Premessa: personaggi e ambientazioni sono presi dal mitico manga, mentre la trama non combacia sempre perfettamente: l’ho piegata ai miei scopi. Ho intenzione di aprofittare della carenza di informazioni che Inoue ha fornito riguardo alla vita privata dei personaggi, e siccome le loro caratteristiche fisiche, come del resto in molti altri manga, non sempre coincidono con lo standard giapponese, ho deciso di aprofittare anche di questo, creando qualche personaggio extra come piace a me (o come mi fa comodo).

Le mie note personali sono inserite fra parentesi quadre in modo che siano facili da distinguere, anche se si dovrebbero capire comunque: lo so che non siete scemi, spt perchè vi piace Slam Dunk!

Per ora non ho la più pallida idea di come andrà a finire: ragiono scrivendo e traendo ispirazione dalle altre ff (tranquilli, non rubo idee: nella mia testa si remixa tutto). Attenzione, per le persone sensibili: più avanti probabilmente iserirò una parte lime. Sto anche pensando di fare una copertina, ma questo si vedrà...

Se vi fa schifo limitatevi a non leggerla e non fatemelo sapere, potreste distruggere una giovane vita fiorente: mi sono impegnata tanto per voi, sigh!*

Beh, non mi resta che augurarvi...

Buon divertimento!

Sheera

*Suggerimento: Non prendetemi troppo sul serio...

P.S.: Scusate eventuali errori di battitura sfuggiti alla mia “attenta” analisi...

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Rosso Dorato


Capitolo I – Distrazioni

Un'altra noiosissima mattinata. Tantopiù che era martedì, il giorno peggiore della settimana! E di nuovo quell’incomprensibile lezione di fisica si affacciava imminente e minacciosa all’orizzonte dell’ora sucessiva.

Con questi pensieri camminava svogliatamente, quasi forzatamente, verso l’istituto liceale. Si aggiustò la divisa, scomposta come al solito. Quella mattina si era alzata di luna storta e aveva di nuovo inciampato in quell’imbranato di suo fratello, che si metteva sempre nei posti meno appropriati.

Poi si rese conto che di nuovo non aveva risolto gli esercizi di compito. Li trasse dallo zainetto (com’era malridotto, si sarebbe dovuta decidere a cambiarlo!), per darvi un’occhiata. Non capiva assolutamente nulla. Si mise a ridere, pensando alla predica che si sarebbe sorbita, come al solito, da parte del caro professore, del quale un sacco di sue compagne erano stracotte. Non le capiva. Poteva anche essere fichissimo, ma come diavolo si faceva a stare dietro ad uno che, oltre ad avere almeno dieci anni più di loro, si emozionava, nonché eccitava mentre spiegava una formula sull’attrito? Era assolutamente incomprensibile!

Intanto era quasi arrivata a scuola, e già cominciava a sentirsi presa dalla nausea. Suo fratello sarebbe stato in ritardo come sempre, ma non le importava nulla, perché quasi nessuno sapeva che loro due fossero parenti, almeno per il momento. Era tornata soltanto da due mesi dall’Europa, dove aveva seguito un corso d’inglese a Londra. Le era piaciuto. Ora aveva preso a frequentare la stessa scuola del fratello, che aveva da poco incominciato il primo anno. Lei era allo stesso punto, siccome erano nati nello stesso giorno, ma a due ore di distanza. Ad ogni modo non si notava che lui era “più vecchio”.

Continuava a camminare assorta. Era quasi arrivata al cancello.

