Decennio 1940/50
E’ stato un periodo caratterizzato da grandi avvenimenti e da profonde mutazioni nel campo sociale, politico e morale. In questo arco temporale vigeva il regime fascista. L’unico partito politico ammesso era il Partito Nazionale Fascista, essendo tutti gli altri vietati, come erano vietate le libertà fondamentali del cittadino. Praticamente vi era la Dittatura, il cui capo era Benito Mussolini, Duce del Fascismo e fondatore dell’Impero. Tra tutte le manifestazioni assumeva rilievo il sabato fascista. In tutte le piazze d’Italia il sabato l’Italia fascista era tutta in Divisa, come in una caserma. Ogni Comune era retto da un Podestà, funzionario di nomina governativa e n tale contesto era presente la forte personalità del segretario politico. La Germania nazista era già in guerra contro la Francia e l’Inghilterra mentre l’Italia fascista, alleata della Germania, attendeva l’evolversi degli eventi prima di entrare in guerra a fianco degli alleati germanici.
Erano i primi giorni del giugno 1940, avevo 10 anni quando mio padre mi portò a Reggio Calabria per sostenere gli esami di ammissione alla scuola media (allora erano necessari oltre il conseguimento della licenza elementare), per proseguire gli studi superiori.
A me che provenivo dal nostro piccolo borgo natio la visione della città apparve come qualcosa di straordinario e di grandioso, le case aggiunte a case e le strade che sboccavano in altre strade.
C’era un via vai di militari, mio padre mi portò al porto dove erano attraccate le navi della Regia Marina. Il 10 giugno 1940 (i tedeschi erano già entrati a Parigi), il Duce dal balcone di Palazzo Venezia annunciava al popolo italiano, convocato su tutte le piazze d’Italia, che “le dichiarazioni di guerra erano già state consegnate agli ambasciatori di Francia ed Inghilterra”.
Folgorato dalla BLITZ KREIG (guerra lampo) della Germania, il Duce con incrollabile fede scendeva in campo prevedendo l’immancabile vittoria a fianco dell’alleato tedesco; trascinando in tal modo la Nazione in un’avventura a dir poco irresponsabile e gravida di pericoli e foriera di funesti avvenimenti. Infatti alla prima vittoria seguirono brucianti sconfitte, su tutti i fronti di terra, di mare e di cielo.
Intanto, a causa della guerra, iniziavano i disagi e le privazioni per le popolazioni civili, tutta la gioventù idonea era mobilitata e partiva per i fronti di guerra, i generi alimentari di prima necessità erano rapinati e le strade erano di notte oscurate. Le nostre truppe male equipaggiate combatterono con fede ed onore dalle steppe gelide della Russia, alle sabbie infuocate del’Africa e nei Balcani.
E venne l’8 settembre 1943, la data più nera ed umiliante per la Patria italiana.
Il Paese si trovò diviso in due, a Sud il Regno con a capo il Re e al Nord la Repubblica Sociale, con a capo Benito Mussolini, ma di fatto era un governo fantoccio della Germania nazista, atteso che questa parte d’Italia era occupata militarmente dalle truppe tedesche. A seguito dell’armistizio le nostre Forze Armate dislocate in tanti presidi del bacino mediterraneo venivano considerate forze avversarie e per questo venivano disarmate e come prigionieri di guerra venivano caricate su carri bestiame ed avviate verso i campi di concentramento. Tante famiglie avevano uno o più congiunti sotto le armi e, a causa di questi eventi non avevano più notizie dei loro cari.
Va ricordato in questo periodo il bombardamento di Sinopoli (1° settembre 1943) ad opera delle fortezze volanti. Vi furono oltre 50 vittime e centinaia di feriti. Tra le vittime vi erano nostri compaesani (don Raso Currà, Mico Benavolo e un certo Pugliese, sfollato di Palmi).
Negli anni 42/43 il nostro paese accolse tante famiglie provenienti dai centri litoranei che a causa delle incursioni aeree trovavano rifugio qui tardi; come parimenti tanta povera gente proveniente dalla zona di Cassino, veniva accolta da noi, allorquando le truppe anglo-americane, risalendo la penisola, furono bloccate per tutto l’inverno 43/44, dai tedeschi presso Cassino. E’ fu un periodo triste e buio. Nella primavera la guerra finiva e da tutti veniva accolta con gioia la pace, dopo tanti anni di guerra. Incominciava il rientro dei prigionieri, i quali dopo anni di separazione e di lontananza in terra straniera potevano riabbracciare i loro cari. Purtroppo tanti non sono ritornati. Sia onore e gloria al loro sacrificio e al loro olocausto per la Patria italiana.
Di rilancio dall’Italia prostrata da lunghi anni di guerra, ognuno riprendeva la sua attività e le sue abitudini. Il nostro borgo rispecchiava, dal suo piccolo, tutta l’Italia di allora. Erano anni difficili, ma in tutti sussisteva un’ansia di riscatto, di rinascita e di ricostruzione. Venivano ripresi gli usi, le tradizioni di una volta, le ricorrenze, le feste tradizionali civili e religiose, venivano ripristinati i diritti inalienabili dell’uomo e le libertà fondamentali del cittadino. Dopo un ventennio di potere dispotico e liberticida si respirava finalmente aria di libertà e democrazia.
Purtroppo il Mezzogiorno d’Italia, ivi compresa San Procopio, non riusciva a garantire un’occupazione stabile e dignitosa ai propri figli, per cui l’emigrazione verso l’America del nord e del sud, i Paesi del nord d’Europa diventava la valvola di sfogo alla disoccupazione.
Alla fine di questo decennio, nel 1950, Pio XII, il Pontefice di allora, proclamava l’Anno Santo, definito “l’Anno del gran ritorno e del gran perdono”.
In tal contesto religioso, a San Procopio, si rinnovava una tradizione, uno spettacolo, “l’AFFRUNTATA”, avente ad oggetto la Passione, la Morte e la Resurrezione del Cristo. L’avvenimento ebbe un notevole successo di pubblico accorso anche dai paesi vicini. Fu anche un momento di aggregazione, di concorde partecipazione e di festosa collaborazione di tutta la comunità cittadina.
La figura del Cristo fu interpretata da Alessio Calabrò, Pilato da Nino Palermo, Caifa da Rocco Galimi, Erode da Stefano Occhiuto, Giuda da mastro ‘Ntoni u Muscino, San Pietro da don Peppino De Leo, il centurione da don Peppino Marafioti (Nappa) e da molti altri sia in parti singole che in ruoli di comparse e di figuranti e che la brevità di questo scritto impediva la manipolazione di tutto. Vi fu una partecipazione corale a tutti i livelli. Facemmo una bella figura per il prestigio del nostro paese. Lo spettacolo iniziava con l’entrata del Cristo, il giorno delle Palme a Gerusalemme, tra una folla osannante e plaudente che agitava palme e ramosceli d’ulivo e si concludeva con la crocefissione di Gesù e dei due ladroni e la vittoria del Redentore sulla Morte con la gloriosa Resurrezione.
Giuseppe Forgione