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  Davide Riccio
         
 
         
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    A David Lynch


Nel corpo del verme
Si produce la spezia più certa
Per il viaggio
Nel modulo estraniante


A MIA MADRE

Io so perché mi ammalia
il mare. Tu inspiravi,
e i frangenti sulle rocce
sciabordano schiumando.

E poi che l’onda si è 
franta, lenta e costante,
e scemando la cresta
respinta si ritira,

pacifica tu espiravi.
E lo sciacquio fievole
e ipnotico, amniotico,

mi riavvolge di nuovo.
E vorrei non finisse 
mai… ma senza erosione.


A MIO PADRE

Domenica la tua radiolina
a transistor pigolava metallica:
non era “Tutto il calcio”;
eri bensì tu che filtravi

a ottomila cicli al secondo
fino al ventre materno.
pace profonda in me si ridestava.
E se la tua squadra del cuore

un goal segnava, in alto aliavo
per le braccia tue possenti
lietamente riespulso – sorretto
da mani certe e solenni di ostetrico.


APPUNTI BRUCIATI

Bello è vedere bruciare i fogli
Di un quaderno nel caminetto
Si accartocciano s’increspano
In un grande garofano nero
Con le ultime screziature rosse
Che si spengono

Gli appunti e gli sbagli
Scarabocchi correzioni scempiaggini
E altro tempo perso ancora
Lo scrittore si purifica e gode
Cancella per sempre i percorsi
A volte imbarazzanti

In amore c’è lo stesso fuoco
Alla memoria…
Poi si accartoccia s’increspa
In un grande garofano nero
Con le ultime screziature rosse
Che si spengono


BACI DI CYRANO

Lungamente penosa
è la guerra del cammino

e le falangi
cui mettiamo l’anello

non sono compatte e forti
né altra cosa greca.

Dove in attesa mi appoggio
la vera è del pozzo

e il pozzo è della psiche:
mi soffiasse un segreto,

uno solo, uno qualunque,
prenderei il vento.


BALLATA DEL PIANETA STERILIZZATO



Sterilizzare
rendere il pianeta
incapace di riprodurre
un secondo sbaglio:
la creazione di un altro
suo peggior nemico
come già gli fu l’uomo
coronamento secondo Dio.

Antibiologicamente corretti
sogno strisciante di finire
qualunque germe
e le prime cagioni
autosavonarola dell’igiene
di massa angelicata,

ma gli angeli
non esistevano con l’uomo
per l’uomo?


BERLINO

Certi se ne stanno così
Come una Chiesa della Memoria
Devastata e mai ricostruita
Un sacro profanato
E un profanamento sacro

Sono i poeti
E le loro parole
Pezzetti venduti
Di un odiato Muro abbattuto


BLUES

Il buon odore
di ferro rugginoso
della pioggia che inizia
mi dispone a una composta
tristezza tenera, memore.

Lo scroscio sfrigola
come un vecchio album
nel solco vuoto
tra un brano e un altro
che non comincia mai…


C’E’ UN SOLO NERO

Qualunque sia la tua lunghezza d’onda
o l’angolo di incidenza, ti assorbe
il nero, che non ha tonalità
né scelta tra condizioni possibili.
E se sarà così, come nessuno
pensa davvero un’anima all’insetto
tale in eterno, vita oltre la vita,
dove il sogno è un taglio della carne
insieme alla sua mente e poca plaga
di polvere inerte, cos’altro ancora
fattosi orfismo a se stesso, scandire?
Siamo vani postulanti e iniziati
solo per più grande disperazione:
Euridice comunque va perduta.


DI SE’

Zimpua, rituale incenso tibetano:
le trentacinque sostanze aromatiche
bruciano, odorando appena di un ceppo
che arde ma fiacco in bocca a un caminetto.
Io la berrei monastica nepente.
Si apre il deiscente frutto rosso, un solo
imputridirsi maturo al qualcosa
del seme già altro, poi ancora o non più.
Se mi vedessero adesso le amanti
belle, accosciato sopra una turca
tra spasmi lievemente dondolando
simil folle abbracciato alle ginocchia,
illiquidire per più alto un viaggio,
guitto per vie di un Nepal di silenzi!
Senhal era il nome antico
di ogni amata; fittizio
come ogni poeta io già da me mi adombro.


