TESI 24 
LA GUERRA AL MOVIMENTO

vai ad
movimenti
guerra
globalizzazione

Dopo l'11 settembre, la sfida del movimento si è fatta assai più difficile. La guerra è anche una risposta di "normalizzazione autoritaria". E il rifiuto della guerra, anche come scelta etica, è un antidoto alla crisi della politica.

L'attentato terroristico e lo stato di guerra determinano una situazione di maggiore difficoltà per lo sviluppo del movimento medesimo. Lo straordinario successo della Perugina-Assisi e della manifestazione del 10 novembre, dimostrano che il movimento è vivo. Dobbiamo però essere consapevoli che la guerra tende a coartarne le aree d'influenza, a renderlo minoritario militarizzando l'informazione e sterilizzando le coscienze critiche. La guerra nell'epoca globale, lungi dall'essere un incidente di percorso, è in primo luogo occultamento dei reali problemi alla base dell'insicurezza e della precarietà della comunità umana. L'individuazione nel terrorismo di un nemico diverso da quello del sistema neoliberista assolve alla sua funzione di depistaggio e concentra su un fine funzionale l'apprensione, lo sdegno o più semplicemente la rassegnazione della pubblica opinione. Il rischio del terrorismo percepito e politicamente strumentalizzato scatena i bisogni di sicurezza per la cui soddisfazione si è disponibili a rinunciare alla democrazia o alla libertà di movimento e d'informazione.
Per questo, dopo l'11 Settembre, la sfida per il movimento si è fatta in salita e più difficile. La martellante campagna contro il pacifismo, presentato come imbelle o, nel migliore dei casi, come un'accezione etica che non può essere assunta nella sfera della politica, l'insistenza anche rozza con il quale il movimento di opposizione alla guerra viene immediatamente bollato come antiamericano, denotano che da parte del potere si è percepita questa difficoltà. Già a Genova, con la spaventosa scelta della repressione poliziesca, si era capito che la risposta dei poteri forti della globalizzazione neoliberista stava mutando, assumendo le forme della criminalizzazione del dissenso. L'occasione della guerra amplifica questa tendenza, proprio perché ogni slittamento e defezione dal fronte bellico globale avrebbe l'effetto di svelare tutta la debolezza di una avventura - la guerra contro l'Afghanistan - che oltre ad essere sbagliata in sè è anche del tutto inefficace rispetto all'obiettivo dichiarato di combattere il terrorismo.
Il movimento si trova quindi di fronte il problema di una sua crescita in un contesto in cui gli organismi che gestiscono il potere politico, economico e militare a livello globale hanno scelto lo stato di guerra come condizione "normale" di gestione della crisi del processo di globalizzazione. In questo contesto una risposta positiva alle istanze poste dal movimento non è nemmeno presa in considerazione dai nostri avversari e il tentativo di espellere il movimento dalla politica, di ridurlo all'impotenza trasformandolo in un problema di ordine pubblico o in un afflato etico-morale, sono più che mai in corso. Tanto più risulta quindi corretta la scelta del movimento di proporre una politica che sia guidata anche da scelte etiche, che lungi dall'essere viziata dal fondamentalismo, ne è il suo antidoto in quanto pone al centro il rispetto della persona.