UNA FINESTRA SULL' UMBRIA


                                                                        Pittori e pittura
     
                                                                    

Nel XV secolo assistiamo al nascere di una vera e propria scuola umbra con Nicolò di Liberatore detto l'Alunno (1420 - 1502) e Pierantonio Mesastris a Foligno e poi, tra gli altri, con quello che è stato considerato il rappresentante più illustre: Pietro di Cristoforo Vannucci, detto il Perugino (1445-1523). Nato a Città della Pieve, in provincia di Perugia, si formò artisticamente alla scuola di Piero della Francesca e del Verrocchio a Firenze. Alcune sue opere si trovano a Roma (Cappella Sistina) e sparse in Umbria (vedi Galleria nazionale dell'Umbria). Un altro importante pittore umbro fu Bernardino di Betto, detto il Pinturicchio (1454-1513); nativo di Perugia, lo si può ritenere il più famoso decoratore del '400. Il suo capolavoro si può ammirare nella cappella Bufalini in Aracoeli a Roma, ed altre importanti opere sono custodite nelle varie pinacoteche umbre. Tiberio di Diotallevi di Assisi si formò alla scuola del Pinturicchio e divenne poi "seguace" del Perugino, non possiamo dimenticare le bellezze del Duomo di Orvieto nella cappella di S.Brizio affrescate da Luca Signorelli.

                                                                             
                                                                     
                                                               
                                                            L'Alunno - Niccolò Liberatore

E’ l'unico artista del rinascimento umbro, con Perugino e Pinturicchio, a essere ricordato nelle Vite del Vasari: "faceva alle sue figure teste ritratte dal naturale e che parevano vive". Lo storico aretino equivocò una iscrizione ben visibile nella predella del polittico della chiesa degli Agostiniani di Foligno. Vasari scambiò la parola “Alumnus” per un soprannome; per Nicolò era un modo per dichiararsi figlio e vanto di Foligno. Il tempo ha dato ragione ad entrambi: la parola “Alunno” è diventata un vero e proprio cognome.
il polittico di S. Nicolò di Foligno è da tutti ritenuto un capolavoro della pittura antica in Italia centrale.
Nicolò Alunno (Foligno, 1433 ca – 1502) non si allontanò quasi mai dalla sua Foligno. La sua bottega accanto alla cattedrale di S. Feliciano era frequentata da una clientela proveniente da centri dei due versanti dell’Appennino, che Nicolò rifornì di polittici e gonfaloni.
Gli affreschi di Nicolò sono andati in gran parte perduti in seguito ai rifacimenti tridentini delle chiese di Foligno.
Opere dell'Alunno sono presenti nell’ex chiesa di San Domenico (attuale Auditorium) ricca di affreschi votivi del Trecento e del Quattrocento; le cappelle di Pietro di Cola delle Casse e di Santa Marta in Santa Maria Campis (prime prove pittoriche su muro dell’artista) e nell’oratorio della Nunziatella, eretta nell’ultimo decennio del Quattrocento e decorata dal Perugino nel 1507 dopo la morte dell’Alunno.
La casa di Nicolò (Monastero di S. Anna in via Niccolò Alunno), ha un ulteriore motivo di interesse, perché il pittore amò decorare la sua abitazione con immagini decorose, ma si servì delle pareti anche per prendere frettolosi appunti con la punta di un chiodo, come se si trattasse di un taccuino, divertendosi anche a farsi il ritratto accanto alla moglie Caterina.



                                             

    

Mentre lavorava al martirio di San Bartolomeo, nella chiesa omonima vicino a Foligno (1502), lo colse il male che lo portò alla tomba. L'opera fu terminata dal figlio Lattanzio (v.). Altre opere dell'Alunno in Foligno sono: nella Cattedrale, Madonna con San Giovanni; in palazzo Trinci copia del Calvario (l'originale è alla Pinacoteca vaticana) e un trittico con i quattro profeti maggiori; Madonna con Bambino; nella chiesa di Santa Maria Infraportas, un San Rocco e un Redentore. A Bastia Umbra : Trittico con al centro l'Eterno Padre, circondato da cherubini, a destra la Vergine Annunziata con l'Arcangelo Gabriele a sinistra; negli altri spazi, Vergine con Bambino e frutta; angeli, San Michele Arcangelo con bilancia, San Sebastiano, profeti, Cristo Risorgente dall'Avello con didascalia, firma e data: Opus Nicolai Fulginatis, 1499. A Terni (pinac.): Crocifissione, con ai piedi San Francesco e San Bernardino (1497). A Montefalco: chiesa di San Francesco, Santi dipinti a tempera su tavola (Cappella del Nome di Gesù), a Spoleto, pinacoteca comunale, Madonna con Bambino, San Giovanni e la Pietà. A Deruta (chiesa S. Francesco) : Gonfalone (1465) e Madonna, Bambino e santi (1457). Alla pinacoteca civica di Assisi (n. 69) Crocifisso, Madonna e San Giovanni; Trittico (Madonna, Bambino e quattro Santi), uno stendardo (n. 70). A Nocera grande polittico del 1482. A S. Matteo di Cannara: Madonna in trono, tra S. Matteo e S. Francesco; e per la chiesa di San Giovanni, Tavola: Madonna con Bambino e due Santi, Giovanni Battista e Sebastiano (1482). A Lugnano (1494) e Alviano (1488), Trittici con l'Assunta. Quello di Alviano è restato senza sportelli laterali. Trittico e Gualdo Tadino (1472).

