Tesi 16 
ANNI NOVANTA E CENTROSINISTRA

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Il centrosinistra non ha rappresentato semplicemente una cattiva politica della "sinistra italiana" ma ha costituito un'espressione politica dell'imperialismo italiano e il suo investimento strategico degli anni Novanta. L'insieme dei governi di centrosinistra ha configurato il più pesante attacco sociale alle classi subalterne degli ultimi trent'anni, organizzando così la rivincita di Berlusconi. La coalizione col centro borghese ha così condannato il movimento operaio a una pesante sconfitta sociale e politica.

Negli anni Novanta entro la scelta bipolare, il centrosinistra si è configurato come riferimento privilegiato delle grandi famiglie capitalistiche: ciò in funzione della pacifica subordinazione del movimento operaio alle compatibilità della crisi e dell'integrazione europea. Il personale politico di centrosinistra seppur diversamente organizzato era già riferimento essenziale della borghesia italiana nel '92 e nel '93 allorché i governi Amato e Ciampi iniziarono la "transizione" italiana. La sconfitta del polo dei progressisti e la vittoria delle destre nel 94 rappresentò un momento di contraddizione che indusse la borghesia per un breve periodo a verificare sul campo la carta Berlusconi. Ma anche in quel breve passaggio il rapporto del capitale finanziario con le destre fu di utilizzo strumentale, non di riferimento strategico. E proprio la sconfitta strategica del primo governo Berlusconi - rivelatosi incapace di gestire sia una concertazione stabile, sia uno scontro risolutivo vincente - ha riattivato l'investimento borghese nel centrosinistra: nel governo Prodi, nel governo D'Alema, nel governo Amato.

Il centrosinistra non ha dunque rappresentato semplicemente una cattiva politica del movimento operaio e della "sinistra italiana", ma un'espressione politica della grande borghesia. A sua volta l'apparato DS, come architrave del centrosinistra, ha costituito un tassello decisivo del disegno borghese degli anni Novanta: quale mezzo di arruolamento subalterno nel centrosinistra di una parte importante delle masse lavoratrici.

E' sbagliato affermare semplicemente che "il centrosinistra ha fallito". Dal punto di vista della borghesia i governi di centrosinistra hanno tutti rappresentato eccellenti comitati d'affari. Sia in ordine alle politiche di sostegno economico diretto alle grandi imprese (incentivazioni, rottamazioni…). Sia in ordine ai loro interessi strutturali e strategici in campo nazionale e internazionale (precarizzazione del lavoro, privatizzazioni…). Sia in ordine, in particolare, alla preservazione di una straordinaria pace sociale.

E' vero invece che proprio l'organicità delle politiche borghesi del centrosinistra ha minato progressivamente le sue basi politiche e sociali.

Sul piano politico, proprio l'evoluzione liberale della socialdemocrazia DS e la crescente ramificazione delle sue relazioni dirette coi poteri forti, ha acuito progressivamente la concorrenza interna tra apparato DS e centro borghese tradizionale dell'Ulivo: la lotta per l'egemonia di un costituendo "partito democratico" quale rappresentanza centrale con base di massa della borghesia italiana ha rappresentato un elemento di instabilità tellurica della coalizione.

Ma soprattutto sul piano sociale le politiche del centrosinistra hanno logorato progressivamente la base su cui si reggeva. Il blocco tra grande borghesia e burocrazia del movimento operaio organizzato si è rivelato incapace di egemonia nella società italiana. Da un lato ha amplificato gli spazi di fronda di settori organizzati di piccola e media borghesia industriale contro i cosiddetti privilegi delle grandi imprese e i favori particolari loro accordati dai governi dell'Ulivo o dalla burocrazia CGIL. Dall'altro lato la profonda demotivazione della base di massa del centrosinistra, prevalentemente concentrata nel lavoro dipendente ha prodotto fenomeni crescenti di passivizzazione politica, distacco, rifiuto.

La vittoria del Polo delle Libertà il 13 maggio è dunque la capitalizzazione della crisi del corso politico dominante di un decennio (del Polo progressista e del centrosinistra) e del suo blocco sociale. Proprio per questo la vittoria di Berlusconi e la nuova stagione politica che apre, ripropone una lezione antica, inscritta in tutta la vicenda del Novecento e nella stessa storia del movimento operaio italiano: ogni collaborazione di classe col centro borghese è fattore di sconfitta per i lavoratori e le lavoratrici. Sia dal punto di vista sociale e sindacale, sia dal punto di vista politico più generale. E' un fatto: l'alleanza col centro che doveva "battere la destra" le ha spianato la strada. Questa è la lezione del decennio. E' una lezione che accusa gli apparati dirigenti dei DS e dei sindacati come autentici organizzatori della sconfitta. Ma è una lezione che interroga inevitabilmente, su un piano diverso, anche il corso politico di dieci anni del nostro partito.

