UNA FINESTRA SULL' UMBRIA


                                                                                 Santi
                                                                                     

 

L’Umbria evoca nella fantasia collettiva l’idea di pace e tranquillità. Una regione in cui la vita ha ancora una dimensione umana, lontana dai ritmi frenetici delle regioni fortemente industriali o altamente turistiche. La natura, la storia e l’arte la fanno da padrone e ne fanno un luogo dell’anima. In un periodo in cui accanto al benessere materiale si ritorna a cercare con forza il benessere spirituale, l’Umbria diventa polo d’attrazione per quanti intraprendono un cammino alla ricerca di sé attraverso la scoperta di luoghi d’arte e di cultura, luoghi mistici e spirituali e una natura austera e solenne
Le principali figure religiose che nel corso dei secoli hanno contribuito a creare e a diffondere in tutto il mondo l’immagine dell’Umbria come luogo mistico e meta del turismo religioso, sono state senza dubbio San Francesco, Santa Chiara, San Benedetto e Santa Rita, San Valentino dei quali si tramanda memoria anche attraverso i monumenti che sono stati eretti successivamente alla loro morte, a testimonianza della loro fede e della loro vita religiosa, diventando luoghi di culto altamente simbolici. Tali luoghi richiamano ogni anno migliaia di pellegrini che da tutto il mondo raggiungono l’Umbria per respirare quell’atmosfera di serenità e pace che va ben oltre allo spirito, fino ad essere promessa per l’umanità



                                                                                     
                                                                   San Francesco d' Assisi

San Francesco d'Assisi nacque ad Assisi nel 1182 ca. e morì nel 1226. Giovanni Francesco Bernardone, figlio di un ricco mercante di stoffe, istruito in latino, in francese, e nella lingua e letteratura provenzale, condusse da giovane una vita spensierata e mondana; partecipò alla guerra tra Assisi e Perugia, e venne tenuto prigioniero per più di un anno, durante il quale patì per una grave malattia che lo avrebbe indotto a mutare radicalmente lo stile di vita: tornato ad Assisi nel 1205, Francesco si dedicò infatti a opere di carità tra i lebbrosi e cominciò a impegnarsi nel restauro di edifici di culto in rovina, dopo aver avuto una visione di san Damiano d'Assisi che gli ordinava di restaurare la chiesa a lui dedicata.

Il padre di Francesco, adirato per i mutamenti nella personalità del figlio e per le sue cospicue offerte, lo diseredò; Francesco si spogliò allora dei suoi ricchi abiti dinanzi al vescovo di Assisi, eletto da Francesco arbitro della loro controversia. Dedicò i tre anni seguenti alla cura dei poveri e dei lebbrosi nei boschi del monte Subasio. Nella cappella di Santa Maria degli Angeli, nel 1208, un giorno, durante la Messa, ricevette l'invito a uscire nel mondo e, secondo il testo del Vangelo di Matteo (10:5-14), a privarsi di tutto per fare del bene ovunque.

                                   

 Tornato ad Assisi l'anno stesso, Francesco iniziò la sua predicazione, raggruppando intorno a sé dodici seguaci che divennero i primi confratelli del suo ordine (poi denominato primo ordine) ed elessero Francesco loro superiore, scegliendo la loro prima sede nella chiesetta della Porziuncola. Nel 1210 l'ordine venne riconosciuto da papa Innocenzo III; nel 1212 anche Chiara d'Assisi prese l'abito monastico, istituendo il secondo ordine francescano, detto delle clarisse. Intorno al 1212, dopo aver predicato in varie regioni italiane, Francesco partì per la Terra Santa, ma un naufragio lo costrinse a tornare, e altri problemi gli impedirono di diffondere la sua opera missionaria in Spagna, dove intendeva fare proseliti tra i mori.

Nel 1219 si recò in Egitto, dove predicò davanti al sultano, senza però riuscire a convertirlo, poi si recò in Terra Santa, rimanendovi fino al 1220; al suo ritorno, trovò dissenso tra i frati e si dimise dall'incarico di superiore, dedicandosi a quello che sarebbe stato il terzo ordine dei francescani, i terziari. Ritiratosi sul monte della Verna nel settembre 1224, dopo 40 giorni di digiuno e sofferenza affrontati con gioia, ricevette le stigmate, i segni della crocifissione, sul cui aspetto, tuttavia, le fonti non concordano.

Francesco venne portato ad Assisi, dove rimase per anni segnato dalla sofferenza fisica e da una cecità quasi totale, che non indebolì tuttavia quell'amore per Dio e per la creazione espresso nel Cantico di frate Sole, probabilmente composto ad Assisi nel 1225; in esso il Sole e la natura sono lodati come fratelli e sorelle, ed è contenuto l'episodio in cui il santo predica agli uccelli. Francesco, che è patrono d'Italia, venne canonizzato nel 1228 da papa Gregorio IX. Viene sovente rappresentato nell'iconografia tradizionale nell'atto di predicare agli animali o con le stigmate.


 

           Santa Chiara d' Assisi        

Chiara nasce nel 1194 da una nobile famiglia d'Assisi, figlia di Favarone di Offreduccio di Bernardino e di Ortolana. La madre, recatasi a pregare alla vigilia del parto nella Cattedrale di San Rufino, sentì una voce che le predisse la nascita della bambina con quest eparole :"Donna non temere, perchè felicemente partorirai una chiara luce che illuminerà il mondo". Per questo motivo la bambina fu chiamata Chiara e battezzata in quella stessa chiesa. Si può senza dubbio affermare che una parte predominante della educazione di questa fanciulla è dovuta alla grande spiritualità che pervadeva l'ambiente familiare di Chiara ed in particolare la figura della madre che fu tra quelle dame che ebbero la grande fortuna di raggiungere la Terra Santa al seguito dei crociati. L'esperienza della completa rinuncia e delle predicazioni di San Francesco, la fama delle doti che aveva Chiara per i suoi concittadini, fecero sì che queste due grandi personalità s'intendessero perfettamente sul modo di fuggire dal mondo comune e donarsi completamente alla vita contemplativa. La notte dopo la Domenica delle Palme, il 18 marzo 1212, Chiara, accompagnata da Pacifica di Guelfuccio, si recherà di nascosto alla Porziuncola, dove era attesa da Francesco e dai suoi frati. Qui Francesco la vestì del saio francescano, le tagliò i capelli consacrandola alla penitenza e la condusse presso le suore benedettine di San Paolo a Bastia Umbra, dove il padre inutilmente tentò di persuaderla a far ritorno a casa. Chiara si rifugiò in seguito, su consiglio di Francesco, nella Chiesetta di San Damiano che divenne la Casa Madre di tutte le sue consorelle chiamate dapprima "Povere Dame recluse di San Damiano" e, dopo la morte di Chiara, Clarisse. Qui visse per quarantadue anni, quasi sempre malata, iniziando alla vita religiosa molte sue amiche e parenti compresa la madre Ortolana e le sorelle Agnese e Beatrice. Nel 1215 Francesco la nominò badessa e formò una prima regola dell'Ordine che doveva espandersi per tutta Europa. La grande personalità di Chiara non passò inosservata agli alti prelati, tanto che il legato pontificio, Cardinale Ugolino, formulò la prima regola per i successivi monasteri e più tardi le venne concesso il privilegio della povertà con il quale Chiara rinunciava ad ogni tipo di possedimento.

