vai ad
lavoro
movimenti
globalizzazione
Dopo un decennio, la politica della concertazione viene attaccata frontalmente da destra e dal nuovo estremismo di Confindustria. Si apre nel sindacato, e nella Cgil in specie, una fase di profonda riflessione strategica: sui temi della rifondazione di un sindacalismo di classe, e di una rappresentanza democratica del lavoro. Ma i gruppi dirigenti oscillano tra l'incapacità di revisione critica e la scorciatoia politicista.
La politica della concertazione - culminata negli accordi del
'92-'93, ma variamente praticata negli anni precedenti - ha
costituito, a sua volta, una delle "riforme" più significative del
sistema politico. Grazie ad essa, i diversi governi che si sono
succeduti nella fase più tumultuosa della "transizione italiana",
hanno potuto usufruire di una lunga fase di tregua sociale. In
parallelo, la crisi del sindacalismo confederale trovava in essa lo
sbocco di una legittimazione dall'alto: il prezzo, pagato
soprattutto dalla Cgil, era un processo di istituzionalizzazione del
sindacato, che via via lo svuotava di contenuti rivendicativi,
sociali e di classe, ne impoveriva drammaticamente la vita
democratica, ne riduceva drasticamente la capacità di
rappresentanza.
Oggi la concertazione è messa in causa, pressoché
irreversibilmente, da destra, dalla sferzata iperliberista di
Confindustria che, sostanzialmente, "vuole tutto": comando totale
della forza lavoro, fine dei contratti nazionali, libertà di
licenziamento. In quest'ottica, al sindacato confederale è
consentito soltanto un ruolo marginale, o di complemento, come
sembrano avviate a fare Cisl e Uil..
Nella Cgil, dunque, è aperta
necessariamente una riflessione strategica. Essa, per essere davvero
efficace, non può non comprendere un bilancio veritiero del decennio
concertativo, nel corso del quale tutto il lavoro dipendente ha
perduto in forza contrattuale, diritti, salari, stipendi, garanzie,
dignità. Per questo riteniamo necessaria una svolta, nella direzione
di un nuovo sindacalismo democratico e di classe: al centro del
quale ci siano i contenuti, le piattaforme, l'iniziativa sociale e
rivendicativa oggi necessaria, la ricomposizione di classe del
lavoro - e del non lavoro - oggi disperso e frammentato. La sinistra
della Cgil ha iniziato un percorso di mobilitazione e di confronto
per rivendicare questa svolta. Questa è una battaglia di grande
rilevanza per il futuro della Cgil e che comincia a maturare i suoi
risultati. Questo è anche l'impegno verso il quale è avviata la Fiom
e che il più grande sindacato confederale non può eludere né con
la riproposizione delle scelte passate né con fughe di tipo
politicistico, che rischiano, oltre tutto, di minare gravemente
l'autonomia sindacale e il suo valore strategico. Il problema rimane
quello della rifondazione di un sindacato di classe. Come tale,
concerne anche le diverse realtà del sindacalismo extraconfederale
di base: il quale ha sicuramente raggiunto in alcuni settori
(scuola, trasporti) punti di eccellenza e capacità rappresentativa,
ma soffre di un limite organico di frammentazione.
Ciò significa
che nei prossimi anni permarrà l'obiettivo strategico della
ricostruzione di un sindacato confederale unitario, democratico e di
classe adeguato ai nuovi compiti derivanti dalla frammentazione del
lavoro e non lavoro, e dall'obiettivo di una ricomposizione della
classe scomposta, sia nel lavoro più tradizionale come nei servizi e
nel pubblico impiego, dalle politiche liberiste e di
liberalizzazione/privatizzazione.
La nostra parola d'ordine deve
tornare ad essere: "lavoratori di tutto il mondo unitevi".
Per
questo è importante che la sinistra sindacale, ovunque collocata,
sperimenti azioni e percorsi unitari, anche attraverso la
ricomposizione del sindacalismo di base, e approfondisca la ricerca
di una nuova linea politica-rivendicativa e di un nuovo modello
sindacale, nazionale e sovranazionale, adeguato alla globalizzazione
e all'obiettivo dello sviluppo più complessivo del movimento e della
sinistra d'alternativa. Azioni e percorsi unitari che rompano con
logiche d'apparato, il prevalere di tattiche interne alle varie
burocrazie, rendite di posizione d'apparati piccoli o grandi,
confederali, spostando il baricentro nel conflitto, nella
ricomposizione di classe, nella costruzione del movimento, nella
sperimentazione di nuove forme di unità sindacale democratiche di
base e di reti europee e internazionali dei lavoratori. In primo
luogo costruendo le condizioni di una mobilitazione generale per
riconquistare l'effettivo esercizio del diritto di sciopero
gravemente compromesso nei servizi e per i lavoratori precari. In
secondo luogo con la formazione di RSU liberamente elette e la
costruzione di modalità di controllo delle lavoratrici e dei
lavoratori sulle piattaforme rivendicative. In questo senso
l'appartenenza di iscritti al partito a sindacati quali l'Ugl e
sindacati di destra appare inconciliabile con gli obiettivi generali
delineati.
Al fine di rifondare un sindacato di classe decisivo è
il ruolo delle Rsu, la loro legittimazione ed il loro riconoscimento
che deve essere perseguito anche attraverso l'approvazione di una
legge sulla rappresentanza che rispecchi le reali volontà dei
lavoratori e lavoratrici, eliminando le attuali rendite di
posizione.
Tuttavia, come già affermato nella conferenza delle
lavoratrici e dei lavoratori di Treviso, il livello sindacale appare
insufficiente a rideterminare la ricomposizione delle frammentate
forze del lavoro.
Si tratta infatti di ricostruire, al fine della
ricomposizione di classe, una nuova regolamentazione, nuovi diritti
in opposizione al Libro Bianco del Ministro Maroni ed alle leggi
federaliste in materia di lavoro. Ciò deve avvenire anche per via
legislativa in quanto la deregolamentazione è avvenuta in gran parte
attraverso leggi e normative italiane ed europee. La via legislativa
è altresì necessaria a supportare e integrare la socializzazione e
politicizzazione dello scontro nel momento in cui l'impresa chiama
in causa la necessità di un'iniziativa nel mondo del lavoro che non
sia solo sindacale ma direttamente politica che affronti i temi
della guerra e dell'ambiente e della necessità della trasformazione.
La questione di genere deve connotare e attraversare l'intero mondo
del lavoro. Si tratta dunque, di dispiegare nuovamente lo scontro
sociale e politico fra lavoratori e padroni, tra condizioni del
lavoro e modello di società complessivo. Per questo il partito deve
essere luogo di discussione, elaborazione e di orientamento unitario
di tutti i comunisti che operano nel mondo del lavoro.