La storia degli Anfiteatri

 

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L’anfiteatro Flavio

è la terza arena per dimensioni del mondo romano, dopo quelle di Roma e Capua, testimonianza della tecnica straordinaria raggiunta dall’ingegneria antica. Era collocato nei pressi dell’incrocio delle strade provenienti da Napoli, da Capua e da Cuma. Ha tre ordini sovrapposti, quattro ingressi maggiori e dodici secondari e una cavea per circa 40.000 spettatori. L’anfiteatro era anche centro della vita urbana: nelle gallerie sotto l’ambulacro esterno c’erano luoghi di culto e sedi di molte associazioni professionali, note attraverso iscrizioni. Suggestiva è la visita dei sotterranei che mostrano la complessa organizzazione dei servizi per il funzionamento degli spettacoli. Nell’arena si svolsero i primi martirii cristiani: qui, secondo la tradizione formatasi tra il V e VI secolo, nel 305 d.C. fu preparato in un primo momento il supplizio per San Gennaro e i compagni; la condanna fu poi eseguita alla Solfatara. In ricordo della presenza del Santo, nel 1689 nell’area venne costruita una chiesetta, distrutta all’epoca degli scavi  nell’ Ottocento e sostituita da una cappellina tuttora visibile nell’ambulacro. Nella tarda antichità l’edificio fu abbandonato e in parte sepolto dal terreno alluvionale e dalle ceneri dell’eruzione della Solfatara. Nel Medioevo spogliato di tutte le decorazioni marmoree e dei blocchi delle gradinate e occupato da masserie e da vigne.


Testimonianza unica dei quartieri portuali e commerciali di Puteoli è il Tempio di Serapide, così chiamato perché qui fu trovata una statua della divinità egiziana (oggi al Museo Archeologico Nazionale di Napoli). In realtà la struttura è uno dei maggiori esempi di macellum, il mercato dei commestibili, eretto tra la fine del I e gli inizi del II secolo d.C. e restaurato al tempo della dinastia dei Severi (III secolo d.C.). Le botteghe erano allineate ai lati di un grande cortile porticato e lastricato di marmo. Sul lato di fondo c’era una sala absidata per il culto imperiale e degli dei protettori del mercato (tra cui Serapide). Appartengono al pronao di questo sacello le tre colonne in marmo cipollino. Queste colonne, con le fasce di piccoli buchi scavati tutt’intorno dai litodomi (molluschi marini che scavano la loro tana nella pietra), sono i più evidenti misuratori del fenomeno del bradisismo. L’edificio sontuoso è ornato da pavimenti in marmi pregiati e un elemento caratteristico è la grande rotonda (tholos) al centro del cortile, impreziosita da un colonnato di sedici colonne in marmo africano e fregi ad animali marini sul basamento. Durante gli scavi settecenteschi, al tempo di Carlo di Borbone, furono trovate nell’area delle sculture, quali i gruppi di Oreste ed Elettra e Dioniso col fauno, oggi al Museo Archeologico Nazionale di Napoli.

 

 

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