Il ragazzo stava pedalando senza fare troppo caso alla strada, come al solito. Siccome la notte precedente aveva seguito una partita dell’NBA in diretta, ora era totalmente assopito. La cosa non costituiva un grosso problema: avrebbe potuto dormire in classe come al solito. Improvvisamente alzò gli occhi, rendendosi conto che doveva frenare immediatamente!!!… Troppo tardi! Era volato per terra, dopo che la ruota anteriore della sua bicicletta si era scontrata con le gambe di una ragazza. Era solo riuscito a vedere che anche lei portava la divisa dello Shohoku (bella scoperta, siccome erano a due metri dal cancello di quella scuola!), e a sentire l’urlo che lei aveva lanciato dopo l’urto. Ora si stava strofinando la testa, mentre considerava i danni subiti nello scontro. Non sembravano essercene. Poi guardò verso la malcapitata, che, rialzata, si stava spolverando la divisa e aveva cominciato a parlare, sempre dando le spalle al distratto ciclista.

Ragazza: “Vorrei proprio sapere chi è l’idiota… Queste divise fanno già schifo così, se poi si sporcano anche…”

Lui continuava a fissarla: le sanguinavano le gambe, ma sembrava non averlo notato. Poi alzò lo sguardo. Nel mentre, lei si girò.

Ragazza: “Ah, sei stato tu? Cretino! A cosa ti servono gli occhi? Li hai per optional? Prendermi alle spalle poi. Che razza d’uomo! Deficiente! Sei così deficiente che non ti accetterebbero nemmeno nel club dei deficenti!”

Aveva i pugni chiusi appoggiati sui fianchi e uno sguardo ringhioso. Il ragazzo si alzò, senza rispondere. Era destino che dovesse scontrarsi con gente dai capelli rossi… Scosse la testa, poi la guardò negli occhi e alzò l’indice verso le sue gambe. Lei, ancora più infuriata per il fatto che lui non si era scusato, si guardò le gambe e notò il sangue.

Ragazza: “Cavolo! Ma guarda cos’hai combinato… Mmh, però sono solo due graffi. Sarà bene che vada a lavarmi, mentre tu, razza di tricheco rimbecillito, vai a farti vedere dall’oculista. Cosa credi? Che un paio di begli occhi e quell’aria da duro ti siano sufficenti per farti perdonare le tue scemenze? Sei peggio di mio fratello!!”

Si girò, totalmente indispettita, e, senza nemmeno aspettare che l’altro avesse il tempo di replicare, marciò via a gran velocità, recandosi in bagno per pulirsi le ferite.

Lui aveva preso la sua bicicletta per il manubrio ed aveva varcato il cancello pensieroso, ma con la sua solita inespressività stampata sul volto. ‘Cretino, idiota, deficiente…Ma soprattutto: tricheco rimbecillito! Nessuna ragazza mi aveva mai insulato in questo modo! Incredibile! Poi… begli occhi, aria da duro… E che aria di sfida, poi! Mi ricorda qualcuno, ma non so chi…’. Il ragazzo continuava a rimuginare. Dopo aver sistemato la bicicletta era entrato nell’edificio. Una volta in classe aveva appoggiato la testa sul banco. Stranamente però non riusciva a dormire. Non aveva mai consciuto una tipa così… Tranne Ayako, che non considerava una ragazza normale. Era abituato a tipe che quando si rivolgevano a lui tenevano lo sguardo basso, con le gote rosse come pomodori. Comunque non ci aveva mai fatto troppo caso: quelle ragazzine gli davano sui nervi e non capiva perché non potessero comportarsi come persone normali. Inoltre gettava nel cestino quelle sciocche lettere che gli portavano o facevano arrivare per terzi: dopo aver avuto l’arditezza di leggerne una si era ripromesso di non farlo mai più. E poi a che diavolo avrebbero potuto servirgli? Erano tutte anonime! Non capiva le ragazze. Sembrava che più le ignorava, più le attirava. Ma perché? Non che avesse tendenze omosessuali, tuttavia non ne aveva mai incontrata nessuna che stuzzicasse la sua attenzione in modo particolare. Ora però continuava a pensare a quella ragazza così sicura di sé. Aveva i capelli rosso-dorati. I suoi occhi erano verdi scuri, li aveva stampati in mente. Continuava a vedersela davanti, con quell’espressione agressiva, mentre lo rimproverava. Era incuriosito, anche se non gli piaceva affatto essere stato trattato così. Voleva sapere come si chiamava, ma sperava di non incontrarla più, per non venire insultato di nuovo. In quel caso l’avrebbe certamente ignorata, perché non poteva alzare le mani su una femmina…

