Maddai, aborro...
La
pagina di Giampiero Mughini!!!
by Scraccino (mio cugino)
Eccolo!
si presenta!
Ed e' subito critico
Espone le sue idee...
...i concetti...
...preciso nei minimi particolari
ora e' soddisfatto
Ma subito viene contraddetto
Ci siamo, sta per dirlo....
Maddai!!!!!!
Ritorna calmo
Illustra le "prodezze" della Juventus
che e' (o meglio era) nelle zone alte della
classifica
ABORRA
Del Piero che non segna
Maddai,che importa
Si vince lo stesso
Sfotte gli avversari
Real video:
Il libro:
IL
GRANDE DISORDINE
Giampiero Mughini
Mondadori pp. 336
L. 30.000
La ricordo bene quella mattina di primavera di trant'anni fa, quando alla redazione di Lotta Continua arrivò come dappertutto la prima foto choc di Aldo Moro prigioniero, la camicia bianca sbottonata, il capo reclinato, una copia di Repubblica messagli tra le mani dai brigatisti.
Non passò molto tempo che dal gabbiotto di vetro dove fumava e disegnava, venne fuori Vincino con la vignetta per l'indomani. Riproduceva la foto del progioniero scamciato con sotto la didascalia: «Scusate, abitualmente vesto Marzotto». Vincino era già bravissimo allora, anche quella battuta terribile, riconosciamolo, a suo modo era di buon livello.
Fu difficile e mortificante dirgli che no, non si poteva più, quella vignetta era formidabile, ma non glie l'avremmo pubblicata. La tragedia prevaleva sulla creatività e quella censura convinse definitivamente Vincino alla scissione, cioè a dar vita al Male, settimanale satirico nato da una costola di Lotta Continua non più in grado di racchiuderlo, benché lo stampasse nella sua tipografia di via dei Magazzini Generali.
Ricordo questo episodio a parziale rettifica della versione che ne da Giampiero Mughini nel suo libro sugli anni Settanta, e come questa altre infinite rettifiche, precisazioni, integrazioni, verranno di sicuro dai diretti protagonisti a un racconto appassionante di trecento pagine che nonostante ciò - per indubbio merito dell'autore - pulsano di verità e autenticità.
Ciascuno dei protagonisti probabilmente ha vissuto a modo suo il momento (i momenti) del separarsi tra gioco, dramma, lotta e nevrosi, gioventù e età adulta. Qui contano le soggettività, e se il libro di Mughini risulta così felice nel congiungere i due anniversari di cui sono in corso le celebrazioni, il Sessantotto e il Settantotto, ovvero nel congiungere i due capi di un decennio appassionante e insanguinato, è proprio perché si mette in gioco in prima persona, lascia filtrare gli umori e le frustrazioni, anzi li esibisce quasi con impudicizia.
Rileggiamo gli anni Settanta con gli occhi di un testimone che si espone per intero. Rivelandoci di avere pianto solo tre volte nella sua vita adulta («in morte di mio padre, in morte di Ignazio Silone, in morte di Sciascia»), paragonandosi a «quei personaggi cinematografici alla Humphrey Bogart, uno che quando entrava in una casa l'impermeabile non se lo toglieva mai, tanto sapeva che a minuti avrebbe aperto la porta e sarebbe andato via».
Ma soprattutto presentandoci con assoluta onestà intellettuale una galleria di personaggi acutamente selezionati a rappresentare, nelle loro individuali vicissitudini, un'epoca nella quale le vite potevano essere davvero avventurose, i destini incrociarsi nei modi più impensati, i tragitti oltrepassare il vincolo delle classi sociali d'origine.
Molti di questi personaggi entrano e escono dalla casa romana dell'autore, o comunque ne popolano il quartiere, ma anche questo anziché un limite d'orizzonte appare un rafforzamento della verità del racconto. Anche perché tra le mille e mille storie individuali del Sessantotto-Settantotto Mughini sa scegliere felicemente, che si tratti del brigatista genovese senza nome, il dolcissimo orfano Riccardo Dura che ha imparato fin troppo bene la ferocia; o della immeritatamente sconosciuta femminista Carla Lonzi, autrice nel 1970 di un pamphlet, Sputiamo su Hegel, che non era facile riesumare ma che probabilmente sopravviverà nel tempo per la sua indubbia dignità teorica.
Può essere gustoso ritrovare il giovane D'Alema, segretario della Fgci, in conferenza stampa seduto accanto all'indiano metropolitano Gandalf il Viola (ma è sicuro Mughini che non si trattasse invece di Beccofino?); può essere istruttivo rileggere la vicenda di Bologna cone laboratorio della crisi di una sinistra in cui si manifestava incompatibilità tra l'io desiderante delle nuove generazioni non garantite e la dottrina socialdemocratica e leninista insieme del gruppo dirigente comunista.
Proprio nell'esame critico di quella dialettica troviamo la tesi centrale del libro di Mughini: che nonostante l'egemonia esercitata dal marxismo in tutte le sue versioni (estremiste e moderate) sul movimento giovanile, a vincere sulla lunga distanza sia stata la sua componente creativa, quella in origine situazionista e dada, le cui rotture di linguaggio ritroveremo solo nei nuovi media ma perfino nel design e nella moda degli anni successivi.
Si spiega così anche l'apparentemente assurda nostalgia di Mughini per i Settanta, «gli anni delle scelte», non riconducibili al sangue che vi è stato versato.
Ne scrive con l'enfasi assertoria che gli è propria, («Furono anni in cui ogni appartamento di studente fuori sede divenne un potenziale laboratorio di "bocce" e ordigni esplosivi vari»), ma sempre con disinteressata partecipazione.
Per questo il libro di Mughini è raccomandabile a chi voglia ricostruire frammenti di memoria di una generazione. In altra sede potremmo riflettere sul perché in Italia tale memoria non abbia ricevuto ancora, trent'anni dopo, quella imponente sistemazione organica che già nel 1987 con più di mille pagine appassionanti, la fu data in Francia da Hervé Harmon e Patrick Rotman nel loro bellissimo Géneration edito da Seuil. Ma intanto diciamo grazie a Mughini che comincia a provarci.