La Fuga

di Gaia

Questa è la versione riveduta e corretta. Direte che non è cambiato niente. Effettivamente non ci sono state grandi modifiche, ho solo corretto un po’ di errori di ortografia, soprattutto quello vergognoso per cui avevo scritto Areche e non Arras (un errore dovuto all’ignoranza), poi ho tolto alcune ripetizioni e qualche periodo superfluo. Spero che la storia ne abbia guadagnato in stile.

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La sua testa scoppiava, doloranti le tempie le pulsavano, una morsa come rovente le attanagliava il capo impedendole di dormire, di pensare, persino di muoversi.

Solo un lamento riusciva ad emettere, inarticolato, quasi come quelle parole incomprensibili che escono dalla bocca dei pazzi, ripetitive, ossessive. Gli occhi fissi e inebetiti versavano copiose lacrime, ma lei sembrava non accorgersene, persa in quello strano lamento:- chi sei Andrè, chi sei, chi…-

Aveva freddo. Quella sensazione la riportò pian piano ad uno stato di normale sensibilità; aveva smesso di gemere, si asciugò gli occhi: il solo movimento delle braccia si rifletté dolorosamente sul suo mal di capo, le tempie le pulsarono ancora di più, dovette chiudere gli occhi per non mancare.

Procedendo lentamente però, si rialzò, si levò quei pochi indumenti che ancora le rimanevano addosso e piano, faticosamente, con i movimenti appesantiti di un vecchio, si vestì e si coricò, cercando di rilassarsi e di avere un ragionevole controllo di se stessa, per pensare, almeno.

La sua vita era sempre stata pianificata a tavolino, con raziocinio ed efficiente precisione; suo padre aveva deciso di lei come era solito decidere la strategia prima di una battaglia. Anche lei aveva sempre cercato di ragionare così, riuscendoci peraltro molto poco e quelle poche volte, ironia della sorte, solo per merito di Andrè, e comunque tutte le volte che aveva agito d’istinto aveva sofferto irrimediabilmente. Ora più che mai, in un momento così tragico, non doveva tradirsi, non doveva lasciarsi andare alla disperazione, era quello il momento in cui essere davvero un uomo: comportarsi coraggiosamente e con dignità soffocare il dolore.

Le rimaneva però un interrogativo pressante, un tarlo: Andrè, chi era veramente lui? In tutti quegli anni lo aveva conosciuto in modo diverso da come le si era rivelato solo qualche ora prima. Era sempre stato capace di compensare la sua impulsività con ragionevole persuasione, con paziente dolcezza, era indubitabilmente la parte migliore di lei, il suo compagno di giochi, il confidente, la sua ombra. Ma come spiegarsi il gesto di quella sera? Chi era realmente quella belva furiosa che l’aveva assalita? Era Andrè? Sì era lui, proprio lui. Possibile che la sua premura e il suo affetto fossero solo una maschera di servile opportunismo? Possibile che avesse potuto recitare per più di venti anni? Le aveva chiesto perdono di quel gesto efferato adducendo come scusa di essere innamorato di lei, di aver soffocato per tanto tempo un sentimento così forte che alla fine si era manifestato nel modo peggiore… balle. L’amore, quello vero, non si manifesta mai con la violenza verso la persona amata.

Si sentiva tradita, sola, senza certezze ne’ orizzonti. Sentiva il suo orgoglio dirle di andare avanti, di ricostruirsi quello che le era crollato intorno, di reagire con la sua proverbiale prontezza… così pensava e intanto senza accorgersene, la sua mente si alleggeriva, scivolando tra le braccia del sonno. Pur dormendo la sua mente continuava a lavorare, ragionando però, ora che era libera degli impedimenti delle emozioni del momento, in maniera più scorrevole e produttiva: i suoi pensieri si susseguivano consequenziali come i passaggi di un teorema logico che lei conosceva alla perfezione. Contemporaneamente anche il suo corpo si alleggeriva, le sembrava di fluttuare nell’aria o nell’acqua come dentro un nuovo alveo materno da cui sarebbe uscita rinnovata, un senso di quiete la pervadeva e anche il mal di testa stava annegando nel mare dei suoi pensieri.

Si rendeva conto, come una pura constatazione, senza sofferenza, che gli episodi dei giorni precedenti con Fersen prima e con Andrè poi rendevano la sua presenza a Parigi insostenibile. Le sue dimissioni dalla Guardia Reale però non bastavano ancora: doveva trasferirsi altrove allontanarsi dal presente, trovare una nuova via. Lasciava che fossero gli insegnamenti di suo padre a guidarle la strada, era più facile seguire una direzione piuttosto che trovarla da soli. Doveva andarsene e tornare più uomo e più forte che mai, era naturale, semplice, era quello per cui era nata e cresciuta.