Erano alle solite: il prof. si era liberato della giacca e aveva allentato la cravatta, totalmente euforico a causa delle “splendide” formule che stava spiegando. ‘Questo è fuori davvero! E guarda quelle come sbavano, poi, perché si è levato la giacca! Non si può! Che palle!!! Ma come si fa a capire qualcosa di questa materia??? E poi allora è più carino quello della bicicletta di stamattina. Chissà chi era? Lasciamo perdere! Più sono belli, più sono scemi, è proprio vero! Ad ogni modo forse era solo distratto. [Forse? Nooo! Ma cosa te lo fa credere?] Sono stata molto scortese… Però poteva chiedermi scusa!’. Aveva picchiato un pugno sul banco, totalmente coinvolta dai propri pensieri.

Professore: “Signorina, lei mi sta ascoltando?”

Ragazza: “Eh?…Certo! Ma tanto non capisco niente comunque…”

Prof.: “Ma come, non capisce niente? Ma non è evidente? Non è bellissimo? Alla fine si riassume tutto in una formula sola!!!”

[Questo è realmente ispirato al mio prof. di fisica di prima liceo, e la battutta (dal “non è bellissimo?”) è ripresa pari pari ad un suo commento durante una lezione. Anche per quel che riguarda l’aspetto fisico ci siamo. In questo caso io mi immedesimo con la protagonista: non è bastato tutto ciò a rendere la fisica affascinante…]

Ragazza: “Sì, sì…” (sospirando)

Prof.: “Bene! E poi, se ha fatto gli esercizi, si ricorderà certamente di aver incontrato un problema del genere.”

Ecco, era di nuovo arrivato alla dolente nota degli esercizi… In qualche modo andava sempre a parare lì!

Ragazza: “Tanto sa benissimo che non li ho fatti…”. Aveva l’aria rassegnata, o forse meglio dire annoiata.

Prof.: “Aaaah! Di nuovo! Ma quando imparerà? Io sono convinto che lei ha delle grandi potenzialità…”

‘Mpf! Ci riasiamo, mo’ comincia!’. Si sbagliava. L’uomo aveva sospirato tendosi la fronte ed era tornato alle sue formule, deluso. Non comprendeva come non facesse ad adorare quella totale esattezza e logica che si trovava nella sua materia. Lei era rimasta sorpresa dal fatto che lui non avesse ricominciato come al solito con le prediche, ma non le spiaceva affatto. Per riconoscenza decise di tentare di seguire la lezione, ma non capiva comunque granchè. Intanto lui aveva felicemente constatato che la sua nuova tecnica funzionava…

Palestra dello Shohoku. Tutti stavano ancora correndo per il riscaldamento, quando un ragazzo dalla testa rossa entrò con aria sicura.

R. rosso: “Allegri, ragazzi! È arrivato il genio del basket! He! He!”

Improvvisamente si accorse di un’ombra minacciosa apparsa dalle sue spalle. Si girò, anche se sapeva benissimo di chi si trattasse.

R. rosso: “Ah! Gori…!”

Gori (Akagi): “Hanamichi, razza di deficente! Sei in ritardo come al solito! Vedi di scattare!!”

Sakuragi non se lo lasciò ripetere due volte, e partì in gran carriera, per raggiungere il gruppo di corridori. Intanto Rukawa gli aveva dato dell’idiota come al solito, naturalmente risvegliando le calde reazioni del rosso, che aveva ringhiato il suo nome a denti stretti e stava per azzuffarsi con lui. Poi improvvisamente si era accorto di Haruko, appena entrata in palestra insieme ad Ayako. “Stranamente” anche Miyagi si era arrestato nella sua corsa…

Sakuragi: “Harukina!”

