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L'identità comunista si declina, per un verso, come critica radicale del modo di produzione capitalistico, per l'altro verso come persuasione del suo superamento, verso la costruzione di una società fondata sulla volontà delle donne e degli uomini, e liberata dal profitto come motore dello sviluppo.
In questi anni, una intensissima campagna ideologica ha cercato
di demolire il comunismo come valore e proposta attuale. Mentre la
vulgata della "fine della storia" tendeva a delegittimare ogni
istanza (e speranza) di mutamento dell'esistente, si "riscriveva" in
questa luce l'intera vicenda novecentesca. In parallelo,
l'anticomunismo tornava ad essere un segno distintivo delle classi
dirigenti: sia nelle forme e nei linguaggi "viscerali" di Berlusconi
sia con modalità apparentemente più contenute ("il comunismo è
incompatibile con la libertà"). La resistenza, anche culturale, a
questa campagna era e resta un atto della rifondazione comunista.
L'identità comunista nel tempo della globalizzazione si declina,
per un verso, come critica radicale del modo di produzione
capitalistico, e per l'altro verso, come convinzione politica che è
possibile la costruzione di una società nella quale lo sviluppo
economico, le relazioni sociali, la vita concreta delle persone sono
determinate dalla volontà organizzata delle donne e degli uomini,
invece che dal profitto, dallo sfruttamento, dall'alienazione della
forma di merce.
Questa identità non nasce dalla pura ripulsa
morale dell'esistente, e nemmeno soltanto dal rifiuto soggettivo
delle innumerevoli ingiustizie che caratterizzano il mondo: si fonda
sull'analisi di classe della società, delle soggettività che la
pervadono, degli antagonismi "irriducibili" che la caratterizzano.
Centrale, proprio in quest'ottica, è il conflitto tra capitale e
lavoro: non ci potrà essere alcun superamento del capitalismo, cioè
della logica del mercato e dell'impresa, sè non ci sarà l'abolizione
del lavoro salariato e la liberazione del lavoro. In questo senso,
la nostra identità comunista resta imprescindibilmente connessa alla
contraddizione di classe. Ma non è vero, di per se, che liberando se
stessi gli operai liberano l'intera umanità. Il nuovo mondo che
vogliamo costruire è un mondo dal quale sono bandite tutte le forme
di discriminazione e di oppressione che il capitalismo globale
eredita, aggrava e riproduce: quelle che vengono praticate in base
al genere, all'origine geografica ed "etnica", alla generazione,
all'orientamento sessuale, così come lo sfruttamento illimitato
delle risorse e della natura. Dunque, senza un nuovo movimento
operaio che unifichi dialetticamente le diverse soggettività
antagoniste che il capitale determina oggi, non c'è liberazione
umana.
Non c'è liberazione umana che possa prescindere dalla
contraddizione di genere. Il femminismo ha prodotto in Italia, a
partire dalla fine degli anni '60 una vera rivoluzione sociale,
culturale e politica, costringendo uomini e donne a misurarsi con la
questione di genere. Rifondazione comunista è chiamata a conoscere,
ri-conoscere, approfondire e fare suo il pensiero femminista come
parte ineludibile della rifondazione. Nello stesso senso,
l'assunzione dell'ambientalismo è una scelta di fondo. Non si tratta
di cercare una qualche forma di compatibilità tra sviluppo e
ambiente. Non è neanche sufficiente un'altra idea di sviluppo.
Serve, invece, una vera e propria alternativa di economia e di
società che si sostanzia nella promozione di un ripristino e di un
equilibrio dei grandi cicli ambientali, nella demercificazione dei
beni ambientali comuni e collettivi (acqua, aria, energia e
territorio), nella riterritorializzazione, nella riqualificazione
del lavoro nella produzione di ambiente.