REGIA MARINA

 


CORAZZATA LITTORIO (ITALIA)

 
 

La nave da battaglia Littorio, ribattezzata Italia il 30 luglio 1943, fu una nave della Regia Marina appartenente alla classe Littorio e rappresentò il meglio della produzione navale bellica italiana della seconda guerra mondiale. Entrò in linea, il 6 maggio 1940 non ancora pienamente operativa allo scoppio delle ostilità. Dopo il Gran Consiglio del 25 luglio 1943, che vide l'approvazione dell'Ordine del giorno Grandi, il 30 luglio venne ribattezzata Italia. Rientrata alla base di Augusta dai Laghi Amari il 9 febbraio 1947, la Littorio secondo le condizioni del trattato di pace, avrebbe dovuto essere consegnata agli Stati Uniti, che però vi rinunciarono, così come fecero gli inglesi rinunciando alla Vittorio Veneto. Evitata la consegna delle unità, ancora moderne, le autorità italiane non riuscirono però ad evitare l'ingiunzione alleata di demolirle, cosa che si tentò di ritardare con ogni mezzo, ma senza successo. Inizialmente, su pressione dell'Unione Sovietica ci si limitò al taglio dei cannoni dell'armamento principale. Alla fine, dopo varie battaglie diplomatiche per poterla mantenere in linea (si era anche ipotizzato di barattare le due navi con le più vecchie Doria), la Littorio venne demolita tra il 1948 ed il 1955 insieme alla Vittorio Veneto. La caratteristica più significativa della corazzata Littorio fu data dalle pessime doti balistiche dei cannoni italiani. I tanto lodati cannoni da 381/50 della Littorio non erano in grado di centrare un isolotto a dieci chilometri di distanza. Questo a causa della grande dispersione di tiro dei cannoni che faceva in modo che ogni colpo avesse caratteristiche diverse dagli altri non permettendo quindi di centrare il bersaglio. In tutta la Seconda Guerra Mondiale questo tipo di cannone, equipaggiato anche sulle corazzate Roma e Vittorio Veneto, non riuscì mai a centrare un bersaglio (Shinano).


CARATTERISTICHE TECNICHE

Nave Littorio (dal 1943 ribattezzata Italia)
Classe  Littorio
Tipo Corazzata
Cantiere Cantieri Ansaldo, Genova
Impostazione 28 ottobre 1934
Varo 22 agosto 1937
Entrata in servizio 6 maggio 1940

DIMENSIONI

Lunghezza 237,80 metri
Larghezza 32,90 metri
Immersione 9,60 metri (vuota)

10,50 metri (a pieno carico)

DISLOCAMENTO

A pieno carico 45.963 tonnellate
Normale 43.835 tonnellate
Standard vuota 41.377 tonnellate
Di disegno 35.000 tonnellate

MOTORI

Caldaie 8 caldaie a coppie 
Turbine 4 turbine Belluzzo
Potenza 140.000 cavalli vapore
Velocità 30 nodi  

32 nodi raggiunti in prova

Combustibile 4.000 tonnellate
Autonomia 4.580 miglia marina a 16 nodi

PROTEZIONE

Prua inferiore: 100 - 249 mm.

media: 350 mm.

superiore: 61-129 mm.

Poppa inferiore: 100 - 162 mm.

media: 71 mm.

superiore: 104 mm.

Lanciasiluri 40.6 mm.
Torrette principali davanti: 289.5 mm.

lati: 210 mm.

dietro: 100 mm.

barbette laterali: 350.5 mm.

Torrette secondarie davanti: 134.6 mm.

lati: 61 mm.

dietro: 35.6 mm.

barbette laterali: 100 mm.

Ponte di comando 259 mm.

200 mm. corridoio di comunicazione

ARMAMENTO

Principale 9 x Ansaldo/OTO da 381 mm., modello del 1934, in 3 torri trinate, 2 a prua ed 1 a poppa
Secondario 12 x Ansaldo da 152 mm., modello del 1936 in 4 torri trinate
AAW 12 x OTO da 89 mm. in 12 torrette singole

20 x Breda da 37 mm. in 10 torri binate

20-28 x Breda da 20 mm. in torri binate

furono aggiunti numerosi cannoncini da 13.2 mm.

