Disclaimers: ormai è inutile che lo ripeta
(ave grande Inoue! )
Attenzione: è il capitolo sul passato di Rukawa. Contiene scene
molto crude per cui se non siete sicuri di volerle leggere siete ancora
in tempo a fermarvi ^^ (spero comunque che vogliate leggerle lo stesso).
Dedico anche questa parte alle mie preziose consigliere Vege, Junda (spero
che tu stia un pochino meglio ), Ele e Neko. Per i soliti commenti &
critiche rivolgetevi a: yurika@interfree.it .
E ora.... Buona lettura!
Capitolo 8
TODAY IS A BEAUTIFUL DAY
Casa Rukawa.
Il silenzio di una stanza interrotto solo da gemiti soffocati. Il calore
umido della sua bocca. La bruciante sensazione dei suoi baci sulla mia
pelle. Le sue mani calde e morbide che mi accarezzano affamate del piacere
che trasmette il mio corpo.
"Rukawa.... ti prego!"
Mi preghi, do'aho? Tu che sei il mio signore, il mio mondo, il mio tutto?
Non hai bisogno di pregarmi. Sarei disposto a fare qualunque cosa per
te.
"T-ti prego..... mettici la bocca".
Lo faccio. Sa di buono. Sa di giovane. Il poter dare e ricevere piacere
mi fa sentire radioso e possente. Non sono più un angelo caduto.
In questo momento sento di poter affrontare il mondo intero e di uscire
vincitore.
I gemiti di Hanamichi si fanno sempre più forti e poco prima di
raggiungere il culmine mi allontana da sè facendomi sdraiare sulla
schiena e adagiandomisi sopra.
"Sono così felice! È così bello sentirti vicino!"
Non posso fare a meno di pronunciare queste parole. Ma il mio rossino
sembra capire cosa mi abbia spinto a farlo e mi bacia con trasporto. È
un bacio violento e profondo e mi piace moltissimo. Mi succhia le labbra
fino a farmi male e poi mi chiede scusa passandoci sopra la lingua con
delicatezza. Io mi aggrappo più forte alla sua schiena tracciando
segni rossi con le unghie. Le nostre gambe si intrecciano e i nostri bacini
entrano in contatto. Sento la virilità di Hanamichi dura e pulsante,
sul punto di scoppiare. 'Neppure il basket è così eccitante'.
Questo pensiero sorprende pure me. Se un mese fa qualcuno mi avesse detto
che un giorno avrei trovato qualcosa di più coinvolgente della
pallacanestro mi sarei messo a ridere - caso più unico che raro!
Cingo il collo di Sakuragi e inarco la schiena in modo da far combaciare
il mio torace con il suo. Una scarica di paura ed eccitazione insieme
mi pervade in tutto il mio essere. In risposta al mio gesto vedo accendersi
una luce nei suoi occhi.
Hanamichi si abbassa a succhiarmi un capezzolo già inturgidito.
Affondo una mano nei suoi capelli - ah! Non mi sono mai apparsi così
belli e morbidi finora - e spingo la sua testa verso il basso. Lui accetta
il mio tacito invito e si posiziona tra le mie gambe. Con la lingua traccia
una scia bagnata che parte dai testicoli e arriva alla punta del mio pene.
Improvvisamente mi artiglia le cosce e mi ritrovo dentro la sua bocca.
Mille sensazioni diverse mi si affollano alla mente e sopra tutte distinguo
il meraviglioso contrasto di colori creato dal bianco della mia pelle,
dal nero del mio vello e dal rosso dei suoi capelli.
Dalla gola mi escono strani versi: ansimi, singhiozzi e strilli. Ma tutto
questo dura poco e Hanamichi lascia la mia virilità per tornare
a tormentarmi la bocca soffocando il grido di protesta che ne stava uscendo.
Le mie mani vanno in cerca del suo pene turgido. Dapprima si muovono timidamente
e teneramente, poi si fanno sempre più audaci e decise. Con un
gesto deciso Sakuragi mi afferra i polsi e me li porta sopra la testa
mentre alterna baci e morsi sul mio collo.
"Hana, ti voglio dentro di me. Ora!"
Lui si blocca sorpreso dal tono di comando che ho usato. Si scosta un
poco per guardarmi bene in faccia con aria dubbiosa. Per fargli capire
la sicurezza della mia decisione alzo le gambe piegando le ginocchia.
