Turchia 2003, dall'oracolo di Didime

all' "Ira funesta del Pelide Achille"

 

Chi, millenni fa, si spingeva a piedi, con cavalli o carovane verso l'Asia Minore, veniva catapultato in una realtà affascinante, variegata e vivacissima. Il visitatore greco o romano l'avrebbe descritta come la terra dalle mille ricchezze, si sarebbe ricordato di quella musica un po' dolente e raffinata della Ionia; avrebbe passeggiato, come Cicerone, attratto dall'eloquenza e dalla cultura di quelle genti.

Chi invece giungeva dalla Persia, magari a capo di un antico esercito come Serse, o carico di spezie, dopo aver percorso la lunga strada dei Re da Susa a Sardi, avrebbe costatato quanto alto fosse l'orgoglio della popolazione di lingua greca, che abitava le rive dell'Egeo.

Molti viaggiatori si sono spinti, nel corso dei secoli, nell'Asia Minore; ognuno ha lasciato un'impronta, eleggendo questa regione a custode di un delicato equilibrio tra l'Oriente e l'Occidente.

Anche oggi, noi, viaggiatori moderni, ci lasciamo conquistare dalla poesia della costa turca, dal suo susseguirsi di siti ormai abbandonati, dalla sagoma elegante delle sue colonne.

Tra tutti i possibili quadri che un acquerellista alla David Roberts potrebbe creare, io ho scelto Didime e Troia.

La prima ha un nome per lo più sconosciuto a noi Italiani, non vanta tra i suoi abitanti un Eraclito o un Talete pronti a farle pubblicità sui libri del liceo. Il viaggiatore, che si è spinto sulle strade della Turchia Sud- Occidentale, si avvicina a Didime incuriosito, un po' impreparato…

Ad un tratto appare una sagoma bianca, terribilmente bianca, terribilmente enorme: un grandioso complesso marmoreo che si rivela essere un tempio.

Ed è incredibile quanta sacralità si può respirare ancora in questo luogo. Lungi dal sembrare abbandonato lungo il cammino della storia, il tempio di Apollo e Artemide pare essere vivo. Con lo sguardo si segue la lunga scalinata bianca e compatta, si alza la testa per cercare la fine delle due uniche colonne che ancora sono perfettamente in piedi. Esse sono costituite da diciotto blocchi posti uno sopra l'altro; ciascuno ha il diametro di due metri. Una sorta di terrore pervade il visitatore, poiché qui pare annullarsi il detto protagoreo dell'homo mensura. Non è l'uomo misura di tutte le cose, perché quella scalinata è altissima, perché solo la base delle colonne è più alta di una persona. Qui il sublime si impone e ci si può stupire di questa misteriosa sintesi fra la lucidità della mente umana e il timore rispettoso per la potenza degli dei. Apollo, il dio che legge il futuro, il dio solare che rivela l'avvenire; Didime era infatti sede di un oracolo e fra le sue colonne, lungo i corridoi, nel "cresmografion" all'aperto, si affollavano tutte le domande, le ansie, i timori, i desideri di gloria della gente d'Asia. Anche il Potere passò di qui; esso vi giunse un giorno, nel 546 a C. , nella persona dell'ingenuo Creso di Lidia. Vi tornò con gli ambasciatori dell'illuminista Alessandro il Macedone, quel giovane che sarebbe diventato Grande, inseguendo Dario III lungo le strade dell'Anatolia.
Ora vi è solo un silenzio surreale, la voce del Dio è forse andata persa? Ma l'uomo è sempre uguale a se stesso, anche oggi prega per cercare una risposta e una soluzione per i suoi drammi presenti, spera ancora di avere un'illuminazione per il futuro…. Dopo tutto, "finché il Sole splenderà sulle sciagure umane", come ripete Foscolo, avremo sempre la speranza di essere ascoltati.

