata. Rileggendo i quotidiani dell’epoca si intuisce come ciò fosse all’ordine del giorno, nemmeno numericamente valutabile, non come le famose rappresaglie tedesche sulle quali la contabilità è minuziosa.
Visto il comportamento oggi degli Usa in Iraq viene difficile credere che 60 anni fa fosse molto diverso. Ma allora non c’era Wikileaks…
Se si andassero a spulciare nicchie purtroppo tutte troppo sparse, si vedrebbe come i crimini di guerra degli americani siano stati molto maggiori e molto più duri di quelli tedeschi (di quelli veri si intende, non di quelli inventati), ma dato che chi vince scrive la storia, sempre esso è a poterla manipolare anche successivamente, anche oggi. C’è da chiedersi se avessero vinto i tedeschi, oggi tutta la gente penserebbe che hanno vinto i cattivi? No, penserebbe che hanno vinto i buoni, ed i cattivi sarebbero gli altri, gli sconfitti. Ogni schieramento uscito vincitore da uno scontro tende a riscrivere la storia in modo adeguato al proprio nuovo status. Durante la prima guerra mondiale la propaganda su presunte atrocità compiute dai tedeschi in Belgio era diffusissima; ma una volta terminata la guerra e liberato il Belgio, si rivelarono del tutto infondate. Consci di ciò, e con la necessità di giustificare l’accanimento messo nella nuova guerra, nonché per poter ridimensionare i propri crimini, i vincitori si premunirono per evitare che una volta “liberato il Belgio” stavolta si potesse indagare sull’effettiva fondatezza delle presunte atrocità fin lì propagandate. Guarda caso, immancabilmente il buono corrisponde al vincitore, il cattivo allo sconfitto… In particolare vi è una data precisa nella quale i servizi segreti americani ufficializzarono il segreto su molti documenti esistenti riguardanti l’operato statunitense, il 7 novembre 1945. Se non si ha nulla da nascondere, perché si nasconde? Quante “My Lai” saranno state secretate? Non è importante, dato che quelle già note bastano ed avanzano, per chi ne è a conoscenza, a dimostrare che a vincere quella guerra non sono stati i buoni. Purtroppo i libri che ne parlano, rimangono spesso nel cassetto della storia, come l’accurato “Uccidi gli italiani” di Andrea Augello, incentrato sul bieco comportamento tenuto dagli invasori in Sicilia nell’estate del 1943. Caso emblematico è il noto evento “liberatorio” consumato dagli americani a Biscari, quando una settantina di prigionieri italiani vennero massacrati e finiti con un colpo alla nuca. Augello commenta: “La strage dei prigionieri italiani è solo l’estrema conseguenza di una catena di violenze che non risparmia le donne e che vede nell’annientamento dei prigionieri la spietata vendetta per le perdite subite”. E riguardo all’accenno alle donne, come non andare col pensiero agli stupri in Ciociaria?
“Una morte è una tragedia, un milione di morti è statistica” (Giuseppe Stalin)
Un fatto è certo: gli americani sono gli unici che sono riusciti ad uccidere 100.000 persone in un colpo solo. E per ben due volte, a Hiroshima e Nagasaki. Perché allora il presidente americano ha agito e agito con una fretta così ingiustificabile? Lo spiega, lo stesso Liddel Hart: «Con la bomba gli Usa non avrebbero più avuto bisogno dei russi, la fine della guerra giapponese non dipendeva più dall’immissione delle loro armate, la richiesta dell’Urss di partecipare all’occupazione del Giappone poteva essere respinta». Chiaro. Le vittime sono giapponesi, il destinatario è Stalin. Non erano bastati i 4.000.000 di morti giapponesi a cui si era arrivati fino a quel momento? Il gran finale di una guerra combattuta soprattutto contro i civili, non importa come. Non fa differenza essere uccisi da una bomba piovuta dal cielo o da un colpo alla nuca. L’unica differenza è dal punto di vista dell’assassino che, nel primo caso non si considera tale. Ciò non significa che non lo sia. La scuola di Gorla il 20 ottobre 1944 non è crollata per un terremoto; anche se, visto l’andazzo, non stupirebbe se questa fosse oggi la versione ufficiale.
“Ogni uomo cerca
la verità, ma solo Dio sa chi l’ha trovata” (Philip Chesterfield)
Non esiste alcun addebito verso aviatori tedeschi o italiani di quello invece diffusissimo come tipica pratica americana di sparare senza alcun motivo su contadini nei campi, carretti, biciclette, automobili, qualunque cosa si muovesse. A Venezia la motonave di linea “Giudecca” fu affondata per puro divertimento da aerei di ritorno da un’altra missione. Almeno 70 morti, senza alcun motivo evidente. Chiarificatore è invece il fatto (che, chissà perché, non viene mai troppo sottolineato) che gli aviatori americani abbattuti e paracadutatisi sulla Germania speravano di essere arrestati al più presto dalla Gestapo, visto che sapevano che altrimenti sarebbero stati linciati dai civili, come era comprensibilmente norma. Si pensi che dopo l’invasione americana del sud Italia i tedeschi fecero due soli bombardamenti sull’Italia “liberata”: sui porti di Napoli e di Bari; arrecarono gravissimi danni alle navi americane, ma nessun danno alle città. Come paragonarlo con gli angloamericani che bombardavano perfino Parigi, Amsterdam e Bruxelles? La conferma della guerra prettamente contro i civili da parte degli angloamericani ci viene da una nota di un libro dal quale non ci si aspetterebbe una così ignota notizia. Alla pagina 11 del libro “Il padrone dei padroni” (biografia di Enrico Cuccia) scritto da Giancarlo Galli si legge: “nonostante la diffusa opinione che vorrebbe l’Italia prostrata dagli eventi bellici […] il conflitto non ha in realtà inferto danni di particolare gravità alla struttura produttiva del paese. Le lesioni maggiori le hanno subite le abitazioni civili (6 milioni di vani distrutti o danneggiati)”. Come può essere giustificato il bombardamento dell’abbazia di Montecassino, dopo che i tedeschi l’avevano sgomberata proprio per salvare quel pregiato edificio dall’annunciata distruzione? Il paradossale del bombardamento di Montecassino è che, se prima i tedeschi ne avevano avuto rispetto e non vi avevano mai ---------, dopo la distruzione non c’era più alcuna remora da dover rispettare e quindi si installarono coi cannoni sulle rovine, diventate solo da quel momento una superba postazione difensiva. Tanto che per gli americani l’unico modo per arrivare a Roma fu tramite Anzio. Alla luce di questo, c’è da chiedersi: gli americani avrebbero salvato ponte Vecchio, come hanno fatto i tedeschi? Arduo contarci.
“La verità è simile a Dio: non si rivela direttamente; dobbiamo indovinarla dalle sue manifestazioni” (Johann Wolfgang von Goethe)
Ma il tutto raggiunge dimensioni paradossali verificando che tali azioni puramente terroristiche si accentuarono dopo la caduta del fascismo!
“Quasicché gli anglo-americani temessero che un’Italia che si era scrollata di dosso il fascismo fosse nemica più di prima, eccoli scatenare un’offensiva aerea che superò per terribilità, per danni, per violenza ogni altra precedente” (Paolo Monelli, “Roma 1943”)
Ed oltretutto risparmiando accuratamente quelli che a rigor di logica avrebbero dovuto essere gli obiettivi strategici in previsione dello sbarco sul continente. Tra il 25 luglio e l’8 settembre 1943 non una bomba colpì la flotta e gli arsenali di La Spezia e Taranto!
“Mi sono domandato tante volte come mai l’aviazione avversa ci risparmiasse” (Ammiraglio Garofano[443])
L’otto settembre tutto fu chiaro.
“Ora gli angloamericani risparmiavano la flotta, sicuri che si sarebbe mossa soltanto per consegnarsi a loro” (Piero Buscaroli[444])
Ma dato che erano così sicuri, perché insistere nel bombardare le città italiane? Per il semplice fatto che la sicurezza stava negli ammiragli, che già avevano concordato la svendita (con relativo prezzo) di ciascuna nave affidatagli. Ma nella resa del governo italiano non c’era ancora nessuna sicurezza.
Ma nemmeno la resa pose fine alla distruzione. Il risultato non fu il “salvare il salvabile”, ma travolse quanto ancora poteva salvarsi.
“Non so darmi pace di nulla, di come entrammo in quella guerra, di come la combattemmo, di come ne uscimmo, o credemmo di uscirne” (Ammiraglio Gino Birindelli[445])
Oggi si può constatare che fu il rifiuto di Hitler di accogliere Molotov a Feltre[446] a mettere la pietra tombale sulla ancora possibile salvezza dell’Europa.
Dopo il fallimento dell’incontro di Feltre (durato 4 ore invece dei 4 giorni previsti) l’unica possibilità rimasta per evitare la catastrofe era quella che da mesi (se non anni) veniva supplicata da tutte le persone dotate di buon senso di tutti i paesi dell’Asse (Germania compresa): un colpo di mano di Mussolini contro Hitler, anche se fosse stato necessario l’uso della forza.
“Il tedesco è quello che è, per cui marcerà fino in fondo. Ma tutti sono fortemente preoccupati. Parlando privatamente, ognuno vi dice che Hitler è un pazzo e che porterà il Reich verso un apocalittico bagno di sangue. Tutti coloro con cui ho parlato, mi hanno scongiurato di far conoscere a Mussolini come stanno realmente le cose. Il prestigio del Duce in Germania è immenso e si ritiene che soltanto lui possa affrontare ed influenzare quel pericoloso fanatico di Hitler. Ritengo che Mussolini dovrebbe puntare i piedi, ed indirizzare lui la politica dell’Asse” (Heinz Heymann, agente dell’Abwehr in Italia, a Tullio Cianetti, da “Memorie dal carcere di Verona”, Tullio Cianetti, Milano 1983)
Secondo il diario di Dolmann, nonostante l’involontaria defezione di Molotov, lo svolgimento del convegno di Feltre sarebbe stato programmato ugualmente finalizzato proprio a questo[447]. Ma Hitler, subodorato qualcosa, se ne partì di tutta fretta, per andare a preparare la vendetta verso Mussolini. Ad impedire una seconda occasione intervenne il colpo di Stato del 25 luglio, e la guerra continuò, come specificato dal nuovo presidente del Consiglio Badoglio. E chi il 25 luglio, dopo la seduta del Gran Consiglio e prima di recarsi dal Re, Mussolini chiamò in udienza urgente a palazzo Venezia? L’ambasciatore giapponese. Comunicandogli di riferire al suo governo che il giorno 28 (giorno nel quale sarebbe stato presente a Roma Hermann Göering, il designato nuovo Fuhrer), Mussolini avrebbe imposto ad Hitler con le buone o le cattive l’armistizio con l’Unione Sovietica, forse l’“ultimo treno” per avere la disponibilità di Stalin e salvare il salvabile. Prova di ciò ne è anche l’insolito fervore in preda al panico della sbigottita diplomazia britannica a Mosca ed a Stoccolma in quei frangenti. Ma il momento di massimo attrito tra gli Alleati si ebbe dopo la conferenza di Casablanca. Per esaudire le richieste di Stalin, Churchill premette per un insensato sbarco in Italia (dopo aver abbandonato l’ancor più assurdo proposito di sbarco in Grecia e Bulgaria, chiaramente finalizzato non ad andare in aiuto dei russi, ma bensì di tagliargli la strada), criticato come inutile dai più alti gradi americani e per questo poi bollato come “guerra inutile” data l’evidente impossibilità di raggiungere l’obiettivo principale (la Germania) attraverso la penisola e le Alpi. Lo stesso Marshall affermò: “perché occupare l’Italia? Non è un area d’importanza vitale[448]”. Difatti la pianura padana sarà occupata solo simultaneamente alla Germania, nel 1945, rendendo palese l’inutilità strategica dell’assurda “campagna d’Italia”[449]. Che, tra l’altro, secondo alcuni[450], aveva come fine principale il recupero dagli archivi italiani di quei documenti che avrebbero gettato comprensibili ombre sul “fulgore” dei vincitori.
“Al momento ritengo di grande importanza portare in salvo questi incartamenti, in primo luogo lo scambio di lettere e gli accordi con Churchill. Questi saranno i testimoni della malafede inglese. Questi documenti valgono più di una guerra vinta, perché spiegheranno al mondo le vere, le sole ragioni del nostro intervento a fianco della Germania” (Benito Mussolini al generale Rodolfo Graziani, 10 settembre 1944[451])
Inoltre Churchill pregustava di trasformare la Sicilia in un feudo britannico, sostenuto in questo dalla massoneria ---- Arrigo Petacco, “La nostra guerra 1940-1945”, Mondadori, pag. 128; fu da quest’------- che saltò fuori il massone Finocchiaro Aprile e la questione dell’indipendentismo siciliano. Ma poi subentrarono gli americani, sempre avversi al colonialismo, e ------. Ecco il motivo per il quale l’avanzata in Sicilia fu caratterizzata da un’estrema rivalità tra gli americani di Patton e i britannici di Montgomery, basata su chi sarebbe giunto per primo a Messina; come sappiamo vinse Patton.
Durante l’attacco alla Sicilia, la flotta italiana se ne stette al sicuro a La Spezia, con la scusa della mancanza di carburante. Ma l’8 settembre per raggiungere Malta e consegnarsi al nemico il carburante ricomparirà magicamente.
Comandante Augusta: Priamo Leonardi
Comandante Pantelleria: Gino Pavesi
Se non bastasse tutto quanto qui letto, quale interpretazione dare alla mancata presa di Malta e Gibilterra?
“L’ho sempre pensato! Sempre, sempre, sempre! Ma non mi hanno dato ascolto!” (Hermann Göering chiaramente riferendosi ad Hitler sulla domanda sopra esposta, da David Irving, “Göering il maresciallo del Reich”, Milano 1989)
Eppure tutti sapevano che un modo esisteva per sconfiggere la Russia, uno solo. Esso era stato pianificato dall’ammiraglio Raeder: la conquista dell’Egitto, a cui sarebbe facilmente seguito il ricongiungimento lungo il mar Rosso con l’Africa orientale italiana che avrebbe coperto le spalle ed assicurato il collegamento marittimo con il Giappone e con i paesi anti-britannici del golfo persico. A quel punto la Palestina non avrebbe potuto resistere da sola, ed Aden e Cipro assediate non avrebbero più rappresentato un pericolo; l’esercito egiziano (che mai collaborò con i britannici contro gli italiani) si sarebbe finalmente potuto schierare contro gli odiati occupanti britannici; Iraq ed Iran, anch’essi ferocemente anti-antibritannici[452], avrebbero rappresentato una cintura attorno alle repubbliche sovietiche abitate da islamici anti-comunisti[453], e l’Urss sarebbe stata spacciata in un attacco da tutti questi fronti. Idem per l’India britannica, dove grazie al prevedibile appoggio degli indipendentisti indiani di Gandhi[454] e Bose[455] il congiungimento ivi tra le forze giapponesi ed italo-tedesche sarebbe stato questione di tempo. Di fronte a ciò gli Usa non si sarebbero più nemmeno azzardati a volersi immischiare. O meglio: forse si sarebbero immischiati, ma dalla parte opposta; e la Storia sarebbe stata scritta da altri vincitori. Ma i risultati sarebbero stati i medesimi, in quanto lo scopo che ha determinato la seconda guerra mondiale era l’eliminazione degli imperi coloniali. E sarebbe stato raggiunto in ogni caso, visto che chi l’avrebbe determinato, gli Usa, si sarebbe schierato con quella che ad un certo momento gli sarebbe parsa la “squadra vincente”[456].
«Quando comincia una guerra la prima vittima è sempre la verità. Quando la guerra finisce le bugie dei vinti sono smascherate, quelle dei vincitori diventano storia» (Arrigo Petacco, “La nostra guerra 1940-1945”)
Il punto di partenza imprescindibile per realizzare il “piano Raeder” era l’eliminazione di Malta e Gibilterra dalle mani britanniche. Se Hitler non avesse inopportunamente dissipato le sue forze dove assurdo farlo, non sarebbe stato necessario usare neanche l’1% di quelle armate che si sono invece spinte per migliaia di chilometri dentro il territorio russo per poi rimanere impantanate nella neve.
Ma Hitler voleva sconfiggere la Gran Bretagna? No, come dichiarò apertamente in più occasioni[457].
Così per tre anni ci si è limitati a dei miseri bombardamenti ed a qualche sporadica puntata coi “maiali”, come palliativo, tanto per non palesare la realtà delle cose. E l’“Afrikakorps”, aveva veramente lo scopo di aiutare gli italiani, oppure piuttosto di controllarli? Il fatto che Rommel successivamente prese parte alla congiura contro Hitler dovrebbe essere chiarificatore in proposito della sua presa di coscienza. I britannici, consci del pericolo schiacciarono nel sangue i ribelli irakeni, iraniani, ed indiani; sforzo inutile dato che come detto, Hitler non aveva alcuna intenzione di combattere i britannici.
“Le potenze anglosassoni, che oggi fanno la guerra all’Europa, hanno condotto dal 1919 in poi una vera e propria politica d’aggressione economica, attraverso progressivi inasprimenti del protezionismo, la chiusura all’emigrazione, l’attuazione di barriere doganali e di sistemi di protezione imperiali. Ne è risultato, come conseguenza inevitabile, la distruzione del commercio internazionale e uno stato di non cooperazione e di anarchia che ha portato il mondo intero al limite del collasso economico (…) iniquità e diseguaglianza nelle quali Mussolini aveva fin d’allora individuato e denunciato il fatale germe dell’attuale conflitto (…) i paesi dell’Asse hanno accettato la lotta non con la pretesa o la stolta ambizione di imporre determinati ordinamenti politici a gente di ogni razza, ma per un ideale di giustizia che superi, in un aspirazione comune alla libertà, ogni tendenza all’egoismo e alla sopraffazione. Un ideale di giustizia che dia a tutti i popoli, nessuno escluso, il diritto alla primaria libertà, vista come reale possibilità di lavorare e di vivere in pace” (dal preambolo alla bozza della “Carta dei Diritti dei Popoli Europei”, documento redatto da Giuseppe Bastianini nella primavera del 1943, e che avrebbe dovuto rappresentare l’equivalente europeo dell’anglosassone “Carta Atlantica”, da presentare in un auspicata “Conferenza generale dei popoli dell’Asse”[458])
Nel 1940, poco dopo essere stato nominato primo ministro, Winston Churchill disse chiaramente, in due discorsi spesso citati, le sue ragioni per continuare la guerra contro la Germania. Nel suo famoso discorso denominato “Sangue, sudore e lacrime”, il leader inglese disse che se la Germania non fosse stata sconfitta non vi sarebbe stata “sopravvivenza per l’Impero inglese, né per tutto quello che l’Impero inglese aveva rappresentato”. Ciò suona come beffardo alla luce di ciò che abbiamo letto finora (Hitler voleva salvaguardare l’impero inglese), verificando il fatto che invece è stata proprio la “vittoria” in quella guerra a disgregare l’impero! E come beffa nella beffa, la Polonia la cui invasione aveva avviato la guerra, fu lasciata comunque occupata interamente da uno dei due invasori! A conferma di come tale “altruistica” origine fu solo pretestuosa.
“Io preferisco la verità dannosa all’errore utile. Una verità dannosa è utile, perché può essere dannosa solo a momenti e poi conduce ad altre verità, che devono diventare più utili, sempre più utili. Viceversa un errore utile è dannoso, poiché può essere utile solo per un momento e induce in altri errori, che diventano sempre più dannosi” (Johann Wolfgang von Goethe)
La situazione successiva alla seconda guerra mondiale è così l’esatto contrario di quanto accadde dopo la prima guerra mondiale, quando il revisionismo trionfò nel dibattito storico meno di dieci anni dopo l’Armistizio dell’11 Novembre 1918. Persino alcuni tra i più importanti leader del revisionismo successivo alla prima guerra mondiale, come Sidney B. Fay e William L. Langer, abiurarono il loro revisionismo, soccombettero al blackout storico e fornirono un sostegno appassionato alla finzione del drago da uccidere. Solo un anno e mezzo dopo l’Armistizio del 1918, Fay aveva distrutto per sempre il mito della colpevolezza esclusiva del gorilla Hohenzollern, come il Kaiser era stato dipinto durante il conflitto. Nel giro di dieci anni dopo la fine della guerra era nata una vera e propria biblioteca di libri revisionisti sulle responsabilità della calamità del 1914.
E’ grazie a loro se oggi più nessuno incolpa Germania e Austria dello scoppio della prima guerra mondiale. Quando toccherà il ristabilimento della verità anche sulla seconda?
Non vi fu, dopo il V-J Day del 1945, un’analoga fase di conciliazione, o di fuga dalle emozioni belliche. Insieme al proseguimento della propaganda bellica mascherata da storiografia, vi fu un impegno forte per impedire a coloro che avevano davvero a cuore la verità storica di esporre i fatti e le proprie idee all’opinione pubblica americana. Questo disegno è diventato noto con il nome di “Historical Blackout”. Esso manifestò lo sforzo globale, a partire dallo scoppio della seconda guerra mondiale, di sopprimere la verità sulle cause e i motivi del grande conflitto, che iniziò nel 1939, e sul modo in cui gli Stati Uniti vi erano entrati. Si trattava di ignorare od occultare i fatti che contrastavano con la propaganda bellica, quando c’era da scrivere libri su questi argomenti, e di reprimere, ignorare o screditare quei libri che avevano tenuto conto di tali fatti.
Nonostante il fatto che il materiale documentario a sostegno del revisionismo sia più abbondante, cogente e convincente di quello prodotto dopo il 1918, a tutt’oggi non è stato pubblicato negli Stati Uniti, dagli studiosi americani, neanche un solo volume dedicato espressamente alle cause della seconda guerra mondiale: parliamo di qualcosa come ventitre anni dopo lo scoppio della guerra e diciassette dopo la sua conclusione.
“Questa è una storia senza eroi, e forse anche senza alcun malvagio…La guerra del 1939, lungi dall’essere desiderata, fu forse la meno voluta rispetto a ogni altra guerra della storia…La guerra del 1939, lungi dall’essere premeditata, fu un errore, il risultato dei madornali errori diplomatici di entrambe le parti…Tali furono le origini della seconda guerra mondiale, o piuttosto della guerra tra le tre Potenze Occidentali sull’accordo di Versailles; una guerra che era stata implicita sin dal momento in cui finì la prima guerra” (A. J. P. Taylor) -----spostare?------
Se sulle cause della seconda guerra mondiale vige una versione ufficiale, diverso discorso è per la crisi economica degli anni ’30. Nonostante la palese evidenza delle cause, tutt’oggi nei libri di storia e perfino di economia si trovano ancora discordanti pareri e analisi che cercano ancora di trovarne le cause.
“Si può arrivare ad ingannare
tutti per un pò di tempo, o alcuni per sempre, ma non tutti per sempre”
(Abramo Lincoln)
Ma questo perché avviene? Le vere cause tendono a venire nascoste storicamente, in quanto implicitamente addossano la responsabilità della seconda guerra mondiale a tutt’altri che quelli che la versione ufficiale addita… In alcune analisi si legge che il motivo per cui la seconda guerra mondiale pose fine alla depressione in Usa siano state le spese militari, ovvero l’aumento di spesa pubblica avrebbe “stimolato” la produzione. Non serve ricorrere al “racconto della finestra rotta”: anche all’individuo più scriteriato parrebbe assurdo un assioma “più spesa uguale più ricchezza”, ceteris paribus. Evidentemente in quel caso (a buon intenditor…) il “ceteris paribus” mancava.
“I pacifisti che rifiutano di indagare le cause
economiche della guerra fanno causa comune con i venditori d’armi” (Ezra
Pound)
Ad uno “shock della domanda” positivo deve corrispondere un aumento della produzione aggregata, e le risorse non si materializzano dal nulla; l’equilibrio macroeconomico non può essere raggiunto in assenza di variazione anche dell’offerta aggregata (anche internazionale); l’aumento di domanda in assenza di altre condizioni provoca solo l’aumento del livello dei prezzi. Quindi la fine della crisi fu dovuta semplicemente all’eliminazione dei motivi che l’avevano provocata: la politica autarchica di oligopolio coloniale di Francia e Gran Bretagna, che era causa di “perdite secche” che incidevano sull’equilibrio domanda/offerta dei prezzi internazionali spostando il punto di intersezione delle due curve su aree di inefficienza (ovvero come minimo limitando od annullando i surplus del consumatore e del produttore). E non alla “diminuzione della domanda”, che era solo un banale effetto di questo inpasse. Conferma di ciò ne è la deflazione che caratterizzò quel tipo di crisi. Come può diminuire la domanda quando c’è offerta? Ceteris paribus, solo se aumentano i prezzi! Ed i prezzi aumentano quando la domanda aumenta, non quando diminuisce! Se tale equilibrio si inceppa è solo per eventuali costi aggiunti artificialmente. Ed è quello che accadde.
Le esperienze rivelarono che questa autocorrezione ha effetto solo sul breve periodo in quanto dopo essa il ciclo economico ricomincia da capo ed il problema si ripete (1873-95, 1907-14, 1929-40). Anche nel caso di quella presentatasi all’orizzonte nel 1914, ciò che aveva temporaneamente evitato la crisi aveva peggiorato il corso di quella successiva: la scomparsa dell’Impero Tedesco nel 1918 aveva accentrato ulteriormente l’oligopolio coloniale, e con la scomparsa di quel potenziale concorrente che avrebbe potuto rappresentare un fattore di attenuazione dei prezzi internazionali, si ottenne una maggiore chiusura dei mercati mondiali, a vantaggio delle sole Francia e Gran Bretagna. Ma quando il mercato mondiale arrivò alla saturazione, in assenza di regolazione dei dazi sui valori delle leggi di mercato, ecco la crisi del ’29. Ma come abbiamo già visto, questa politica egoistica alla lunga danneggia indirettamente tutti. Nel 1940 con l’invasione tedesca, le colonie di Belgio, Olanda, Danimarca, e parte di quelle francesi, vennero nella disponibilità diretta prima britannica (che se ne accentrò il monopolio, come 140 anni prima con le guerre napoleoniche) e poi americana. Ecco quale “ceteris paribus” mancava dal 1940 in avanti…
“Noi siamo i giganti del mondo economico e, la cosa piaccia o non piaccia, da noi dipenderanno le relazioni economiche dell’avvenire” (Harry Truman, 6 marzo 1947[459])
Gli aiuti americani
all’Inghilterra furono subordinati alla firma di un contratto che faceva
promettere agli inglesi lo smantellamento, al termine della guerra, del sistema
protezionista di tariffe che non proibiva del tutto, ma limitava seriamente le
esportazioni americane verso la Gran Bretagna e le sue colonie[460].
Lo scenario più vantaggioso per gli americani era che la guerra fra Inghilterra
e Germania non si concludesse subito ma durasse a lungo, in modo da poter
continuare ad inviare rifornimenti alla Gran Bretagna. Per quanto riguarda la
Francia questa necessità di accordo nemmeno esisteva, dato che era già dovuta
venire a patti simili con la Germania, che sarebbero valsi anche quando gli Usa
ne avrebbero preso il posto “liberando” la Francia. Quando il 22 giugno 1941
scattò l’operazione Barbarossa, cioè l’attacco tedesco all’Unione Sovietica,
l’élite americana si augurò che la guerra sul fronte orientale si protraesse
nel tempo, così da logorare entrambi i contendenti. Grazie alla guerra
dilagante in Europa, agli Stati Uniti era data la possibilità di uscire dalla
grande depressione che durava ormai da dieci anni, poiché i mercati della Gran
Bretagna, delle colonie, e dell’Urss si aprivano ai prodotti industriali
americani. Solo quando fu chiaro che
buona parte dei paesi orientali del vecchio continente sarebbero stati invasi
dai sovietici, gli angloamericani si convinsero della necessità di aprire il
secondo fronte per arrivare il più presto possibile, e possibilmente prima dei
russi, in Germania, visto anche il fallimento della “via mediterranea”
intrapresa con lo sbarco in Sicilia del giugno 1943, che arrancava con fatica
nel risalire la penisola italiana.
Soluzioni intermedie e raffazzonate per risolvere la crisi economica erano state poste in essere durante gli anni trenta, gli USA diedero l’esempio con la progressiva riduzione dei loro dazi (che, notare, avevano raggiunto l’apice proprio in quegli anni con la “legge Smoot-Hawley”), e concedendo l’indipendenza o l’autonomia alle loro colonie (vari staterelli “delle banane” centroamericani e caraibici), la Gran Bretagna fece lo stesso col Trattato di Westminster, ma furono tutte soluzioni effimere tanto quanto l’intervento statale (“new deal” ad esempio), se non altro perché molto ondivaghe e contrastate (vi erano forti pressioni politiche interne per aumentare ancor di più i dazi, anziché diminuirli come sarebbe stato necessario). Prima del 1929 il mantenimento dei tassi di cambio fissi, da poco ristabiliti nella maggioranza dei paesi, era considerato una priorità assoluta della politica monetaria. La maggioranza degli economisti e, soprattutto, degli investitori stranieri sosteneva una politica di pareggio del bilancio statale, riducendo i margini di manovra della politica fiscale. Questo fu un fattore che certamente indusse Keynes in errore. Il “new deal” stesso non aveva una base filosofica solida: come può l’aumento di spesa aumentare la ricchezza? I sostenitori del “new deal” sostengono che di fronte a risorse largamente inutilizzate (perché invendibili a causa dei prezzi artificiali) può avere complessivamente senso far costruire piramidi totalmente inutili al solo scopo di stimolare l’economia, aumentare la domanda complessiva e incoraggiare l’occupazione. Ma quella di Keynes è una visione fuorviata dalla pressione demagogica, ed il concetto stesso, “stimolare l’economia”, è in sé assurdo: allora tanto varrebbe pagare ugualmente gli operai ed i fornitori di materiale, ma senza sprecare risorse per costruire materialmente la piramide! Non potrebbe in ogni caso che rivelarsi una forzata redistribuzione interna “con perdita”, ancor maggiore se la piramide viene davvero materialmente costruita. Si veda anche l’esempio del pane e del faraone sulle somme disponibili alla spesa pubblica.
Secondo l’economista Giuseppe Garofalo, se la base contabile è comune alle diverse scuole di pensiero economico, differenze si notano riguardo al modo in cui viene identificato tra due o più variabili macroeconomiche. In particolare gli autori neoclassici pongono il risparmio (offerta di risorse finanziarie) in relazione diretta con il tasso d’interesse, e gli investimenti (domanda di risorse finanziarie) in relazione inversa sempre con il tasso d’interesse, cosicché quest’ultima grandezza risulta determinata dalle condizioni esistenti sul mercato delle risorse finanziarie, a prescindere dalla parte monetaria del modello. Si consideri che per i neoclassici valgono, rispettivamente, la legge di Say e la teoria quantitativa della moneta. Al contrario per gli autori keynesiani il risparmio è in relazione diretta con il reddito, mentre gli investimenti hanno sì un legame inverso con il tasso d’interesse, ma dipendono anche dall’efficienza marginale del capitale. Per gli austriaci la domanda di beni capitali varia in maniera inversa a quella dei beni di consumo, cioè l’investimento ha bisogno di risparmio, come rinuncia al consumo immediato. Per i keynesiani la domanda varia nella stessa direzione: i consumi aumentano insieme agli investimenti. Per gli austriaci i costi di produzione sono soggettivi, non sono dati, rappresentano il costo di ciò a cui si rinuncia, per i keynesiani i costi sono oggettivi, sono dati, sono semplicemente costi storici. Per gli austriaci il tasso di interesse è il prezzo dei beni presenti in rapporto a quelli futuri e si utilizza per scontare il valore attuale dei flussi di reddito futuro. Per i keynesiani il tasso di interesse è dato dalla produttività marginale del capitale, e si crede che nel breve abbia anche una origine strettamente monetaria, sia il risultato cioè della interazione tra domanda e offerta di denaro. Tutto ciò ha importanti implicazioni sul terreno della politica economica: per i neoclassici i poteri pubblici non devono intervenire nel funzionamento del sistema economico perché questo si autoregola; per i keynesiani è ineliminabile il ruolo dello Stato di supporto ai privati nelle fasi congiunturali negative (quando la spesa tende ad essere depressa e il pubblico mostra una preferenza illimitata per la moneta rispetto ad impieghi della ricchezza meno liquidi), ma anche nelle fasi di surriscaldamento dell’economia, il che si realizza grazie ad una regolazione attiva della domanda aggregata. Per i neoclassici lo Stato deve mantenere una “condotta neutrale”, mentre per i keynesiani deve mantenere una “condotta attiva”.
L’economia moderna, come noto, è fondamentalmente keynesiana, e quindi si basa su questo equivoco. Secondo Keynes la panacea per uscire dalla depressione sarebbe stato il “deficit spending” ovvero l’incremento della spesa pubblica ma senza aumento di tasse. Solo che, se, in condizioni di calo di domanda, il governo aumenta la spesa (anziché ridurla, come la logica suggerirebbe) e non aumenta le tasse, l’aumento di reddito nominale si ritorce su altri parametri. La variazione di spesa pubblica influenza la spesa aggregata più di quanto la variazione fiscale influenza il risparmio, per cui uno sbilanciamento si va a compensare sul “moltiplicatore del bilancio in pareggio”. Se aumenta il reddito ma la massa monetaria rimane invariata ciò si ripercuote in un aumento dei tassi di interesse (per diminuzione della moneta disponibile a scopi speculativi), e quindi riduzione degli investimenti privati; ciò annulla buona parte dell’effetto incentivante dell’accresciuta spesa pubblica (quando è essa stessa causa artificiale di aumento del reddito nazionale), e l’unica soluzione è aumentare la massa monetaria. Tutt’oggi sottostiamo alle conseguenze dell’opinione secondo cui le banche centrali sarebbero portatrici di poteri magici che si manifestano attraverso appropriati interventi monetari “nei mercati”. Tali interventi consistono soprattutto in iniezioni di moneta o nella concessione di crediti a breve termine a banche in difficoltà. Secondo il credo che li ispira, tali atti dovrebbero avere l’effetto di “stimolare la produzione” o “rimettere in moto la crescita” facendoci uscire da qualche “spirale deflativa” o “trappola della liquidità”. Proprio perché i banchieri centrali non sono Dei onniscenti è necessario che le valute, come ogni altra cosa, devono essere prodotte dal mercato, dal basso, proprio perché le conoscenze sono disperse tra milioni di individui e queste conoscenze possono interagire tra loro solo grazie al sistema dei prezzi.
L’economia non può esulare dalle leggi
naturali. Mettiamo la situazione di un imprenditore che affitta determinati
attrezzi a dei ladri che li utilizzano per compiere furti. L’investitore spende
una somma di denaro per acquistare questi mezzi di produzione e ne ricava una
somma maggiore. Il lavoro dei ladri accresce il suo capitale ed è dunque produttivo. Ma questo lavoro accresce
il patrimonio sociale? Ovviamente no, il furto non può aumentare il valore
sociale complessivo.
“Le colpe dello scassinatore sono
le virtù del finanziere” (George
Bernard Shaw)
Un esempio analogo è il gioco d’azzardo.
Lotterie e giochi d’azzardo sono semplici movimenti di denaro, non creazione di
nuovo valore, eppure il croupier o l’addetto alla ricezione delle schede del
lotto sono produttivi, assai produttivi in effetti, per i loro padroni. I
keinesiani ed i marxisti dimenticavano che le “merci” prodotte nell’industria
bellica non si scambiano contro tempo di lavoro né contro pluslavoro in quanto
sono acquistate dallo Stato il quale non può vendere il suo “lavoro astratto”,
non producendo nulla. Il suo reddito viene dalle tasse e comunque dal resto
della società. La spesa statale è indirettamente una deduzione da salari e
rendite. Questo era ovvio anche ai sostenitori di questa teoria, solo
ritenevano che in periodi di basso utilizzo delle risorse produttive lo Stato
potesse aiutare con spese aggiuntive, il che sarebbe vero ma solo a costo di
aumentare il debito pubblico ottenendo le somme dai risparmiatori e quindi
sottraendole all’investimento privato, in circolo vizioso. Un debito che oggi
in quasi ogni nazione ha raggiunto livelli ben al di là di ogni realistico
“potere esattivo”, che non ne permettono la solvibilità, come ci ha dimostrato
il già avvenuto scoppio della “bolla” dell’Argentina.
“Se hai un debito di diecimila dollari è un problema tuo, ma se hai un debito di un milione è un problema della banca” (Bertolt Brecht)
Il mercato va verso la produzione e ogni soldo tolto al mercato è un soldo che non va verso la produzione. I soldi gestiti secondo profitto, tuttavia, hanno una differenza dai secondi: la capacità di creare altri soldi. Infatti sono gestiti verso il profitto. Se io tolgo al mercato dei soldi e li metto nel sociale qualcuno sarà tassato. Quel qualcuno essendo tassato non comprerà azioni e obbligazioni, e una impresa non essendo finanziata per farlo non si espanderà e non assumerà dipendenti, quei non dipendenti non avranno uno stipendio, e dunque dovranno gravare sul welfare. Indubbiamente alcuni di essi, poi, saranno assunti dal welfare stesso per portarlo avanti, ma avendo il welfare system una natura di sistema non volto al profitto essi saranno di base meno di quelli che verrebbero assunti dal mercato. Ci saranno quindi più poveri, bisognosi del welfare. Quindi il welfare autoalimenta se stesso, perché è volto a “distribuire” e non a “guadagnare” a chi ne usufruisce, ma nel farlo ha dei costi di sistema (il costo dello spostare ciò che aveva un posto nel mercato in un altro posto) che costituiscono una inefficienza permanente e ineliminabile.
“Keynes non sapeva molto di economia, era solo un presuntuoso arrogante. Giocava con la gente grazie alla sua parlantina e alla sua capacità di persuasione. La sua visione economica ha fatto danni enormi al mondo occidentale. Tutta la sua teoria in ultima analisi si riduce a un inganno totale per i lavoratori, si cerca cioè di ridurre i salari reali dei lavoratori attraverso l’aumento dei prezzi. Quello che perseguono le politiche keynesiane è iniettare denaro tramite la spesa pubblica, ovvero espropriare il reddito dei lavoratori senza che se ne rendano conto” (Jesús Huerta De Soto)
Secondo De Soto la teoria keynesiana è stata sempre utilizzata per giustificare l’interventismo dei governi in materia sia fiscale che monetaria. Esiste una generazione di economisti che hanno studiato Keynes, con gli stessi vizi scientifici e metodologici dei monetaristi. Però è importante capire e spiegare il modello keynesiano, perché lo si utilizza ancora molto e sta dietro la maggior parte delle stupidaggini che si scrivono sui giornali di economia o che si discutono nei parlamenti. Il tratto peculiare di Keynes è che sapeva ben poco di economia. Però era una persona brillante con enormi capacità di persuasione e grande influenza nell’Inghilterra dei suoi tempi. Come risulta dalla sua stessa autobiografia, nella vita di tutti i giorni agiva contro la morale dominante. In economia si comportò alla stessa maniera: fece tabula rasa dei principi economici essenziali. Keynes non capisce che il benessere può crescere anche a parità di importo delle vendite, del reddito! Come? Basta che diminuiscano costi e prezzi. E questo succede solo investendo tramite l’accumulazione di beni capitali resa possibile dal risparmio. Non utilizzando il denaro consumando!