Miyagi: “Ayakuccia!”

Rukawa li aveva guardati e aveva scosso il capo. Continuava a non capire. Soprattutto non capiva perché Haruko proprio non notasse quell’idiota di Sakuragi, che le sbavava dietro come un cammello. Almeno Ayako era più sveglia. Continuò a correre, senza farci troppo caso.

L’allenamento era concluso anche per quel giorno. Fuori era ancora chiaro. Rukawa uscì, inspirando profondamente. Gli piaceva quel profumo fresco e punzecchiante che si sentiva nell’aria del tardo pomeriggio. Si avviò per prendere la biciletta, quando improvvisamente la sua nuca fu colpita da qualcosa.

?: “Mi spiace molto! La palla mi è sfuggita…”

Disse una voce femminile alle sue spalle. Gli pareva di averla già sentita. Raccolse la palla, che era rimbalzata ai suoi piedi. Era una palla da pallavolo. Si girò per porgerla alla ragazza dietro di lui. Sgranò gli occhi: ancora lei?

Ragazza: “Ah! Tu sei quello di stamattina! Quello della bicicletta!” [Scommetto che ci eravate già arrivati…]

Rukawa: “…“

Ragazza: “Scusa, ma sei muto o cosa? Non ti ho ancora sentito pronunciare una parola!”

Ragazza 2: “Asuka, cosa combini? Se non torni qui, almeno lanciaci la palla!”

Rukawa (mormorando): “Asuka…”

Asuka: “Hai detto qualcosa? Incredibile, sai parlare! Beh, scusa, io devo tornare a giocare. Tu fa’ attenzione a guardare la strada: se andassi adosso ad un Tir non te la caveresti bene come quando sei venuto adosso a me!”

Rukawa era sorpreso. La ragazza non era più agressiva come quella mattina. Aveva invece assunto un tono quasi confidenziale.

Asuka (sorridendo): “Beh, mi raccomando, allora! Ci vediamo…”

Si era voltata e se n’era andata. Rukawa era sottosopra. Veramente si trattava della stessa ragazza con cui si era scontrato quella mattina? Non era più arrabbiata con lui. Era stata molto cordiale. Gli aveva adirittura sorriso, ma con un’espressione amichevole, non come gli sorridevano timidamente quelle ragazzine tormentose che ogni tanto gli ronzavano intorno.

“Asuka…” ripetè Rukawa.

Gli era sempre piaciuto il suono di quel nome, ma mai aveva incontrato qualcuna che lo portasse. Avrebbe voluto evitare di rivederla, ma non ci era riuscito. Ora però la cosa non lo infastidiva. Asuka… Nessuna ragazza gli aveva mai sorriso così. I suoi occhi verdi palesavano ancora quella sicurezza e forza d’animo. Era di nuovo incuriosito. Si avvicinò al campo di pallavolo per osservare la partita. Lei era in posizione di alzatrice, con i suoi lunghi capelli rossi legati dietro la schiena. Sembrava divertirsi un sacco, e gli pareva anche molto brava (malgrado lui non amasse visceralmente quello sport). Notando l’entusiasmo con cui giocava si rese improvvisamente conto che era come vedere sé stesso, mentre giocava a basket. Era totalmente concentrata sul gioco, ignorante il mondo al di fuori del campo. Rukawa accennò ciò che può parere un sorriso: gli piaceva quell’entusiasmo. Pensò che vedere quella ragazza in campo era come vedere un pesce sguizzare nell’acqua. Osservarla mentre giocava gli fece venire il desiderio di assistere ad una partita della squadra [perché, a che desiderio stavate pensando??]. Decise di informarsi il giorno seguente sul loro calendario. Non gli erano mai interessati altri sport all’infuori del basket, e nemmeno gli interessavano ora. Gli piaceva solo vederla giocare, anche se non ne capiva il perché. Poi sentì una voce maschile alla sua sinistra.

