IL TERZO BRACCIO
Quando il bambino venne alla luce , il dottore gridò per lo stupore nel vedere quel fenomeno in possesso di tre braccia. Il parto cesareo, aveva facilitato le cose e, a prescindere da quella anomalia, il corpicino era perfetto ed uniformemente roseo, senza alcun segno di traumi post-partum.
Bastò la classica sculacciata di avvio alla vita e quell’essere iniziò a respirare autonomamente, senza emissione di vagiti di dissenso nei confronti del destino. In sala parto, quella nascita creò un tale scompiglio che solo l’intervento autoritario di una infermiera riuscì a convincere il chirurgo della necessità di completare l’operazione, richiudendo l’utero della neo madre.
Tutti gli occhi erano puntati su quel piccolo fenomeno e la stessa infermiera spronò le compagne al taglio del cordone ombelicale e alla pulizia degli umori materni, tenendo il braccino del nascituro rivolto verso l’alto per facilitarne il lavoro. In posizione statica, quel supplemento attaccato all’altezza dello sterno, risultava rivolto verso il basso, però la vivacità del bambino lo rendeva simile ad una serpe nell’intento di perforare quel piccolo petto, alla ricerca del cuore.
La madre fu riportata in corsia ancora addormentata, mentre fu possibile vestire il nascituro dopo aver fissato il braccino eccedente sotto una fascia elastica applicatagli intorno al torace.
Questa nascita, creò scompiglio tra i parenti che, accorsi al capezzale della genitrice, si prodigarono in maniera encomiabile nell’arduo compito di aiutarla ad accettare quella mostruosa realtà, la tesi più accreditata fu che, potendo scegliere, tre braccia sarebbero state pur sempre da preferire ad una.
Furono consultati dei luminari, sulla possibilità di un intervento riparatore, ma risultò subito evidente che l’estirpazione sarebbe stata impossibile a causa delle connessioni nervose ed ossee che avrebbero reso l’intervento pericoloso per la vita del bambino. Il cardiologo ospedaliero, sentenziò una morte certa se non si fosse impedito lo sviluppo del terzo arto che, come una morsa, avrebbe compresso lo spazio vitale del cuore. Bisognava agire subito e costringere l’incomodo alla più completa immobilità e quindi all’atrofia. Fu realizzato un busto toracico con possibilità di adattamento alla crescita del bambino e lo psicologo suggerì ai genitori risposte adeguate ad inevitabili domande imbarazzanti, da parte di coloro che avessero notato quell’essere con una strana protuberanza che, partendo da sotto il collo, arrivava fin sopra l’ombelico.
Arrivò il momento del ritorno a casa, gran sollievo di tutta l’equipe medica e paramedica che accompagnando la famiglia alla macchina la salutarono con piacere.
Il padre, avviò il motore e guardò la moglie con il pargolo seduta di fianco, poi voltatosi verso l’ospedale si accorse di essere rimasto solo.
Il rito del cambio del pannolino con il relativo bagnetto, fece accorrere le nonne, le zie e buona parte delle donne del vicinato, tutte interessate specialmente all’apertura del bustino e all’improvvisa erezione dell’arto che conteneva. Tutte in gara nel farsi prendere il naso oppure accarezzare dolcemente le gote e le labbra, accompagnando la manina tenuta dolcemente dal piccolo polso. Le due braccia naturali sembrava non interessassero a nessuna, venivano esclusivamente usate per l’immersione nella vaschetta dell’acqua tiepida mentre tutti gli occhi erano puntati verso la terza manina, che sguazzava in sintonia con le gambette.
La madre, notava in ciò uno strano gioco erotico, la cui sconcezza la metteva a disagio, però un disagio ancora più forte lo provava nei confronti di tali pensieri e così smise di pensare.
La sera, a letto, i genitori si interrogavano sul possibile futuro del loro pargolo, ipotizzando il caso che l’atrofia non fosse andata a buon fine. Si scartava l’idea di attività circense, che lo avrebbe reso un fenomeno da baraccone e compromesso l’attività cardiaca, avrebbe potuto divenire un bravo contabile, mentre nel campo artistico un ottimo scultore oppure un eccellente pianista. Nel campo della politica, avrebbe avuto sicuramente credito, grazie alle sue maggiori potenzialità naturali nel poter ‘’dare’’, però facilmente confondibili con maggiori predisposizioni naturali al ‘’prendere’’.
Al compimento del quarto anno, Rico, così fu chiamato, sembrava un bambino incurante della propria anomalia, con la quale aveva un rapporto molto disinvolto. Aveva imparato a frenare l’istinto di liberare quella sua parte integrante, costantemente premuta contro il cuore, che gli permetteva ogni istante di sentirne i battiti. Dalla loro frequenza, riusciva a capire il proprio stato d’animo. Gli impulsi del cervello, reputati oramai inutili, avevano interrotto la loro funzione ed ogni percezione era demandata alla capacità tattile di quell’arto oramai così vitale per il bambino. L a madre, aveva capito la capacità acquisita dal figlio, quando lo stringeva al seno, si sentiva violata nel più profondo del suo intimo e lo capiva dagli sguardi di Rico, il quale volgendo il palmo nascosto verso il suo cuore, ne carpiva i pensieri e i sentimenti più nascosti.
Con il tempo, la donna cadde in una profonda depressione accompagnata da una repulsione nei confronti di quel figlio che non riuscì mai più a stringere a sé.