Letteratura

 

Due caratteristiche distinguono i più antichi documenti di letteratura albanese: la prima, si tratta di opere di traduzione e non di creazione; la seconda, si tratta di testi a contenuto religioso salvo rarissime eccezioni ("Appunti di viaggi" di Arnold von Harff, il "Lessico" di Blanco). 

Gli autori si formavano alla luce della cultura e dello spirito religioso romano perché molte istituzioni religiose italiane accoglievano giovani albanesi che avviavano al sacerdozio. Ricordiamo fra gli altri Il Collegio Illirico di Loreto, S. Pietro e Paolo di Fermo, De propaganda fide, S. Anastasio di Roma, Collegio italo-greco Corsini di S. Benedetto Ullano (Cosenza), Seminario greco-albanese di Palermo. Il più antico testo finora conosciuto è la "Pericope del Vangelo Mattaico", la traduzione del brano evangelico di S. Matteo che si cantava nel mattutino del Sabato santo.La datazione è incerta, s'ipotizza tra il XIV e il XV secolo. È stata tramandata dal Codice Ambrosiano. Nel verso della stessa pergamena, quindi della stessa epoca, si trova "Il tropario della Resurrezione" (raccolta di brani celebrativi della Resurrezione). "Untè paghesont premenit Atit et Birit et Sperit Senit" (io ti battezzo in nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo). È la formula del battesimo, in lingua albanese, contenuta in una lettera, redatta in latino, indirizzata dall'Arcivescovo di Durazzo, Pal Engjelli, (Paolo Angelo) ai suoi diocesani, l'8 Novembre 1462.In quella lettera, il prelato albanese ricordava ai parroci, alquanto ignoranti, che il battesimo poteva essere imposto, in casi estremi, da ogni fedele. Traduceva quindi la formula perché i parrocchiani potessero impararla. È il primo documento con data certa, forse più antico della "Pericope del Vangelo Mattaico". La lettera fu scoperta dallo storico rumeno Nicola Jorga, tramandata dal codice 1107 del fondo Ashburnhamiano, ed è conservata nella Biblioteca Laurenziana di Firenze. A proposito della testimonianza di Arnold von Harff, va detto che si tratta di pochissime frasi, alcuni numeri e dei nomi, che un nobiluomo di Colonia, appunto Arnold von Harff, annotò per disporre di un minimo di conoscenza della lingua albanese nel corso della visita in Albania che egli effettuò nel 1496. Quelle note furono pubblicate da E. von Groote nel 1860.Ma la testimonianza più importante è rappresentata dal Messale (Meshari) di Gjon Buzuku, tradotto dal latino in dialetto ghego (dialetto albanese parlato al nord del fiume Shkumbini) tra il 22 Marzo 1553 e il 5 Gennaio 1555.L'incunabolo fu scoperto dal monsignore Giovanni Kazazi ed è conservato nella Biblioteca Vaticana.Nel 1560 circa nacque, a Piana degli Albanesi, Luca Matranga. A Roma completò gli studi presso il Collegio greco, che era stato fondato nel 1577. Ritornato a Piana, fu arciprete di quel paese dove morì nel 1619. Matranga si deve considerare il padre della letteratura albanese in Italia. Letteratura, come abbiamo già detto, fatta prevalentemente di traduzioni di testi religiosi. La traduzione del catechismo di P. Ledesma, terminata nel Marzo del 1592, fu una iniziativa fondamentale per la storia della letteratura albanese. L'opera nasceva in un periodo nel quale gli esuli albanesi in Italia avevano difficoltà ad inserirsi nella realtà italiana a causa della lingua. Matranga, come spiegava egli stesso nella dedica al Cardinale Ludovico II di Torres, signore di Monreale, intendeva portare un aiuto ai suoi connazionali perché potessero intendere facilmente almeno la dottrina cristiana. La traduzione della "Dottrina del Bellarmino" (una copia si trova nella biblioteca Vaticana), la traduzione dell'opera di Padre Emerio de Bonis "Speculum confessionis" e il "Rituale romano" sono le tre opere di Pietro (Pjetër) Budi, tutte stampate a spese della Santa Sede nel Luglio del 1621. Pietro Budi nacque a Pietra Bianca nel 1566, fu parroco nel Kosovo, Vicario generale della Chiesa serba e Vescovo della Zadrima. 
Nel 1635, Frang Bardhi, vescovo di Zadrima, realizzò un "Dictionarium latino-epiroticum" contenente cinquemila vocaboli e cento proverbi. Pietro (Pjetër) Bogdani (1630-1688), primo vescovo di Scutari, si può considerare l'iniziatore della prosa albanese. La sua opera: "Cuneus prophetarum de Christo salvatore mundi et ejus evangelica veritate, italice et epirotice contexta, et in duas partes divisa a Pedro Bogdano Macedone..." fu pubblicata, in albanese con la traduzione italiana, a Padova nel 1685, mecenate il cardinale Barbarigo. La raccolta degli "Atti del Concilio dell'Alto Clero" cattolico albanese tenuto a Merqi edito nel 1706 è un importante documento per la lingua e per le notizie storiche ed etnologiche contenute.
La serie di autori cattolici si chiude con Gjon Nikoll Kazazi, arcivescovo di Shkupi, che compilò, in dialetto Gjakova, nel 1743, un'operetta dedicata ai bambini albanesi. 