                                                                    
                                                                             
                                                                    Bernardino Mesastris   

      

Noto anche Belardino Mezastris o Mezzastri - (... – XVI secolo) è stato un pittore italiano della scuola umbra, probabilmente originario di Foligno.

                                                               Secondo la critica corrente, fu un artista di scarsissima statura: alcuni dei suoi affreschi religiosi sopravvivono, ma non sono lodati dai critici. Non si deve confondere col pittore molto più importante Pierantonio Mesastris, che sembra esser stato un suo parente, forse suo padre.
Tra le opere di Bernardino Mezzastris si menzionano:
  • una Madonna col Bambino e angeli in un roseto, nella chiesa di Santa Illuminata a Montefalco, firmato con la data 1507
  • un affresco nella Chiesa Tonda di Spello, firmato con la data 1533
  • alcuni affreschi distaccati ormai nella Pinacoteca Civica di Foligno.
                                                                     

                                                                               
                                                                  Il Perugino - Pietro Vannucci

Pietro di Cristoforo Vannucci, detto il Perugino, nasce intorno al 1450 a Città della Pieve, borgo posto sotto il dominio di Perugia, ed è considerato il massimo esponente della pittura umbra del XV secolo nonché emblematico rappresentante dell'arte dell'Umanesimo. Dopo un apprendistato presso Piero della Francesca, il Perugino giunge a Firenze dove entra a far parte della bottega del Verrocchio frequentando i più celebri pittori dell'epoca, tra i quali Leonardo Da Vinci. Giunto a Roma nel 1479, viene incaricato da Sisto IV di realizzare degli affreschi per la Cappella Sistina, lavoro che esegue tra 1481 e 1483, lavorando con Botticelli, Ghirlandaio, Cosimo Rosselli e firmando la pala d'altare, i quadri con le "Storie di Mosè e di Cristo" e la celebre "Consegna delle chiavi a San Pietro". Questo momento artistico segna l'inizio di una brillante carriera e procura al giovane pittore molti lavori, una solida fama e denaro sufficiente per quasi tutta la vita, tanto che il pittore apre due fiorenti botteghe: una a Firenze e l'altra a Perugia

                                                                                     

Verso la fine del Quattrocento, il Perugino realizza opere per committenti fiorentini, tra le quali la "Madonna che appare a San Bernardo" (1493), il "Ritratto di Francesco delle Opere" (1494), il "Compianto su Cristo morto" (1495); contemporaneamente, lavora in Umbria e in molte altre città, da Cremona a Bologna a Pavia. Perugino, infatti, viaggia molto, spostandosi di città in città, forse spinto da quella che il Vasari, che non perde occasione per esternare la sua antipatia nei confronti del pittore, non esita a definire avidità e fame di denaro. Nel 1511, in seguito all'insuccesso della Pala della Santissima Annunziata, il Perugino abbandona Firenze e la bottega per tornare a Perugia; allo stesso tempo, molti committenti si stancano dei suoi schemi compositivi. Il Perugino muore di peste nel 1523 nel piccolo borgo di Fontignano, lontano dal successo e dagli onori del passato.


                                                                    
                                                                            

 Il Pinturicchio - Bernardino di Betto

Bernardino di Betto, detto Pintoricchio, nasce tra il 1456 e il 1460 a Perugia da una modesta famiglia di artigiani. Gli inizi della vita del pittore sembrano essere assai infelici e forse complicati ancor di più nel 1475 quando il padre, un modesto conciatore di panni lana, muore di peste. Qualche anno prima però Giapeco Caporali miniatore straordinario apre bottega proprio nella stessa via della casa di Pintoricchio e si può immaginare il giovane Bernardino alle prese con pennelli e colori nella sua bottega. Quegli anni sono per Perugia un momento di grande fervore artistico, che rendono la città umbra uno snodo fondamentale per gli svolgimenti artistici del secolo in tutta l'Italia centrale. Pintoricchio partecipa a volte da spettatore e altre da protagonista e lo si riconosce impegnato nelle magiche tavolette con le storie di San Bernardino del 1473 e sui ponteggi della Sistina dove dipinge fianco a fianco con Perugino. È però nel 1481 che si ha la sua prima attestazione nei documenti quando si iscrive all'Arte dei pittori di Porta Sant'Angelo. Il lavoro a Roma gli permette di incontrare nuovi committenti e tra il 1482 e il 1485 dipinge la cappella Bufalini all'Aracoeli. Intermezza il soggiorno romano con continui rientri in patria per piccole commissioni e lavori facili da sbrigare, ottenuti anche grazie al nipote Girolamo di Simone, nominato giovanissimo canonico della cattedrale di San Lorenzo a Perugia. Questo fatto si lega anche agli ottimi rapporti che Pintoricchio doveva avere con Innocenzo VIII per il quale tra il 1487 e il 1488 lavorò nel cantiere della sua abitazione in Vaticano ora in parte distrutta per far spazio al museo Pio Clementino.