Cambiare poi non sarebbe stato neanche lontanamente possibile, non si sarebbe mai potuta adattare alla ristrettezza di orizzonti che limitavano la vita di una donna: un matrimonio di puro interesse con un uomo che non avrebbe mai amato e che avrebbe prima o poi finito per disprezzare; i figli forse, ma lei non era nata per fare la madre. Come tutte quelle del suo rango avrebbe goduto di un grande sfarzo: gioielli, abiti, carrozze…Avrebbe potuto fare come facevano molti, anzi tutti, avrebbe potuto sfruttare a suo vantaggio personale il legame con la regina, per ottenere ancora di più…sì ma alla fine cosa di veramente importante? Sarebbe diventata una dama insulsa e frivola come tutte le sue sorelle.

No… la vita di un uomo era di gran lunga più interessante: la libertà, l’azione la guerra, la morte gloriosa sul campo di battaglia… volendo avrebbe anche potuto viaggiare e visitare posti lontani, magari l’America… ma questo solo se fosse stata un uomo.

Sì, lei poteva vivere solo da uomo, adesso ne era più certa che mai.

 

***

 

Riaprendo gli occhi il mattino seguente si sentì molto riposata. Lo sguardo le si posò per caso sui brandelli della camicia strappatale da Andrè: sentì un brivido percorrerle gelido la schiena e riaffiorarono i tremendi ricordi della sera prima. Per fortuna i suoi occhi capitarono subito sulla sua divisa, allora si tranquillizzò: con la mente ripercorse i pensieri notturni, le davano sicurezza, la sicurezza che, con la divisa addosso, una qualsiasi divisa, la vita non le avrebbe più potuto giocare i brutti scherzi della sera precedente. Si alzò con baldanza, constatando con piacere che il mal di testa si era volatilizzato e che aveva un grande appetito. Aveva come la sensazione di essere ancora bambina, quando era fermamente convinta di essere un maschio, anche fisicamente: lo sentiva ancora, era un’emozione tangibile e solida.

-Maledizione!- imprecò invece vedendo nelle sue lenzuola delle chiazze di sangue.

Quelle familiari goccioline la guardavano beffarde, ridendosene del suo volere essere uomo e manifestando anzi tutto il contrario. Oscar vacillò nel ritrovarsi travolta da quei fantasmi che per quanto faticosamente cacciati, ora tornavano a farle paura. Ma ancora una volta le sue illusioni riuscirono almeno per il momento a velare quell’abisso che la dilaniava. Era un giorno nuovo quello, carico di speranza per un futuro almeno più sereno. Si vestì, facendo finta di niente e continuando con noncuranza quello che si era prefissata di fare: la richiesta di un nuovo incarico che la portasse lontano.

***

- E’ una pazzia, un atto sconsiderato!! Mi domando come ti sia venuto in mente di richiedere un incarico simile!! Come al solito vuoi fare tutto di testa tua. Se almeno me lo avessi detto con le mie conoscenza avrei potuto trovarti un incarico meno ingrato di questo! Ma ti rendi conto, almeno? Fai come ti pare, comunque. Se preferisci la vita di mare a quella di terra, liberissimo, ma sappi che questa tua supina mancanza di ambizione mi irrita oltremodo.-

Oscar si limitò ad annuire in silenzio, il generale la guardò con un’occhiata mista di dispetto, rabbia e rassegnazione, quindi uscì dalla stanza a passo deciso e sbatté la porta..

- Però non l’ha presa poi così male, mi aspettavo molto di peggio – pensò Oscar. Tuttavia non poteva dargli torto, effettivamente il suo non era un incarico prestigioso, tutt’altro: si trattava di una missione di esercitazione, controllo e rappresentanza, attorno alle coste francesi. Il lavoro si presentava molto faticoso e poco gratificante, senza contare che per lei sarebbe stato più impegnativo visto che era completamente digiuna di esperienza in mare. Aveva ragione suo padre: era proprio un lavoraccio, sicuramente indegno di lei. Ovviamente di questo non le importava affatto: lo scopo per cui l’aveva accettato era molto lontano dalle sue velleità carrieristiche; fatica, stordimento, oblio erano quello che cercava, le aveva intraviste in quell’incarico e tanto bastava. Ritornò nella sua stanza per controllare i bagagli, sarebbe partita il giorno seguente allo spuntare dell’alba alla volta di Le Havre, dove si sarebbe imbarcata. Pensò ad Andrè. Non voleva andarsene da lui in modo così vigliacco, senza neanche annunciargli la sua partenza, contemporaneamente però, non se la sentiva di affrontarlo faccia a faccia, per cui si sedette a scrivergli un biglietto:

 

Andrè,

come avevo già deciso, non rimango a corte. Ho trovato un incarico che fa al caso mio e che mi porterà lontano da Parigi. Devo vivere la mia vita da sola. Volevo solo dirti che ho dimenticato quello che è successo ieri sera e che ti ricorderò come ti ho sempre conosciuto. Le nostre vite d’ora in poi continueranno separate.

