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Storie da un lagerIl Centro di permanenza temporanea di Trapani e' il primo ad essere aperto in Italia e viene inaugurato nel luglio del 1998 nei locali della Casa di Riposo per Anziani "Rosa Serraino Vulpitta" alla presenza del capo della polizia Masone e del sottosegretario agli interni Sinisi. Viene celebrato come "il fiore all'occhiello" del Ministero degli Interni.Da subito pero' si verificano rivolte, tentativi di fuga, episodi di autolesionismo da parte degli immigrati trattenuti. Il clima e' di continua, altissima tensione. Nella notte fra il 28 e il 29 dicembre del 1999, dopo l'ennesimo tentativo di fuga, uno degli immigrati appicca il fuoco ad alcuni materassi in una camerata. E' l'inferno. Nel rogo muoiono bruciati vivi tre giovani tunisini, altri tre moriranno in ospedale a causa delle ustioni riportate: Rabah, Nashreddine, Jamel, Ramsi, Lofti e Nasim. Nel mese di gennaio, viene presentato un esposto alla magistratura in cui si denunciano le condizioni di sicurezza inaccettabili e le carenze strutturali del centro: mancano le uscite di sicurezza, i corridoi sono troppo stretti per permettere il deflusso in caso di emergenza, gli estintori sono in numero insufficiente. L'indagine che scaturisce dall'esposto porta nel luglio del 2000 al sequestro del centro da parte dell'autorita' giudiziaria; il prefetto di Trapani Cerenzia riceve un avviso di garanzia per omissione di atti d'ufficio ed omicidio colposo plurimo. Il Ministero degli Interni si rivolge al Tribunale del riesame che, nel settembre dello stesso anno, dispone il dissequestro del centro, non entrando però nel merito dell'inchiesta sul rogo ma rilevando soltanto come i lavori di ristrutturazione fatti in seguito ne rendano accettabili le condizioni di sicurezza all'interno. La Procura di Trapani ricorre alla Corte di Cassazione, il "Serraino - Vulpitta" riapre ufficialmente il 15 novembre 2000. L'inchiesta si conclude con il rinvio a giudizio dell'ormai ex prefetto di Trapani per omissione di atti d'ufficio, omicidio colposo plurimo, lesioni colpose nei confronti degli agenti di polizia rimasti feriti nel rogo, omessa cautela per non aver predisposto le misure di sicurezza necessarie ed il piano antincendio. Attualmente il processo e' in corso. Dal 2000 la gestione del Vulpitta e' affidata alla cooperativa "Insieme" di Castelvetrano. Direttore del centro, nominato con decreto dal prefetto Cerenzia, e' il cav. Giacomo Mancuso, gia' responsabile del centro di accoglienza Badia Grande della Caritas di Trapani. Dopo il rogo il Ministero degli Interni ha fissato in 54 unita' il numero massimo di trattenuti al Vulpitta; tale limite pero' viene spesso ampiamente superato. Il Vulpitta dopo le ristrutturazioni, assomiglia sempre piu' ad un carcere. La cosa che colpisce di piu' e' la presenza di sbarre dovunque. Si accede al centro da via Tunisi. L'ingresso e' sorvegliato da un agente di polizia. Per entrare nell'edificio bisogna attraversare un campetto di calcio, circondato da una alta e spessa rete di protezione. Al piano terra ci sono gli uffici del personale della Questura, del direttore del centro ed un magazzino, al 1° piano c'e' il centro di identificazione, un corridoio e alcune stanze. Spesso e' vuoto, qualche volta ci sono gli immigrati appena sbarcati in qualche parte della provincia che non hanno trovato posto al piano di sopra, in attesa di essere fotosegnalati e smistati in altri centri; possono rimanere lì anche per giorni; in questo caso dormono a terra sopra delle coperte. Quando cio' si verifica, quasi sempre il cancello e la porta anti - incendio che danno sul corridoio vengono chiuse. Al 2° piano c'e' il centro di trattenimento, diviso in due settori; il primo sottoposto alla vigilanza della polizia, il secondo a quella dei carabinieri, collegati fra loro da un ballatoio esterno, di solito nel settore dei carabinieri vengono trattenuti i tossicodipendenti e coloro che provengono dal carcere. I poliziotti, a differenza dei carabinieri, sono armati. Le celle danno tutte sul ballatoio, alle sbarre dei cancelli delle celle ci sono sempre appesi ad asciugare i vestiti che gli stessi immigrati lavano. Gli unici spazi in cui i trattenuti possono stare, oltre alle celle, sono i corridoi interni, anche questi chiusi da un cancello. Le celle misurano circa cinque metri per cinque. Quando il centro e' sovraffollato vi vengono sistemate anche dieci brandine. C'e' anche una cella di isolamento per chi si agita troppo o per chi non vuole dormire con gli altri perche' ha paura. Le lenzuola sono di carta. I trattenuti possono uscire all'esterno solamente nell'ora d'aria per giocare a calcio, a gruppi di otto, provenienti tutti dallo stesso settore per evitare pericolose "alleanze", scortati da un numero pari o addirittura superiore di agenti. All'arrivo al Vulpitta viene consegnato loro un borsone con una camicia e un paio di pantaloni o una tuta, delle scarpe di tela tipo tennis, dei capi di biancheria intima. Ogni dieci giorni i trattenuti ricevono una scheda telefonica da 5 euro a testa e ogni settimana un pacchetto di sigarette. I rimpatri vengono effettuati il lunedi' e il giovedi'; nel mese di agosto anche il sabato; gli immigrati vengono prelevati dal centro e condotti con i mezzi della polizia al porto di Trapani per essere imbarcati sulla nave per Tunisi. Esiste un progetto, gia' approvato dal Ministero degli interni, per la realizzazione a Trapani in contrada Milo di un altro CPT con una capienza di 200 posti e di un centro di identificazione per 500 immigrati, la cosiddetta "cittadella dell'accoglienza" (definizione del sottosegretario D'Ali'). ( a cura del Coordinamento per la pace di Trapani)
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