DRAMA


Ho stretto una zecca tra le unghie
I motori dei carri si sono accesi
L’ho strappata dall’orecchio del cane
Migliaia di ordigni a pressione
Un guaito di fastidio e spavento
Bombe a frammentazione e anticarro
La zecca zampetta sulla battuta di cemento
Leopard 1 Challenger Scimitar M113
Io la brucio con il mozzicone di sigaretta
500 villaggi kosovari da ricostruire
e Fipronil in soluzione esterna


GENERAZIONE BIT
Binary Unit


Riflesso sul bilico narcisista
Tra l’astuzia e la ribellione
Memore di un Prometeo incatenato
E di un demone marxista
Mi inclino ancora al finito
Dalla mia parte d’uomo
Senza libertà magiche

Alto o basso
Vero o falso
Se Dio è
Io non voglio più vivere
Attento su due o mille fronti
In notti senza fine
A cliccare e fuggire

L’uno
L’altro
Od ogni singola giustizia
Dentro i due eventi
Equiprobabili
La biblica scelta binaria
Non è


GLI ULIVI

Cammino nel mio oliveto

Si contorce il corpo degli olivi
Protesi in ogni spazio
Con rami capaci di ogni angolo

Cambiano
Ripensano si corrugano
Si espandono ritornano
Si avvitano a volte

Combattono gli olivi
Tra diversi infiniti modi 
Di essere e di crescere
Di andare o tornare

Più che un simbolo di pace
A me pare dell’inquietudine

Talvolta
Invecchiano le foglie
S’inargentano canute
Alla luce

E le piccole drupe ovali
Dei loro frutti
Già sanno dell’unica pace
Di un’estrema unzione


HYPERMARKET

Prima di entrare ero ansioso e teso.
Qui ripredispongo la mia mente
al pensiero positivo; a più lunga vita
riattivo il sistema immunitario.

Un melone retato, tastato con sapienza
ostentata: io, navigatore solitario
che srotola strappa spiega con arte
e annoda i sacchetti per le susine sfuse
o i muscoli glutei delle melanzane.

Tutti i colori del mondo mi rallegrano,
ricreo legami più stretti tra gli altri
e me, intenti a cercare identici
osservabili bisogni da appagare.

Sono l’apprezzabile single
che seleziona con cura anche l’anticalcare,
l’ammorbidente da stappare annusare.

Refrigerato ovattato
governo il mio carrello in questo mare,
con classe riflessi e moderno sex appeal,
oppure non visto rotolando sospeso
a un ritorno senza prezzo di ragazzo
in monopattino.

E a casa ancora mi premio
scartando sfiziosi blisterati
come in un altro bianco Natale.


I LUPI


Irpinia, fonda notte che l’allocco
scandaglia, ecogoniometro, monotono
sonar le cui onde nel vuoto si perdono
dove sono io, immobile, come sciocco.
Poi giorno, di schiatta normanna e fieri
frugali sanniti incroci io ritorno,
austerità, obbligata sussistenza
contro rinnovata romanità.
Gli amori miei mietuti han di questi
colli bruciati, dove anche le stoppie
residue ardono d’un cenere spento.
Al piacere che sbrama un dispiacere 
che sbrana: dopo la pietra e i giganti
non risolse il farci l’uomo dal fango.

IL DUOMO

Sotto la mostardiera pungente
di un inquinato cielo ecchimotico
mi sgomento a rivedere la tensione
di un gotico ardimento d’uomo.

Ma del Duomo gli archi ogivali
ancora le scoccano le guglie acute
dal fango all’Altissimo e Dio,
Dio ne rimase mai colpito?



IL RACCOLTO

Mi raccolgo 

Orario 
Antiorario 
Non strofe 
Né antistrofe 

Sto in un tempo 
Che non procede 
E non ritorna 

Forse più un epodo 
A piè fermo 
Ora 

E dopo il ricco 
Raccolto silenzioso 
Questa è rigaglia 

Nota: 
Rigaglia, il più che si ricava oltre il raccolto principale. 


IL SALARIATO

In ore di urlo muto
e incolore
tu sei questo.

Sei questo cibo
indigesto ai figli
e alle mogli deluse
molesto.

E sei questo cibo
a più alti ceti
saporito e deperibile
che un salario
utilmente conserva.