Tua Oscar

Consapevole o no, mentiva a se stessa e a lui: non era vero che aveva dimenticato e non era vero che non scappava da lui. Lo odiava con tutte le sue forze per quello che le aveva fatto, ma ancor di più aveva una paura folle di quella femminilità che continuava a rinnegare e che le era stata cosi brutalmente rivelata. Solo Andrè, però, la vedeva come una donna -Fersen la considerava ancora un uomo a tutti gli effetti- e lontana da lui poteva vivere senza veder riflesso nei suoi occhi quello spettro angosciante.

 

***

SEI MESI DOPO

Mancava poco alla vendemmia, lungo i filari di vite erano appesi degli invitanti grappoli rossi, quel rosso che in diverse tonalità infiammava la campagna: i campi arati, i boschi ora di fuoco, persino le acque degli stagni riflettevano in quel tramonto tardo settembrino il colore di un cielo arancione, incendiato anch’esso.

L’ombra allungata di un cavaliere procedeva stancamente lungo il sentiero che si inoltrava in quella campagna così festosa. Ormai mancava poco a casa, Oscar era quasi arrivata.

Pochi avrebbero riconosciuto in lei quell’elegante ufficiale che solo sei mesi prima frequentava la corte, la vita di mare non aveva avuto pietà e l’aveva profondamente cambiata, era l’ombra del comandante delle Guardie Reali.

La pessima alimentazione l’aveva dimagrita e sfinita, la faticosa vita di bordo aveva rinforzato il suo corpo ora più muscoloso e forte. La sua figura, per quanto scarna, si presentava nel complesso nodosa e scattante, promettente una forza squisitamente mascolina: se già prima la sua femminilità era difficilmente intuibile, ora sarebbe stato impossibile vederla, anche da parte di chi aveva familiarità con lei. Camminava lentamente verso casa, con il sole in faccia: c’era abituata ormai, a forza di guardare sempre oltremare nella luce abbagliante, non le dava più fastidio. Anche la sua pelle mostrava i segni di quella confidenza con ogni tipo di intemperie: piccole rughette bianche attorno agli occhi emergevano dall’abbronzatura del suo viso, la pelle era secca e screpolata, le labbra, spaccate, parlando le sanguinavano, anche l’espressione del volto ne risultava indurita e severa.

Il portamento era più altero e fiero che mai, in un atteggiamento che denotava una posa ottenuta con notevole sforzo; lo sguardo, attento e scostante, si posava sull’ambiente circostante come se cercasse di prevenire tanti potenziali pericoli senza farsi accorgere che era vigile a attento. Aveva anche imparato a misurare le sue parole, parlava poco e solo per stretta necessità e quello che diceva era sempre accompagnato da un tono che, vista la congenita riluttanza ad obbedire della ciurma, aveva imparato ad essere sempre più che autoritario.

La nonna stentò a riconoscerla, rimanendo sconvolta dal suo aspetto:

- Bambina mia, ma che ti hanno fatto!! Ma tu guarda come sei ridotta… Ah ma adesso ci penso io, ti rimetto in sesto io… ma guarda come sei sciupata… la mia bambina…- gemeva disperata.

- Su nonna non preoccuparti, sto bene… ho solo bisogno di un bel bagno caldo e di un buon letto…-

- Oscar bentornato!!-

- Padre!!-

- Sono contento di rivederti, sei molto cambiato, sì hai proprio l’aria di un marinaio…c’è Andrè di là, vorrai salutarlo… ancora devo capire perché non l’hai portato con te… ti lascio cambiare, ne avrai bisogno…-

- Padre, ma dove è stato Andrè tutto questo tempo?- Oscar rabbrividì.

- Come tu non sai niente? - chiese il generale piuttosto sorpreso.

- Beh… veramente no, sono partita di fretta e …- rispose Oscar imbarazzata.

- Questa storia non la so bene neanch’io, ma la nonna mi ha detto che dopo che tu sei partita voleva andarsene, ma, quando sono tornato io dopo due settimane non ho fatto fatica a farlo restare… abbiamo risistemato la nostra, beh oramai tua… tenuta di Arras… in pratica ha diretto lui i lavori controllato che tutto andasse come doveva. –

- Ah… bene e cosa è stato fatto? –chiese Oscar nascondendo il suo disagio.

- Gli argini avevano bisogno di una risistemata e le stalle erano diventate piccole e sono stati ripiantati gli alberi da frutto che erano stati portati via dal vento lo scorso inverno.-

- Che bello! – pensò Oscar salendo le scale- non è stato cambiato nulla ad Arras.-

Come rimpiangeva i luoghi della sua infanzia! Erano bei tempi allora… ripercorse ogni episodio della sua vita, in ogni ricordo c’era Andrè accanto a lei. Era tornata molto cambiata dalla sua missione non solo nel suo aspetto fisico, ma anche nelle intenzioni riguardo a lui. Il suo punto di vista era completamente mutato, nutriva delle buone intenzioni, ma aveva bisogno di tutto il suo coraggio per metterle in pratica. Forse un bel bagno caldo le avrebbe chiarito le idee, si mise a ridere per mascherare la tensione che tratteneva da tanto.