                                                                                   

La fermezza di carattere, la dolcezza del suo animo, il modo di governare la sua comunità con la massima carità e avvedutezza, le procurarono la stima dei Papi che vollero persino recarsi a visitarla. La morte di Francesco e le notizie che alcuni monasteri accettavano possessi e rendite amareggiarono e allarmarono Chiara che sempre più malata volle salvare fino all'ultimo la povertà per il suo convento componendo una Regola simile a quella dei Frati Minori, approvata dal Cardinale Rainaldo (poi papa Alessandro IV) nel 1252 e alla vigilia della sua morte da Innocenzo IV, recatosi a San Damiano per portarle la benedizione e consegnarle la bolla papale che confermava la sua regola; il giorno dopo, 11 agosto 1253, Chiara muore, officiata dal Papa che volle cantare per lei non l'ufficio dei morti, ma quello festivo delle vergini. Il suo corpo venne sepolto a San Giorgio ed in seguito trasferito nella chiesa che porta il suo nome. Nonostante l'intenzione di Innocenzo IV fosse quella di canonizzarla subito dopo la morte, si giunse alla bolla di canonizzazione nell'autunno del 1255, dopo averne seguito tutte le formalità, per mezzo di Alessandro IV.           

          


San Benedetto da Norcia


Benedetto nacque a Norcia (Perugia) intorno al 480. Compì i suoi studi letterari a Roma, dove rischiò di farsi coinvolgere dalla corrotta gioventù romana e per questo motivo si trasferì con la sua nutrice a Enfide (l'odierna Affile).

Quì compì il suo primo miracolo aggiustando un vaglio in legno. Intorno al 500 si ritirò in una grotta (1) nei pressi di Subiaco dove inizio la vita eremitica. Un monaco di nome Romano gli portava il necessario per vivere.
Fu presto seguito da numerosi discepoli per i quali fondò nella Valle dell'Aniene numerosi monasteri.
Un prete di nome Fiorenzo, invidioso di Benedetto, ne attentò la vita, scampatone, Benedetto si trasferì a Montecassino dove fondò la celebre abbazia.
Poco più di un mese prima della morte Benedetto incontrò la sorella Scolastica con la quale ebbe un famoso colloquio.
Si spense il 21 marzo 547. Il corpo è custodito insieme a quello della sorella a Montecassino.
Il 24 orrobre 1964 papa Papa Paolo VI lo proclamò "Patrono d'Europa".

                                                                                                                 

La sua Regola riassume la tradizione monastica orientale adattandola con saggezza e discrezione al mondo latino, aprendo così una via nuova alla civiltà europea dopo il declino di quella romana.
In questa scuola di servizio del Signore hanno un ruolo determinante la lettura meditata della Parola di Dio e la lode liturgica, alternata con i ritmi del lavoro in un clima di carità fraterna e di servizio reciproco.
Nel solco di San Benedetto sorsero nel continente europeo e nelle isole, centri di preghiera, di cultura, di promozione umana e di ospitalità per i poveri e i pellegrini.
La sua memoria, a causa della Quaresima, è stata trasferita dalla data tradizionale del 21 marzo, ritenuto il giorno della sua morte, all'11 luglio, giorno in cui fin dall'alto Medioevo in alcuni luoghi si faceva un particolare ricordo del santo.


                                                                     


                                                                 Santa  Scolastica da Norcia

Difficile è trovare una connotazione storico-reale che inquadri in maniera veritiera la figura di Santa Scolastica. Negli ultimi decenni la critica letteraria religiosa si è trovata più volte nella condizione di negare l'esistenza di questa Santa, che non compare, se non per brevi tratti, il più delle volte da intrpretare, in nessuna fonte storicamente accertata. Soltanto nell'opera di Gregorio Magno, in particolare nel libro III dei Dialoghi, si fa menzione di tale mistica esistenza. Al di là di ciò, molti ritengono che l'introduzione di una gemella del già Santo Benedetto, non sia stata altro che un espediente letterario utilizzato dall'autore per dare un intento didascalico e divulgativo al proprio scritto. C'è anche da sottolineare, tra l'altro, che Gregorio Magno è stato più volte accusato di costruire le proprie opere in funzione di una rivisitazione della letteratura religiosa e pagana dell'epoca, colma, in quegli anni, di spunti narrativi su sante sorelle e santi fratelli monaci. Santa Scolastica rappresentava un'icona talmente forte da renderne difficile la smentita e, anzi, la sua presenza rappresentava un intento religioso importantissimo, quale quello di mostrare lo spirito religioso cristiano e divulgare, in tal modo, un nuovo e più consono modus operandi.

A questo elemento, sicuramente di non poco conto, si affianca l'etimologia del nome stesso della Santa: “scolastico” era colui che aveva frequentato la “Schola”, quindi, in ragione di ciò, lo si riteneva una persona sicuramente di spessore, istruita, proprietaria di una certa cultura. Similarmente il nome attribuito alla Santa di Norcia poteva indicare, in termini interpretativi, una personificazione simbolica di virtù, purezza e fede da affiancare alla figura imponente di un fratello santificato.

