Tesi 3 
 IMPERIALISMO

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Imperialismo

globalizzazione

L'imperialismo è, oggi più che mai, il quadro dominante della realtà del mondo. Le tesi del suo superamento in direzione di una globalizzazione indistinta non trovano alcuna conferma nel mondo reale. Riattualizzare l'analisi marxista dell'imperialismo oggi, nelle sue profonde contraddizioni e sullo sfondo dell'attuale instabilità internazionale è condizione decisiva per la comprensione delle tendenze storiche future.

Negli anni Novanta in significativi settori intellettuali della "sinistra critica" e nella stessa Direzione nazionale del nostro partito, è venuta emergendo la tesi del superamento della categoria stessa dell'imperialismo in direzione della rappresentazione di un "impero" globale, omogeneo ed uniforme, a esclusiva dominazione nord-americana, capace di dissolvere ruolo e funzioni dei vecchi Stati nazionali. Da qui anche la rappresentazione dell'Europa come semplice articolazione subalterna dell'Impero e la relativa rivendicazione di una sua autonomia su base "sociale e democratica".

Questa concezione generale da un lato si basa su un'incomprensione profonda della complessità del mondo contemporaneo; e dall'altro lato, negando il carattere imperialistico dell'Europa, disorienta gravemente la stessa azione politica dei comunisti.

Lungi dal ricomporre le contraddizioni intercapitalistiche, il crollo dell'Urss dell'89-'91 le ha in qualche modo liberate, entro uno scenario storico profondamente nuovo. I giganteschi processi di restaurazione capitalistica nell'Est europeo e, in forma incompiuta, nella stessa Cina, i nuovi rapporti di forza nei confronti dei Paesi dipendenti, la necessità di ridefinire complessivamente equilibri geostrategici e zone di influenza, hanno alimentato inevitabilmente una nuova competizione mondiale tra gli Stati capitalistici dominanti. E i terreni della competizione stanno interamente dentro il quadro storico dell'imperialismo: riguardano il controllo dei mercati di sbocco, i settori di investimenti e di esportazione del capitale, il controllo di materie prime e mano d'opera a basso costo, i livelli di concentrazione monopolistica del capitale finanziario, il controllo politico-militare delle aree strategiche.

La superiorità oggi dell'imperialismo USA è obiettivamente indiscutibile: sia sul versante della concentrazione di capitale finanziario, sia sul versante della forza militare, dove proprio il crollo dell'URSS ha rafforzato il tradizionale primato americano e il suo impiego criminale nel mondo. Ma l'Europa è tutt'altro che una semplice area dipendente. All'opposto, sia la vasta restaurazione capitalistica nell'Est Europa e nei Balcani, sia il declino non congiunturale del Giappone, hanno alimentato un vero e proprio sviluppo dell'imperialismo europeo come polo economico concorrente con gli USA. La stessa costruzione dell'Unione Europea a partire dal '92, lungi dal rappresentare un puro fatto di ingegneria istituzionale "non democratica e liberista", ha costituito e costituisce il tentativo strategico, non privo di contraddizioni, di assicurare all'imperialismo europeo un quadro politico unificante all'altezza delle sue nuove ambizioni. Il potente sviluppo dei livelli di concentrazione monopolistica europea in settori strategici (banche, assicurazioni, telecomunicazioni, industria militare…) che proprio il quadro di Maastricht ha incoraggiato; l'egemonia economica europea (in particolare tedesca e italiana) nella penisola balcanica e nell'Est Europa; le nuove entrature dell'imperialismo europeo nei Paesi arabi e in Medio-Oriente (v. Irak e Iran) e in larga parte dell'America Latina; il decollo di un militarismo europeo con lo sviluppo del progetto della difesa comune descrivono, nel loro insieme, un nuovo e più forte posizionamento europeo negli equilibri mondiali.

Il forte sviluppo dell'iniziativa bellica dell'imperialismo USA negli anni Novanta (in Irak, nei Balcani, in Afghanistan) è stato ed è anche un tentativo di riequilibrare con la propria egemonia militare l'ascesa economica europea e di limitare il nuovo spazio di manovra della UE. Di converso la partecipazione dei Paesi europei alle imprese militari a egemonia americana non ha rappresentato un puro atto di "servilismo", ma la volontà di partecipare alla conquista di bottini coloniali precostituendo le migliori condizioni per il proprio interesse imperialistico nel momento della loro spartizione. Anche l'unità d'azione dei Paesi imperialistici maschera dunque, come sempre, la loro competizione. E i diversi Stati nazionali capitalistici, lungi dall'essere assorbiti da un'indistinta globalizzazione, costituiscono lo strumento decisivo -politico, diplomatico, militare ma anche economico- delle diverse borghesie imperialistiche concorrenti.

Peraltro proprio il quadro delle nuove contraddizioni intercapitalistiche sospinge l'emergere di nuove potenze regionali o di nuove ambizioni. L'imperialismo britannico lavora a utilizzare le contraddizioni tra USA e UE ponendosi come crocevia delle relazioni diplomatico-militari tra i due poli ai fini del proprio rafforzamento. La Russia borghese di Putin entra nel varco aperto dalla competizione tra USA ed UE per rilanciare un proprio spazio strategico internazionale. La burocrazia cinese a sua volta mira a capitalizzare il declino del Giappone per investire la propria eccezionale potenza economica in un disegno di egemonia su larga parte dell'Asia: entro un progetto di restaurazione capitalistica interna che, ancora incompiuto, pone incognite serie sulla futura stabilità sociale e politica di quel Paese.

In definitiva l'intero quadro internazionale capitalistico porta il segno dominante non dell'omogenea uniformità "unipolare", ma di una crescente instabilità potenziale.