Altro 4 x 40 mm. mitragliatrici antiaeree

AEREI

Aerei 2 Reggiani Re 2000 con 1 catapulta di lancio

RADARS

Ricerca aerea Non presente
Ricerca di superficie Non presente
Controllo di tiro Non presente

EQUIPAGGIO

In tempo di pace 1.872
In tempo di guerra 1.960 

Le corazzate tipo Vittorio Veneto furono le più grandi e le più armate fra quelle della Marina italiana. Lo scafo aveva il castello che si prolungava nella sovrastruttura centrale, la quale giungeva fino a comprendere la torre di grosso calibro di poppa. A poppa estrema vi era la catapulta per il lancio degli aerei con sottostante aviorimessa.  Vi erano tre timoni: uno centrale e due più piccoli laterali. Non vi erano alberi, ma solo un grande torrione a prora che sosteneva un alberetto, e un secondo torrione, più piccolo, a poppavia dei fumaioli munito di alberetto e picco di carico. L'armamento principale di 9 cannoni da 381 mm era suddiviso in tre torri trinate, due a prora, la prima sul castello e la seconda sopraelevata, e una a poppa anch'essa a livello del ponte di castello.  I 12 cannoni da 152 mm erano in 4 torri trinate ai lati delle torri da 381 mm di prora e di poppa, mentre i 12 cannoni da 90 mm antiaerei erano in altrettante torrette singole, sistemate in due file ai lati del torrione e dei fumaioli. Le mitragliere da 37 mm. erano in postazioni multiple concentrate in plancette ai lati del torrione. La protezione verticale di murata era costituita da una cintura inclinata dello spessore di 350 mm sovrastata da una corazza verticale dello spessore di 70 mm fra i ponti di castello e di batteria. Nella zona centrale vi era sui due lati la difesa subacquea a cilindri assorbitori. L'apparato motore su 4 eliche sviluppava la velocità di 30 nodi. L8 Vittorio Veneto fu colpita da siluro nello scontro navale del 14 dicembre 1941 ma fu subito riparata. 


ARMAMENTO

I nuovi cannoni Ansaldo 381/50 mm con un elevazione massima di 30° e con ciascun pezzo in compartimento della torre separato dall'adiacente per mezzo di una paratia corazzata fu, ed è tuttora, l'arma balistica più potente mai sviluppata dall'industria nazionale. Anche questi cannoni ebbero un anima ricambiabile a freddo, in questo caso si doveva cambiarle ogni 220 colpi. Questi cannoni ebbero difetti di dispersioni più dovuti al munizionamento che a difetti propri ma presentarono anche problemi di dentizione ai complessi di brandeggio che in alcuni casi ne limitò l'efficacia. Potevano sparare un colpo ogni 45 secondi. 

Le Littorio ebbero uno dei complessi di armamento più potenti e moderni mai installati su di una corazzata.

I cannoni da 381mm. Modello 1934 nonostante l'alzo limitato a soli 30 gradi erano le armi a più lunga gittata – sia pure per pochissima differenza - mai avute da una nave da battaglia (se si esclude l'armamento missilistico), e oltre a questo la loro alta velocità iniziale e la pesantezza della munizione (oltre 880 kg) consentivano una capacità perforante eccellente, confrontabile con i migliori cannoni da 406 e 460 mm e sensibilmente superiore a quanto i cannoni moderni tedeschi e francesi calibro 380 mm erano in grado di offrire. Una corazza da 350 mm. era perforabile ad oltre 25 km, a breve distanza la perforazione possibile ammontava a circa 80cm.

Tuttavia, non erano presenti solo vantaggi.

I cannoni italiani avevano una cadenza di tiro assai ridotta, la dispersione del tiro era assai rilevante e se nessun colpo pare sia mai andato a segno nelle numerose battaglie sostenute, non si può certo affermare che la colpa fosse dovuta solamente alla mancanza di radar, che tra l'altro ad un certo punto della guerra venne installato.