In un primo momento, appena partita, il ricordo di lui, che riaffiorava spesso nella sua mente, le dava un senso di nausea e precarietà. Allora reagiva rabbiosamente a quel pensiero concentrandosi su quello che stava facendo, oppure, per compensare quella sensazione di instabilità, si dimostrava più dura ed esigente con i suoi sottoposti.

Con il passare dei giorni però, cominciò a sentire la sua mancanza per le cose più piccole e banali: le sue pistole, nessuno le sapeva preparare come Andrè; la sua spada, non sapevano i suoi attendenti che lei voleva fosse sempre lucidissima, si seccava di doverli istruire da nuovo; lui, Andrè era sempre molto attento a questi particolari. Per questi futili motivi si ritrovava spesso a pensarlo nel corso della giornata: era sempre stato al suo fianco in tante situazioni, sia nei momenti critici sia in quelli più divertenti. Spesso ricacciava quei ricordi, ma altre volte non poteva fare a meno di cullarsi nella nostalgia.

Quando la vita di bordo diventava insopportabile, allora rimpiangeva le serate trascorse a tirar di spada, oppure, quando al tramonto il sole annegava nel mare, inondandolo di rosso sangue, si perdeva nei ricordi del passato: le sarebbe piaciuto ora avere qualcuno al suo fianco per sfogare il disagio di quella nuova vita che non le apparteneva. La maggior parte delle volte non indulgeva in quelle fantasticherie e si dava della stupida, forzatamente evocava la penosa vigilia della sua partenza per dimostrare a se stessa che alla fine quello che stava facendo era la cosa migliore.

Nonostante i suoi sforzi, quella nostalgia si radicava sempre più salda e, per quanto cercasse di scacciarla, attecchiva crescendo ogni giorno di più. Le sue reazioni allora erano rabbiose e si tuffava nel lavoro con ritrovata abnegazione, talvolta il suo impegno la spossava tanto che la sera stentava a prender sonno e allora la sua mente si riempiva ancora di Andrè: la sua presenza ossessionava i suoi sogni agitati, tormentati da emozioni che non sapeva ancora definire. Quella repressione però non riusciva ad intaccare il ricordo di Andrè, al contrario logorava il suo corpo che si deperiva sempre più e si sorreggeva solo grazie alla sua orgogliosa tensione.

Con il passare dei giorni trovava inspiegabilmente cambiate le sue opinioni, l’episodio che l’aveva tanto sconvolta, ora riusciva a vederlo in maniera distaccata e serena: si sorprese a non averne più paura, lo vedeva per quello che realmente era stato: lo sfogo incontrollato di un amore troppo a lungo represso.

Quando riuscì ad ammettere questo a se stessa allora nel suo cuore si aprì una breccia verso la femminilità: come donna aveva suscitato l’amore e il desiderio di un uomo, come donna anche lei aveva provato, per quanto immaturo e superficiale, una sorta di amore verso un uomo. Anche lei era nata per l’amore e più passavano i mesi su quella stramaledetta nave più il suo cuore veniva preso da un misto di emozioni che non le lasciavano scampo, il pentimento, la nostalgia, la rabbia verso se stessa, ma soprattutto un sentimento di amore bruciante. Amava Andrè, doveva chiamare le cose con il loro nome: inutile cercare di illudersi, lei lo amava, ricambiava quello che lui aveva provato per lei.

Abbandonato senza scrupolo alcuno, non sapeva dove potesse essere né cosa facesse; se gli fosse accaduto qualcosa di male, se avesse scommesso qualche scelleratezza per colpa sua, non se lo sarebbe mai perdonato. Questo tarlo la dilaniava come mai prima, il rimorso la divorava dall’interno rubandole ogni energia, scarnificando quel corpo già esile, le toglieva l’appetito, la distruggeva, aspettava con ansia la fine di quei sei mesi e si malediceva.

Con gli occhi chiusi, rilassandosi immersa nell’acqua bollente, Oscar era in subbuglio: Andrè era ancora lì, lì per lei, in quei mesi non aveva fatto altro che aspettarla fedele, occupandosi della sua tenuta, lavorando per lei, ancora. Voleva scendere e abbracciarlo, ma si tratteneva ancora: tante volte in quei mesi di sofferenza aveva sperato in un riconciliazione, sognava che avvenisse nei luoghi della sua infanzia ad Arras…

Uscì dall’acqua bollente sentendosi già meglio, si avvolse in un delicato telo di lino e si sedette di fronte alla specchio. Sulla consolle c’era una lettera00 sigillata: era lo stemma di Fersen. Curiosa e febbricitante l’aprì.

