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DECADENTISMO
Il termine “decadentismo” viene usato per la prima volta nel 1883 ad indicare il senso di disfacimento e di distruzione che Paul Verlaine esprime nella poesia “Langueur”, in cui infatti si identifica con l’ impero romano alla fine della decadenza. Il termine viene così usato in maniera dispregiativa ad indicare tutti quegli artisti decadenti come i poeti Arthur Rimbaud, Stéphane Mallarmé, Paul Verlaine e i romanzieri Huysmans, Oscar Wilde e Gabriele D’Annunzio. Il termine indicava quindi, inizialmente, il movimento letterario nato a Parigi verso la fine degli anni Ottanta, ma ha assunto anche un senso lato durante il corso del Novecento, ad indicare un gruppo di artisti accomunati da un senso di incertezza e di dubbio.
La visione del mondo decadente si basa sull’ irrazionalità. Gli scrittori rifiutano la convinzione tipica del positivismo per la quale la ragione può spiegare il senso della realtà; al contrario in questo movimento si pensa che l’intelletto sia limitato e perciò bisogna trovare una via di fuga o regredendo allo stato fanciullesco (come Pascoli) o innalzandosi verso una realtà superomistica (come D’Annunzio) o ancora, come nel caso dei poeti francesi, facendo uso di droghe e alcool che inibiscono la mente. Non basandosi solo sulle verità scientifiche, il poeta riuscirà così a percepire quei simboli e messaggi che la natura manda all’ uomo (come scriveva Baudelaire in “Corrispondenze”) il quale però non riesce a vedere. A riuscirci è il poeta veggente, capaci di spingersi là dove l’uomo comune non arriva
Il culto dell’arte che i decadenti privilegiano, ha dato vita all’ estetismo. L’esteta è l’ “amante del bello”, colui che non giudica la vita per mezzo di categorie morali, bensì basandosi sul bello e sul brutto. La vita deve quindi essere paragonabile ad un’opera d’arte, come dice Andrea Sperelli. Nella prefazione a “Il Ritratto di Dorian Gray”, Wilde spiega che l’artista è tale se vede il bello ed è così un eletto, un superiore che si distingue dalla massa uniforme borghese. L’opera non deve avere un fine didascalico, i libri sono scritti o bene o male, non esiste l’ immoralità in uno scritto. L’arte diventa così inutile e sono contrari alla mercificazione di questa.
Temi della letteratura decadente: La morte. La morte è un tema ricorrente e dominante in questo periodo. I decadenti riescono a vedere la relazione tra Eros e Thanatos presenti nell’ uomo; il primo è l’istinto costruttore e vitale, l’altro è quello distruttore e mortale. La presenza della morte riflette l’ epoca in cui vivono: la società europea sta andando verso un periodo di guerra e profonda crisi, quindi di distruzione.
La malattia. La malattia della letteratura decadente è la stessa che caratterizza la condizione esistenziale di questi artisti, cioè quel senso di incertezza, di angoscia e di noia che provano nei confronti di una società di cui non si sentono far parte. Questa malattia dell’ individuo è legata a quella delle cose: i decadenti provano attrazione per tutto ciò che è corrotto, in deperimento e in distruzione. Venezia per questo diventa la città simbolo del decadentismo, la quale mescola infatti all’ eleganza e alla bellezza, degenerazione e crisi.
Rifiuto del mondo borghese. Andrea Sperelli, l’alter-ego di D’Annunzio, paragonava i borghesi ad un grigio diluvio democratico. C’è infatti un totale rifiuto del mondo borghese, sia per la sua ipocrisia e falsità, ma anche per la sua democraticità e mediocrità. L’ artista decadente si isola così nella sua realtà, orgoglioso della sua diversità.
L’inetto. L’inetto è colui che si sente impotente, insicuro, è colui che non riesce ad agire provando un senso di timore verso la realtà che lo circonda. Una variante dell’ inetto è il fanciullino pascoliano, il quale rifiuta una vita sociale, cercando rifugio nel “nido” familiare, regredendo a forme di ingenuità e spontaneità con le quali coglie la realtà in modo autentico.
Il superuomo. In opposizione al fanciullino, d’Annunzio crea il mito del superuomo. Questo è un individuo sicuro di sé e forte e che vive cercando di innalzare il più possibile la sua figura, arrivando ad essere paragonabile a un dio. D’altra parte però questo atteggiamento non è altro che una maschera, che nasconde la stessa paura del fanciullino: il mondo che sta cambiando crea un senso di timore e insicurezza, come testimonia la poesia “Maya”, in cui D’Annunzio antropomorfizza le nuove macchine uscite dalla società che sempre più si sta industrializzando, paragonandole ai miti antichi. Inoltre gli obiettivi dei superuomini Claudio Cantelmo, Paolo Tarsis e Stelio Efrena non arriveranno mai a compimento, in quanto vengono ostacolati dalla cosiddetta “donna fatale”, che costituisce un altro tema decadente. Questa è vista come una dominatrice, crudele e diabolica che priva l’uomo dell’ energia vitale che lo anima, facendolo innamorare. In realtà questa misoginia proviene dal fatto che l’uomo decadente non riconosce la sua inettitudine riversandola su un altro individuo. |