Resta il fatto che è venuta a mancare una testimonianza concreta dell'esistenza di Santa Scolastica, poiché, a parte la menzione fatta da Gregorio Magno, tutti i susseguenti riferimenti a ciò possono essere derivati dai già citati Dialoghi.

                                                                           La vita

           

In un contesto così difficoltoso, fatto di supposizioni e teorie, manca una traccia biografica concreta dal quale trarre, in qualche modo, i punti principali della vita di Santa Scolastica. Di certo, come già è stato detto, non c'è che la profonda eredità religiosa rintracciabile nelle preghiere a lei rivolte e nelle sue raffigurazioni iconografiche giunte fino a noi. Ovviamente il mistero che aleggia intorno alla sua figura ne rende difficile qualsiasi considerazione: se fosse realmente la gemella di San Benedetto o se fosse solo sua sorella, la data della sua nascita, la sua residenza e la sua attività a Norcia, il percorso religioso reale che intraprese sulle tracce del fratello. Se si dà fondamento alla teoria che Scolastica fu davvero l'amatissima gemella di Benedetto (Ludovico Jacobilli, Santi e beati dell'Umbria) se ne può stimare la nascita, anche qui non accertata, intorno al 480 d.C. La letteratura religiosa vuole tramandare l'idea che la famiglia d'origine dei due Santi fosse di stirpe di indubbia nobiltà, fatta di magistrati e consoli di spessore nella vita sociale e politica del tempo. Secondo l'anonimo autore della Vita di Scolastica, i genitori dei due Santi erano in realtà persone sterili che, per mezzo di una profonda fede e di tante preghiere, avevano avuto il dono di generare “duo magna sanctae ecclesiae luminaria”. Come per la vita di San Benedetto, nelle poche ricostruzioni che si sono potute fare di Scolastica si parla di una fidatissima e amata nutrice, una certa Cirilla di Campi. Da non tralasciare è anche il fatto che il periodo in cui si considera probabile l'esistenza di Benedetto e Scolastica fu attraversato da un vivace fervore religioso, periodo in cui i luoghi di silenzio e di preghiera venivano abitati con enfasi da solitari personaggi di fede che cominciarono a divenire un esempio. Della spiritualità di Scolastica non si ha certamente dubbio: secondo una molteplicità di autori la Santa vestì l'abito monacale già in tenera età, rappresentando sempre un'incarnazione del messaggio di umiltà, virtù e fedeltà che intendeva diffondere.

Dallo scritto di Gregorio Magno si evince che Scolastica, molto probabilmente, non seguì il fratello a Subiaco quando questo sentì il bisogno di allontanarsi dalla corruzione di Roma e da ogni forma di legale affettivo con il mondo. Con molta probabilità Scolastica rimase a Norcia, più specificatamente in quella che è stata definita Rocca Sassaria, una proprietà della famiglia materna dei Reguardati in cui visse con altre compagne fino al trasferimento a Cassino.

E' teoria di alcuni che Scolastica raggiunse Benedetto a Cassino tra il 530 e il 550 d.C, ma rimane comunque oscuro, al di là di ogni supposizione, se in questo nuovo luogo vivesse sola o in comunità con altre compagne come si ritiene che avesse già vissuto a Norcia. Nei Dialoghi di Gregorio Magno si parla di un'assiduità di incontri tra i due fratelli, testimoniando che, forse, i due non potevano trovarsi troppo lontani, anche se, moralmente, non potevano dividere la stessa abitazione essendo stati, nelle nuove vesti, un monaco e una monaca tenuti ad un comportamento incorruttibile. Sempre nei Dialoghi Gregorio ci dà una connotazione di quello che dovrebbe essere stato l'ultimo di questi volutissimi incontri tra Benedetto e Scolastica: presumibilmente dovrebbe essere stato il giovedì precedente la prima domenica di Quaresima; cenarono insieme ad altri discepoli del Santo, pregarono e colloquiarono finchè il buio della notte non scese ad oscurare ogni cosa. Scolastica chiese al fratello di rimanere con lei per non interrompere l'atmosfera che si era creata parlando di argomenti a loro così cari ma Benedetto, fedele alla sua Regola, si rifiutò per tornare alla sua cella. Lo sconforto che assalì Scolastica la spinse a pregare il Signore perchè esaudisse quel suo tanto intenso desiderio di stare con il fratello: al suo pianto, secondo il racconto, dal cielo cominciò a scendere una pioggia tanto fitta da impedire ai frati di tornare al loro monastero. Riuscirono a dividersi soltanto il mattino seguente. Tre giorni dopo Benedetto, pregando dalla sua cella, rivolse gli occhi al cielo e vide una colomba bianca che volava libera nell'azzurro. Non ne ebbe la certezza ma era sicuro che la colomba altri non era che la sorella morta, giunta fino a lui in forma di uccello per regalargli l'ultimo saluto e per testimoniargli ancora una volta la grandezza della divinità celeste. Riunitosi con gli altri confratelli comunicò la visione che aveva avuto e, insieme a loro, seppellì Scolastica in un sepolcro che aveva preparato per sé.


                                                                   

                                                                     Santa  Rita  da Cascia


Fra le tante stranezze o fatti strepitosi che accompagnano la vita dei santi, prima e dopo la morte, ce n'è uno in particolare che riguarda s. Rita da Cascia, una delle sante più venerate in Italia e nel mondo cattolico, ed è che essa è stata beatificata ben 180 anni dopo la sua morte e addirittura proclamata santa a 453 anni dalla morte.
Quindi una santa che ha avuto un cammino ufficiale per la sua canonizzazione molto lento (si pensi che sant’Antonio di Padova fu proclamato santo un anno dopo la morte), ma nonostante ciò s. Rita è stata ed è una delle più venerate ed invocate figure della santità cattolica, per i prodigi operati e per la sua umanissima vicenda terrena.
Rita ha il titolo di “santa dei casi impossibili”, cioè di quei casi clinici o di vita, per cui non ci sono più speranze e che con la sua intercessione, tante volte miracolosamente si sono risolti.
Nacque intorno al 1381 a Roccaporena, un villaggio montano a 710 metri s. m. nel Comune di Cascia, in provincia di Perugia; i suoi genitori Antonio Lottius e Amata Ferri erano già in età matura quando si sposarono e solo dopo dodici anni di vane attese, nacque Rita, accolta come un dono della Provvidenza.
La vita di Rita fu intessuta di fatti prodigiosi, che la tradizione, più che le poche notizie certe che possediamo, ci hanno tramandato; ma come in tutte le leggende c’è alla base senz’altro un fondo di verità.
Si racconta quindi che la madre molto devota, ebbe la visione di un angelo che le annunciava la tardiva gravidanza, che avrebbero ricevuto una figlia e che avrebbero dovuto chiamarla Rita; in ciò c’è una similitudine con s. Giovanni Battista, anch’egli nato da genitori anziani e con il nome suggerito da una visione.
                                                         
