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La contraddizione capitale-lavoro è sempre più acuta e generalizzata, ma i soggetti del lavoro si moltiplicano in segmenti sempre più separati. Il problema principale è oggi quello della ricomposizione sociale e politica delle figure sociali oppresse e spezzate dal capitalismo globale. Un compito inedito.
Dal punto di vista sociale il nostro agire si rivolge in primo
luogo a tutti i soggetti sociali vittime di uno stato di
sfruttamento e di alienazione. Come abbiamo visto la rivoluzione
capitalistica restauratrice intervenuta in questi anni ha provocato
uno sconvolgimento nella morfologia delle classi subalterne e in
particolare un processo di ampliamento e di frantumazione del lavoro
a diverso titolo subordinato. Da un lato infatti le figure sociali
hanno perso contorni netti -si pensi alla moltiplicazione e allo
sminuzzamento delle posizioni contrattuali-, dall'altro lato
assistiamo ad una sussunzione diretta nel processo di valorizzazione
del capitale di figure, o di attività in capo alle stesse persone,
che un tempo si collocavano nel campo della riproduzione della forza
lavoro, cioè fuori dal lavoro produttivo inteso in senso stretto.
Non si tratta di fenomeni assolutamente nuovi, come non è
un'invenzione di adesso, il dibattito sui confini che separano il
lavoro produttivo da quello improduttivo, quello materiale da quello
intellettuale, ma è indubbio che questi fenomeni sono oggi assai
ampliati rispetto al passato. Il lavoro, che è sempre astratto dal
punto di vista del capitale, oggi assume una forma che concretamente
si avvicina a questo suo carattere.
Accanto all'enorme crescita
della precarizzazione, aumenta la disoccupazione di massa che è più
che raddoppiata rispetto agli anni '70. Si manifesta un processo di
crisi nell'estensione del rapporto di lavoro salariato, nel senso
che molte attività sono a tutti gli effetti lavori al servizio
diretto del capitale - e dunque il lavoro non solo non finisce, ma
si estende -, anche se non vengono economicamente e socialmente
riconosciute come tali. Questo fenomeno conferma in sé una carica
potenzialmente rivoluzionaria, poiché indica l'irriducibilità di
fondo del lavoro vivo ad essere integralmente sottomesso al
capitale. La contraddizione capitale-lavoro è dunque sempre più
acuta e generalizzata nella società, ma i soggetti che investe sul
versante del lavoro, e sui quali si articola sono molteplici e
divisi. Conseguentemente l'individuazione dei referenti sociali
nella costruzione dell'alternativa non può essere affidata ai
paradigmi del passato, né si può concepire lo schieramento sociale
dell'alternativa come una semplice riedizione dei classici concetti
di blocco sociale, per cui attorno alla classe rivoluzionaria per
eccellenza, che costituiva il motore umano del processo produttivo,
andavano uniti ceti superiori o le classi che avevano perso di
centralità a causa del pieno avvento del capitalismo industriale. Il
problema principale è oggi ricomporre l'insieme dei soggetti vittime
dello sfruttamento e dell'alienazione che sono divisi e contrapposti
dalla ristrutturazione capitalistica, in un nuovo movimento operaio.
Le recenti esperienze di lotta che vedono assieme i metalmeccanici
con il nuovo movimento no-global, anche grazie ad un comune tratto
generazionale, indicano che questo obiettivo è non solo necessario
ma possibile.
In esso possono avere più peso le figure sociali
che occupano i luoghi decisivi della produzione di plusvalore
all'interno del processo di accumulazione capitalistica, ma la loro
individuazione resta un compito, non solo un dato di partenza. Per
queste ragioni l'individuazione dei referenti sociali della nostra
azione politica comincia con il lavoro di inchiesta: perché solo
attraverso questo è possibile conoscere le condizioni e i bisogni di
queste figure sociali e stabilire con esse una relazione dinamica
che già di per sé costituisce una pratica politica e non solo
conoscitiva.