?: “Ah, Asuka! Se solo ti applicassi alla fisica come giochi a pallavolo…!”

Rukawa lo riconobbe immediatamente: era il suo prof. di fisica! E stava sospirando… per Asuka! Non credeva alle proprie orecchie! Sul suo volto si era dipinta un’insolita espressione di sorpresa, mentre guardava quell’uomo che pareva trasognante. ‘Si vede che è anche il suo prof. di fisica’. Fu l’unico pensiero che venne in mente al ragazzo, mentre tornava alla sua solita inespressività. Non si preoccupò di null’altro, non gl’intressava. Siccome cominciava ad avere un serio appetito, decise di andarsene a casa. Sicuramente sarebbe stato più interessante vedere Asuka giocare in una partita vera. Di tutto il resto non gl’importava niente.

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Ragazzo A: “La squadra di pallavolo, dici? Ho sentito che quest’anno tira un casino! Pare che abbiano una super-matricola, più o meno come te nel basket. Dicono che trascini tutta la squadra e che vogliono adirittura farne il capitano! Ma ti rendi conto? Una matricola…capitano! Com’è che si chiamava…?”

Rukawa: “Asuka?”

Ragazzo A: “Ecco sì, proprio così! Però il cognome com’era? Kura…qualcosa. Non mi ricordo.”

Rukawa: “Non me ne frega niente! Ti ho detto di dirmi quando giocano, non di raccontarmi la storia del club di pallavolo!”

Ragazzo A: “Va bene, va bene, non ti arrabbiare! Ecco, guarda, ti marco le date qui. Ormai loro sono alla fine degli interscolastici. Credo che quest’anno arriveranno ai nazionali… Ehm, va bene, non guardarmi così: dammi un momento per copiarle…”

Rukawa attese pazientemente che il suo compagno di classe finisse il lavoro. Aveva le mani in tasca e la solita espressione-ghiacciolo. Con la coda dell’occhio notò che Haruko gli si era avvicinata, ma non ci fece caso. Non gliene fregava niente.

Haruko: “Rukawa…” era rossa e teneva lo sguardo timidamente abbassato.

Lui non rispose, ma girò il viso di 60 gradi verso di lei [che sforzo!].

Haruko: “Volevo augurarti buona fortuna per la partita di oggi pomeriggio. So che giocherete contro il Ryonan, non sarà facile…”

Rukawa non rispose. Era felice di potersi di nuovo confrontare con il suo acerrimo rivale, Sendoh. Haruko, timida, fece un leggero inchino e si congedò. Il ragazzo come al solito non aveva proferito verbo. Intanto l’altro aveva finito di scrivere, passandogli il foglio con le date delle partite. Rukawa lo prese, facendo un cenno di ringraziamento con la testa. Poi si allontanò.

Sendoh lo fissava con il suo solito sorrisino di sfida. Ormai lo conosceva bene. Miyagi gli aveva appena passato la palla e lui era partito a gran velocità, riuscendo a sbalordire il suo rivale e andando a realizzare uno splendido Slam Dunk. Sendoh aveva sorriso e si era asciugato la bocca su un lembo di maglietta. La loro sfida si faceva interessante, come al solito. Mentre, come al solito, Sakuragi li guardava totalmente indispettito: gli avevano rubato di nuovo la scena! Poi iniziò, come al solito [e basta, abbiamo capito!], a macchinare i suoi geniali piani di trionfo. ‘Se lascio che Sendoh batta Rukawa, poi dovrò limitarmi a battere Sendoh… Ma certo, è così semplice! Sono un genio. Ma intanto devo togliermi dai piedi quest’altro idiota (Fukuda)!’