                                       

Poiché a Roccaporena mancava una chiesa con fonte battesimale, la piccola Rita venne battezzata nella chiesa di S. Maria della Plebe a Cascia e alla sua infanzia è legato un fatto prodigioso; dopo qualche mese, i genitori, presero a portare la neonata con loro durante il lavoro nei campi, riponendola in un cestello di vimini poco distante.
E un giorno mentre la piccola riposava all’ombra di un albero, mentre i genitori stavano un po’ più lontani, uno sciame di api le circondò la testa senza pungerla, anzi alcune di esse entrarono nella boccuccia aperta depositandovi del miele. Nel frattempo un contadino che si era ferito con la falce ad una mano, lasciò il lavoro per correre a Cascia per farsi medicare; passando davanti al cestello e visto la scena, prese a cacciare via le api e qui avvenne la seconda fase del prodigio, man mano che scuoteva le braccia per farle andare via, la ferita si rimarginò completamente. L’uomo gridò al miracolo e con lui tutti gli abitanti di Roccaporena, che seppero del prodigio.
Rita crebbe nell’ubbidienza ai genitori, i quali a loro volta inculcarono nella figlia tanto attesa, i più vivi sentimenti religiosi; visse un’infanzia e un’adolescenza nel tranquillo borgo di Roccaporena, dove la sua famiglia aveva una posizione comunque benestante e con un certo prestigio legale, perché a quanto sembra ai membri della casata Lottius, veniva attribuita la carica di ‘pacieri’ nelle controversie civili e penali del borgo.
Già dai primi anni dell’adolescenza Rita manifestò apertamente la sua vocazione ad una vita religiosa, infatti ogni volta che le era possibile, si ritirava nel piccolo oratorio, fatto costruire in casa con il consenso dei genitori, oppure correva al monastero di Santa Maria Maddalena nella vicina Cascia, dove forse era suora una sua parente.
Frequentava anche la chiesa di S. Agostino, scegliendo come suoi protettori i santi che lì si veneravano, oltre s. Agostino, s. Giovanni Battista e Nicola da Tolentino, canonizzato poi nel 1446. Aveva tredici anni quando i genitori, forse obbligati a farlo, la promisero in matrimonio a Fernando Mancini, un giovane del borgo, conosciuto per il suo carattere forte, impetuoso, perfino secondo alcuni studiosi, brutale e violento.
Rita non ne fu entusiasta, perché altre erano le sue aspirazioni, ma in quell’epoca il matrimonio non era tanto stabilito dalla scelta dei fidanzati, quando dagli interessi delle famiglie, pertanto ella dovette cedere alle insistenze dei genitori e andò sposa a quel giovane ufficiale che comandava la guarnigione di Collegiacone, del quale “fu vittima e moglie”, come fu poi detto.
Da lui sopportò con pazienza ogni maltrattamento, senza mai lamentarsi, chiedendogli con ubbidienza perfino il permesso di andare in chiesa. Con la nascita di due gemelli e la sua perseveranza di rispondere con la dolcezza alla violenza, riuscì a trasformare con il tempo il carattere del marito e renderlo più docile; fu un cambiamento che fece gioire tutta Roccaporena, che per anni ne aveva dovuto subire le angherie.
I figli Giangiacomo Antonio e Paolo Maria, crebbero educati da Rita Lottius secondo i principi che le erano stati inculcati dai suoi genitori, ma essi purtroppo assimilarono anche gli ideali e regole della comunità casciana, che fra l’altro riteneva legittima la vendetta.
E venne dopo qualche anno, in un periodo non precisato, che a Rita morirono i due anziani genitori e poi il marito fu ucciso in un’imboscata una sera mentre tornava a casa da Cascia; fu opera senz’altro di qualcuno che non gli aveva perdonato le precedenti violenze subite.
Ai figli ormai quindicenni, cercò di nascondere la morte violenta del padre, ma da quel drammatico giorno, visse con il timore della perdita anche dei figli, perché aveva saputo che gli uccisori del marito, erano decisi ad eliminare gli appartenenti al cognome Mancini; nello stesso tempo i suoi cognati erano decisi a vendicare l’uccisione di Fernando Mancini e quindi anche i figli sarebbero stati coinvolti nella faida di vendette che ne sarebbe seguita.
Narra la leggenda che Rita per sottrarli a questa sorte, abbia pregato Cristo di non permettere che le anime dei suoi figli si perdessero, ma piuttosto di toglierli dal mondo, “Io te li dono. Fà di loro secondo la tua volontà”. Comunque un anno dopo i due fratelli si ammalarono e morirono, fra il dolore cocente della madre.
A questo punto inserisco una riflessione personale,  in alcune regioni, esistono realtà di malavita organizzata, ma in alcuni paesi anche faide familiari, proprio come al tempo di s. Rita, che periodicamente lasciano sul terreno morti di ambo le parti. Solo che oggi abbiamo sempre più spesso donne che nell’attività malavitosa, si sostituiscono agli uomini uccisi, imprigionati o fuggitivi; oppure ad istigare altri familiari o componenti delle bande a vendicarsi, quindi abbiamo donne di mafia, di camorra, di ‘ndrangheta, di faide familiari, ecc.
Al contrario di s. Rita che pur di spezzare l’incipiente faida creatasi, chiese a Dio di riprendersi i figli, purché non si macchiassero a loro volta della vendetta e dell’omicidio.
S. Rita è un modello di donna adatto per i tempi duri. I suoi furono giorni di un secolo tragico per le lotte fratricide, le pestilenze, le carestie, con gli eserciti di ventura che invadevano di continuo l’Italia e anche se nella bella Valnerina questi eserciti non passarono, nondimeno la fame era presente.
Poi la violenza delle faide locali aggredì l’esistenza di Rita Lottius, distruggendo quello che si era costruito; ma lei non si abbatté, non passò il resto dei suoi giorni a piangere, ma ebbe il coraggio di lottare, per fermare la vendetta e scegliere la pace. Venne circondata subito di una buona fama, la gente di Roccaporena la cercava come popolare giudice di pace, in quel covo di vipere che erano i Comuni medioevali. Esempio fulgido di un ruolo determinante ed attivo della donna, nel campo sociale, della pace, della giustizia.


