di Adriano Sofri
[da la Repubblica ]
È così bello il
settembre, e così pieno di cattivi anniversari. Il 26 settembre di
quindici anni fa è morto ammazzato Mauro Rostagno, in un agguato, su un
viottolo che lo riportava alla comunità che era la sua casa, nella
campagna di Trapani. Era nato il 6 marzo 1942, aveva quarantasei anni,
chissà quante vite avrebbe avuto ancora. Di tutti quelli che ho
conosciuto, era il più pronto a prendersele tutte, le vite che abbiamo in
offerta. In una era stato un leader del ´68, come si dice, ironico,
geniale, seducente, spavaldo e musicale. Ora si fanno dei film, non so se
sia un buon segno, né se siano brutti o belli. Non so nemmeno se fosse
bella o brutta la cosa stessa, quando successe.
Fra gli acquisti senz´altro importanti di quella stagione sta l´amicizia.
Ogni tanto succede che le persone diventino amiche dentro larghi e
trascinanti cambiamenti del loro mondo, sicché un ideale e un sentimento
comune, giorni e notti condivisi, suscitino in loro un´intimità di
pensieri speranze e gesti capaci di sopravvivere alla fine della
consuetudine, al mutamento dei pensieri e dei gesti, e anche al mutamento
di sé. La comunanza politica in tempi normali non basta a questo.
Solidarietà o rivalità magari, ma è un´altra cosa. Le amicizie saldate
dentro tempi accesi hanno una forza cui non si saprebbe rinunciare.
Rischiano anche una meschinità, una vanità o un astio da reduci di
qualcosa, e bisogna guardarsene. Ma si è grati del riconoscimento
reciproco e generoso, della fiducia che si può riporre in tante altre e
tanti altri una volta che le belle bandiere e le brutte maschere
ideologiche siano cadute, e abbiano lasciato sole le persone.
Così ero amico di Mauro Rostagno, benché dopo la liquidazione di Lotta
Continua si scegliesse vite così differenti dalle mie che potevamo
riderne allegramente a ogni incontro. Fu inquilino della Macondo milanese
e notturna, arancione di Poona, bianco della Comunità di Saman, pedagogo
della "scuola del Sud", denunciatore intrepido della mafia
siciliana, e chissà quante cose ancora che non ho saputo. Nemmeno per
quale di quelle esistenze sia stato assassinato, e da chi: gente numerosa,
che cammina libera nelle strade di questo mondo. Quando tanti amici venuti
da tutte quelle vite seguirono in una Trapani stupefatta il funerale di
Mauro io mancavo, perchè ero agli arresti, accusato di aver fatto da
mandante di un altro omicidio. Mentre venivo processato come mandante di
un omicidio, fu insinuato in un´aula di tribunale che avessi avuto parte
di complice anche nell´assassinio di Mauro. Ci sono state enormità che
non si devono commentare, in questi nostri anni, se si abbia rispetto di sé.
Venne anche il momento in cui la giustizia catturò come correa dell´assassinio
di Mauro la donna che era la sua compagna e la madre di sua figlia. Un
piccolo sbaglio, commesso nel clamore e corretto alla chetichella. Basta
così.
Quindici anni dopo, ho ritrovato quello che scrissi allora, e che gli
avvenimenti travolsero. Andai alla tomba di Mauro a novembre. E´ in un
camposanto di Valderice, in cima a uno sperone, dirimpetto a Erice. Ci
tira vento, e la vista spazia sul mare omerico e le isole. E´ strano come
sia difficile comprare dei fiori freschi a Trapani: o sarà perché ce ne
sono già dovunque. Vanno forte i fiori artificiali. Ma nonostante il
novembre i campi attorno erano pieni di iris selvatici e di calendole
arancioni. Andai poi a visitare la sua stanza, a guardare i suoi pochi
libri - io avevo, nel frattempo, accumulato migliaia di libri - a guardare
le cassette delle sue intrepide denunce televisive contro i mafiosi, ad
abbracciare Monica, la sua figlia di quando aveva avuto vent´anni, e
Maddalena, che era nata dentro Lotta Continua e ora aveva quindici anni e
un cane pastore bianco con la coda dipinta di azzurro. C´era, ospite
della comunità, una ragazza autistica di nome Veronica, una specialmente
sensibile e intelligente, di cui Mauro si era preso più cura. Veronica
comunicava solo attraverso brani di canzoni scelti dentro una sua pila di
dischi. Quando seppe della morte di Mauro, Veronica mise su la canzone che
dice: "Signore, è stata una svista, abbi un po´ di riguardo per il
tuo chitarrista".
Mauro aveva avuto paura di essere brutto, da bambino. Venuto il momento si
era fatto crescere la barba per nascondercisi dietro, e aveva scoperto di
essere bello, e somigliante al Che - o piuttosto, mi sembrava, a un
moschettiere della regina. Sua sorella raccontava che da bambino era
convinto che le cose gli andassero storte. A scuola, al Rosmini, fecero
piantare agli scolari dei bulbi in vasetti, per imparare la sintesi
clorofilliana. I bulbi crebbero, benché sbiaditi, chiusi dentro l´armadio
dei cappotti: tranne quello di Mauro, perché l´aveva piantato alla
rovescia, e alla fine germogliò dalla parte di sotto. Era timidissimo, e
continuava a pettinarsi. Alle elementari, raccontava lui, "avevo
difficoltà a esprimermi, ero balbuziente, ero bravo negli scritti ma non
negli orali". Da grande diventò, a Trento e nelle assemblee di tutta
Italia, un leader carismatico e un oratore smagliante. Negli scritti
andava meno forte, ma per un´impazienza ai pensieri troppo ordinati e
pettinati. Piuttosto, era un magistrale coniatore di slogan - e in qualche
angolo scriveva poesie. Era felicemente eclettico, ciò che in tempi
dogmatici lo rendeva sospetto ai sistematori politici e a chi si aspettava
molto dalle scuole quadri: sospettava lui stesso del proprio eclettismo, e
di tanto in tanto si costringeva a qualche pedanteria scolastica.