Un gesto di sfida e di estrema fiducia nello stesso tempo. Hanamichi si
mette tra le mi e gambe, la punta del pene che preme sulla mia apertura.
Si ferma di nuovo, sembra ancora indeciso. Comincio ad agitarmi sotto
di lui. Il suo respiro si fa più affannoso nello sforzo di trattenersi.
"Cosa aspetti, idiota, un invito scritto?"
"Ma... Kae...."
"Fallo e basta!"
Mi fa quasi tenerezza la sua paura di farmi del male. Come se questo potesse
farmene! Io conosco la vera sofferenza e so riconoscerne l'odore a chilometri
di distanza. E so che tutto ciò che nasce dal suo amore non potrà
mai recarmi alcun danno.
In un attimo ricompare sul suo viso quello sguardo deciso che ho imparato
a conoscere giocando in squadra con lui. Mi afferra le natiche e mi solleva.
Con un unico movimento deciso penetra nel mio intestino. Il dolore per
l'intrusione mi fa irrigidire, ma Hanamichi sembra non accorgersene e
comincia a massaggiare con movimento ondulatorio un punto che mi trasmette
scariche di estremo godimento. Man a mano che le sue spinte crescono di
intensità il mio corpo si scioglie e il dolore viene soffocato
dal doppio piacere derivante sia dall'interno che dal 'massaggiamento'
del mio pene stretto tra i nostri ventri sudati.
Ci muoviamo insieme non come se fosse la nostra prima volta, ma come se
non avessimo fatto altro nella vita.
"Kaede.... sono dentro di te.... starò con te ..... per sempre"
"Ogni singola cellula.... del mio corpo ti appartiene.... amore mio".
Veniamo insieme. I nostri corpi sono uniti in una sincronia perfetta.
Hanamichi si è addormentato. Io mi sono incantato a guardarlo.
Il petto che si solleva sottolineando il respiro pesante, le ciglia abbassate
che sfiorano delicatamente le guance, la testa adagiata mollemente sul
mio petto. Per la prima volta nella mia vita mi rendo conto di essere
felice. Io sono felice! Ma è giusto che sia così? È
giusto che il mio trionfo sia costruito su una menzogna?
Sono il peggiore dei colpevoli. Ho taciuto alla persona che amo la parte
di me che non so se sarebbe riuscito ad accettare. Non ti ho raccontato
il motivo per cui sono degno solo del tuo disprezzo, anzi, del disprezzo
di tutti, compresi i miei stessi genitori.
Non basta che io ti abbia donato tutto me stesso, che ti abbia dato ciò
che avevo promesso non sarebbe mai stato di nessuno. Ciò che ti
ho dato te l'ho dato col cuore, ma ciò che io sono - ciò
che è questo mio povero corpo non è sufficiente per ricambiare
la gioia che hai portato nella mia vita.
Potrai mai accettarmi sapendo la verità? Potrai mai amarmi con
la stessa intensità con cui mi stai amando ora?
Non sono mai stato tanto felice come ora - e nello stesso tempo non sono
mai stato tanto disperato come ora. Questo è il momento in cui
tutto può avere inizio o in cui tutto può avere fine. Vivo
sballottato tra inferno e paradiso e affermo che non vi è mai stato
inferno così profondo o paradiso così luminoso.
Nel mio delirio vedo me stesso bambino. È a lui che rivolgo le
mie tormentose domande.
'Potrò vivere con questo rimorso che vive e si agita in me, che
si nutre di ogni attimo di felicità che mi viene concesso? Potrò
mai dimenticare, soffocare in una nube d'oblio ciò che per tanto
tempo è rimasto fisso nella mia memoria scolpito in caratteri di
fuoco?'
Ma il bambino che mi sta di fronte non mi risponde - e come potrebbe farlo
se io per primo non ho risposte a queste domande? Rimane a fissarmi con
sguardo vuoto e spento di chi ha il cervello annebbiato dai sedativi.
Intanto il mio amore, che continua dormire, si agita nel sonno cercandomi
e non si tranquillizza finchè non lo abbraccio stretto.