                                                                                   

Ormai libera da vincoli familiari, si rivolse alle Suore Agostiniane del monastero di S. Maria Maddalena di Cascia per essere accolta fra loro; ma fu respinta per tre volte, nonostante le sue suppliche. I motivi non sono chiari, ma sembra che le Suore temessero di essere coinvolte nella faida tra famiglie del luogo e solo dopo una riappacificazione, avvenuta pubblicamente fra i fratelli del marito ed i suoi uccisori, essa venne accettata nel monastero.
Per la tradizione, l’ingresso avvenne per un fatto miracoloso, si narra che una notte, Rita come al solito, si era recata a pregare sullo “Scoglio” (specie di sperone di montagna che s’innalza per un centinaio di metri al disopra del villaggio di Roccaporena), qui ebbe la visione dei suoi tre santi protettori già citati, che la trasportarono a Cascia, introducendola nel monastero, si cita l’anno 1407; quando le suore la videro in orazione nel loro coro, nonostante tutte le porte chiuse, convinte dal prodigio e dal suo sorriso, l’accolsero fra loro.
Quando avvenne ciò Rita era intorno ai trent’anni e benché fosse illetterata, fu ammessa fra le monache coriste, cioè quelle suore che sapendo leggere potevano recitare l’Ufficio divino, ma evidentemente per Rita fu fatta un’eccezione, sostituendo l’ufficio divino con altre orazioni.
La nuova suora s’inserì nella comunità conducendo una vita di esemplare santità, praticando carità e pietà e tante penitenze, che in breve suscitò l’ammirazione delle consorelle. Devotissima alla Passione di Cristo, desiderò di condividerne i dolori e questo costituì il tema principale delle sue meditazioni e preghiere.
Gesù l’esaudì e un giorno nel 1432, mentre era in contemplazione davanti al Crocifisso, sentì una spina della corona del Cristo conficcarsi nella fronte, producendole una profonda piaga, che poi divenne purulenta e putrescente, costringendola ad una continua segregazione.
La ferita scomparve soltanto in occasione di un suo pellegrinaggio a Roma, fatto per perorare la causa di canonizzazione di s. Nicola da Tolentino, sospesa dal secolo precedente; ciò le permise di circolare fra la gente.
Si era talmente immedesimata nella Croce, che visse nella sofferenza gli ultimi quindici anni, logorata dalle fatiche, dalle sofferenze, ma anche dai digiuni e dall’uso dei flagelli, che erano tanti e di varie specie; negli ultimi quattro anni si cibava così poco, che forse la Comunione eucaristica era il suo unico sostentamento e fu costretta a restare coricata sul suo giaciglio.
E in questa fase finale della sua vita, avvenne un altro prodigio, essendo immobile a letto, ricevé la visita di una parente, che nel congedarsi le chiese se desiderava qualcosa della sua casa di Roccaporena e Rita rispose che le sarebbe piaciuto avere una rosa dall’orto, ma la parente obiettò che si era in pieno inverno e quindi ciò non era possibile, ma Rita insisté.
Tornata a Roccaporena la parente si recò nell’orticello e in mezzo ad un rosaio, vide una bella rosa sbocciata, stupita la colse e la portò da Rita a Cascia, la quale ringraziando la consegnò alle meravigliate consorelle.
Così la santa vedova, madre, suora, divenne la santa della ‘Spina’ e la santa della ‘Rosa’; nel giorno della sua festa questi fiori vengono benedetti e distribuiti ai fedeli.
Il 22 maggio 1447 Rita si spense, mentre le campane da sole suonavano a festa, annunciando la sua ‘nascita’ al cielo. Si narra che il giorno dei funerali, quando ormai si era sparsa la voce dei miracoli attorno al suo corpo, comparvero delle api nere, che si annidarono nelle mura del convento e ancora oggi sono lì, sono api che non hanno un alveare, non fanno miele e da cinque secoli si riproducono fra quelle mura.
Per singolare privilegio il suo corpo non fu mai sepolto, in qualche modo trattato secondo le tecniche di allora, fu deposto in una cassa di cipresso, poi andata persa in un successivo incendio, mentre il corpo miracolosamente ne uscì indenne e riposto in un artistico sarcofago ligneo, opera di Cesco Barbari, un falegname di Cascia, devoto risanato per intercessione della santa.
Sul sarcofago sono vari dipinti di Antonio da Norcia (1457), sul coperchio è dipinta la santa in abito agostiniano, stesa nel sonno della morte su un drappo stellato; il sarcofago è oggi conservato nella nuova basilica costruita nel 1937-1947; anche il corpo riposa incorrotto in un’urna trasparente, esposto alla venerazione degli innumerevoli fedeli, nella cappella della santa nella Basilica-Santuario di S. Rita a Cascia.
Accanto al cuscino è dipinta una lunga iscrizione metrica che accenna alla vita della “Gemma dell’Umbria”, al suo amore per la Croce e agli altri episodi della sua vita di monaca santa; l’epitaffio è in antico umbro ed è di grande interesse quindi per conoscere il profilo spirituale di S. Rita.
Bisogna dire che il corpo rimasto prodigiosamente incorrotto e a differenza di quello di altri santi, non si è incartapecorito, appare come una persona morta da poco e non presenta sulla fronte la famosa piaga della spina, che si rimarginò inspiegabilmente dopo la morte.
Tutto ciò è documentato dalle relazioni mediche effettuate durante il processo per la beatificazione, avvenuta nel 1627 con papa Urbano VIII; il culto proseguì ininterrotto per la santa chiamata “la Rosa di Roccaporena”; il 24 maggio 1900 papa Leone XIII la canonizzò solennemente.
Al suo nome vennero intitolate tante iniziative assistenziali, monasteri, chiese in tutto il mondo; è sorta anche una pia unione denominata “Opera di S. Rita” preposta al culto della santa, alla sua conoscenza, ai continui pellegrinaggi e fra le tante sue realizzazioni effettuate, la cappella della sua casa, la cappella del “Sacro Scoglio” dove pregava, il santuario di Roccaporena, l’Orfanotrofio, la Casa del Pellegrino.
Il cuore del culto comunque resta il Santuario ed il monastero di Cascia, che con Assisi, Norcia, Cortona, costituiscono le culle della grande santità umbra.



