I RICCI E L’ALBERO DI MELE
lettera del 22/02/1922

 

Ritorna a Gramsci racconta

 

Caro Delio,

mi è piaciuto il tuo angoletto vivente coi fringuelli e i pesciolini. Se i fringuelli scappano dalla gabbietta, non bisogna afferrarli per le ali o per le gambe, che sono delicate e possono rompersi o slogarsi; occorre prenderli a pugno pieno per tutto il corpo, senza stringere. 

Io da ragazzo ho allevato molti uccelli e anche altri animali: falchi, barbagianni, cuculi, gazze, cornacchie, cardellini, canarini, fringuelli, allodole ecc. ecc.; ho allevato una serpicina, una dondola, dei ricci, delle tartarughe.


Ecco dunque come ho visto i ricci fare la raccolta delle mele.

Una sera d’autunno, quando era già buio, ma splendeva luminosa la luna,

sono andato con un altro ragazzo, mio amico, in un campo pieno di alberi da frutta, specialmente di meli.

Ci siamo nascosti in un cespuglio, contro vento. Ecco a un tratto, sbucano i ricci, cinque: due più grossi e tre picciolini.

 

In fila indiana si sono avviati verso i meli, hanno girellato tra l’erba e poi si sono messi al lavoro: aiutandosi coi musetti e con le gambette, facevano ruzzolare le mele, che il vento aveva staccato dagli alberi, e le raccoglievano insieme in uno spiazzetto, ben bene vicine una all’altra.

    

Ma le mele giacenti per terra si vede che non bastavano; il riccio più grande col muso per aria, si guardò attorno, scelse un albero molto curvo e si arrampicò, seguito da sua mog1ie.

   Si posarono su un ramo carico e incominciarono a dondolarsi, aritmicamente; i loro movimenti si comunicarono al ramo, che oscillò sempre più spesso, con scosse brusche e molte altre mele caddero per terra.

Radunate anche queste vicino alle altre, tutti i ricci, grandi e piccoli, si arrotolarono con gli aculei irti e si sdraiarono sui frutti, che rimanevano infilzati: c’era chi aveva poche mele infilate (i riccetti), ma il padre e la madre erano riusciti a infilzare sette o otto mele per ciascuno.

 

       

Mentre stavano ritornando alla loro tana, noi uscimmo dal nascondiglio, prendemmo i ricci in un sacchetto e ce li portammo a casa.

  

Io ebbi il padre e due riccetti e li tenni molti mesi, liberi, nel cortile; essi davano la caccia a tutti gli animaletti, blatte, maggiolini ecc, e mangiavano frutta e foglie d’insalata. Le foglie fresche piacevano loro molto e così li potei addomesticare un poco; non si appallottolavano più quando vedevano la gente.

Avevano molta paura dei cani. Io mi divertivo a portare nel cortile delle bisce vive per vedere come i ricci le cacciavano. Appena il riccio si accorgeva della biscia, saltava lesto lesto sulle quattro gambette e caricava con molto coraggio. La biscia sollevava la testa, con la lingua fuori e fischiava; il riccio dava un leggero squittio, teneva la biscia con le gambette davanti, le mordeva la nuca se la mangiava a pezzo a pezzo.

Questi ricci un giorno sparirono: certo qualcuno se li era presi per mangiarli.

“….”

Ti scriverò un’altra volta sul ballo delle lepri e su altri animali ti voglio raccontare due cose che ho visto e sentito da ragazzo: la storia del polledrino, della volpe e del cavallo che aveva la coda solo nei giorni di festa,  -La storia del passero e del kulak, del kulak e dell’asinello, dell’uccello tessitore  e dell’orso ecc.

Mi pare che tu conosca la storia di Kim, conosci anche le novelle della giungla e specialmente quella della foca bianca e di Rikki-Tikki-Tawi?

“…”

Ti bacio.

Antonio