I cannoni avevano anche una ridotta riserva di munizioni e la vita utile dell'anima del cannone era relativamente breve, con un totale stimato di circa 140 colpi sparabili senza degrado inaccettabile delle qualità balistiche, all'incirca la metà dei contemporanei cannoni stranieri.

A parte questo, la perforazione delle corazze verticali era assai elevata a causa della traiettoria molto veloce dei proiettili, ma questa era anche molto tesa data la ridotta elevazione: non c'è da stupirsi se la perforazione di armature orizzontali, essenziale nel tiro curvo da lunga distanza, fosse tutt'altro che impressionante, decisamente inferiore a quella dei cannoni da 381 inglesi (anch'essi elevabili a 30 gradi) e appena migliore di quelli tedeschi.

I cannoni secondari erano armi da 152 mm dell'ultimo modello, installati anche su incrociatori leggeri dell'ultima generazione (come il Giuseppe Garibaldi), sistemati in torri trinate assai robuste (fino ad oltre 100mm di corazzatura) che erano anch'esse derivate direttamente da quelle delle navi minori. La loro gittata arrivava ad oltre 24 km ed essi avevano delle elevate qualità balistiche, ma una cadenza di tiro non straordinaria e le solite problematiche balistiche.

I cannoni da 90 mm erano un modello sofisticato, dotati di affusti totalmente chiusi e leggermente corazzati, avevano anche un sistema di stabilizzazione che peraltro si rivelò troppo sofisticato per l'epoca. Le armi erano sistemate in torri singole, per cui erano necessarie ben 12 di queste, 6 per lato. Il volume di fuoco era elevato, ma un affusto binato sarebbe stato certamente più efficiente nella concentrazione di fuoco e molto meno impegnativo dal punto di vista della progettazione della nave. Se non altro, esse contribuivano a rendere elegante la sagoma della corazzata.

Le mitragliere contraeree erano sia binate da 20 che da 37 mm, il meglio che l'Italia potesse sviluppare autonomamente ed assai efficaci nel loro ruolo di difesa ravvicinata, come anche il numero complessivo, 36, era adeguato.

Non erano previsti invece siluri, ma l'armamento "accessorio" era completato da 3 idrovolanti a poppa, dove era presente una catapulta. Tra le macchine impiegate, in genere Ro.43, era possibile trovare anche i Re.2000 catapultabili, aerei da caccia solo lanciabili senza possibilità di recupero, nonché estremo tentativo di rimediare ad una carenza - l'assenza di portaerei - che sarà il maggiore rincrescimento della Regia Marina durante tutto il conflitto.

Bellissime navi con un solo importante difetto, i proiettili dei cannoni principali avevano delle tolleranze assai elevate per esempio se rapportati con quelli tedeschi. Questo vuol dire che se una torre sparava con tutte le sue canne i colpi potevano anche cadere a 300 metri di distanza, troppi per sperare di colpire qualcosa che non fosse una città ... 

Quello che sorge spontaneo chiedersi è come abbiano fatto questi cannoni a passare i collaudi. Se alla prova dei fatti la dispersione delle canne e dei proiettili non permetteva di calcolare con esattezza dove cadessero i proiettili e quindi di colpire un bersaglio chi fu il funzionario ed il tecnico navale che permise di dotare la classe Littorio di codeste favolose armi?

Può anche succedere che un cannone alla prova dei fatti abbia difetti strutturali tali da non permetterne l'utilizzo operativo ma questo deve essere rilevato quando viene collaudata l'arma non certo quanto viene installato su tre corazzate ed in azioni di guerra.

In pratica avevamo bellissime navi che non erano in grado di colpire un'isola a mezzo chilometro di distanza, figuriamoci un'unità nemica a venti chilometri di distanza che si muoveva a trenta nodi.....