                                                                   


                                                          San Valentino  Vescovo di Terni



Sulla vita di San Valentino, protettore degli innamorati, si hanno notizie che spesso si mescolano e confondono con la leggenda. Le fonti non aiutano a comporre un quadro unitario sulla figura di questo santo, stando infatti a due importanti fonti agiografiche sembra che si possano annoverare ben due San Valentino: il primo, commemorato nel Martirologio Romano, martire di Roma e il secondo, commemorato nel Martirologio Geronimiano, martire di Terni. Essendo le due agiografie molto simili, è probabile, così come molti sostengono, che sia esistito un solo martire Valentino. È verosimile,
infatti, che il martire dì Roma non sia mai esistito e che sia nato dalla falsa interpretazione contenuta nel Catalogo Liberiano che riporta notizia, nella biografia di papa Giulio I, della costruzione di una basilica al secondo miglio della via Flaminia dedicata a Valentino. Il Valentino citato nella fonte altri non sarebbe se non il benefattore che offrì al papa il sostegno economico per l'edificazione della basilica e questi, in segno di riconoscimento, gli dedicò la chiesa. Solo nei secoli successivi, così come accadde per molte altre persone che edificarono chiese, il "benefattore" Valentino fu venerato come santo.
San Valentino vescovo di Terni, fu arrestato per ordine del prefetto Placido mentre era a Roma, rifiutatosi di sacrificare agli idoli, fu decapitato e sepolto al LXIII miglio della via Flaminia, nei pressi di Terni. Sul suo sepolcro fu poi edificata una basilica.
L'attuale basilica fu iniziata, sui resti di quelle precedenti, nel 1606; tre anni dopo fu officiata e nel 1618 vi fu riportato il corpo del santo.
La più antica testimonianza che abbiamo di San Valentino si trova nel Martirologio Geronimiano compilato probabilmente tra il 460 e il 544. In questo prezioso documento già compare l'anniversario della morte di San Valentino a Terni: il 14 febbraio.
Questo fatto, considerando che il Geronimiano fu compilato su calendari preesistenti, ci dimostra come la festa di San Valentino era già registrata nel calendario e probabilmente anche in martirologi "locali".
Dalla Passio Sancti Valentini, compilata in Roma nel Vi o più probabilmente nel V sec., traiamo molte notizie intorno alla via di San Valentino e, pur chiedendoci dove sia il limite che separa la storia dalla leggenda, non possiamo non ritenere attendibili molte di tali notizie.

                                     

 La Passia racconta che San Valentino, "Interamnensis episcopus", "civis
Interamnis urbis", divenuto famoso per la santità della sua vita, per la sua grande carità ed umiltà, per l'indefesso suo apostolato, per i molti miracoli che compiva, venne invitato a Roma da un certo Cratone, oratore greco e latino, perché gli guarisse il figlio Cheremone, infermo da tre anni. Guarito il govane, lo convertì al cristianesimo insieme a tutta la sua
famiglia ed ai greci studiosi di lettere latine Procolo, Efebo, Apollonio e ad Abondio, figlio del prefetto della città; imprigionato, venne, di notte, decapitato in Roma per ordine del prefetto Furius Placidus.
Il suo corpo fu devotamente trasportato a Terni e sepolto nel suburbano presso la città, dai discepoli Procolo, Efebo e Apollonio, i quali anch'essi vennero decapitati per ordine del console Leonzio e sepolti da Abondio vicino a San Valentino; in questo luogo sorse poi un grande cimitero cristiano.
Non apparendo nella Passio il nome dell'imperatore sotto il quale San Valentino subì il martirio, non si può con certezza datare l'anno della sua morte, che è stata variamente attribuita al 270, sotto l'imperatore Claudio II il Gotico, o al 273; quest'ultima data sembra però essere la più attendibile, in quanto in tale anno appare quale prefetto della città un Furius Placidus, essendo imperatore Aureliano.
Nella Passione di San Feliciano, vescovo di Forum Flaminii, si legge che San Valentino sarebbe stato ordinato vescovo di Terni nel 197 col permesso di Papa Vittore, dallo stesso San Feliciano; San Giovenale, vescovo di Narni, come risulta dalla sua vita, avrebbe eretto un oratorio nella sua città, in onore di san Valentino.
San Valentino divenne poi, nel 1643, Patrono di Terni, dove è venerato il 14 febbraio.



                                                                   


                                                             San  Ponziano da  Spoleto

San Ponziano protettore dai terremoti è il patrono della città di Spoleto.
Secondo la tradizione era un giovane di Spoleto che subì il martirio tra il 156 ed il 165.
Fu sepolto poco fuori della città, sulla sua tomba fu poi eretta una basilica ed un monastero.
Il vescovo belga Baldrigo ottenne nel 968 un braccio del Santo che portò a Utrecht, ove fu invocato come patrono.
San Ponziano è invocato in occasione dei terremoti poiché la prima delle terribili scosse di terremoto che per circa 20 anni a partire dal 1703 funestarono l'Umbria meridionale, si ebbe la sera della sua festa ed a Spoleto non ci furono vittime. Secondo la tradizione una scossa di terremoto avrebbe accompagnato anche la sua decapitazione, e gli venne riferita una profezia: "Spoleto tremerà, ma non cadrà".
La chiesa di San Ponziano si trova appunto appena fuori città. Fu eretta in età romanica in onore del giovane spoletino protettore della città, qui sepolto forse nel 175
                                                                                     
                                                                     
                                                                                           
                                                       Beato  Angelo da  Gualdo Tadino

Angelo nasce verso il 1270 a Casale , una piccola frazione in mezzo alle campagne gualdesi, da Ventura e Chiara, umili contadini. Rimane molto presto orfano di padre e quindi la madre è costretta a lavorare molto per mandare avanti il piccolo nucleo familiare. Il giovane ragazzo già di animo dolce e altruista si preoccupa dei ragazzi più poveri di lui per i quali rinuncia al suo pane per sfamarli.