Era data cinque mesi e mezzo prima, poco dopo la sua partenza.

 

Cara Oscar,

vi chiedo perdono per non aver rispettato la vostra volontà di troncare la nostra amicizia, interrompendo ogni contatto. Vi assicuro che se non avessi un motivo più che valido non mi permetterei di contraddirvi. Ma sono stato involontario protagonista di un episodio che mi ha molto colpito e che vi riguarda in prima persona.

Quando voi leggerete questa lettera sarà già settembre, spero che possiate essere distaccata dagli avvenimenti di adesso e capire ciò che voglio dirvi.

Ieri sera pioveva a dirotto, faceva molto freddo, stavo leggendo un libro accanto al fuoco, quando il mio domestico annunciò una visita: mi stupii, era mezzanotte passata.

Mi apparve Andrè, irriconoscibile, completamente bagnato , pallido, tremante e sconvolto.

- Perdonatemi, io sono mortificato di disturbarvi a quest’ora, non mi tratterrò a lungo… io volevo solo chiedervi una cosa… ecco… voi sapete dove sia Oscar? Io non ho notizie di lei da due settimane… so solo che è partita… ma non so altro…-

Lo feci accomodare, ma lui preferì aspettare in piedi la mia risposta.

Avevo saputo della vostra partenza direttamente dalla regina, per cui gli riferii quello che sapevo. Apparve sollevato dalla notizia. I suoi occhi ripresero quella luce che io conoscevo, sorrise.

- Allora… torna…posso restare…- mormorò tra sé. Adesso ero io però ad essere curioso; lui rispose vagamente alle mie domande e in modo talmente confuso che non capii molto, mi feci pressante e lui disse solo che era colpa sua, che non si sarebbe mai perdonato per quello aveva fatto, sembrava piangesse.

Ripensandoci a lungo sono riuscito a farmi perlomeno una vaga idea della situazione, vi riferirò senza mezzi termini quello che penso: Andrè vi ama e vi ha fatto qualcosa, non so esattamente cosa, per la quale voi, offesa, siete scappata senza dirgli nulla.

Perdonate se vi parlo con così tanta franchezza, io so di essere l’ultima persona che si possa permettere di farvi un discorso del genere, ma sono anche l’unico che può farlo.

Andrè vi ama di un sentimento profondo e sincero, è un sentimento che anch’io conosco bene e so che può portare alla gioia di una vita o a una disperazione fatale.

Forse voi non lo ammettete nemmeno a voi stessa, ma io so, perché vi conosco bene, che voi potete ricambiare quel sentimento con uguale passione.

Mettete da parte il vostro orgoglio, Oscar, e vivete, voi che realmente potete, la vostra vita con quella pienezza che tutti bramano, ma che a pochi è concesso di avere. Avete a portata di mano la felicità, non sprecate questa opportunità che Dio stesso vi manda, vi assicuro che non farlo sarebbe peccato mortale. Se voi almeno poteste vivere questo amore, sarebbe un po’ come se lo vivessi io che, credetemi, rimango sempre

 

Vostro sincero amico

 

Conte Hans Axel Von Fersen

 

Pietrificata, Oscar scoppiò in lacrime, ora stava davvero crollando: non era possibile che fosse stata così stupida, anche Fersen aveva capito tutto prima di lei, aveva potuto anticiparla di sei mesi, interpretare il suo cuore con esattezza, leggerle dentro… quanto orgoglio e presunzione aveva avuto, sentiva che non sarebbe bastata tutta la vita per pentirsi della sua ottusità, tutto l’amore del mondo non avrebbe mai potuto compensare il male che aveva inflitto non tanto a se stessa, ora di sé non si curava, anzi voleva mortificarsi e rimediare, quanto le sofferenze che aveva patito il povero Andrè… come la amava lui.. con una semplicità e una devozione sconvolgenti… era ancora lì per lei, per continuare a servirla e ad amarla in silenzio…

Tuttavia cercò di riprendersi, di calmarsi, quando finalmente ebbe ragione di se stessa si vestì e scese a cena, ora con la forza necessaria a fare qualcosa e con un’idea ben chiara in mente.

- Padre, vorrei andare ad Arras dopodomani…- disse al padre durante il pasto.

- Come Oscar, sei appena tornato e già vuoi ripartire?-

- Sono molto stanca e ho bisogno di un periodo di riposo, Arras è il posto migliore. Domani porterò alle Loro Maestà il resoconto della missione, dopodomani partirò-

- Sì forse hai ragione, ti vedo molto sciupato, hai bisogno di riposo dopo questa pazzia- Il Generale suonò il campanello, apparve Andrè.