“Non si può pretendere di spegnere l’incendio con un lanciafiamme” (Jesús Huerta De Soto)
I giudizi positivi che vigono sul “new deal” dimostrano che l’opinione pubblica in effetti approva attività che sono moralmente ed economicamente equivalenti a quella del vetraio che paga un teppista per rompere le finestre. Questo dà ulteriormente l’idea di come non si possa affidare al voto della massa le scelte di un intera nazione.
“Colui che chiede la piena occupazione - chiede bandi di guerra!” (motto del “Gruppo di credito sociale di Gran Bretagna e Irlanda del Nord”)
Basti pensare alla “cultura”
popolare che in determinate regioni sostiene la mafia. Nel libro “I segreti del
Viminale”, Annibale Paloscia ce ne dà una chiara definizione. Egli testimonia
di aver udito un tassista di Trapani pronunciare queste parole: “quelle vite
innocenti le ha sulla coscienza il giudice Palermo, che è venuto qui a fare il
pazzo per ridurci in miseria[461]”,
riferendosi al fallito attentato mafioso che è costato la vita ad una donna e
ai suoi due bambini. Il fatto stesso che questo tassista (come chissà quanti
altri suoi concittadini) ritenga come responsabile la vittima predestinata
dell’attentato, anziché gli attentatori, non ha certo bisogno di commenti. Ma
il punto da far notare ai fini del nostro discorso è un altro: assodato come
egli abbia rivoltato le responsabilità di quei morti, non si può non
paragonarlo anche con il resto della frase, il suo giudizio sul giudice Palermo,
anche questo inconcepibilmente capovolto. Secondo il tassista non è la mafia a
mantenere in miseria il suo territorio, anzi il contrario. Un ulteriore
conferma della cieca ignoranza delle masse. Basti pensare all’acquedotto in Sicilia, il
cui sviluppo viene impedito dai “venditori d’acqua”, i quali certamente ne hanno
un guadagno, ma a detrimento di tutte quelle persone che devono pagare a caro
prezzo l’acqua quando potrebbero facilmente averla a costi inferiori, sia per
se stessi che per tutta la società. Un pò come Roosevelt che faceva “scavare
buche per poi riempirle”.
“Un mondo alla rovescia, in
cui le classi non vengono disegnate in base al numero degli alunni, ma in base
a quello dei posti da insegnante che si ritiene necessario stabilire per avere
consenso sociale” (Giulio Tremonti)
----- La Padania, 12 agosto 2008.
Ecco, se finora non fosse risultato
comprensibile, cosa intendiamo quando diciamo che questa società è
inefficiente, seppur la gente non se ne renda conto. Con queste premesse, il risultato
sarebbe, come già detto, che chi costruisse l’acquedotto perderebbe più voti di
quanti ne guadagnerebbe. Ecco la visualizzazione simbolica di cosa la
Socializzazione vuole modificare dell’attuale sistema: vuole “costruire
l’acquedotto” e che la si smetta di “scavare buche per poi riempirle”. Vuole
che le “classi” (scolastiche) vengano disegnate in base alle necessità, ovvero
in base al “numero di alunni”.
Dopo gli anni ’60, a decolonizzazione praticamente terminata, non fu più possibile rimediare alle crisi economiche aprendo nuovi mercati ed il mercato dei paesi comunisti aveva un rischio troppo alto (guerra nucleare) per considerarne l’apertura forzata. Inoltre esso rendeva ai paesi occidentali molto di più così che se fosse stato aperto al libero mercato (per i motivi che leggerete più avanti), per cui una guerra per la loro conquista era fuori discussione. Piuttosto da allora, alla luce delle esperienze accumulate, le soluzioni furono trovate di volta in volta in modo ricorrente ad ogni contingenza riscontrata anziché aspettare il “grande botto”, ponendo come base il nuovo mercato degli stupefacenti, secondo uno schema già consolidato nel secolo precedente con le guerre dell’oppio che avevano salvato il sistema dalla crisi iniziata nel 1840. Difatti una causa secondaria della crisi del 1873-95 è da identificarsi nella diminuzione di questo tipo di commercio, a causa dell’aumento della produzione autonoma nella regione cinese dello Yunnan.
“E’ perché son proibite. Vedete, se voi prendete in considerazione la guerra alla droga da un punto di vista puramente economico, il ruolo del governo è quello di proteggere i cartelli dei trafficanti. E’ letteralmente così. Uno dei ruoli della proibizione è quello di rendere il mercato della droga più redditizio” (Milton Friedman)
La concorrenza tra i piccoli spacciatori sta alla base. Questi come mezzo di concorrenza utilizzano la polizia, ovvero segnalano ad essa i propri concorrenti. Come i camorristi che assaltano i camion di pomodori e ne distruggono il contenuto. Stesso identico ragionamento. Come in qualunque altro commercio i venditori di droga sono concorrenti tra di loro. La concorrenza in questo commercio si basa proprio sui sequestri di prodotto agli altri commercianti, possibilità giustificata dalle leggi dello Stato. Ogni “cosca” ha il proprio referente tra la politica e le forze dell’ordine e tramite essi avviene questa concorrenza. Questo vale sia per i piccoli spacciatori di quartiere, che per le “cosche” di grossisti. Gli arresti sono sempre sgarri tra di loro, soffiate, quasi mai “lo Stato che vince la droga”, come propaganda vorrebbe. Di volta in volta la polizia arresta questo o quello, e ringrazia il delatore permettendogli di spacciare in luogo dell’arrestato. E’ tutto un rapporto di forze e di avvicendamenti continui. I poliziotti fanno bella figura, gli spacciatori più scaltri possono vendere in pace. A volte tali permessi vengono dati anche come pagamento per altri servizi svolti. Un pò come succede per le rapine in banca.
“I malavitosi sarebbero stati ricompensati con alcune rapine miliardarie, che sarebbe stato consentito loro di compiere, senza incorrere in alcun pericolo” racconta Pierluigi Ravasio, l’uomo dei servizi segreti che si trovava in via Fani al momento del rapimento di Aldo Moro. --- Gianni Cipriani, “Lo Stato invisibile”, Sperling & Kupfer ed., pag. 68-----
Quando un piccolo spacciatore fa il salto di qualità diviene fornitore di piccoli spacciatori. Anche in questo caso la concorrenza si svolge nel medesimo modo. Solo che si inizia ad avere un rapporto più proficuo con le forze dell’ordine: si inizia ad avere il proprio referente. Il quale riceve una percentuale sui profitti, che suddivide coi propri colleghi per tenerli buoni. Anche questo referente non è più il semplice agente, ma un funzionario. Ovviamente tutto questo discorso non riguarda la polizia italiana attuale, ma quello che venne a galla dalle denunce di Frank Serpico nella New York degli anni ’60. A questo punto si inizia ad entrare in un gioco nel quale si è consapevoli del funzionamento del sistema. Al gradino successivo si entra in quella che viene definita “mafia”, ovvero un intreccio complesso a ranghi elevati di criminali di professione e forze di repressione e di potere. Si entra in ambiti massonici. Si entra nel giro delle persone che grazie al loro posto di responsabilità hanno la possibilità di far circolare senza problemi quantità grossistiche di droga. E queste persone di tale potere ne approfittano ampiamente. Ai vertici di tale traffico sta un ente che grazie alla sua stessa natura favorisce questa possibilità: i servizi segreti. I servizi segreti sono entità complesse, la cui organizzazione statale è solo una facciata. Gli agenti segreti non hanno “tessere”. Gli agenti segreti hanno un referente istituzionale, ma essi sono come dei liberi professionisti, ed inoltre tale attività spesso si sovrappone ad altre. Ognuno è agente segreto, si potrebbe dire. Per questo stesso motivo essi non ricevono soldi dallo Stato, perciò in qualche modo dovranno auto-finanziarsi. Loro lucrano, lo Stato non spende nulla per i servizi svolti, e tutti contenti. Questo è il motivo per il quale perfino i sindaci coprono questo sistema; se il sindaco di New York avesse sradicato la corruzione nella sua polizia, avrebbe dovuto aumentare i salari ai poliziotti e quindi aumentare le tasse.
-------anche qui frase cameriere americane=serpico----
A trasportare la droga dal luogo di produzione al luogo di vendita sono i servizi segreti, spesso con aerei con carichi militari “top secret”, oppure all’interno di sacche per cadaveri come accadde spesso in Vietnam. E’ famoso lo scandalo degli aerei dell’Air America, la compagnia aerea di proprietà della CIA.
Anche se apparentemente superfluo, è particolarmente indicativo far notare che ad essere nominato depositario dei magazzini farmaceutici americani in Italia nel 1945 fu un noto mafioso trafficante di stupefacenti, Max Mugnani. L’economia degli stupefacenti venne propagandata con una vera e propria operazione di marketing dalla Cia, ad esempio distribuendo gratuitamente dosi come accadde al concerto di Woodstock, organizzato dalla Cia stessa per diffondere il consumo di droga. Tale operazione partì a metà anni ’60. Gli agenti distribuivano a prezzo bassissimo o gratis gli stupefacenti nei “campus” americani, e poi via via in Europa. Il ’68 fu un operazione culturale orchestrata anche a tale scopo. Il tutto per diversi motivi: il primo, per guadagno personale, ovviamente, perché questi agenti-spacciatori ci lucravano. In secondo luogo perché i finanziamenti alla CIA erano sottoposti dalle camere USA a pesanti controlli, e quindi l’agenzia aveva perenne bisogno di “fondi neri” coi quali gestire operazioni “illegali”, sia in patria che all’estero. Dato il tipo di azioni, si capirà anche il loro costo. Quanto pretenderà di essere pagato uno per piazzare una bomba in una banca? Certamente molto. Si tenga poi presente un certo livello di passaggi, in stile “servizi segreti all’italiana”. ----mettere anche su cerchi concentrici???--- Oltre a questi due motivi ce ne sta uno più intrinseco, conseguente, diciamo. Funzionale a Wall Street. Il commercio degli stupefacenti è comunque un commercio come tutti, sottoposto alle regole del mercato. Ma il valore degli stupefacenti è quello che gli viene dato dal consumatore, essendo i costi di produzione bassissimi. Il prezzo è conseguenza quindi delle sensazioni indotte, dell’accettazione e della consapevolezza del rischio, e non quindi di costi di produzione o di quantità circolanti. E’ per questa ragione che tali entità contrastano in ogni modo le aspirazioni di liberalizzazione. Il rischio fa in modo che il prezzo sia sempre il più alto possibile. Ed il mercato complessivo è pur sempre un flusso di denaro, un aumento del denaro circolante, e quindi secondo le imperscrutabili leggi economiche una produzione reale, seppur fittizia, di ricchezza. In pratica di fronte ad una maggiore presenza di denaro circolante, tutto il resto delle merci subisce un ribasso di valore rispetto al contesto generale, ed i guadagni compresi i salari acquistano un valore più elevato come conseguenza ad ipotetiche necessità di acquisto. Riprendendo il modello della società del pane, se al posto della farina equivalente a 10 pani (ammettendo che essa non ci sia) mettiamo un bene il cui costo di produzione è 10 volte inferiore (e quindi teoricamente 10 volte meno valutato), ma il cui prezzo non viene dato dall’effettivo valore di mercato che avrebbe ma bensì dal valore che gli viene dato a seconda dell’utilità recepita dai consumatori e dal costo derivato dal rischio del venditore, poniamo il caso 10 volte superiore al valore ceteris paribus ovvero equivalente a quello di 10 pani, la moneta circolante (od il valore della stessa) verrà ugualmente ad assestarsi sul valore di 20 pani, e quindi del valore di ogni pane ad una moneta. Questa è la base filosofica della “favola delle api” che giustifica l’economia degli stupefacenti. Detto in parole povere il commercio della droga crea un surplus di denaro (i famosi “narcodollari”) che va nelle tasche di tutti noi. Sia direttamente (tasse più basse) che indirettamente (sostegno alla moneta, e quindi al potere d’acquisto).
Come nell’esempio già visto tra automobili e prezzo della benzina, i prezzi vengono mantenuti bassi fino alla saturazione del mercato potenziale, dopodiché li si può alzare al loro vero livello di equilibrio domanda/offerta. Anche in Italia ci furono casi di trafficanti americani arrestati rivelatisi poi essere agenti CIA; la formula che recitavano negli interrogatori era sempre la stessa: “nel mio paese esiste una legge che punisce severamente l’agente che rivela il proprio ruolo a rappresentanti di paesi esteri”. E’ molto indicativo il fatto che la CIA si sia premurata nel 1972 di distruggere frettolosamente tutta la documentazione del suo precedente interesse sugli stupefacenti[462].
La guerra in Vietnam fu combattuta proprio con lo scopo di mantenere il controllo dei campi di oppio del Laos (tramite il necessario controllo del Vietnam) e sostenuta unicamente a tale scopo dai vertici USA. Solo così prende senso la neutralizzazione del Laos lasciato in mano a Souvanna Phouma, ed il viavai di aerei dell’Air America (la compagnia aerea di proprietà della Cia) con quel paese. Il Laos era allora il principale produttore di oppio. E per mantenere il Laos non si poteva perdere il Vietnam. Dal 1954 il controllo del traffico mondiale di eroina era passato nelle mani americane, dopo essere stato gestito fin li dai francesi. Un boccone talmente ghiotto da spingere gli Usa, dal loro avamposto nelle Filippine, a finanziare fino a quell’anno in funzione anti-francese quei vietcong che poi si riveleranno i suoi nemici, ed in seguito agire alacremente per espellere ogni francese da Laos e Vietnam del sud[463]. Famose sono le foto di Ho Chi Min e del generale Vo Nguyen Giap accanto ad agenti Cia. Non è certo un caso che l’inasprimento delle leggi sugli stupefacenti avvenne un po’ in tutti i paesi poco dopo la caduta di Dien Bien Phu (in Italia legge n. 1041 del 22 ottobre 1954). Solo quando fu trovata un alternativa valida (Afghanistan, Turchia, Birmania) fu abbandonato il “pantano” Vietnam. Una volta ben avviato, il mercato della droga fu abbandonato dalla gestione dei servizi segreti (anche per le sempre più pressanti inchieste giudiziarie e politiche, vedi “commissione Rockefeller”) a partire dal 1976, per essere delegato alla mafia; il che spiega la recrudescenza del fenomeno mafioso nei primi anni ’80 e la guerra tra “cosche” (feudi), ed il trasferimento delle officine di raffinazione da Marsiglia alla Sicilia, con conseguente migrazione di chimici francesi; ulteriore conferma ne è che in seguito a questo disimpegno l’Afghanistan viene ad essere lasciato disponibile ai sovietici, che ne approfittano nella prospettiva geopolitica di arrivare a potersi affacciare all’oceano indiano dal Pakistan; senza però disdegnare i papaveri: dalle 250 tonnellate annue di eroina del 1982 si passa alle 2.000 del 1991. Nel 1998 Brzezinski ammette il ruolo degli Usa nel provocare l’intervento sovietico in Afghanistan. Alla luce di questo si può affermare una cosa: prima dell’operazione “Chaos” il mondo intero sembrava destinato a passare inesorabilmente nel campo comunista o capital-dittatoriale, di fronte ad una inevitabile crisi del capitalismo sotto il modello democratico. Prove concrete sono la Grecia nel ’67 e il Cile nel ’73, conseguenti alla generale crescita mondiale dei partiti comunisti. La droga salvò la democrazia capitalista, e la salva tuttora. Ma a che prezzo? Lo sappiamo tutti, lo abbiamo sotto gli occhi. I drogati e le loro vittime, soprattutto i familiari, sono da annoverare ampiamente tra le vittime della vittoria democratica nel 1945. Ai nostri fini facciamo notare che nell’economia distributista il mercato degli stupefacenti si rivelerebbe superfluo, in quanto economia basata sulla “legge di Say” (“merce si paga con merce”), e non sul denaro come merce infinita. Lo stesso discorso si potrebbe fare per la prostituzione, il cui valore dovrebbe essere teoricamente zero, ma così non è. Non sono soluzioni Pareto-efficienti, ma come abbiamo visto l’“oste” per non “mollare l’osso” non guarda in faccia nessuno.
“La partecipazione alla guerra contro Hitler viene considerata praticamente sacrosanta, situata quasi nel regno della teologia. […] Qualunque critica venga fatta alla politica americana del ventesimo secolo, la partecipazione degli Stati Uniti alla seconda guerra mondiale ne rimane quasi immune. Secondo la nostra mitologia nazionale, fu una “guerra buona”, una delle poche in cui i benefici hanno sopravanzato chiaramente i costi. Tranne pochi libri, pubblicati poco dopo la guerra e rapidamente dimenticati, questa forma di ortodossia è rimasta fondamentalmente incontrastata” (B. M. Russett[464])
“Non ci sono guerre giuste. A parte la Rivoluzione americana e la seconda guerra mondiale” (Bart Simpson)
L’ottusità popolare su quella guerra è facilmente esemplificata dalla retorica domanda sul perché la Germania non abbia invaso la Svizzera. Fin troppo facile e banale sarebbe rispondere con l’ovvia domanda “per quale motivo avrebbe dovuto?”, quando si potrebbe addirittura contrapporre il dato di fatto che fu piuttosto dall’altra parte della barricata che si progettò e si fece da più direzioni forte pressione per invaderla, e questo sia nel 1940 che nel 1944! Eppure nessuno si chiede mai “perché gli anglo-franco-americani non invasero la Svizzera?”, ipotesi ben più realistica che un inesistente ed immotivato proposito tedesco di farlo. La risposta del perché gli anglo-franco-americani non invasero la Svizzera è a pagina -----------. E secondariamente, dopo la “liberazione” della valle del Rodano la Svizzera divenne il crocevia di tutte le trame spionistiche, ed a tutti era molto più utile così.
Questo dovrebbe bastare a far chiarezza sull’ignoranza che vige sulla visione popolare di quella guerra.
Gli anglo-americani non hanno mai commesso crimini di guerra? Non gli si può negare una certa furbizia in questo. Come spiegare il fatto che nel trasportare i prigionieri civili italiani e tedeschi verso il Canada, il 2 luglio 1940, abbiano usato una nave da guerra anziché una della croce rossa? Con l’ovvio risultato di renderla obiettivo dei sottomarini tedeschi, ignari del contenuto di quella nave. Che l’affondarono. A chi dare la colpa, ai tedeschi o agli inglesi? Basterà citare un episodio, quello dell’affondamento del Laconia: dopo essere stato colpito i britannici si premurarono di chiudere nella stiva i prigionieri italiani che trasportava. I russi non erano da meno: quando l’armata rossa giunse alle porte di Varsavia, fu fermata per ordine di Stalin[465], così da lasciare che tedeschi ed insorti polacchi si scannassero tra di loro, in attesa di entrare da liberatori.
“Se vuoi prendere un ladro, chiamane un altro che gli tenda una trappola” (proverbio russo)
Ma questo sarebbe niente, dato
che è noto come gli alleati abbiano colpito anche direttamente navi della croce
rossa (Wilhelm Gustloff, Cap Arcona, Goya) e mitragliato operazioni di soccorso
(sempre la citata “tragedia del Laconia”; motivo per il quale in seguito fu proibito
ai sottomarini tedeschi effettuare tali operazioni, ma questo motivo nessuno
mai lo specifica…).
Come spiegare la presenza, nel dicembre 1943 nel porto di Bari, di una nave americana carica di gas asfissianti? Colpita la nave da un bombardamento tedesco, la città si salvò solamente grazie al vento da terra, ma non salvò la vita a 82 portuali che morirono ustionati dal gas e 617 che ne portarono a lungo le menomazioni. E’ noto l’ordine impartito da Churchill al suo capo di stato maggiore di prepararsi a una “gassazione” su larga scala della Germania, probabilmente scartata grazie alla, loro malgrado, anteprima di Bari, che aveva portato alla scoperta prematura delle carte. Si può dire che i portuali di Bari hanno salvato i cittadini tedeschi?
In un occasione Churchill si vantò di non aver mai fatto impiccare nessuno per averlo criticato. C’è da chiedersi se per altri motivi l’abbia fatto… Come giustificare svariati episodi del 1945 di persone condannate a morte per motivi per i quali altre persone in situazioni ben più gravi l’hanno scampata? Soprattutto se si va a vedere che queste strane condanne a morte hanno più o meno a che vedere coi testimoni dell’esistenza del famoso “carteggio”… dopotutto anche Al Capone fu condannato per un reato secondario. La nota prassi giuridica anglosassone che oggi perseguita Julian Assange…
Altrimenti come poter motivare l’omicidio non solo di Mussolini, ma dell’intera comitiva che l’accompagnava a Dongo? E di un buon numero di partigiani testimoni oculari, nei giorni successivi? Essendo oramai chiaro che la responsabilità di quello che accadde a Giulino di Mezzegra va addebitata a Churchill e non ad altri, come fa notare lo storico Maurizio Barozzi, e si deduce da quel poco di testimonianze e documentazioni che ci restano, che gli inglesi utilizzarono invece per l’eliminazione di Mussolini i partigiani comunisti, ai quali in cambio venne concesso di poter trattenere il famoso “oro di Dongo”. Un certo partigiano Giacomo alias Bruno Giovanni Lonati che asserì, ma non riuscì ma a provarlo, di aver ucciso il Duce assieme e per ordine di un misteriose ufficiale inglese, tale John. E’ noto come l’ufficiale di collegamento tra il CLNAI e gli Alleati, l’italo inglese Max Salvadori, venuto a conoscenza dell’arresto di Mussolini a Dongo, fece presente ai partigiani del Cln che loro erano padroni della situazione fino all’arrivo delle truppe alleate e quindi, di fatto, ispirò costoro ad eliminare sbrigativamente il Duce. Lo storico Alessandro De Felice, nipote del celebre Renzo, ebbe a raccontare una confidenza che gli fece Leo Valiani: «La morte di Mussolini deve rimanere un mistero. Ed è meglio che sia così. Londra ha suonato la musica, ed il PCI è andato a tempo!». E l’oro di Dongo fu lasciato al Pci. Non a caso ebbe ad affermare lo storico Renzo De Felice: «La documentazione in mio possesso porta tutta ad una conclusione: Benito Mussolini fu ucciso da un gruppo di partigiani milanesi su sollecitazione dei servizi segreti inglesi. C’era un interesse a far si che il capo del fascismo non arrivasse mai ad un processo. Ci fu un suggerimento inglese: “Fatelo fuori”, mentre le clausole dell’armistizio ne stabilivano la consegna. Per gli inglesi era molto meglio se Mussolini fosse morto. In gioco c’era l’interesse nazionale legato alle esplosive compromissioni presenti nel carteggio che il premier britannico avrebbe scambiato con Mussolini prima e durante la guerra». Dato il ruolo decisivo di Valiani - come membro del CLNAI – nell’eliminazione sommaria di Mussolini e data la sua contemporanea appartenenza al SOE, adesso sarà più difficile sostenere che l’Inghilterra fu estranea alla soluzione rapida del caso Mussolini dopo la sua cattura e che rimase fedele all'articolo dell’“armistizio lungo” che imponeva la consegna del duce vivo agli alleati. Ciò valga per coloro che definiscono fantasiosa la “pista inglese” nella morte del duce e della sua amante. ------ L’articolo “Agente Leo Valiani, il caso Duce è tuo” di Eugenio Di Rienzo (il Giornale - Giovedì 27 maggio 2010)
E non tralasciamo tra i morti addebitabili a Churchill i russi, ucraini, caucasici, kazaki anticomunisti consegnati da Churchill a Stalin, ed i partigiani monarchici di Mihailovic a Tito. Il cui destino era prevedibile. Certo, se non lanci il salvagente a chi sta affogando non l’hai ucciso tu… o si?
Eppure a tutt’oggi non c’è nessuno nei rispettivi paesi che addebiti a Roosevelt e Churchill i morti di quella guerra. Churchill e Roosevelt da un lato, Stalin dall’altro, non avevano assolutamente nulla in comune tra loro, se non la volontà di annientamento della Germania; e non si dimentichi che erano state Gran Bretagna e Francia a dichiarare la guerra alla Germania il 3 settembre 1939, dopo che il Gabinetto di Londra aveva rilasciato alla Polonia semifascista una folle cambiale in bianco, incoraggiandola a resistere a qualunque trattativa diplomatica con Berlino per la questione di Danzica.
Josef Beck, il Ministro degli Esteri polacco, rifiutò di accettare le generose condizioni di Hitler e il 26 Marzo 1939 ruppe i negoziati con la Germania.
Per gli anglosassoni quella del contratto è un abitudine inveterata che non hanno mai abbandonato. Descritta sapientemente da Emilio Salgari in Sandokan. Tutta la conquista coloniale inglese e quella del west americana è stata basata sullo stesso iter: qualche pirata o cowboy si faceva firmare dai capi indigeni dei pezzi di carta dei quali non potevano certo capire il significato (ad esempio il passaggio di proprietà del Canada), poi quando la tribù non rispettava (ovviamente, non avendole mai comprese) le condizioni capestro elencate nel foglio iniziava il massacro, secondo la prassi della politica delle cannoniere. Con l’avvallo della regina o del presidente, vincolati alle leggi contrattuali. Come non pensare all’8 settembre quando Eisenhower davanti le recalcitrazioni di Badoglio minacciò pesanti ritorsioni, che, altra tipica prassi anglosassone, fece effettuare ad altri, ovvero annunciando improvvisamente l’armistizio firmato scatenò i tedeschi contro l’Italia.
Da più parti si critica spesso il Papa per aver fornito appoggio alla fuga di “criminali di guerra”. Il vaticano non deve giustificarsi del supporto all’operazione Odessa, ma andarne fiero, come per tutte le opere buone. L’unica speranza consolatoria è che, se esiste un Dio, ci sia stata e ci sia anche una “Norimberga celeste”. Per i veri criminali impuniti di quella guerra. La giustizia, purtroppo, non è di questa terra.
I veri ed unici criminali sono coloro che oggi si arrogano di distribuire attestati di democraticità dall’alto di decine di dittature e decine di milioni di morti, e coloro che gli riconoscono questo diritto. Fra questi secondi ci sono gli zombi ipnotizzati, che invece di stigmatizzare la malafede dei primi, censurano legittime e ponderate opinioni politiche “fastidiose”. E’ triste che esistano ancor oggi simili residuati, gente che dall’alto di una piramide di teschi, si permette di dare o negare patenti di democraticità altrui. Ben pochi appaiono illuminati e degni di considerazione.
Dal
punto 2 della lettera aperta del partito
comunista greco ai 13 deputati europei del “Gruppo per la conciliazione della
Storia europea”, 15 aprile 2010:
Poiché Vi dimostrate così
interessati alla storia europea, Vi ricordiamo, anche se tendete a dimenticare,
una serie di crimini contro i popoli europei commessi dai vostri Stati:
* La Prima guerra mondiale:
conseguenza del conflitto tra potenze predatrici per la redistribuzione dei
mercati;
* La Seconda guerra mondiale
che aveva la stessa causa e portò alla morte 50.000.000 persone, 35 milioni in
più rispetto la Prima guerra mondiale;
* Il bombardamento di Dresda
da parte della flotta aerea inglese che rase al suolo la città nel 1945 e non
fu dettato dalla necessità del conflitto;
* L’orrendo crimine contro
l’umanità con il bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki, anche questa
volta non dettato dalla necessità del conflitto;
* L’invasione delle truppe in
Russia, per reprimere la grande Rivoluzione d’Ottobre;
* La macellazione della Comune
di Parigi da parte del governo francese che non ha esitato a uccidere donne e
bambini inermi;
* La carneficina di migliaia
di lavoratori durante la rivoluzione tedesca del 1918;
* Le esecuzioni di migliaia di
comunisti e altri membri del Fronte di Liberazione Nazionale in Grecia da parte
dei collaborazionisti tedeschi e di chi mancò la lotta di liberazione nazionale
durante l’occupazione tedesca e le successive esecuzioni contro gli uomini e le
donne combattenti dell’Esercito Democratico della Grecia;
* Il reclutamento di migliaia
di criminali di guerra nazisti da parte della NATO, nuovamente utilizzati in
posizioni cruciali.
* Il massacro del popolo della Jugoslavia e la sua dissoluzione da parte di Germania, Francia, Italia e Stati Uniti.
E’ assai interessante qui notare che se il paventato piano di Morgenthau sulla “pastoralizzazione” della Germania non fu attuato, fu certamente dovuto anche alla contrarietà dell’“orco” Stalin, il quale a differenza degli anglo-americani si era sempre dimostrato disponibile a patteggiare con la Germania. Non è del tutto astruso affermare che questa benevolenza di Stalin sia stata un ringraziamento per l’offensiva delle Ardenne; oppure, viceversa, che l’offensiva tedesca nelle Ardenne sia stata una mossa finalizzata proprio a favorire l’avanzata sovietica a scapito di quella americana, proprio in virtù di queste differenti prospettive avanzate dalle due parti riguardo al trattamento da tenere verso la Germania sconfitta.
“Sondaggi e tentativi di tregua tra l’Unione Sovietica e il Terzo Reich continuarono fino al maggio 1944, alla vigilia dello sbarco in Normandia, e ripresero nel settembre, con partecipazione giapponese” (American mercury, novembre 1947)
L’iniziativa di questi ultimi tentativi fu soprattutto sovietica, tramite il Giappone, ma fallirono tutti perché Hitler si ostinava a non voler cedere l’Ucraina.
E come spiegare il fatto che nell’Urss i “fratelli della foresta” continuarono la resistenza fino ad anni ’50 inoltrati, mentre i werwolf in Germania e le “volpi argentate” in Italia furono soffocati immediatamente?
----come unire?-------italia 8 settembre?------
Non è tutto oro quel che luccica: nel 1947 Stalin abolisce pena di morte. Ma il suo non è un motivo umanitario; per lui i prigionieri dei gulag sono più utili vivi come schiavi. Nel 1961 Kruscev la ripristina.
“Ecco l’incubo dei tiranni: che la loro vittima s’innalzi a una libertà ad essi inaccessibile, e che si dilegui, mentre essi delirando sognano di annientarla, in spazi nei quali tortura e supplizio non hanno più alcun potere. E l’incubo dei carnefici è questo: che la loro vittima riviva” (Ernst Jünger)
John Wilx Butt nel colpire Lincoln gridò “morte al tiranno”. Chi è tiranno, è soggettivo. Chi ha ragione? Quale prerogativa contraddistingue un tiranno?
“La segretezza è il genere di libertà che sognano i tiranni” (Bill Moyers)
Chi assassina la verità si trasforma sempre in assassino di persone. Gli assassini di Ipazia erano i rappresentanti della stessa forza ottusa adesso rappresentata dai debunker assassini di verità.
Fare la conta dei morti al comunismo è come “sparare sulla croce rossa”. Ma grande sarebbe lo stupore per chi si mettesse a fare quella delle vittime causate dal sistema economico-politico tuttora vigente ed osannato… Il quale è egli per primo a permettersi di fare la morale senza vedere la trave nel proprio occhio. E se dovessimo prendere ad esempio proprio questo loro metro di valutazione delle varie ideologie, basato sulla “conta dei morti”, beh, il liberismo economico sprofonderebbe negli inferi assieme alla sua amata democrazia liberale… Non serve certo riferirsi al solito “parafulmine” del Congo di Re Leopoldo. Facendo riferimento ai dati forniti da “il libro nero del capitalismo”[466], Noam Chomsky ha osservato che, se si applicasse il metodo seguito da Courtois nel “libro nero del comunismo” alla storia dell’India dal 1947 in poi, attribuendo l’alta mortalità alla mancanza di adeguate scelte politiche, si dovrebbe concludere che la democrazia liberale in India è stata responsabile di cento milioni di morti. E non che le scelte politiche del precedente regime coloniale britannico fossero migliori, anzi: nel 1942 la distruzione di tutti i campi di riso del Bengala attuata deliberatamente con diserbanti dagli inglesi per impedire ai giapponesi (che avanzavano in Birmania) di impadronirsene provocò 2.000.000 di morti tra i bengalesi.
“L’uomo inciamperà occasionalmente nella verità, ma la maggior parte delle volte si rialzerà e andrà avanti” (Winston Churchill)
Altre stime: il colonialismo degli stati europei limitatamente dal XVII al XIX secolo, 50 milioni di vittime; prima guerra mondiale: 16 milioni di vittime; seconda guerra mondiale: 50 milioni di vittime. Si potrebbe continuare all’infinito, se non altro perché la lista delle vittime imputabili unicamente al sistema economico liberista si allunga OGNI GIORNO: si stima che la fame uccida attualmente ventiquattromila persone in tal lasso di tempo. A chi è imputabile questa fame, se non alle logiche prettamente liberiste? Non certo a Malthus o a Darwin. Mentre in Alto Volta perdurava la carestia, nei mercati di Parigi si trovavano casse di fagiolini provenienti da quel paese per via aerea. E questi sono quelli che hanno il coraggio di fare la morale sui principi fascisti di “socialismo basato sulle nazioni”, “guerra del sangue contro l’oro”, popoli definiti “affamatori”…
“E’ il capitalismo con i suoi rappresentanti a dover chiedere scusa ai popoli per gli orrendi crimini commessi dai governi nel corso degli anni e ancora in atto” (dalla lettera aperta del partito comunista greco ai 13 deputati europei del “Gruppo per la conciliazione della Storia europea”, 15 aprile 2010)
Non è necessario citare il noto destino a cui sono stati sottoposti i nativi americani per scoprirne tutta l’ipocrisia. Si calcolano solitamente in 90 milioni le vittime amerinde degli anglo-americani tra il 1607 ed il 1890. Nonostante tutto oggi tutti sono manicheamente convinti che l’ultima guerra sia stata vinta dai buoni. Difficilmente tale tesi sarebbe condivisa, ad esempio, dagli abitanti dell’isola Jeju (Corea)[467] o dai 64.000 italiani morti sotto le bombe americane o dai 10.000 nelle foibe. Se qualcuno obbiettasse citando ad esempio il piano Marshall: è facile dare se si possiede talmente tanto da doverlo perfino buttare via, soprattutto quando quel che si possiede lo si ha ottenuto rubandolo ad altri. E’ noto come il trafficante di droga Pablo Escobar fosse adorato come un santo nel suo quartiere. Nessuno fa niente per niente, ed un amicizia per interesse non avrà mai basi solide. Come sottosegretario di stato per gli affari economici nel 1947, anche Will Clayton vide la grande occasione. “Ammettiamolo apertamente,” disse in difesa dell’idea del piano Marshall: “abbiamo bisogno di mercati – grandi mercati – nei quali comprare e vendere”. Questa è la verità centrale di tutti questi aiuti. L’intenzione non è di aiutare i paesi stranieri; è di ricompensare le multinazionali di casa che effettivamente ottengono i contanti mentre il governo acquista influenza politica all’estero con ricchezze altrui che comunque in un modo o nell’altro sarebbero ritornate indietro. Anche sottoforma di commerci imposti.
«A costo di passare per un ingenuo, confesso di non comprendere come agli uomini che si autoproclamano rivoluzionari - socialisti, comunisti, anarchici - e che per i loro ideali hanno sofferto la galera e l’esilio, possano plaudire all’Inghilterra plutocratica e all’America trustistica che in nome della democrazia hanno devastato l’Europa» (Stanis Ruinas, “Lettere a un rivoluzionario”[468])
Se si prende come metro di paragone l’occupazione tedesca in Francia, Belgio, Norvegia, essa non era certo più malvagia di quella americana, russa, inglese, e francese in Germania dopo il ’45. Tenendo presente che nel caso di caduta dell’Urss difficilmente ci sarebbe stata una totale occupazione militare dell’intero territorio russo, ma solo una pace condizionata, probabilmente anche la situazione nell’est Europa sarebbe stata compresa nei termini di quella pace. Difficilmente appaiono verosimili prospettive tipo “Fatherland”. Ovviamente non potendo ragionare col senno di poi, non è possibile stabilire se abbiano vinto i buoni o i cattivi, non essendoci un metro di paragone sul “se”. Tuttavia risulta veramente difficile ipotizzare che se avesse vinto l’Asse oggi il cinema sarebbe in bianco e nero e la libertà minore. Nell’Italia fascista poteva aspirare a governare solo chi era fascista. Nell’Italia democratica può aspirare a governare solo chi è democratico. Dove si notano differenze?
“Regimi democratici possono essere definiti quelli nei quali, di tanto in tanto, si dà al popolo l’illusione di essere sovrano” (Benito Mussolini, da “La dottrina del fascismo”, 1936)
Per dare un senso alle restrizioni alla libertà fate applicare da Mussolini, si deve considerare un particolare: per la prima ed unica volta nella storia il governo di uno Stato riusciva a mantenere il potere nonostante fosse inviso ai poteri egemoni! E ciò non potrebbe essere sussistito in assenza di quelle ferree regole che vengono addossate al fascismo come “brutali”, e che sorsero proprio per soffocare quel tentativo di colpo di Stato noto come “secessione dell’Aventino”. Ma se si guardasse la luna anziché il dito, si vedrebbe che quella guidata da Mussolini era una dittatura del proletariato contro la borghesia. Altrimenti non si riesce ad inquadrare nemmeno l’affidamento ad Achille Starace dell’impostazione della società sulla base dell’archetipo dell’“uomo nuovo” che tanto imbestialiva la borghesia “panciafichista”. In Italia dal 1° gennaio al 25 luglio 1943 ci furono 217 scioperi. Ma nel fascismo non era proibito lo sciopero? Il fascismo, e non il bolscevismo, fu la vera ed unica realizzazione del proposito marxista, dato che in Urss, almeno teoricamente, essendo venuti ad essere tutti parificati uniformemente non esisteva più alcuna borghesia contro la quale il proletariato avrebbe dovuto imporre la dittatura. Mentre nella realtà la nomenklatura politica aveva semplicemente preso il posto della borghesia, ed attuava la sua dittatura sul proletariato! Una dittatura, come si sa, notevolmente peggiore di qualunque colpa tra quelle addossabili al fascismo.
