Il
teatro NO ha avuto inizio tra il XIV ed il XV d.C. (sebbene le sue
origini si perdano nel XII-XIII d.C., dietro alle rappresentazioni
drammatiche che si tenevano durante le festività presso i
templi) grazie all'opera di un attore/drammaturgo chiamato Ka'nami
Kiyotsugu (1333-1384) e del figlio di lui, Zeami Motokiyo (1363-1443),
nei cui scritti sono anche spiegati i principi estetici, validi
ancor oggi, sottesi a questa forma teatrale, nonché il modo
in cui vada composta, diretta e recitata.
Letteralmente il termine NO significa "capacità, abilità"
e combina tra loro arti differenti, come il canto, la danza e la
musica.
Proprio Zeami ci fa luce su un episodio, che può essere considerato,
a buon diritto, fondatore del teatro NO, il cd. " NO della
caverna", che affonda le sue radici nella mitologia giapponese.
Dal primo libro del Ko-gi-ki (la più antica raccolta di miti
e leggende) (1), sappiamo che la dea del Sole, Amaterasu (figlia
del dio Izanaghi, il cui nome significa "maschio invitante"),
sorella degli dei della Luna (Tsuki-omi-no) e del Vento (Takehaia
Susa-no-o), si rifugiò nella grande Grotta del Cielo, stanca
delle continue crudeltà di Susa-no-o, che in tal modo si
vendicava del (giusto) esilio inflittogli dal padre, a causa della
sua dabbenaggine.
Naturalmente il mondo piombò di colpo nell'oscurità
e tutti gli dei pregarono senza posa Amaterasu, che intanto lasciava
l'umanità preda di mille calamità.
Ma non tutto era ancora perduto ed il merito va alla dea Uzume,
che dandosi ad una danza alquanto impudica, scatena l'ilarità
degli dei e suscita la curiosità della fuggiasca, che esce
dal suo antro e riporta finalmente l'armonia al mondo.
Dulcis in fundo, la vendetta della dea sarà tremenda: Susa-no-o
dovrà pagare una multa di mille tavole (per le offerte espiatorie)
e subire il taglio della barba (simbolo questo di virilità),
lo strappo delle unghie di mani e piedi, nonché l'esilio.
Il NO è una forma teatrale particolare, perché gli
attori sono dei veri e propri "narratori", nel senso che
utilizzano gesti e movimenti, fortemente stilizzati e codificati,
per rievocare fatti precedenti, e non rappresentano quindi realisticamente
le nozioni di spazio e tempo, come invece avviene nella recitazione
occidentale.
Ecco quindi che il fare pochi passi assume il significato di un
lungo viaggio, specificato dalle parole della canzone o dall'intervento
diretto del coro.
I ruoli base sono essenzialmente tre: lo shite (talvolta accompagnato
da uno o più compagni, detti tsure), il waki e l'ai.
Il primo è l'attore principale, che solitamente compare nella
prima parte della rappresentazione in forma umana (maejite), per
poi partire e ripresentarsi nella sua vera essenza (nochijite),
quella di un fantasma di una persona famosa vissuta molto tempo
addietro.
Entrambi i ruoli sono ricoperti dallo stesso attore.
Il waki, attore secondario, impersona un monaco errabondo, le cui
riflessioni sull'attore principale aiutano a comprendere meglio
la trama della rappresentazione.
Anch'esso può essere affiancato da spalle, dette waki-tsure.
L'ai, o ai-kyogen, si presenta, invece, sotto le vesti di un personaggio
locale ed è il vero narratore di tutta la rappresentazione.
Solitamente questa parte è affidata ad un attore che fa parte
del kyogen.
Con questo termine si designa la classica forma di teatro comico,
alcuni parti della quale sono inserite nelle rappresentazioni NO
per bilanciarne la carica seriosa.
Completa il tutto il coro (jiutai),composto da otto elementi, seduti
lungo il bordo del palcoscenico, il cui compito è la narrazione
degli antecedenti della storia, nonché i suoi stessi sviluppi.