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Dal
punto di vista sociale il nostro agire si rivolge in primo luogo a tutti i
soggetti sociali vittime di uno stato di sfruttamento e di alienazione. Come
abbiamo visto la rivoluzione capitalistica restauratrice intervenuta in questi
anni ha provocato uno sconvolgimento nella morfologia delle classi subalterne e
in particolare un processo di ampliamento e di frantumazione del lavoro a
diverso titolo subordinato. Da un lato infatti le figure sociali hanno perso
contorni netti -si pensi alla moltiplicazione e allo sminuzzamento delle
posizioni contrattuali-, dall'altro lato assistiamo ad una sussunzione diretta
nel processo di valorizzazione del capitale di figure, o di attività in capo
alle stesse persone, che un tempo si collocavano nel campo della riproduzione
della forza lavoro, cioè fuori dal lavoro produttivo inteso in senso stretto.
Non si tratta di fenomeni assolutamente nuovi, come non è un'invenzione di
adesso, il dibattito sui confini che separano il lavoro produttivo da quello
improduttivo, quello materiale da quello intellettuale, ma è indubbio che
questi fenomeni sono oggi assai ampliati rispetto al passato. Il lavoro, che è
sempre astratto dal punto di vista del capitale, oggi assume una forma che
concretamente si avvicina a questo suo carattere.
Accanto all'enorme crescita della precarizzazione, aumenta la disoccupazione di
massa che è più che raddoppiata rispetto agli anni '70. Si manifesta un
processo di crisi nell'estensione del rapporto di lavoro salariato, nel senso
che molte attività sono a tutti gli effetti lavori al servizio diretto del
capitale - e dunque il lavoro non solo non finisce, ma si estende -, anche se
non vengono economicamente e socialmente riconosciute come tali. Questo fenomeno
conferma in sé una carica potenzialmente rivoluzionaria, poiché indica
l'irriducibilità di fondo del lavoro vivo ad essere integralmente sottomesso al
capitale. La contraddizione capitale-lavoro è dunque sempre più acuta e
generalizzata nella società, ma i soggetti che investe sul versante del lavoro,
e sui quali si articola sono molteplici e divisi. Conseguentemente
l'individuazione dei referenti sociali nella costruzione dell'alternativa non
può essere affidata ai paradigmi del passato, né si può concepire lo
schieramento sociale dell'alternativa come una semplice riedizione dei classici
concetti di blocco sociale, per cui attorno alla classe rivoluzionaria per
eccellenza, che costituiva il motore umano del processo produttivo, andavano
uniti ceti superiori o le classi che avevano perso di centralità a causa del
pieno avvento del capitalismo industriale. Il problema principale è oggi
ricomporre l'insieme dei soggetti vittime dello sfruttamento e dell'alienazione
che sono divisi e contrapposti dalla ristrutturazione capitalistica, in un nuovo
movimento operaio, e per questa via poter anche riformulare una nuova concezione
di blocco sociale, capace di raccogliere e rivolgersi all'insieme delle figure
lavorative sfruttate e alienate, ai ceti intermedi, ai poveri e agli esclusi. Le
recenti esperienze di lotta che vedono assieme i metalmeccanici con il nuovo
movimento no-global, anche grazie ad un comune tratto generazionale, indicano
che questo obiettivo è non solo necessario ma possibile.
In esso possono avere più peso le figure sociali che occupano i luoghi decisivi
della produzione di plusvalore all'interno del processo di accumulazione
capitalistica, ma la loro individuazione resta un compito, non solo un dato di
partenza. Per queste ragioni l'individuazione dei referenti sociali della nostra
azione politica comincia con il lavoro di inchiesta: perché solo attraverso
questo è possibile conoscere le condizioni e i bisogni di queste figure sociali
e stabilire con esse una relazione dinamica che già di per sé costituisce una
pratica politica e non solo conoscitiva.
CONFALONIERI, FERRARI, BORDO, BOZZI, Giovanna CASATI, COLZANI, MARAGLINO, SCIANCATI, BANDINELLI