Tesi 17 
 BILANCIO DI LINEA DEL PRC

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Il ciclo lungo della politica del PRC, segnato dalla ricerca del condizionamento, pervasione, contaminazione prima del "polo progressista" poi del Centrosinistra, ha registrato un sostanziale insuccesso; sia dal punto di vista dell'interesse generale del movimento operaio, sia dal punto di vista della costruzione del nostro partito. E' la verifica del fallimento nel quadro nazionale, di una politica riformista, e la misura della necessità di una svolta.

Dopo dieci anni della nostra storia un bilancio di fondo non è più rinviabile.

Il nostro partito, con la sua stessa nascita ha costituito sicuramente un importante argine ai processi di riflusso dei primi anni 90 e un fattore prezioso di ricomposizione politica di forze d'avanguardia. Il nostro partito ha resistito positivamente ai ripetuti tentativi di annientamento istituzionale che si sono susseguiti negli anni 90 (specie da parte dei vertici di D.S. e del Centrosinistra). Tuttora il PRC rappresenta, nell'attuale panorama politico, il riferimento naturale e prezioso di dinamiche di movimento, tra i lavoratori e i giovani, altrimenti prive di sponde, o comunque di riferimenti più consistenti e credibili.

Ma un bilancio serio ed onesto non può davvero ridursi a questo. Un partito comunista non può concepirsi come fine di se stesso ma come strumento di classe in funzione di un progetto di egemonia alternativa. E ciò chiama in causa inevitabilmente il bilancio di dieci anni dell'indirizzo politico prescelto.

Per dieci anni, in forme e in contesti diversi, la maggioranza dirigente del PRC ha costantemente respinto la proposta di costruzione del partito come forza strategicamente alternativa, contrapponendovi la scelta di fondo di una politica di pressione e condizionamento "riformatore" dell'apparato D.S. e degli schieramenti politici dell'alternanza borghese (prima il polo progressista, poi il centrosinistra).

Questa politica non ha avuto un'applicazione lineare ed anzi ha registrato lungo il suo corso svolte brusche e cambi repentini di collocazione parlamentare (dall'opposizione alla maggioranza di governo e dalla maggioranza di governo all'opposizione). Ma ha mantenuto costante la propria rotta strategica di fondo. Infatti ogni volta le stesse collocazioni di opposizione sono state finalizzate a riaprire il varco a ricomposizioni di governo (potenziali o reali) con lo schieramento dell'alternanza. Così è stato in occasione della formazione del polo progressista nella primavera del '94 attorno ad un programma elettorale comune di governo. Così è stato nel '95-'96 nel brusco passaggio dall'opposizione radicale al governo Dini alla realizzazione di una maggioranza di governo con Prodi e Dini. Così è stato, dopo lo strappo col governo Prodi: col tentativo prima di ricomporre la vecchia maggioranza di governo dopo una auspicata fase di "decantazione"; poi dopo il fallimento imprevisto di quel tentativo (e la precipitazione dello scontro con il governo D'Alema sulla guerra nei Balcani) con la realizzazione di 14 accordi regionali di governo (su 15) in occasione delle elezioni amministrative del 99, operazione di evidente proiezione politica nazionale ma distrutta dalla sconfitta clamorosa del Centrosinistra. Persino dopo il tramonto ormai inevitabile di quella prospettiva di ricomposizione, la scelta della non belligeranza verso il centrosinistra nelle elezioni politiche, e l'estensione delle collaborazioni locali di governo con l'Ulivo sancivano in forme diverse la continuità di fondo di un indirizzo strategico.

Questo indirizzo si è rivelato profondamente errato. Rivendicato in nome di un principio di "realismo" e di "concretezza" dei possibili risultati, esso non ha prodotto alcun risultato concreto e reale. La ricerca della contaminazione riformatrice prima del polo progressista, poi del Centrosinistra, sia dal governo che dall'opposizione, è stata smentita dalla deriva liberale D.S., dai legami di fondo del Centrosinistra con la borghesia italiana. Di più: quella ricerca si è convertita, entro un passaggio drammatico, in un risultato opposto: nella grave corresponsabilizzazione di governo del nostro partito per oltre metà della legislatura precedente nel momento più intenso della sua politica antipopolare: con gravi effetti non solo sulla condizione materiale dei lavoratori ma sulla stessa evoluzione dei rapporti di classe (calo verticale delle ore di sciopero e stabilizzazione della pace sociale). Peraltro la continuità della nostra collaborazione di governo nelle giunte locali di Regioni e grandi città ha riproposto su un piano diverso, la continuità di una nostra concertazione politica di privatizzazioni, riduzioni delle spese sociali, politiche di flessibilità che è del tutto contraddittoria col nostro ruolo nazionale di opposizione.

L'indirizzo prescelto ha mancato inoltre lo stesso obbiettivo di crescita del nostro partito. Rivendicato formalmente anche in funzione di un'espansione del consenso elettorale e del radicamento sociale del PRC, questo indirizzo ha mancato entrambi gli obiettivi. Dopo 10 anni il partito ha registrato un risultato elettorale obiettivamente inferiore a quello della sua nascita. E questo certo in anni difficili, ma anche sullo sfondo di un passaggio storico che ha visto la massima deriva e crisi dei DS, la massima esplosione della sua crisi politica e del suo insediamento organizzato. Lo spazio liberato a sinistra dei D.S. non è stato capitalizzato dal PRC. Gli stessi straordinari sorpassi realizzati nel '93 come "cuore dell'opposizione" nelle città operaie di Torino e Milano, misura di una grande potenzialità, sono stati successivamente dispersi dalla politica ondivaga degli anni seguenti. E il mancato sviluppo di un'egemonia alternativa nelle classi subalterne non ha rappresentato solamente un insuccesso del nostro partito, ma un fatto carico di conseguenze pesanti sull'intera situazione italiana: come la rivincita del centrodestra documenta.