“La libertà dell’individuo va limitata esattamente nella misura in cui
può diventare una minaccia a quella degli altri” (John Stuart Mill, On Liberty, 1859)
Le veline ai giornali, se possono
sembrare apparentemente una limitazione della libertà, guardate sotto un altro
punto di vista ovvero paragonate con l’assenza di veline, possono essere viste
come la supremazia dello Stato (cioè di tutti) sulle divisioni interne. Nella
democrazia liberale i giornali non sono sottoposti a veline? Come no? Le veline vengono imposte dai proprietari dei
giornali e a loro dai finanziatori! Certo, ognuno può scegliere il giornale che
ritiene più consono e veritiero. I giornalisti scrivono quello che la gente
vuole leggere. Una catena: loro fabbricano, i lettori richiedono. Come per i
partiti anche i giornali e ognuno sostiene gli interessi di una parte. Non
erano veline “del fascismo” ma dello Stato, dato che allora Stato e fascismo
erano identificati come una cosa sola dalla maggior parte della gente. A questo
proposito prendiamo un altro film velatamente propagandistico, “Mediterraneo”:
“col fascismo tutte le cose buone sono proibite” (riferendosi agli
stupefacenti). è un ingenuo falso storico. Sarebbe stato più reale se
Salvatores avesse fatto dire al suo attore “in Italia tutte le cose buone sono
proibite”. Così come completamente surreale è l’interpretazione da qualcuno
data alla lettera “A” della fantomatica sigla “Ovra” come “antifascismo”, in
quanto il fascismo obiettivamente non avrebbe certo potuto dare un simile
riconoscimento ufficiale all’esistenza di un antifascismo che perfino
nell’immediatezza dell’8 settembre 1943 appariva inconcepibile. ------qui ovra
pertini???-------- Si pensi che mentre all’indomani dell’armistizio di Badoglio
cominciavano a verificarsi degli omicidi di fascisti, nessuno sapeva
spiegarsi da dove arrivassero perché nessuno riusciva a comprendere che
potessero esistere quegli antifascisti che poi si chiameranno partigiani. La
colpa degli omicidi veniva affibiata genericamente ai cosiddetti “badogliani”,
che comunque nessuno capiva bene chi fossero.
Se come democrazia vogliamo
convenzionalmente prendere il sistema americano già spiegato riguardo i “killer
dell’economia” allora certi assassini politici possono essere definiti “censura
democratica”.
“Non possiamo dare la libertà a coloro che ne approfitterebbero per assassinarci” (Benito Mussolini, Circolo rionale Sciesa, Milano, 4 ottobre 1922; da Scritti e discorsi, vol. II)
I fatti del 25 luglio 1943 hanno confermato ampiamente il pericolo a cui era rimasto sottoposto costantemente il governo di Mussolini in tutti i 20 anni precedenti, e per scampare il quale Mussolini promise la “terza ondata”, per metter fine definitivamente al pericolo di golpe borghese e quindi alla necessità stessa di mantenere una dittatura. Il fascismo è stato ucciso da un ben preciso complotto e la sua colpa è stata l’incapacità di difendersi, causata da una sua naturale ingenuità: l’ingenuità derivata dall’incomprensione di un ambiente ad esso estraneo e sconosciuto: la ragnatela massonica.
“Il fascismo è un movimento di realtà, di verità di vita che aderisce alla vita. E’ pragmatista. Non ha apriorismi. Né finalità remote. Non promette i soliti paradisi dell’ideale. Lascia queste ciarlatanerie alle tribù della tessera. Non presume di vivere sempre e molto. Vivrà sino a quando non avrà compiuto l’opera che si è prefissa. Raggiunta la soluzione nel nostro senso dei fondamentali problemi che oggi travagliano la nazione italiana, il fascismo non si ostinerà a vivere, come un anacronistica superfetazione di professionisti di una data politica, ma saprà brillantemente morire senza smorfie solenni” (Benito Mussolini, Il Popolo d’Italia, 3 luglio 1919)
Ed è da far notare proprio ciò che disse Scorza al gran consiglio: «allora diciamo la verità fino in fondo! Il Duce non è mai stato un dittatore. Il suo torto è quello di aver consentito che sorgesse un sistema di dittature parziali: la dittatura dei segretari di partito alla Starace, la dittatura della polizia, della burocrazia, dei confederali, dei pezzi grossi d’ogni specie. “presi gli ordini dal Duce!”, “ricevute le alte direttive del Duce!”… queste le parole d’obbligo per coprire illegalità, soprusi, arbitrii. E voi, Duce, non potevate vedere cosa succedeva dietro le quinte del grande palcoscenico. Voi siete stato l’uomo più disubbidito del secolo!…[469]». Il 90% dei compiti assegnati alla Sip (la Digos di quei tempi) consisteva nel vigilare sull’attività dei gerarchi e dei vari dirigenti pubblici, tra cui lo stesso Mussolini[470]! ------sostituire nota con quella da storia 25 luglio???----
Non si vede miglior interprete “super partes” del sempre attento Vaticano, per confermare ciò. Quando scoppiarono i contrasti fra Santa Sede e regime sulla questione dell’Azione Cattolica, poi risolta da un compromesso che accontentò entrambe le parti, Pio XI scrisse queste esemplari parole nell’Enciclica “Non abbiamo bisogno”: “Non possiamo invece Noi, Chiesa, Religione, fedeli cattolici (e non soltanto noi) essere grati a chi dopo aver messo fuori socialismo e massoneria, nemici nostri (e non nostri soltanto) dichiarati, li ha così largamente riammessi, come tutti vedono e deplorano, e fatti tanto più forti e pericolosi e nocivi quanto più dissimulati e insieme favoriti dalla nuova divisa. Di infrazioni al preso impegno Ci si è non rare volte parlato; abbiamo sempre chiesto nomi e fatti concreti, sempre pronti a intervenire e provvedere; non si è mai risposto a tale Nostra domanda”.
Si pensi che fu permessa a Bombacci la pubblicazione di una rivista filo-comunista, dall’eloquente nome di “La Verità”, che è poi la traduzione italiana di Pravda.
la covata ribelle dei giovani intellettuali aggregati attorno all’ex anarchico fiorentino Berto Ricci e alla sua rivista “L’Universale”; il “lungo viaggio” dal fascismo al comunismo di tanti intellettuali, da Davide Lajolo a Fidia Gambetti, da Felice Chilanti a Ruggero Zangrandi, da Elio Vittorini a Vasco Pratolini, da Ottone Rosai a Mino Maccari.
Già ben prima della crisi bellica la critica interna al fascismo spingeva per completare l’opera promessa da Mussolini nel ’19. Scrive Berto Ricci: «Compito del futuro immediato, di educazione alla libertà è fare vedere che non si può proseguire all’infinito sulla via del saluto romano, rompete le righe e zitti. Che il fascismo si decida: o con Dio o con il diavolo, o sistema invariabile delle nomine dall’alto o partecipazione del popolo allo Stato, e non semplice atto di presenza alle adunate e versamento dei contributi sindacali. Affogare nel ridicolo chi crede nella discussione e nel dialogo, chi non capisce le funzioni dell’eresia, chi confonde Unità e difformità. Far capire che, se non si fa questo, hanno ragione i fondatori di cerchie comuniste e finiranno per averla davvero. Finirla con l’asfissiante frasario a base di ordini e basta. Libertà da conquistare e da guadagnare, da sudare. Libertà come valore eterno incancellabile e fondamentale. Mostrare come la civiltà, la moralità fascista, non possa consistere nei soli ingredienti di fede e polizia. Che anche la libertà di manifestare opinioni, di fare un giornale che dica queste cose è secondaria dinnanzi a quella che l’ultimo italiano deve esercitare: di controllo dei pubblici poteri, di denuncia aperta dell’ingiustizia, di prevaricazioni, da chiunque commessi». E fu profetico nel prevedere che grazie all’ingenuità di Mussolini “le cerchie comuniste” finirono per vincere.
Ma fino all’8 settembre 1943, come abbiamo appena visto, il nemico pareva tutt’altro. Non è casuale che la fondazione della “pravda italiana” avvenne in concomitanza con l’apertura dei comunisti italiani ai “fratelli in camicia nera” con l’appello “Il programma fascista del 1919 non è stato realizzato! Lottiamo uniti per la realizzazione di questo programma”. Nello stesso periodo nel quale Mussolini progettava la sostituzione a capo del partito di Achille Starace con Edmondo Rossoni, “diciannovista” e vecchio sindacalista rivoluzionario della schiatta di Ricci e Corridoni. Da questo nacque la dura opposizione di Starace, tanto simile a quella che nel 1933 aveva portato all’espulsione dell’ex anarchico Leandro Arpinati. A rompere le uova nel paniere intervenne la guerra in Spagna, che mise in contrapposizione le parti. E difatti a rinfocolarla partecipò attivamente Starace ed elementi analoghi.
“L’argomento è così di suggestivo interesse che meriterà a tempo debito una particolare trattazione, ma come premessa si può affermare che vi è una coerenza strategica di Mussolini alla quale si deve il programma rivoluzionario della socializzazione che, se non fosse sopravvenuta la guerra, sarebbe stato compiuto tra il 1939 e il 1940” (“Giramondo”, Corriere della sera[471])
Rodolfo Morandi, socialista, dopo la fine della guerra cercò di salvare le cose positive della socializzazione. Ma l-------- era troppo --------. Alla fine, con il decreto legge N. 878 del 7 maggio 1948 veniva liquidata anche la C.G.L.T.A. Questa è un’altra pagina di storia che dà fastidio a molti. Difatti in precedenza, Mussolini, d’accordo con Bombacci e Silvestri aveva avviato un piano perché, una volta avviata la socializzazione, si avesse dovuto cedere il potere al partito socialista prima che nella pianura padana affluissero i soldati americani coi lecchini badogliani monarchici al seguito. Con il sibillino discorso al teatro lirico di Milano del ------- dicembre 1944 Mussolini aveva dato il “la” ufficiale, anche se le trattative erano in corso da mesi, e proprio in tale contesto va vista la creazione delle brigate Matteotti nell’estate 1944, e si spiega il forte attrito che si venne a creare tra i partigiani socialisti e quelli di Luigi Longo (Pci) e Ferruccio Parri (P.d’Az.). Il creatore delle brigate Matteotti, il socialista Corrado Bonfantini, in pratica auspicava di ricevere dalle mani di Mussolini una repubblica socialista, da difendere dalle mani dei monarchici e dei comunisti. Non aveva considerato l’opposizione tedesca e degli altri partiti del Cln-Cvl, compreso il suo. Un nord Italia separato dal sud? Dopotutto anche Germania e Austria furono poi divise in settori. Questo non sarebbe certo dispiaciuto all’Urss, però oramai legata agli accordi di Yalta già vergati. Per giungere all’accordo, Carlo Silvestri aveva preso contatti con Corrado Bonfantini, comandante delle brigate Matteotti. Venne perfino progettata un azione militare congiunta tra esse e la Decima mas[472]. Ma il progetto era rifiutato con rancorosa e sdegnata arroganza dall’ala massonica nordista del Psi. Nenni, Basso e Pertini erano i più contrari al progetto di un “ponte” teso al trapasso dei poteri che evitasse un bagno di sangue e salvasse le ardite riforme socio-politiche progettate dalla Rsi. Il che la dice lunga sulla caratura morale dei tre personaggi, come se non bastasse il già nutrito curriculum di nefandezze, perlomeno per il terzo, insuperabile esempio di cattiveria patologica fatta persona. Sembrava che i socialisti quel potere non lo volessero. E difatti non l’hanno poi avuto, in nessun caso. ---pertini rabbioso eruttante----- Giunti al nord dopo il 25 aprile, misero dei paletti al Bonfantini, che --------. Diverse prove starebbero ad avvalorare questa alleanza finalizzata ad impedire esecuzioni arbitrarie, omicidi, vendette e saccheggi col pretesto della politica. Il capo della polizia della Rsi Pietro Montagna ed il ministro della Giustizia Piero Pisenti furono salvati proprio dall’intervento delle brigate Matteotti, ed il generale Rodolfo Graziani fu salvato da Bonfantini in persona nonostante l’ordine emanato dal solito Pertini di fucilazione immediata. Idem per Junio Valerio Borghese, che con gli uomini della Decima mas specificò che avrebbe accettato di arrendersi solamente alle brigate Matteotti.
“Voglio consegnare la Repubblica a dei repubblicani e a dei socialisti e non già a dei monarchici e dei reazionari” (Benito Mussolini, 25 aprile 1945[473])
In questo contesto si inserisce ampiamente il cardinale Schuster, che nonostante alcuni interpretano il suo operato nell’imminenza ------- come dettato da ---------------, nella realtà fu chiaramente ed esclusivamente improntato ad impedire il passaggio dei poteri ai socialisti.
Per questo premevano i vari Carlo Silvestri, Edmondo Cione, Germinale Concordia, Pulvio Zocchi, Walter Mocchi e Sigfrido Barghini. Accanto a loro, c’era soprattutto a Salò una vasta “aggregazione più coerentemente e conseguentemente rivoluzionaria, socializzatrice, popolare-nazionale, libertaria. Disponibile, inoltre, quest’ultima, e anzi fautrice, del dialogo con l’antifascismo, proclive alla più ampia democratizzazione della Repubblica, decisa a resistere alle interferenze e alle rapine naziste, inequivocabilmente antiborghese e anticapitalista” (Enrico Landolfi).
Non sorprende che la sede del Partito repubblicano socialista italiano si trovasse nello stesso stabile della redazione clandestina dell’Avanti. Clandestina per modo di dire quindi…
“Ci troviamo di fronte a una situazione piuttosto singolare. In un paese occupato dai tedeschi e sconvolto dalla guerra civile, dove fascisti e antifascisti si battono a sangue sulle montagne e nelle città, un fantomatico gruppo socialista si rivolge al dittatore per chiedere il permesso di organizzarsi e di fare liberamente… opposizione” (Arrigo Petacco[474])
Sull’esperienza della RSI, Enrico Landolfi ha scritto che non fu un unicum: “Fu, viceversa, una sfaccettatissimo prisma, un fenomeno pluralistico. Tanto vero che fu in essa presente quasi tutto lo spettro dottrinario e politico”.
Come abbiamo visto a pag. ------- anche il socialista Filippo Turati fu un tenace sostenitore delle teorie economiche distributiste. Ciò sopprime lo sconcerto su quando il 12 marzo 1944 sul corriere della sera compare un articolo a firma “Giramondo” (pseudonimo del trio Mussolini-Bombacci-Silvestri) che tesse le lodi di Turati “anche negli anni dal 1926 al 1932 quando fu fuoriuscito a Parigi”[475].
Tutto questo mentre la Rsi era sull’orlo della sconfitta, non può non rimandare al ricordo di quando nel 1849 Giuseppe Mazzini fece votare la costituzione della Repubblica romana quando già i francesi di Oudinot erano alle porte di Roma, in modo che quella Carta sopravvivesse.
“Se anche (…) lo straniero dovesse prevalere, questo manifesto rimarrebbe sempre, insieme alle decisioni della Costituente, quale indelebile atto di volontà di una nazione che non cede alla prepotenza, anzi anticipa le direttive ideali per la futura riscossa” (Giorgio Pini[476])
“A noi raccogliere questa fiaccola” (Tiziano Papagni)
Cominciando dal riassumere --------
Da memorie Guido Leto: Mussolini era un “arbitro bonario” e dovette istituire leggi e tribunali speciali solo perché costretto “a capitolare” dopo il fallito attentato subito nell’ottobre 1926 a Bologna. La storia si ripete: Mussolini come Rumor, e Zaniboni come Bertoli. Resterebbe da trovare il mandante di fronte al cui volere Mussolini “capitolò”… dato che oggi si sa davanti a chi capitolò Mussolini, resta da chiarire Rumor. Secondo Mimmo Franzinelli, l’attentato di Tito Zaniboni del 4 novembre 1925 era un “complotto da operetta agevolato e controllato dal ministero dell’Interno”[477].
Oggi se di Merlino e Bertoli non si sapesse la verità, sarebbero degli idoli degli anarchici tanto quanto Valpreda e Zaniboni.
Riguardo il ruolo di Zaniboni dopo il 1945:
“E’ evidente che molti antifascisti, alcuni dei quali funzionari dell’attuale governo, vogliono distruggere testimonianze, documenti e ricevute inerenti i trascorsi rapporti con la polizia politica fascista, prove che potrebbero comprometterli”[478].
L’uccisione di Arpinati, forse perché portatore di segreti sul Pietro Nenni che assieme a lui fondò nel 1919 la sezione bolognese dei fasci di combattimento. ---fratelli Rosselli?— data l’assoluta inutilità di una loro eliminazione per il fascismo… ----
Chissà perché, ma i partigiani non prendevano mai di mira i duri.
“le riforme giuste sono solo quelle che facciamo noi” comunisti –contrarietà a socializzazione
Per quanto possa sembrare assurdo, il motivo per cui al sud si misero a chiamare “di Salò” la Repubblica Sociale Italiana, è perché a Salò aveva sede l’agenzia di stampa Stefani, che nei comunicati ufficiali accanto alla data indicava il luogo in cui si trovava, ovvero Salò. Un po’ come se oggi l’Ansa avesse sede a Frascati, chiamassimo l’Italia “Repubblica di Frascati”…
La lotta contro la mafia intrapresa dal fascismo portò ad un risultato fino allora impensabile, come il decreto governativo del luglio 1939 che aboliva il latifondo in Sicilia. Un altro mattone si aggiungeva agli scopi dei nemici del fascismo, tanto che la guerra non diede il tempo di applicarlo completamente, e dopo ------------. Tutti stigmatizzano le violenze squadristiche anticomuniste dei primi anni ’20, ma pochi mettono lo stesso impegno nel sottolineare la stessa cosa ma in forme ben più ampie e crude avvenute in Sicilia negli anni successivi al 1943 ad opera della mafia. Anzi, esiste addirittura chi cerca di addebitarle ancora una volta ai fascisti! E’ normale: quando un fatto non si può enfatizzare per timore delle reazioni dei veri responsabili, la soluzione è addebitarlo a qualcun altro, cosicché i veri responsabili, ritenendosi soddisfatti, ne permettono la pubblicizzazione. E come è noto i fascisti sono i più funzionali ad essere incolpati di qualunque aberrazione. Il capro espiatorio ideale. Inoltre, nel caso in questione citato, è da dire che gli squadristi degli anni ’20 si opponevano prettamente ad azioni spesso altrettanto violente o coercitive degli avversari derivate dalle solite pretese draconiane determinate dalla propaganda demagogica dei partiti di sinistra, mentre nel 1943 la mafia si opponeva a richieste più che legittime dei contadini siciliani; soprattutto in tema di latifondi da distribuire, che come abbiamo appena visto il fascismo aveva promesso di distribuire e i governi democratici avevano bloccato. Repubblica di Caulonia: i contadini si sfogarono come capro espiatorio sui fascisti, ma si guardarono bene dal toccare i loro sfruttatori, i baroni della mafia.
“La rivoluzione sociale del fascismo, iniziata fin dal primo sorgere del movimento, ha dovuto per alcuni anni seguire un moto lento e non sempre rettilineo a causa degli ostacoli che le classi capitalistiche, protette dalla monarchia, hanno opposto” (Corriere della sera, 26 novembre 1943)
Si pensi che a portella delle Ginestre durante tutti gli anni del fascismo ogni 1° maggio i contadini si erano ritrovati indisturbati a festeggiare. Hanno dovuto attendere l’avvento della democrazia per essere per la prima volta presi a mitragliate. Ed immancabilmente anche in quel caso la solita -----canea----- vorrebbe far passare i ----responsabili------ per fascisti!
Grandi non era nuovo a congiure: iniziò nel 1921 per prendere il posto di Mussolini; a sventarla fu l’ex anarchico Leandro Arpinati. ---- Arrigo Petacco, “Il comunista in camicia nera”, Oscar Mondadori, pag. 144.
Abbiamo già visto in cosa si distingueva praticamente il governo monopartitico della Dc da quello monopartitico del Pnf, cioè in nulla. C’è da chiedersi ----------. Certo, si differenziava nella possibilità di fondare ed aderire ad un partito, e perfino partecipare ad una competizione elettorale per demandare agli elettori quale partito avrebbe dovuto comandare… ma non ci si venga a dire che fosse esistita pure la possibilità che un qualunque partito, risultando il più votato, venga concessa l’effettiva possibilità di governare! L’interpretazione di “democrazia” vigente oggi non solo in Italia è solamente un ipocrita specchio per allodole, un palliativo. La sola cosa che distingue il sistema politico pre 1945 dal post 1945 è solamente l’illusorietà della libertà di pensiero data dalla possibilità di esistenza di più partiti, e dall’implicita e conseguente assenza di norme penali necessarie ad impedirla (esclusa ovviamente quella transitoria riguardante il Pnf). Ma per quanto riguarda tutto il resto, da questo punto di vista non è cambiato nulla nel passaggio tra regime fascista e “democrazia” partitica. Non c’era prima meno libertà e poi di più, nel vero senso di questa parola. La polizia non divenne più gentile, ed i giudici più comprensivi. Sempre le stesse persone erano. La stampa non divenne più libera, ma vi ------- solo la possibilità di leggere quello che si voleva leggere. ----collegare con discorso polizia????------
Il fascismo viene presentato come -----spauracchio------- tanto che nel lessico comune si è cercato e si cerca di trasformare la parola stessa “fascismo” come sinonimo di malvagità. Rimane da dire che per quanto riguarda condanne, confino, vittime, ecc-----------, anche il più fanatico antifascista quando andasse a guardare le statistiche e le testimonianze del tempo non potrebbe far altro che tacciarsi e rimangiarsi tutte le sue superstizioni di fronte all’incolmabilità del paragone non solo con le vere dittature, ma anche con certe sedicenti democrazie! ------- qualche frase di testimoni??? ----------
Barzelletta Berlusconi su Hitler ----- che tanto barzelletta non è. --
Riguardo tempi bui :
Da “Fandonie per rallegrare gli antifascisti” (Ercolina Milanesi):
Carissimi antifascisti, ecco soddisfatta la vostra curiosità:
Il fascismo fu un regime dittatoriale tremendo, difatti furono milioni e milioni gli italiani uccisi che erano di ideologie contrarie; la miseria più nera incombeva sul popolo che, non avendo da mangiare, divenne cannibale; Il Duce, ogni mattina, per colazione si faceva arrostire o bollire due neonati, perché più teneri ovvio, e beveva del sangue al posto del caffè, sangue ebreo o cattolico per lui era indifferente. Tutto il santo giorno faceva l’amore con donne di ogni ceto perché avido di sesso; i lavoratori dovevano lavorare gratis e se disubbidivano, subito la pena di morte. Le città erano buie e sporche e non potevi uscire alla sera perché non sapevi se potevi ritornare, dato che le camicie nere ti uccidevano con un colpo di rivoltella se ti trovavano, logicamente prima ti stupravano e poi la botta di grazia. Gli italiani erano vestiti di stracci, tutti, indistintamente e pure sporchi perché l’igiene era parola sconosciuta. I treni e le ferrovie erano due o tre in tutto il paese e gli aerei ancora sconosciuti; gli asili non esistevano e i bambini erano per strada ha chiedere l’elemosina mentre la madre andava a lavorare, quando poteva; le scuole il Duce non le ammetteva, indi quasi tutti gli italiani erano analfabeti. Le pensioni non esistevano, i lavoratori erano sfruttati dai gerarchi fascisti che facevano vita brillante. I giornali ed i libri erano sconosciuti, nessuno poteva leggere, perché così voleva Mussolini, voleva gente ignorante e basta. Nelle elementari, dato che vi erano solo quelle e non per tutti se gli scolari erano disattenti la maestra li fustigava con un nerbo di bue, così faceva più male. Gli ospedali non esistevano, se uno era ammalato doveva morire per fare posto agli altri. I cinematografi e i teatri erano pura utopia, difatti mai visto uno. Milano sembrava la Corte dei Miracoli di Parigi, talmente priva di case decenti e le strade piene di escrementi umani e spazzatura di vario genere. Era proibito parlare, si doveva sempre stare zitti, solo in casa era permesso. Di cani e gatti non ve ne erano perché il popolo appena ne beccava uno se lo mangiava, data la gran fame che quella sporca dittatura fascista ci imponeva. Potrei continuare ore ed ore a raccontare ciò che fece “il male assoluto” al povero popolo italiano che odiava Mussolini e agognava il comunismo che ti faceva vivere bene e per fortuna dopo la guerra è arrivato. Tutte palle quelli che dicono che il Duce ha fatto delle belle città, che ha bonificato delle terre malsane, non è vero nulla. Il fascismo è stata la vera rovina dell’Italia e per fortuna ora con la democrazia tutti sono felici e contenti, siamo ricchi, pensioni corpose, sanità la più eccellente dell’Europa, libertà assoluta di fare ciò che si vuole, di scrivere ciò che si vuole, di uccidere chi odiamo, perché la magistratura ha il cuore d’oro e non condanna più nessuno. Licenza d’uccidere è questo l’importante e bisogna ringraziare chi ci permette tutto ciò. E pensare che Mussolini era in combutta con la mafia e la camorra e aveva dato loro piena libertà di fare i propri comodi e difatti lo facevano. E mi pare anche giusto perché la libertà è la cosa più bella che essere umano possa avere. Per fortuna che ora siamo con i nostri alleati americani che ci proteggono, ci amano, e la globalizzazione è stata una grande scoperta, come entrare nell’UE dove siamo considerati la migliore nazione. Durante il fascismo non avevamo tutto ciò e per questo osanniamo i nuovi governi, dico al plurale perché cambiano spesso, ma sono tutti il non plus ultra, altro che il deprecato, schifoso fascismo che è repellente solo al pensarci. Ecco vi ho spiegato per benino cosa era il fascismo, così ora saprete la verità apodittica e quando vedrete uno che parla bene del fascismo potete pure sputargli addosso, anzi fucilarlo, come volete fare con me. Tutto ciò che ho scritto è vero e se ve lo dico io, sporca, lurida fascista, potete credermi ed esserne soddisfatti.
“Aspirazioni”
- Nell’intento di evitare che all’angoscia determinata dall’immane sciagura che ha colpito la Patria, possa aggiungersi il timore del semplice ritorno del movimento fascista a quelle deviazioni del passato da cui tante dannose divisioni intestine trassero origine, rendo di pubblica ragione le aspirazioni che, formulate con la collaborazione di camerati di indiscussa lealtà, competenza ed onestà ho portato a conoscenza del segretario del partito:
- Giustizia spietata nei confronti di quegli ex-gerarchi che nei trascorsi venti anni si sono compromessi moralmente o materialmente.
- Eliminazione irrevocabile di quegli iscritti che il 25 luglio, mancando al giuramento prestato, hanno dato prova della loro disonestà morale.
- Il meritato rigore legale contro gli “agitatori” del 26 luglio i quali tradirono il popolo mascherando dietro la sacra parola di libertà i loro sporchi interessi o la loro insana libidine di potere.
- La Rivoluzione riprenda la sua marcia e, libera dai paludamenti che l’appesantirono e dalla retorica che la intristì, rivolga la propria forza contro i profittatori della politica e della guerra, contro i troppi arricchiti – fascisti ed antifascisti -, contro il capitalismo che all’ombra dei nostri vecchi gagliardetti si è ingigantito ed ha spesso impunemente tradito sia lo Stato sia il proletariato italiano.
- Il partito non torni ad essere una espressione numerica priva di contenuto, ma diventi finalmente un’aristocrazia cui ognuno possa volontariamente accedere semprechè possegga fede, competenza e onestà.
- Svincolare dal partito l’azione del sindacato, base dello Stato moderno, e pretendere che a tutti i posti direttivi si pervenga a mezzo di elezioni, così come prescrive la legge 3 aprile 1926.
- Rinnovamento radicale dell’alta burocrazia che, corrotta ed inadeguata ai tempi, ha impedito il libero sviluppo della vita italiana ed ha sempre riversato ad arte, sul fascismo le conseguenze delle sue colpevoli deficienze.
- Adeguamento sollecito degli stipendi, dei salari e delle pensioni all’effettivo costo della vita che nel disordine conseguente al 25 luglio subì incontrollati forti rialzi senza che i redivivi verbosi multicolori demagoghi, nei quarantacinque giorni di loro dittatura, ottenessero per gli impiegati e per gli operai alcun effettivo vantaggio.
- Tutela feroce del piccolo risparmio e spese degli ingenti profitti di guerra comunque realizzati ed occultati.
- Bandire definitivamente dalla vita italiana le rappresaglie, anche se legittime, e le violenze per ripristinare fra noi l’assoluto reciproco rispetto e per riaffermare il nostro alto grado di civiltà. La legge deve però punire severamente chi attenti in qualunque modo alla fraterna solidarietà del popolo di fronte al nemico.
- Eliminazione di tutti i compromessi, nepotismi, incompetenze e sinecure che hanno infestato la vita italiana.
- Libertà di pensiero per gli avversari politici i quali non abbiano tradito la Patria o commesso azioni disonoranti e che non abbiano in alcun modo fiancheggiato l’azione del nemico.
- Permettere ogni critica che non leda l’onore o gli interessi della Patria, ed avvalersene.
- Volere che la vita italiana non si esaurisca in un cerchio chiuso ed anemico, ma sia un arengo in cui ogni energia ed ogni competenza possano liberamente affermarsi per recare il proprio contributo al bene della società nazionale.
- Tenere nella meritata considerazione la cosiddetta borghesia che, in tempo di pace, costituisce il tessuto vitale dello Stato e, in tempo di guerra, con i suoi figli migliori, forma i quadri delle forze armate.
- Sostituire all’interno con veri combattenti i troppi imboscati, ed inviare questi sui campi di battaglia a compiere il proprio dovere ed a conoscere il vero volto del nemico.
- Decentrare, per quanto possibile, dalla Capitale, la vita economica ed amministrativa, restituendo tutta la necessaria autonomia agli istituti ed agli enti economici provinciali e comunali.
- Attuazione di una politica di fermezza, di serietà assoluta, di vera giustizia sociale, di dignità individuale e collettiva, di onestà adamantina, di snellezza legislativa che erano nei prefetti programmi della bella vigilia e che furono frustrati in seguito.
Il commissario della federazione fascista repubblicana – Dino Ronza. Cuneo 28 settembre 1943.
Da La stampa 30 settembre 1943.
Non si vede motivo per il quale oggi non esisterebbe internet.
-----come unire?-------------
L’Italia democratica del 1948 è sintetizzata in due cifre: le spese per la polizia aumentano del 225%, quelle per il culto del 450%, mentre invariate restano quelle assistenziali. --- Pier Giuseppe Murgia, “Il vento del nord”, ed. Kaos, pag. 306.
1948: + 18.000 guardie; +2.000 sottuff.; + 300 ufficiali. Totale polizia: 68.000. + 7.000 anno dopo. Carabinieri + finanza: 180.000.
su 23.000.000.000 lire di nuovi stanziamenti, 21 per pubblica sicurezza.
Italia 1938: 166.855 polizia + carabinieri
Italia 1948: 199.592 + altri 10.000 carabinieri negli anni successivi
Pier Giuseppe Murgia, “Il vento del nord”, ed. Kaos, pag. 324
Non si può ricavarne altro se non, come già detto, che oggi non avremmo maggiori restrizioni alla libertà (che non è la democrazia!) rispetto a quelle che sussistono. Esemplari sono le parole del Questore di Roma Rosario Melfi dopo gli scontri di Valle Giulia del 1968: “Ieri c’è stata una manifestazione di studenti in Spagna, dove c’è la dittatura franchista e sono stati fatti solo tre arresti. Come possiamo giustificare che qui, con un governo nel quale sono presenti i socialisti, arrestiamo ottanta studenti?”[479]. Ciò non toglie che il percorso storico sarebbe stato in ogni caso ben diverso. Ma sinceramente risulta difficile considerare questi ultimi 65 anni come i migliori possibili, e soprattutto ipotizzare prospettive peggiori a seguito della vittoria del fascismo. Il manicheismo del “due pesi e due misure” che vige tutt’oggi ha cominciato a sgretolarsi dopo la fine del comunismo, ed è questo che ha provocato la reazione opposta ben riscontrabile nei media e soprattutto nel cinema, a cominciare dall’indizione di “giornate della memoria” prima impensabili poiché superflue. Ma contemporaneamente pian piano hanno cominciato a venire a galla le verità nascoste da decenni di bugie, rimane da chiedersi quante e quali ancora ci siano tenute nascoste…
“La verità
è la cosa di maggior valore che abbiamo: perciò lasciatecela usare con
parsimonia” (Mark Twain)
immaginare un mondo dove essi possano suonarsela e cantarsela senza contraddittorio? Un pò come era prima della diffusione di internet...
“Un ignorante trova sempre un altro più ignorante che lo ammira” (----???----)
Refrattari alla logica – ostracismo - bugiardi impenitenti
Inevitabile la reazione, soprattutto alla diffusione di quella fucina di libertà di pensiero che è internet. E conseguente è l’aumento esponenziale di leggi repressive e di condanne. Nella sola Germania, uno dei paesi più repressivi, dal 1994 ad oggi si possono stimare in 200.000 le persone processate per reati di opinione. Difficile reperire i dati sugli altri 12 paesi europei dove esiste una legislazione liberticida analoga. Grazie a Dio l’Italia non rientra tra questi, per ora.
“Il comitato conoscitivo presieduto dalla Nirenstein si augura che presto anche in Italia si affronti a livello legislativo questo complesso problema” (dall’“Opinione” del 22 aprile 2010, articolo di Dimitri Buffa)
Sembra una presa in giro che i repressori ne parlino così, come se avessero ragione loro. Oltre al danno, pure la beffa. Un “suonarsela e cantarsela” veramente odioso nella sua arroganza. Un ipocrisia indecente, considerando che spesso giunge dalle stesse persone che si riempiono presuntuosamente la bocca di parole come “libertà” e “diritti umani”, rendendo palese come lo interpretino solamente a loro uso e consumo. Potrebbe essere ignorato, se non avesse profonde influenze sulle vite di tutti. Come se l’esperienza storica non avesse insegnato nulla. Almeno quella vera, non quella inventata. Ma quella vera è ancora sconosciuta ai più. Essi vi fanno notare come a piazzale Loreto furono fucilati dei partigiani, ma nessuno specifica che ciò fu provocato da una bomba messa dai partigiani che uccise sei passanti in fila per la spesa. Definire con il termine “nazifascisti” delle persone comuni vittime di vendette personali è veramente indicativo di come usino nascondersi dietro un dito usando terminologie quasi che il soggetto indicato sia una specie di “non-persona”. Qualcuno che ci osservasse dall’esterno, da un altro pianeta, come potrebbe conciliare che per due fatti pressoché identici, come ad esempio l’attentato di Cà Giustinian a Venezia il 27 luglio 1944 e la bomba di piazza Fontana del 12 dicembre 1969, per uno gli autori vengano declamati come dei rifulgenti eroi, e per l’altro da 40 anni vengano (giustamente) braccati come crudeli assassini? --- altro paragone, via Rasella - rapimento Moro – o altro?---- Perché chi mette una bomba a tradimento è o un eroe o un assassino a seconda dei punti di vista? Come giustificare questo due pesi e due misure? Chi lo giustifica dovrebbe farsi un bell’esame di coscienza prima di essere sicuro di andare in paradiso…
“Onesto è colui che cambia il proprio pensiero per accordarlo alla verità. Disonesto è colui che cambia la verità per accordarla al proprio pensiero” (Andrea Carancini)
Inutile porre certe domande ai diretti interessati, si avrebbe di risposta uno dei soliti ritornelli, che quando non sono falsità o farneticazioni sono perlomeno “arrampicate su specchi”, o i cavilli giuridici che essi tanto adorano finché gli torna comodo. Stando alla loro logica, anche la più feroce orda barbarica era completamente in regola, dato che allora non esistevano norme internazionali che vietavano i crimini di guerra. Secondo i loro ragionamenti, anche chi ha messo la bomba in piazza Fontana potrebbe benissimo difendersi dicendo che lui lo vedeva come un “legittimo” atto di guerra.
“Ricevetti un ordine di un mio superiore militare appartenente all’organizzazione di sicurezza delle forze armate, che non ha finalità eversive ma si propone di proteggere le istituzioni contro il marxismo. Questo organismo non si identifica con il SID. Mi risulta che non ne facciano parte solo militari ma anche civili, industriali e politici. soltanto un vertice conosce tutto e ai vari livelli si rinvengono dei vertici parziali. Tale organizzazione è militare, ma ce n’è una parallela di civili. Al vertice dell’organizzazione militare stanno senz’altro dei militari; non posso dire che si tratti della vecchia struttura di De Lorenzo: io posso conoscere un superiore e un inferiore a me, niente di più. (…) L’organizzazione serviva a garantire il rispetto del potere vigente e dei patti NATO sottoscritti riservatamente, nonché del regime sociale ed economico indotto da tali strutture. La filosofia ispiratrice è quella dell’appartenenza dell’Italia al blocco occidentale inteso come immutabile, mobilitato permanentemente contro il comunismo e finalizzato ad impedire l’ascesa alla direzione del paese da parte delle sinistre” (Amor Spiazzi, verbale 4 e 12 maggio 1974[480])
Chi è che ne decide la legittimità o meno? I giudici, certo, ma per quale motivo dovrebbe essere il loro punto di vista quello giusto? Resta da stabilire la morale, che non è certo legata a principi giuridici stabiliti dall’uomo. Difficile ipotizzare che se esista veramente un paradiso ed un inferno gestiti da un Dio giusto come la Chiesa sostiene, personaggi quali Churchill, Roosevelt, Truman, Harris, Dayan, Badoglio, Pertini, Moranino, Bentivegna (e soci), dimorino presso le amorevoli braccia di Dio. Davvero difficile ipotizzarlo.
Rimane l’interrogativo sull’alternativa possibile se gli esiti fossero andati diversamente. La “terza ondata” che avrebbe travolto la borghesia avrebbe reso possibile applicare il sistema al quale questo libro aspira fornire una versione pratica. Non avremmo avuto il terrorismo, le crisi economiche, la droga, i colpi di Stato, la quantità di guerre che ci sono state, i morti per mafia. In che numeri sono calcolabili le vittime di queste carneficine, a fronte delle 3 condanne a morte eseguite durante il ventennio fascista[481]? Nei soli 47 giorni del governo Badoglio nel 1943 la repressione con arresti e morti raggiunse un apice di gran lunga maggiore che tutti i precedenti 21 anni di fascismo! Se “il buon giorno si vede dal mattino”…
Dall’editto “Op 44” di Badoglio: “si apra il fuoco a distanza anche con mortai e artiglieria, senza preavvisi di sorta, come se si procedesse contro truppe nemiche”. Arrigo Petacco commenta così: “sembrano gli ordini di un gauleiter nazista impazzito” – “invece sono le disposizioni del nuovo governo”[482].