LA LEZIONE

(C’è Steve Reich
in tutte queste cicale
vera musica minimale)

Non è il frinire delle cicale –
sia canto sesso o chiacchiericcio futile –
né la muta sensatezza industriosa
delle formiche in fila
a farmi oggi da lezione, ma quando
il libeccio scuote le frasche agli alberi
suonando quasi un mare tutt’intorno
e io, esposto seminudo al sole, stanco,
sentirmi l’Odisseo sonnacchioso
sulla zattera comunque verso casa
ed un vero, dolcissimo risveglio.


LA RADIOSVEGLIA

Il display digitale è verde acqua.
Non ricerco stazioni preferite:
la sera dianzi giro il pomello
con la radio spenta, senza guardare
la scala numerica, il sintogramma.
A volte mi svegliano gli intervalli
di frequenze rimasti vuoti, puri
radiodisturbi e le perturbazioni
sulla ricezione di pace cosmica.
Lo strisciante fruscio ha qualcosa
del fiume, ed il crepitio elettrico
mi mette quasi una certa allegria
di avvenuta ricarica voltaica:
tensioni, correnti, capacità.


LA TUA STANZA

L’aria è colma di favolose
Irraggiungibili sostanze:
anch’io ti amai
e non lo dissi mai.

Per te sarei passato
anche tra i duri marmi:
svogliatamente ora
non servo più a niente.

Siamo dentro un cristallo
incorporeo stranamente incrisalidati:
anch’io ti volli
e non lo volli mai.

Per te avrei attraversato
anche sabbie mobili
in punta di piedi.
Dov’è ora la tua stanza?

E sempre l’oscuro senso
dei marinai quando annotta
il mare in calma e tutto
resta ancora al suo posto.


LE 10 E 10

Non sono le braccia aperte
all’abbraccio delle 10 e 10.
Non è il trionfo 
di una “V” di vittoria.

Non sono le belle gambe
divaricate e accoglienti,
le sfere aperte
nell’asimmetria simmetrica

di una positività all’insù
delle 10 e 10
non ci appartengono.

Il mondo è ancora fermo
alle 8 e 16 e 8 secondi
di Hiroshima.


LE OCCASIONI PERDUTE

Il tempo di vivere non c’è;
sembra che da fermi 
neanche più respiriamo.
Forse il cuore quello sì ci resta
e un calpestio straniero
ovunque su di esso.

Lo zucchero è dolce ancora,
ma adesso amaro è il machete!
Nella luce pulviscolare che filtra
attraverso un vecchio umido cortile
attendo di vedere apparire un angelo
che così certo non esiste, non resiste.

Mi immergo circospetto nei giardini
al sole delle scuole e aspetto
le risarelle cristalline, le garrule
rincorse e le soccorse sbucciature.
Nei doppifondi dei compartimenti
vario i miei dislocamenti;

così navigo nell’immensità sommersa
del tempo e non mi immischio
nel rotolare bilie di vetro
coi miei sassi di Sisifo.
Silenzio dell’albero:
dove sono nel suo profondo

i rami e le radici? Aseità!
Rado, leggero soppunto invisibile
le occasioni perdute mi ricucio
e la scrivo l’ala di farfalla
cui fra le dita di un fanciullo
ogni ornamento si sfarina.

LO STALLO

Ventilatore che oscilla fioco,
ad ogni distacco della corrente
del fluido l’incidenza si fa critica
sui piani, così cade la portanza
e cado io in vite senza madrevite,
senza importanza per oggi immangiato.
Ti sapevo di terra e di castagna,
di patata che sbucci e mela verde;
però anche tagliato a metà lo sono
nel senso di quei marmi che decorano
gli androni, uguali eppure speculari.
Siamo dove non troviamo nel libro
stampato il filo e i tratti raccordanti
di un corsivo, ma perfino ciascuna
lettera è sola
e non si incruna,
oppure breve che non cuce, ai cuori.

LUCE NERA
O luce di Wood


Placido sopore e spicchi di lunula,
Unghie che mappano gli ignudi corpi,
Tastano care dita, e i manicordi
Sotto le lenzuola han dolci armoniche.
Perlustro il marame della mia stanza
E trovo pace che bruna s’increspa,
Filiforme, Mediterraneo antico
Per le illiriche liburne sottili.
Lembo di terra estremo su cui batto
Le pensate onde alessandrine, faro,
Tu mi affascini un cuore che rinvergina.
Spengo l’ultima cicca: a sei colonne
E timpano completo un crepidoma.
Ho un tempio classico nel portacenere.