La leggenda racconta che un giorno, dopo un acceso diverbio con la madre, perché il ragazzo sottraeva il pane da casa per darlo ai poveri, Angelo la maledice ed esce di casa per andare a lavorare nei campi. La sera, di ritorno dai campi, sente le campane della chiesa suonare a morto, corre in casa e trova la madre che giace morta sul letto. Questo episodio cambia la vita del giovane Angelo, sopraffatto dal rimorso, sentendosi responsabile di ciò che era capitato alla madre, decide di partire come pellegrino verso il monastero di San Giacomo, in Spagna. Di ritorno dal lungo viaggio decide di farsi monaco nella vicina Abbazia di San Benedetto a Gualdo Tadino, dove resterà per qualche tempo. Presto però sente l'esigenza di vivere in stretto contatto con Dio ed ottiene il permesso di condurre una vita eremitica presso l'eremo detto di Capodacqua dove resterà fino alla morte. Il 15 gennaio 1324, mentre le campane dell’abbazia di San Benedetto suonavano da sole, Angelo venne trovato morto. Si racconta che al passaggio della salma di Angelo, lungo la strada che conduceva al convento di San Benedetto, le siepi di biancospino e i campi di lino fiorirono miracolosamente.


                                                                 

                                                                  Beata Angela da Foligno

Angela nacque nel il 1248 in una famiglia benestante di Foligno, si sposò in giovane età e trascorse una vita "selvaggia, adultera e sacrilega" . Dopo una giovinezza della quale non conosciamo praticamente nessun particolare, Angela si convertì tramite una confessione al cappellano del vescovo in una data che gli studiosi collocano all'incirca verso il 1285. Dopo la morte del marito, dei figli e della madre, entrò nel Terz'ordine Francescano nel 1291(altra data ipotetica), vivendo sull'esempio di Francesco d'Assisi in penitenza e nella radicale imitazione di
Per verificare le sue esperienze mistiche iniziò a confidarsi con un frate A. (che la tradizione riconosce in un suo parente, frate Arnaldo). Egli stese un Memoriale, da sottoporre ad esperti tra cui il cardinale Giacomo Colonna, che l'approvò prima del 1297. Questa "autobiografia spirituale" mostra i trenta passi che l'anima compie raggiungendo l'intima comunione con Dio, attraverso la meditazione dei misteri di Cristo, l'Eucaristia, tentazioni e penitenze.
Angela da Foligno morì il 4 gennaio 1309 (come è scritto in uno dei diversi codici manoscritti del "Liber" e venne da sempre venerata con il titolo di Beata e Magistra Theologorum (Maestra dei Teologi). Il suo corpo riposa nella Chiesa di San Francesco e Santuario della Beata Angela a Foligno.


                                                                      

                                                           San Costanzo Vescovo di Perugia

San Costanzo fu il primo vescovo di Perugia, martirizzato al tempo dell'imperatore Marco Aurelio. Durante la IV persecuzione dell'Impero Romano nei confronti della Chiesa, Costanzo morì il 29 gennaio a Foligno per mano di alcuni soldati mentre si recava al cospetto di Marco Aurelio, che in quei giorni si trovava a Spoleto. Fu condotto davanti al console Lucio e barbaramente flagellato, indi immerso nell'acqua bollente, da dove uscì miracolosamente illeso. Ricondotto in carcere, convertì i suoi custodi e fu fatto fuggire. Rifugiatosi a casa di Anastasio, cristiano, fu con questo di nuovo arrestato e decapitato nella città di Foligno.

Alla intercessione di san Costanzo furono attribuiti due miracoli: una donna affetta da completa cecità si fece portare ai piedi del santo per ricevere la benedizione e implorare aiuto. Dopo la sua benedizione, si dice che la donna riacquistò completamente la vista. Il secondo miracolo riguarda un nobile perugino di nome Crescenzio, sofferente da molti anni di inguaribile paralisi alle estremità inferiori. Anch'egli sospinto da viva fede, andò da Costanzo e, avuta la benedizione, subito fu risanato. Nel 311 venne costruita la chiesa a lui dedicata, a Perugia, e si cominciò a venerare pubblicamente san Costanzo.

La leggenda vuole che ogni anno, durante la festa di San Costanzo, le ragazze nubili vadano nella chiesa di San Costanzo per chiedere se si sposeranno entro l'anno: guardando il gioco di luci riflesse sull'immagine del santo, se si avrà l'impressione che san Costanzo ha fatto l'occhiolino, significa che le nozze ci saranno, altrimenti, per consolazione, il fidanzato regalerà alla ragazza il tipico dolce, il "Torcolo di San Costanzo".

 
                                                                   

                                                             Santa  Chiara  di  Montefalco

                                                           