                                                                                   

Nel 1490 Bernardino è al lavoro nella sala dei Mesi del palazzo del Cardinale Domenico Della Rovere e nelle cappelle di Santa Maria del Popolo. Due anni più tardi è a Orvieto per una commissione in Duomo che concluderà solo nel 1496. Intanto salito al soglio pontificio, Alessandro VI Borgia lo volle per decorare i suoi appartamenti in Vaticano, un grandioso cantiere che terrà Pintoricchio impegnato a Roma fino al 1495. Il 2 gennaio dello stesso anno la tavola per l'altare di Santa Maria dei Fossi, forse la sua opera più significativa, si trovava già al suo posto non ancora dipinta. I lavori a Spoleto, a Perugia e ad Orvieto ora fruttano molto denaro e nel 1501 iniziano ad arrivare anche soddisfazioni politiche tanto da essere chiamato a rivestire la carica  di priore delle Arti a Perugia. Le vicende della vita di Pintoricchio si legano allo scenario politico di Perugia, lo sappiamo familiare e servitore di Cesare Borgia e legato alla famiglia Baglioni da cui riceve l'incarico di decorare le pareti della Cappella Bella di Santa Maria Maggiore a Spello, un testo pittorico, dipinto tra l'autunno del 1500 e la primavera del 1501 che avrà fortuna e importanza come pochi altri nello scenario artistico umbro.

                                                                                     

Il coronamento arriva con lo strepitoso ciclo di affreschi della Libreria Piccolomini a Siena, dove Bernardino si impegna nel racconto delle storie di Enea Silvio Piccolomini, papa Pio II. La grandiosa struttura architettonica dipinta si deve ad Ambrogio Barocci e i cartoni per le scene furono approntati dal giovane Raffaello, particolari che sottolineano la grandezza raggiunta dal pittore perugino. Nel 1506 gli affreschi dovevano essere già conclusi tanto che il pittore riceve la commissione della pala di Sant'Andrea a Spello che poi dovrà lasciare ad Eusebio da San Giorgio. Tra il 1509 e il 1510 dipinge la sua ultima opera romana, la volta della cappella Della Rovere in Santa Maria del Popolo. Nel 1513 si ritira, malato, nelle campagne senesi dove morirà l'11 dicembre. E' ricco ma solo, dopo l'abbandono da parte della moglie, una fine triste e solitaria di un artista sordo, piccolo e di poco aspetto che seppe essere grande.




                                                                          Luca Signorelli

Allievo di Piero della Francesca (scrive Giorgio Vasari nelle sue “Vite”: “Fu costui creato e discepolo di Pietro dal Borgo a San Sepolcro”), Luca Signorelli è uno dei grandi protagonisti del Rinascimento. Nato a Cortona intorno al 1445, è un artista apprezzatissimo per la sua capacità di rendere l’anatomia dei corpi grazie all’utilizzo delle ombre come mezzo per esaltare la volumetria, e per la maestria con cui conferisce dinamismo alle figure con una guizzante linea di contorno di ascendenza pollaiolesca. Se il suo senso per una costruzione rigorosa dei volumi gli deriva dalla lezione di Piero della Francesca, il movimento e lo slancio conferito dalla linea scattante e fluida nascono dalla conoscenza delle ricerche di Andrea del Verrocchio e Antonio del Pollaiolo. Tra le sue prime opere vi è la decorazione della sagrestia di San Giovanni nel Santuario della Santa Casa a Loreto (1477-1480) con la serie degli angeli musicanti sopra le figure degli Evangelisti e dei Dottori della Chiesa nella cupola e gli affreschi paretali, quali “La conversione di Saul”.

