Istituto Tecnico Commerciale Statale


 

ENERGIA DA BIOMASSE

 

Le biomasse comprendono materiali di origine biologica, scarti delle attività agricole, che possono essere usati come combustibili per la produzione di energia.

Si tratta generalmente di scarti dell’agricoltura, dell’allevamento e dell’industria.

 

·   - legname da ardere

·   - residui agricoli e forestali

·   - scarti dell’industria agroalimentare

·   - reflui degli allevamenti

·   - rifiuti urbani

·   - specie vegetali coltivate per lo scopo

 

Trarre energia dalle biomasse consente di eliminare residui prodotti dalle attività umane, produrre energia elettrica e ridurre la dipendenza dalle fonti di natura fossile.

Durante la loro crescita le piante assorbono anidride carbonica dall’aria e la trasformano, grazie alla energia solare, in glucosio per mezzo della fotosintesi:

Ogni mole di glucosio possiede un contenuto energetico di 2872 kJ. Questa energia viene immagazzinata nelle radici, nei tronchi, nei rami e nelle foglie.

Le biomasse nel loro complesso sono costituite da tutte le specie vegetali che producono sostanze  cellulosiche, zuccherine, amidacee, oli vegetali e terpeni.

Le biomasse, coltivate in maniera ciclica, costituiscono una risorsa rinnovabile, sono rispettose dell’ambiente perché non contribuiscono ad accrescere l’effetto serra e l’acidificazione delle piogge; producono consistenti benefici ambientali e per la politica energetica.

Le biomasse sono neutre per quanto attiene l’effetto serra poiché il carbonio presente in esse proviene dall’atmosfera nel processo di sviluppo delle specie vegetali e in teoria la combustione delle biomasse non dovrebbe comportare alcuna aggiunta di carbonio all’atmosfera.

L’energia da esse prodotta contribuisce a ridurre la dipendenza dai combustibili fossili e a diversificare le fonti di approvvigionamento energetico.

La biomassa è una risorsa distribuita sul territorio; per limitarne i costi di trasporto a grande distanza è opportuno prevedere la sua utilizzazione in piccoli-medi impianti decentrati sebbene le grandi centrali possano utilizzarle grazie alla tecnologia della co-combustione.

I residui vegetali sono la fonte di biomassa attualmente più utilizzata per scopi energetici. Sono generalmente disponibili a basso prezzo, talvolta in grandi quantità. Si prestano particolarmente alla utilizzazione presso le stesse aziende produttrici quali riserie, distillerie, segherie.

I sottoprodotti agricoli quali paglie, sarmenti di vite, rami di potatura potrebbero garantire l’autosufficienza energetica di aziende agricole a costi di gran lunga inferiori rispetto a quelli derivanti dall’uso dei combustibili fossili.

La valorizzazione energetica dei residui forestali e degli interventi di manutenzione del bosco può contribuire a migliorare il bilancio economico delle operazioni selvicolturali.

Le colture energetiche sono costituite da piante coltivate espressamente per l’uso energetico; hanno un potenziale produttivo superiore a quello dei residui e la capacità di adattare meglio l’offerta di mercato alla domanda.

Tali colture, sia erbacee che legnose, producono benefici ambientali contribuendo a ridurre l’erosione del suolo agricolo e il dilavamento di nutrienti.

Le colture più promettenti sono quelle perenni quali canna comune, miscanto, pioppo; il costo di produzione della biomassa da queste piante è infatti inferiore a quelle delle colture a ciclo annuale.

Anche il bilancio energetico è più favorevole in quanto tali colture richiedono minori interventi di coltivazione e di lavorazione del terreno.

Un limite allo sfruttamento delle biomasse è costituito dal moderato potere calorifico (circa la metà del carbone) e dalla disponibilità nel corso dell’anno.

COMBUSTIBILE

PCI (MJ/Kg)

Gasolio

41,90

Gas naturale

34,50

Olio combustibile

40,60

Pianta intera di frumento

17,3

Legna senza corteccia

18,5

Legno + corteccia

18,1

Sorgo da fibra

16,95

Miscanthus

17,16

Canna comune

17,37

Paglia

17,26

Confronto tra PCI di combustibili fossili e biomasse

 

Basti pensare alle biomasse derivanti da colture stagionali la cui raccolta avviene in un determinato periodo dell’anno; anche il legno, che in via teorica potrebbe essere disponibile tutto l’anno viene tagliato prevalentemente nelle stagioni in cui esso contiene minore umidità. Per questo motivo gli impianti alimentati a biomasse richiedono vaste aree per lo stoccaggio del materiale che viene di fatto reso disponibile solo una volta all’anno.