Oscar si sentì morire, divisa tra l’impulso di correre ad abbracciarlo e la voglia di sprofondare, non ricordava che potesse essere così affascinante, abbassò lo sguardo per la vergogna, fu suo padre a parlare:

- Andrè, domani andrai ad Arras per aprire la casa e prepararla per l’arrivo di Oscar, lui ti raggiungerà dopodomani, vedi anche tu che è sciupato e ha bisogno di riposarsi.-

- Certo signor generale, partirò all’alba, con permesso – Andrè uscì sconvolto. Non credeva ai suoi occhi, quella Oscar? Non sembrava più lei era così diversa: quello sguardo, era gelido e sofferente…Quali erano poi le sue intenzioni? Sentì il cuore stringersi dolorosamente: quella di Arras era una trovata di Oscar per dargli il benservito definitivo. Era stata molto chiara con lui, non voleva più vederlo e lui aveva disobbedito, la sua collera sarebbe stata incontrollabile e lui non avrebbe saputo opporre alcuna resistenza. Una smorfia di dolore si aggiunse alla altre già accumulatesi sul suo viso, andò nella stalla a occuparsi del cavallo di Oscar, indirettamente prestava a lei le sue amorevoli cure.

Quella notte non dormirono entrambi: piansero tutte le loro lacrime di rimorso per l’orgoglio e per l’efferatezza. Oscar sentiva il bisogno di essere protetta da lui, il suo sguardo vigile alle spalle, no adesso non aveva più bisogno solo di uno sguardo, voleva che quella forti braccia la cingessero…

Per un attimo pensò di andare nella sua stanza e chiedergli perdono senza aspettare. Si alzò e corse alla porta, ci ripensò e tornò a letto, sentiva il coraggio venirle meno.

 

***

 

Quando Oscar arrivò ad Arras era già sera e aveva fame, il suo cavallo, sfiancato, procedeva lentamente. Che giorni terribili aveva trascorso!! I due giorni più brutti della sua vita. La sua tensione era alle stelle, aveva tanta paura che ora fosse Andrè a rifiutarla, non avrebbe avuto tutti i torti, visto il trattamento che gli aveva riservato! Era sicura di soffrire ancora, il suo fisico non avrebbe retto un’altra devastazione emotiva così forte. D’un tratto intuì la sagoma del vecchio palazzo nell’ombra della sera, il cuore si riempì dei ricordi sereni dell’infanzia: spronò il suo cavallo ad un ultimo sforzo. Andrè l’aspettava sull’entrata, le andò incontro:

- Benarrivata, Oscar- erano le prima parole dopo sei mesi,- mi occupo io del cavallo, avrai fame , la cena sarà in tavola tra poco.-

- Grazie Andrè.- Disse lei con sguardo fuggente. L’inizio era stato un po’ freddino, la cena proseguì sulla stessa via: la conversazione languiva soffocata dal disagio palpabile.

- Andrè, sediamoci di là in salotto, io devo farti vedere una cosa…- Disse Oscar a fine cena, si alzò da tavola e prese dall’armadio la migliore bottiglia, i due calici più belli, gli servì da bere davanti al fuoco. Il suo cuore sembrava scoppiare.

Brindarono con uno sguardo, Andrè la guardava di sottecchi sorseggiando piano il suo vino, aspettava che lei parlasse, fremendo. Oscar invece tracannò d’un fiato il suo bicchiere, subito le guance le si colorirono e gli occhi le divennero lucidi. Fissava il calice che teneva fra le mani, raccogliendo le idee, pensierosa, il sangue le pulsava forte sulle tempie, sentiva la stanza risuonare dei pesanti battiti del suo cuore. Posato il calice sulla tavola, estrasse un foglio dalla tasca:

- Vorrei che tu leggessi questo. - quando Andrè prese la lettera sentì che la mano di Oscar era gelida e tremante. Riconobbe rabbrividendo il sigillo di Fersen. Leggendo il suo volto illividì, poi si fece di fuoco verso l’ultima parte della lettera, i suoi occhi rimasero fissi sul foglio senza espressione, interdetto. Senza che lui si accorgesse, tutto preso dalla lettura, Oscar gli si avvicinò, inginocchiandosi ai suoi piedi, prendendogli la mano.

- Io sono voluta venire qui per parlarti, per chiederti perdono per come mi sono comportata con te. Ti ho trattato come tu non avresti mai meritato, sono stata dura, orgogliosa e stupida. Tu sei sempre stato paziente e dolce con me e quando, esasperato dal mio comportamento, sei esploso io mi sono offesa e piuttosto che ammettere le mie colpe me ne sono andata…- gli accarezzava la mano, sul punto di scoppiare in lacrime.

- Non esagerare, anch’io ho sbagliato e non c’è giorno che non mi maledica per quello che ti ho fatto… comunque…- Andrè la interruppe.