Suo padre aveva suonato per diletto la chitarra classica, lui alla fine la
ereditò e ci cantava sopra, un giorno la regalò a un giovane della
comunità perché gli era simpatico. Quando morì Jimi Hendrix Mauro
faceva il giornale di Lc e pubblicò una sua foto e la didascalia:
"Suonava e cantava da dio. Morto a 24 anni per eccesso di droga. Con
lui i padroni hanno vinto". Del mimetismo, che era il contrassegno
della nostra "militanza", era un vero maestro. L´eclettismo sta
alle idee come il mimetismo sta alle persone in carne e ossa. Mauro poteva
diventare un operaio (lo era stato), uno studente di sociologia, un
docente di sociologia, un proletario occupante di casa di Palermo -
restava maschio, naturalmente: questo fu il limite insuperato del nostro
mimetismo, nonostante qualche imbarazzante tentativo...
Nel ´69 l´Italia conobbe per l´ultima volta il tentativo degli operai
di diventare una classe dirigente generale, l´aspettativa che era stata
della rivoluzione comunista di Gramsci e della rivoluzione liberale di
Gobetti. Mauro lasciò la troppo periferica Trento per Milano, e si arruolò
al marciapiede della Pirelli. "Ogni giorno mi alzavo alle quattro del
mattino per andare davanti alla Pirelli. Poi tornavo a casa, dormivo un
paio d´ore, ritornavo alla fabbrica verso le undici e ci stavo fino alle
tre. Un panino e tornavo alle porte alle cinque per l´uscita del
'giornaliero´. Dopo la riunione, tra le sette e le otto, andavo a
mangiare. Dalle dieci alle undici, di nuovo di fronte alla fabbrica per l´entrata
e l´uscita dei turni". "Ci spiegava le cose che facevamo in un
modo così bello che noi non avremmo potuto accorgercene", avrebbero
detto gli antichi operai della Philips in una serata dedicata al suo
ricordo. Era un poliglotta politico, parlava con entusiasmo e applicazione
il dialetto di un operaio delle valli trentine, o il brianzolo, o il
palermitano. In Sicilia, dove si era trasferito a fare il dirigente di
Lotta Continua, guidò una clamorosa occupazione popolare, a partire dallo
Zen, nella cattedrale di Palermo, conclusa con una specie di adesione
dello stesso cardinale arcivescovo.
Mimetico, Mauro era però inimitabile. Le sue idee erano inservibili senza
di lui, fantastiche in lui. Le sue idee erano meno importanti di lui: ci
sono persone per le quali è vero il contrario, e non hanno da starne
allegri. Più delle idee esplicite, c´era nel trascinante mimetismo di
Mauro qualcosa che contava di più, e durò sempre: un lancinante
desiderio di essere amato. Conquistava gli altri perché voleva essere
amato, e intanto era prodigo di sé. Più tardi fu pronto a deplorare il
leaderismo e il maschilismo di allora, e a rimpiangere di non essere stato
più amato "per sé".
Era trionfalista, come noi allora: e anche spaventato e allarmato, come
noi. A differenza della maggioranza di noi, illusi che la maturità della
lotta di classe tenesse l´Italia al riparo dal flagello della droga,
sapeva che cosa sarebbe successo - era già successo. Quando salutammo la
rivoluzione che non avevamo fatto, e ci salutammo reciprocamente, se ne
andò con una tristezza ma senza risentimenti. (Venne a cercarmi una volta
in piena notte, da un´altra città, per dirmi che aveva avuto un pensiero
urgente: che io non ero stato un padre in Lc, ma una madre. E ripartì). A
Trento, aveva festeggiato i vent´anni del Sessantotto con un discorso
pubblico in cui spiegava che eravamo stati sconfitti, e aggiungeva:
"Per fortuna". Infatti, l´abbiamo scampata bella.
Anniversari. Pochi giorni fa Mauro è diventato nonno di un bambino.
Maddalena aveva quindici anni, dunque ne ha trenta. Le ho scritto in
pubblico, così. "Siccome dormo poco, ho tempo per immaginare cose:
certe volte non distinguo più fra le cose che immagino e quelle che
sogno. Ho immaginato che una trentina di anni fa Mauro e io fossimo
insieme in qualche ristorante balcanico, e una brava zingara ci leggesse
la mano, trasalisse come al solito e poi, alle nostre spavalde insistenze,
predicesse che saremmo diventati nonni nello stesso anno, il 2003, uno dei
due da morto, l´altro da carcerato; e che io e Mauro ci fossimo guardati
per un momento seri, poi fossimo scoppiati a ridere, e avessimo offerto da
bere alla brava zingara e a noi, brindando a nipotina e nipotino. Poi ho
immaginato - forse sognavo già - che Mauro non fosse stato ammazzato e io
non fossi in galera, e che ci fossimo dati un appuntamento in qualche
osteria balcanica per festeggiare fra noi due coetanei la pressoché
contemporanea promozione a nonni, e che bella bevuta avremmo fatto, e che
brava zingara avremmo invitato al nostro tavolo per leggerle la
mano!".
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