Lecito è chiedersi se simili ordini fossero arrivati da Mussolini cosa se ne direbbe oggi… se già si dice peste e corna per frasi palesemente false, come quella del freddo che elimina le mezze calzette…
“Con la morte
di Mussolini scompare uno dei più grandi uomini politici cui si deve
rimproverare solamente di non aver messo al muro i suoi avversari politici”
(Stalin)
Questo rese chiaro perché il
fascismo perse la sua guerra interna; è la beffa dopo il danno. Badoglio mostrò
come si avrebbe dovuto agire da sempre. Tanto
da arrivare a potersi permettere impunemente di ordinare pressoché letteralmente
l’omicidio di Ettore Muti. Dal 26 luglio all’8 settembre i
tribunali militari giudicano 3.500 persone, con condanne che vanno dai 6 mesi a
18 anni di reclusione. 35.000 sono le persone complessivamente arrestate;
mentre ammontano a 93 morti e 536 feriti le vittime della violenza militare e
poliziesca nelle strade. E non finisce li: il 19 ottobre 1944 a Palermo i soldati sparano sulla
folla che chiede pane, provocando 30 morti e 150 feriti, per la maggior parte
bambini. Il 16 settembre 1944 ebbe inizio la delega dallo Stato alla mafia della
repressione, quando una squadra di mafiosi comandati da Calogero Vizzini spara
contro un comizio comunista; sullo stile gangsteristico tipicamente americano,
culminato nella strage di Portella delle Ginestre. Tra il 1946 ed il 1947 19
dirigenti del movimento contadino contro il latifondismo sono assassinati dalla
mafia.
“Sono fermamente convinto che
il sistema adottato al tempo della vecchia e rispettata mafia debba tornare
sulla scena siciliana, in quanto l’unico in grado di controllare la situazione”
(Generale Giuseppe Castellano, gennaio 1945)
Tra il luglio 1943 e l’agosto
1944 9.000 sono le persone arrestate nella sola Sicilia per mancato
conferimento di grano agli ammassi, ben più che durante i precedenti tre anni
di guerra. Tra l’altro questo reato fu quello per cui Salvatore Giuliano si
diede alla latitanza.
Tra il 1948 e il 1953, 93.000 persone sono processate per reati politici e di questi 61.243 sono condannati a complessivi 20.426 anni di carcere; 164 lavoratori sono licenziati dalla sola Fiat per aver svolto attività sindacale[483]; nei conflitti con le forze dell’ordine 75 persone vengono uccise e 5.104 ferite. E tutto questo senza elencare i massacri compiuti dai partigiani; in merito la bibliografia è fin troppo ampia. E non certo grazie all’ultimo arrivato Giampaolo Pansa. Un fatto certo ed indicativo è che sono morti più italiani nel periodo che va dall’8 settembre ’43 al 25 aprile ’45 che durante la guerra guerreggiata. Come spiegarlo a quelli che il 25 luglio ’43 esultarono per la fine della guerra?
Eppure ogni anno ancora ci ritroviamo a festeggiare una sconfitta, al
suono di quello che in fin dei conti pare più che adeguato all’occasione, lugubri canti tipo “bella ciao” e “fischia il vento”, che sembrano
piuttosto marce funebri. Come non contrapporvi l’allegra vitalità
goliardica ed autoironica espressa dai canti dei fascisti repubblicani?
I cittadini di Pedescala sono gli unici ad aver dimostrato un minimo di dignità rifiutando nel 1983 la medaglia dalle mani di un rancoroso assassino fiero di esserlo.
“Mai prima d’ora il buon nome d’Italia è caduto tanto in basso nella mia stima” (generale Dunlop) –riguardo l’eccidio di Schio --- l’unità 15 luglio 1945
Un altro amico lettore mi chiede se credo che Silvio Berlusconi abbia
qualcosa a che vedere con la mafia. Caro amico – rispondo – dopo quanto ho poco
sopra ricordato, che importanza può avere se sia vero che questo o quello
abbiano qualcosa a che dividere con la “criminalità organizzata” ? La “liberazione”
ci ha gettato in una fossa malsana nella quale sguazziamo tutti. E non vedo via
d’uscita.
E allora, o italiani, dopo essere stati “liberati” a seguito di una vittoria
del gangsterismo americano, Vi sareste aspettati amministratori onesti e capaci?
Scuole funzionanti? Delinquenza domata? Una equa distribuzione delle ricchezze?
La libertà dallo straniero? Un territorio sotto controllo? Città ordinate e
pulite? Il rispetto per il cittadino? Una sanità funzionante? L'unità e la
solidità delle famiglie? Il rispetto per il crocifisso? Il rispetto degli orari
di lavoro? Il controllo dell’usura? La salute dell'infanzia? Una Giustizia
giusta?
Risponde Alessandro Mezzano con un recentissimo scritto, che propongo: <
Solo il Fascismo, con il pensiero di Benito Mussolini, che fu senza dubbio
alcuno, oltre che l’unico vero rivoluzionario del XX° Secolo il suo più grande
statista, era riuscito a spazzare le ragnatele della politica lanciando
finalmente nuove idee, moderne, originali e risolutive che ancora oggi sono di
attualità per la semplice ragione che sono in grado di risolvere l’eterno
conflitto tra ricchi e poveri, tra capitale e lavoro, tra egoismi e solidarietà
individuando la terza via che, con la mediazione attiva del potere di uno Stato
etico, era riuscito a trasformare i conflitti in sinergie e le differenze in
complementarità nell’ambito di una Nazione compatta e solidale! Tutta la
legislazione del ventennio, che culminò con l’apoteosi della socializzazione
che vide i lavoratori nei Consigli di Amministrazione delle aziende, è stata
una ininterrotta marcia verso la realizzazione di quegli ideali ed ancora oggi,
l’intero impianto dello Stato sociale italiano è retaggio del Fascismo> .
La conferma di quanto detto in quest’ultima parte di capitolo ci arriva anche dalle vicissitudini della Francia di Vichy, dove in seguito alla sconfitta contro la Germania nazionalsocialista il governo fu affidato e preso da uomini pressoché tutti usciti, in un momento o in un altro, dalla sinistra, ed in particolar modo dalla S.F.I.O.[484], “per una nuova Francia socialista”, come recitava un famoso manifesto petainista. Il parlamento che votò la fiducia a Petain era composto dalle stesse persone di quello che aveva portato al potere il fronte popolare 6 anni prima. Doriot, il capo stesso del partito popolare francese, era stato una persona di spicco del partito comunista francese. puntualizzare che Francia Vichy solo fino novembre 1942. –---- resistenza solo da allora? Ebrei?
A Tolone la flotta francese di autoaffondò per paura di un’altra Mers El Kebir, non per non far cadere le navi in mano dei tedeschi! ----Darlan?
“Il Fascismo è l’unico socialismo possibile” (Benito Mussolini) questa al posto di quella fascismo=corporativismo?
Altrimenti strana parrebbe la contrapposizione dei vari partiti fascisti mondiali ai partiti borghesi, soprattutto in sudamerica dove normalmente i fascisti per primi erano vittime di repressione da parte dei dittatori borghesi (Batista, Vargas, ecc). Difatti malgrado si cerchi di far passare per fascismo ogni regime dittatoriale di tipo sudamericano, ciò stride con il dato di fatto che in molti di quei paesi definiti fascisti esistevano effettivamente dei partiti fascisti, ma essi erano proprio i principali obiettivi della repressione governativa! Come conciliare le due cose???
La più grande differenza tra la dittatura del fascismo e quella del liberismo è assodatamente quella che il fascismo voleva coinvolgere le masse nella vita politica, mentre le dittature borghesi vogliono estrometterle. Una differenza inconciliabile.
In definitiva, guardando la luna e non il dito, la causa dei guasti del sistema sociale è in un sistema economico basato sulla speculazione competitiva e sul concetto di accumulazione illimitata del denaro come numero e non come simbolo di qualcosa di realmente esistente, e che giustifica eticamente la visione liberista di “proprietà”, anziché sulla produzione fine alla soddisfazione delle necessità. La concausa è da addebitarsi a quel sistema politico che ha permesso e protetto tutto ciò: la democrazia liberale. Quindi la socializzazione non può sussistere in un sistema socio-politico di questo tipo, ma deve sostenerne uno adeguato alle sue esigenze. La base di questo suo sistema politico deve essere l’elitarismo meritocratico, col rifiuto dei suoi opposti: oligarchia plutocratica da un lato, e uguaglianza livellante dall’altro.
«Eventuali tendenze al collettivismo bolscevico non costituirebbero affatto un estremismo dinamico rispetto al programma sociale del Fascismo repubblicano: costituirebbero invece un richiamo reazionario verso forme di supercapitalismo statale quali quelle bolsceviche, che la nostra Rivoluzione considera altrettanto sorpassate quanto una società che si basi sulla conservazione borghese» Testo della dichiarazione sociale del Direttorio Nazionale del Partito Fascista Repubblicano, Milano 4.4.1945.
Mussolini può essere accusato di ingenuità, difatti già in precedenza Antonio Labriola alludendo chiaramente alla strategia fabianista definendola “socialismo unilaterale” ne aveva previsto il fallimento finale allorquando avesse raggiunto un certo punto critico: “Pretendere che questo sistema di fatti, che la classe dominatrice si è venuto costituendo a gran fatica, attraverso i secoli, con la violenza, con l’astuzia, con l’ingegno, con la scienza, ceda le armi, ripieghi, o si attenui, per far posto ai reclami dei poveri, o ai ragionamenti dei loro avvocati, gli è cosa folle. Come chiedere l’abolizione della miseria, senza rovesciare tutto il resto? Chiedere a questa società, che essa muti anzi rovesci il suo diritto, che è la sua difesa, gli è chiederle l’assurdo. Chiedere a questo stato, che esso cessi dall’essere lo scudo e anzi il baluardo di questa società e di questo diritto, è volere l’illogico. Cotesto socialismo unilaterale, che, senza essere strettamente utopistico, parte dal preconcetto che la storia ammetta la errata-corrige senza rivoluzione, ossia senza fondamentale mutazione nella struttura elementare e generale della società stessa, o è una ingenuità, o è un imbarazzo. La sua incoerenza con le rigide leggi del processo delle cose si faceva chiara appunto in Proudhon; che, o riproduttore inconsapevole, o diretto ricopiatore di alcuni dei socialisti unilaterali inglesi, voleva intendere, fermare o mutare la storia su la punta di una definizione, o con l’arma di un sillogismo” (Antonio Labriola, “In memoria del manifesto dei comunisti”). E difatti così fu, il 25 luglio 1943.
“Dicono che ho errato, che dovevo conoscere meglio gli uomini, che ho perduta la testa, che non dovevo dichiarare la guerra alla Francia e all’Inghilterra. Dicono che mi sarei dovuto ritirare nel 1938. Dicono che non dovevo fare questo, e che non dovevo fare quello. Oggi è facile profetizzare il passato. […] Ho una documentazione che la storia dovrà compulsare per decidere. Voglio solo dire che, a fine maggio e ai primi di giugno del 1940 se critiche venivano fatte erano per gridare allo scandalo di una neutralità definita ridicola, impolitica, sorprendente. La Germania aveva vinto. Noi non solo non avremmo avuto alcun compenso; ma saremmo stati certamente, in un periodo di tempo più o meno lontano, invasi e schiacciati. […] Qualunque cosa detta da loro è la verità. Mi sono chiesto la ragione di questa specie di ubriacatura collettiva. Sapete che cosa ho concluso? Ho concluso che ho sopravvalutato l’intelligenza delle masse. Nei dialoghi che tante volte ho avuto con le moltitudini, avevo la convinzione che le grida che seguivano le mie domande fossero segno di coscienza, di comprensione, di evoluzione. Invece, era isterismo collettivo... […] Ma il colmo è che i nostri nemici hanno ottenuto che i proletari, i poveri, i bisognosi di tutto, si schierassero anima e corpo dalla parte dei plutocrati, degli affamatori, del grande capitalismo. […] Ho qui delle tali prove di aver cercato con tutte le mie forze di impedire la guerra che mi permettono di essere perfettamente tranquillo e sereno sul giudizio dei posteri e sulle conclusioni della Storia. Non so se Churchill è, come me, tranquillo e sereno. Ricordatevi bene: abbiamo spaventato il mondo dei grandi affaristi e dei grandi speculatori. Essi non hanno voluto che ci fosse data la possibilità di vivere. Se le vicende di questa guerra fossero state favorevoli all’Asse, io avrei proposto al Fuhrer, a vittoria ottenuta, la socializzazione mondiale: frontiere esclusivamente a carattere storico; abolizione di ogni dogana; libero commercio fra paese e paese, regolato da una convenzione mondiale; moneta unica e, conseguentemente, l’oro di tutto il mondo di proprietà comune e così tutte le materie prime, suddivise secondo i bisogni dei diversi paesi; abolizione reale e radicale di ogni armamento. Colonie: quelle evolute erette a Stati indipendenti; le altre, suddivise fra quei paesi più adatti per densità di popolazione, o per altre ragioni, a colonizzare ed a civilizzare; libertà di pensiero e di parola e di scritto regolate da limiti: la morale, per prima cosa, ha i suoi diritti. Ogni religione liberissima di propagandarsi: siamo stati i primi, i soli, a ridare lustro e decoro e libertà e autorità alla Chiesa cattolica. Assistiamo a questo straordinario spettacolo: la stessa Chiesa alleata ai suoi più acerrimi nemici. […] Anche in questo campo, gli stessi uomini che oggi non vogliono vedere, saranno unanimi a deprecare la loro pazzia o la loro malafede. Se la vittoria avesse arriso a noi, questo programma avrei offerto al mondo e ancora una volta, sarebbe stata Roma a dare la luce all’Umanità. Cercherò che il mondo sappia la verità assoluta e non smentibile di come si sono svolti gli avvenimenti di questi cinque anni. La verità è una.” (dal testamento politico di Mussolini dettato a Gian Gaetano Cabella, direttore del “Popolo di Alessandria”, 22 aprile 1945)
2.8 Dirigismo marxista e meritocrazia
“Io penso che lo Stato debba rinunziare alle
sue funzioni economiche, specialmente a carattere monopolistico, per le quali è
insufficiente. Penso che un governo, il quale voglia rapidamente sollevare le
popolazioni dalla crisi del dopoguerra, debba lasciare all’iniziativa privata
il suo libero gioco, debba rinunziare ad ogni legislazione interventistica o
vincolistica, che può appagare la demagogia delle sinistre, ma alla fine
riesce, come l’esperienza dimostra, assolutamente esiziale agli interessi e
allo sviluppo dell’economia” – Benito Mussolini alla camera di
commercio, 18 marzo 1923
La socializzazione è una costruzione paradossalmente anti-costruttivista (“planismo”[485]), perché fondata proprio sul lasciare alla spontaneità (“laissez faire”) il più possibile ogni ambito della società, affidando ai privati, aziende, e organismi super-aziendali (consorzi e corporazioni) anche le responsabilità che oggi sono affidate allo Stato, e basando le regole sociali sul condizionamento anziché sulla coercizione, secondo il “Teorema di Baumol-Oates”[486], in modo da limitare la possibilità del sorgere del “dilemma del prigioniero”, per prevenire anziché curare i risvolti dell’“homo homini lupus” e “l’occasione fa l’uomo ladro”. Del “laissez faire” è quindi l’apoteosi, risultando addirittura un accentuazione del capitalismo, ma in modo MERITOCRATICO, non anarchico individualista.
“Il lavoro
dipendente oltre ad essere una schiavitù dell’uomo, come abbiamo accennato, è
un lavoro privo di incentivo al lavoro stesso, perché il lavoratore
(produttore) è un salariato e non un socio. Chi lavora per conto proprio è
maggiormente dedito al suo lavoro produttivo, avendo a incentivo nel dedicarsi
al proprio lavoro l’agire per soddisfare i propri bisogni materiali, chi lavora
in un’azienda socialista è socio dell’azienda, ed è altresì dedito al suo
lavoro produttivo, poiché da quella produzione dovrà trarne di che soddisfare i
propri bisogni. Chi invece lavora alle dipendenze degli altri non ha incentivo
che lo spinga al lavoro. Il lavoro salariato mette in crisi l’incremento e lo
sviluppo della produzione. Ciò accade sia quando è svolto in una attività di
servizi sia quando si esplica in una attività produttiva. Esso è soggetto ad un
continuo deterioramento in quanto si fonda sul sacrificio dei salariati”
(Dal “Libro verde” di Muhammar Gheddafi)
Una vera meritocrazia non può altro che giovare all’economia e all’uomo. Questo lo si può capire anche oggi vedendo il cambiamento che avviene repentinamente in una persona quando da dipendente diventa proprietario. Chi abbia assistito personalmente a questa tipica metamorfosi concorderebbe certamente sulla distribuzione della proprietà e sull’eliminazione del castrante concetto stesso di dipendenza salariata, vera schiavitù concordata. A chi non avesse presente ciò, basterà appurare la ben nota differenza di produttività tra un latifondo e l’appezzamento di un coltivatore diretto, intese sia per lavoratore che per ettaro, per constatare di quanto il lavoro dipendente sia meno produttivo rispetto a quello in proprio. E’ una cosa logica, non dovrebbe servire ricorrere agli studi in merito di management scientifico delle relazioni umane di Mary Parker Follett o di William J. Dickson, o di Fritz Roethlisberger. Non dovrebbe nemmeno essere necessario dover ricorrere all’esempio del comunismo sovietico, dove nella pratica si riproduce il capitalismo con la sola differenza che esiste un solo e unico grande proprietario che è lo Stato e dove non vi è alcuna partecipazione o condivisione del potere da parte dei lavoratori, bensì lo Stato si sostituisce ai capitalisti riproducendo i meccanismi tipici del capitalismo privato. Cambia solamente il soggetto, è lo “Stato” che possiede i mezzi di produzione, gestisce il plusvalore, e decide i prezzi. Ma lo Stato in quanto entità astratta non ha la capacità né l’interesse primario di ------. I motivi dell’inefficienza del sistema pubblico sono ampiamente dimostrati dai bilanci del casinò di Venezia. I casinò per antonomasia sono attività nelle quali il tasso di rendimento è notevolmente alto, motivo per il quale sono fortemente regolamentati (San Marino, ad esempio, non poté aprire un casinò per le pressioni dell’italiano Mario Scelba). La gente affluisce, svuota le proprie tasche, e se ne va: il non plus ultra del lucro. Eppure oggi il casinò di Venezia è in perdita. Il punto è questo: non è realmente in perdita, è che i forti guadagni vengono suddivisi tra tutta la nomenclatura politica che ci gira attorno (dipendenti e pseudodipendenti), cosicché al proprietario (comune di Venezia) non rimane nulla. Se il proprietario fosse un privato darebbe l’aut aut alla predazione dei rendimenti da parte dei propri amministratori, ma un ente composto di 300.000 piccoli azionisti (ovvero il Comune di Venezia) come potrebbe avere voce in capitolo, quando il suo stesso rappresentante è il manager a capo di quella nomenclatura che sottrae a man bassa gli introiti?
casinò di Venezia in perdita, perché? Già messo? –gallina da uova d’oro – percentuale salari e plusvalore di aziende - + impresa piccola = + % plusvalore. + impresa grande = - % plusvalore.
“scambio sovietico”: paghiamo poco ma chiediamo poche prestazioni, chiudendo gli occhi davanti corruzione, assenteismo, lassismo, inefficienze, doppio lavoro e lavoro nero. ----- Lodovico Festa, Giulio Sapelli, “Capitalismi”, Boroli ed, pag. 64.
“Il lavoro d’equipe è essenziale. Ti permette di dare la colpa a qualcun altro” (Arthur Bloch)
A parte l’Iri ed altri ambiti statali (nel sistema liberal-democratico pur sempre suscettibili degli stimoli della concorrenza e del consenso politico), dell’inefficienza tipicamente sovietica ne è sempre esistito un triste presagio come assaggio, riscontrabile direttamente da chiunque anche in Italia, il quale seppur nel suo piccolo è assai indicativo di cosa ci sarebbe aspettato in caso di presa del potere da parte dei comunisti: chi ha bevuto una bibita in una sezione del Pci avrà sicuramente ben presente quel tipico retrogusto di detersivo che ne faceva una caratteristica peculiare, uguale in tutte le sezioni. Ciò era dovuto al disinteresse nel limitare gli sprechi di detersivo e nel risciacquare decentemente i bicchieri. Un “bicchiere di comunismo” avrebbe dovuto far passare a chiunque la voglia di persistere su quella strada, eppure quelli continuavano a trangugiarli come fosse un nettare sublime. E a votarli. Che dire? Alla faccia dell’ipnosi!
In Italia, fin dal 1933 il paese occidentale con la maggior percentuale di aziende statali, la loro gestione era affidata all’I.R.I., ed il suo noto deficit costante da l’idea di quanto inefficiente sia il sistema statalista. Il comunismo applicato in URSS altro non era che capitalismo di Stato, come se in Italia ogni attività economica (fino al più piccolo negozio) fosse stata di proprietà dell’IRI ed i gestori suoi dipendenti salariati. L’italiana IRI era “economia comunista” inserita in uno Stato per il resto capitalista. Questo significa implicitamente che l’Italia é stata fino agli anni ‘90 una nazione parzialmente comunista, a metà strada tra USA e URSS; meno comunista della Jugoslavia, ma più della Francia.
“Le spese del governo ammontano al 45% circa del prodotto interno lordo. Secondo quest’analisi, il governo possiede il 45% dei mezzi di produzione che fanno il PIL. Gli USA sono oggi al 45% socialisti” (Milton Friedman)
Così era per molte altre nazioni, ad esempio gli accordi tra Churchill e Stalin del 9 ottobre 1944 prevedevano percentuali di “comunistizzazione” dei paesi balcanici[487]. Anche la “strategia della tensione e degli opposti estremismi” non era finalizzata solo a determinare se uno Stato avrebbe dovuto diventare comunista o meno, ma anche quanto. Difatti la percezione sociologica della forza di un partito comunista in un paese non sta solo nel pericolo che esso prenda effettivamente il potere, ma anche nel determinare psicologicamente le propensioni delle singole persone, che vengono ad influire in tutto il sistema socio-economico. E questo si esplica anche nei singoli atti, quali gli scioperi e le occupazioni delle fabbriche, le “autoriduzioni” e le “spese proletarie”. Si pensi anche ad una disposizione banale come l’introduzione del registratore di cassa, che nel -----anno???----- provocò la cessione anticipata o la chiusura di migliaia di attività di anziani commercianti che in alternativa avrebbero potuto prosperare per altri anni ancora. Tanto più un partito comunista è forte, e tanto meno sicuri verranno considerati gli investimenti in quel paese (a causa della percezione del pericolo di vederseli espropriare da un momento all’altro allorquando raggiunga il potere), quindi i tassi di interesse si alzeranno, la moneta si svaluterà, ma contemporaneamente anche il valore reale degli immobili crollerà, e tuttociò si scaricherà in inflazione e/o disoccupazione; si potrebbe perfino stilare un perfetto “modello” economico indicante il modificarsi di tali valori al crescere dei voti di un partito comunista! L’ostacolare l’ascesa della sinistra al governo non era una lotta di potere fine a se stessa, ma atta ad impedire i risvolti negativi che tale ascesa avrebbe direttamente comportato. Questo soprattutto perché tanto più è risicata una maggioranza e tanta più difficoltà avrà a far approvare le sue decisioni, con relativa ingovernabilità e necessità di venire a compromessi con le forze di opposizione ovvero attuare una politica che potrebbe risultare sgradita ad alcuni elettori delle forze di governo (ed ai propri stessi parlamentari, rendendoli “franchi tiratori”), o addirittura arrivare a barattare ministeri ai comunisti. Senza contare le istituzioni locali, molto facilmente cedibili nelle mani di forze che nel governo nazionale sono all’opposizione, e tramite i poteri delegati influenzare limitati ma pur sempre ------ ambiti dell’economia dell’istituzione tramite legislazioni soprattutto fiscali, col risultato di indurre una fuga di capitali dal territorio di quell’istituzione, e provocando l’impossibilità di applicare oltre un certo livello ogni decentramento federalista. Questo è il motivo per cui solo da pochi anni è stato concesso l’uso di armi ai vigili urbani; prima non veniva ritenuto sicuro armare delle potenziali milizie agli ordini di sindaci comunisti. Il problema dell’accesso dei comunisti ai ministeri non è problematico solamente per le decisioni future che vi prenderanno, ma anche per la possibilità che accedano a documenti scottanti emessi dai precedenti ministri; soprattutto quelli riguardante i rapporti con gli alleati della Nato.
“Una significativa partecipazione dei partiti comunisti al governo investe direttamente le relazioni con gli Stati Uniti. Investe direttamente le relazioni con la Nato. Ed è diretta a produrre in questi paesi un cambiamento di priorità che cambierà la natura del mondo come adesso lo conosciamo” (Henry Kissinger, 6 marzo 1976[488])
--------cosa è una crisi di governo qui?-------- la maggioranza relativa che conduca alla difficoltà di ottenere dal parlamento il voto che dia fiducia al governo causa le crisi di governo, ovvero una situazione nella quale i governi proposti non ottengono la fiducia dal parlamento. Quando ciò accade il paese rimane privo di un governo ovvero privo dell’istituzione atta a prendere le decisioni.--------------------
27 giugno 1983: elezioni, crollo Dc - 28 giugno 1983: crollo borsa, -8,6%.
28 giugno 1981 governo Spadolini primo pentapartito - 7 luglio 1981 borsa –20%
Dopo il referendum sulla scala mobile del 10 giugno 1985: borsa +3,7%
Tale valutazione di pericolo non viene percepita solamente dal punto di vista della forza elettorale, ma anche del grado di infiltrazione di elementi comunisti nei gangli degli altri poteri dello Stato (soprattutto nel sistema giudiziario ed in quello scolastico), teorizzata da Antonio Gramsci, che soprattutto in paesi come l’Italia e la Francia ha determinato e determina tutt’oggi le gerarchie in certi ambiti della società (“intellighenzia”), e sulla cui prassi abbiamo un esempio lampante nell’“operazione Guttuso[489]”.
“Sventare la criminosa solidarietà che permette soltanto agli artisti comunisti (pittori, scultori, musicisti, letterati, registi e simili) di dominare le mostre e i concorsi, di accaparrare i premi istituiti col danaro pubblico, di far suonare a proprio favore, senza reali meriti, le trombe della stampa e della notorietà, infine di avvelenare le menti di quanti leggono, ascoltano e ammirano le opere premiate” (punto 9 presentato da Enrico Mattei al convegno 1951[490])
Picasso non fece mai una mostra nella Madrid franchista non perché fosse comunista, ma perché ciò avrebbe significato il crollo del valore internazionale dei suoi quadri.
“Qualsiasi violazione compiuta dai comunisti […] come per esempio inserirsi in una nuova maggioranza o peggio ancora penetrare, non fosse che con un sottosegretario alle poste e telecomunicazioni in un gabinetto ministeriale – costituirebbe un atto di aggressione talmente grave […] da rendere necessaria l’attuazione […] di un piano di difesa totale. Vale a dire l’intervento diretto, deciso, e decisivo delle forze armate” (Enrico De Boccard al convegno dell’Istituto Pollio[491]) -------------non qui???-------------
-----Forza e carisma di un governo infondendo fiducia garantisce il rispetto degli investimenti e del valore della moneta.------
si pensi a quando Gheddafi nel 1970 espropriò tutte le proprietà italiane in Libia.
prestito a Stato per guerra: Stato vince, restituisce grazie a prede di guerra. Perde? Compagnia indie e Napoleone.
“La sensazione di sicurezza personale data dal possesso del denaro è forse la forma e l’espressione più acuta della fiducia nell’organizzazione dello Stato e nell’ordine sociale” (G.------ Simmel)
Chi, nel 1959, a parità di prezzo avrebbe preferito acquistare casa a Cuba piuttosto che in Svizzera? O aprire un conto bancario? Solo un idiota! E di conseguenza chi avesse inteso vendere la sua casa cubana avrebbe dovuto abbassarne notevolmente il prezzo. Ed i cubani avrebbero portato i loro soldi in banche all’estero. Un portoghese che il 24 aprile 1974 avesse dato una caparra per l’acquisto di una casa, due giorni dopo avrebbe preferito perdere la caparra che rischiare realisticamente di perdere l’intero prezzo della casa, seppur come sappiamo in quel caso questo timore alla fine si rivelò esagerato. Primo governo Mitterrand (1981?) punito con la fuga dei capitali francesi. ---mercato e società pag. 218. Ecco spiegato anche il valore del golpe di San Marino del 1957, seguito da una notevole crescita economica di quello Stato fino allora bloccata appunto dal comunismo al governo (quantomeno nella percezione psicologica di ciò). Anche se solo nel suo piccolo, quel golpe è paragonabile come prototipo a quelli tipici sudamericani, condividendone gli stessi motivi, scopi, e risultati, ad esempio di quello di Pinochet in Cile. Nel 1972 la moneta cilena aveva raggiunto un’inflazione del 140%. La combinazione di inflazione e calmieramento dei prezzi ordinato dal governo di Allende diede vita al mercato nero, con la conseguente scomparsa dei maggiori beni di prima necessità dagli scaffali dei negozi. Si può citare anche l’esempio del “centro-sinistra” italiano, con la nazionalizzazione delle industrie elettriche nel 1962; in quel caso le ulteriori aspirazioni nazionalizzatrici dei socialisti (il secondo bersaglio era il settore assicurativo, il terzo l’industria saccarifera) furono scoraggiate solo dal paventato colpo di Stato chiamato “piano solo”; cosicché lo sbandierato “centro-sinistra” si ridusse a mera strategia di potere, dato che gli altissimi risarcimenti concessi agli azionisti delle aziende elettriche resero finanziariamente più deleteria che utile ai consumatori italiani quella nazionalizzazione. Paradossale ma indicativo è che seguì al governo Tambroni, il quale porta conferma di quanto detto, in quanto durante il breve periodo di quel governo l’economia italiana ebbe un improvviso apice (Pil + 8,3%, massimo storico) chiaramente dovuto all’effetto psicologico indotto dalla percezione di un governo di destra, per poi crollare improvvisamente assieme a quel governo ed al Presidente della Repubblica Antonio Segni (vivamente contrario al centro-sinistra) sostituito tramite “golpe apoplettico” dal socialdemocratico Giuseppe Saragat (ben 22 votazioni per eleggerlo, scrutinio più lungo che ogni altro prima).
frase carli 30 maggio 64 ---: “Nessun sistema produttivo avrebbe resistito all’urto derivante da una redistribuzione dei redditi e dei connessi spostamenti della domanda delle dimensioni che tali fenomeni hanno assunto in Italia nello spazio di due anni” (Guido Carli, 1964)
Ottobre 1960 Mattei ottiene petrolio russo. ---già messo su----
Di tutto questo se ne era già reso conto ben prima Guglielmo Giannini, fondando il partito dell’“uomo qualunque”, critico verso le retoriche politiche. Tutti gli eventi “misteriosi” accaduti in quegli anni (vedi appunto il “piano solo”) vanno visti in quest’ottica, ovvero non solo nell’impedire che il PCI superasse elettoralmente la DC, ma nel limitare l’influenza contrattativa dei partiti di sinistra anche solo sulle piccole legiferazioni quotidiane (classico è l’esempio della “legge De Marzi-Cipolla” del 1971 sui fondi rustici[492], o le proposte di maggiori tassazioni sui redditi più alti e sui titoli di Stato, o i “super-bolli”, od il blocco dei cantieri autostradali nel 1975) derivata comunque dall’entità relativa del loro risultato elettorale, oppure nella loro semplice percezione simbolica che, come a San Marino prima del golpe, influiva psicologicamente sulle propensioni agli investimenti. E questo non determinato solo dal pericolo estremo di un vero e proprio esproprio, ma dalle regolamentazioni del lavoro, che a cavallo del 1970 furono certamente influenti negli eventi culminati e seguiti alla strage di piazza Fontana tesi da un lato ad impedire e dall’altro a favorire legiferazioni quali lo “statuto dei lavoratori” approvato il 20 maggio del 1970 dopo mesi di aspri dibattiti. Programma Psi oltre nazionalizzazioni: riforma urbanistica e attuazione regioni. ---- ritardate da Dc per paura regioni comuniste. Per questo motivo non è improprio definire quel periodo di fervore ideologico come una “guerra civile”. 7 luglio 1962 scontri piazza statuto Torino zeppi di provocatori infiltrati. 9 ottobre 1963 scontri provocati da gladio??? Vedi data su coso --- L’apice della “comunistizzazione” in Italia si è avuto nella seconda metà degli anni ’70, quando le “municipalizzazioni” erano quotidiane, il sistema sanitario fu pubblicizzato (23 dicembre 1978), ed il dirigismo politico ancora impediva la nascita di reti Tv libere ed il passaggio al colore; di quel periodo la creazione della terza rete televisiva statale (lottizzata al PCI) è un simbolo inequivocabile. Per non parlare della cultura che ha portato a film come “Fantozzi”, “Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto”, “La classe operaia va in paradiso”, e “Novecento”, i cui registi chiaramente si preparavano ad accogliere i previsti e temuti “nuovi padroni” ai quali la sconfitta del blocco DC-MSI nei referendum sembrava spianare la strada, assieme al “compromesso storico” portato avanti da Aldo Moro, spinto dal progressivo aumento dei voti al PCI che raggiunsero l’apice alle elezioni amministrative del 1975. Se la DC l’anno successivo mantenne le sue posizioni alle elezioni politiche fu solo grazie al “turarsi il naso” degli elettori impauriti dall’ascesa del PCI; a farne le spese fu soprattutto il PLI. Sintomatico di quel periodo è il fiorire della leziosa coniazione di neologismi politici astrusi ed ondivaghi, prassi fino allora limitata ai comunisti[493]. Il governo della DC sostenitore della “legge Reale” e uscito sconfitto nei referendum, attanagliato tra l’emergenza terroristica e l’ostilità dei ceti più progressisti sintetizzati dalle proposte del Partito Radicale, si dimostrava impotente, un impotenza rivelata esplicitamente con la morte di Giorgiana Masi. Inoltre, in particolare durante quegli anni il pericolo per il PCI di perdere voti a vantaggio dei “gruppuscoli” alla sua sinistra (notoriamente e regolarmente finanziati a questo scopo dall’ala nordista dell’ambasciata americana[494]), il partito comunista si vide costretto ad estremizzare le sue intenzioni, impaurendo ulteriormente la borghesia qualunquista. Inevitabile fu che la mattina in cui Moro doveva far aprire le porte al PCI, qualcuno lo volesse impedire in ogni modo. Il fatto che il suo corpo fu fatto trovare ad una distanza uguale tra la sede della DC e quella del PCI, nel ghetto ebraico, è chiaramente simbolico.
“E’ Yalta che ha deciso via Fani” (Mino Pecorelli[495])
Il paragone con i motivi dell’omicidio di Matteotti sorge spontaneo, ma a ruoli invertiti: in quel caso fu ucciso il “Berlinguer” della situazione per far ricadere le colpe sul “Moro”. Ed un altro paragone sorge, quello con l’attentato a Togliatti del 1948. Il “matrimonio” tra DC e PCI era inviso anche agli Stati Uniti, i quali secondo l’armistizio di Cassibile erano proprietari dell’Italia, ed anche l’Urss doveva accettare ciò se voleva potersi permettere ella stessa di mantenere il possesso degli stati assegnatigli dal trattato di Yalta. Questo fu il motivo per cui l’occidente non poté intromettersi nell’invasione dell’Ungheria del 1956. Dopotutto già Stalin tenendo fede agli accordi di Yalta aveva evitato di intromettersi nella guerra civile greca del 1945-49 (solo Jugoslavia e Albania supportarono i comunisti greci). ------comunisti non vogliono il potere qui???------- L’Urss avrebbe fatto lo stesso in caso di invasione armata americana dell’Italia qualora il partito comunista vi avesse preso il potere. Il che, come dimostra proprio il caso dell’Ungheria, è quello che sarebbe successo qualora il governo democristiano non fosse riuscito a risolvere da sé la situazione tramite i servizi segreti oggi definiti “deviati” (anche se non si comprende deviati rispetto a cosa…). Questo è quello che voleva provocare chi ha organizzato l’attentato a Togliatti? Certo è difficile poter spiegare perché il raid squadristico di Sezze fu guidato da un maresciallo del SID, tale Francesco Troccia[496]. Così come è difficile spiegare la presenza del colonnello Luca al capezzale di Togliatti subito dopo l’attentato di Pallante… ------qui o vicino a nar??-------
“La durezza di alcuni è preferibile alla delicatezza di altri” (Kahlil Gibran)
Molto spesso si criticano i servizi segreti dell’est (Stasi, Securitate, ecc) per le loro prassi; ma si deve tener conto che se i servizi ungheresi e cecoslovacchi fossero stati altrettanto efficienti quei due paesi non sarebbero stati invasi dai russi. La stessa cosa vale quindi per i servizi segreti italiani definiti “deviati”: dato che (come insegnano le esperienze di Ungheria e Cecoslovacchia) in caso di rivoluzione anti-Yalta (nel caso dell’Italia, anti-americana) la prassi è l’invasione militare, ogni attività dei servizi segreti italiani doveva essere basilarmente tesa a scongiurare ciò, non per reprimere la democrazia interna ma per evitare l’invasione militare straniera! Quanti morti avrebbe provocato l’invasione americana di un Italia coi partiti di sinistra ipoteticamente al 51%? Quindi essendo questo compito nell’interesse della nazione (e non certo contro!) rispetto a cosa sarebbero stati deviati??? Anche se il “modus operandi” statunitense non è mai palese ma subdolo, evitare una bomba in una stazione o l’abbattimento di un aereo di linea (piuttosto che una vera e propria invasione) non è forse un compito destinato ai servizi segreti?
“Forse io sono uno dei migliori alleati degli Stati Uniti, ma sono certamente il loro peggior satellite” (Ammiraglio Fulvio Martini, direttore del SISMI, al direttore della CIA Bill Casey, 1985[497])
L’esempio tipico è il rapimento di Aldo Moro: se fosse riuscito a realizzare il suo proposito (avendo oramai scelto la “pistola”[498]), quali sarebbero state le mosse americane verso la nazione? Come minimo le stesse di quando successivamente il governo italiano si è rifiutato di boicottare le olimpiadi di Mosca[499]! Ben noto è che una delle “tre” prigioni di Moro fosse sita in una via di Roma, via Gradoli, in cui tutti gli stabili erano di proprietà dei servizi segreti. E sospetto è il fatto che l’auto dei rapitori, targata “Corpo Diplomatico[500]”, si sia diretta, fatalità, verso forte Braschi[501]… certamente l’ultimo posto dove le forze dell’ordine avrebbero pensato di andare a cercarlo. Le brigate rosse che motivo avrebbero dovuto avere di sondare le reazioni popolari alla notizia della morte emettendo un comunicato come quello del lago della Duchessa? E Prodi come può aver saputo il nome della via dove Moro era tenuto prigioniero? E soprattutto come si può affermare pubblicamente che tale via non esista quando un qualunque cittadino la può trovare nel “tuttocittà”?
