TESI 18 
 LA RECESSIONE ECONOMICA MONDIALE

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L'economia americana non tira, dopo quasi dieci anni di crescita ininterrotta: ritornano politiche di "deficit spending" di destra e di guerra . L'Europa è ferma. Il Giappone ha rallentato. Manca la possibile locomotiva dello sviluppo: perciò, la "grande depressione" non è impossibile.

Il grande elemento di novità che si è ora introdotto è una crisi nel processo di globalizzazione. Non siamo di fronte né ad un arresto, né ad un possibile ritorno indietro, ma certamente ad una crisi evidente sotto molti aspetti, che apre una nuova fase nella stessa globalizzazione. Il processo di globalizzazione ha conosciuto più di un episodio di crisi economica e finanziaria, si può ricordare il crack borsistico del 1987 o la grande crisi finanziaria che prese le mosse dalle cosiddette Tigri asiatiche nel 1997. Ma ora siamo di fronte a qualcosa di più profondo e di più grave, antecedente alla distruzione delle Twin Towers, ma da quell'episodio ulteriormente amplificato. In sostanza in mondo ha preso coscienza di essere entrato in una fase di recessione economica - se non peggio - solo dopo l'11 settembre, benché lo fosse realmente già da prima.
Se guardiamo la situazione economica mondiale a partire dagli Stati Uniti d'America, vediamo che la crisi era ben antecedente all'attacco terroristico e ha finito con il colpire tanto la "nuova" quanto la "vecchia" economia, di fatto inestricabili. Sotto questo profilo siamo di fronte - seppure in un modo nuovo - ad una tipica crisi di sovrapproduzione (negli Usa, ad esempio, gli investimenti enormi fatti nelle infrastrutture ottiche sono stati utilizzati solo per un'infima quantità). La grande bolla finanziaria sulla quale il mondo capitalistico siede aveva peraltro iniziato a sgonfiarsi all'inizio del '2000 e gli effetti non hanno tardato a manifestarsi nelle Borse di tutto il mondo. E' certo comunque che l'attuale "ritorno dello stato" avviene aggravando e non attenuando la feroce redistribuzione a danno dei ceti meno abbienti, e senza rimessa in questione della qualità dello sviluppo.
La crescita economica mondiale, pur calcolata con i criteri dominanti che contestiamo, indica un pesante rallentamento rispetto al decennio passato. L'economia americana dopo 9 anni di crescita non tira, quella europea neppure, il Giappone è fermo da tempo. Gli effetti sono evidenti: i consumi si riducono, i licenziamenti si moltiplicano, la disoccupazione cresce, la povertà aumenta ancora di più tra le classi lavoratrici. L'Agenzia delle Nazioni unite che osserva l'evoluzione del lavoro (ILO) prevede che nel 2002 vi saranno 24 milioni di posti di lavoro in meno nel mondo, per lo più concentrati in Asia e nei paesi poveri.
Gli USA cercano di reagire con una manovra anticiclica costituita da un rilancio dell'intervento pubblico a sostegno delle aziende, in particolare quelle connesse alla produzione di tipo bellico, e di un aumento dei consumi interni, favoriti anche da una restituzione del precedente prelievo fiscale. In sostanza essi praticano politiche di deficit spending. Questo ritorno a una manovra attiva della spesa pubblica, dopo anni di propaganda ideologica a favore delle dottrine liberiste, avviene in una chiave marcatamente di destra. Ora la produzione e il consumo di ordigni bellici di ogni tipo hanno un ruolo centrale. Nello stesso tempo la crisi della new economy spinge l'economia americana verso soluzioni inaccettabili per gli equilibri ambientali, come anche destabilizzazioni avventuristiche sul piano geopolitico: da qui il rifiuto americano dell'osservanza degli accordi di Kyoto nell'ambiente e l'accentuazione di un interesse primario - peraltro mai sopito - per il petrolio e le fonti energetiche non rinnovabili e conseguentemente per il controllo di quelle zone del mondo decisive a questo riguardo.
Invece negli altri paesi capitalisti continua la predicazione del liberismo allo stato puro e la sottomissione ai vincoli di bilancio.
Così è per l'Europa, prigioniera - malgrado qualche impazienza - del Patto di Stabilità.
Le previsioni per un'uscita dalla crisi sono incerte; anche perché manca l'individuazione di un paese e di una zona del mondo che funzioni da locomotiva. L'attuale recessione - e ciò è già presente nelle considerazioni di numerosi analisti - può perciò trasformarsi in una grande depressione, con incalcolabili conseguenze sul piano sociale.