Tesi 11 
CAPITALE E QUESTIONE AMBIENTALE

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Gli sviluppi politici e le dinamiche del capitale degli anni novanta sono stati devastanti per l'ambiente. Tutti i vecchi problemi si sono estesi, sono emerse nuove emergenze su scala planetaria. E' sempre più stretto l'intreccio fra questioni ambientali e questioni sociali. A fronte di tutto questo, tanto gli approcci etico-culturali quanto il riformismo verde si sono rivelati inadeguati e impotenti. La costruzione di un efficace movimento ambientalista richiede l'allargamento della sua base sociale e un programma di obiettivi chiaramente anticapitalistici: in ultima analisi, un nuovo modello di sviluppo non sarà possibile senza un nuovo modo di produzione, senza il rovesciamento del capitalismo. E' questo l'approccio strategico che i comunisti devono portare anche nel loro intervento nel movimento.

Il capitalismo non è in grado o non è interessato a porre rimedio ai problemi ambientali; viceversa, la devastazione ambientale è oggi un portato intrinseco della logica del profitto e del libero mercato. Gli anni novanta hanno visto moltiplicarsi problemi e crisi ambientali, con una relazione sempre più stretta fra involuzione delle condizioni politiche e sociali e peggioramento della condizioni ambientali. Il fatto è che le dinamiche oggettive del modo di produzione capitalistico - sempre meno frenate dai vincoli sociali e politici che nei decenni precedenti avevano portato alla crescita dei movimenti ambientalisti e all'adozione di tutta una serie di interventi di protezione ambientale - hanno portato all'estensione e all'aggravamento dei vecchi problemi (inquinamento, nocività delle fabbriche, devastazione del territorio, sviluppo di tecnologie ad alto rischio, degradazione degli ambienti naturali e storici, ecc.) e alla creazione di nuove emergenze su scala sempre più estesa, tendenzialmente planetaria (problema dei rifiuti, buco nell'ozono, effetto serra, deforestazione, impoverimento della biodiversità, ecc.).

Le sconfitte operaie e la ricerca della produzione al più basso costo porta infatti ad abbattere anche le misure di protezione ambientale e di prevenzione sanitaria, a sfruttare le risorse e il territorio nel modo più distruttivo, a ignorare i vincoli sociali e le compatibilità ambientali. La liberalizzazione del commercio tende a generalizzare lo sfruttamento incontrollato e illimitato delle risorse ambientali minando i sistemi di regolazione locale. Con la privatizzazione dei servizi la logica del profitto si appropria dei beni comuni come l'acqua e tramite i brevetti essa arriva a monopolizzare le risorse biologiche e gli avanzamenti scientifici e tecnologici, scavalcando ogni controllo democratico e ogni preoccupazione di ordine sociale (esemplari le vicende degli Ogm e dei farmaci anti-Aids). La stessa sicurezza alimentare è diventata un problema drammatico non solo nei paesi del Terzo mondo, dove è sempre stata il prodotto dello sfruttamento imperialistico, ma anche nei paesi avanzati (caso "mucca pazza"), dove è il risultato del produttivismo esasperato e incontrollato che domina il settore agro-alimentare, sotto la spinta della competitività e del profitto.

D'altra parte, i rapporti di forza su scala internazionale consentono alle multinazionali, tramite le scelte dei governi degli Stati imperialisti, di imporre i propri desiderata nelle negoziazioni degli accordi internazionali in materia ambientale (v. l'attitudine del governo Usa nel caso del protocollo di Kyoto sulle emissioni dei gas-serra). Così restano senza efficaci risposte lo sfruttamento irrazionale e la distruzione delle foreste, l'impoverimento della risorse biologiche, l'avanzamento dei deserti, i cambiamenti climatici e le sempre più frequenti "catastrofi naturali" che da tali mutamenti derivano. Sempre più il futuro dell'umanità si identifica nell'alternativa "socialismo o barbarie", essendo la tendenza alla barbarie senz'altro accelerata dal progressivo degrado della capacità del pianeta di sostenere lo sviluppo umano.

Di fronte a questi sviluppi, in cui si intrecciano sempre più strettamente questioni sociali e questioni ambientali, si dimostrano sempre più inadeguati e impotenti tanto gli approcci meramente etico-culturali quanto le tradizionali politiche di riformismo verde. Oggi i movimenti ambientalisti sono di fronte a una duplice sfida: da un lato riuscire ad allargare e a unificare la propria base sociale, integrando i bisogni e le domande dei diversi soggetti che sono vittime delle tendenze distruttive del capitale; dall'altro riuscire a formulare obiettivi di lotta e una prospettiva credibili. Ciò è possibile soltanto in un'ottica anticapitalistica: infatti, un nuovo modello di sviluppo non sarà possibile, in ultima analisi, senza un nuovo "modo di produzione", ossia senza passare per il rovesciamento del capitalismo. Questo è tanto più vero se si considera l'intrinseca dimensione internazionale dei problemi ambientali. E' questo l'approccio strategico che i comunisti devono portare anche nell'intervento e nella costruzione del movimento.

Su un altro piano, la questione ambientale pone alla rifondazione comunista la sfida e il compito di un aggiornamento dei propri strumenti teorici e della concezione del socialismo. Anche in questo campo, tuttavia, non si parte da zero. Rispetto al primo compito, il recupero della riflessione originaria del marxismo sul nesso capitalismo-natura è un passaggio indispensabile per lo sviluppo di strumenti adeguati per affrontare i temi ambientali del presente e per un confronto proficuo con i contributi critici del pensiero ecologico. Per un altro verso, è importante riscoprire e rileggere l'eccezionale esperienza dei primi anni del potere sovietico quando, anche per merito della lungimiranza di Lenin, si sviluppò in URSS una vera e propria "primavera dell'ecologia" che pose questioni essenziali, quali il varo di una legislazione ambientale, lo sviluppo di un movimento popolare indipendente per la protezione della natura e l'introduzione della sostenibilità ambientale fra i vincoli della pianificazione economica. Questa esperienza straordinaria e precorritrice fu prima interrotta e poi rimossa dalla repressione staliniana all'inizio degli anni trenta ma essa resta la prova vivente che, non l'ispirazione marxista o il fine del socialismo, ma semmai la loro negazione staliniana sono responsabili del fallimento del cosiddetto "socialismo reale" in campo ambientale e della rimozione per molti anni del tema dell'ambiente dal campo di riflessione del movimento comunista.