MIRAGGIO DI GLORIA

Questo ripenso:
sì, mi raggio di gloria.
Poi m’addormento.

NATURA MORTA CON POETA

Tutto è inanimato
Stasera d’estate
La biro è sospesa
La destra è sul foglio
Il capo è chino
Il posacenere è colmo
Non c’è da scrivere
Che questa
Natura morta con poeta


NOTTURNO

Le stelle sono lanterne cieche
che nascondono Chi le porta
e soltanto più compagnia

mi fanno i nottuidi
e gli altri seccanti ronzoni
istupiditi che mai scaltriti

all’impazzata secchi
tonfano nella lampada.
L’orologio al muro ininterrotti

staccheggia passi gravi.
Languido, rivolgo nella mente
i miei fantasmi a mezzanotte,

e del tempo sento le catene.


OMAGGIO RUFFIANO Ad Aldo Nove

Conosco 9 Aldo
Aldo Giovanni e Giacomo
Aldo Fabrizi
Aldo Manunzio
Aldo Palazzeschi
Alda Merini
Grimoaldo il Longobardo
Rinaldo d’Aquino
Aldous Huxley
e daccapo Aldo Nove 


PARAKATALOGHE’


Il corpo robusto
Di un nero sfingide
Mi sveglia nel buio

La finestra aperta
La sente lontana
Ma c’è

Batte sul soffitto
Spiritati 
Tonfi di spavento
E sempre ritorna
Nel posto più sicuro
Là sopra l’armadio

Anch’io sono incapace
Di allontanarmi deciso
Fino in fondo
A tentare un’apertura
Ma solo dentro
Una più ampia notte


PELLEGRINAGGIO A MARIA SS. DI MONTEVERGINE

Tutto questo
e ancor più triste
mi lascia il mercimonio
dei pii ricordi volgari

neanche più d’oro
sono vitelli di plastiche
latta e vernici
carta e parole

Lungi da me
pensarmi un novello Mosè
contro un Dio che si veda
e che dinanzi ci vada

Gli Aaronne
I santi
Le madonne

Ma per l’altrui
fattosi anche proprio comodo
più non lo senti 
che tutto quel che abbassa
invece ti solleva

(e nemmeno insorgi)

Non la sofferenza
che chieda una grazia
pure intercessa

Oggi ho visto però
essermi più chiesa una volpe
investita
a pezzi in mezzo alla strada


(Abbazia di Montevergine - Avellino)



PER ME SOLO

Quando sarò anch’io un apolide
Un ospite del mondo

Uno di quelli
Che avrà letto tutti i libri
Ma non tutti avranno letto i suoi

Che avrà parlato tutte le lingue
Viaggiando ovunque sulla Terra

Che si sarà offerto in sacrificio
Come una moderna guerra altruista
Dalle buone ingerenze umanitarie
Senza seconde confessate conquiste

E che non soltanto i figli
Lo avranno ucciso
In cuor loro
Per essere degni e poi migliori

Non resterà che scrivermi il segreto
Per me solo
Sulle pagine dell’ultima foglia
Nel poco tempo che cadrà sul pacciame
Perché li si decomponga
Ai piedi di una improrogabile
Genealogia

PIURT-A-BEUL
Mouth Music 


Martelletti rullano, tambureggiano. 
Ho buon trinciato da rollare a mano 
e Scozia per parte di antico sangue, 
fierezza non ritrosa al contraccambio. 
Guardatemi ora nell'iride verde 
di acque stagnanti e pagliuzze di vivido 
neuston, le nostalgie a volo d'uccello,
fumo che scrocchia lieve ad ogni nota. 
Ho una danza di dita sulla tastiera 
e sulla barra spaziatrice, tartan 
in festa di chiazze e righe di ampiezza,
quadrettate quartine su ternarie 
terzine, ciocche di tabacco fulvo, 
chioma della mia compagna roteante. 


POESIE ZEN

Quanti ragni
appesi a un filo
sembrano volare!

Trasmettono sempre:
ho nostalgia di monoscopi
e di effetto neve.