- No Andrè, lasciami finire.. vedrai che ho ragione. Credevo di diventare forte senza di te, volevo dimostrare che potevo vivere anche da sola, ma ho pagata cara la mia presunzione. Anche Fersen aveva capito tutto, solo io con la mia testardaggine sono andata avanti con questa pazzia. Volevo essere qua per parlartene, questo è il nostro posto, volevo essere sola con te. Mi sei mancato in questi sei mesi, volevo distruggerti dentro di me e ho distrutto solamente me stessa, senza di te non sono nessuno. Perdonami, io ho dovuto farti soffrire per capire di amarti.- a questo punto scoppiò in lacrime sulla sua mano, Andrè la lascio sfogare un po’, poi le raccolse il viso e le parlò dolcemente, asciugandole le lacrime:

- Sono io a doverti chiedere perdono per quello che ti ho fatto.- Così le scostò le lacrime e la baciò sulle labbra, scivolando in ginocchio sul pavimento con lei. Oscar lo strinse disperata con tutta la forza che aveva. Andrè le accarezzava i capelli coprendole di baci la testa dorata, le sollevò il viso e la baciò ripetutamente, allora lei rispose ai suoi baci con una passione che lo infiammò. La baciava sul collo e la gola, le guance e la bocca, di nuovo il collo, mentre le sue mani le frugavano sui fianchi per sollevare i lembi della camicia. Anelava a toccare quella pelle sognata per venti anni, possedere la donna, l’unica, quella a cui la sua esistenza era stata consacrata trent’anni prima.

Si ritrovarono sdraiati sul pavimento, Oscar stordita da quelle emozioni inaspettate, lasciava che Andrè disponesse di lei, senza sapere come reagire a quelle sensazioni che travolgevano il suo corpo. Andrè riuscì a sfilarle la camicia; la luce soffusa delle candele non gli permise di vedere il volto di Oscar avvampare per la vergogna. Lui, invece, impallidì colpito da una bellezza che non aveva saputo immaginare. Per quanto profondamente cambiato negli ultimi sei mesi il corpo di Oscar manteneva ancora una bellezza statuaria: pieno, proporzionato, il suo seno catturò lo sguardo di Andrè bloccandogli la parola. Finì di spogliarla completamente, poi, la prese in braccio portandola sull’ampio letto e la adagiò sotto le lenzuola. Oscar era completamente in balia di Andrè, sopraffatta da un turbine di emozioni che paralizzavano ogni suo movimento. Andrè seduto sul letto, accennò a levarsi la camicia.

Fu un lungo momento quello, Oscar sentiva che non poteva rimanere così inerte, sopraffatta, da quella felicità. Non era stata preparata ad una simile eventualità ed era completamente inibita dalla vergogna e dalla sorpresa, voleva pur reagire, ma il suo coraggio militare adesso non l’aiutava. Inspirò profondamente, e guardò il suo amante, una vampa di desiderio l’assalì, si sorprese di quella emozione subitanea. Chiuse gli occhi un momento e si lasciò guidare dal suo istinto di donna, un istinto sopito, latente, ma che ora poteva esprimersi in tutta la sua pienezza.

- No Andrè. – disse lei sedendosi, - ora tocca a me.- e baciandogli le spalle e la nuca lo spogliò, prima la camicia poi i pantaloni.

- Io non pensavo che fossi così bello,- pensava Oscar- non credevo neanche che solo sfiorandoti potessi sentirmi così…-

I lori respiri si facevano più corti e affannosi, i loro corpi si alimentavano reciprocamente in una passione che non sapevano frenare e di cui non vedevano la fine.

Si stupivano segretamente che i loro gesti fossero così naturali e spontanei, come se fossero amanti da una vita. Andrè si perdeva nel seno di Oscar, stregato dalla sua forma e dal suo turgore. Dapprima lo accarezzava timidamente: Oscar sentiva il suo corpo muoversi ritmicamente a quei dolci assalti. Andrè si infiammò ancora di più, se prima aveva temuto di essere troppo audace e si era trattenuto, ora i gemiti d lei lo persuasero ad agire di istinto.

La sua bocca affamata saggiò ogni centimetro del suo corpo, si soffermò in angolo del collo, del seno, del ventre, le gambe, mentre le sue mani percorrevano febbrili la schiena e le natiche. Oscar rispondeva con eguale ardore, mordicchiandogli maliziosa il petto e le spalle e graffiandogli la schiena. Senza rendersi conto il suo corpo si protese verso di lui schiudendosi per accoglierlo. Allora Andrè la avvolse con le braccia che si unirono sotto la schiena di lei, era un atteggiamento di protezione, da se stesso, da quel male che stava per infliggerle. Lei si rilassò, fissandolo con un’espressione di indicibile amore e fiducia, non aveva paura, era pronta a congiungersi a lui. Andrè aspettava ancora, come attendendo da lei il permesso ulteriore per quell’oltraggio. Oscar lo baciò:

- Non ho paura, Andrè.- Allora lui la penetrò: senti la sua verginità lacerarsi in sangue. Oscar si sentì morire, gelata, in un dolore sconosciuto e paralizzante, il piacere che fin lì l’aveva condotta sembrò frantumarsi in mille pezzi di vetro acuminati. Il suo orgoglio non le permise di emettere un lamento, né di alterare con una smorfia sofferente l’espressione beata del suo viso, solo non poté ricacciare due pesanti lacrimoni che le rigavano il volto. Quando si accorse di quella soffocata sofferenza, Andrè si fermò stringendola forte per rassicurarla.

