PERCORSO SOCIO CULTURALE "VIAGGIO CON DANTE"
IL GIORNO 28 DICEMBRE ALLE ORE 17,30 , PRESSO IL CENTRO SOCIALE SAN GIUSEPPE SITO IN SAN PROCOPIO, L' AVV. GIUSEPPE FORGIONE ILLUSTRERA' IL PROEMIO DELL'INFERNO, LA S.V. E' INVITATA A PARTECIPARE.
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INVITIAMO TUTTI A LEGGERE IL TESTO SOTTO DESCRITTO. CHI DESIDERA PUO' INVIARE IL PROPRIO COMMENTO , CHE SARA' PUBBLICATO IN QUESTA PAGINA WEB, INVIA A: danarosaverio@libero.it
Nel mezzo del cammin di
nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita.
Ahi quanto a dir qual era è
cosa dura
esta selva selvaggia e aspra e forte
che nel pensier rinova la paura!
Tant' è
amara che poco è più morte;
ma per trattar del ben ch'i' vi trovai,
dirò de l'altre cose ch'i' v'ho scorte.
Io non so ben ridir com' i'
v'intrai,
tant' era pien di sonno a quel punto
che la verace via abbandonai.
Ma poi ch'i' fui al piè d'un
colle giunto,
là dove terminava quella valle
che m'avea di paura il cor compunto,
guardai in alto e vidi le sue
spalle
vestite già de' raggi del pianeta
che mena dritto altrui per ogne calle.
Allor
fu la paura un poco queta,
che nel lago del cor m'era durata
la notte ch'i' passai con tanta pieta.
E come quei che con lena
affannata,
uscito fuor del pelago a la riva,
si volge a l'acqua perigliosa e guata,
così l'animo mio, ch'ancor
fuggiva,
si volse a retro a rimirar lo passo
che non lasciò già mai persona viva.
Poi ch'èi posato un poco il
corpo lasso,
ripresi via per la piaggia diserta,
sì che 'l piè fermo sempre era 'l più basso.
Ed ecco, quasi al cominciar
de l'erta,
una lonza leggiera e presta molto,
che di pel macolato era coverta;
e non mi si partia dinanzi al
volto,
anzi 'mpediva tanto il mio cammino,
ch'i' fui per ritornar più volte vòlto.
Temp'
era dal principio del mattino,
e 'l sol montava 'n sù con quelle stelle
ch'eran con lui quando l'amor divino
mosse di prima quelle cose
belle;
sì ch'a bene sperar m'era cagione
di quella fiera a la gaetta pelle
l'ora del tempo e la dolce
stagione;
ma non sì che paura non mi desse
la vista che m'apparve d'un leone.
Questi parea che contra me
venisse
con la test' alta e con rabbiosa fame,
sì che parea che l'aere ne tremesse.
Ed una lupa, che di tutte
brame
sembiava carca ne la sua magrezza,
e molte genti fé già viver grame,
questa mi porse tanto di
gravezza
con la paura ch'uscia di sua vista,
ch'io perdei la speranza de l'altezza.
E qual è quei che volontieri
acquista,
e giugne 'l tempo che perder lo face,
che 'n tutti suoi pensier piange e s'attrista;
tal mi fece la bestia sanza
pace,
che, venendomi 'ncontro, a poco a poco
mi ripigneva là dove 'l sol tace.
Mentre ch'i' rovinava in
basso loco,
dinanzi a li occhi mi si fu offerto
chi per lungo silenzio parea fioco.
Quando vidi costui nel gran
diserto,
«Miserere di me», gridai a lui,
«qual che tu sii, od ombra od omo certo!».
Rispuosemi:
«Non omo, omo già fui,
e li parenti miei furon lombardi,
mantoani per patrïa ambedui.
Nacqui sub Iulio,
ancor che fosse tardi,
e vissi a Roma sotto 'l buono Augusto
nel tempo de li dèi falsi e bugiardi.
Poeta fui, e cantai di quel
giusto
figliuol d'Anchise che venne di Troia,
poi che 'l superbo Ilïón fu combusto.
Ma tu perché ritorni a tanta
noia?
perché non sali il dilettoso monte
ch'è principio e cagion di tutta gioia?».
«Or se' tu quel Virgilio e
quella fonte
che spandi di parlar sì largo fiume?»,
rispuos' io lui con vergognosa fronte.
«O de li altri poeti onore e
lume,
vagliami 'l lungo studio e 'l grande amore
che m'ha fatto cercar lo tuo volume.
Tu se' lo mio maestro e 'l
mio autore,
tu se' solo colui da cu' io tolsi
lo bello stilo che m'ha fatto onore.
Vedi la bestia per cu' io mi
volsi;
aiutami da lei, famoso saggio,
ch'ella mi fa tremar le vene e i polsi».
«A te convien tenere altro
vïaggio»,
rispuose, poi che lagrimar mi vide,
«se vuo' campar d'esto loco selvaggio;
ché questa bestia, per la
qual tu gride,
non lascia altrui passar per la sua via,
ma tanto lo 'mpedisce che l'uccide;
e ha natura sì malvagia e
ria,
che mai non empie la bramosa voglia,
e dopo 'l pasto ha più fame che pria.
Molti son li animali a cui
s'ammoglia,
e più saranno ancora, infin che 'l veltro
verrà, che la farà morir con doglia.
Questi non ciberà terra né
peltro,
ma sapïenza, amore e virtute,
e sua nazion sarà tra feltro e feltro.
Di quella umile Italia fia
salute
per cui morì la vergine Cammilla,
Eurialo e Turno e Niso di ferute.
Questi la caccerà per ogne
villa,
fin che l'avrà rimessa ne lo 'nferno,
là onde 'nvidia prima dipartilla.
Ond' io
per lo tuo me' penso e discerno
che tu mi segui, e io sarò tua guida,
e trarrotti di qui per loco etterno;
ove udirai le disperate
strida,
vedrai li antichi spiriti dolenti,
ch'a la seconda morte ciascun grida;
e vederai color che son
contenti
nel foco, perché speran di venire
quando che sia a le beate genti.
A le quai poi se tu vorrai
salire,
anima fia a ciò più di me degna:
con lei ti lascerò nel mio partire;
ché quello imperador che là
sù regna,
perch' i' fu' ribellante a la sua legge,
non vuol che 'n sua città per me si vegna.
In tutte parti impera e quivi
regge;
quivi è la sua città e l'alto seggio:
oh felice colui cu' ivi elegge!».
E io a lui: «Poeta, io ti
richeggio
per quello Dio che tu non conoscesti,
a ciò ch'io fugga questo male e peggio,
che tu mi meni là dov' or
dicesti,
sì ch'io veggia la porta di san Pietro
e color cui tu fai cotanto mesti».
Allor si mosse, e io li tenni dietro.