la vegetazione forestale naturale in italia: le zone fito-climatiche 1 - definizioni quando
si va in montagna, sia d’inverno che d’estate, sia attrezzati che
semplicemente a piedi, sia su neve e ghiaccio che su boschi e pascoli,
spesso si va in salita; lo so che è un osservazione ovvia e lapalissiana,
ma lasciatemi proseguire il mio ragionamento. a volte capita di fare
diverse centinaia di metri di dislivello e mentre si sale non è
necessario essere grandi osservatori per accorgersi che qualcosa cambia
intorno a noi: nella più banale delle camminate, succede di attraversare,
in basso, dei boschi di latifoglie e invece, a quote più alte, passiamo
in boschi di conifere; nelle gite scialpinistiche, succede di uscire dal
bosco e trovarsi in zone completamente innevate, senza né alberi né
arbusti. persino passeggiando al mare, la vegetazione della pineta è
diversa se ci troviamo vicino al litorale oppure se ci siamo diretti verso
l’interno.
passo dell'abetone: vista verso il crinale di campolino qui
non vogliamo perderci in complicate definizioni geografiche o
climatologiche, ma semplicemente buttare giù un’introduzione sulle
correlazioni che ci sono fra il clima e la vegetazione, con particolare
riferimento all’ambiente che ci interessa di più, cioè la montagna, e
specialmente sull’ambiente appenninico e alpino. ma queste
considerazioni, così volutamente generiche, potrebbero essere adattate
anche ad altre regioni. per
prima cosa occorrono alcune definizioni, tanto per dare le coordinate di
quello di cui si parla.
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gli
elementi da considerare per capire come cambia la vegetazione in rapporto
al clima sono molti, ma i principali potrebbero essere questi: temperatura
media di tutto l’anno, temperatura media del mese più caldo e
temperatura media del mese più freddo, precipitazioni totali annue,
precipitazioni nel periodo estivo, media dell’umidità atmosferica. di questi parametri, il primo da prendere in considerazione varia secondo la latitudine, e mi spiego con due esempi. premesso che la penisola italiana fa parte nella zona temperata, si possono definire climi temperato-caldi (oppure temperati con inverno mite) quelli in cui per almeno 8 mesi la temperatura media è superiore ai 10° e temperato-freddi (oppure temperati con inverno marcato) quelli in cui questi valori si hanno per 4 – 7 mesi. poi ci sono i climi freddi, in cui soltanto da 1 a 3 mesi hanno temperatura media superiore ai 10°. non è questa la sede per entrare nei particolari, basterà ricordare che nei climi temperato-freddi, l’elemento determinante è la temperatura e l’importanza della piovosità è subordinata. nei climi temperato-caldi, l’elemento decisivo è il regime pluviometrico (cioè come si distribuiscono le piogge nel corso dell’anno e in particolare d’estate, periodo in cui le piante sono in vegetazione); in queste zone, il rischio è la siccità estiva. la
distribuzione della vegetazione naturale può essere semplificata come se
si succedessero, dal basso in alto in senso altimetrico, tre
“orizzonti” che possono essere a loro volta classificati come piano
basale, submontano o montano, ma con validità assai diversa in relazione
alla zona; è evidente che non possono avere lo stesso significato sulle alpi o sull’appennino meridionale, ma qui lasciamo perdere, perché
bisognerebbe entrare nei particolari. i tre orizzonti sono i seguenti: 1) il livello delle piante a foglie persistenti, le sempreverdi mediterranee, che rappresenta il piano basale dell’appennino centro-meridionale e delle isole; 2) il livello delle latifoglie decidue, corrispondente al piano montano nella catena appenninica e a quello montano inferiore per le alpi; 3) il livello delle conifere montane, che è esclusivo delle alpi ad eccezione di piccole aree dell’appennino centro-settentrionale. questa è ovviamente una semplificazione, in quanto tutti e tre questi “piani” di vegetazione sono interessati da almeno due suddivisioni interne e da fenomeni di transizione fra loro. una
classificazione del secolo scorso, semplice e intuitiva, cercando di
instaurare una corrispondenza a grandi linee fra climi e formazioni
vegetali potenziali (vale a dire i boschi che ci sarebbero se non ci fosse
stato l’intervento antropico), suddivideva le zone: a)
la zona del "lauretum", che si identifica con l’area di influenza dei
climi temperato-caldi (quelli a siccità estiva) e la presenza delle
sclerofille mediterranee sempreverdi (diverse specie di pini, leccio,
sughera, carrubo, corbezzolo, lentisco, olivo selvatico, ecc.). in italia,
il 48% della superficie è occupata dalla zona del “lauretum”. b)
la zona del "castanetum", che corrisponde all’area dei climi
temperato-freddi a estate calda (o temperata ma con siccità ancora
sensibile). la vegetazione è quella dell’orizzonte basale in Italia
settentrionale - di quello montano inferiore al centro-sud -
caratterizzato dalla presenza del castagno e delle querce caducifoglie e