Lo Shohoku aveva vinto l’amichevole con un distacco di tre punti, meravigliosamente realizzati da Mitsui [sei grande!?] negli ultimi secondi di gioco. Tutto lo Shohoku era soddisfatto [il team, non il liceo...], mentre Sakuragi si pavoneggaiava come al solito. Avrebbero giocato presto una partita di ritorno contro la squadra capitanata da Uozumi (e Sendoh…).

Miyagi era intanto riuscito ad arpionare Ayako, e le chiedeva insistentemente un appuntamento, che lei rifiutava di accettare. ‘Ryota, scusa. Sei molto dolce, ma devi pensare solo a giocare per ora. Se poi quando ti guardo ti gasi e giochi al massimo non puoi che giovare alla squadra. Abbi pazienza…’.

Sakuragi naturalmente pensava a quando avrebbe descritto la “sua” splendida vittoria alla dolce Harukina, in quel momento a lezione. Sospirava il suo nome, senza accorgersi di quanto Akagi lo stesse guardando storto. Mitsui ridacchiava divertito alla scena, mentre Kogure sorrideva mitemente, soddifatto della partita.

Rukawa era rimasto indietro. Era pensieroso e, naturalmente, inespressivo. Nessuno stava però facendo caso a lui. Improvvisamente si scontrò con qualcosa. Alzò lo sgurdo, fino a quel momento rivolto a terra. Sendoh lo stava guardando. ‘Ultimamente per gli scontri sono messo male!’, pensò.

Sendoh (sfoderando uno dei suoi soliti sorrisi): “Scusa, Rukawa, ero distratto. Bella partita, comunque, eh? La prossima volta ti batto…”

Rukawa non rispose [avevate dubbi?]. Sfidò gli occhi del suo antagonista, per poi girarsi e allontanarsi. Sendoh non era affatto sorpreso da quel comportamento. Ridacchiò. Adorava quel modo di fare, ma solo quando si trattava di Rukawa. ‘Kaede Rukawa… Sei il mio più grande rivale! Se dovessimo un giorno giocare insieme…’

Rukawa intanto camminava spedito. Sendoh! Sempre lui! Era continuamente nei suoi pensieri, a volte se lo sognava pure di notte! Doveva distanziarlo a tutti i costi! Doveva diventare migliore di lui!

Rukawa entrò nella palestra affollata. Non poteva crederci: tanta gente per vedere una partita di pallavolo fra liceali? Andò a cercarsi un posto sul davanti della balconata. Trovatolo, si sedette, proprio quando partì il fischio d’inizio.

Eccola. Era di nuovo nella posizione di alzatrice. Rukawa si concentrò sulla partita per tutto il suo corso, trovando che quello sport non era poi male. Ma la cosa che l’aveva portato a pensare ciò era stata la prestazione di Asuka. Non solo giocava bene nel ruolo di alzatrice, ma era anche una buona attaccante. Non trovava problemi nemmeno in difesa, e spiazzava spesso le avversarie con servizi effettati, mentre, con tuffi spericolati, salvava la palla in extremis. Si capiva che era già ad un livello superiore rispetto alle altre. Le sue compagne erano visibilmente trascinate da entusiasmo e talento della loro nuova punta di diamante.