“Ci misero in naftalina, noi e i nostri infiltrati. Per chiamarci dopo, quando ormai Moro era stato ammazzato” (Generale Nicolò Bozzo) Gianni Cipriani, “Lo Stato invisibile”, Sperling & Kupfer ed., pag. 74
Come spiegare che una radio (radio Alice, di Bologna) annunciò il rapimento mezz’ora prima che questo avesse luogo[502]? Un aiuto per rispondere a queste domande viene da un dato di fatto mai sottolineato abbastanza: l’attivarsi della via dell’eliminazione di Aldo Moro, eliminazione fisica, dopo aver fallito la via politico-giudiziaria dello scandalo Lockeed, non avvenne solo poco tempo prima dell’azione, ma il 6 novembre 1977 quando il solito “traghettatore” Ugo La Malfa avviò l’iter per portare al compromesso storico. Come abbiamo già detto, si controlli chi evase di prigione a partire da questa data e si troveranno i membri del commando di rapitori addestrati a Capo Marrargiu in quel lasso di tempo.
Comunque tutta la vicenda Moro è costellata di una miriade di particolari, uno su tutti, il fatto che a tenere gli interrogatori di Moro sarebbe stato un certo Igor Markevitch, parente di una famosa spia internazionale (Jordan Wesselinof) e sposato con una Caetani. Che le Br avessero avuto una base nel ghetto di Roma già si sapeva, che fosse sita nel palazzo dei Caetani (sotto il quale venne lasciato il corpo di Moro) è più che un sospetto. I legami di Markevitch col Mossad sono innegabili. --------- Gianni Cipriani, “Lo Stato invisibile”, Sperling & Kupfer ed., pag. 100.
Abbiamo già visto come il Mossad agli esordi delle BR si offrì di fornire le armi. ------------- Mino Pecorelli scrive sulle brigate rosse: “non rappresentano il motore principale del missile, esse agiscono come motorino per la correzione della rotta dell’astronave Italia (…) in cambio di trattamenti di favore, quando la pacificazione nazionale sarà un fatto compiuto e una grande amnistia verrà a tutto lavare e a tutto obliare[503]”. ---frase taviani fiat qui?--- “Le brigate rosse sono dei rossi manovrati per strategia aziendale Fiat” (Paolo Emilio Taviani, 1974[504]) ---- qui?----- Alessio Casimirri, componente commando Moro, mai un giorno di galera, rifugiato in Nicaragua. Secondo alcune testimonianze sarebbe stato un infiltrato dei carabinieri. ----- Gianni Cipriani, “Lo Stato invisibile”, Sperling & Kupfer ed., pag. 90.
da http://www.pmli.it/gallonimorosapevabrinfiltrate.htm : L’ex vicepresidente della DC Giovanni Galloni sul rapimento di Aldo Moro che confermano l’ipotesi non nuova di un ruolo occulto della Cia e del Mossad in quella vicenda. “Non posso dimenticare un discorso con Moro poche settimane prima del suo rapimento: si discuteva delle BR, delle difficoltà di trovare i covi. E Moro mi disse: ‘La mia preoccupazione è questa: che io so per certa la notizia che i servizi segreti sia americani che israeliani hanno infiltrati nelle BR ma noi non siamo stati avvertiti di questo, sennò i covi li avremmo trovati’”.
A conferma di ciò Galloni aggiunge nell’intervista altri particolari significativi, come l’osservazione che “tutti i magistrati che hanno lavorato sul rapimento Moro hanno detto che le dichiarazioni delle BR non sono state del tutto convincenti. I brigatisti interrogati ci dicono di aver raccontato tutto ma sappiamo che non è così. Qualcosa ci hanno taciuto, resta da capire che cosa hanno voluto coprire. E l’interrogativo nasce in relazione anche ai servizi segreti deviati italiani, che rispondevano prima ai colleghi americani della Cia che ai loro superiori”. E come l’impressione riportata dai suoi numerosi viaggi negli Usa effettuati tra il 1978 e il 1984, dove “venni a sapere - confida l’ex vicepresidente della DC e del CSM - che la Cia era estremamente preoccupata per l’Italia, per il fatto che se i comunisti arrivavano al governo loro non avrebbero potuto mettere certe basi in Italia: una questione di vita o di morte, per loro, rispetto alla quale qualunque atto sarebbe stato giustificabile”. ---la Maddalena-----
Quanto alle patetiche accuse al Kgb, si provi a immaginare un’operazione altrettanto spettacolare e clamorosa, attuata dalla Cia in un paese dell’allora blocco sovietico, condotta per 55 giorni sotto il naso del Kgb, senza che questo riuscisse a capirci nulla. Quantomeno irreale!
Nelle BR la figura più strana è quella di Senzani: tutto il suo operato appare chiaramente finalizzato a renderle invise al proletariato stesso. Sicuramente dobbiamo proprio a lui, e non a Peci, se le BR sono state sconfitte. Le voci che lo indicano come in assiduo contatto con i servizi segreti non stupiscono, quindi[505]. Da pagina ------------: “l’intendimento dei vari servizi segreti non è quello di predisporre semplici confidenti o informatori, bensì veri e propri terroristi, completamente liberi di agire e così in grado di arrivare al vertice del gruppo da infiltrare”. Senzani ha compiuto studi di criminologia in Usa, a Berkeley, in particolare con specializzazione la guerra psicologica, lo stesso tema del convegno Pollio.
cosa c’entra Malta, Mintoff e Libia con Aldo Moro?
Francesco Marra prototipo
dell’infiltrato nelle br, rapitore di Sossi, autore del piano di evasione di
Curcio 18 febbraio 1975.
Verbale interrogatorio Peci consegnato a giornali (Fabio Isman, il messaggero) da Vito Russomanno (vicecapo Sisde), arrestato per ciò il 13 maggio 1980.
“Uno dei migliori metodi per controllare l’avversario è quello di armarlo” Gianni Cipriani, “Lo Stato invisibile”, Sperling & Kupfer ed., pag. 147 ---qui o su raf???----
7 maggio 1980 Guido Passalacqua (Repubblica) ferito da prima linea (Donat Cattin?)
28 maggio 1980 Walter Tobagi (Corriere della sera) ucciso da prima linea o br?
Se si notano differenze tra le varie stragi compiute nel nostro paese si può risalire anche alle cause ed agli autori: una strage nella quale i morti sono una dolorosa conseguenza (come piazza Fontana e gli attentati ai treni) e quindi chiaramente tesa a fare i danni minori pur volendo conseguire un risultato, è plausibilmente opera di agenti nazionali; mentre una strage dove lo scopo è chiaramente unicamente provocare più morti possibile (stazione di Bologna) senza che vi si intraveda alcuno scopo politico è chiaramente finalizzato ad una punizione diretta alla nazione, traducibile come messaggio solo dalla classe politica di governo. E’ la “pistola”. Gli attentati di Madrid del 2004 ce ne danno la conferma. Non per niente per quale motivo vengono messi i “segreti di Stato”? Perché la rivelazione pubblica nuocerebbe alla nazione ancor più che farli restare segreti. Se da un momento all’altro venisse rivelato dal governo, ad esempio, che la morte di 166 italiani sia stata decretata direttamente da Jimmy Carter, quali sarebbero le conseguenze per l’Italia? Basti considerare il can can seguito all’involontaria strage del Cermis.
“Guai a dare ai popoli la libertà di accorgersi che non sono liberi. Salgono sulle barricate” (Edmund Burke)
----spostare qui discorso partito da Cermis?------
Moro fu eliminato per evitare all’Italia la stessa sorte che subì il Cile con Allende. Se i servizi segreti cileni avessero agito come in Italia con Moro --------. Come sappiamo lo tentarono, col rapimento del generale -------. Per cui è logico che chi ha voluto eliminare Moro non l’ha fatto per impedire l’entrata del Pci al governo, ma per evitare un colpo di Stato stile cileno! Ecco il motivo della assennata linea della fermezza del Pci.
“Il ritorno di Moro vivo sarebbe stato un colpo mortale alla Dc e al Pci” (Francesco Cossiga) --- il gazzettino 11 agosto 2010.
“Il mondo è iniquità: se lo
accetti sei complice, se lo cambi sei carnefice” (Jean-Paul
Sartre)
Un colpo
di Stato che, coi partiti di sinistra al 51%, nei presagi di molte persone
avrebbe portato ad una guerra civile del tutto simile a quella spagnola del
1936-39, ancora vivissima nella memoria del paese dato che molti italiani vi
erano stati direttamente partecipi da entrambe le parti.
3 dicembre 1980 rischio di invasione sovietica della Polonia
13 dicembre 1981 golpe Jaruzelski ---- su moro per evitare un Cile----- Popieluszko ----
8 ottobre 1982 sciolto Solidarnosc
Tutti adorano i film di James Bond; ma tutti sembrano ignorare che nel mondo reale l’attività principale dei “James Bond” consiste nel mettere bombe nelle banche, sui treni, e nelle stazioni. Grande stupore quando si vedesse nelle pubblicazioni di autori stranieri, che Stefano Delle Chiaie viene solitamente definito non come terrorista, ma come “il più famoso agente segreto italiano”…
Se si considera la moda di fare il mercenario in Africa in voga in quegli anni, non può certo stupire che esistessero persone disposte a farlo anche in Europa. In fondo cambiava solo il luogo, ma il lavoro era lo stesso, ed i rischi idem.
“Quando i ricchi si fanno la guerra, sono i poveri a morire” (Jean-Paul Sartre)
13 marzo 1941 una valigia piena di esplosivo scoppia per incidente nell’ambasciata britannica di Istanbul. Faceva parte dei bagagli evacuati da Sofia. Lecito è chiedersi a quale scopo serva dell’esplosivo ad un ambasciata… la risposta la si ottiene verificando lo svolgersi di diversi atti di terrorismo in Bulgaria e Jugoslavia nei mesi precedenti. Il quotidiano “La sera” del 15 marzo 1941 titola l’articolo “infortunio tipicamente inglese”…
Per quanto se ne voglia dire, è innegabile che, osservando la lunga lista italiana delle stragi, si nota con chiarezza un “buco” tra il 1929 e il 1940 (e fino al 1943 se escludiamo i bombardamenti aerei)… buco rispecchiabile per paragone anche alla statistica degli omicidi politici. Ma per gli antifascisti sembra valga di più uno qualunque di essi –commesso---- tra il 1922 ed il 1945 che cento prima oppure dopo! Se poi consideriamo le vittime di mafia il buco diventa una voragine.
E, detto per inciso, l’Italia è l’unica nazione al mondo ad avere una “commissione stragi” del parlamento.
Tutti deprecano omicidi ed attentati terroristici. Ma a queste stesse persone guai a toccargli l’automobile, il videoregistratore, la tv satellitare, il telefono cellulare! Vedreste che strilli! Anzi, li si vede già, grazie all’incontentabile ed avido sindacalismo. Ma questi “benpensanti”, devono sapere che se oggi possiedono tutte quelle belle cose, lo devono quasi sicuramente all’esistenza ed all’operato di quelle persone che si sono esposte compiendo quegli attentati ed omicidi, spesso pagando essi stessi con la morte e la galera. L’ipocrisia di deprecare gli artefici e difensori della loro ricchezza a cui dovrebbero essere grati è quantomai ignobile, soprattutto quando la condanna è rivolta proprio verso chi esula da questa ipocrisia. Mentre invece i veri responsabili del terrorismo sono proprio i “benpensanti”, con la loro continua richiesta di ricchezza.
“E’ vero che non sei responsabile di quello che sei, ma sei responsabile di quello che fai di ciò che sei” (Jean-Paul Sartre)
Solo chi accetterebbe di rinunciare a quelle ricchezze può permettersi di deprecare gli atti di terrorismo. E fatalità questi oggi come oggi fanno capo a quelli che dai fortunati benestanti ipocriti vengono spesso additati come i terroristi! Invece sono proprio i vari Bolognesi ecc che devono ringraziare i vari Amos Spiazzi, Franco Freda, Stefano delle Chiaie, Mario Merlino, ecc. Se non era per loro avremmo veramente rischiato di grosso una guerra civile facilmente sfociabile in guerra mondiale che avrebbe ricalcato la descrizione di Einstein.
“Non ho idea di quali armi serviranno per combattere la terza Guerra Mondiale, ma la quarta sarà combattuta coi bastoni e con le pietre” (Albert Einstein)
Oggi banane e fragole ce le scorderemmo: solo cavoli e patate, come in Corea del nord! Chi si chiede se sia stato lecito usare ogni mezzo contro i comunisti, si consideri che le loro intenzioni avrebbero portato tutti (loro stessi compresi) alla povertà più nera. Quindi i soli che possono permettersi di deprecare gente come Spiazzi, Fumagalli, Sogno, Pacciardi, Degli Occhi, Cavallo, Alliata, e di compatire gli utili idioti come Junio Valerio Borghese, sono quelli che culturalmente accetterebbero la povertà, rinunciare a fragole e banane pur di evitare stragi ed omicidi vari secondo il motto “quel che avviene, conviene”, ma non tutti sono disposti ad accettare il costo di questa “convenienza”.
“Metallica forma spartana e devastante
estetica nichilista, geometrico ordine prussiano e oggettiva prassi bolscevica”
Ma purtroppo pochi sono quelli che esulano dall’avidità. Gli avidi continuino pure a sentirsi inconsapevolmente la coscienza a posto deprecando stragi ed omicidi pur vivendo nell’agiatezza che proprio ad essi debbono. Ma che non vengano ad incolparne chi, da buon pauperista, vi avrebbe rinunciato volentieri in cambio della sopravvivenza delle migliaia di vittime del terrorismo! E’ l’avidità generale ad aver causato le stragi di piazza fontana, di Brescia, dell’italicus, ecc. Senza Pci e sindacati esosi niente terrorismo. Scioperano e distruggono le suppellettili del posto di lavoro e della città, ma poi pretendono più ricchezza. E chi gliela deve garantire (governo) si trova con le mani legate. Ed è pure fischiato ai funerali, quando viceversa il popolino riserva regolarmente gli onori e gli applausi a quelli che sono i veri responsabili indiretti e speculatori politici sulla morte dei loro parenti.
«Sono meravigliato che i capi di Stato Maggiore non si siano presentati al ministro ed abbiano detto: “Ma insomma, signor ministro, questa gente sta dentro esclusivamente per un piano che era previsto dall’autorità politica. Quindi tiriamola fuori e diciamo chiaramente alla gente che si tratta di un piano previsto”» (Amos Spiazzi[506])
Purtroppo per lui e per tutti gli altri operatori, la democrazia non lo permette. Chi glielo va a dire ai parenti delle vittime che i loro cari sono morti per “un’inderogabile piano superiore dello Stato legato ad accordi internazionali vincolanti”? Per risolvere questo impasse tali elementi una volta nella tempesta favorirono l’“estrema ratio” espressasi nel golpe bianco dell’estate 1974.
Ironico comunque è, che mentre l’ex partigiano Taviani accusava la destra fascista come unica autrice della sovversione, i principali tramanti erano anch’essi ex partigiani come lui…
Solo successivamente si scoprirà che egli stesso era inserito negli elenchi della “Rosa dei venti”. Un accozzaglia che non disdegna nemmeno i mafiosi che nel 1943 avevano agevolato lo sbarco degli americani in Sicilia, come il principe Giovanni Alliata di Monreale.
“Quando nel mondo la canaglia impera, la casa degli onesti è la galera” (Amos Spiazzi)
L’Italia è legata agli Usa da dei precisi accordi che essi considerano inviolabili, firmati in cambio della resa nel 1943. Di sicuro se l’Italia li violasse non starebbero lì a guardare. L’uscita formale dalla Nato non sarebbe nulla, anche la Francia (che comunque non aveva accordi capestro come quelli italiani) era uscita. Il legame verte su cose più salde della Nato. Riguardo il sistema economico soprattutto. Se l’Italia si limitasse ad uscire dalla Nato non ci sarebbe probabilmente nessun problema. Diverso sarebbe il discorso se espropriasse i ristoranti Mc Donald...
Sembra che a molti faccia più comodo designare dei colpevoli anziché cercarli. Si fa di qualcuno o di qualcosa il simbolo del male solo perché incapaci di affrontare il male della nostra epoca. Per ------------zare i propri istinti.
Ma se perdi una cosa, e poi la cerchi nel posto sbagliato, non la troverai mai.
Almeno qualcuno dicesse perché un qualche fascista avrebbe dovuto avere un motivo a compiere quella strage... Soprattutto tenendo conto quali sono stati i risultati. Ma forse certa gente è troppo offuscata per averli notati, quei risultati.
“Chi formula tali teoremi parla di verità, ma in realtà non la cerca, vuole solo coltivare il proprio interesse” (Franco Freda)
Se non è nell’interesse del condannato ingiustamente che si sappia la verità, di chi cavolo dovrebbe essere????? I fascisti sono i primi a volere che venga tolto il segreto di Stato, e quelli che dovrebbero volerlo tenere segreto sono i vari Bolognesi e soci perché sanno che ne resterebbero profondamente delusi. Ma come è evidente a loro non interessa la verità, interessa dare la colpa a chi piace a loro.
Indicativo è il fatto che nelle indagini letterarie sul terrorismo raramente la posizione di Spiazzi nel golpe Borghese venga presentata nella sua reale ------ruolo------- .
Servizi segreti: E di proteggere anche l’incolumità delle persone che abitano in quello Stato. Incolumità che sarebbe fortemente messa a repentaglio se venisse rivelata la vera responsabilità di quei due episodi. Secondo te perché sennò vengono messi i segreti di stato? Per proteggere dei criminali? Beata ingenuità.
«Siamo sempre stati convinti che sia stata organizzata dai servizi americani e israeliani: i veri “padroni del terrore nero” in Italia. Poco tempo dopo la strage ho ricevuto dalla Germania Ovest un rapporto scritto, che è molto importante e dovrebbe essere ancora negli archivi della nostra Organizzazione dei rivoluzionari internazionalisti (Ori). Il rapporto dice che un compagno tedesco era uscito dalla stazione pochi istanti prima dell’esplosione. Ho ricordato il suo nome leggendo il Corriere: Thomas Kram. Era un insegnante comunista di Bochum, rifugiato a Perugia. Il giorno prima della strage era a Roma, pedinato da agenti segreti che lo seguirono anche sul treno per Bologna. Kram aveva solo un sacchetto di plastica con oggetti personali, ma se fosse morto nell’attentato, sarebbe stato facile attribuirgli ogni colpa». – Intervista a Carlos, da corriere della sera - Paolo Biondani, 23 novembre 2005
Izzo affetto da narcisismo patologico, tanto da vantarsi con orgoglio delle sue azioni e cercando di accreditarsi come ------------ inventano continuamente una marea di balle --- su persone che nemmeno conosce.
Il lavoro di ricerca ha permesso di recuperare dagli archivi non solo l’allarme lanciato l’11 luglio 1980 (appena tre settimane prima della strage) dal direttore dell’allora Ucigos sul pericolo di un’azione ritorsiva dell’Fplp per la mancata liberazione del loro dirigente Abu Anzeh Saleh, arrestato e condannato per il traffico dei lanciamissili Sam-7 Strela di Ortona, ma addirittura il nome del terrorista tedesco presente a Bologna il giorno della strage, il tedesco Thomas Kram, del quale mai nulla – dal giorno dell’attentato – era trapelato all’esterno.
L’eccidio del 2 agosto 1980 (85 morti), secondo Carlos, fu non solo «eseguito da giovani neofascisti», ma «organizzato da Cia e Mossad» per «punire e piegare Roma». Una «rappresaglia» contro la nostra politica di tolleranza dei gruppi terroristici palestinesi.
Per quanto riguarda la strage di Bologna, dato che gli autori sono
indicibili, il lavorio dei servizi segreti italiani si espresse subito per il
depistaggio, per rifarsi ritorsivamente magari in futuro (con il sequestro
Dozier?). Tuttavia davanti all’abiezione di questa strage una parte si attivò
per “pistare” ovvero per mettere sulla pista giusta pur senza poter rivelare
apertamente i fatti. Ciò non toglie che l’offensiva verso la destra fu
immediata ed aspra, determinando il riflusso degli anni successivi. Scrive
Fabrizio Zani sulla rivista “Quex”: “buona parte di ciò che ci è piovuto
addosso in questi anni lo dobbiamo alla destra conservatrice reazionaria e
golpista convinta che affidare il potere alle forze armate o alla destra
economica sia il colpo di bacchetta magica con cui è possibile fermare il comunismo.
Bologna è stata una valanga… che ha distrutto il lavoro di tre anni. E’
necessario che tutti si impegnino nell’opera di individuazione degli agenti
provocatori che sono tra di noi”. -----Palladino------
Così come ci sono quelli che
sperano che un atto orribile sia avvenuto, ci sono quelli che sperano che un
atto orribile avvenga. La targa sulla lapide alla stazione di Bologna è un
indecenza, indicando come colpevoli proprio quelli che quella strage (e tutte
le altre) l’avrebbero fatta evitare se fosse potuto dipendere da loro! A Reggio Calabria nel 1972, i sindacati
facendo convergere manifestanti da tutta Italia per dare dimostrazione di forza
ad una città attonita davanti a questa invasione, cosa ottennero? Ottennero le
bombe sui treni. Ecco l’esempio bello confezionato.
“Ma bomba o non bomba, arriveremo a Roma” (Antonello Venditti)
Che lo si voglia accettare oppure no, i responsabili indiretti della strage di Brescia sono, insomma, i ------ milioni di italiani che hanno votato no al referendum sul divorzio.
Con questi presupposti non stupisce che queste persone brancolino nel buio, come la Guzzanti sugli attentati di Madrid del 2004. Nonostante sia evidente che le stragi di Ustica e Bologna portino lo stesso movente e quindi autori, anche ai vari “Guzzanti” conviene che vengano depistate (tanto quanto a chi ha messo i resti del Mig libico nello stesso hangar coi resti del DC9) e tenute rigorosamente separate, perché altrimenti non potrebbe certo reggere la pista a loro tanto cara sulla strage di Bologna, in quanto Fioravanti non disponeva certo di aerei da guerra… Dato il fatto che il DC9 fu abbattuto da un missile sparato da un aereo è incontrovertibile, e non certo solo per le risultanze processuali, ma perlomeno per le carte sequestrate al colonnello del Sismi Demetrio Cogliandro nel 1996, che dicono tra l’altro che ad operare per occultare la circostanza fu in primis il solito marpione Cossiga.
“Esistono tradimenti doverosi e persino morali” (Francesco Cossiga)
Perfino ottimi investigatori
giornalistici quali Sergio Flamigni, Giuseppe De Lutiis, Giorgio Galli vengono
depistati dal loro preconcetto e non riescono a superare quel muro di gomma,
cosa che gli consentirebbe di capire alfine la verità che tanto cercano.
Dopotutto abbiamo già visto che per potersi permettere di dire verità
indicibili le si deve accollare a chiunque fuorché ai veri responsabili, oppure
infarcirle di discorsi folli in modo da farsi passare per pazzi inattendibili.
Buon gioco c’è finché permarrà la costante presenza di personaggi anche di un
certo spessore che continuano a dirsi ostinatamente fascisti nonostante ne
siano obiettivamente la palese antitesi.
-----qui o su guzzanti????--------
Ma dopotutto sono gli stessi che
hanno l’abitudine di definire fascisti regimi quali la Grecia 1967-73, il Cile
di Pinochet, l’Argentina di Videla, e chi più ne ha più ne metta. Questo fa
cadere lo stupore che definiscano fascista ogni cosa che gli sia -----------.
L’unico che lotta per ristabilire la verità e che ha confessato tutto
proprio a tale scopo, è, assieme a Spiazzi, Vincenzo Vinciguerra; l’unico
veramente pentito, ma non per convenzione, piuttosto perché accortosi di essere
stato usato inconsapevolmente per fare il gioco di chi invece avrebbe voluto
combattere. Dovrebbe essere chiarificatore che mentre lui ha pagato e sta
pagando più di chiunque altro, altri peggio di lui sono liberi o semi-liberi.
E’ chiaro che lui confessando ha perso quelle protezioni di cui invece godono
quelli che mantengono il silenzio. Zorzi, Maggi, Fioravanti, Senzani, Curcio,
-------.
“Non ce n’è uno che non fosse in contatto con apparati dello Stato”
(Vincenzo Vinciguerra)
Il limite degli inquirenti è sempre stato questo, ovvero definire e/o
considerare come fascisti (o nazisti, termine tanto caro al senatore Felice
Casson) quei personaggi che nei fatti ed a tutti gli effetti erano e sono
agenti dello Stato democratico (o a volte di stati esteri, regolarmente
altrettanto democratici) infiltrati appositamente nei gruppi fascisti, quando
non addirittura fondatori. Quando sorgerà un giudice che per la prima volta
avrà le facoltà mentali per fare questo distinguo, solo allora sarà finalmente
possibile fare luce su fatti sui quali oggi manca davvero quel poco per
arrivare ad illuminare.
“Dove c’è molta luce l’ombra è più cupa” ---qui?????----
Il punto fondamentale è: perché i fascisti dovrebbero avere un interesse, e quindi un motivo, in una strage? Noi, sinceramente non lo comprendiamo, i fascisti stessi non lo comprendono, e nessuno lo spiega, nemmeno quelli che adorano tanto addebitare ogni episodio malvagio ai fascisti. Forse qualcuno di essi cerca di dare questa beneamata spiegazione, ma paradossalmente la spiegazione che accampano sempre è una spiegazione di un motivo che va non a favore, ma contro gli interessi fascisti! Almeno aggiungessero anche il motivo, a loro vedere, di questo presunto masochismo fascista…
Se un rabbioso anticomunista viene definito fascista, dimostrando chiaramente la totale ignoranza su cosa sia il fascismo, beh, è prevedibile che ogni rabbioso anticomunista “alla Gelli” si dica fascista. Se Gelli è fascista allora lo era anche Antonio Pallante. E anche Saragat…
L’ingenuità dei manovali su chi fossero i burattinai è testimoniata da Martino Siciliano, il quale dichiarò che a lui fu promesso da Delfo Zorzi il posto di questore di Venezia; un ingenuità assai puerile: in caso di colpo di Stato tutti sarebbero comunque rimasti ai loro posti, essendo ovviamente golpisti loro stessi per primi.
Dato che oggi, anno 2010, nessuno è più così stupido da pensare/credere che un atto terroristico possa andare contro anziché a favore di chi è già al potere. Nel 1916-22 l’Irlanda ha ottenuto l’indipendenza non grazie, ma nonostante il terrorismo! Come l’India l’ha ottenuta non grazie a Gandhi, ma ad un preciso accordo di intesa riguardo il benestare indiano nella seconda guerra mondiale a favore dei britannici. Non c’è un solo paese che abbia ottenuto l’indipendenza grazie alla violenza indiscriminata, ma regolarmente quando gli interessi economici complessivi riguardo l’indipendenza superavano quelli riguardo la sudditanza. In particolare quelli di Wall Street.
Finché sulla lapide alla stazione di Bologna ci starà scritto “fascista” anziché “democratica” state certi che su quegli avvenimenti resterà sempre un cappa di nebbia.
E sia chiaro, con questo non si vuole discolpare quelli che sono stati condannati come autori materiali. Chiunque siano i manovali non fa variare i mandanti ed i motivi, che sono di per sé evidenti. Di certo è che, a prescindere da condanne giudiziarie, se c’è almeno un italiano coinvolto in quella strage questi non può essere altri che Francesco Pazienza.
Alle 22:04 a Grosseto gli operatori radar non s’accorgono che il contatto radio con Ciampino è rimasto aperto e che le loro voci vengono registrate:
“... Qui, poi... il governo, quando sono americani...”
Ustica – Bologna è un “ora basta!”
aggiungere discorso da Italia settimanale:
“L’incidente al DC9 è occorso a seguito di azione militare di intercettamento, il DC9 è stato abbattuto, è stata spezzata la vita a 81 cittadini innocenti con un’azione, che è stata propriamente atto di guerra, guerra di fatto e non dichiarata, operazione di polizia internazionale coperta contro il nostro Paese, di cui sono stati violati i confini e i diritti” (dalla sentenza Priore)
Ustica: “Fu un atto di guerra, guerra di fatto non dichiarata” --- sentenza-ordinanza del giudice istruttore Rosario Priore, 31 agosto 1999--------, non può certo sbilanciarsi a dire da parte di chi, e sembra che nessuno si ponga questa domanda. Forse è perché, per esclusione, vi sono solamente due paesi, marito e moglie, che possono identificarsi negli aggressori. Ma come già detto, nominare questi due paesi in termini negativi è oggi la più sconveniente delle eresie.
Quando nel 1919 la Germania recalcitrava dal ritirarsi dall’Ober Ost (Polonia, grossomodo), e nel 1943 quando Badoglio non si decideva a rendere pubblico l’armistizio, i vincitori minacciarono di riprendere la guerra. Ustica e Bologna sono state semplicemente un episodio di ripresa della seconda guerra mondiale. Il depistaggio da parte dei servizi segreti italiani è servito ad evitare la continuazione di questa ripresa della guerra, ed è equivalso ad una resa. Per nulla diverso: fra una bomba sganciata dall’alto e una piazzata a mano in una stazione non c’è molta differenza nei risultati.
Dopotutto anche la seconda guerra mondiale ha avuto origine come ripresa della prima in seguito alla violazione tedesca del trattato di pace di Versailles (invasione della Polonia).
In un intervista a Concutelli l’intervistatore fece notare che “ancor oggi molti giovani lo vedono come un idolo”; non si può controbattere, ma sarebbe da sfidare l’intervistatore a trovarne uno solo, oggi, di estimatore. Noi sappiamo quanto arduo sarebbe. Ma il telespettatore no che non lo sa.
Nell’aprile del 1981 la polizia scopre un covo a Roma in via Prenestina, coperto come agenzia pubblicitaria (tipica copertura dei servizi segreti). In questo covo vengono ritrovate sia armi appartenute ai Nar, sia alle brigate rosse. Ed il quadro appare già chiaro, se non fosse che c’è anche qualcos’altro ad avvaloralo: pochi sanno che la strage di Bologna fu preceduta di due giorni da un’altra esplosione, davanti al comune di Milano. Forse l’ultimo avvertimento per permettere di prendere le distanze prima che si chiudessero i giochi? Quell’attentato fu realizzato dalle persone che facevano riferimento al covo di via Prenestina. Covo chiaramente riferimento di servizi segreti. Ma di quali, di quale paese, non si sa. Ed il quadro si chiude.
Diamo una mano a questi benpensanti, dato che effettivamente vi è una cosa che accomuna Fioravanti alle stragi: la sera del 12 dicembre 1969 il palinsesto rai previde un telefilm con lui protagonista.
Secondo Marco Affatigato, i condannati per la strage di Bologna “sono rimasti prigionieri di una trappola di cui ancora non possono parlare” ---- gazzettino 2 agosto 2010 ------ un po’ come Insabato---
Il fatto stesso che la strage di Bologna sia coperta dal segreto di Stato è indicativo: significa inequivocabilmente che già si sa chi è il responsabile. Sennò non ci sarebbe certo bisogno di tenerlo segreto! E di proteggere anche l'incolumità delle persone che abitano in quello stato. Incolumità che sarebbe fortemente messa a repentaglio se venisse rivelata la vera responsabilità di quei due episodi. Secondo te perché sennò vengono messi i segreti di stato? Per proteggere dei criminali? Beata ingenuità. Se secondo quelli come te ci sono persone che decidono delle stragi senza un motivo,
----come unire???------
Dopotutto erano gli stessi vertici del PCI a non volerlo il potere, perché, così come Togliatti nel 1948 sapeva che avrebbero fatto la fine dei comunisti greci, negli anni ’70 Berlinguer sapeva che avrebbero fatto la fine di quelli cileni. Per questo ripiegarono prima su una partecipazione blanda e compromissoria, e poi su una partecipazione “esterna”, che chiamarono “consociativismo”. ---unire con frase se si sbatte la testa -----
Pratiche combinatorie e consociative della distribuzione delle cariche (lottizzazione)
“L’esperienza ci mostra che il partito che governa o sgoverna è sempre uno solo e ha il consenso di tutti gli altri, che fanno le finte di opporsi” (Benedetto Croce) ---- destra pensiero pag. 37. ---già messo?----
Dal 1978 in seguito al fallimento del “compromesso storico” si ripiegò sul “consociativismo”, ovvero sull’accordo tra i partiti per la spartizione del potere senza ostacolarsi a vicenda, che aprì la stagione arrivistica delle raccomandazioni basate sulla “tessera di partito”, caratterizzante la cosiddetta “Milano da bere”, e ufficialmente terminata con il colpo di Stato noto come tangentopoli. Il quale come risultato sgradito (un pò come accadde dopo il 12 dicembre 1969) si scaricò in un aumento dei voti dell’MSI, compensato solo dalla sostituzione con la Lega Nord[507] in alcune regioni. Quindi, anche in seguito all’introduzione del sistema elettorale maggioritario, la coalizione di sinistra (i “progressisti”) si presentava come un imbattibile “gioiosa macchina da guerra”, data l’impossibilità di un aggregazione a destra e dopo il palese fallimento del concorrente designato Mariotto Segni. L’ex comunista Occhetto come capo del governo era un ipotesi che sgomentava gli operatori economici “sudisti”, per i motivi già detti riguardo il “dirigismo” dell’economia. Anche l’alternativa a guida moderata “Alleanza Democratica” nella quale far confluire la sinistra si rivelò effimera, ed il nuovo concorrente designato, “Alleanza Nazionale” non assicurava ancora né presentabilità né elettorato sufficiente a garantire una futura possibilità di alternanza.
“Siffatta variante andrebbe fortemente colorita di antifascismo per evitare le inevitabili reazioni del Pci e dei suoi fiancheggiatori” (dal “Memorandum” della loggia P2, 1975[508])
Ecco che a risolvere l’inpasse saltò fuori Berlusconi, imprenditore di formazione socialista craxiana, definito nel 1993 dai media “cavaliere nero” dopo la dimostrazione di simpatia per Fini. Il pericolo di un onnipotente governo post-comunista fu così scongiurato, rendendo possibile il perseguimento di quello che altrimenti sarebbe stato un percorso economico assolutamente impensabile, la privatizzazione di quelle inefficienti “partecipazioni statali” tanto care ai comunisti “riformisti”.
2.9 Il comunismo sovietico
“Nel comunismo tutti i cittadini si trasformano in impiegati salariati dallo Stato” (Lenin)
Nelle aziende comuniste la direzione del lavoro è affidata dallo “Stato” a burocrati di nomina politica, sovente in modo casuale, regolarmente incompetenti e corrotti, naturalmente disinteressati al buon funzionamento dell’azienda e alle condizioni dei lavoratori. Questa situazione comportava problemi rilevanti nelle nazioni le cui aziende erano proprietà dello Stato. Il primo è l’inefficienza dei lavoratori, secondo la filosofia che “lavora bene o lavora male sempre lo stesso salario percepisci, tanto non puoi essere licenziato”, per cui un ritmo produttivo poco più che normale diventava un eccezionale volontario “stakanovismo” da premiare[509] (contravvenendo ipocritamente ad ogni bel proposito egualitario, si noti).
Fattoria degli animali insuperabile descrizione del marxismo teorico.
Mea culpa (Louis Ferdinand Céline) insuperabile descrizione del comunismo sovietico reale.
« Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri » (Da “La fattoria degli animali”, George Orwell)
Qualsiasi persona, se messa nelle condizioni di non lavorare e di prendere, comunque, lo stipendio, sceglierà di non lavorare.
Visto che i ruoli erano assegnati in modo quasi casuale (e per di più in molti casi subordinati all’iscrizione al partito), ed i salari erano uguali per tutti, le persone più istruite o volenterose si autoconsideravano sottovalutate, per cui avrebbero sviluppato la comprensibile tentazione di recarsi in paesi dove le loro competenze sarebbero state valutate esattamente. Per evitare l’emorragia di “cervelli” i paesi comunisti erano obbligati a proibire l’espatrio. Dal 1949 al 1961 infatti 2.700.000 persone (il 15% della popolazione) lasciarono la DDR.
“L’ultimo che esce dalla DDR spenga la luce” (scritta di un anonimo sul muro di Berlino)
Con un esempio assai famoso, tale livellamento e sminuizione delle capacità si rivelava visibilmente nelle botteghe dei barbieri, perennemente vuote dato che per ottenere un taglio presentabile l’unica maniera era chiamare il barbiere nella propria casa fuori dal suo orario di lavoro e pagarlo “in nero”.
Nei paesi comunisti il plusvalore veniva si eliminato, ma solo perché le aziende producevano in perdita, e quando anche ci fosse stato un plusvalore, sarebbe stato comunque perduto nella bilancia commerciale delle esportazioni, deficitaria a causa della vendita sottocosto di prodotti a paesi occidentali in cambio di percentuali illegalmente elargite ai dirigenti aziendali dei paesi comunisti, non essendo i prezzi delle merci regolati sulla base delle spontanee leggi del mercato ma stabiliti arbitrariamente dai politici. Quindi i paesi capitalisti potevano sfruttare facilmente il lavoro e le risorse dei paesi comunisti tramite la corruzione dei politici di quei paesi.
“Non importa di che colore è il gatto,
l’importante è che prenda i topi” (Deng Xiao Ping)
Ed i profitti della corruzione rimanevano comunque nello Stato capitalista, nei conti bancari dei politici comunisti. Per gli imprenditori occidentali l’Urss rappresentò si il paese del bengodi, potendovi vendere i propri prodotti a prezzi maggiorati. Per comprendere il vantaggio che ne ricavavano si consideri che fino al 1991 le imprese occidentali si arrischiavano a sfidare i servizi segreti occidentali per vendere ai sovietici materiali proibiti. Questo è il motivo per cui la finanza internazionale ha tollerato (se non sostenuto) la nascita e l’esistenza di stati “comunisti” fino a quando furono spremuti a tal punto che non fu più possibile rimandarne il crollo. Al che poté praticamente “acquisirli” direttamente alla “svendita fallimentare”. Non avevano tutti i torti quei gruppuscoli che definivano il P.C.I. “gendarme del capitale USA per ordine dell’URSS”. Diffuso è lo stereotipo che il più grosso affare mai realizzato da Wall Street sia stato l’acquisto dell’Alaska, nel 1867; più realisticamente è giusto dire che il comunismo è stato il più grosso affare mai realizzato da Wall Street, e quindi dalla massoneria nordista. Questo è il motivo per cui gli ebrei venivano per antonomasia assimilati ai comunisti, essendo presenti in massa nei vertici di quei partiti (viene ritenuto realistico che almeno l’80% dei funzionari del PCUS fossero ebrei, basti citare alcuni nomi: Trotsky, Landauer, Zinoviev, Kamenov, Sverdlov, Kogan, Frenkel, Eherenburg, Kollontai ecc...) proprio a tale scopo. Difatti come abbiamo già visto, i periodi nei quali la massoneria nordista prevalse corrispondono ai periodi nei quali l’Urss ricevette il sostegno dal sistema economico mondiale (1963-68, 1974-80), mentre il decennio che rappresentò il definitivo declino del comunismo fu egemonizzato da quella sudista, la più anticomunista tra le due.