- No Andrè, io non voglio smettere proprio adesso, non preoccuparti per me, va tutto bene.- si fissarono ancora per un istante e il momento dopo Oscar credette di morire per la seconda volte in un minuto: un ondata di piacere indicibile si propagò dal punto in cui i loro corpi si congiungevano, per tutto il corpo, salendole con un brivido lungo la schiena, levandole il fiato; non si era riavuta dallo sgomento, che alla prima seguì una seconda e poi una terza. Inspiegabilmente il suo corpo sentì l’impulso di rispondere a quella danza, di assecondare quei movimenti che Andrè compiva su di lei. Negli istanti che seguirono la loro estasi fisica cresceva, insieme ad una traboccante e consapevole felicità. Ora sarebbero stati insieme per sempre, le incomprensioni del passato erano svanite, le loro anime si fondevano insieme ai loro corpi, liquefacendosi l’uno nell’altro. Si sdraiarono fianco a fianco, tenendosi per mano mentre il loro respiro affannoso si regolarizzava. Poi Oscar si fece piccola piccola e si accoccolò sul fianco di Andrè appoggiando la testa sul suo bel petto, poteva sentire il suo cuore rallentare i battiti. Lo accarezzava con un movimento dalle spalle alla pancia.

Le piaceva quel bel corpo, pensava che non si sarebbe mai saziata di guardarlo, quanto lo aveva voluto, quanto aveva sofferto e fatto soffrire… sentiva di dover chiedere ancora perdono.

- Andrè, anche se ora tu mi hai perdonata, io non potrò mai…- cominciò.

- Sshh… zitta! Basta con il passato… ho aspettato troppo per averti… non roviniamo questo momento, io voglio pensare solo al futuro, non parliamone più, abbiamo ricordi migliori.- la interruppe Andrè.

Oscar gli rispose con un bacio sul petto e lo strinse forte. Era d’accordo con lui, i loro occhi comunicavano meglio di mille parole, esprimevano la reale sintonia delle loro anime.

- Permettimi di starti accanto tutta la vita…adesso non potrei più stare senza di te.- disse Oscar.

Andrè le rispose scompigliandole forte i capelli, adesso era rilassato, aveva voglia di scherzare:

- Ma… dai…cosa fai… no Andrè non fare così… il solletico no… ti prego basta… basta… non vale… tu non lo soffri…faccio tutto quello che vuoi, lasciami…-

Davvero farai tutto quello che voglio?- chiese lui serio serio, ma gli occhi vivaci lo tradivano.

- Sì…giuro basta – rispose lei, il respiro affannoso e il viso bagnato di lacrime.

- Buono a sapersi, preferisco rimanere in credito… vieni qua…- Con un gesto la fece sdraiare completamente sopra di lui. Come era leggera, il suo corpo era un filo d’erba rigoglioso chesul punto di seccare per la mancanza d’acqua. Esile, filiforme era ancora bello, ma le sue curve femminili erano sfiorite.

- Tu hai realmente bisogno di riposo, Oscar, tu… non so come fai a stare in piedi, sei un fuscello… io non me ne ero accorto prima, altrimenti…- Il volto di Andrè esprimeva preoccupazione.

- Altrimenti non mi avresti permesso di sopportare le dolci fatiche dell’amore?- Oscar scherzava, ma Andrè annuì con gli occhi.- Non devi preoccuparti per me, sono qui per questo, per riposarmi… credi che due settimane basteranno a rimettermi in sesto?- gli sorrise maliziosa.

Andrè accolse la provocazione:

- Due settimane? Comandante, io penso ce ne vogliano almeno tre…- scoppiarono a ridere. In quel momento Oscar sentì il suo corpo animarsi di una strana eccitazione, un’emozione cui non era ancora abituata. Rapì la bocca di lui con un lungo bacio promettente altre follie, ancora più intense: Andrè, provocato, rispose.

Si concessero al sonno solo qualche ora dopo, sfiniti di una stanchezza che almeno per il momento riusciva a soffocare il desiderio. La luce dell’alba, sorprendendoli addormentati in un abbraccio tenero e intenso, scoprì i loro volti, tendenti l’uno all’altro, in un’espressione di beata felicità, inconsapevoli o forse impavidi alle nuvole grigie che incombevano all’orizzonte.