Può anche dar voce ai pensieri del protagonista oppure introdurlo
al pubblico, dandone una breve descrizione cantata.
Sullo sfondo del palcoscenico trovano posto i musicisti (hayashi),
che suonano il flauto traverso (nohkan) e diversi tipi di tamburelli
(kotsuzumi, okawa o otsuzumi e taiko), le cui melodie seguono sistemi
codificati e non ammettono improvvisazioni.
Vediamo ora più da vicino come si presentano gli attori.
Una caratteristica imprescindibile dell'attore di teatro NO è
la maschera, dal momento che il trucco non è usato.
Tutti le indossano, uomini, donne, vecchi, esseri soprannaturali
(fantasmi, dei, demoni), eccetto l'uomo di mezza età che
vive nel presente.
Solitamente l'espressione raffigurata può essere più
o meno neutra oppure molto marcata, ma saranno successivamente i
giochi di luce ed ombra a rafforzare nell'immaginario del pubblico
il succedersi dei sentimenti sui volti degli attori.
Fino ad ora sono conosciute almeno venti maschere "storiche",
databili al XIV d.C., mentre sono otto quelle usate normalmente
dagli attori durante le rappresentazioni (2). Anche i costumi rivestono
la loro importanza all'interno del NO e sono senza alcun dubbio
strepitosi. Ognuno di essi è realizzato in seta, anche quello
che dovrà indossare un attore che recita la parte del povero,
e ne esistono molte varietà, a seconda delle combinazioni
di colori, della ricchezza della trama e della forma assunta dalle
pieghe.
Come la maschera, anche il costume caratterizza fortemente l'attore,
che per indossarlo ha bisogno dell'aiuto di due o tre costumisti,
per quanto complicata è l'operazione.
Ora che la descrizioni degli attori è completata, sediamoci
ai nostri posti e proviamo ad indovinare a quale rappresentazione
assisteremo.
Esistono, infatti, cinque categorie, divise per tema.
Il kami (dio) è ambientato in un tempio scintoista ed ha,
naturalmente, un soggetto sacro; lo shura-mono è incentrato
sui guerrieri ed i loro combattimenti e ciò non è
casuale, se pensiamo che il teatro NO è fiorito sotto il
patronato dello shogun Yoshimitsu Ashikaga (3), nel periodo Muromachi
(1336-1573 d.C.), noto anche per il rafforzamento delle dittature
militari.
Il kazura-mono ha una donna come protagonista, solitamente bellissima,
mentre la quarta categoria non ha un tema fisso e spazia perciò
dal gendai mono (di ambientazione contemporanea) al kyojo-mono,
in cui la protagonista impazzisce a causa della perdita di un amore
o di un figlio rapito (solitamente dai mercanti di schiavi) e si
mette alla loro ricerca.
Nel kiri la fanno da padrone gli esseri soprannaturali, demoni,
strani animali e semidei.
Le rappresentazioni più belle e poetiche, improntate allo
yugen (elegante semplicità e grazia) sono senza dubbio quelle
che hanno le donne come protagoniste, sebbene siano più lunghe
rispetto alle altre. Normalmente una giornata di spettacolo full-immersion
prevedeva la rappresentazione di tutte e cinque le categorie, ognuna
delle quali era intervallata da un kyogen.
Il teatro NO, perfezionatosi durante tutto il periodo Tokugawa (1603-1867
d.C.), ha subìto un forte contraccolpo dalla caduta dell'ordine
feudale, all'interno del quale era nato, con l'avvento della Restaurazione
Meiji (1867-1912 d.C.), ma dalla fine della Seconda Guerra Mondiale
ha vissuto un revival ed ora esistono all'incirca 1500 attori professionisti,
al cui amore e dedizione dobbiamo l'insegnamento e la rappresentazione
di opere del teatro NO, che non è, comunque, una forma artistica
adatta a tutti indistintamente, per l'astrazione e la codificazione
dei gesti e delle vesti. Tutto sul palcoscenico ha un significato
e chi lo ignora non comprenderà che una piccolissima parte
della bellezza di queste opere.
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