Quando la partita si concluse Rukawa tirò un pofondo respiro. Aveva desiderato fino in fondo che lo Shohoku vincesse. Non si era affatto appasionato al gioco in quanto tale, ma avrebbe trovato ingiusto non premiare la dedizione e la passione di quella ragazza dai capelli rossi. In quel momento si rese conto di invidiarla. Voleva essere come lei. Era ciò che tentava di fare da molto tempo. Si capiva subito che Asuka era una stella nascente, e lui si rendeva conto che, malgrado il proprio talento, nel suo sport non aveva ancora raggiunto un simile distacco dai suoi compagni. Forse anche perché non riusciva a trascinare la squadra, a differenza di… Sendoh! Tornava a tormentarlo, come al solito. Ma non era più bravo di lui! Era solo diverso [ nel senso caratteriale…]! Si alzò nervoso, decidendo di andare a fare due tiri per scaricarsi. Poi lo vide. Non lo aveva notato per tutta la partita, tanto era concentrato sul gioco. Che diavolo poteva farci quell’idiota di Sakuragi da quelle parti? Insieme a lui il resto dell’armata. Evidentemente quegli imbecilli erano andati lì per guardare le ragazze. Senza preoccuparsene oltre, uscì dalla palestra velocemente per evitare la folla.

Stava scendendo la sera. Con la borsa sulle spalle si avviò verso casa. Abitava lì vicino. Poi si fermò. Aveva notato un piccolo campo da basket disegnato a grandi linee sotto un canestro mezzo diroccato, appeso ad un muro. Siccome non faceva mai quella strada, non ci aveva mai fatto caso. Aprì la borsa e ne trasse una palla. Cominciò ad allenarsi. Il tempo passava rapido e la sua mente era ormai sgombra da ogni pensiero. Erano passate quasi due ore, fra tiri e rapide pause per riprendere il fiato. Doveva migliorare la condizione fisica. Fece un altro tiro, che entrò elegantemente a ciuffo.

?: “Ciao, ciclista! Giochi a pallacanestro?”

Rukawa si fermò. Questa volta riconobbe la ridente voce con certezza. Si girò e la fissò. Di nuovo Asuka…

Asuka: “Hai trasformato la bicicletta in pallone? Io preferisco quelli da pallavolo…”

Rukawa: “…”

Asuka: “Scusa, posso chiederti come ti chiami, o dovrò chiamarti “ciclista” per tutta la vita? Pare che ci incontriamo spesso…”

Era allegra e rilassata. Non assomigliava a nulla che Rukawa conoscesse in fatto di “gentil sesso”.

Rukawa (tranquillo e noncurante): “Rukawa Kaede…”

Asuka: “Wow! Sono le prime parole che mi rivolgi! Se continuiamo così, forse fra quache millenio ci sposiamo! Ah ah ah!”.

Rukawa non se ne preoccupò: era evidente che lo stesse prendendo in giro. Si voltò e fece un altro tiro a canestro.

Asuka: “Ri-wow! Te la cavi benino, eh? Giochi nella squadra dello Shohoku?”

Rukawa (senza guardarla, voce disinteressata): “Sì…”

Asuka: “Bene. Se sei così bravo, ho deciso che verrò a vederti giocare. Scommetto che sarà divertente: sembri uno che ci mette l’anima. Non che il basket mi interessi molto come sport, però… Mi incuriosisci!”

Il ragazzo era sorpreso. Asuka aveva detto esattamente ciò che lui aveva pensato riguardo a lei e alla pallavolo. Come mai avevano gli stessi pensieri, ma lei li esprimeva e lui no? Erano simili e molto diversi. Intanto continuava a tirare.

Asuka: “A proposito, io mi chiamo Asuka. Posso farti una domanda?”

Non rispose. Ormai lei aveva capito che la cosa migliore era cercare di interpretare i suoi silenzi. In fondo se non avesse voluto rispondere alla domenda, si sarebbe limitato a non farlo.

Asuka: “L’ho capito che adori la pallacanestro, però… che ne pensi della pallavolo? Ti piace almeno un po’? Il mio sogno è di diventare la migliore giocatrice del Giappone, e portare la nazionale in trionfo alle Olimpiadi!”

Era nuovamente colpito. Avevano lo stesso sogno. Rukawa voleva diventare il migliore giocatore di basket del Giappone e, se poteva, adirittura del mondo intero! Buffo, però, non aveva mai pensato alle Olimpiadi.