Attività bellica (tratto da http://it.wikipedia.org/wiki/Littorio_(nave_da_battaglia)

Entrò in linea, il 6 maggio 1940 non ancora pienamente operativa allo scoppio delle ostilità. Venne inquadrata nella IX Divisione Corazzate della I Squadra quale nave comando divisionale con insegna dell'ammiraglio Bergamini. Nella cosiddetta Notte di Taranto tra l'11 ed il 12 novembre 1940 venne gravemente danneggiata da 3 siluri lanciati da aerosiluranti inglesi Fairey Swordfish ma venne recuperata riprendendo il servizio attivo sei mesi dopo, sorprendendo gli inglesi che ritenevano di averla danneggiata in modo molto più grave.
Durante il 1942 partecipò alla seconda battaglia della Sirte, con al comando l'ammiraglio Angelo Iachino, colpendo con un proiettile da 152 mm l'incrociatore inglese HMS Cleopatra e danneggiando pesantemente i caccia HMS Kingston e Havock con i suoi cannoni di 381 mm. Successivamente, con la gemella Vittorio Veneto, prese parte alla battaglia di mezzo giugno durante la quale venne colpita a prua da un'arma lanciata da un aereo inglese e di striscio da una bomba sganciata da un bombardiere statunitense.
Nella notte tra il 18 e il 19 aprile del 1943 la nave venne leggermente danneggiata da un bombardamento aereo su La Spezia. Nel corso dell'incursione venne affondato il cacciatorpediniere Alpino.
Il successivo bombardamento sulla base di La Spezia del 5 giugno, in cui vennero danneggiate Roma e Vittorio Veneto, ridusse la squadra da battaglia alla sola Littorio. Mente la Vittorio Veneto poté essere riparata in arsenale, rientrando in squadra in poco più di un mese, per la corazzata Roma, colpita nuovamente in un bombardamento nella notte del 24 giugno fu necessario l'entrata in bacino e il trasferimento a Genova, rientrando in squadra solamente il 13 agosto.

La corazzata Littorio viene ribattezzata "Italia"
Dopo il Gran Consiglio del 25 luglio 1943, che vide l'approvazione dell'Ordine del giorno Grandi, il 30 luglio venne ribattezzata Italia. Fino all'armistizio effettuò complessivamente 46 missioni di guerra, di cui 9 per ricerca del nemico e 3 per protezione del traffico nazionale.