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 PARTICOLARITA' DEL CASO ITALIANO

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In Italia l'evoluzione del Pds/Ds ha avuto, assieme alle caratteristiche comuni all'insieme della socialdemocrazia europea, caratteristiche peculiari legate ad aspetti specifici della situazione politica italiana. Essa infatti ha coinciso con il crollo della Democrazia cristiana e dell'insieme della rappresentanza politica borghese, crollo che ha aperto una fase estremamente instabile e confusa che dura ormai da un decennio, e che è stata impropriamente definita la "transizione italiana".

Per tutti gli anni '90 un settore della classe dominante ha lavorato sulla linea del cosiddetto Partito democratico, ossia della costruzione di una forza politica liberaldemocratica capace di conquistare un appoggio di massa nelle elezioni, e di dare alla borghesia italiana quel partito liberale "di massa" che mai era riuscita a costruire in oltre un secolo di storia dello Stato italiano. Questo progetto ha assunto forme diverse e variabili, ma aveva al suo interno la costante ricerca del dissolvimento del Pds prima e dei Ds poi all'interno del nuovo partito, recidendo così i loro legami storici con il movimento operaio e portando in dote al nuovo partito una parte significativa del proprio elettorato.

In base a questa prospettiva è maturata all'interno dei Ds la cosiddetta linea ulivista, cioè la proposta che in un futuro più o meno prossimo quel partito dovesse sciogliersi all'interno del partito democratico, incarnato di volta in volta da Prodi, dall'Asinello, dalla coalizione ulivista nel suo insieme, ecc.

Tuttavia questo progetto non aveva e non ha alcuna possibilità di realizzarsi. Sia per fattori storici e di tradizione, sia per le specifiche debolezze e distorsioni del capitalismo italiano anche in questa fase, la rappresentanza politica borghese si è ricomposta non attorno a un partito democratico, ma attorno a partiti come An, la Lega e soprattutto Forza Italia. Questo riflette la storica debolezza della grande borghesia italiana, in particolare sul terreno politico. In 140 anni della sua storia, essa ha dovuto costantemente scendere a compromessi con altri settori sociali. All'origine dello Stato unitario vi fu il compromesso con i resti delle vecchie classi dominanti agrarie del mezzogiorno, successivamente fu l'accordo con gli interessi specifici della gerarchia cattolica, poi il lungo periodo di dominazione fascista, che significava un sostanziale esproprio della borghesia dal controllo diretto del potere politico. La stessa Democrazia cristiana come è noto rappresentò un compromesso tra un arco di forze che andavano dalla borghesia mafiosa, alla gerarchia cattolica, a settori di sindacalismo e di associazionismo, ecc., un compromesso cementato dalla repressione antioperaia e anticomunista negli anni '50 e dallo sviluppo economico del dopoguerra.

Crollata la Dc, la borghesia italiana si trova da ormai un decennio a dover scegliere fra il minore fra due mali (relativi): o governare attraverso la burocrazia operaia e in particolare sindacale (centrosinistra nelle sue varie forme), con il vantaggio di poter puntare al mantenimento della pace sociale, ma con lo svantaggio di dover accettare i tempi lunghi della concertazione e un relativo potere di veto da parte dei vertici sindacali; oppure governare attraverso le destre, certo più disposte ad applicare su vasta scala misure antioperaie, ma con contraddizioni e peculiarità al loro interno (conflitto d'interessi, rapporto privilegiato con la borghesia mafiosa, elementi di populismo di destra, presenza del secessionismo leghista, ecc.) e soprattutto con il rischio permanente di scatenare un conflitto sociale esplosivo e su vasta scala, come fu nel 1994.

Il passaggio da una posizione all'altra non corrisponde affatto a un "disegno strategico" maturato in chissà quale segreta stanza del potere, ma è il frutto dell'adattamento alle circostanze che da sempre è la prima caratteristica del rapporto fra la borghesia e la lotta politica.

Sconfitto Berlusconi nel 1994 era giocoforza scegliere la coalizione avversa; logorato l'Ulivo nei cinque anni di governo, era altrettanto naturale orientarsi nuovamente al polo delle destre.

In questo decennio, tutti i tentativi centristi, sia di matrice cattolica che laica sono crollati rapidamente, ultimo l'esperimento di D'Antoni e Andreotti con Democrazia europea. La causa profonda di questi fallimenti è da ricercarsi nella polarizzazione sociale e politica che sia pure in modo tortuoso e complesso ha caratterizzato la società italiana in questo decennio.

(Bellotti-Giardiello-Donato-Letizia-Renda)