Ricordo che quando frequentavo le scuole elementari, vivevamo con lo spauracchio dell’anno duemila, spesso ci capitava fra compagni scambiarci ingenuamente questa frase: “Nel duemila, verrà la fine del mondo!!!” chissà quanti di voi, avete sentito questa simile “vaccata”, sicuramente frutto della propaganda millenaristica, diffusa da alcune sette pseudoreligiose, ma grazie a Dio, nulla avvenne di tutto ciò, ma la nostra innocenza fu turbata da questa fantasticheria, che fu importata soprattutto in paese da alcuni emigrati convertiti a nuova “religione” provenienti del nuovo continente, anche i mass-media hanno fatto la loro parte. Molti di noi, per stare buoni e calmi, i nostri genitori ci hanno inculcato la figura Del “ba bau”, altrimenti , come facevano tenerci a freno ( sei figli in media per famiglia), ma con il crescere questa forma di “paura finta” non provocò segni negativi di quel tempo felice e fantasioso. Il modello educativo del duemila e giù di lì, ebbi questo “principio” di condotta erroneo a mio vedere “fatti i fatti tuoi” che purtroppo ci chiusi in un circuito negativo, che ha annullato ogni forma di crescita e le idee rimasero prigioniere di una mentalità contorta, che ancor oggi non riusciamo a liberarci. Soffriamo per mancanza di crescita, ma tutti aspettiamo chissà quale salvatore, mentre dovremmo essere noi per primi, ognuno con le proprie capacità e forze, a far progredire il paese per il bene di tutti. La mentalità sovraesposta, spesso si abbina con un’altra idea in voga nei samprocopiesi: “Questo, non è paese di musica” ambo le mentalità, a mio avviso, vanno sradicate, affinché la musica per tutti, non si fa amara. A cavallo del duemila, la partecipazione politica e la competizione locale, si è azzerata a causa di un complesso di situazioni, non esiste più confronto politico, i comizi sono ormai , conversati nell’album dei ricordi, su questo piano si è chiusa un epoca. Con l’inizio del nuovo millennio, si è iniziato a fare i conti con la nuova moneta, gli anziani del paese hanno riportato in auge dal loro vocabolario la parola “Turnisi” (i centesimi) cosi furono ribattezzati dai nostri genitori le nuove piccole monete, qualche furbacchione ha iniziato a fregare qualche malcapitato, scambiando il vecchio 500 lire con la moneta più pesante di due euro. Eravamo negli anni 2002/2003, quando la comunità, acquisto a furore di popolo la statua bronzea di Padre Pio, questo sì che fu un grand’evento. Era il 24 dicembre 2002, quando la statua arrivò in P.za mons. Bruno Occhiuto, alle ore 13,16, le campane hanno suonato a festa per dare l’annuncio dell’arrivo del furgone che trasportava la statua bronzea, la cittadinanza si recipitò in parrocchia per dare il benvenuto al santo di Pietralcina, la statua vi rimase nella chiesa madre, fino 15 giugno 2003, in questo giorno con solennità venne portata a spalle dai giovani samprocopiesi, il comitato aveva preparato una varetta apposita con le ruote, per evitare la dura fatica della processione, ma un gruppo di bravi giovani, appena si erano mossi i primi passi, l’hanno sollevata festosamente sulle loro giovane spalle, fu un momento di grande compattezza e di orgoglio locale. La statua, vi rimase fino il giorno dopo nella chiesa degli Afflitti, in questo giorno con gran devozione venne ubicata nella attuale sede, a termine della posa della statua, venne celebrata la santa messa nel piazzale sottostante. Nel duemila, sembra che qualcosa, doveva cambiare in paese, anche sotto l’azione della sig.ra Maria, moglie del nostro amato vigile Pino Marafioti che aveva iniziato a lanciare l’idea di una scuola di ballo, ma tutto finì sul nascere. Ricordo, un Carnevale dei primi anni duemila, organizzato dall’assessore Nino Cutri, che vidi la partecipazione di moglie e gente adulta vestita con i colori allegri della festa , che faceva ben sperare per un risveglio sociale, ma tutto si è annientato ben presto. I giovani d’oggi non prendono iniziative sociali e l’individualismo in loro è ben radicato. Forse è vero che studiano troppo e non hanno tempo “dicono loro”, io ho qualche perplessità la tengo in riserbo, perché il tempo, per vedere il “grande fratello” ho programmi simili lo trovano. Nei primi anni del duemila, oleificio Posterino ha chiuso battenti, per il paese rappresentava una fonte di lavoro e cosi si ebbe una economia meno feconda, anche a causa di una olivicoltura, sempre più debole. Ormai il nostro prezioso oro verde è in declino a causa dei nuovi mercati che transitano per il porto di Gioia Tauro.In quest’epoca in cui io ho trattato, è finita la forma di contratto in olivocoltura chiamato “Gabella o Gabbejia” primi anni del nuovo millennio, venne sostituita con la forma di contratto “’a mitati” che ben presto questa nuova forma di contratto popolare fra il proprietario e il prestatore d’opera, non ebbi una felice fine. In questo periodo, sono scomparsi del tutto i docili quadrupedi: gli asini, l’ultimo detentore a possedere un esemplare fu Serafino Carbone, che nella mia mente ho un nitido ricordo, quando rientrava dalla sua campagna, sita in Rosolà, con la moglie in groppa all’asino e lui con la “capizza” fra le mani, facevano ritorno a casa, dopo la giornata trascorsa in campagna, con lui, è finita un era dei veri contadini, costui me lo ricordo come un grande uomo di lavoro, indossava al ritorno dalla campagna sempre sul capo, il classico fazzoletto , legato a nodi, una immagine, ormai che si conserva solo nei ricordi. Nell’ epoca da me trattata, un altro evento è da riportare, la frequenza dei “pellegrini” a San Procopio, sicuramente Dio ha voluto, bene San Procopio che provvide di mandare il docile don Carmelo, ma alcuni non condividano questo andirivieni di pellegrini, ma cari amici, la chiesa è aperta, siamo figli dello stesso Padre e quindi fratelli, mi permetto di suggerire a certi frequentatori di messa, che essi sono nostri fratelli, quindi essi sono una benedizione per noi tutti, sappiamo accoglierli, perché questo è un momento di grazia per il nostro paese. San Procopio, conversa ancora una natura da contemplare e da valorizzare:, ancora si avverte il profumo della ricotta e d’altre prilibetezze gastronomiche, ogni borgo ha la sua storia che il frutto degli avvenimenti, ma cari amici, la storia siamo noi. Sta alla nostra volontà far crescere il nostro paesino per il bene di tutti. Tutto non è perso, sta a noi rimboccarci le maniche, per bene dei figli e di tutti noi. Una nuova agricoltura, può essere di traino per il futuro progresso, non piangiamoci addosso, siamo fieri della nostra storia e della nostra identità.