I due dialetti: ghego e tosco avevano in comune la città di Elbasan, qui Theodor Haxhi Filipi e Naum Veqilharxhi elaborarono ciascuno un differente alfabeto albanese. Konstandin Kristoforidhi (1850) tradusse nei due dialetti vari testi religiosi e realizzò un dizionario albanese-greco.

Con Theodor Kavaljoti comincia l'attività letteraria del clero ortodosso con la pubblicazione, a Venezia nel 1770, di un Fjaluer, (vocabolario) in tre lingue: albanese, greco, armeno.
Seguono, nel 1802, un'opera in quattro lingue: greco, armeno, bulgaro, albanese, di Dhaskal Danjeli.Alla fine del '700 la traduzione in albanese - curata dal Maestro Teodoro - di alcuni testi biblici, nella quale vi è un tentativo di fondere i dialetti tosco e ghego in una lingua che trae origine dalla parlata di Elbasan; uno zibaldone di Kosta Beràtasi, nel 1800 e, infine, la traduzione del Vangelo, pubblicata a Corfù nel 1827, di Gregorio di Argirocastro vescovo di Eubea, che contribuì in maniera determinante alla formazione della lingua albanese. 
Intanto, nelle comunità albanesi dell'Italia meridionale e della Sicilia, fiorivano scrittori in lingua albanese come: Francesco Maria da Lecce del 1716; Nicolò Figlia del 1736; Nicolò Chetta (Nikoll Keta) del 1803, ma soprattutto Giulio Variboba di Mbuzati nato a S.Giorgio Albanese, in provincia di Cosenza, nel 1725, autore dei poemetti "Vita della Vergine" e "Vita del Bambino", stampati a Roma nel 1762.

In Albania, tra il XVIII e il XIX secolo emergono alcuni autori musulmani le cui opere sono ispirate, per tema e stile, ai grandi scrittori e poeti arabi e persiani. Un esponente significativo di quella corrente fu Ahmet Bey Dukagjini, un nobile signore che, con una raccolta di liriche "Divan", segnò l'inizio della produzione letteraria in caratteri arabi. 
Tra la fine del 1700 e l'inizio del 1800 emergono alcuni poeti mistici tra i monasteri dei Bektashi (setta islamica diffusa in Albania). Tra questi, Mulla Hysen Dobraçi, Mulla Pata e Hasan Zyko Kamberi. Quest'ultimo, nato a Starje presso Corcia, visse al tempo di Alì Pascià di Tepeleni. Poco rimane dei suoi scritti in caratteri arabi, ricordiamo le poesie "Seferi humajun" (La guerra del sovrano), "Bahti im" (Il mio destino) "Kënga e gjerdekut" (Il canto del talamo). L'affermazione e l'evoluzione della letteratura albanese fu molto lenta e rappresentata da poche testimonianze a causa dei continui sconvolgimenti per guerre e insurrezioni. Inoltre i Turchi, con la loro dura dominazione, lasciarono poco spazio al progresso culturale del Paese occupato. Poca cultura sopravvisse alle devastazioni e agl'incendi dei monasteri cattolici ed ortodossi. Numerose notizie frammentarie consentono comunque di desumere che nel XVI secolo non fu pubblicata solo l'opera di Buzuku. 