Armistizio

Nella giornata dell'8 settembre, la nave si trovava a La Spezia quando nella serata all'equipaggio giunse la notizia dell'armistizio e delle relative clausole che riguardavano la flotta, che prevedevano il trasferimento immediato delle navi italiane in località che sarebbero state designate dal Comandante in Capo alleato, dove sarebbero rimaste in attesa di conoscere il proprio destino e che durante il trasferimento avrebbero innalzato, in segno di resa, pennelli neri sui pennoni e disegnato due cerchi neri sulle tolde.
Alle 3 del mattino del 9 settembre, le navi italiane al comando dell'ammiraglio Bergamini salparono da La Spezia.
La formazione navale navigava senza avere issato i pennelli neri sui pennoni e aver disegnato i dischi neri sulle tolde come prescritto dalle clausole dell'armistizio, ma la corazzata Roma con l'insegna dell'ammiraglio Bergamini aveva innalzato il Gran Pavese.
Nel pomeriggio, al largo dell'isola dell'Asinara la formazione venne sorvolata ad alta quota da ventotto bimotori Dornier Do 217 della Luftwaffe partiti dall'aeroporto di Istres, presso Marsiglia, in tre ondate successive, la prima delle quali si alzò in volo poco dopo le 14,00, con i velivoli che avevano l’istruzione di mirare unicamente alle corazzate.
La flotta fu avvistata dagli aerei dopo poco più di un’ora di volo. Alle 15,30 una prima bomba venne diretta contro l'Eugenio di Savoia, cadendo a circa 50 metri dall'incrociatore senza provocare alcun danno, mentre una seconda bomba cadde vicinissima alla poppa dell'Italia immobilizzandone temporaneamente il timone, per cui la nave venne governata con i timoni ausiliari. Le bombe erano del tipo a razzo teleguidate Ruhrstahl SD 1400,, conosciute dagli alleati con il nome di Fritz X. Successivamente toccò alla Roma; gli aerei, una prima volta fallirono il tiro, ma alle 15,45 la corazzata venne centrata una prima volta da un colpo che apparentemente non produsse gravi effetti. Il secondo colpo alle 15,50 centrò la nave verso prua, questa volta con conseguenze devastanti. Lo scafo si spaccò dopo pochi minuti. La torre corazzata di comando fu investita da una tale vampata, che venne addirittura deformata e piegata dal calore, abbattendosi in avanti e scomparendo, proiettata in alto a pezzi, in mezzo a due enormi colonne di fumo: l'ammiraglio Bergamini e il suo stato maggiore, il comandante della nave Adone Del Cima e buona parte dell'equipaggio vennero uccisi pressoché all'istante. La nave, alle 16,11, girandosi su un fianco, si capovolse e affondò spezzandosi in pochi minuti in due tronconi. Successivamente l'Italia venne nuovamente attaccata e questa volta colpita da una bomba, ma essendo la carica di scoppio assai ridotta, la nave da battaglia, nonostante avesse imbarcato circa ottocento tonnellate di acqua continuò, seppure appesantita, a navigare in formazione. i cacciatorpediniere Mitragliere e Carabiniere invertirono immediatamente la rotta per recuperare i superstiti della Roma, seguiti dall'incrociatore Regolo e dal cacciatorpediniere Fuciliere. A queste unità si aggiunsero le torpediniere Pegaso, Orsa e Impetuoso. I naufraghi della Roma, recuperati dalle unità navali inviate in loro soccorso furono seicentoventidue, di cui cinquecentotre recuperati dai tre cacciatorpediniere, diciassette dall’Attilio Regolo e centodue dalle tre torpediniere. Le navi trasportarono i naufraghi, molti dei quali gravemente feriti, alle Baleari.
A prendere il comando della flotta diretta a Malta, dopo l'affondamento dalla Roma, fu l'ammiraglio Oliva, il più anziano tra gli ammiragli della formazione e comandante della VII Divisione con insegna sull'Eugenio di Savoia, che adempì ad una delle clausole armistiziali, quello di innalzare il pennello nero del lutto sui pennoni ed i dischi neri disegnati sulle tolde. mentre le sette navi si erano fermate a recuperare i morti e i feriti dell'ammiraglia, il resto della squadra proseguì la navigazione dirigendo verso Malta, destinazione scelta dagli alleati, dove la formazione si sarebbe ricongiunta con il gruppo proveniente da Taranto guidato dall'ammiraglio Da Zara e costituito dalle Duilio, dagli incrociatori Cadorna e Pompeo Magno e dal cacciatorpediniere Da Recco. A Malta le unità vennero raggiunte qualche giorno dopo dalla corazzata Giulio Cesare, proveniente dal Cantiere navale di Pola, che giunse il 13 settembre insieme alla nave appoggio idrovolanti Giuseppe Miraglia sotto la scorta di un idrovolante antisommergibile CANT Z.506,[3] e nei giorni successivi dalle altre unità, quali torpediniere, corvette, MAS, motosiluranti e altre unità minori. Il comando di tutte le unità italiane presenti a Malta venne affidato all’ammiraglio Da Zara, quale ammiraglio più anziano.
In un primo momento gli Alleati, su richiesta di Churchill avevano pensato di utilizzarla insieme alla Vittorio Veneto nella guerra nel Pacifico, ma motivazioni di ordine tecnico (le navi erano concepite per l'impiego nel Mediterraneo) e politico fecero tramontarne l'idea ed ebbe inizio per le due unità un lungo internamento nei Laghi Amari, in Egitto.


La demolizione

Rientrata alla base di Augusta dai Laghi Amari il 9 febbraio 1947, la Littorio secondo le condizioni del trattato di pace, avrebbe dovuto essere consegnata agli Stati Uniti, che però vi rinunciarono, così come fecero gli inglesi rinunciando alla Vittorio Veneto. Evitata la consegna delle unità, ancora moderne, le autorità italiane non riuscirono però ad evitare l'ingiunzione alleata di demolirle, cosa che si tentò di ritardare con ogni mezzo, ma senza successo. Inizialmente, su pressione dell'Unione Sovietica ci si limitò al taglio dei cannoni dell'armamento principale. Alla fine, dopo varie battaglie diplomatiche per poterla mantenere in linea (si era anche ipotizzato di barattare le due navi con le più vecchie Doria), la Littorio venne demolita tra il 1948 ed il 1955 insieme alla Vittorio Veneto.


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