La resa per ettaro piuttosto modesta, determinata dal fatto che la produzione avviene su aree molto elevate, costituisce un ulteriore limite al loro sfruttamento. Se si volesse alimentare a biomasse l’impianto di produzione di energia elettrica di Porto Tolle, attualmente alimentato a carbone, sarebbe necessario dedicare alla coltura di biomasse una superficie maggiore dell’intera pianura padana.

 

 

CONVERSIONE ENERGETICA DELLE BIOMASSE VEGETALI

 

Le biomasse si caratterizzano per la loro flessibilità essendo idonee ad alimentare diversi comparti di utilizzazione.

E’ possibile:

·   - produrre calore attraverso il processo della combustione

·   - generare energia elettrica

·   - convertire le biomasse in combustibili gassosi

·   - convertire le biomasse in combustibili liquidi impiegati in autotrazione

 

All’impiego tradizionale di produzione del calore si affiancano impianti di grande potenzialità da poche centinaia di kWth a qualche decina di MWth, che impiegano caldaie a griglia fissa o mobile.

Questo stesso tipo di caldaie trova impiego in cicli a vapore in cui il vapore si espande nelle turbine e genera energia elettrica. Questi impianti sono di tipo cogenerativo poiché producono calore impiegato per processi industriali ed energia elettrica.

 

Un metodo sempre più frequentemente utilizzato prevede la gassificazione delle biomasse e la successiva depurazione dei gas prodotti in modo da renderli idonei all’alimentazione di una turbina a gas. Questo processo consente un aumento del rendimento complessivo che si colloca intorno al 30 - 40%.

Dalla densità della biomassa dipendono volumi e dimensioni dei reattori; per materiali di carica di bassa densità sono necessari, a parità di potenza termica, reattori di dimensioni maggiori di quelli utilizzati per gassificare biomasse a maggiore densità quale la legna.

Nella gassificazione della legna si introduce nel combustibile una quantità di ossidante (aria, vapore o ossigeno) in quantità inferiore alla quantità stechiometrica richiesta. In questo caso brucia soltanto una parte della legna; il calore prodotto serve a scomporre termicamente la rimanente massa con produzione di un gas di sintesi in grado di essere impiegato per l’alimentazione di una turbina.

Dal punto di vista termodinamico si realizzano miglioramenti nel rendimento adottando il processo di conversione della biomassa detto pirolisi. Tale processo consiste in una decomposizione fisico-chimica ottenuta sottoponendo il materiale ad alte temperature in assenza di aria.

Alcune tecnologie prevedono l’immissione di quantità dosate di aria per raggiungere attraverso una parziale combustione le temperature richieste dal processo. Questo processo può essere applicato a qualsiasi materiale di tipo organico con un contenuto di acqua inferiore al 15%.

Le temperature alle quali si opera possono variare da 200 °C a 1100 °C con conseguente variazione della composizione dei combustibili prodotti. Questi sono composti da una parte liquida costituita essenzialmente da oli e una parte gassosa composta da idrogeno, monossido di carbonio, biossido di carbonio, idrocarburi e azoto.

Gli oli così ottenuti costituiscono un combustibile liquido facilmente immagazzinabile e utilizzabile anche per l’autotrazione.

Un’altra tecnologia attualmente impiegata nel biopower è la digestione anaerobica.

Questo processo di conversione di tipo biochimico avviene in assenza di ossigeno e consiste nella demolizione, ad opera di microrganismi, di sostanze organiche complesse (lipidi, protidi, glucidi) contenute nei vegetali e nei sottoprodotti di origine animale, che produce un gas (biogas) costituito per il 50 – 70% da metano e per la restante parte soprattutto da CO2 ed avente un potere calorifico medio dell’ordine di 23.000 kJ/Nm3.

Il biogas così prodotto viene raccolto, compresso e immagazzinato e può essere utilizzato per l’alimentazione di caldaie a gas per produrre calore o di motori a combustione interna per produrre energia elettrica.

Al termine del processo di fermentazione, nell’effluente si conservano integri i principali elementi nutritivi (azoto, fosforo, potassio) già presenti nella materia prima, favorendo così la mineralizzazione dell’azoto organico; l’effluente risulta in tal modo un ottimo fertilizzante.

Gli impianti a digestione anaerobica possono essere alimentati con residui ad alto contenuto di umidità, quali le deiezioni animali, i reflui civili, i rifiuti alimentari e la frazione organica dei rifiuti solidi urbani. Tuttavia, anche in discariche opportunamente attrezzate per la raccolta del biogas sviluppato, solo il 40% circa del gas generato può essere raccolto, mentre la rimanente parte viene dispersa in atmosfera.

Poiché il metano, di cui è in gran parte costituito il biogas, è un gas serra con un effetto venti volte superiore a quello della CO2, le emissioni nell’atmosfera di biogas sono indesiderabili.