“Si può considerare ormai come accettato che la rivoluzione bolscevica del 1917 è stata finanziata e sostenuta principalmente dall’alta finanza ebraica attraverso la Svezia: ciò non è che un aspetto della messa in atto del complotto del 1773” (“Times”, 10 marzo 1920)
Non tutti sanno che se nel 1918-20 le nazioni dell’Intesa sostennero militarmente i “bianchi” anticomunisti non fu per soffocare la rivoluzione bolscevica, ma solo perché Lenin aveva annunciato di non voler onorare gli enormi debiti esteri che l’Impero Zarista aveva accumulato negli anni precedenti. Un chiaro esempio della già citata “politica delle cannoniere” per andare a recuperare un credito non saldato.
Il sistema comunista divenne una vera e propria “servitù della gleba”, dove i burocrati per esaudire le richieste dei loro “finanziatori” stranieri dovevano spremere il più possibile i lavoratori, stabilendo quote di produzione, requisendo i prodotti oltre ogni possibilità umana, e deportando nei gulag siberiani più manodopera forzata possibile per poter sfruttare le enormi risorse di quelle lande inospitali. Nell’Urss di Stalin la polizia non era destinata primariamente a reprimere i crimini. Era destinata a raccogliere schiavi, ed i crimini erano solo la scusa per rastrellarne. La conferma è che c’era un numero fisso di arresti da compiere (probabilmente basato sulla necessità dei gulag, per ripianare i prigionieri deceduti). Non sono stati rari i casi di persone arrestate “a campione” solamente per raggiungere quel numero. Altrimenti a coprire i posti mancanti sarebbero andati i poliziotti stessi come “incentivo”.
Le cifre complessive furono pubblicate da Zemskov, Getty e Rittesporn in “American Historical Revue”, giugno 1994 (sono le cifre minori, per difetto). Dal 1921 al 1953 furono condannate per attività controrivoluzionaria circa 4.000.000 di persone, delle quali 780.000 furono fucilate; nei campi di lavoro, colonie penali e prigioni morirono 600.000 detenuti politici. Si possono calcolare pertanto in 1.400.000 i morti per motivi politici nell’Urss dalla fine della guerra civile alla morte di Stalin. Il totale dei condannati nei Gulag oscillò tra un minimo di 510.000 nel 1930 a un massimo di 1.711.202 nel 1952. I condannati presenti nei Gulag, colonie di lavoro e prigioni oscillarono fra 1.335.032 del 1944 e 2.561.351 del 1950. Mancano i dati complessivi fino al 1939, quando si raggiunse la cifra generale di 2.000.000. E’ comunque interessante notare che la popolazione detenuta nel suo complesso arrivò a toccare al massimo il 2,4% della popolazione adulta; nel 1996 erano detenuti negli USA 5.500.000 persone cioè il 2,8% della popolazione adulta. Ovviamente quello che conta non è la quantità, ma i motivi della privazione della libertà.
Non serve ----ricorrere----- nella contabilità dei tedeschi dopo la “liberazione” dell’est Germania. Le 7.000.000 di vittime ucraine della carestia degli anni ’30 devono “ringraziare” anche i pasciuti occidentali (tedeschi, soprattutto) ai quali Stalin consegnò il grano requisito in Ucraina. Il paragone con i sistemi di molti stati africani è palese.
“Sotto il capitalismo, l’uomo sfrutta l’uomo; sotto il comunismo succede il contrario” (John Kenneth Galbraith)
Anche l’Italia pre-fascista si avventò sulla preda. Il 20 marzo 1920 Nicola Bombacci viene inviato a Copenhagen per conto del presidente del consiglio Francesco Saverio Nitti per stipulare un conveniente accordo commerciale con il sovietico Litvinov. Bombacci vi si recò volentieri convinto di propagandare la causa comunista italiana, ma rimase assai deluso.
“La mia memoria e più ancora la mia anima di sincero idealista non hanno dimenticato quell’incontro glaciale condito di sarcasmo e d’ironia. La sintesi del pensiero di Litvinov fu questa: Mosca deve riprendere i suoi commerci, i suoi rapporti economici e politici con gli stati capitalisti; questo è il problema urgente della Russia sovietica, non altro. Chi mi legge e chi ricorda le battaglie politiche in Italia di quell’epoca può comprendere la mia amara sorpresa. Ritornato a Milano, dovendo parlare ad un convegno, non seppi tacere il mio stato d’animo e fui accusato dai più accesi di avere lasciato in Danimarca i miei propositi rivoluzionari. In realtà ho poi constatato che quella doccia fredda aveva operato in modo profondo e salutare nel mio spirito troppo nutrito di idealismo” (Nicola Bombacci[510])
Dopotutto prima dell’Italia anche altri paesi, Gran Bretagna e Usa in primis, si erano gettati ad allacciare rapporti (rigorosamente segreti e tramite agenzie non governative) con la neonata Urss. Per cui Bombacci non avrebbe dovuto farsi illusioni sui motivi di quel suo incarico. Successivamente si recò in Urss per un congresso assieme ad una grande delegazione italiana. Nitti gli gettò ponti d’oro alla partenza.
“La miglior propaganda anticomunista è mandarli a controllare de visu” (Francesco Saverio Nitti, salutando la partenza della delegazione italiana per l’Urss, 25 maggio 1920[511])
Dopo la marcia su Roma, la delegazione italiana a Mosca se ne stette lì fino a 1923 inoltrato. L’unico a ritornare fu Nicola Bombacci, con una celerità insolita (un solo giorno di viaggio) il 13 novembre 1922 dopo un colloquio con Zinovev. Andava a preparare le basi dell’alleanza italo-sovietica che furono interrotte solo dall’omicidio di Giacomo Matteotti. Come abbiamo già visto a pagina -------, anche dopo la marcia su Roma gli approcci commerciali tra Italia ed Urss continuarono, fortemente avversati da un lato dai fascisti più anti-bolscevichi (Federzoni in primis), dall’altro dal Pci che giudicava indecoroso per la Patria del socialismo intrattenere rapporti con l’Italia fascista. Tali rapporti erano tenuti dall’uomo di fiducia di Mosca, Nicola Bombacci, che per questo divenne fortemente inviso ai vertici del Pci. Ironico è che, mentre dopo la marcia su Roma il delegato commerciale sovietico in Italia Vaclav Vorovskij si aspettava di essere sfrattato, rimase attonito quando fu invece accolto da Mussolini con una cordialità mai vista dai precedenti governanti italiani, il 7 novembre 1922 cioè pochi giorni dopo la presa del potere. Il 5 dicembre giunge in Italia addirittura il commissario del popolo al commercio Leonid Krasin. Tutto questo non poteva non rodere a Togliatti e soci.
“Per tutte queste ragioni, per difendere la nostra economia e liberarla dalla schiavitù delle grandi compagnie petrolifere, io, signor Presidente, la invito a concludere al più presto il trattato con la Russia” (Nicola Bombacci, discorso alla Camera, 30 novembre 1923[512])
La preoccupazione di Bombacci non va vista come egoismo di sfruttamento, ma come il tentativo di estromettere le compagnie concorrenti britanniche e americane togliendogli fette di quell’enorme mercato concludendo accordi più vantaggiosi anche per l’Urss. Come fece in seguito Enrico Mattei. E come con lui, anche con Bombacci vi era qualcuno che remava contro.
“Lei sa, signor Presidente, che proprio la settimana scorsa a Mosca sono state presentate delle precise condizioni per concludere il trattato? Io temo che non lo sappia. Io temo che lei non venga informato con soverchia sollecitudine. Io temo che l’Italia non abbia le mani libere per trattare!” (Nicola Bombacci, discorso alla Camera, 30 novembre 1923[513])
Difatti Mussolini, imbarazzato, successivamente verificò che il telegramma a cui si riferiva Bombacci era stato “sotterrato” in una pila di documenti irrilevanti. Da ciò se ne deduce che i tentacoli degli assassini di Matteotti, seppellitori del telegramma, arrivavano fino alla sua segreteria…
“Il problema deve essere posto in questi termini di schietta e, oserei dire, brutale utilità nazionale. E’ utile per l’Italia, per l’economia italiana, per l’espansione italiana, per il benessere del popolo italiano, è utile il riconoscimento de jure della Repubblica russa? Io rispondo di si” (Nicola Bombacci, discorso alla Camera, 30 novembre 1923[514])
Nel 1925, nonostante la protezione di cui godeva da parte del Duce, la casa di Bombacci venne assalita da un gruppo di squadristi. Casualmente era pure sede della principale società di import-export italo-russa. Quest’ultimo particolare potrebbe far intuire che l’obiettivo, incitato da quei “ras” che ancora si dimostravano contrari a questo rapporto commerciale, fosse l’interruzione di questi commerci. Rimane da chiedersi: dato che essi erano molto lucrosi per l’Italia, e per l’Urss lo erano certamente più che quelli con altre nazioni, chi aveva interesse ad eliminare questa “concorrenza” italiana, se non agenti stranieri? L’ipotesi di comunisti italiani, altrettanto motivati, pare da scartare, per ovvie ragioni.
“Bombacci fu uno dei fautori dell’accordo commerciale con la Russia. Il partito comunista italiano non condivise il punto di vista da lui illustrato nel discorso che tenne alla Camera e lo invitò a rassegnare le dimissioni dal mandato. Non capii perché. Il trattato, in tutto e per tutto favorevole all’Urss, sembrò diventare il terreno di una discussione destinata a non avere più fine. L’avvocato Terracini, capo dei comunisti italiani, era fuori dalla grazia di Dio per i rapporti di cordialità intercorrenti fra me e l’ambasciatore sovietico. In quei giorni era morto Lenin, il lavoro di burocrazia del Cremino andò a rilento. Alessandro Rykoff, successore di Lenin sul piano delle cariche statali, si era dimostrato amico dell’Italia eppure, per un attimo le interferenze dei comunisti italiani avevano fatto arenare la firma del trattato italo-russo” (Benito Mussolini, intervista ad Yvon de Begnac[515])
Lenin morì il 21 gennaio 1924. Il 10 giugno le trattative italo-russe giunsero ad una battuta d’arresto; perlomeno quelle politiche. E la storia andò come sappiamo.
I paesi che non allacciarono rapporti con l’Urss e continuarono a boicottarla in quanto comunista, erano tutti paesi non interessati al commercio con essa, soprattutto perché neo-colonie essi stessi; l’Argentina, ad esempio, allacciò rapporti con l’Urss solo il 6 giugno 1946.
La rivoluzione bolscevica non è stata solo una reazione allo sfruttamento e alla sopraffazione, ma anche il risultato dell’ateismo e quindi del rifiuto di una mediazione etico-religiosa nella soluzione dei problemi dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo e degli abusi connessi. Quasi sempre il comunismo, privo di quella mediazione, è stato peggio della sua causa. La rivoluzione eliminò il vecchio potere, ma il paese si trovo così in una quasi anarchia istituzionale. Ma di chi era questa rivoluzione? Il campo libero lasciava aperta la porta a chiunque volesse e potesse approfittarne. La guerra civile russa fu una guerra anche intestina a queste forze (come abbiamo visto riguardo Machno) alle quali si unirono contingenti internazionali ufficialmente tesi a ripristinare il precedente status quo zarista. Ma... c’è un ma. Che interesse avevano gli altri stati a ripristinare un potere che fino allora aveva fatto dell’immensa Russia un pericolo per tutti gli altri imperi? Che interesse aveva la finanza internazionale a ristabilire un impero autocratico, autarchico, ed incapace di sfruttare le immense ricchezze dell’impero russo, dal quale essa era preclusa? Cosicché tali forze in campo fecero in modo di far ritirare i fittizi contingenti anticomunisti, e fornire invece il loro aiuto all’ala dei bolscevichi, quella che più garantiva loro determinati requisiti. Un accordo sottobanco. Un accordo avvenuto tra persone che se la intendono, per le quali basta uno sguardo per capirsi. Pensate a che categoria di persone apparteneva tutto il vertice comunista russo, ed a quale stessa categoria appartenga l’alta finanza mondiale...
“Ogni ebreo appartiene alla propria razza e di conseguenza al giudaismo e non ha importanza alcuna che egli stesso e i suoi antenati abbiano rinnegato la propria fede religiosa” (Mosè Hess, dall’opera “Roma e Gerusalemme”)
Da quel momento la Russia assicurò al sistema economico globale una inesauribile risorsa, sia di materie prime, che di manodopera per estrarle. E l’anticomunismo venne usato dagli occidentali non contro l’Urss, ma come arma per eliminare la concorrenza; il vero motivo per cui Enrico Mattei veniva attaccato dagli americani era proprio per il suo tentativo di accaparrarsi fette di questo mercato. Il tutto alla faccia dei proletari russi, il cui stile di vita impostogli è noto. Il “comunismo” fu “applicato”, o meglio, “interpretato” dai bolscevichi per la prima volta nella pratica. Come lo applicarono? Come secondo loro doveva essere interpretato, o meglio, secondo i piani di chi aveva favorito i nuovi padroni. Uno stravolgimento dei propositi di Marx, possiamo dire: tutto divenne di proprietà di un ente supremo, lo Stato, ed amministrato da burocrati di nomina politica.
“Dobbiamo imparare a combinare lo spirito democratico nelle masse lavoratrici quale si manifesta nelle riunioni, impetuoso come la piena primaverile, con la disciplina ferrea durante il lavoro, con la sottomissione assoluta, durante il lavoro, alla volontà di una sola persona, il dirigente sovietico” (Lenin)
Ogni decisione fu affidata quindi a scelte politiche, anziché economiche. Il tutto ufficialmente in nome del comunismo, del proletariato, del popolo. In nome di essi qualunque politico con un pò di furbizia poteva fare il bello ed il cattivo tempo. Una nomenclatura che non è più vincolata a quegli interessi economici che negli stati capitalisti legano le mani alla politica. Ma è il classico “dalla padella alla brace”; se al politico dalle mani legate è impedita qualunque svolta autoritaria, al politico slegato sono aperte tutte le porte. E una tale mole di potere sviluppa una competizione politica personale senza regole, spesso legittimata da un alone di divinità (culto della personalità). E’ chiaro l’esempio di ciò, nello stalinismo. Il risultato fu lo stravolgimento dei rapporti umani e sociali, che tutti conosciamo. I lavoratori ed il popolo non avevano alcuna voce in capitolo nel campo socioeconomico, tantomeno del loro lavoro, che svolgevano malamente e per costrizione, non per iniziativa. Ma lo svolgevano. Dovevano svolgerlo. Ogni amministratore poteva decidere prezzi, orari di lavoro, salari, a sua discrezione. Questo gli dava il potere, e tale potere poteva venire utilizzato da chi interessato corrompendo questo burocrate. Si parte dai livelli più bassi per arrivare fino ai vertici dello stato. I capitalisti stranieri poterono da allora acquistare in URSS materie prime e prodotti finiti a prezzi irrisori, semplicemente corrompendo chi aveva la delega “del popolo” a deciderne il prezzo. E se qualcuno osava protestare era pronto il gulag, sempre in nome “del popolo”. Questo sistema portò ai piani quinquennali, allo stakanovismo, per far produrre di più e far vendere più all’estero con conseguenti tangenti elargite al nuovo “padrone”. Tutto alle spalle del popolo dietro il quale ci si nascondeva quando qualcosa deviava il suo corso. Tutti sappiamo che fine ha fatto chi interno a tale sistema osò opporvisi, Trotsky per primo. Il comunismo fu il più grosso affare mai realizzato da Wall street, altroché l’acquisto dell’Alaska! Ancor oggi resta una totale ignoranza di cosa sia stato il comunismo applicato in URSS dal 1917, tanto che ci sono ancora marxisti che adorano tale sistema. Marx si rivolterebbe nella tomba. A prescindere poi da Marx e il suo vagheggiato socialismo, basta rendersi conto dell’evidenza per capire che qualcosa non quadra. Cosa doveva essere il socialismo? Perché in URSS divenne statalismo? Che rapporto vi era tra le due cose? Ma il socialismo non doveva essere la distribuzione del potere e dell’economia al popolo? In URSS era così oppure no? No, in URSS semplicemente vi fu un avvicendamento del potere, da una pigra borghesia ad una classe privilegiata di “menti”, che comandavano tutto e tutti tramite un potere che gli arrivava da una imperscrutabilità in nome della “rivoluzione”, in nome della quale tutti dovevano diventare ligi automi nelle mani delle “menti”.
“Il comunismo russo è il figlio illegittimo di Carlo Marx e di Caterina la Grande” (Clement Attlee)
La “nomenklatura” semplicemente sostituì la vecchia aristocrazia. Ma a differenza del periodo zarista, in assenza delle regole di mercato i limiti diventano inquantificabili, e quindi non lavorabili. Col risultato che gli individui, senza questa quantificazione, iniziano a prendere dalle risorse limitate più di quanto abbisognano (se l’elettricità fosse gratis chi spegnerebbe le luci di casa?). E gli stati a pretendere dagli individui quantità sproporzionate. Cose come sprechi, efficienza del sistema produttivo, contenimento dei costi, impatto ambientale, sicurezza sul lavoro, eccetera, non venivano neanche prese in considerazione. I soviet avevano come unico imperativo la produzione a qualunque costo. Basti pensare alla “conquista dello spazio”… In un paese dotato di un sistema economico razionale le spese per il terziario vengono basate sulle possibilità offerte da primario e secondario. Solo quando queste lo permettono senza andare a loro scapito allora si dispongono i fondi. Solo quando un sistema illiberale e coercitivo dirigista impone dall’alto una forzatura --------. Se controllore e controllato si identificano nello stesso soggetto (nel caso lo Stato) il conflitto di interessi è inevitabile. Si consideri nuovamente l’esempio che gli elefanti laddove sono una specie protetta inibita al lavoro rischiano l’estinzione, mentre dove sono privatizzati prosperano. Quando i fatti non si adeguano all’ideologia marxista, i progettisti sociali del comunismo emendano i fatti, piuttosto che correggere la teoria. Nell’Unione Sovietica i leader politici si vantavano regolarmente di essere i primi produttori al mondo di determinati prodotti, ad esempio di volta in volta cemento, ferro, patate, etc etc. Dichiaravano sulla base dei numeri statistici di essere un paese ricchissimo. Questo dimostra come dati statistici tipo il PIL siano fuorvianti del vero stato di una società. I trattori infatti si arrugginivano nei campi per mancanza di pezzi di ricambio, le patate marcivano nei magazzini centralizzati, il cemento si utilizzava per costruire case prive delle necessarie suppellettili. E in occidente tutti i comunisti restavano affascinati dalla conquista dello spazio, mentre i sovietici “terrestri” non avevano nemmeno il carbone per scaldarsi.
“Le moquettes sudice, il tanfo degli armadi, il color bigio dei lavandini, gli orli bruniti dei cessi. Riconosco gli odori del Patto di Varsavia. C’è un tanfo speciale tutto e soltanto comunista, non l’ordinaria sporcizia del resto del mondo. La mancanza d’aria, la poca pulizia, i materassi insondabili, la biancheria nerastra, il fumo di tabacchi paurosi che s’è impastato ai mobili, alle pareti, l’ideologia tutto fa. (…) Un ascensore solo funziona, ma va su e giù senza fermarsi ai piani; le porte, ci spiegano, si sono bloccate” (Piero Buscaroli[516])
La statistica non coglie gli aspetti qualitativi, imprenditoriali, allocativi, che fanno la vera differenza. Tipico è il caso dei fabbricanti di bare: quando la mortalità del loro villaggio diminuiva, il magazzino del sovchoz continuava a mandare comunque sempre la stessa quantità di legno e stoffa, cosicché l’artigiano li rivendeva in nero agli amici lucrandoci fortune.
Per garantire la continuità dell’affare, dal 1973 il rifornimento cerealicolo dell’Urss (essendo divenuta nel 1970 deficitaria la sua produzione interna nonostante l’enorme utilizzo della meccanizzazione, della monocoltura, e dei concimi chimici) fu assicurato dal grano proveniente dal surplus degli Usa, fino a quando nel 1980, col “cambio di amministrazione” nella massoneria, questo “rubinetto” fu chiuso e l’Urss iniziò un inevitabile declino terminato nel 1990. La sua caduta, con il venir meno di quegli “affari”, provocò una crisi economica globale che pose fine agli speranzosi anni reaganiani, attenuata però provvisoriamente dal saccheggio delle ultime briciole rimaste.
Il fondare le allocazioni sui precetti della surreale “teoria del valore-lavoro” comportò un incongruente meccanismo commerciale. Se per ragioni di tipo politico, ad esempio l’intervento del governo, si impedisce la funzione imprenditoriale, si blocca il processo di coordinazione ed emergono conflitti e disallineamenti continui. In tale sistema un equilibrio tra giacenze e scarsità si rivelava irrealizzabile. La distorsione nel sistema commerciale provocata dall’assenza delle più elementari regole di mercato portava un allocazione inefficiente dei beni e delle vendite riscontrabile visivamente nella formazione di lunghe code davanti ai negozi, mentre per i beni non di “prima necessità” si redigevano liste d’attesa. Ad esempio per l’acquisto di un’automobile in Urss negli anni ’80 arrivava il proprio turno in media dopo tre-quattro anni; per l’acquisto di un biglietto per il Bolscioi dopo due o tre mesi. Questa situazione provocava inevitabilmente un esteso mercato nero delle merci, soprattutto di quelle straniere, gestito dalla mafia russa. Il mercato nero consentiva ai ricchi di accedere a prodotti altrimenti irreperibili, e senza dover “fare la fila”. E quindi era tollerato in ambienti politici, in quanto in Urss i politici comunisti grazie alla corruzione erano gli unici ricchi.
“La corruzione è l’intrusione dei governi nell’efficienza del mercato sotto forma di regolazione” (Milton Friedman)
Il contrabbando, il mercato nero, in qualche modo cercano di scavalcare la restrizione istituzionale. Mettono in moto l’iniziativa di coloro che nella restrizione istituzionale vedono aprirsi incredibili squilibri e quindi possibilità di trarne dei benefici. Da qui la necessità di mantenere un ambiente illiberale in ambito lavorativo e più estesamente in tutta l’organizzazione statale, per tacciare le prevedibili critiche dei lavoratori ai dirigenti e a tutto il sistema. Necessità, si badi, non per forza appositamente ricercata, ma implicitamente concessa dalla filosofia comunista della “dittatura del proletariato” la quale permette ai poteri politici qualunque azione dietro la giustificazione degli “interessi del proletariato”, ma non si può negare che la classe al potere ne abbia approfittato… la critica interna alla “glasnost”-“perestrojka” era basata proprio su questa constatazione, ed ironicamente parafrasata in un paragone molto diffuso nei paesi dell’est Europa: “Gorbaciov si sta radendo, quando la sua nipotina va da lui e gli chiede cosa stia facendo; nonno Michail la manda via con una bonaria pacca sulla schiena, quando invece avrebbe potuto facilmente sgozzarla col rasoio che teneva in mano”. E come già detto la democrazia liberale odierna non è molto diversa, la libertà è permessa solo finché è funzionale alle necessità dei potenti. Con il sistema della democrazia organica invece implicitamente nessun potente potrebbe riuscire ad avere un “rasoio” in mano. E quindi il distributismo la contempla nella filosofia che la libertà non deve essere “concessa” dal governo al popolo, ma è il grado di controllo del governo sul popolo che deve essere concesso dal popolo al governo. Nel comunismo e nella democrazia liberale ciò non è possibile fondamentalmente. Nella democrazia organica ciò è invece il fondamento inalienabile, perché essa lascia il più ampio margine di sviluppo alla natura umana, anziché castrarla.
“La maggiore fonte di obiezioni alla teoria della libera economia è che … dà alla gente ciò che vuole indipendentemente da ciò che un ristretto gruppo di persone pensi ch’essa debba volere. Sotto la maggior parte delle obiezioni contro il libero mercato sta una mancanza di fede nella libertà stessa” (Milton Friedman)
Nei paesi comunisti tentativi sporadici di eliminare la “nomenklatura” neo-borghese, come la rivoluzione culturale durante il regime di Mao, fallirono difatti a causa della natura stessa dell’uomo, immodificabile per definizione. In molti casi l’eliminazione fisica era l’unico rimedio trovato. Con la morte di Stalin nel 1953 e l’avvento di Chruscev, dal 1956 si avvia un processo di modifica del sistema di pianificazione (si aboliscono i “piani quinquennali” e si chiudono la maggior parte dei gulag) verso una certa liberalizzazione che porta ad un aumento del livello di vita. Ma a scapito degli affari personali dei “boiardi” del regime. Percorso interrotto nel 1964 quando Chruscev è costretto a dimettersi e sostituito da Breznev[517], il quale attua un ritorno all’ortodossia passata, con conseguente rallentamento della crescita, che nel 1970 si ferma del tutto, per riprendere solo nel 1973 grazie agli aiuti alimentari americani. Tentativo di ritorno all’ortodossia occorso anche nel 1990, stroncato stavolta dalla reazione di Boris Eltsin, con Gorbaciov messo tra l’incudine ed il martello.
«Il suffragio universale tramite il quale il popolo intero elegge i suoi rappresentanti e i governanti dello Stato - questa è l’ultima parola dei marxisti e della scuola democratica. Tutte queste sono menzogne che nascondono il dispotismo di una minoranza che detiene il governo, menzogne tanto più pericolose in quanto questa minoranza si presenta come espressione della cosiddetta volontà popolare. Risultato: il dominio esercitato sulla grande maggioranza del popolo da parte di una minoranza di privilegiati. Ma, dicono i marxisti, questa minoranza sarà costituita da lavoratori. Si, certo, ma da ex lavoratori che, una volta diventati rappresentanti o governanti del popolo, cessano di essere lavoratori. E dall’alto dei vertici dello Stato cominciano a guardare con disprezzo il mondo comune dei lavoratori. Da quel punto in poi non rappresentano più il popolo, ma solo se stessi e le proprie pretese di governare il popolo. Chi mette in dubbio ciò dimostra di non conoscere per niente la natura umana» (Michail Bakunin, “Stato e anarchia”)
Passare dalla “dittatura del proletariato” alla socializzazione sarebbe stato molto semplice, sarebbe bastato che lo Stato dicesse ai lavoratori “la proprietà è vostra”. Forse le intenzioni di Lenin erano proprio queste? Questo avrebbe potuto significare “raggiungere” il comunismo? Ora, è significativo che James Gregor non definisca il fascismo un bolscevismo incompiuto, ma, di contro, definisca il leninismo un «fascismo imperfetto»[518].
“Se per comunismo si intende l’ala intransigente staccatasi da quella riformista (…) del partito socialista, Mussolini può essere a ragione definito il primo e da un certo punto di vista, l’unico comunista europeo del periodo” (Ernst Nolte[519])
Dato che con i “se” non si può ragionare, abbiamo perlomeno la certezza che Petr Aleksejevic Kropotkin lo progettò così. Idem in Germania Ernst Niekisch, il capopopolo del “nazional-bolscevismo”, secondo il quale Germania e Unione Sovietica avrebbero dovuto dare vita ad un’alleanza anticapitalista in funzione anti-Occidente. Quindi la Cecoslovacchia quando nel 1960 sostenne di aver “raggiunto il comunismo” mentiva? Sintomatica fu nel 1921 l’introduzione della NEP, che prevedeva il ripristino delle leggi di mercato, la fine del sistema delle requisizioni e la loro sostituzione con un sistema impositivo fiscale, ed una riforma monetaria che conseguentemente implicava sconfessare l’abolizione del denaro prospettata da Marx.
“Il sistema capitalistico fu modificato ma non abolito. La storia fatta dai bolscevichi era ancora storia capitalista nel travestimento ideologico del Marxismo” (Paul Mattick)
Nel 1928 l’industria raggiunge i livelli del 1913. Come sappiamo, dopo morte di Lenin (1924) la NEP viene sospesa nel 1929, e con l’avvento dei “piani quinquennali” di Stalin e la “liquidazione” dei kulaki terminata nel 1936 il comunismo rimane tale e quale, senza mai essere “raggiunto”. Sfociò nel cosiddetto Socialismo Reale e non nel vero e proprio paradiso vagheggiato da Marx e poi da Lenin. Anzi gli esperimenti per “raggiungerlo” si riveleranno fallimenti (Tito, Pol Pot, Mao, Reverendo Jim Jones), sfociati nel sistema cinese odierno, il peggior esempio di liberismo speculatore ammantato dalle più coercitive filosofie comuniste unite all’idolatria confuciana dello Stato. La Jugoslavia si regolò riconvertendo verso il liberalcapitalismo nella sua versione social-riformista, con le leggi emanate il 20 marzo 1961. L’Albania invece scelse la strada opposta al suo vicino, irrigidire lo stalinismo del quale rimaneva ultimo baluardo, per poi convergere verso la Cina maoista. Bollati come “deviazionismo” dalla Patria del socialismo, ne fu impedito ogni evoluzione nei paesi ad essa legati, fino alla sua caduta quando era oramai troppo tardi per tentare esperimenti. Nel 1961, Kruschev dichiarò che il comunismo in Urss sarebbe stato raggiunto entro il 1980; ma fu fatto cadere da Breznev, ed il risultato fu che finchè questi restò al potere, il comunismo non fu né raggiunto e nemmeno venne più posta la questione stessa. Poi venne Gorbaciov. Forse anche Gorbaciov si mosse sulla strada di Lenin? Il fatto che sia stato fatto cadere da un azione congiunta tra neo-brezneviani e capitalisti lo avvalorerebbe.
“Se Lenin, che ho sempre stimato profondamente, fosse vissuto, il programma dell’Urss sarebbe stato diverso. Avremmo visto con tutta probabilità Fascismo, Nazionalismo e Bolscevismo uniti contro l’altro nemico: la plutocrazia” (Nicola Bombacci)
Il primo ed unico (ed è facile intuire il perché…) sincero e realistico tentativo di portare a compimento il comunismo, la rivoluzione ungherese del 1956, fu all’uopo soffocata dall’Urss post-staliniana, e non a torto fu bollata come “rivolta fascista”, perché Imre Nagy dichiarò di non aspirare al ritorno al capitalismo bensì di voler evolvere ulteriormente il comunismo. Ed il significato conseguente ed intrinseco di questa aspirazione era molto chiaro alla nomenklatura comunista di tutto il mondo. E perciò temuto. E’ a causa di ciò che la Cecoslovacchia si affrettò ad arrogarsi di aver raggiunto il tanto desiderato comunismo? Ovvero come deterrente ad un pericoloso vero tentativo come quello ungherese? Oppure per dire ai popoli di tutti i paesi comunisti “ecco, non esiste un altro tipo di comunismo da inseguire, solo questo”. Come sappiamo, i responsabili della primavera di Praga del 1968 non si azzardarono a ripetere l’errore ungherese di dichiarare di voler rivoluzionare il comunismo, ma solo di puntare semplicemente al riformismo verso il capitalismo, che rispetto al 1956 faceva già più gola. Tuttavia non gli bastò come lasciapassare.
“Il paradosso del comunismo al potere consisteva nel suo essere conservatore” (Eric Hobsbawm)
In Europa alla
caduta del sistema nel 1990, i paesi ex-comunisti hanno preferito svendere (“smobilizzare”)
tutto il loro sistema produttivo sul mercato internazionale del miglior
offerente (che ne ha fatto man bassa), di fronte all’allettante prospettiva di
grandi cifre ma irrisorie in confronto al valore effettivo, cifre che dopo poco
si sarebbero già esaurite (causa/effetto della svalutazione del rublo), e per
di più trovandosi prive di quelle proprietà fonte di potenziali introiti, e con
i concittadini poveri come prima. Le risorse naturali, cedute ai privati
coi “contratti di baratto”, ricalcavano
il sistema sovietico di scambi impari.
“Vari posti
testimoniano la rinascita di un certo neoliberalismo capitalista che subordina
la persona umana a cieche forze di mercato e condiziona lo sviluppo dei popoli
a quelle forze. Dai suoi centri di potere, tale neoliberalismo pone
insopportabili fardelli sui paesi meno favoriti. Come risultato, il ricco
diviene sempre più ricco, mentre il povero diventa sempre più povero”
(Dall’omelia di Papa Giovanni Paolo II a L’Avana, 24 gennaio 1998)
Vicino Cuba accaparrarsi:
In alcuni paesi, come la Russia, la Polonia e in parte l’Ucraina, la privatizzazione giunse soprattutto a premiare un ristretto gruppo di affaristi, manager e burocrati vicini al potere politico di quel periodo e spesso legati ad organizzazioni criminali. ---risparmi della corruzione sovietica---- In generale la fase di transizione rivelò quanto sia lungo e difficile creare un buon insieme di istituzioni, regole e competenze necessarie per far funzionare in modo efficiente e trasparente un’economia di mercato. Occorrono una borsa valori e un sistema bancario solidi e ben regolati, occorre un fisco competente e poco corrotto, occorrono bune leggi commerciali, tribunali ed avvocati competenti, validi amministratori, contabili e specialisti di marketing. Tuttociò richiede decenni, e soprattutto richiede un sistema politico-istituzionale poco corrotto, propenso a sostenere la democrazia e la concorrenza e restio ad appoggiare i poteri monopolistici, pubblici o privati, interni od esterni. ------ Vittorio Valli, “Politica economica, Carocci ed., pag. 139. ------ Oppure: la socializzazione. ------ Quando la proprietà privata è legale e potenzialmente accessibile, ma ancora tutto è in mano allo Stato. -----accaparramento –privatizzazione---
Nel 2004 solo Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia, e Albania avevano raggiunto e superato i livelli di PIL reale del 1989.
Crisi primi anni 90: venir meno dei prodotti sovietici a basso prezzo, e assorbimento capitali da parte di aziende ex sovietiche privatizzate da stato russo. ---soldi a stato russo --- non più monopolista, affronta concorrenza.
La situazione
della Russia post-sovietica è l’esempio più calzante di quanto appena enunciato
con l’improvviso benessere che ha colpito alcune frange sociali sopravvissute
al collasso dell’URSS e rotanti attorno alle fortune accumulate nei decenni
precedenti dai mafiosi e dai burocrati con la corruzione; una popolazione che
sotto la guida filo-atlantista di Eltsin ha vissuto un breve momento di
schizofrenico consumismo occidentale che proprio alla fine di quel decennio ha
allargato tutte le falle che il sistema inevitabilmente aveva prodotto,
costringendo il successore, Putin, ad instaurare una specie di “oligarchia
statalista” (mascherata da nazionalismo di stampo quasi zarista) che, seppur
capace di tenere a freno possibili disordini sociali, non ha gettato certamente
le basi per una solida economia nazionale, e tantomeno per una cultura
socio-politica decente. Conferma ne è la criminalità organizzata ed il
terrorismo politico che vi imperversano bradi. Si consideri che nel 2002, secondo statistiche dell’OCSE, il Pil pro
capite della Federazione Russa era al livello del 1966; se consideriamo che il
reddito è oggi enormemente più concentrato, dobbiamo desumerne che per le
classi inferiori, il livello di vita è tornato a quello di metà anni cinquanta.
Lo scrittore Rino Cammilleri così seppellisce definitivamente il marxismo: «Marx, il giornalista che pretendeva di ridurre la filosofia ad economia, perse notevoli somme giocando in Borsa (soldi di Engels, che lo manteneva). Come economista fu un fallimento, come “profeta” pure. In realtà mise in piedi una perfetta teoria per prendere il potere e mantenerlo. La sua filosofia si basava su un assioma (tutto è Materia, la Materia è eterna) e sull’idealismo hegeliano (la realtà è continua trasformazione e la si può manipolare e “guidare”); la sua analisi storica era sbagliata (la lotta di classe come motore della storia) e le sue teorie economiche poggiavano sull’opinabile concetto di “plusvalore” (quello del “valore” è un problema insolubile come quello dell’uovo e della gallina: quanto “vale” un oggetto? Si può solo sapere quanto costa, perché nell’idea di valore entrano in gioco elementi psicologici non quantificabili. Ma lui pretendeva di aver risolto il problema “scientificamente”). Le teorie marxiste divennero “leninismo”, “stalinismo”, “maoismo”, “gramscismo”, man mano che altri le adattavano a situazioni diverse. L’estrema adattabilità del marxismo ne fa un Proteo capace di assumere tutte le forme: al contrario di tutte le altre ideologie il marxismo diventa tale solo alla fine del processo. Cioè prima si scala il potere con tutti i mezzi, poi si instaura la teoria. Ecco perché paesi diversissimi (Cambogia, Cuba, Russia, eccetera) sono diventati uguali dopo che la cappa comunista li aveva inglobati.»[520].
Come si regoleranno in futuro Cuba e Corea del Nord, lo vedremo. Non resta che aspettare.
Commento conclusivo
“Se non ho paura della verità è perché ho un solo padrone, la mia coscienza” (Cesare Merzagora)
Basare il valore di un idea sulla “conta dei morti” è certamente disonesto, ma bisogna far notare come finora l’elenco delle vittime dovute al distributismo sia zero, se non vogliamo conteggiarvi i morti nell’aggressione bolscevica alla Machnovščina; è assai difficile pensare che nei kibbutz ci siano stati morti imputabili al sistema economico implementatovi, e così, alla luce di quanto riportato in questo testo, risulta difficile ipotizzare che un mondo distributista abbia la necessità di uccidere qualcuno per sostenere il suo sistema. Il distributismo non tende a soffocare la natura umana: non solo consente, ma addirittura sprona le persone a perseguire i propri interessi personali con fine organicistico.
Ovviamente siamo consapevoli che l’Italia, avendo perso l’ultima guerra è tuttora sottoposta alla volontà del vincitore, ed ha ben poca voce in capitolo sulle sue politiche da seguire. La dura reprimenda subita per non aver boicottato le olimpiadi di Mosca del 1980 è esemplare, per cui non c’è da farsi illusioni.
“Ci rifiutammo di boicottare le olimpiadi di Mosca. Carter non la prese bene” (Francesco Cossiga)
Il mondo occidentale non ha avuto una “primavera di Praga” solo perché dava perlomeno l’illusione di essere liberi di averla, volendo. Ma l’esistenza stessa di organizzazioni finalizzate proprio alla repressione di “primavere” (Gladio ad esempio) è più che chiarificatrice in merito alle prassi che sarebbero seguite in tal caso. Non tutti danno la necessaria importanza al fatto che le clausole segrete dell’armistizio di Cassibile siano tutt’oggi segrete. Ma non è certo difficile intuire il succo di quelle clausole. Oggi fanno perfino tenerezza quei manifestanti ingenuamente convinti che esista la possibilità che il governo italiano neghi agli Stati Uniti la costruzione della nuova base aerea a Vicenza.