Asuka: “In fondo anche tu pratichi un gioco di squadra, dovresti capire cosa intendo. Nei nostri sport nessuno può giocare senza squadra.”

Rukawa: “Mi piace vederti giocare…”

Asuka sorrise. Era uno dei complimenti più limpidi che avesse mai sentito. Era inoltre certa che, detto da uno che non parlava mai, non poteva che essere sincero.

Rukawa riprese: “Tu non avrai problemi a realizzare il tuo sogno…”

Asuka: “Lo pensi tu. Sono solo una giocatrice mediocre. Certo, forse migliore delle mie compagne di squadra. Ma sai quante brave giocatrici ci sono? Dovrò ancora impegnarmi per arrivare al loro livello!”

Ora erano diversi di nuovo. Rukawa non si era mai posto il problema di quanti avversari avrebbe dovuto superare. Era inoltre fieramente convinto del proprio talento. Tuttavia sentiva che quella ragazza aveva qualcosa in più di lui, qualcosa che la rendeva migliore nella sua passione. Che fosse l’umiltà? Voleva assolutamente scoprire il suo segreto.

Asuka: “Scusa, Rukawa, adesso devo scappare. Se sto fuori troppo per le mie passeggiatine serali, mio fratello si tira le paranoie. Però a Londra ero così abituata a farlo…”

Rukawa: “Londra…?”

Asuka: “Ho seguito un corso di lingue e sport. Studiavo l’inglese e giocavo… a pallavolo, ovviamente. Le mie amiche inglesi mi hanno insegnato moltissimo, soprattutto l’umiltà. Quando sono arrivata fra loro ero un po’ gasata, sai, essendo la più brava alle medie. Ma ho scoperto presto quante cose si possono imparare!”

Umiltà! Questa parola gli aveva trapassato la mente. Non aveva mai pensto ad una cosa del genere. A che pro essere umili, di fronte a gente che comunque non è migliore di te? [Nota: Asuka parla, Rukawa pensa...]

Asuka: “Mmh, ma che tipo pensieroso! Ora capisco perché mi sei venuto adosso ieri! Ma non preoccuparti, ti ho perdonato, sai? Sei stato molto carino a venire vedermi giocare.”

Bum, di nuovo! Si era accorta di lui? Eppure sembrava totalmente concentrata sulla partita. Com’era possibile? Forse nelle pause fra i vari tempi? Inoltre gli aveva anche detto che era stato carino…! Voleva risponderle, dirle una qualsiasi cosa, per trarsi da quell’improvviso imbarazzo.

Rukawa: “Ti ho vista allenarti dopo che mi hai colpito… Ero curioso di vedere come giocavi in partita. Non mi piace molto la pallavolo…”

Asuka: “E a me non piace molto il basket, ma mi sento costretta a ricambiare il tuo favore. Ti prometto che verrò vederti giocare!”

Sorridendo allegramente aveva preso la sua mano e aveva incrociato il proprio mignolo al suo.

Asuka: “Ogni volta che verrai a vedermi, io ricambierò, venendo a vedere te! Promessa! Ma non pretendo la stessa cosa da parte tua, tranquillo. Ci penserò da sola. Ora devo scappare sul serio! A presto, ciao!!”

Era corsa via all’improvviso. Rukawa si guardò la mano, sbigottito da quell’improvviso contatto. Gli sembrava di poter ancora sentire quel migniolo stringergli il suo, e quegli allegri, forti e verdi occhi fissarlo. Si sorprese a sorridere, lusingato da quei complimenti. Rapidamente si riscosse: dov’era finito il Rukawa che conosceva? Due occhi verdi scuri l’avevano spazzato via per qualche attimo. Ma eccolo di nuovo tornare, impassibile come prima!

Rukawa: “Femmine! Chi le capisce è bravo!”

Andò a prendere le sue cose e si incamminò, avendo deciso di rientrare a casa.

>Continua... ===>capitolo 2