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La democrazia non è uno strumento, ma è un valore in sé: una strategia di società organicamente plurale. Un'idea di potere, e di non separazione tra mezzi e fini.
All'interrogativo classico sulla democrazia - se essa sia uno
strumento o un fine - oggi siamo in grado di rispondere
positivamente: la democrazia come fine è un dato fondante della
nostra identità attuale e, insieme, una strategia. Se è vero che
essa non si esaurisce affatto nelle sue espressioni e modalità
liberali - o in quello schema di rappresentanza per altro oggi
sostanzialmente ripudiato dalle classi dominanti - è vero anche che
il superamento di questi limiti deve essere proposto oltre, al di là
non al di qua dell'orizzonte borghese. I momenti più bui della
nostra storia ci offrono, in questo senso, indicazioni molto chiare,
anche per ciò che concerne il funzionamento delle organizzazioni
politiche, e di un Partito comunista: quando e se si oscura la vita
democratica interna, è la proposta politica in quanto tale che perde
forza e credibilità.
Si ripropone anche qui il tema del rapporto
tra mezzi e fini: contrariamente al luogo comune di origine
machiavelliana, che ha profondamente influenzato tutta la politica e
tutta la sinistra italiana, oggi non possiamo che rifiutare l'idea
di una separazione organica tra la "meta finale dei nostri sforzi" e
gli strumenti attraverso i quali raggiungerla. Non si tratta di un
imperativo morale, ma di una scelta di coerenza politica e di
laicità: bruciare nel presente le proprie identità e certezze
strategiche, fino al punto da rovesciarle nel nome di un obiettivo
finale metastorico, sottintende in realtà un'alienazione di tipo
religioso. E implica, nei fatti, il passaggio ad una pratica
politica iperrealistica e moderata come spesso è avvenuto.
Dal
punto di vista del contenuto, la democrazia si pone oggi come scelta
e pratica del pluralismo politico, culturale, associativo. Plurale è
la nostra concezione della sinistra: e rifiutiamo radicalmente lo
schema storico del partito unico, che tanti guasti ha prodotto nelle
società post-rivoluzionarie. Plurale è la nostra concezione
dell'alternativa e del suo farsi: anche e sopratutto nel senso
qualitativo del termine, cioè della sua capacità di costruire
dialoghi, relazioni, luoghi di incontro efficaci tra culture diverse
- tesi non solo alla costruzione dei conflitti e alla rappresentanza
dei soggetti, ma alla definizione di nuovi legami sociali . Plurale
è l'orizzonte politico che accompagna il percorso della transizione:
dove si tratta di mettere davvero in discussione, insieme ai
rapporti di sfruttamento, le gerarchie tra dominanti e dominati, tra
ideatori ed esecutori, tra capi e subalterni. In breve: siamo al
nodo del potere, da reimpostare radicalmente rispetto ai suoi
tradizionali statuti. In una prospettiva di transizione, la
conquista del potere politico centrale resta, certo, un passaggio
ineludibile,: non, tuttavia, come un punto di partenza dal quale
avviare il mutamento dei rapporti economici e sociali, ma come la
tappa pur rilevante di un percorso di trasformazione politica e
sociale più ricco e articolato. Come una rottura che definisce,
contestualmente un terreno di lotta più favorevole, gli strumenti
del proprio controllo sociale, la possibilità della propria
estinzione. In questo senso, il comunismo è anche un'idea radicale
di democrazia.