UNA FINESTRA SULL' UMBRIA


                                                                             Dialetti
                                                                                     



All'interno dell'Umbria il dialetto latino si è mescolato intrinsecamente con la lingua precedente, quella delle popolazioni locali, dando vita ad una parlata originale e unica.

Contrariamente alle altre regioni, inoltre, la situazione linguistica umbra è piuttosto omogenea, anche se i confini della regione sono cambiati nel tempo, ed è oggi difficile stabilire le frontiere nette della lingua umbra.
Abbiamo infatti influenze umbre nella provincia di macerata e Ascoli Piceno e nel territorio di l'Aquila, mentre si trovano influenze toscane nell'Umbria nord-occidentale.

In questo gioco di influenze, si nota subito quella centromeridionale che porta al passaggio del suono "nd" in "nn" e di "mb" in "mm", come per "mondo" che diviene "monno" o "profondo" che diviene "profonno".

Tra Assisi e Foligno si ha la distinzione delle desinenze in "o" e "u", in accordo con l'origine latina della parola, così otto e corpo, in latino "octo" e "corpus", qui sono "oto" e "corpu". Questa conservazione non vale però per le parole che in latino terminavano in "-um", come per ferro, in latino "ferrum", che a Norcia è "fero".

Un carattere più omogeneo è il cambio della "e" finale in "i", il plurale "cani" diviene "cane", amici diviene "amice" e cognati "cugnate".
Una peculiarità dei dialetti umbri meridionali è invece il cambio in "i" della "e" in cenrto di parola, così verde diviene "virdi" e nero "niri".
Stessa sorte tocca alla "o" chiusa che si trasforma in "u", tra Nocera Umbra, Spoleto e Norcia, così "mattuni" sostituisce mattone e "tunnu", tondo.

Vi sono inoltre numerosi esempi di pressioni settentrionali, di natura gallo-italica, i fenomeni più frequenti sono: il cambio della "a" accentata in "e" apertissima, come per "cantèto" al posto di cantato, "lèna" per lana, "nèso" per naso, etc.; la dittongazione della "e" chiusa, cosicché tela diviene "teila", e mese "meise"; il terzo fenomeno consiste nel cambio di consonate, come "potesse" che cambia in "podesse".

Per quel che riguarda il vocabolario, si trovano diverse forme di origine latina, come "arbo", per albero, in latino "arbor", "nepo" per nipote, in latino "nepos", ma molti vocaboli sono andati per lo più persi nel tempo, e ne restano tracce solo nei testi medievali.


                                                                         
                                                                     
                                                     
                                                        Provate a leggere… il dialetto di Gubbio

L’acqua de Sant’ Ubaldo
Con su’ madre Ubaldo giuvinètto,
con devozione e spirito giocondo,
a piedi, per l’ardor ch’avèa nte ‘l petto
andò ‘n giorno a pregà San Verecondo
a quel tempo da tutti venerato
nte la piccola cripta a Vallingegno;
nei pressi Ubaldo fu da Dio premiato,

de santità lasciando ‘l primo segno.
’Nfatti la madre, per la caminàta
fatta da Gubbio, lunga, ’stenuante,
cadde a terra sfinita e assetata.
Ubaldo forte d’animo e raggiante
Chiedendo grazia a Dio, pregò umilmente;
sùbbitop d’acqua venne ’nna sorgènte
che sgorga sempre ’n grande quantità
anche quando c’è tanta siccità. 

          

          

          
La parte dell' Umbria più vicina alla Toscana e Lazio, ha inflessioni dialettali di queste due regioni , un esempio è il mio dialetto Orvietano...provate a leggere        

Io penzo ch’ar monno nun ce sia ‘na città più bella d’Orvieto mia! Chi vo’ a riposà la mente da tutte le penziere passeggi pe’ le su’ viuzze silenziose e austere. Je s’ariposarà ‘r pensiero, s’accorgiarà ch’è ‘n vero amore: da tutte le finestrelle je sorrideronno le fiore. Si poe volesse levà ‘no sfizio Potarebbe annane a vede ‘r vecchio pozzo de San Patrizio. Dicono che l’honno costruito l’antiche ‘n zin caso mae j’essono levato l’acqua le nimiche. O Dio, ma mica ce so’ ste cose sole! C’emo artre monumente de valore: Ntramezzo a ‘na piazza, ch’è ‘n tesoro, s’innarza, maestoso, verzo ‘r celo de le Cattedrale ‘r Gijo d’oro. Le turiste vengono da lontano pe’ potè ammirane ‘sto giojello ch’è l’orgojo d’ogni Orvietano.




Oggi però questo fenomeno è molto attenuato e si verifica raramente sulla bocca dei parlanti. Altrettanto si può dire di altre voci perugine antiche, come, ad esempio, l’avverbio donca (dunque) o il sostantivo pagne (panni). Caratteristica sempre del perugino è l’uscita in “-e” dei maschili plurali, che si ritrova anche nel dialetto di Orvieto. Continua ad essere presente costantemente il tratto ritmico più distintivo del perugino, che consiste nella caduta delle vocali fuori di accento, per cui abbiamo, ad esempio, ch’ fè (che fai), o dìmm’lo (dimmelo).
Attualmente in Umbria, come avviene in molte regioni d’Italia, il dialetto ha perduto gran parte della propria matrice arcaica e si uniforma ad un registro linguistico sempre più vicino all’italiano. Pertanto, molti dei tratti originari sono ridotti e si sono affermate varietà di italiano regionale corrispondenti grosso modo alle tre principali aree dialettali. Un dialetto “raffinato”, ma che resta comunque il “parlar materno”, con il quale anche i più giovani continuano abitualmente a esprimersi, magari mischiandolo alle tante voci straniere entrate nell’uso. D’altronde, i poeti umbri (fra i primi Antonio Carlo Ponti e Ferruccio Ramadori, più di recente Giovanni Falsetti e Ilde Arcelli) usano il dialetto nelle sue forme più complesse come autentica lingua letteraria: un “neo-volgare” capace di conferire una rinnovata e moderna identità alle “parole perdute” dei dialetti in dissoluzione alle soglie del Terzo Millennio.