Angelo mio, così pieno di vita e di allegria, riesci a capire cosa
siano il rimorso, la vergogna, la paura e l'orrore? Sai cosa vuol dire
odiare qualcuno così forte da farti sanguinare l'anima? E dopo
che quel qualcuno è scomparso, ma tutto quell'odio ancora non ti
abbandona e tu sei costretto comunque a dirigerlo in qualche direzione
per evitare che ti soffochi - sai cosa vuol dire rendersi conto che l'unica
persona che ti rimane da odiare sei tu stesso? Sai cosa vuol dire stare
lontano dagli altri per paura di infettarli e contaminarli con il tuo
stesso virus - un virus dell'anima che mai nessuno è riuscito ad
estirpare?
Hanamichi emette un gemito basso e apre lentamente gli occhi. Trasale.
"Kaede che hai? Ma tu stai piangendo! Che ti succede?"
Sto piangendo? Ah! È vero. Non me n'ero accorto.
"E' per colpa mia? Kacchan, ti prego, parlami! Dimmi che cos'hai?"
C'è una nota di disperazione nella sua voce. 'Hana, amore mio,
come posso dirti la verità quando so che facendolo potrei perderti
per sempre?'
"Ho paura, Hanamichi! Stringimi, per favore".
È confuso, non capisce cosa mi stia succedendo, ma mi abbraccia
forte lo stesso e comincia a cullarmi come fossi un bambino.
"Dimmi che cos'hai. Cosa ti succede? Qualunque cosa sia la affronteremo
insieme e ne verremo fuori. Non escludermi dal tuo mondo. Fammi capire
cosa ti tormenta!"
Senza starci a pensare, la mia bocca comincia a muoversi da sola.
*FLASH BACK*
Era primavera inoltrata. Un bambino di nove anni giocava nel giardino
di casa. Rideva contento mentre faceva dondolare davanti al musetto di
un micino una spiga appena raccolta. Non si era accorto dell'uomo che
lo stava osservando da qualche minuto. Un giovane uomo molto bello dalla
carnagione chiara e i capelli castani chiari, non tanto alto. La cosa
che colpiva di più erano i suoi occhi. Il loro taglio obliquo e
sottile faceva ricordare quelli di una volpe. Il colore di quegli occhi
era nero come il pozzo più profondo dell'inferno.
Lentamente, con movenze feline, l'uomo si avvicinò al bambino.
"Ciao Kacchan. Giochi con il tuo gattino?"
Il piccolo Kaede alza lo sguardo e incrocia quello dell'uomo che gli rivolgeva
un sorriso. Chissà perchè al bambino venne in mente un documentario
sulle tigri che aveva visto di recente in televisione.
"Sì zio. Grazie per avermelo regalato. Mi piace tanto".
"Hai deciso che nome dargli?"
Il bambino ci riflettè un attimo e poi tutto contento disse:
"Lo chiamerò Hito come il mio migliore amico!"
La bellezza del sorriso di quel bambino era degna di essere immortalata
in un affresco di qualche pittore rinascimentale che l'uomo aveva studiato
durante gli anni dell'università in Europa. Aveva la grazia che
non appartiene a nessun sesso, ma è propria degli angeli.
"E' davvero un bel nome Kacchan. Mi raccomando, trattalo bene".
"Sì zio."
Kaede rimase per un po' pensieroso e poi ricominciò a parlare:
"Zio Shingo, è vero che vieni a vivere a casa nostra?"
L'uomo chiamato Shingo si sorprese un po' per la domanda. Si chiese quanto
gli avessero raccontato i suoi genitori, ma stabilì che non doveva
essere molto, altrimenti il bimbo avrebbe avuto paura di lui.
"Sì è così. Spero che ti faccia piacere".
"Mmmmmmhhhhhh...... direi di sì. Così mi potrai aiutare
con Hito!"
"Hito? Ah, già! Il gatto. Sicuro che ti aiuterò".
Suo nipote sembrò soddisfatto dalla risposta e riprese a giocare
con il suo micetto.
'Almeno lui non pensa che io sia un mostro come fanno tutti gli altri!'