Pertanto la decomposizione dei rifiuti organici è ottenuta mediante digestione anaerobica nei di-gestori chiusi degli impianti e quasi tutto il gas prodotto viene raccolto e usato come combustibile.

 


 

BIOCARBURANTI

 

I Biocarburanti sono combustibili liquidi, impiegati nei mezzi di trasporto, che si ottengono da biomasse vegetali. Le due tipologie principali e più diffuse di biocarburanti sono il bioetanolo, sintetizzato dai carboidrati, e il biodiesel ottenuto da grassi e oli.

 

Bioetanolo

Il bioetanolo è il prodotto del processo di fermentazione di biomasse ricche di glucidi quali cereali, colture zuccherine, amidacei e vinacce. Esso può essere utilizzato puro, come avviene in alcuni paesi del Sud America, in normali motori a combustione interna opportunamente tarati o come additivo alla benzina in percentuali variabili.

La miscela più diffusa è il carburante E85 composto all’85% da etanolo e al 15% da benzina.

Può essere utilizzato nell’immediato fino al completo sfruttamento delle risorse agricole disponibili senza dover lasciare improduttive le vaste aree per le quali attualmente si incentiva il non sfruttamento in base alle vigenti norme sulle eccedenze agroalimentari.

I residui di lavorazione e produzione sono sostanze azotate e minerali, quindi fertilizzanti che immessi nei terreni di coltura completano e chiudono il ciclo energetico.

Le coltivazioni più sperimentate e diffuse per la sintesi di etanolo sono la canna da zucchero, il mais e colture ricche di sostanze zuccherine nonché residui agroforestali e agroalimentari i cui glucidi consentano il processo di fermentazione alcolica:

L’impianto per la produzione di etanolo da mais funziona in modo non dissimile ad una comune distilleria. Il mais viene macinato, mescolato con acqua e riscaldato; l’aggiunta di enzimi converte l’amido in zuccheri. In una cisterna di fermentazione il lievito trasforma gradualmente gli zuccheri in alcool etilico, che viene poi separato dall’acqua per distillazione.

Il sottoprodotto della lavorazione, detto borlanda, viene usato come mangime e una parte delle acque reflue, dall’alto contenuto di azoto, viene impiegato in agricoltura come fertilizzante.

Il procedimento rilascia nell’atmosfera grosse quantità di biossido di carbonio e ciò oscura la etichetta verde dell’etanolo; a queste emissioni vanno aggiunte quelle provocate dal lievito e dal combustibile necessario alla distillazione.

Nonostante ciò il bilancio energetico del bioetanolo da mais risulta sia pur di poco positivo.

A differenza del mais, in cui l’amido contenuto nei chicchi deve essere scomposto in zuccheri mediante costosi enzimi prima di potere essere fermentato, l’intero fusto della canna contiene il 20% di zucchero e quando viene tagliato inizia quasi subito a fermentare.

La canna da zucchero produce da 5700 a 7600 litri di etanolo per ettaro, più del doppio del mais.

Grandi impianti ubicati in Brasile non consumano combustibile fossile e non sono collegati alla rete elettrica, ma ottengono riscaldamento ed elettricità bruciando gli scarti di lavorazione della canna, la cosiddetta bagasse che di solito fornisce un lieve surplus di energia.

Si stima che, in confronto alla benzina, la produzione e la combustione di etanolo da canna da zucchero generi circa il 55% in meno di biossido di carbonio. Il bilancio energetico di tale combustibile risulta nettamente positivo.

Un recente rapporto dell’ONU pone in evidenza che, malgrado i tanti potenziali benefici, il boom dei biocarburanti rischia di ridurre la sicurezza alimentare e di fare aumentare i prezzi dei prodotti agricoli.

La domanda di cibo e quella di carburanti dovrebbero entrambe raddoppiare entro la metà del secolo e si teme che nei prossimi decenni i cambiamenti climatici possano compromettere le produzioni agricole.

E’ pertanto necessario, per non ridurre le riserve alimentari, escludere dal ciclo di produzione i vegetali che possono servire all’alimentazione.

Il bioetanolo può essere ricavato da piante erbacee perenni e anche da fusti, foglie e segatura, sottoprodotti che di norma vengono gettati in discarica, bruciati o interrati.

Queste biomasse sono costituite prevalentemente da cellulosa, ovvero dalle salde catene di molecole di glucosio che formano le pareti delle cellule vegetali; rompendo queste catene e facendo fermentare il glucosio, si potrebbero ottenere biocarburanti a profusione senza entrare in competizione con le colture alimentari.