Tra il 1830 ed il 1940 tre autorevoli autori segnano tappe importanti del risorgimento albanese, tre poeti che rappresentano le tre correnti spirituali dell'Albania: l'ortodosso Girolamo De Rada, il cattolico padre Giorgio Fishta e il musulmano Naim Frashëri.
Girolamo (Jeronim) De Rada, nacque a Macchia Albanese, in provincia di Cosenza, il 19 Novembre del 1814. Frequentò il ginnasio e il liceo presso il Collegio di S. Benedetto Ullano (Cosenza). Nell'Ottobre del 1834 si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Napoli, ma si dedicò alla poesia e allo studio dei poeti. Nel 1836 pubblicò il "Milosao" (ristampato nel 1847, nel 1872 e nel 1873) che uscì con il titolo "Poesie albanesi del secolo XV. Canti di Milosao, figlio del despota di Scutari". Nel 1844 fondò la rivista: "L'Albanese in Italia", nel 1846 scrisse, in italiano, una tragedia: "I Numidi". 
Insegnante di albanese al collegio S.Demetrio, nel 1852, venne allontanato perché sospettato di attività antiborbonica. Nel 1850 sposò Maddalena Melichi, dalla quale ebbe quattro figli. Sia i figli che la moglie morirono prima di lui. Nel 1889 gli venne restituita la cattedra di lingua albanese al collegio di S. Demetrio. Scrisse ancora, e parliamo delle opere più importanti, "Serafina Thopia" la storia della principessa d'Arta, raccontata in due fasi: la prima 1839-1843, la seconda, con il titolo "Uno specchio di umano transito" nel 1897. 
Seguono "Rapsodie di un poema albanese" (1866), "Poesie albanesi" (1873-1884) e "Skanderbeccu i pafaan" (Skanderbeg sfortunato) (1873-1884). Nel 1891, con il titolo "Sofonisba" ritornò alla tragedia rimaneggiando la precedente "I Numidi". Morì, poverissimo, a S.Demetrio Corone (Cosenza) il 28 Febbraio 1903.
Padre Giorgio (Gjergj) Fishta, dei frati minori di S.Francesco, nacque a Fishta nella Zadrima il 23 Ottobre 1871. Studiò in un collegio francescano di Troshan e successivamente, sempre presso i francescani, a Scutari. Studiò filosofia e teologia in Bosnia, quindi fu parroco a Gomsiqe nella Mirdizia. 
Molto stimato dai superiori, fu trasferito a Scutari dove svolse la sua attività di scrittore e insegnante. Fu uno dei soci fondatori della società letteraria "Bashkimi". Con Luigi (Luigj) Gurakuqi ipotizzò la fusione, in una lingua unica, dei due dialetti ghego e tosco. Nel 1921 fondò il liceo "Illirycum". Fu deputato e vice presidente nella prima legislatura del parlamento albanese, quindi, nel 1919, membro della delegazione alla Conferenza della pace e alla Conferenza interbalcanica nel 1930. Nel 1939, quando l'Albania fu annessa all'Italia, fu nominato accademico d'Italia. Morì a Scutari il 30 Dicembre 1940. Giorgio Fishta è considerato il poeta nazionale d'Albania, ed è indubbio che sia stato, con le sue opere, tra i più accesi ed efficaci cantori delle speranze di libertà del popolo albanese. Fu autore prolifico, ma conosciuto soprattutto per il poema: "Lahuta e Malcìs" (Il liuto della montagna) un epopea sulla lotta degli Albanesi contro gl'invasori. Trenta canti che, in spumeggiante poesia, raccontano la storia albanese dalla prima invasione montenegrina al congresso di Londra, nel corso del quale si deliberò l'indipendenza dell'Albania. Protagonista del poema il popolo albanese, con l'orgoglio ereditato dagli antichi Illiri e da Giorgio Castriota Skanderbeg. A metà del racconto l'autore ferma lo svolgimento degli avvenimenti per introdurre un intermezzo (canto XV) che, attraverso dei simboli, condensa il contenuto etico dell'opera. L'eterna lotta tra il bene e il male. I Drangoi sono il popolo albanese che insorge contro la tirannia, la Kulshedra è l'ignivomo, terrificante mostro che rappresenta l'oppressore, le Zane e le Ore sono le donne albanesi che dedicano la loro vita alla famiglia. 
Come si è detto, Fishta, fu autore prolifico ricordiamo tra le altre opere due volumi di poesie: "Mrizi i Zânavet" (Il meriggio delle Zâne) e "Vallja e Parrizit" (La danza del Paradiso). Nel "Mrizi i Zânavet" troviamo due melodrammi: "Shqyptari i Gjytetnuem" (L'Albanese civilizzato) e "Shqyptarja e Gjytetnueme" (L'Albanese civilizzata). Nel "Vallja e Parrizit" vi è una raccolta di liriche con temi religiosi e due melodrammi sempre di ispirazione religiosa: "Berit e Betlemit" (I pastori di Betlemme) e "Sh' Françescu i Asisit" (S.Francesco d'Assisi). Altre opere teatrali sono "Odisea", "Ifigenija n'Aullì", "Jerina a se Mbretnesha lulevet" (Ierina, ossia la regina di fiori), "Luigi Gonzaga". 
Le satire sono raccolte in "Anzat e Parnasit" (Le vespe del Parnaso) raccolta di poesie satiriche sui costumi, mentre la satira d'ispirazione politica è rappresentata magistralmente in "Nën hajat e Parrizit" (Nell'atrio del Paradiso) e in "Gomari i Babatasit" (Il somaro di Babatasi). Nella prima vi è un pungente dialogo fra S.Pietro, il diavolo e Skanderbeg, nella seconda, l'autore (che la pubblica con lo pseudonimo Gegë Toska) se la prende con i giornalisti. Le vicende di una povera vecchietta, che il caso trasforma in una grande guaritrice, sono narrate nella pochade "Dijsja" (La dottoressa). Inoltre tradusse e adattò in albanese le commedie di Molière "Dredhit e Patukut" (Le furberie di Scapino) e "I ligu per mend" (Il malato Immaginario). Diresse la rivista "Hylli i Dritë" (La stella di luce).