                                                                                   

Poco tempo dopo realizza la famosa “Flagellazione” (1480) della Pinacoteca di Brera, tavola che faceva parte di uno stendardo processionale. La vitalistica linea di Signorelli conferisce  movimento e drammaticità ai corpi come quelli contrapposti degli aguzzini di spalle in primo piano, le cui figure serpentinate sembrano prendere direzioni divergenti, o nel movimento plastico del torturatore che alza la gamba per aiutarsi nell'atto di legare il Salvatore.
Un Cristo immobile e rassegnato è il perno attorno al quale ruotano tutte le figure in una sorta di balletto frenetico esaltato dal contrasto con la sua serena staticità. Tra il 1480 e il 1482 Signorelli è impegnato, insieme a Sandro Botticelli, Cosimo Roselli, Bernardino di Betto, detto il Pinturicchio, Piero di Cosimo, Pietro Vannucci, detto il Perugino e a Domenico Ghirlandaio, nella decorazione delle pareti della Cappella Sistina. Nel riquadro con “Testamento e morte di Mosè”, un giovane Signorelli mostra già nel plasticismo, nella linea dinamica e nella resa anatomica delle figure le peculiarità che ne caratterizzeranno tutto il percorso artistico. Inoltre il pittore di Cortona aveva realizzato sulla parete d’ingresso l’affresco “Contesa sul corpo di Mosè”, andato purtroppo distrutto nel crollo della parete. Non è giunto fino a noi neanche il dipinto su tavola “Educazione di Pan” (devastato durante la Seconda Guerra Mondiale), lavoro del 1488 ricco di simbolismi legati alla famiglia dei Medici e agli intellettuali e artisti della loro cerchia. Nel 1490 realizza il tondo della “Sacra Famiglia” (Firenze, Galleria degli Uffizi), in cui la Vergine, il Bambino e San Giuseppe sono racchiusi nello spazio compresso della tavola con i loro corpi che seguono l’andamento dei bordi del dipinto e il movimento girante conferito dalla forma circolare. Il paesaggio sullo sfondo è quasi completamente occultato dalle possenti figure in primo piano. Insieme al Sodoma decora il chiostro grande dell’abbazia di Monteoliveto Maggiore nei pressi di Siena, con il ciclo di affreschi di “Storie di San Benedetto” (per la cronaca 27 scene sono del Sodoma e 9 di Signorelli). 

                                                                                      

Nel 1499 a Orvieto subentra a Beato Angelico nella decorazione delle pareti della cappella di San Brizio nel Duomo. Questo ciclo pittorico è il suo capolavoro assoluto e l’opera che tramanda il suo nome alla storia. Il lavoro nasce in un clima avvelenato dagli eventi fiorentini, (nel 1498 il frate ferrarese Girolamo Savonarola, che aveva duramente combattuto i vizi della Chiesa, viene impiccato e bruciato) e viene programmato dai teologi del Duomo per persuadere i fedeli a seguire rigorosamente i dogmi e a non credere ai falsi profeti. Per far questo vi è bisogno di scene che rammentino quello che succederà al momento del giudizio quando ai buoni si spalancheranno le porte del Paradiso, mentre i cattivi verranno inghiottiti nell’Inferno. Ispirandosi alla Divina Commedia (Signorelli ritrae anche Dante e Virgilio vicino al ciclo pittorico) il pittore di Cortona dipinge un inferno violento e crudele quant’altri mai, in cui non disdegna di mostrare con crudo realismo le torture alle quali verranno sottoposti i dannati (i demoni mordono i peccatori alla testa, sul collo, li picchiano con ferocia, li lanciano da altezze spaventose). Il tutto condito con la solita abilità nel descrivere i dettagli anatomici e il consueto energico e drammatico plasticismo. Nella “Resurrezione della carne” tutto è placato, tutto è pace e serenità in un affresco dominato dalla perfezione anatomica e dalla bellezza dei corpi dei risorti. Tra i suoi ultimi lavori vanno ricordati la “Pala di Arcevia” del 1508, la “Comunione degli apostoli” (1512) del Museo Diocesano di Cortona e “L’adorazione dei pastori” (1510-1515) della National Gallery di Londra.

                                                                                     

Hanno detto di lui:

“Luca Signorelli, nella sua lunga e feconda attività, non è però sempre alla stessa altezza. Spesso si serve di aiuti, lasciando ad essi il compito di eseguire ampie parti delle sue opere, forse per far fronte ai molti impegni artistici, o perché occupato in incarichi civili (è stato anche priore di Cortona). Ciò produce talvolta una caduta qualitativa, danneggiando la fama del pittore, che resta tuttavia, nelle sue opere autografe, uno dei maggiori del rinascimento italiano” (Piero Adorno)

“Luca Signorelli, pittore eccellente del quale secondo l’ordine de’ tempi dovemo ora parlarne, fu ne’ suoi tempi tenuto in Italia tanto famoso e l’opere sue in tanto pregio, quanto nessun’altro in  qualsivoglia tempo sia stato già mai; perché nell’opere che fece di pittura, mostrò il modo di fare gl’ignudi, e che si possono sì bene con arte e difficoltà far parere vivi” (Giorgio Vasari)