Nasce da Damiano e Iacopa in una zona vicina al "Castellare" in prossimità della chiesa di San Giovanni Battista (concessa nel 1275 dal Comune agli agostiniani e da questi ricostruita e dedicata a sant'Agostino) a Montefalco, una piccola cittadina umbra che domina la valle spoletana. Chiara ha una sorella e un fratello maggiori, Giovanna e Francesco. Giovanna fonda, con l'aiuto economico del padre, il reclusorio di san Leonardo, di cui diventa la prima rettrice; le donne lì si ritirano vivendo rinchiuse e pregando, ispirandosi alla regola (ancora non pienamente riconosciuta al tempo) di Francesco d'Assisi.
La piccola Chiara resta segnata dal modello che la famiglia le propone e, all'età di sei anni, entra nel "reclusorio" di Giovanna intitolato a San Leonardo, dove trascorre i successivi sette anni.
Cresciuta la comunità, Giovanna e le donne del reclusorio si trasferiscono sul Colle di Santa Caterina del Bottaccio, non lontano dal luogo più antico, in un edificio ancora incompleto. Ma il nuovo insediamento, che sottintende la costruzione di un vero e proprio monastero, non viene accolto pacificamente in città. Affiancandosi ad altri tre monasteri più antichi, uno francescano, uno agostiniano e un altro benedettino, il reclusorio di Giovanna viene ritenuto dannoso per Montefalco, perché si va ad aggiungere alle altre comunità che già vivevano di elemosina, e quindi si tenta di convincere le donne a desistere dai loro progetti. Nel 1290 Giovanna chiede al Vescovo di Spoleto di facilitare l'istituzionalizzazione della comunità, in seguito a cui verrà introdotta la regola di sant'Agostino, la quale, al contrario di quella francescana, era pienamente riconosciuta. Con il nuovo monastero della Santa Croce e di Santa Caterina d'Alessandria, vengono a fondersi i due momenti della storia di queste donne: quello della vocazione eremitica, rappresentato dall'esperienza del reclusorio, con l'altro della regola monastica; Giovanna ne diventa badessa, rimanendo l'insediamento sotto la diretta giurisdizione del Vescovo.
Chiara cresce seguendo le sorti di questo luogo; soltanto in occasione della grande carestia del 1283, insieme a un'altra compagna, esce dal reclusorio per la questua, ma dopo otto uscite le viene impedito di continuare; da questo momento, fino alla morte, rimane isolata in clausura.
Dopo la morte di Giovanna la sorella, nonostante la giovane età (23 anni), ne prende il posto. Chiara fu per le sue suore "madre, maestra e direttrice spirituale". Non lascia scritti eppure, nonostante che la sua vita si dipani nella stretta osservanza della regola monastica, riesce a mantenere un dialogo con il mondo fuori dal monastero. Personaggi illustri come i cardinali Giacomo e Pietro Colonna, Napoleone Orsini, il francescano Ubertino da Casale e tanti altri si rivolgono a Chiara per consigli in materia spirituale. Le sue parole sono descritte come "un fuoco, da cui venivano illuminate, consolate ed accese le menti di tutti coloro che l'ascoltavano". Sapeva dunque parlare non solo alla gente comune, attirata dalla sua fama taumaturgica, ma anche a personaggi illustri, che ne ammiravano le virtù oratorie, considerate profetiche, e la sua intelligenza.
Nel 1307 Bentivegna da Gubbio, a capo del movimento dello "Spirito di Libertà", separatosi dai Fratelli del Libero Spirito, tenta di convincere Chiara ad unirsi al suo movimento spirituale, ma dopo una serie di discussioni e confronti, Chiara lo rinnega e infine lo denuncia come eretico alle autorità clericali.
Nel 1303 promuove l'ampliamento del monastero e la costruzione della chiesa di Santa Croce con l'approvazione del Vescovo di Spoleto che invia la prima pietra benedetta. È qui che, dopo cinque anni, nel 1308, Chiara, ormai ammalata, vuole essere trasportata per poi morirvi e trovarvi sepoltura.
Dopo la sua morte il Comune di Montefalco sentì l'esigenza di certificare l'esemplarità della vita di Chiara in un documento con le testimonianze di chi le fu più vicino. Con questo intento il suo corpo venne aperto alla ricerca di segni prodigiosi che potessero testimoniare quell'esemplarità che aveva espresso per tutta la vita. Si tramanda, tra i credenti, che nel suo cuore si trovavano un crociffisso e un flagello, e nella cistifellea tre globi, di eguale misura, peso e colore, disposti a forma di triangolo, interpretati come il simbolo della Trinità, il che venne considerato come il segno cercato.

La chiesa attuale del monastero di santa Chiara da Montefalco (ricostruita tra il 1615 e il 1643) conserva il corpo della Santa dentro un'urna d'argento massiccio. Ai lati, entro due nicchie aperte nel 1718, si conservano come reliquie di Chiara i segni rinvenuti durante l'autopsia. L'oggetto più suggestivo è probabilmente il busto reliquiario d'argento che la raffigura e contiene i resti del suo cuore; nell'altra nicchia si trova la croce reliquiario, contenente i tre globi di uguale grandezza che i devoti credono provenienti dalla cistifellea, e il crocifisso e il flagello, che secondo i devoti conservava nel cuore.
Con la morte di Giovanni XXII (1334) il processo di canonizzazione di Chiara non ebbe seguito. Verrà ripreso soltanto nel XIX secolo per iniziativa di Pio IX e sarà proclamata Santa da Leone XIII nel 1881.

                                                                   

                                                         Santa  Giovanna  da Orvieto

                                                                 

Giovanna da Orvieto, nota come Vanna, nata a Cornaiola nel 1264, rimase orfana in tenerissima età e, mossa da un celeste istinto, si affidò tutta alla custodia degli Angeli di cui sentiva l'amorosa tutela.
A dieci anni si consacrò a Gesù e già anelava a una vita di completa dedizione a Lui.
Essa intanto cresceva bella e graziosa, mentre andava maturando in cuore il disegno di entrare nel Terz'Ordine di S. Domenico, allora in fiore, e i cui membri vestivano pubblicamente l'Abito e conducevano vita religiosa, senza però lasciare le rispettive case.
Accortisi del suo divisamento, i parenti, con i quali Giovanna viveva, e che l'avevano già promessa a un ricco giovane del paese, si mostrarono oltre modo sdegnati e cominciarono ad ostacolarla in tutti i modi.
La giovinetta allora, lasciata Carnaiola, si rifugiò nella vicina Orvieto, ove altri parenti la ospitarono offrendole una cameretta solitaria e la libertà di servire Dio. Giovanna, che aveva all'epoca solo 14 anni, poté così ricevere il bianco Abito dell'Ordine. La sua vita fu una mirabile ascesa nelle più eroiche vie dell'amore.
Favorita da altissima contemplazione s'internava con tanta tenerezza nei misteri della Passione di Gesù, da meritarne la dolorosa partecipazione. Negli ultimi dieci anni della sua vita, tutti i venerdì, entrata in estasi, sembrava un crocifisso vivente, e le ossa le si dislogavano con tanto fragore, come se si frantumassero.
Ai suoi concittadini fu specchio e maestra di vita cristiana. Dopo la morte, avvenuta il 23 luglio 1306 a Orvieto, dalla ferita del costato, scaturì vivo sangue e Dio la onorò con molti miracoli. Papa Benedetto XIV l'11 settembre 1754 ha confermato il culto..


Le spoglie mortali sono state conservate per secoli sotto uno degli altari della stupenda chiesa di San Domenico nel centro storico di Orvieto, e sono tornate a Carnaiola solo nell'estate del 2000, in occasione del Grande Giubileo.