Shingo Kamatari ripensò agli avvenimenti degli ultimi anni. Era
andato in Europa per specializzarsi negli studi sulla pittura. Sarebbe
diventato un grande artista. Era famoso nell'ambiente dell'accademia per
i suoi quadri che ritraevano fanciulli non ancora adolescenti. Poi era
scoppiato quello stupido scandalo. I parenti dei suoi giovani modelli
avevano cominciato a protestare dicendo che faceva cose strane ai loro
figli con la scusa di ritrarli. Le accuse erano giunte alle orecchie della
polizia locale che aveva cominciato a fare domande in giro sul suo conto
e i suoi genitori lo avevano fatto tornare immediatamente in Giappone
prima che venisse aperto un qualche procedimento penale a suo carico.
'Stupidi idioti! Si sono spaventati tanto per qualche semplice carezza
e per qualche piccolo dono'.
Anche la sua famiglia lo riteneva colpevole, tanto che suo padre lo aveva
cacciato di casa dicendo di non farvi ritorno fino al giorno della sua
morte e lui era stato costretto a trasferirsi a casa della sorella maggiore
e di suo marito.
'So bene che Mariko non mi ospita perchè mi crede innocente, me
solo per fare un dispetto al suo caro consorte'.
Per fortuna lì c'era qualcuno che lo stimava abbastanza degno della
propria fiducia e del proprio affetto. Il piccolo Kaede gli era corso
al collo non appena lo aveva visto arrivare. Quando poi gli aveva mostrato
il gattino che gli aveva portato in dono - lo aveva trovato abbandonato
in una scatola in mezzo alla strada mentre si recava nella villetta del
cognato - non la smetteva più di ringraziarlo.
'E' proprio un bravo bambino. Nonostante tutto, credo che mi divertirò
a stare qui'.
I giorni passarono. Ormai era estate. Shingo e il nipote trascorrevano
la maggior parte del tempo insieme visto che i signori Rukawa erano spesso
via per lavoro. Kaede era molto affezionato a quello zio che gli faceva
sempre dei bei regali. Ogni tanto, però, lo guardava in un modo
che non gli piaceva, come se lui fosse la preda di un qualche animale
selvatico. In quei momenti cercava di andarsene in un'altra stanza con
la scusa che il gatto doveva mangiare o che doveva andare in bagno.
Un giorno in cui erano rimasti soli in casa e fuori pioveva lo zio chiese
al nipote se poteva fargli il ritratto. Il bambino accettò entusiasta
per quella nuova esperienza. Shingo lo fece sedere sul divano e gli disse
di stare fermo più che poteva. Kaede rimase immobile per quasi
due ore. Finito il ritratto Shingo si avvicinò al piccolo e gli
si sedette vicino.
"Sei stato molto bravo Kacchan. Vuoi vedere come ti ho disegnato?"
L'uomo porse il suo album al bambino, il quale rimase molto impressionato
dall'opera.
"Zio, ma è bellissimo!"
"Se vuoi te lo posso dare, ma tu mi devi qualcosa in cambio".
Kaede lo guardò con aria perplessa.
"Io non ho niente da darti".
"Io, invece, credo che qualcosa troveremo".
Shingo prese la mano del nipote e la baciò piano. Il piccolo rise
divertito dal gesto dello zio. L'uomo, reso più ardito da quel
riso infantile, lo mise sulle sue ginocchia. Il bambino lo guardò
sorridendo e lo strinse baciandogli e leccandogli tutto il viso.
"Ti ho baciato come mi bacia sempre Hito. Ti basta questo per il
disegno, zio?"
Shingo era attonito. Non si aspettava una reazione del genere dal nipote.
Poi scoppiò a ridere.
"Sì Kacchan, direi proprio che può bastare".
'Per questa volta' aggiunse mentalmente.
Da quel giorno erano cominciati i loro 'commerci'. Ogni volta che Shingo
faceva un regalo a Kaede gli chiedeva qualche bacio o qualche carezza.
Ogni giorno le richieste dello zio diventavano sempre più strane
alle orecchie del nipote, ma il bambino non ci faceva troppo caso ed eseguiva
prontamente ogni richiesta che gli veniva imposta.
In genere i loro 'scambi' avvenivano di notte. Il piccolo Kaede rimaneva
sveglio ad aspettare l'arrivo dello zio. Sentiva avvicinarsi i suoi passi
nel corridoio, lenti come lava. Aveva letto in un libro che la lava può
muoversi ad una lentezza esasperante, anche di mezzo centimetro all'ora.
