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La precarietà come chiave di lettura della condizione giovanile. Il ruolo dei giovani comunisti nella costruzione del movimento.
Per condurre a fondo il processo di autoriforma del partito, una
forza centrale è l'attivazione delle giovani generazioni e
l'assunzione di una priorità di intervento in direzione loro, sia
sotto il profilo della prassi politica che attraverso la costruzione
dell'organizzazione giovanile del Prc. Il paradigma della
precarietà, che abbiamo definito generale nella rivoluzione
neocapitalista, si applica in primo luogo proprio alla "condizione
giovanile" e determina il suo ruolo materiale nel quadro dei
rapporti sociali di classe.
La disoccupazione e l'inoccupazione,
la svalorizzazione e l'espropriazione dei diritti e delle garanzie
del lavoro, fino ad una nuova e superiore alienazione, il comando
del profitto sui saperi sempre più centrali nella produzione di
valore, il controllo pervasivo della vita quotidiana anche
attraverso la privazione di spazi di socialità ricca,
l'appropriazione capitalistica delle stesse forme di vita nel loro
insieme, sono tratti caratteristici di quest'epoca del dominio del
mercato: in essa, si affaccia una generazione che dal futuro, senza
mutamenti, può attendersi solo una condizione peggiore, per la prima
volta dopo la seconda guerra mondiale, di quella che l'aveva
preceduta.
In questo senso vanno letti i movimenti degli ultimi
anni e mesi, che proprio nel protagonismo di giovani e giovanissimi
vedono un inizio di replica conflittuale e alternativa a tale stato
di cose. Il movimento presente materializza per le nuove generazioni
la sola occasione per una riconquista di massa della dimensione
politica, e per la sua liberazione dall'abbraccio mortale della
gestione di un potere sempre più distante e nemico: "un altro mondo
è possibile" è parola d'ordine che evoca in primo luogo, per queste
generazioni, il tema centrale della riappropriazione del proprio
futuro e d'una cittadinanza ricostruita nella partecipazione al
conflitto e alla trasformazione.
I Giovani Comunisti sono stati,
fin dall'inizio, uno dei soggetti politici più attivi nella
costruzione, nel nostro paese, del "movimento dei movimenti",
presentando così i tratti di una feconda anomalia rispetto alla
storia e al panorama, fino a qualche tempo fa, delle organizzazioni
giovanili comuniste e di sinistra, troppo spesso incapaci di aprirsi
davvero alla ricerca di nuove prassi rivoluzionarie e di riconoscere
la dimensione soggettiva del movimento reale e porsi al servizio
della sua crescita.
I Giovani Comunisti non hanno cercato e
trovato nelle recenti mobilitazioni solo un maggior riconoscimento:
bensì e soprattutto hanno cercato e trovato una nuova fase di vita,
in cui farsi attraversare dalla sperimentazione che coinvolge il
corpo sociale del movimento e in cui aprirne un'altra, sul terreno
dell'organizzazione non più disgiunto da quello della comune
costruzione del movimento stesso. In questa direzione è andata anche
la scelta di tentare un esperimento prioritario, quello definito nel
"Laboratorio della disobbedienza sociale": tutt'altro dalla
riproposizione di una "stretta" organizzativista su una parte del
movimento e tanto più dall'annullamento del valore
dell'organizzazione in un afflato spontaneista e immediatista, ma
invece una sfida importante di comunicazione e confronto tra culture
nella stessa intenzione di promuovere il conflitto, al contempo
costruendo consenso attivo e partecipativo.
I Giovani Comunisti
contribuiranno ulteriormente a questa discussione definendo il
proprio autonomo profilo nella loro Conferenza Nazionale.