Per l’ottenimento di bioetanolo da cellulosa le reazioni chimiche sono le seguenti:

Le biomasse contenenti cellulosa contengono anche emicellulosa e lignina, sostanza che tiene unite le molecole di cellulosa, permettendo alle piante di assumere la posizione eretta e così ricevere la luce del sole. Per liberare le molecole di cellulosa dalla lignina, la materia prima viene riscaldata e pretrattata con acidi; indi vengono aggiunti enzimi che decompongono la cellulosa con ottenimento di zuccheri. Si ricava una poltiglia scura, dall’aspetto simile alla melassa, che immessa nei serbatoi di fermentazione con lievito o batteri produce alcool etilico.

Tale procedimento trasforma in alcool il 45% del contenuto di energia della biomassa. Sono in atto ricerche di sostanze in grado di scindere la cellulosa in modo più efficace; l’attenzione è rivolta a microbi geneticamente modificati ed enzimi ricavati dallo stomaco delle termiti, fabbriche naturali di energia cellulosica.

Le potenzialità e il bilancio energetico di queste biomasse sono estremamente favorevoli; un’erba come il panico verga potrebbe produrre la stessa quantità di etanolo per ettaro prodotta dalla canna da zucchero.

In Italia vi è una potenzialità di 15 tonnellate annue di biomasse per ettaro, corrispondenti a circa 5 tonnellate di bioetanolo prodotto. Attualmente la disponibilità di biomasse residuali corrisponde ad un ammontare annuo di circa 66 MLN t di sostanza secca. Tenuto conto di usi alternativi della biomassa e della difficoltà di accesso a molti luoghi di produzione e di raccolta, la quantità utilizzabile per fini energetici è di 45 MLN t.

I terreni non sfruttati sono almeno 20.000 km2 che, se utilizzati per fini energetici, potrebbero produrre circa 30 MLN t di biomassa. Si potrebbero quindi ottenere 25 MLN t di bioetanolo, corrispondenti a circa un terzo dei combustibili oggi necessari per l’autotrazione.

 

Biodiesel

Il biodiesel è un combustibile liquido, trasparente e di colore ambrato ottenuto da oli vegetali o grassi animali per transesterificazione. Ha una viscosità simile a quella del gasolio ottenuto per distillazione frazionata del petrolio grezzo.

Si ottiene dalla spremitura dei semi delle piante oleaginose quali colza, soia, girasole per transesterificazione, reazione dei trigliceridi, componenti principali di oli e grassi, con metanolo in

ambiente basico, usando come catalizzatore idrossido di sodio.

 

La reazione di transesterificazione dell’olio vegetale era già nota nella metà dell’ottocento e nel 1893 Rudolf Diesel realizzò il primo motore,che da lui prese il nome, alimentato da olio di arachidi, biocarburante che anche se non strettamente biodiesel, in quanto non transesterificato, ne fu il precursore.

Diesel credeva che l’utilizzo del carburante ottenuto da biomassa fosse il vero futuro del suo motore e in un discorso del 1912 disse: “ l’uso di oli vegetali per il carburante dei motori può sembrare insignificante oggi, ma tali oli possono diventare nel corso del tempo importanti quanto i derivati dal petrolio e dal carbone dei nostri giorni

Nel corso degli anni 20’ del novecento i produttori orientarono le loro scelte sul carburante di natura fossile e soltanto recentemente i rischi ambientali hanno rivalutato il “ diesel vegetale “, in quanto rinnovabile (ottenuto da piante di ampia diffusione), biodegradabile nell’arco di trenta giorni e con un significativo rendimento energetico.

La produzione di biodiesel è del tutto ecologica poiché non presuppone la generazione di residui o scarti di lavorazione; si ottiene soltanto il glicerolo, sottoprodotto nobile dall’elevato valore aggiunto, per il quale sono note varie utilizzazioni.

Dal punto di vista ambientale il biodiesel presenta alcune differenze rispetto al gasolio:

  - rispetto al gasolio riduce le emissioni di ossido di carbonio del 50% e di anidride carbonica del 78% poiché il carbonio emesso durante la sua combustione è quello che era già presente nell’atmosfera e che la pianta ha fissato durante la sua crescita e non, come nel caso del carburante fossile, carbonio che era rimasto intrappolato in tempi remoti nella crosta terrestre.

·   - non contiene idrocarburi aromatici e zolfo, pertanto non emette biossido di zolfo.- produce più emissioni di ossido di azoto (NOx) del gasolio, inconveniente che può essere superato con marmitte catalitiche più efficienti.

  - Il bilancio delle emissioni di gas serra è positivo in quanto ne vengono emessi il 68% in meno del diesel tradizionale.

 

Il bilancio energetico totale è positivo e dipende dalla raffinatezza del processo produttivo adottato.

Il biodiesel trova applicazione in autotrazione puro o in miscela con gasolio in qualunque proporzione senza particolari accorgimenti tecnici e modifiche di rilievo.