SIMONA MIELE

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NUOVE SOSTANZE

 

“L'architettura si insinua nelle maglie dell'esistente, usa e rilancia gli oggetti preesistenti come dei ready-made, crea con le sue articolazioni dinamiche spazi interstiziali 'tra' nuovo e preesistente. Ma al di là delle scelte espressive, o delle "ferraglie contorte" che spaventano, è proprio una idea diversa di architettura per la città che si afferma. A guardare le opere più riuscite viene proprio da definirle operazioni di urbanscape. Sono grandi opere di ripensamento della città, delle sue intersezioni, dei suoi flussi dinamici, dei suoi nessi complessi.”

A mio parere, un aspetto che ci fa capire meglio di qualunque altro la trasformazione in atto nella società, nell’economia e nella geografia urbana, dovuta alla crescente informatizzazione del processo produttivo, è senza dubbio il recupero delle aree urbane dimesse. Aree, un tempo occupate da fabbriche, oggi sono restaurate ed adibite ad altre funzioni; non si tratta semplicemente di riempire i “vuoti” lasciati dalle attività produttive in disuso, ma di ripensare alle connessioni tra i vari ambiti del tessuto urbano, cercando nuovi legami interni. Occorre precisare che le aree industriali dismesse costituiscono da una parte un problema di salvaguardia di monumenti/documenti, dall’altra una necessità sociale. La crescente terziarizzazione, infatti, fa sì che ci sia sempre più bisogno di aree adibite a lavori di servizio, meglio ancora se localizzate nel cuore delle città, tale necessità è soddisfatta dalle fabbriche abbandonate che vengono ristrutturate, salvaguardando il loro valore di testimonianza storica, e adibite alla nuova destinazione d’uso.

L’archeologia industriale, nata in Gran Bretagna negli anni ’50, è caratterizzata, in origine, da un certo pragmatismo sebbene attenuato dall’individuazione dei legami tra edificio, città e paesaggio naturale. Oggi la disciplina dell’archeologia industriale è molto diversa: non si ricercano più soluzioni tecniche pronte per l’uso e valide universalmente, ma si tende a studiare l’impatto sociale ed economico che il riutilizzo comporta e quindi si procede ad una concertazione delle parti sociali coinvolte. Si passa così da una progettazione che parte dall’alto, ad una dal basso che ricerca innanzi tutto delle concrete opportunità per il riuso.

Dalla dialettica tra permanenza e mutazione, che ogni trasformazione urbana impone, l’obiettivo diventa la definizione degli spazi e dei percorsi come nella ricerca di una coerenza tra tecnica e forma. Una considerazione a parte merita Roma. Qui siamo di fronte ad una dimensione relativamente modesta delle aree dismesse di natura industriale. Per quanto riguarda la scelta delle destinazioni d’uso, la tendenza attuale è quella di indirizzare unicamente verso il terziario i beni a disposizione. Probabilmente la soluzione consiste nel trovare, di volta in volta, il giusto equilibrio tra bisogni residenziali, vocazioni turistiche, necessità commerciali, magari inserendo nuovamente anche insediamenti produttivi. Un esempio significativo di recupero a Roma è quello dell’edificio dell’ex Birreria Peroni nel quartiere Salario. La fabbrica, edificata tra la fine dell’800 e i primi due decenni del 900 su progetto dell’architetto Gustavo Giovannoni, è composta di diversi padiglioni ed edifici e si estende su tre lotti. La fabbrica resta in attività fino al 1968 e quindi dismessa poiché gli edifici non risultavano più adeguati alle moderne esigenze produttive e persino la loro localizzazione, in un quartiere intensamente urbanizzato e densamente popolato, appariva inadeguata.Il recupero avviene in tempi diversi a partire dal 1980 ad opera dell’architetto Alberto Racheli. Nel primo lotto è stato realizzato un centro commerciale ed alcuni uffici privati; il secondo lotto è stato destinato ad uffici direzionali della stessa Società Birra Peroni; i fabbricati del terzo lotto, infine, ceduti al comune di Roma, vengono trasformati in galleria comunale d’arte moderna. L’esempio qui sopra menzionato è la chiara testimonianza di come la società cambi e di conseguenza la città e le destinazioni d’uso dei suoi edifici a causa della terziarizzazione, e dell’informatizzazione del processo produttivo.

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