Scale archeggi staccati tremolo e cavata…
Perché alla mia età imparo il violino?
Proprio perché non servirà a niente!

Fuochi d’artificio
e puzza d’insettifugo:
tutto ha un nesso.

Mai un equilibrio,
ma eterno librarsi che mai si arresta.
Oscillano le maschere riappese.

Crepitio di foglie al vento;
chiudo gli occhi ed è fuoco, è pioggia,
è carta, è applauso… Cos’è?

Silenzio dell’albero:
dove sono nel suo profondo
i rami e le radici?

Foglie cadute,
giaciglio antico della terra
o è come se lo fosse.

Al risveglio,
com’è irreale il mondo
dopo aver sognato!

A cosa serve l’erba esplosa da un marciapiede?
Intrecci di nuvole
che guardiamo e dimentichiamo.

Scaglio il giornale sul soffitto:
il moscone è morto stecchito
mentre in cortile miaula l’estro venereo.

Arachidi tostate giganti:
potessi anch’io preferibilmente consumarmi
entro la data sopra indicata!


PRENDERE UN TRENO

Prendere un treno
tra chi va e chi ritorna:
ginocchio contro ginocchio
in qualche vecchia carrozza,
aprirsi un po’.

Guardare di fuori
i pensieri che hai dentro.
La massicciata scorre
come scorre il passato,
ovattarsi un po’.

Conforta la memoria
il tatantatà che culla
e sostiene il fantasma
di una cara infantile 
filastrocca.

Di stazione in stazione
sulle guide di acciaio
abbandonarsi finalmente
alla certezza di arrivare.
Dormire un po’.

Cardiaca contrazione
e arteriosa pulsazione
rotolano sul binario
e da ogni tunnel impavidi
rinascere.


SOGNO SULLA TERRA VERSO IL CIELO


Una palla da tennis
Mi sta nella mano
Come il pianeta Terra
Alla densità di un buco nero

Sento umanamente pietà
Per le sistematiche scalate
Rampa dopo rampa
E ad ogni alzata del gradino
La sua pedata


SULL’AMACA

Non trovo pentagramma per la sferica
Sinfonia olofonica della campagna

Forme e colori posso io solo vedere
Nel taumascopio lisergico
Degli occhi chiusi verso il sole

Gli odori sono da sempre
Indescrivibili e restino tali anch’essi

Immerso nel fluido tepore del sudore
Galleggio nell’amaca meravigliosa del ventre
Che dondola quando la madre cammina



TI GUARDO

Sono perfettamente inutile
come uno che si gira
rigira le sfere baoding
tra le dita connesse agli organi
vitali sempre meno vitali

Mentre mi basta vederti
spruzzare l’acqua solare
per l’agognato fototipo bruno
scriverti adesso un ti amo
appena più fine di un SMS



UN GIORNO A PROCIDA

Tu sei delusa dall’isola di Arturo
in questo giorno meno azzurra
della tua bibita preferita
al lampone blu in ergonomica bottiglia

Sulla scura spiaggia Chiaia
non ho pensieri variopinti
da distinguere lontano, ma uno soltanto
intorno all’ossimoro all’apparenza

Posi tra i bianchi corimbi di oleandro
e qualcosa io non sono che vorresti
se non la stessa Terra Murata
in qualche prossima poemessa

A te che piacciono i forti
gli uomini arditi e spregiudicati
da quel duro bagno penale
avrei saputo evadere come in un film?

Pensandoci due tipi snob
mangiamo il pesce alla Coricella
e non c’è cosa più profonda
che io potessi smettere di dire

UN’ALTRA POESIA (Epifenomeno)

La poesia è una metastasi
il cambiamento di sede
di un processo morboso
qual è il cancro del proposito
di scriverne ancora


UTILITA’ DI DEFRAMMENTAZIONE

Aggiungo
E cancello
Anche oggi ho aggiunto
E cancellato
I dati sparsi
Rallentano la carica
E le unità predefinite
Quale clic
Finché sarò pulsante
Farà tutto il resto
Ottimizzare
Deframmentare
Se non stanotte
Il sonno
E nel sogno
L’apposito programma
La finestra che appare
Sul livello
Di frammentazione
E il processo
Di ricomposizione?
Domani
Domani mattina
Tornerò più veloce.
 
 

   


 
 
 
             
             
             
             
             


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