Quando in fine arrivava apriva piano la porta ed entrava. Poi si intrufolava
nel suo lettino.
"Kacchan, mi vuoi bene?"
"Sì zio".
"Ma mi vuoi tanto bene?"
"Sì zio, tanto tanto".
"Allora perchè non mi dai un bacio?"
Il bambino lo baciava come gli aveva insegnato, leccandogli leggermente
le labbra.
"Kacchan, mi vuoi bene solo perchè ti faccio tanti regali?"
"No zio. Io ti voglio bene e basta".
"Allora dimostramelo".
L'uomo cominciava ad accarezzarlo e a fargli un leggero solletico. Certe
volte quelle carezze erano piacevoli, altre volte erano ruvide e fastidiose
come i maglioni di lana che sua madre lo costringeva ad indossare. In
genere preferiva quando lo zio gli chiedeva di toccarlo in quel punto.
Alla fine il ragazzo era molto più dolce con lui e poi si sentiva
meno a disagio, meno toccato nell'interno - anche se tutte le volte doveva
pulirsi la manina da quella sostanza viscida e biancastra.
"Sei un tesoro Kacchan. Domani ti porto al mare, ti va?"
Un giorno al ritorno dalla piscina dove era stato a nuotare con il suo
amico Hitonari, Kaede trovò lo zio seduto sul divano con lo sguardo
fisso nel vuoto. Non c'era nessun altro in casa perchè i suoi genitori
erano impegnati in uno dei loro tanti viaggi.
"Cosa c'è zio, sei triste?"
"Sì, sono triste Kacchan".
"Perchè sei triste, zio?"
"Perchè so che tu non mi vuoi bene".
"Ma cosa dici zio?!? Lo sai che io ti voglio tanto bene!"
"Non è vero Kacchan. Dici così solo perchè sai
che dopo ti faccio qualche bel regalo".
"No, no! Anche se non mi regalassi niente io ti vorrei bene lo stesso".
Per un attimo il bambino si chiese se stava dicendo la verità.
In fondo non voleva che suo zio stesse male e questo vuol dire voler bene
a una persona, giusto?
"Kacchan, tu vuoi più bene al tuo amico Hitonari che a me!"
"Ma zio, Hito e io siamo amiconi e io gli voglio bene. Ma voglio
molto bene anche a te".
"Dici sul serio? Come mi fanno felice le tue parole!"
Shingo strinse il nipote in un forte abbraccio.
"Tu ti fidi di me, vero Kaede?"
Glielo chiese senza staccarsi da lui.
"Ma certo zio!"
"Quindi se io adesso ti facessi qualcosa che potesse spaventarti,
ma ti dicessi che è per il mio bene e che non c'è nulla
di male tu mi crederesti e non lo racconteresti a nessuno - neppure a
mamma e papà?"
"Certo che sì! Io mi fido di te".
Il bambino aveva dato la sua risposta senza esitare, cosa che fece felice
Shingo.
Lentamente l'uomo sollevò la mano sinistra e la infilò sotto
la maglietta del piccolo accarezzando la pelle nuda. Fece scivolare il
braccio attorno al petto del bimbo e lo attirò a sè in uno
stretto abbraccio affondando il viso nel suo tenero collo. Con movimenti
delicati gli sfilò la magliettina e cominciò a baciarlo
dal collo fino al piccolo capezzolo. Quando gli diede un leggero morso
il bambino emise un piccolo grido, ma non aggiunse altro.
Non disse niente neppure quando si ritrovò completamente nudo con
il corpo pesante dello zio stretto al suo. Non rispose alle frasi sconnesse
che l'uomo gli sussurrava all'orecchio. Lasciò che l'altro continuasse
imperterrito la sua opera. Quando, infine, venne quel dolore lancinante
che sembrava spaccarlo in due strinse forte le labbra fino a farle sanguinare
e dai suoi occhi scesero lacrime silenziose che non volevano essere trattenute.
'Ha detto che è per il suo bene, ha detto che non c'è nulla
di male. Io mi fido di lui. Io mi fido di lui!' Continuava a ripetersi
in testa queste parole sperando che lo aiutassero a mandare via il dolore
e il senso di infinita angoscia che lo avevano assalito. Ma non servì
a niente.
