Il deserto di Wadi Rum
A settembre ero riposatissima, a marzo stressata, a luglio in fin di vita; ogni impegno stritolava la mia mente, ero davvero nervosa!
Mi è bastato però osservare per un attimo quel panorama vuoto di ogni "cosa" inutile e privo di un qualsiasi segno di "consumismo" per ritrovare me stessa, sentire di nuovo la mia mente come uno spazio enorme e senza confine il deserto di Wadi Rum è il luogo che ha operato il miracolo.
Sotto il sole della Giordania, dopo alcune ore di pullman, ho scoperto come potesse esistere un'immensità dove si può davvero arrivare alla pace interiore.
La parte che si protende verso il Golfo di Aqaba è una distesa solitaria di sabbia, ora dorata, ora bianca, ora rosata. Qua e là si ergono, da che esiste il mondo, cime isolate, solenni, spoglie di qualsiasi arbusto su cui si possa scorgere il verde delle foglie.
"Lo" scrittore arabo afferma che il deserto è il giardino di Allah (a primo avviso non ci può essere definizione più strana di questa, come giardino?), ma quando mi sono addentrata ho capito che è proprio vero, pur senza vegetazione, non esiste luogo più affascinante.
È stata per me un'esperienza indimenticabile affrontare le dune con una jeep, che sul serio era stata provata dai sobbalzi e dalla polvere. Durante l'attraversata era divertente "ballare" sui sedili posteriori e, visto che i posti erano scoperti, la sabbia che si sollevava mi si infilava insidiosa tra i capelli, senza dar loro la possibilità di essere pettinati!
Spesso si poteva scorgere il passaggio di sparuti gruppi di dromedari in lontananza, quasi evanescenti, con delle misteriose persone in groppa che evocavano, nella mia mente, i Re Magi del presepe.
In quell'ambiente, così splendidamente desolato, il Tempo, che sembra volare nei nostri paesi, è addirittura immobile e il passato lontanissimo dei graffiti rupestri, presenti qua e là, si lega e si sovrappone all'attuale, facendomi vivere in un mondo fantastico.
Ogni tanto la vettura si fermava e allora dentro di me nasceva il desiderio di scoprire nuove gole, nuovi spazi, perché il deserto non si può conoscere tutto se non dopo una vita intera. Mi stupivo continuamente delle ombre, marcatissime; luce accecante, oscurità completa dietro le guglie.
Ai piedi di una duna che si appoggiava ad una rupe mi sono fermata ad ascoltare: non c'era silenzio fuori, ma il silenzio che conta è quello interiore! Ascoltavo il respiro del vento che sembrava cantare, come in un enorme flauto, uscendo dai fori e dalle spaccature nelle rocce. Esso poi parlava ed io mi sforzavo di capirlo, quasi fosse il continuo parlare di Dio all'uomo, che lì si sente più piccolo e debole.
Il sole, che durante tutta la giornata era talmente luminoso da sconvolgere, a mano a mano cominciava ad abbassarsi e rimaneva nascosto dalle immense vette di arenaria; è stato emozionante soffermarsi ad osservarlo mentre cambiava continuamente colore. La nostra comitiva ha cominciato ad inseguirlo, sempre più su, per poterlo ancora ammirare; poco dopo era apparsa anche la luna, in antitesi con il sole, una ad Est, l'altro ad Ovest, l'una romanticamente azzurrina, l'altro gloriosamente infuocato.
E così era terminato anche il chiarore e come per incanto ho visto sorgere con lentezza pacata le prima stelle, scintillanti, nel cielo di un nero accecante si potevano vedere tutte, non c'erano altre luci che prevalevano prepotentemente. Quando ormai l'oscurità era completa ci è stata servita una cena, sotto le grandi e accoglienti tende tessute dai Beduini, al calore di un immenso fuoco acceso.
E il suono cantilenante delle chitarre del Popolo del Deserto mi ha accompagnato fino a tarda notte nella contemplazione dell'Assoluto.
Silvia Tessari 1999