Ma Didime rivela altre meraviglie: ogni colonna è decorata in modo diverso, cosicché l'arte e la raffinatezza si fondono con la forza e la solidità dei fusti. All'ingresso del santuario…ma solo uscendo ci si accorge di lei, vi è un'enorme testa di Medusa: mostro mitologico con i capelli di serpente e lo sguardo che paralizza. Doveva incutere paura, sul fregio del tempio, insieme a tante altre simili a lei. Doveva esaltare la potenza del santuario, ma la sua espressione è stranamente triste, malinconica, come se anche lei, creatura semidivina, guardasse il divenire inarrestabile dei secoli e, come gli antichi poeti, cantasse la dolce malinconia della giovinezza trascorsa.

Avvicinandosi all'antico Ellesponto, il Mare Egeo si fa più freddo , più battuto dal vento, più spumeggiante, più "infaticabile"; la costa è una linea scura accarezzata dalle foglie argentee degli ulivi.

Ad Assos ( l'attuale Behramkale), si può pernottare in un grazioso albergo proteso sul mare e, di mattina prestissimo, partire alla volta di Hisarlik. Il vento è sempre sostenuto, ma i paesi addormentati, adagiati alla destra della strada, sembrano immersi nella pace più assoluta, fuori dal tempo, scuri contro il cielo rosa, con le loro rocche millenarie sulla sommità dei monti.

L'avvicinarsi dell'antico sito di Troia è confermato da una piccola "pansyon" che offre un negozietto stracolmo di portachiavi con il cavallino di legno, e di altri gadget con la sagoma del famoso quadrupede. Il visitatore che rammenta il II libro dell'Eneide (dove Enea piange nel ricordare il "lamentabile regnum" e quell'"equum instar montis divina Palladis arte") non può che sorridere nel constatare quale atmosfera allegra circondi oggi un cavallo di legno che troneggia all'ingresso delle rovine.

Ma ben differente è l'emozione che si prova visitando il sito.

L'idea che per prima si affaccia alla mente è quella dell'antico. Antico come diecimila anni di storia stratificata in nove grandi livelli. Nelle varie Ilio, distrutte e ricostruite, un aedo di oggi potrebbe leggervi le grandi conquiste dell'uomo (dalle case di pietre irregolari, alle mura di pietre squadrate), ma leggervi anche, inevitabilmente, (nei suoi fossati, nelle sue porte protette, nelle grandi opere di difesa) tutto un susseguirsi di lotte e incendi che si sono succeduti dal neolitico in poi.

… Perché Troia non è altro che un'immensa rovina di mura , che attraverso gli strati divengono sempre più robuste, più inespugnabili, più perfette. Mura, mura, mura, terribili bastioni che ormai sono colline ricoperte d'erba…e laggiù, quel mare davanti a cui pregava il sacerdote Crise. Si percorrono dei ponticelli di legno, discreti, costruiti sapientemente per permettere al turista di conoscere tutto l'anello esterno della città. Si possono leggere dei cartelli informativi e ammirare alcuni bei disegni assonometrici che danno l'immagine della Troia antica... e intanto, si immagina.

Si immagina… la porta di Dardano, e il caprifico, e i 50 talami decorati per i figli di Priamo, perché in questo sito di rovine e di vento si sente l'eco di tanti personaggi che, come miti, come archetipi, sono ormai divenuti parte di noi. Quella di Troia VI, della Troia omerica, era una civiltà dura, dove l'onore era il sommo ideale e dove il valore era lo stesso, nei confronti degli amici e dei nemici; continuo era lo sforzo per compiere il proprio dovere, finché il Fato non decretava, imperscrutabilmente, la morte.

Quando la visita si conclude, pare che sia durata solo un attimo; si vorrebbe esplorare di più, imboccare quelle stradine precluse al turista, quei "sancta sanctorum" degli archeologi da dove proviene insistente il ritmo degli scavi .

Silvia Tessari

Agosto 2003