Dopo che, finalmente, il corpo sopra di lui aveva smesso di muoversi e
si era sdraiato al suo fianco il piccolo si alzò ignorando le urla
silenziose che provenivano dal suo corpicino martoriato e si rifugiò
nel suo lettino.
Per tre giorni Shingo cercò di fare uscire Kaede dalla sua stanza.
Cercò di allettarlo con doni, cercò di convincerlo blandendolo
con le parole, giunse perfino alle minacce. Ma il bambino sembrava chiuso
in un mondo tutto suo dove lo zio non lo poteva raggiungere.
L'uomo era distrutto e disperato. Si rendeva a mala pena conto di quello
che aveva fatto. Tutto quello che voleva era riavere la piccola manina
del nipote stretta alla sua mentre i suoi begli occhioni neri e fiduciosi
lo guardavano con tutta l'adorazione di cui è capace un bambino.
La terza notte dopo quell'infausto giorno, Shingo si trovava nel suo letto.
Non era più riuscito a dormire. Era stanco e depresso. Pensava
al giovane nipote e alla maniera per convincerlo a tornare a parlargli
quando ad un tratto udì la sua porta aprirsi.
Kaede era in piedi sull'uscio, illuminato dalla luce fioca di un lampione
in strada che entrava attraverso la finestra della camera. Aveva il volto
tirato e lo sguardo febbricitante. Gli occhi erano grandi e lo fissavano
immobili. Shingo non osava muoversi, aveva smesso anche di respirare per
paura di spaventare il bambino e farlo fuggire. D'un tratto si mise a
scrollare il capo in segno di rimprovero e a puntare il suo piccolo pugno
verso l'uomo. Il suo viso esprimeva una disperazione che si sarebbe creduta
impossibile per un ragazzino della sua età. Poi si coprì
improvvisamente il volto con le mani e corse via.
L'uomo restò fermo dov'era e sentì una lacrima scivolargli
sulla guancia, leggera come una carezza.
"Mio dio che cosa ho fatto? Che cosa ho fatto?"
Quando i signori Rukawa tornarono a casa, il giorno dopo, trovarono loro
figlio sporco di sangue e in stato catatonico nel suo letto e il giovane
rampollo della famiglia Kamatari morto dissanguato nella vasca da bagno.
I giornali parlarono per un po' delle strane voci che circondavano il
promettente artista Shingo Kamatari e delle sue frequenti crisi maniaco-depressive.
Poi la cosa cominciò a perdere di interesse e la faccenda fu archiviata.
Il piccolo Kaede, però, non poteva dimenticarsi con altrettanta
facilità quello che era successo. Per fortuna era uscito dal suo
stato catatonico, ma soffriva di violente crisi di pianto durante le quali
cercava di rompere tutto quello che aveva a portata di mano. Un giorno
sua madre trovò il gattino Hito appeso ad un albero con un nastro
intorno al collo. Kaede stava seduto lì sotto e ripeteva:
"Ora sei con lo zio Shingo, così gli terrai compagnia".
I Rukawa decisero di portare loro figlio in una clinica specializzata.
Ci rimase poco più di due mesi. Quando uscì gli venne diagnosticata
un' atarassìa cronica: aveva smesso di provare sensazioni violente
solo perchè aveva rinunciato ad ogni tipo di sentimento.
Tornato a casa passava le sue giornate guardando nel vuoto o uscendo di
nascosto mentre i suoi genitori erano impegnati in frequenti liti per
stabilire di chi fosse la colpa di tutto quello che era capitato. In genere
finiva che la colpa ricadeva sull'inconsapevole lascivia del bambino e
sulla instabilità mentale di Shingo.
Durante uno degli ennesimi litigi Kaede entrò nella stanza e fissando
suo padre e sua madre con sguardo deciso dichiarò:
"Da domani farò basket".
I due rimasero a guardarlo ammutoliti con occhi spalancati. Il giorno
dopo, Kaede si iscrisse in una squadra di mini basket.