“La vita è come il gioco dell’Oca; ma i dadi non li tiriamo noi” (Alfio Krancic)
La giurisprudenza americana si
basa molto sul concetto di “contratto”. Quando si arriva dall’estero in un
aeroporto americano si deve firmare un foglio dove si deve specificare di non
esser lì per uccidere il presidente. Per quanto strano possa sembrare a noi,
nel caso si tentasse di uccidere il presidente americano, si verrebbe
condannati non tanto per tentato omicidio, ma per violazione di un contratto.
Per questo stesso motivo gli italiani che lavorano nelle basi NATO devono
pronunciare un ridicolo giuramento di fedeltà.
Noi proponiamo la soluzione nell’eventualità di mutamenti geopolitici futuri. Ma non vogliamo certo che ci venga di nuovo abbattuto un aereo civile e distrutta la sala d’aspetto gremita di gente di una stazione ferroviaria come è accaduto a causa di una “semplice” violazione di contratto (seppurchè questo significava fare una scelta di campo ben precisa, specialmente in un Italia dove il compromesso storico non era ancora stato definitivamente seppellito, dato che a differenza di quanto si suol credere il principale fautore non era Moro ma La Malfa). Superfluo precisare che i contratti maggiormente vincolanti nei confronti degli Usa sono quelli di Germania, Giappone, e Italia.
Quando un giorno tutto sarà accettato alla luce del sole, immaginate se oggi lo si potesse vedere? Chi oggi viene accusato di aver voluto la guerra ne è in realtà la vittima che l’ha subita e chi ne è il vincitore “suo malgrado” in realtà ne è l’accorto pianificatore. Ribadiamo: tanto più massiccio è il muro, e tanto più rumore farà crollando.
Gianfranco Fini disse di aver consegnato il fascismo alla storia. Certamente, visto che agli allocchi piace cullarsi sulla semantica. Quello che faremo potrà avere qualunque nome, una rosa avrebbe lo stesso profumo anche se la chiamassimo stercotaro. Anche le prostitute pretendono di essere chiamate escort, ma questo non le rende meno prostitute. Nonostante i maestri nella sapiente arte del lessico.
Certamente ciò stride con la
rinascita a cui stiamo assistendo oggi. I più giovani forse non potranno
comprendere il clima che si respirava anni or sono, perfino ancora nel 1994,
del quale portiamo ad esempio la sprezzante frase pronunciata da una nota
comica di sinistra elogiata in un volantino dal “fronte della gioventù”: “di
certo consenso non so che farmene”. –
dandini? O guzzanti? Il primo varietà di destra
Immaginabile quanto possa rodere a simili ------------ il fatto che chi del quale vorrebbero farsi sberleffo rimanga invece divertito di un opera tipo “fascisti su marte”. Immaginabile è che per certe persone rigonfie d’odio come sono i suoi omologhi sia difficile comprendere l’autoironia che è, non a caso, caratteristica tipica della goliardia fascista. Eppure il fatto che i fascisti avessero chiamato il proprio giornale satirico “la voce della fogna” avrebbe dovuto fargli intuire qualcosa… anziché buttare all’aria il computer quando gli appare il banner automatico “benvenuto camerata”…
Si può dire che la caduta del comunismo sia la causa della rinascita del fascismo? Anzi, dovrebbe essere il contrario: non era lo scopo primario del fascismo l’eliminazione del comunismo? Viene a mancare un nemico da combattere, non serve più combatterlo! Quindi?
Dopotutto come si può non essere d’accordo davanti ad Indiana Jones che afferma: “nazisti, io la odio questa gente” magari dopo aver visto un maniaco omicida con la casa tappezzata di svastiche nel “silenzio degli innocenti”? O dopo aver appreso dal telegiornale la notizia che 100 naziskin entrati in una piscina hanno, nel seguente ordine: drogato, torturato, affogato, eccetera, un bambino irakeno? Le smentite poi non ricuciscono. Nonostante l’assurdità totale originale, l’odio è oramai stato inoculato e non c’è antidoto che tenga. Non importa se la madre è una pazza paranoica affetta dalla sindrome di Münchausen e fanatica “antifa”. Lei che l’ha ucciso è la buona, i calunniati restano sempre i cattivi, perché, testualmente, “avrebbero potuto farlo”. Tutti avrebbero potuto… e se mia nonna avesse le ruote sarebbe un carretto.
Non si può pretendere più di tanto… dopotutto si tratta della stessa “intellighenzia” che in film “storici” sul ventennio mette in bocca ai protagonisti un “boia chi molla”, slogan notoriamente coniato solo nel 1970…
“Come sei diventato fascista?”, la classica domanda alla quale nessun fascista riesce mai a rispondere! Il vero senso di questa domanda: “come è possibile che continuino a esserci ragazzi che iniziano a sentirsi fascisti nonostante tutto quel che si dice e si sa? Come si può essere contro la libertà? Perché si deve odiare? Perché si deve uccidere? Come può esistere della gente così malvagia?”. Ed è proprio questo che dovrebbe fare capire l’assurda contraddizione alla quale arriva chi per proprio tornaconto o imitazione sputa esasperate sentenze, affibbiando fatti e idee estranei alla persona in questione. Bisogna semplicemente rendersi conto che, o non esistono persone che perseguono fini quali quelli addebitati ai fascisti, o comunque, questi non sono i fascisti, per loro propria ammissione. “Saprò io chi sono, quali sono i miei pensieri, i miei scopi…! Non deve essere un altro ad affibbiarmeli”.
Queste sono le motivazioni che inizialmente mi hanno portato a cercare di capire “cosa sono questi fascisti”. Anche io come tutti non mi sono mai posto il problema, accettando acriticamente la storia ufficiale. E io come chiunque avesse voluto immergersi in questo tipo di ambiente - mi sono ritrovato catapultato in un sottobosco fascinosamente inesplorato quanto inimmaginabile. Ecco cosa voleva dire Buttafuoco.
Per decenni fior di filosofi si sono arrabattati per dare una loro “interpretazione del fascismo” arrivando a decretarla “parentesi”, “malattia morale”, “invasione degli hyksos”, “male assoluto”, o “fase terminale” di qualcosa…
« Neppure i fascisti hanno saputo contrapporre a queste interpretazioni
una loro interpretazione » (Renzo
De Felice, “Le interpretazioni del fascismo”)
Adesso possono farlo.
“Fascisti si nasce, non si diventa” (Carlo Tassi)
Così quando vedrai un “antifascista” potrai dirgli: ecco da cosa ci hanno liberato i tuoi amati partigiani.
Ed oggi ci si scervella per cercare soluzioni a problemi fittizi, quando la soluzione è sotto gli occhi da sempre…
dedica finale? farla a nome di tutte le persone che se il sistema economico non fosse stato fatto deviare non sarebbero state uccise
e
ai precursori della socializzazione: Nicola Bombacci, Edmondo Rossoni, Curzio
Malaparte, Sergio e Vito Panunzio, Ugo Spirito, Angelo Oliviero Olivetti, Bruno
Spampanato, Tullio Cianetti, Giuseppe Landi, Giuseppe Bottai, Berto Ricci,
Edoardo Malusardi, Riccardo Del Giudice, Felice Chilanti, Luigi Fontanelli,
Paolo Orano, Amilcare De Ambris, Eno Mecheri, Ugo Manunta, Pulvio Zocchi...
“Molto tempo fa pensavamo che il fascismo fosse una poesia, la poesia stessa del XX secolo; e mi dico che ciò non può morire” (“Il mio fascismo”, D.D.T.)
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Finito il 00.00.2009
@ TUTTI I DIRITTI RISERVATI.
Si ringraziano per la cura, l’impaginazione e il sostegno all’opera:
M.S.D.F.L.I. http://msdfli.wordpress.com/
Romano Guatta Caldini
Gianfredo Ruggiero
Francesco Raucea
Domenico De Simone
Stefano Anelli
Emanuele Liut
Ercolina Milanesi
Andrea Carancini
Francesco Saverio Fontana
Gianuario Mugoni
Tiziano Papagni
Carlo Tresoldi
Alessandro Cavallini
Andrea Nardo
Fabrizio Fiorini
Salvatore Valerio
Associazione filantropico-mecenatica
“Nuova Gestapo”
Adolf
Hitler fan club
Forum “Destra Radicale” Politicaonline
Barone Birra
L’autore della prefazione scrive “se sbaglio mi correggerete”. C’è da rassicurarlo: qualunque castroneria si possa trovare, tutto il resto basta e avanza a fare di quest’opera complessivamente ciò che di meglio e poliedrico è stato scritto di politica negli ultimi 20 o 30 anni almeno. Non potrebbe essere altrimenti per un testo dove si giunge a fare un parallelo tra Adolf Hitler e Vanna Marchi…
Tiziano Papagni
[1] Persone nate povere e poi arricchitesi.
[2] Si pensi che negli Itis alla chimica erano dedicate 2 ore settimanali e solamente a partire dal secondo anno.
[3] Quando un’attività originata dalla psiche richiede più tempo di quello disponibile per portarla a termine, sopravviene un tipico “disturbo ossessivo compulsivo” che blocca del tutto l’iniziativa. Il caso più famoso è quello di Howard Hughes, che ossessionato dall’igiene paradossalmente smise del tutto di lavarsi.
[4] E’ detto “debunker” colui il quale in maniera parossistica ed accanita dedica il suo tempo libero a contrariare e sbeffeggiare ogni ipotesi storico-politica che esuli da quelle “ufficiali” da lui a priori ritenute giuste in quanto confermanti le proprie convinzioni; tale azione si esplica spesso usando la prassi della delegittimazione personale quando in assenza della possibilità di delegittimare i concetti ed i fatti in sé tramite la confutazione ragionata; benché si possa pensare che tale comportamento sia prerogativa di organismi interessati, invece a praticarlo sono soprattutto persone affette da un particolare ben definito disturbo ossessivo-compulsivo.
[5] Alfa è il termine usato in zoologia e antropologia per definire tra due soggetti quello dominante (superiore), rispetto a quello subordinato (inferiore).
[6] “Il Gazzettino”, 21 luglio 2010.
[7] I criminali comuni.
[8] Locuzione latina per indicare come per tenere buono il popolo occorra e basti dargli “cibo e svago”.
[9] Da “Fascisti immaginari”, Luciano Lanna e Filippo Rossi, Vallecchi ed., pagina 19.
[10] Umberto Cerroni, “Il pensiero politico del novecento”, Newton ed., pag. 80.
[11] Documentario di History Channel sull’“eccidio di Schio”. La frase, biascicata in dialetto veneto, non fu probabilmente compresa dai montatori.
[12] Socrate Scolastico, Storia Ecclesiastica, VII, 14.
[13] Così definì il programma della Sciarelli l’ex Presidente della Repubblica Francesco Cossiga.
[14] Testimonianza di Francesco Cossiga, 27° seduta commissione stragi, 6 novembre 1997.
[15] Piero Buscaroli, “Dalla parte dei vinti”, Mondadori, pag. 58.
[16] Dato che una delle filosofie base di Wikipedia è la “regola della maggioranza” che diventa per parafrasi “censura delle minoranze”, a prescindere da chi abbia ragione; ogni testo o opinione fastidiosi sono censurati senza appello e senza necessità di spiegazioni, il cui compito di ciò spetta agli amministratori eletti dai frequentatori; data la regola della maggioranza è prevedibile aspettarsi quale sia la qualità di questi amministratori: tra due opinioni daranno sempre automaticamente ragione a quella peggiore. Il paragone con gli inefficienti sistemi elettorali democratici viene spontaneo. Wikipedia è comunque riconosciuta per le lacune causate da omissioni artefatte, più che per falsità vere e proprie.
[17] Il concetto stesso di questa parola, vale a dire della sua esistenza, è indicativo. Se la verità non fosse nascosta dalle menzogne non ci sarebbe nessuna necessità di dover “rivedere” qualcosa.
[18] Co-produzione propagandistica italo-sovietica del 1970, dai contorni surreali dato che illustra un Urss brezneviana completamente edulcorata, con la protagonista del film che può entrare e vagare liberamente per quel paese come fosse in Italia. Alla solare efficienza sovietica (masse di operai che escono dalle fabbriche con stampati sorrisi smaglianti) viene contrapposta una desolata Italia notturna di scioperi, pornografia, e prostituzione.
[19] Arrigo Petacco, “Il comunista in camicia nera”, Oscar Mondadori, pag. 7.
[20] E’ detto troll colui che infastidisce gli altri utenti di internet. La principale caratteristica che lo identifica è il definire gli altri come tali.
[21] http://carolacatalano.blogspot.com/2007/03/scheda-su-huxley.html
[22] Aldous Huxley, Il Mondo Nuovo, Mondadori
[23] Mimmo Franzinelli, “La sottile linea nera”, Rizzoli, pag. 233.
[24] Mimmo Franzinelli, “La sottile linea nera”, Rizzoli, pag. 253.
[25] Provare gioia per le disgrazie altrui.
[26] Ernst Jünger, “L’operaio”, Guanda ed., pag. 50.
[27] Espressione utilizzata da Alessandro Manzoni ne “i promessi sposi” per definire un discorso appositamente complicato allo scopo di renderlo incomprensibile.
[28] Da “Dottrina del Fascismo”, 14- X1- 1933.
[29] Fabrizio Fiorini, “Socializzazione. Unica via”, 23/11/2009, Fonte: mirorenzaglia
[30] Leone XIII, Enciclica “Rerum novarum” (1891), 42.
[31] Pio XI, Enciclica “Quadragesimo anno” (1931), 36-37-38.
[32] Jonathan Luxmoore, Jolanta Babiuch, “Il Vaticano e la bandiera rossa”, Newton&Compton ed., pag. 254.
[33] Ferdinand Tönnies, “Comunità e società”, pag. 243.
[34] Il meccanismo con cui si ripartisce la distribuzione dei beni e dei patrimoni tra le persone, ovvero non inteso come mero trasporto di merci.
[35] Karl Polanyi (1886-1964), economista ungherese, analista dello sviluppo storico dell’economia.
[36] Pierre-Joseph Proudhon (1809-1865), è universalmente considerato il primo anarchico della storia.
[37] L’Arrivismo è l’aspirazione ad “arrivare”, ovvero “riuscire”; secondo questo concetto, “arriva” a raggiungere un obiettivo non chi è evolutivamente più adatto, ma chi “decide” di volerlo raggiungere.
[38] Michał Kalecki è stato un economista “di sinistra” polacco; si può considerare il precursore delle idee di J. M. Keynes.
[39] E’ la differenza tra il massimo che una persona sarebbe disposta a spendere per acquistare un oggetto ed il prezzo effettivo di quell’oggetto.
[40] La “funzione di consumo” è il rapporto tra reddito e consumo; la “funzione di risparmio” è il rapporto tra reddito e risparmio.
[41] Il “costo di opportunità” determina all’imprenditore come impiegare più opportunamente i fondi disponibili per l’investimento, ossia cosa è più conveniente produrre e commerciare e cosa meno; determina al consumatore come impiegare più opportunamente i fondi disponibili per la spesa, ossia cosa è più necessario acquistare e a cosa dover rinunciare di conseguenza.
[42] La “funzione di utilità” è la misurazione della soddisfazione data ad una persona dal consumo dei beni, ovvero dal livello in cui essi colmino la sua percezione di necessità.
[43] La legge di Say analizza il concetto che le merci si pagano con le merci, e che i valori di scambio reciproci si adeguano di conseguenza; si tenga conto che anche la moneta è una merce, seppur simbolica.
[44] La marxista “teoria del valore-lavoro” sostiene che il valore di un oggetto è determinato dal tempo impiegato per costruirlo.
[45] “La favola delle api” di Bernard de Mandeville (1705) sostiene che il consumo indotto, in quel caso dal vizio, giovi all’economia come circolazione di moneta; ossia che sia la domanda a creare l’offerta, e quindi la diminuzione di domanda sarebbe causa di recessione. Ciò presupporrebbe che le diminuzioni di domanda siano fini a se stesse, cosa che non corrisponde a realtà.
[46] Il “Racconto della finestra rotta” di Frédéric Bastiat (1850) vuole confutare il luogo comune che la rottura di una finestra, dando lavoro al vetraio, giovi all’economia. Contesta e capovolge quindi la paradossale affermazione “più spesa uguale più ricchezza” ovvero che la domanda crei l’offerta. Sostiene invece che domanda ed offerta vengano sempre ad equilibrarsi spontaneamente secondo le leggi che le regolano.
[47] L’organicismo identifica il sistema sociale di una nazione come un organismo gerarchico in cui ogni “cellula” svolge una funzione utile a tutto l’“organismo”.
[48] Il personalismo è la concezione filosofica opposta all’individualismo; ogni attività di una persona va inquadrata nei risvolti che provoca nell’ambito sociale, e non fine a se stessa.
[49] Il concetto di “mano invisibile” è stato coniato da Adam Smith per indicare come l’imprenditoria, mossa da interesse personale, è implicitamente funzionale al benessere comune. E’ una “mano invisibile” a condurre ogni decisione dell’imprenditore.
[50] Clifford Hugh Douglas (1879-1952), ingegnere inglese, lavorando temporaneamente come contabile riscontrò alcune incongruenze logistiche nel sistema allocativo, per risolvere le quali propose un rimedio ideato applicandovi principi di ingegneria.
[51] Questa teoria analizza la disparità tra costi e ricavi in un impresa. Non tenendo in conto la possibilità di inflazione si rivela errata nei risultati reali.
[52] Gian Maria Freddi, “L’essenza del socialismo”.
[53] Vando Borghi, Mauro Magatti, “Mercato e società”, Carocci ed., pag. 165.
[54] Vando Borghi, Mauro Magatti, “Mercato e società”, Carocci ed., pag. 166.
[55] Vando Borghi, Mauro Magatti, “Mercato e società”, Carocci ed., pag. 166.
[56] Vando Borghi, Mauro Magatti, “Mercato e società”, Carocci ed., pag. 233.
[57] Riferito al nozionismo, ovvero all’imparare “a pappagallo” le nozioni senza cercare di comprenderle tramite il pensiero e l’analisi logica. Solitamente i nozionisti tendono a portare come oro colato, quasi fosse prodotta da Dei, qualunque nozione, assegnandogli valore soprattutto a seconda del carisma dell’autore. Spesso gli è inconcepibile pensare che gli “autori” di una qualunque cosa, fossero uomini come tutti gli altri. Sia in senso positivo che negativo, ma comunque sempre “o bianco, o nero”, a seconda del proprio egocentrico interesse.
[58] Umberto Cerroni, “Il pensiero politico del novecento”, Newton ed., pag. 56.
[59] Umberto Cerroni, “Il pensiero politico del novecento”, Newton ed., pag. 16.
[60] Umberto Cerroni, “Il pensiero politico del novecento”, Newton ed., pag. 32.
[61] Michele Prospero, “Il pensiero politico della destra”, Newton ed., pag. 30.
[62] Vilfredo Pareto, “Compendio di sociologia”, pag. 972. Da Michele Prospero, “Il pensiero politico della destra”, Newton ed., pag. 38.
[63] Umberto Cerroni, “Il pensiero politico del novecento”, Newton ed., pag. 81.
[64] “Storia illustrata”, n. 270, maggio 1980, pp. 13-14.
[65] Vando Borghi, Mauro Magatti, “Mercato e società”, Carocci ed., pag. 139.
[66] Vando Borghi, Mauro Magatti, “Mercato e società”, Carocci ed., pag. 174.
[67] Vando Borghi, Mauro Magatti, “Mercato e società”, Carocci ed., pag. 202.
[68] “L’etica protestante e lo spirito del capitalismo”, Bur ed., pag. 16.
[69] Anarchica cattolica americana, attiva a New York ad inizio secolo nell’assistenza ai poveri con la fondazione di mense ed alloggi pubblici.
[70] Politico russo comunista (1879-1940), estremo fautore della statalizzazione totale, in contrapposizione a Lenin che propendeva per applicazioni intermedie; sostenitore dell’estensione a tutto il mondo della rivoluzione comunista, venne perciò in contrasto anche con Stalin il quale intendeva limitare la rivoluzione alla Russia. Fu ucciso nel 1940 in Messico (dove era in esilio) da un emissario di Stalin.
[71] Vando Borghi, Mauro Magatti, “Mercato e società”, Carocci ed., pag. 139.
[72] David Ricardo, economista inglese dei primi dell’800 di origine ebraica, sostiene che i salari sono indipendenti da qualunque logica spontanea, ma sono unicamente legati ad un meccanismo statico, svincolati da qualunque altra azione umana che non sia la decisione unilaterale dello stipendiante, il quale li manterrà per sua volontà sempre al livello minimo di mera sussistenza; che ogni eventuale aumento di salario provocherebbe automaticamente un aumento di popolazione (le persone farebbero più sesso), ma questa è una possibilità che egli ritiene solo teorica in quanto l’aumento stesso di popolazione riporterebbe (ovvero manterrebbe) i salari al minimo, ed un padrone non avrà mai la volontà di aumentare gli stipendi oltre il minimo vitale. Esso non tenne conto della legge domanda/offerta. Da tempo nessun economista serio prende in considerazione tali balorde affermazioni.
[73] Il Malthusianesimo è una dottrina economica teorizzata dall’economista inglese Thomas Malthus, che, rianalizzando la teoria di Ricardo sul collegamento salario-sesso, previde un rendimento decrescente a causa della rendita differenziale nella produzione agricola al crescere della popolazione mondiale; attribuisce quindi alla pressione demografica la diffusione della povertà e della fame in molte aree del pianeta e propugna il controllo delle nascite al fine di evitare il deterioramento dell’ecosistema terrestre e l’erosione delle risorse naturali non rinnovabili. Finora le sue previsioni non hanno ancora avuto la possibilità di verificarsi globalmente.
[74] Ossia dovendo scegliere tra efficienza o equità, ma non potendo coniugarle entrambe contemporaneamente.
[75] Arrigo Petacco, “Il comunista in camicia nera”, Oscar Mondadori, pag. 7.
[76] Si tenga presente che in quegli anni, dopo l’estensione del suffragio nel 1913, in Italia la frenesia partitocratica vedeva nascere e scomparire continuamente una miriade di partitini tutti rigorosamente contenenti nel nome la parola “democratico” oppure “liberale”, o entrambe, molti addirittura portanti lo stesso nome.
[77] Ernst Nolte, “I tre volti del fascismo”, Oscar Mondadori, pag. 296.
[78] Ernst Nolte, “I tre volti del fascismo”, Oscar Mondadori, pag. 229.
[79] F. Bellini - G. Bellini, “Storia segreta del 25 luglio ’43”, Mursia editore, pagina 131.
[80] Dal concetto che “l’unione fa la forza”.
[81] Studioso cattolico del fascismo e del marxismo.
[82] E’ il principio secondo il quale i processi naturali che hanno operato nei tempi passati sono gli stessi che possono essere osservati nel presente; ovvero “ieri, come oggi, le stesse cause comportano gli stessi effetti”. Ne deriva un esaltazione dell’“atto” come origine. E’ naturale vedervi lo spunto della strategia fabianista. Il suo filosofo fu Giovanni Gentile.
[83] Augusto del Noce, “appunti per una definizione storica del fascismo”, pag. 133.
[84] Arrigo Petacco, “Il comunista in camicia nera”, pag. 46.
[85] Sidney Webb (1859-1947), politico inglese, deputato laburista, passò la sua vita ad ideare un sistema socialista alternativo alla collettivizzazione marxista.
[86] Umberto Cerroni, “Il pensiero politico del novecento”, Newton ed., pag. 37.
[87] Il servizio segreto israeliano.
[88] Il 22 settembre 1979, in atmosfera, nei pressi dell’isola Bouvet. E’ conosciuta come “incidente Vela” (dal nome del satellite che la rilevò).
[89] Nel 1986 rivelò ad un giornale i piani nucleari israeliani; fu rapito a Roma e portato in Israele dove restò in prigione fino al 2004, e poi dal 2009 per “aver avuto contatto con uno straniero”.
[90] United Nations, “La globalisation du crime”, New York, 1955.
[91] “Società e autorità nell’Unione Sovietica”, pag. 148-56.
[92] Esemplare è il caso dei sassoni della Transilvania, la cui cultura è oggi scomparsa.
[93] Emil Ludwig, “Colloqui con Mussolini”, Mondadori, pag. 55.
[94] Il Gazzettino, 22 luglio 2010.
[95] Fiona Wilson, “Lavoro e organizzazioni”, ed. Il Mulino, Pag. 42.
[96] David Icke, “La guida di David Icke alla cospirazione globale”, ed. Macro, pag. 202.
[97] David Icke, “La guida di David Icke alla cospirazione globale”, ed. Macro, pag. 202.
[98] Notizia di cronaca veramente riportata dai giornali, nel 2000, ovviamente rivelatasi falsa, ma alla quale molte persone diedero inspiegabilmente credibilità. Il che è estremamente rivelatore della potenza delle persuasione mediatica sulle menti paranoicamente obnubilate dal fanatismo.
[99] http://www.fiammafutura.net/2010/08/alcide-degasperi.html
[100] “Il gazzettino”, 11 agosto 2010.
[101] Umberto Cerroni, “Il pensiero politico del novecento”, Newton ed., pag. 80.
[102] “I fondamenti della democrazia e altri saggi”, pag. 21-22.
[103] “Il gazzettino”, 18 maggio 1994.
[104] Scrittore, storico e docente universitario ebreo.
[105] Sistema nel quale il potere è detenuto dai partiti politici; nel caso sia regolata da un sistema elettorale proporzionale può governare anche un partito con maggioranza relativa (ovvero al di sotto del 50% dei voti); nel caso di sistema elettorale maggioritario invece viene in pratica a governare l’“elettore mediano” (ovvero quel “2%” che fa pendere l’ago della bilancia al “51%”).
[106] Sistema nel quale determinati gruppi economici influiscono in maniera determinante sulle decisioni della politica.
[107] Governo di pochi, genericamente gli strati più economicamente influenti della società.
[108] Max Weber, “Economia e società”, pag. 739.
[109] F. Bellini - G. Bellini, “Storia segreta del 25 luglio ’43”, Mursia editore, pagina 68.
[110] Lodovico Festa, Giulio Sapelli, “Capitalismi”, Boroli ed, pag. 112.
[111] Citato in Gaspare Barbiellini Amidei, “Perché credere?”, Arnoldo Mondadori Editore, 1991.
[112] Giorgio Galli, “Affari di Stato”, ed. Kaos, pag. 194.
[113] Rino Cammilleri, Fregati dalla scuola, Effedieffe, Milano 1992.
[114] La Repubblica di San Marino, governata dal 1945 dai partiti comunista e socialista, il 1° ottobre 1957 fu circondata da reparti di carabinieri italiani con la prospettiva di invasione se non vi fosse stato subito abbattuto il governo comunista; per capovolgere il potere così da evitare una sanguinosa invasione ai golpisti sammarinesi bastò modificare la legge elettorale; ciò indirettamente evidenzia anche come nel sistema partitico con i medesimi risultati elettorali possano accedere al governo partiti reciprocamente opposti a seconda del sistema utilizzato.
[115] Tipico è il caso dei fratelli Rizzi a Venezia, fatti uccidere per questo motivo da Felice Maniero.
[116] Philip Willan, “L’Italia dei poteri occulti”, Newton&Compton ed., pag. 9.
[117] Dal documentario “finanza criminale” trasmesso da Current tv.
[118] Presidente di Panama tra il 1968 ed il 1981, morto in un incidente aereo.
[119] Presidente dell’Ecuador tra il 1979 ed il 1981, morto in un incidente aereo.
[120] Nel 2000, quando decise di far pagare il petrolio irakeno in euro anziché in dollari.
[121] John Perkins, “Confessioni di un sicario dell’economia”, Minimun Fax, 2004. pp. 307.
[122] William Colby, “La mia vita nella Cia”, Mursia, pag. 85.
[123] Lodovico Festa, Giulio Sapelli, “Capitalismi”, Boroli ed, pag. 32.
[124] Per cautela non lo nominiamo, non si sa mai.
[125] Zeev Sternhell, “Nascita dell’ideologia fascista”, Baldini Castoldi ed., pag. 228.
[126] Da “La guerra e i giornali”, Natalia De Stefano, Rai storia.
[127] Arrigo Petacco, “La nostra guerra 1940-1945”, Mondadori, pag. 145.
[128] Arrigo Petacco, “Il comunista in camicia nera”, Mondadori, pag. 150.
[129] Una sorta di mafia localistica tipica dei paesi latino-americani.
[130] D. Susmel, “Nenni e Mussolini”, Milano 1969, pag. 250.
[131] David Icke, “La guida di David Icke alla cospirazione globale”, ed. Macro, pag. 335.
[132] Giorgio Cingolani, “La destra in armi”, ed. riuniti, pag. 150.
[133] Giorgio Galli, “Affari di Stato”, ed. Kaos, pag. 232.
[134] Sergio Flamigni, “Trame atlantiche”, ed. Kaos, pag. 169.
[135] Esempio classico di tintinnio è stato quello del paventato “piano Solo” del 1964.
[136] Da “Il padrone dei padroni”, Giancarlo Galli, Garzanti ed., pag. 30.
[137] Sergio Flamigni, “Trame atlantiche”, ed. Kaos, pag. 108.
[138] Poeta francese, sostenitore della Repubblica di Vichy, condannato a morte e giustiziato il 6 Febbraio 1945.
[139] Sergio Flamigni, “Trame atlantiche”, ed. Kaos, pag. 132.
[140] In quanto mese nel quale la gente è meno propensa ad occuparsi di politica.
[141] Gianni Flamini, “Il libro che i servizi segreti italiani non ti farebbero mai leggere”, Newton Compton ed., pag. 258.
[142] Gianni Flamini, “Il libro che i servizi segreti italiani non ti farebbero mai leggere”, Newton Compton ed., pag. 268.
[143] Rettore dell’Università di Columbia tra il 1902 e il 1945.
[144] “OP”, 15 gennaio 1975.
[145] In tal senso risulta esemplare e plausibile l’esperienza raccontata da Silvio Berlusconi di aver ricevuto la tessera della P2 senza nemmeno averla chiesta.
[146] Regola di alcuni ordini monastici basata sull’accettazione della povertà.
[147] La famosa “tribù dispersa” di Israele.
[148] “Dizionario dei fascismi”, autori vari, Bompiani ed., 2002, pag. 327.
[149] Ioachim Fest, “Hitler, una biografia”, Garzanti Libri, 1999.
[150] Allogeni secondo l’interpretazione israeliana, in quanto arrivati con Maometto nel medioevo.
[151] Non solo verso i palestinesi, ma anche verso gli ebrei negri, i Falascia. Noto è lo scandalo scoppiato qualche anno fa del sangue per trasfusioni donato da essi e regolarmente gettato nei rifiuti dagli ospedali.
[152] Amendola -Storia del PCI-1921-1943, pag. 260-261 cit. in Carlo Mazzantini- I balilla andarono a Salò-ed.Marsilio, Venezia, 1995, pag.52, e da “fascisti rossi”.
[153] Da “Giovanni Gentile e il socialismo”, Ugo Spirito, Firenze, 1976.
[154] Riconosciuto rappresentante dell’ala “sinistra” del PNF, assieme a Giuseppe Bottai.
[155] Tullio Cianetti, “Memorie dal carcere di Verona”, Milano 1983.
[156] Il 24-25 luglio 1943 si svolse la seduta del gran consiglio che fece cadere Mussolini.
[157] Antony C. Sutton, “Wall Street and
the Rise of Hitler”, 1976 Press, Seal Beach (California).
[158] Arrigo Petacco, “Il comunista in camicia nera”, Mondadori, pag. 171.
[159] Emil Ludwig, “Colloqui con Mussolini”, Mondadori, pag. 113.
[160] Da “Fascisti immaginari”, Luciano Lanna e Filippo Rossi, Vallecchi ed., pag. 177.
[161] Arrigo Petacco, “Il comunista in camicia nera”, Mondadori, pag. 102.
[162] Arrigo Petacco, “Il comunista in camicia nera”, Mondadori, pag. 91.
[163] Arrigo Petacco, “Il comunista in camicia nera”, Mondadori, pag. 101.
[164] La Ceka era la polizia segreta sovietica a quel tempo, poi rinominata Gpu, poi Kgb.
[165] La quale prima di tale scoperta veniva disprezzata dai britannici come “scatolone di sabbia”.
[166] Carlo Silvestri, “Matteotti, Mussolini e il dramma italiano”, Cavallotti editore, 1981.
[167] Vedi pagina ----
[168] Alessandro Zanella, “L’ora di Dongo”, pag. 87.
[169] Fabio Andriola, “Appuntamento sul lago”, Sugarco, 1990.
[170] Ricciotti Lazzero, “Il sacco d’Italia”, Mondadori, Milano 1994, pagg. 70-71.
[171] Ricciotti Lazzero, “Il sacco d’Italia”, Mondadori, Milano 1994.
[172] Fabio Andriola, “Mussolini-Churchill. Carteggio segreto”, Piemme, 1996, pag. 240.
[173] “Il libro nero del capitalismo”, Tropea ed., pag. 150.
[174] W.E Shirer, “Storia del terzo reich”. Einaudi, 1963, pagina 797.
[175] Henry Michel, “La seconda guerra mondiale”, Edizioni tascabili economici Newton, 1978, pagina 24.
[176] “Il libro nero del capitalismo”, Tropea ed., pag. 151.
[177] “Il libro nero del capitalismo”, Tropea ed., pag. 152.
[178] Fabio Andriola, “Mussolini-Churchill. Carteggio segreto”, Piemme, 1996, pag. 111.
[179] “Nostra” inteso come “della specie umana”, non solo dell’Italia.
[180] Il generale Emilio Faldella così commentava: “Per la prima volta nella storia una guerra aveva inizio con l’ordine di non sparare”. Da “L’uomo della pace”, Filippo Giannini - Guido Mussolini, Greco & Greco editori, Milano, pag. 180.
[181] S. Corvaja, Mussolini nella tana del lupo, Edizioni Dall’Oglio, 1982.
[182] Adolf Hitler, Ultimi discorsi, Edizioni di AR, 1988.
[183] Silvio Bertoldi, “Misteri italiani”, Rizzoli ed., pag. 83.
[184] Silvio Bertoldi, “Misteri italiani”, Rizzoli ed., pag. 87.
[185] Silvio Bertoldi, “Misteri italiani”, Rizzoli ed., pag. 87.
[186] Frase tratta dai dubbi “diari”, probabilmente fasulla (Mussolini non avrebbe mai usato il termine “gerarchi”), ma comunque verosimile nel senso datogli dall’eventuale falsificatore, che non l’ha certo campata in aria.
[187] Da “La guerra degli italiani”, History channel.
[188] Dino Campini, “Strano gioco di Mussolini”, ed. PG, Milano 1952, p. 139.
[189] Il giornale, lunedì 14 giugno 2010.
[190] Fabio Andriola, “Mussolini-Churchill. Carteggio segreto”, Piemme, 1996, pag. 219.
[191] Richard Collier, “Duce! Duce!”, Mursia, pagina 235.
[192] Richard Collier, “Duce! Duce!”, Mursia, pagina 234.
[193] Antonio Bonino, “Mussolini mi ha detto. Memorie del vicesegretario del partito fascista repubblicano 1944/45”, ed. settimo sigillo, Roma 1995, pag. 97.
[194] Gazzetta del popolo, 29 ottobre 1943.
[195] D. Campini, Piazzale Loreto, Il Conciliatore, 1972.
[196] Dino Campini, “piazzale Loreto” il conciliatore, Milano 1972, pag 164.
[197] Fabio Andriola, “Mussolini – Churchill, carteggio segreto”, piemme.
[198] Alberto Pirelli, “Taccuini 1922-1943” - F. Bellini - G. Bellini, “Storia segreta del 25 luglio ’43”, pag. 7.
[199] Jonathan Luxmoore, Jolanta Babiuch, “Il Vaticano e la bandiera rossa”, Newton&Compton ed., pag. 66.
[200] Benito Mussolini, per la cronaca.
[201] Il gazzettino, 14 settembre 1943.
[202] Piero Buscaroli, “Dalla parte dei vinti”, Mondadori, pag. 8.
[203] Piero Buscaroli, “Dalla parte dei vinti”, Mondadori, pag. 314.
[204] F. Bellini - G. Bellini, “Storia segreta del 25 luglio ’43”, pag. 64.
[205] “Foreign relations of the United
States, diplomatic papers”, Washington.
[206] Balbo, autocompiaciutamente membro della massoneria, morirà in Libia il 28 giugno 1940 abbattuto dalla contraerea italiana, ufficialmente per errore, anche se insistenti sospetti fanno ricadere su Mussolini un certo interesse alla sua eliminazione.
[207] Arrigo Petacco, “La nostra guerra 1940-1945”, Mondadori, pag. 146.
[208] Luigi Romersa, “I 48 giorni della prigionia di Mussolini”, Mursia ed.
[209] Paolo Pavolini, “1943, la caduta del fascismo”, Fabbri ed., pag. 134.
[210] Il “Piano Morgenthau” prevedeva la deindustrializzazione della Germania e la sua conversione ad economia pastorale, e conseguente necessaria deportazione (non è specificato dove) di gran parte del popolo tedesco.
[211] Rene Alleau, “Le origini occulte del nazismo”, ed. Mediterranee, pag. 161.
[212] Da “Fascisti immaginari”, Luciano Lanna e Filippo Rossi, Vallecchi ed., pag. 176.
[213] Arrigo Petacco, “Il comunista in camicia nera”, Mondadori, pag. 170.
[214] “I massoni di sinistra? Nelle logge sono 4mila”, Repubblica, 9 giugno 2010.
[215] Sonia Michelacci, “Il comunismo gerarchico”, Edizioni di Ar.
[216] Da “Fascisti immaginari”, Luciano Lanna e Filippo Rossi, Vallecchi ed., pag. 115.
[217] Basti considerare questa sua manichea affermazione:“odio tanto il fascismo che vieto a me stesso di pur tentare di pensarne la storia”.
[218] Gli unici due partiti fascisti giapponesi, il Kokumin Domei ed il Tōhōkai, assolutamente minoritari nella politica di quel paese, furono difatti perseguitati, ed il fondatore Seigō Nakano fece karakiri nel 1943 dopo essere uscito di prigione.
[219]
La falange difatti viene convenzionalmente considerata l’opposizione a Franco.
[220] L’omicidio di Giovanni Gentile ne è solo l’esempio tipico.
[221] Bettino Craxi.
[222] Il gazzettino, 17 gennaio 2000.