Passarono gli anni, ma niente mutò sostanzialmente. A mano a mano
che passava il tempo i genitori del giovane Rukawa sopportavano sempre
meno la vista sua e la vista l'uno dell'altra. Cercavano di stare in casa
il meno possibile viaggiando da una parte all'altra del mondo per non
dover ritrovarsi insieme. Le rare volte in cui tornavano a casa facevano
in modo di essere presenti entrambi perchè preferivano i loro reciproci
insulti ai silenzi del figlio. Quel ragazzo che non parlava mai e che
si addormentava sempre - colpa degli psicofarmaci di cui aveva fatto uso
per tutto quel tempo - e che non si interessava a niente se non al basket
li intimoriva. Se avessero potuto lo avrebbero allontanato per sempre
dalle loro esistenze. Lui era la prova vivente di tutti i loro errori
e di tutte le loro mancanze.
*FINE FLASH BACK*
Appena ho smesso di parlare un pesante silenzio è caduto su di
noi. Mi stai odiando, vero Hanamichi? Ora che sai la verità ti
faccio schifo? Anche tu credi che sia stata solo colpa mia, che sia stato
io a provocare tutto ciò che è successo e che, quindi, me
lo meritavo? Io sì. Io mi odio. Io mi faccio schifo. Ed è
stata tutta colpa mia.
Ho provocato Shingo, gli ho sempre lasciato fare tutto quello che voleva
per avere in cambio qualche giocattolino nuovo e non ho mai fatto parola
del nostro 'commercio' per paura che Shingo si arrabbiasse con me e non
mi regalasse più niente.
Perchè mi abbracci ancora Hanamichi? Perchè non mi dici
di spostarmi e di non toccarti più perchè sono un essere
indegno?
"Se tuo zio non si fosse suicidato, ora uscirei da questa casa, lo
cercherei e poi lo ammazzerei come un cane".
Le sue parole mi colpiscono con la potenza di un fulmine. Le ha pronunciate
piano, lentamente, senza alzare la voce, ma con una forza e con un convincimento
tale che per un attimo mi hanno spaventato.
Alzo il volto per la prima volta da quando ho cominciato il mio racconto
e incrocio il suo sguardo. Non ho mai visto tanta dolcezza e tanta determinazione
negli di qualcuno. Mi accarezza il viso e posa delicatamente le sue labbra
sulle mie. È un bacio tanto puro e innocente che mi strugge il
cuore e le lacrime cominciano a scivolare sul mio volto.
"Non posso chiederti di cancellare tutto ciò che è
stato perchè è impossibile. Non ti prometterò che
con me riuscirai a dimenticare tutto quello che hai subito perchè
so che non ci riuscirei - nessuno ci riuscirebbe. Ma voglio che tu sappia
che io lo accetto. Accetto quello che è accaduto perchè
è parte di te, perchè ti ha reso la persona speciale e meravigliosa
che io amo tanto. Non mi importa se sarai triste per tutta la vita. Le
lacrime sul tuo viso sono di una bellezza incomparabile. Mentre mi raccontavi
il tuo passato e il tuo volto era preda dell'orrore e il tuo animo era
dilaniato dall'angoscia ti ho amato come mai ho saputo fare e come mai,
forse, farò di nuovo. Tu sei tu e qualunque sia il motivo che ti
ha reso tale, per me non ha alcuna importanza".
Dopo sei lunghissimi anni io, Kaede Rukawa, ricomincio a vivere.
Dopo essere rimasti a parlare per ore abbiamo deciso di fare un giro.
Ho chiesto ad Hanamichi di portarmi in riva al mare. Nonostante tutto,
continuo ad amare il mare.
Ora sono vicino a te. Nei tuoi occhi si riflette la luce del tramonto.
Siamo qui, vicini. Uguali. Nessuno dei due è superiore all'altro,
o meglio, ora mi hai fatto capire che non sono inferiore a te. Non sono
inferiore a nessuno. Sono libero, infine, dal mio senso di colpa. Questo
è il mio trionfo! Il passato e il presente appassiscono. Non hanno
più alcuna importanza. Ciò che conta sei tu. Ciò
che conta sono io.
Ti volti a guardarmi. I tuoi occhi sono pieni di luce, più forte
della debole luce di questo tramonto fine-invernale. Con il sole alle
tue spalle che sembra incendiare i tuoi bei capelli rossi mi appari bello
come un angelo. Il MIO angelo.
"Hanamichi, sai una cosa? Oggi.... è una bella giornata".
FINE OTTAVA PARTE
Capitolo 9...
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