[223] Pier Giuseppe Murgia, “Il vento del nord”, ed. Kaos, pag. 251.
[224] Giuseppe Parlato, “Fascisti senza Mussolini”, ed. Il Mulino, pag. 252.
[225] Pier Giuseppe Murgia, “Il vento del nord”, ed. Kaos, pag. 243.
[226] Pietro Quaroni, “Il patto atlantico”, Volpe ed., pag. 135.
[227] Gianni Flamini, “Il libro che lo Stato italiano non ti farebbe mai leggere”, Newton ed., pag. 59.
[228] Vittorio Borraccetti, “Eversione di destra, terrorismo, stragi. I fatti e l’intervento giudiziario”, ed. Franco Angeli, pag. 51.
[229] Si veda: Pier Giuseppe Murgia, “Il vento del nord”, ed. Kaos.
[230] Come testimoniato da Amos Spiazzi, allora (1961) in servizio in Alto Adige.
[231] Gianni Flamini, “Il libro che lo Stato italiano non ti farebbe mai leggere”, Newton ed., pag. 52.
[232] Luciano Galluzzo, Franco Nicastro, Vincenzo Vasile, “Obiettivo Falcone”, Tullio Pironti ed., pag. 54.
[233] Mimmo Franzinelli, “La sottile linea nera”, Rizzoli, pag. 437.
[234] Gianni Flamini, “Il libro che i servizi segreti italiani non ti farebbero mai leggere”, Newton Compton ed., pag. 163.
[235] Gianni Flamini, “Le anime nere del capitalismo”, Newton Compton ed., pag. 88.
[236] Piero Buscaroli, “Dalla parte dei vinti”, Mondadori, pag. 455.
[237] Piero Buscaroli, “Dalla parte dei vinti”, Mondadori, pag. 463.
[238] Alberto Franceschini, “Mara, Renato, ed io”, Mondadori, 1988.
[239] Giorgio Galli, “Affari di Stato”, ed. Kaos, pag. 194.
[240] Corriere della Sera, 1 febbraio 1975.
[241] Corriere della Sera, 1 febbraio 1975.
[242] Gianni Flamini, “Il libro che i servizi segreti italiani non ti farebbero mai leggere”, Newton Compton ed., pag. 275.
[243] Da “Fascisti immaginari”, Luciano Lanna e Filippo Rossi, Vallecchi ed., pag. 107.
[244] Giancarlo Galli, “Il padrone dei padroni”, Garzanti, pag. 68.
[245] Giancarlo Galli, “Il padrone dei padroni”, Garzanti, pag. 68.
[246] Giancarlo Galli, “Il padrone dei padroni”, Garzanti, pag. 63.
[247] Giancarlo Galli, “Il padrone dei padroni”, Garzanti, pag. 69.
[248] Già nel 1964 si tramò per assassinarlo. Da Annibale Paloscia, “I segreti del Viminale”, Newton ed., pag. 216.
[249] Nel 1966 PSI e PSDI si unirono a formare il PSU.
[250] L’analisi più indicativa ce la dà Umberto Federico D’Amato: “I politici erano terrorizzati alla sola idea di essere considerati reazionari. Rimanevano ipnotizzati come di fronte a un cobra”, da Annibale Paloscia, “I segreti del Viminale”, Newton ed., pag. 209.
[251] Seppur per “infarto”. Era il testimone di accusa contro Pietro Valpreda.
[252] Annibale Paloscia, “I segreti del Viminale”, Newton ed., pag. 220.
[253] Piero Buscaroli, “Dalla parte dei vinti”, Mondadori, pag. 464.
[254] Gianni Flamini, “Il libro che lo Stato italiano non ti farebbe mai leggere”, Newton ed., pag. 85.
[255] Gianni Flamini, “Il libro che lo Stato italiano non ti farebbe mai leggere”, Newton ed., pag. 87.
[256] Giuseppe De Lutiis, “Il lato oscuro del potere”, ed. Riuniti, pag. 45.
[257] Forlani dice: “E’ stato operato il tentativo forse più pericoloso che la destra reazionaria abbia tentato e portato avanti con una trama che aveva radici organizzative e finanziarie consistenti, che ha trovato delle solidarietà probabilmente non soltanto in ordine interno ma anche in ordine internazionale, questo tentativo non è finito, noi sappiamo in modo documentato che esso è ancora in corso”.
[258] “Giovanni Fasanella, Claudio Sestrieri, Giovanni Pellegrino, “Segreto di Stato”, Einaudi, pag. 76-77.
[259] Mimmo Franzinelli, “La sottile linea nera”, Rizzoli ed., pag. 124.
[260] Beppe Niccolai, da “Rosso e Nero”, 21 febbraio 1979.
[261] Gianni Flamini, “Il libro che lo Stato italiano non ti farebbe mai leggere”, Newton ed., pag. 84.
[262] Secolo d’Italia, 10 agosto 1974.
[263] Mimmo Franzinelli, “La sottile linea nera”, Rizzoli ed., pag. 18.
[264] Piero Buscaroli, “Dalla parte dei vinti”, Mondadori, pag. 472.
[265] Sergio Flamigni, “Trame atlantiche”, ed. Kaos, pag. 153.
[266] Sergio Flamigni, “Trame atlantiche”, ed. Kaos, pag. 153.
[267] Sergio Flamigni, “Trame atlantiche”, ed. Kaos, pag. 170.
[268] Sergio Flamigni, “Trame atlantiche”, ed. Kaos, pag. 318.
[269] Piero Buscaroli, “Dalla parte dei vinti”, Mondadori, pag. 457.
[270] Piero Buscaroli, “Dalla parte dei vinti”, Mondadori, pag. 464.
[271] Piero Buscaroli, “Dalla parte dei vinti”, Mondadori, pag. 455.
[272] Giuseppe De Lutiis, “Il lato oscuro del potere”, ed. Riuniti, pag. 43.
[273] Panorama, 18 maggio 1986.
[274] Gianni Cipriani, “Lo Stato invisibile”, ed. Sperling & Kupfer, pag. 6.
[275] “Candido”, 9 gennaio 1975.
[276]
Gianni Flamini, “Il libro che i servizi segreti italiani non ti farebbero mai
leggere”, ed. Newton Compton, pag.
122.
[277] Gianni Cipriani, “Lo Stato invisibile”, ed. Sperling & Kupfer, pag. XVI.
[278] Sergio Flamigni, “Trame atlantiche”, ed. Kaos, pag. 82.
[279] Sergio Flamigni, “Trame atlantiche”, ed. Kaos, pag. 81.
[280] Paolo Mastrolilli, Maurizio Molinari, “L’Italia vista dalla CIA”, Laterza ed., pag. 65.
[281] Giuseppe De Lutiis, “Il lato oscuro del potere”, ed. Riuniti, pag. 66.
[282] Mimmo Franzinelli, “La sottile linea nera”, Rizzoli ed., pag. 10.
[283] Giorgio Galli, “Affari di Stato”, ed. Kaos, pag. 194.
[284] Giorgio Galli, “Il partito armato”, ed. Kaos, pag. 7-8.
[285] Piero Buscaroli, “Dalla parte dei vinti”, Mondadori, pag. 465.
[286] Franco Ferraresi, “Minacce alla democrazia”, Feltrinelli, pag. 307.
[287] Giorgio Cingolani, “La destra in armi”, ed. riuniti, pag. 51.
[288] Giorgio Cingolani, “La destra in armi”, ed. riuniti, pag. 118.
[289] Lirio Abbate, Peter Gomez, “I complici”, Fazi ed., pag. 36.
[290] Sergio Flamigni, “Trame atlantiche”, ed. Kaos, pag. 401.
[291] L’Europeo, 10 settembre 1992.
[292] La Stampa, 31 luglio 1993.
[293] L’Unità, 30 luglio 1993.
[294] Giuseppe De Lutiis, “Il lato oscuro del potere”, ed. Riuniti, pag. 108.
[295] Ansa, 19 luglio 1993.
[296] David Icke, “La guida di David Icke alla cospirazione globale”, ed. Macro, pag. 255.
[297] Forum internet di riferimento dei no-global, noto per la mole di bugie che vi venivano pubblicate spudoratamente.
[298] Probabilmente perlomeno dalla sinistra, con lo scopo di togliere voti al Polo della Libertà.
[299] Arrigo Petacco, “Il comunista in camicia nera”, Mondadori, pag. 173.
[300] Giancarlo Galli, “Il padrone dei padroni”, Garzanti, pag. 146.
[301] Economista attivo nel periodo corrispondente alla crisi del 1929, ispiratore della base filosofica del “new deal”.
[302] Branca della statistica che si occupa dell’analisi dei fenomeni economici.
[303] Si definiscono tali quando i loro livelli superano il punto ideale dato dall’intersezione tra la curva di domanda ed offerta. Possono essere determinati da un elevato costo di ricambio della manodopera.
[304] Modello è uno schema grafico o matematico che rappresenta una legge economica. Il più comune illustra l’intersezione tra curve di domanda ed offerta.
[305] Apertura di un conto corrente anche in assenza di valore materialmente depositato, solitamente come “pagherò” di un prestito erogato che passa di mano in mano senza che ne venga materialmente chiesto il cambio, sulla base delle probabilità statistiche di ciò.
[306] Nel 2007 un giudice minorile di Catania in una causa tra genitori separati decise l’affido del figlio al padre con la motivazione della militanza del ragazzo in un partito comunista, in una sentenza criticata da più parti dato che implicitamente equiparava la militanza comunista ad un disturbo psicologico. Non senza cognizione di causa, dato che come per ogni disturbo ossessivo-compulsivo, è addirittura individuabile una precisa classe di farmaci di elezione: gli SSRI.
[307]
Gianni Cipriani, “Lo Stato invisibile”, ed. Sperling & Kupfer, pag. 26.
[308] Da “Il padrone dei padroni”, Giancarlo Galli, Garzanti ed., pag. 100.
[309] Arrigo Petacco, “Il comunista in camicia nera”, Mondadori, pag. 172.
[310] Emil Ludwig, “Colloqui con Mussolini”, Mondadori, pag. 118.
[311] Arrigo Petacco, “L’archivio segreto di Mussolini”, Mondadori, pag. 12.
[312] Giancarlo Galli, “Il padrone dei padroni”, Garzanti, pag. 91.
[313] Filosofia fondata sull’esaltazione del metodo scientifico come origine e finalità del progresso.
[314] Franco Franchi, “Le costituzioni della R.S.I.”, Sugarco, Milano 1987.
[315] Arrigo Petacco, “Il comunista in camicia nera”, Oscar Mondadori, pag. 122.
[316] Discorso del 14 novembre 1933, in “Tutti i discorsi - anno 1933”.
[318] L’espresso, 18 luglio 1976.
[319] E’ il prezzo massimo a cui un compratore è disposto all’acquisto. La differenza tra esso ed il prezzo effettivo è nota come “rendita del consumatore” od anche “surplus del consumatore”.
[320] L’“effetto reddito” è la variazione della domanda di un bene al variare del reddito degli individui, a relativi prezzi costanti. E’ rappresentato graficamente dallo spostamento della retta di bilancio nell’ipotesi ceteris paribus dei prezzi relativi.
[321] Come “produttività” si intende la differenza tra beni prodotti e beni consumati da un lavoratore, quindi un aumento di essa significa aumento decrescente nel suo consumo personale.
[322] In un economia globale priva di barriere artificiali ogni unità monetaria ha lo stesso potere d’acquisto in ogni paese; le variazioni di prezzi e redditi si scaricano su una uguale variazione del tasso di cambio tra le monete.
[323] Produttività + stato della tecnologia + (capitale fisico + capitale umano per occupato).
[324] Il teorema di Okishio consiste in un calcolo algebrico dal quale si ottiene che se il saggio di salario fisico (vettoriale) è dato e anticipato e se compare un nuovo metodo più conveniente, allora la nuova tecnica che lo include dà un saggio di profitto più elevato. Se ne ricava che l’innovazione tecnologica, che ha lo scopo di ridurre i costi e non di aumentare i profitti, comporta sempre un aumento del saggio di profitto.
[325] La “teoria della crescita endogena” si basa sul ruolo svolto dal capitale umano e dalle spese per ricerca e sviluppo.
[326] Essa sostiene che il valore di un oggetto è determinato dal tempo di lavoro necessario alla sua produzione.
[327] Il reddito personale aggregato più le imposte che incidono sui redditi lordi da il reddito nazionale.
[328] La produzione aggregata comprende tutto quello che viene a formare il PIL reale.
[329] Il totale di queste due cifre, RN più spesa pubblica, è il prodotto nazionale netto; il PNN più l’ammortamento è il prodotto nazionale lordo; esso riferito solo alla produzione interna è il prodotto interno lordo (PIL).
[330] Il PIL massimo raggiungibile a parità di risorse disponibili; ulteriori aumenti si rivelano artificiosi e si ripercuotono in una compensazione dei valori reali.
[331] Il differenziale tra PIL reale e PIL potenziale.
[332] L’“ottimo paretiano” si ha quando non si può migliorare la situazione di una persona senza peggiorare quella di un altra.
[333] L’inflazione è la diminuzione del valore di un unità monetaria; può essere considerata alla pari di un’accisa sulla “merce” moneta.
[334] Base 1972=100.
[335] Sulla disoccupazione la “teoria dell’equilibrio economico generale” dice che quando il numero dei disoccupati (ovvero dell’offerta) aumenta “ceteris paribus” ne deriva un cambiamento conseguente del rapporto domanda/offerta del mercato del lavoro (ribasso del costo del lavoro), e di conseguenza divenendo maggiormente conveniente l’acquisto di lavoro (l’assunzione di dipendenti), un maggior numero di “acquirenti” avrebbe la possibilità di “acquistarli”, riportando all’equilibrio iniziale il rapporto domanda/offerta (cioè il livello di disoccupazione). In un mercato concorrenziale i lavoratori vengono impiegati fintantoché il ricavo addizionale prodotto dai loro servizi non uguaglia il costo addizionale di ciascuna unità addizionale impiegata.
[336] Si consideri la tassa sul passaggio di proprietà delle automobili: essa è talmente alta che spesso supera di molto il valore stesso dell’auto; cosicché molte vetture che avrebbero potuto essere vendute sul mercato dell’usato e così svolgere il loro utile servizio per altri anni, oggi vengono invece demolite; il valore totale di queste auto è una perdita secca per un economia nazionale. Inoltre si tenga conto che ciò non viene conteggiato nel PIL, confermando l’assoluta inaffidabilità reale di esso come indicatore dell’economia.
[337] “La finanza e il potere”, ed. Ar.
[338] Detto anche “effetto ricchezza reale”: data una determinata quantità statica di un bene (moneta compresa) il rispettivo valore quantitativo di tutti gli altri beni ci si adeguerà di conseguenza; quindi dalle variazioni della ricchezza aggregata si avrà una pari variazione della spesa aggregata.
[339] Le variazioni autonome dei fattori sono comunque sempre molto marginali, mentre quelle indotte sono maggiori ma sono la conseguenza e non la causa di una variazione degli altri fattori.
[340] Il modello di Kalecki si basa su una teoria “residuale” della distribuzione del reddito (a partire dalla determinazione dei prezzi con la regola del mark up) in contrapposizione all’analisi marginalistica.
[341] In una data quantità di tempo la quota di PIL disponibile al risparmio è costante, e le forzature al risparmio (in più o in meno) non portano a modificarla ma solo influiscono sul PIL (con effetto moltiplicato) causando indirettamente inflazione se al PIL potenziale od oltre.
[342] L’aumento della quantità di moneta ceteris paribus riduce i tassi di interesse, e viceversa. Ma con la fiscalità monetaria non esiste aumento di moneta circolante ceteris paribus.
[343] Il modello AD-AS è il rapporto tra domanda aggregata ed offerta aggregata. Esso amplia ulteriormente il quadro considerando come sulla determinazione del reddito influiscano non solo le condizioni dal lato della domanda aggregata, ma anche quelle dal lato dell’offerta (mercato del lavoro, condizioni nella sfera produttiva); il modello consente di confermare il discorso sugli interventi di politica economica.
[344] Il modello IS-LM è il rapporto tra reddito di equilibrio e domanda/offerta di moneta. Esso amplia il quadro considerando come il reddito sia determinato non solo dalle condizioni esistenti sul mercato dei beni (implicitamente sul mercato dei capitali), ma anche da quelle esistenti sul mercato della moneta (implicitamente sui mercati finanziari); il modello consente di approfondire il discorso sulla politica fiscale (l’effetto spiazzamento) e sulla politica monetaria (meccanismo di trasmissione), nonché di confrontare le condizioni keynesiane (sottoccupazione, trappola della liquidità) rispetto a quelle neoclassiche (piena occupazione).
[345] La curva di Phillips analizza la relazione inversa costante che c’è tra inflazione e disoccupazione. Secondo Arthur Okun questo è “il grande trade-off”, ovvero la necessaria decisione che la politica deve prendere tra le due possibilità.
[346] Sulla concorrenza la teoria dell’equilibrio economico generale dice che tutte le imprese di un industria perfettamente concorrenziale devono avere le stesse curve dei costi, per cui quando il settore è in equilibrio di lungo periodo esse realizzano esattamente un pareggio; tanto più generano profitti, tanto più attirano concorrenza, che li ripiana.
[347] Anche se ciò, per compensazione, si scaricherebbe su altri fattori, questo sarebbe a sua volta compensato dalla fiscalità monetaria.
[348] M1 è il contante, M2 i conti correnti, M3 i titoli negoziabili.
[349] Il Messaggero, 19 giugno 1976.
[350] Un ricco che vive volontariamente in povertà.
[351] Arrigo Petacco, “Il comunista in camicia nera”, Oscar Mondadori, pag. 197.
[352] Come anche Enver Hoxha. Dimostrazione di come il fanatismo ideologico possa obnubilare anche le menti più colte.
[353] “Il Gazzettino”, 1 maggio 2010.
[354] Rete televisiva fondata dal “liberal” americano Al Gore.
[355] Sono quei beni il cui aumento di domanda di uno causa un uguale aumento di domanda dell’altro; all’opposto ci sono i beni “sostituti”.
[356] F. Battistelli, “Armi, nuovo modello di sviluppo? L’industria militare in Italia”, e Giorgio Galli, “Affari di Stato”, ed. Kaos, pag. 134.
[357] Karl Marx e Frederick Engels, “Il manifesto comunista”.
[358] J. M. Keynes, “Le conseguenze economiche della pace” (1919), e Vladimir Ilic Ulianov Lenin, “L’imperialismo fase estrema del capitalismo” (1916).
[359] Romolo Gobbi, “Chi ha provocato la seconda guerra mondiale?”, Muzzio editore, 1995, pagina 57.
[360] Atlante storico garzanti, pagina 505.
[361] Piero Lugaro, “De Gaulle”, collana “i protagonisti” di Famiglia Cristiana.
[362] “Il mattino”, 30 aprile 1940, tratto da “giornali di guerra”, Giorgio Bernardini editore.
[363] Enciclopedia Storia controversa della seconda guerra mondiale, De Agostini, 1976, volume 1, p. 265. Gli stati che aiutarono la Finlandia furono: Francia, Gran Bretagna, Svezia, Norvegia, Danimarca, Belgio, Olanda, Ungheria, Italia, Stati Uniti. Oltre alle armi fornirono volontari, la Svezia ne inviò 8.000. Mancò un soffio che essa entrasse in guerra contro l’Urss (e di conseguenza inevitabilmente anche contro la Germania).
[364] Golpe delle barbette, vedi pagina ---
[365] “E l’Inghilterra chiese al Duce armi da guerra”, L’Avvenire, 25 marzo 2010.
[366] Romolo Gobbi, “Chi ha provocato la seconda guerra mondiale?”, Muzzio editore, 1995, pagina 62.
[367] Piero Lugaro, “De Gaulle”, edizioni San Paolo, pagina 127.
[368]Romolo Gobbi, “Chi ha provocato la seconda guerra mondiale?”, Muzzio ed.
[369] T. Gross Jan, “I carnefici della porta accanto. 1941: il massacro della comunità ebraica di Jedwabne in Polonia”, Arnoldo Mondadori Editore, 2002.
[370] T. Gross Jan, “I carnefici della porta accanto. 1941: il massacro della comunità ebraica di Jedwabne in Polonia”, Arnoldo Mondadori Editore, 2002.
[371] Dove poi morì di malattia.
[372]
Rene Alleau, “Le origini occulte del nazismo”, ed. Mediterranee, pag. 138.
[373] Le système totalitaire, Parigi, 1972, p.
182.
[374] David Icke, “La guida di David Icke alla cospirazione globale”, ed. Macro, pag. 191.
[375] David Icke, “La guida di David Icke alla cospirazione globale”, ed. Macro, pag. 198.
[376] Arrigo Petacco, “La nostra guerra 1940-1945”, Mondadori, pag. 10.
[377] 5 marzo, avvio delle trattative russo-finlandesi e contemporaneo ordine di uccidere gli ufficiali polacchi. “Il libro nero del capitalismo”, Tropea ed., pag. 149.
[378] Arrigo Petacco, “La nostra guerra 1940-1945”, Mondadori, pag. 10.
[379] Arrigo Petacco, “La nostra guerra 1940-1945”, Mondadori, pag. 71.
[380]
Arrigo Petacco, “La nostra guerra 1940-1945”, Mondadori, pag. 38.
[381] F. Andriola, “Mussolini-Churchill. Carteggio segreto”, Piemme, 1996, pag. 31.
[382] Geert Mak, “In Europa. Viaggio attraverso il XX secolo”, Fazi ed., Roma 2006, pag. 917.
[383] Lo si deduca da Fabio Andriola, “Mussolini-Churchill. Carteggio segreto”, Piemme, 1996, pagg. 25-26, e da Antonio Spinosa, “Churchill, il nemico degli italiani”, Mondadori, 2001.
[384] Piero Lugaro, “De Gaulle”, edizioni San Paolo, pag. 72.
[385] Arrigo Petacco, “La nostra guerra 1940-1945”, Mondadori, pag. 88.
[386] Essa diede agli Usa il pretesto per dichiarare guerra alla Spagna nel 1898 e conquistare Cuba, Portorico, e le Filippine.
[387] Anche se in questo caso molte evidenze fanno dubitare che in quel caso si sia trattato di un “autoattentato”; in ogni caso l’ultima delle ipotesi logiche è quella che i responsabili siano musulmani.
[388] B. Stinnett Robert, “Il giorno dell’inganno”, Il Saggiatore, 2001.
[389] Jesse Jones H. - Edward Angly,
“Fifty Billions Dollars: My Thirteen Years with the RFC 1932-1945”, New York:
the Macmillan Company, 1951, pag. 260.
[390] Conrad Grieb, “American Manifest
Destiny and the Holocaust”, pag. 124-125.
[391] David Irving, “Hitler’s War”, versione in
brossura, Avon History, pag. 235.
[392] J. F. C. Fuller, “A Military
History of the Western World”, Volume 3, New York, 1987, p. 416.
[393] Arrigo Petacco, “La nostra guerra 1940-1945”, Mondadori, pag. 88.
[394] Una seconda mobilitazione avvenne, ma per motivi meno nobili: far da comparse nelle scene di massa del film “Addio alle armi” (1957).
[395] Romolo Gobbi, “Chi ha provocato la seconda guerra mondiale?”, Muzzio editore, 1995.
[396] Nino D’Aroma, “Vent’anni insieme: Vittorio Emanuele III e Mussolini”.
[397] Arrigo Petacco, “Il comunista in camicia nera”, Oscar Mondadori, pag. 123.
[398] Roberto De Mattei, “Wall Street e le fonti finanziarie del Nazionalsocialismo”.
[399] Frédéric Hirth, “Hitler ou le guerre
déchainé”, Parigi 1930, pag. 35.
[400] Roberto De Mattei, “Wall Street e le fonti finanziarie del Nazionalsocialismo”.
[401] David Icke, “La guida di David Icke alla cospirazione globale”, ed. Macro, pag. 191.
[402] “Judea Declares War on Germany - Jews of All the World Unite - Boycott of German Goods - Mass Demonstrations” (il giudaismo dichiara guerra alla Germania - ebrei di tutto il mondo unitevi – boicottaggio delle merci tedesche - dimostrazioni di massa).
[403] “The Barnes Review”, Genn./Febbr.
2001, pag. 41 – Vol. 7.
[404] Hans Rothfels, “L’opposizione tedesca al nazismo”, Cappelli, Bologna 1963, p. 256.
[405] “The Barnes Review”, Genn./Febbr.
2001, pag. 45 – Vol. 7.
[406] Edwin Black, “L’Accordo di Trasferimento - La Storia non raccontata del Patto Segreto fra il Terzo Reich e la Palestina Ebraica”, New York, 1984.
[407] David Icke, “La guida di David Icke alla cospirazione globale”, ed. Macro, pag. 193.
[408] Klaus Polkehn, “I contatti segreti: sionismo e Germania nazista, 1933-1941”, JPS, 1976.
[409] Fabio Andriola, “Mussolini-Churchill. Carteggio segreto”, Piemme, 1996, pag. 34.
[410] Rene Alleau, “Le origini occulte del nazismo”, ed. Mediterranee, pag. 143.
[411] Andreas Hillgruber, “La strategia militare di Hitler”, Milano 1986.
[412] Andreas Hillgruber, “Hitler, Konig Carol
und marschall Antonescu”, Wiesbaden 1965.
[413] Geert Mak, “In Europa. Viaggio attraverso il XX secolo”, Fazi ed., Roma 2006, pag. 917.
[414] Michael McLaughlin, “For Those Who
Cannot Speak”, pag.10.
[415] James Martin J., “Revisionist
Viewpoints”, pag. 75.
[416] L’invasione della Gran Bretagna.
[417] Giacomo Carboni, “Memorie segrete”, 1955.
[418] Andreas Hillgruber, “Der zweite weltkrieg
1939-1945”, Colonia 1982.
[419] “The Suicide of Europe” (memorie del Principe Michel Strdza, ex Ministro degli Esteri romeno) p.145.
[420] Duilio Susmei, “I dieci mesi terribili”, Roma 1981.
[421] Antonio Fede, “Appunti critici di storia recente”, Coop. Quilt ed., Messina, 1988.
[422] La Bulgaria era già dichiaratamente filo-italiana, nonché implicitamente un alleato storico della Russia.
[423] Il 4 settembre un colpo di Stato scalza il Re Carol II e porta al potere il filo-tedesco maresciallo Antonescu; il 23 novembre la Romania aderisce all’Asse. Se si considera che Ceausescu, sedicente “comunista” avviò un opera di riabilitazione della memoria di Antonescu e di demonizzazione della “Guardia di ferro”, il quadro appare chiaro, anche a spiegazione dei rapporti che intrattenne in seguito con la P2 di Licio Gelli.
[424] F. Bellini - G. Bellini, “Storia segreta del 25 luglio ’43”, Mursia editore, retrocopertina.
[425] L’attacco all’Unione Sovietica.
[426] “Operazione Barbarossa” di Stefano Fabei, Mursia, Pag. 58.
[427] E’ un libro che descrive in maniera completamente surreale l’ipotesi di un mondo nel quale la seconda guerra mondiale sia stata vinta dalla Germania.
[428] Si pensi che fino al 1990 era ancora opinione comune tra i comunisti italiani che gli autori fossero i tedeschi, nonostante l’evidenza del contrario. Ciò è molto indicativo della loro capacità di analisi logica.
[429] Peculiare è che il suo leader, Kimon Georgiev, in seguito ricoprì cariche rilevanti nella Bulgaria comunista.
[430] Filippo Giannini - Guido Mussolini, “L’uomo della pace”, Greco & Greco editori, Milano, pag. 111.
[431] Arrigo Petacco, “Il comunista in camicia nera”, Mondadori, pag. 86.
[432] Arrigo Petacco, “Il comunista in camicia nera”, Mondadori, pag. 87.
[433] Arrigo Petacco, “Il comunista in camicia nera”, Mondadori, pag. 101.
[434] F. Bellini - G. Bellini, “Storia segreta del 25 luglio ’43”, Mursia editore, pagina 25.
[435] “Il libro nero del capitalismo”, Tropea ed., pag. 156.
[436] Così come Capponi-Calamandrei in Italia.
[437] Udo Walendy, “The Methods of
Reeducation”, pag. 3.
[438] Francis Neilson, “The Churchill
Legend”, pag. 350.
[439] Riprova ne è che siano state usate bombe al fosforo, adeguate a fare il maggior numero di vittime a fronte dei danni materiali minori.
[440] James Bacque, “Gli altri lager”, Mursia, 1993.
[441] Marco Picone Chiodo, “...e malediranno l’ora in cui partorirono”, Mursia, 1987.
[442] “Profiles in courage”, Ed. Harper
& Row, New York, 1956.
[443] Piero Buscaroli, “Dalla parte dei vinti”, Mondadori, pag. 406.
[444] Piero Buscaroli, “Dalla parte dei vinti”, Mondadori, pag. 407.
[445] Piero Buscaroli, “Dalla parte dei vinti”, Mondadori, pag. 339.
[446] Era difatti prevista la presenza (poi annullata) del ministro degli esteri sovietico, e la località isolata (S. Fermo di Belluno) fu scelta proprio per tenere lontano occhi indiscreti. F. Bellini - G. Bellini, “Storia segreta del 25 luglio ’43”, pagina 110.
[447] Eugen Dolmann, “Roma nazista”, Milano 1949.
[448] Fulvio Bellini – Gianfranco Bellini, “Storia segreta del 25 luglio ’43”, Mursia, pagina 80.
[449] Eric Morris, “La guerra inutile. La campagna d'Italia 1943-45”, Longanesi 1993.
[450] Dino Campini, “Piazzale Loreto”, Ed. del Conciliatore, Milano 1972, pag. 12.
[451] da Ricciotti Lazzero, “Il sacco d’Italia”, Mondadori, Milano 1994, pag. 72.
[452] Evidente è l’importanza che i britannici davano al pericolo del “piano Raeder”, nel neutralizzare quei due paesi (guerra anglo-irakena del 1941 ed occupazione anglo-sovietica dell’Iran).
[453] A conferma basti pensare all’appoggio dato ai tedeschi nel Caucaso dalle popolazioni musulmane (poi deportate e fatte massacrare da Stalin), ed all’enorme affluenza di soldati musulmani e buddisti nei reparti delle SS turcofone e tartare. La rivolta islamica dei basmachi era solo da poco stata soffocata.
[454] E’ noto che Gandhi era un grande ammiratore di Mussolini.
[455] Bose creò con l’aiuto giapponese un governo indiano in esilio; è tuttora considerato un eroe nazionale in India.
[456] Come nella teoria politica dell’“elettore mediano”.
[457] Fulvio Bellini - Gianfranco Bellini, “Storia segreta del 25 luglio ’43”, Mursia, pagine 13-16; Adolf Galland, “Die ersten und die Letzen”, Darmstadt, 1966.
[458] Fulvio Bellini – Gianfranco Bellini, “Storia segreta del 25 luglio ’43”, Mursia, pagina 100.
[459] Sergio Flamigni, “Trame atlantiche”, ed. Kaos, pag. 29.
[460] Jacques R. Pauwels, “Il mito della guerra buona. Gli Usa e la Seconda Guerra Mondiale”, Roma, Datanews, 2003.
[461] Annibale Paloscia, “I segreti del Viminale”, Newton ed., pag. 281.
[462] William Colby, “La mia vita nella Cia”, Mursia, pag. 252.
[463] William Colby, “La mia vita nella Cia”, Mursia, pag. 38.
[464] “No Clear and Present Ranger”,
1972, pagg. 12 e 17.
[465] William Colby, “La mia vita nella Cia”, Mursia, pag. 49.
[466] E’ un voluminoso tomo francese che elenca le vittime prettamente addossabili al capitalismo in tutto il mondo.
[467] Nell’isola coreana di Jeju nel maggio 1949 furono uccisi 30.000 comunisti. Visto che tale episodio è stato mantenuto sotto silenzio fino a pochi anni fa, è lecito chiedersi per quanti altri sia tuttora seguita tale prassi ovvero siano ancor oggi omessi.
[468] Paolo Buchignani, “Fascisti rossi”, Mondadori, 1998, pag. 21.
[469] Autori vari, “Il 25 luglio”, Mondadori, pag. 60.
[470] Tullio Cianetti, “Memorie dal carcere di Verona”.
[471] Arrigo Petacco, “Il comunista in camicia nera”, Oscar Mondadori, pag. 183.
[472] Arrigo Petacco, “Il comunista in camicia nera”, Oscar Mondadori, pag. 205.
[473] Arrigo Petacco, “Il comunista in camicia nera”, Oscar Mondadori, pag. 211.
[474] Arrigo Petacco, “Il comunista in camicia nera”, Oscar Mondadori, pag. 202.
[475] Arrigo Petacco, “Il comunista in camicia nera”, Oscar Mondadori, pag. 180.
[476] Arrigo Petacco, “Il comunista in camicia nera”, Oscar Mondadori, pag. 156.
[477] Mimmo Franzinelli, “I tentacoli dell’Ovra”, Bollati e Boringhieri ed., pag. 49.
[478] Mimmo Franzinelli, “I tentacoli dell’Ovra”, Bollati e Boringhieri ed., pag. 635.
[479] Annibale Paloscia, “I segreti del Viminale”, Newton ed., pag. 200.
[480] Mimmo Franzinelli, “La sottile linea nera”, Rizzoli, pag. 234.
[481] Da “Enciclopedia storica Garzanti”, pag. 489.
[482] Arrigo Petacco, “La nostra guerra 1940-1945”, Mondadori, pag. 147.
[483] Giancarlo Galli, “Il padrone dei padroni”, Garzanti, pag. 67.
[484] Section Française de l’Internationale
Ouvrière.
[485] Il planismo è il concetto opposto a “dirigismo”. Il suo teorizzatore fu il belga Henry De Man, dirigente del “partito operaio belga” ed in seguito sostenitore della Repubblica di Vichy.
[486] Il “teorema di Baumol-Oates” dice che dato un certo obiettivo prefissato, una tassa consente di raggiungerlo con il minimo costo (efficienza statica), ovvero senza coercizioni e controlli.
[487] Ungheria e Jugoslavia 50%; Romania 90%; Bulgaria 75%; Grecia 10%. Successivamente la percentuale dell’Ungheria fu modificata in 80% comunista. Come si può notare mancano Polonia e Cecoslovacchia; la loro questione fu risolta il 4 febbraio 1945 a Yalta. Gli occidentali riuscirono a spuntarla solo sulla Finlandia, che venne lasciata relativamente sganciata dall’Urss.
[488] Sergio Flamigni, “Trame atlantiche”, ed. Kaos, pag. 246.
[489] Il rialzo del valore dei quadri di Guttuso venne favorito da operazioni di “insider trading” organizzate dal PCI tramite i suoi numerosi iscritti.
[490] Pier Giuseppe Murgia, “Il vento del nord”, ed. Kaos, pag. 327.
[491] Giuseppe De Lutiis, “Il lato oscuro del potere”, ed. Riuniti, pag. 42.
[492] Legge fortemente voluta dai comunisti, che stabilisce particolari condizioni di favore per mezzadri e affittuari a vario titolo nei riguardi dei proprietari.
[493] Esemplare è il farsesco concetto di “convergenti parallele” coniato da Aldo Moro; ovvero la tesi che il PCI e la DC condividessero gli stessi scopi pur perseguendoli in modi diversi. Un po’ come dire che invece tutti gli altri partiti avessero come obiettivo il “male”… non dovrebbero servire commenti.
[494] Classico ed accertato è l’esempio del “partito marxista-leninista d’Italia”, il capostipite di quei gruppuscoli (1966); prassi confermata dall’“operazione manifesti cinesi” organizzata direttamente dal capo dell’ufficio affari riservati del Viminale Federico Umberto d’Amato, indiscussa “eminenza grigia” di tutte le trame ruotanti attorno il ’68.
[495] Sergio Flamigni, “Trame atlantiche”, ed. Kaos, pag. 120.
[496] Mimmo Franzinelli, “La sottile linea nera”, Rizzoli, pag. 360.
[497] Fulvio Martini, “Nome in codice Ulisse”, Rizzoli ed., pag. 137.
[498] Vedi pagina ------
[499] Vedere cosa è accaduto immediatamente prima e immediatamente dopo lo svolgimento di quell’evento.
[500] Per comprendere il senso dell’utilizzo di un auto ufficialmente “rubata” ad un ambasciata, si consideri che anche Licio Gelli girava su un auto targata “CD”.
[501] La sede dei servizi segreti.
[502] Giorgio Cingolani, “La destra in armi”, ed. riuniti, pag. 51.
[503] Op, 2 maggio 1978.
[504] Piero Buscaroli, “Dalla parte dei vinti”, Mondadori, pag. 463.
[505] Annibale Paloscia, “I segreti del Viminale”, Newton ed., pag. 242.
[506] Sergio Zavoli, “La notte della Repubblica”, pag. 151.
[507] Con la scomparsa del comunismo cadde la necessità politica di mantenere un Italia unita, e sopraggiunse quella economica di rendere disponibile al mondo la “neocolonia” “mezzogiorno”. Interesse condiviso con la mafia: al processo per l’omicidio di Giuseppe Di Matteo, il collaboratore di giustizia Tullio Cannella ha parlato del movimento “Sicilia Libera” che avrebbe fondato assieme a Leoluca Bagarella per aggregare politici, massoni, e mafiosi, in modo di “avere tutto in mano. Volevamo separare l’Italia in due perché questo fatto avrebbe determinato la nostra ingerenza nelle scelte di governo e di coloro che avrebbero ricoperto incarichi nelle procure e nelle magistrature”.
[508] Sergio Flamigni, “Trame atlantiche”, ed. Kaos, pag. 121.
[509] Stakanov ricevette in regalo un isba sul mar Nero.
[510] Arrigo Petacco, “Il comunista in camicia nera”, pag. 44.
[511] Arrigo Petacco, “Il comunista in camicia nera”, pag. 47.
[512] Arrigo Petacco, “Il comunista in camicia nera”, pag. 84.
[513] Arrigo Petacco, “Il comunista in camicia nera”, pag. 84.
[514] Arrigo Petacco, “Il comunista in camicia nera”, pag. 87.
[515] Arrigo Petacco, “Il comunista in camicia nera”, pag. 87.
[516] Piero Buscaroli, “Dalla parte dei vinti”, Mondadori, pag. 190.
[517] Rendendo quantomeno sospetta la morte di Palmiro Togliatti a Yalta proprio in quei frangenti (13 agosto 1964 )…
[518] A. James Gregor, “L’ideologia del fascismo”, Milano 1970, pag. 322.
[519] I tre volti del Fascismo, Milano 1971, pp. 229-230.
[520] Rino Cammilleri, “Fregati dalla scuola”, Effedieffe, Milano 1992.