di altre specie quali aceri, olmi, frassini, carpini. la zona del
“castanetum” occupa in italia un’area pari al 36% del totale. c)
la zona del "fagetum", la quale corrisponde all’area dei climi
temperato-freddi con estate fresca. la vegetazione è quella del piano
montano, dominato dalla presenza del faggio, localmente associato
all’abete bianco o al pino nero. l’8% della superficie nazionale è
occupata dalla zona del “fagetum”. d)
la zona del "picetum", che corrisponde ai climi freddi, ma con estate
sufficientemente calda e all’area di dominio delle conifere alpine, in
particolare dell’abete rosso (nome scientifico picea, da cui il nome
della zona), con inserimento di pino silvestre, larice, pino cembro. la
zona del “picetum” occupa in Italia un’area pari al 5% del totale. |
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e)
la zona dell’"alpinetum", anch’essa parte del dominio dei climi freddi,
corrispondente all’orizzonte degli arbusti prostrati: ginepro, pino
mugo, rododendri. occupa in Italia una superficie pari al 3% del totale. sono convinto che vi sarà capitato già di imbattervi in queste definizioni, perché vengono spesso usate nelle schede descrittive dei parchi e in occasioni simili. insisto nuovamente sul concetto che qui non si espongono studi scientifici, ma si fanno due chiacchiere in libertà. per finire mi piacerebbe accennare qualcosa sui “nostri” territori, quelli che frequentiamo; perchè è evidente che, se la zona del “lauretum” occupa quasi la metà della superficie nazionale, quasi tutta questa estensione si trova a sud di firenze. la toscana non appenninica si può separare in due sotto-zone: una è quella che comprende la costa, la maremma e il bacino dell’arno da montelupo a pisa, l’altra è l’interno che non subisce l’influsso dell’aria marina. entrambe queste aree ricadono nel “lauretum” ma con caratteristiche diverse, la prima è caratterizzata dalle formazioni sempreverdi con dominanza del leccio, la seconda invece dalle querce caducifoglie. queste due sottozone del “lauretum” sono quasi assenti al nord, infatti la la pianura padana è parte del “castanetum”, con esclusione del lago di garda che ha un clima mediterraneo. un esempio tipico è il “forteto” toscano, nella prima foto. in tutto l’appennino tosco-emiliano-romagnolo e umbro-marchigiano la zona del “picetum” è assente, oltre la zona di vegetazione del faggio c’è il limite della vegetazione arborea, e intorno ai 1600 metri si passa direttamente alla brughiera, ai mirtilleti e prati del crinale. |
forteto a corbezzolo e leccio nel volterrano (foto g. bernetti)
castagneto da frutto convertito a ceduo (foto g. bernetti) |
solo a campolino (nella zona
dell'abetone) c’è una
popolazione autoctona di abete rosso ma si trova nel “fagetum” sottozona
fredda; dalle analisi condotte nel 1936 dal prof. a. chiarugi di firenze era
risultato che l'abete rosso esisteva nell'alta valle del sestaione già 8000
anni fa, fino ad avere la massima diffusione 6000 anni fa, ultima glaciazione;
da allora in poi, il faggio ha cominciato ad occupare aree sempre più estese
facendo regredire le colonie di abete rosso. in toscana ci sono altre abetine
ma sono di abete bianco, e nessuna di queste è naturale, ma quasi tutte sono
state piantate dall’uomo in epoca storica, come per esempio vallombrosa. vedere la quarta foto. |
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bosco misto di abete bianco e castagno (foto g. bernetti) |
bosco di abete bianco delle prealpi (foto a. gabrielli) |
le alpi da questo punto di vista sono più tipiche e, partendo dal “castanetum” che, come ho già detto sopra, occupa la gran parte della pianura padana e del piano basale delle prealpi, si passa regolarmente alle zone superiori. nella zona del “fagetum”, l’azione antropica ha determinato spesso la predominanza delle conifere, ma i fattori climatici influiscono notevolmente: dove le precipitazioni sono più abbondanti, il faggio resiste tenacemente. nella terza foto, un bosco misto di abete e castagno. in genere intorno ai 1900 metri
abbiamo il limite della vegetazione arborea, dove gli ultimi larici e cembri
lasciano il campo all’”alpinetum” che occupa una fascia ristrettissima
perdendosi nella zona scoperta. ultima osservazione: in kirghizistan, dove c’è stata la spedizione alpinistica della nostra
sezione nel 2003, le conifere vegetano oltre i 3500 metri; eppure non si tratta di
un paese tropicale, ma evidentemente il clima diverso porta a un’altra
distribuzione della vegetazione naturale. 3 - testi ……
che si possono leggere se interessati all’argomento: odum,
principi di ecologia. piccin
fenaroli, note illustrative sulla carta della vegetazione reale d’italia.
min. agr. for. collana verde 28 tomaselli, note illustrative carta vegetazione naturale potenziale d’italia.
min. agr. for. collana verde 27 de philippis, classificazioni e indici del clima in rapporto alla vegetazione forestale
nuovo giorn. botan. it. 37
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pubblicato sul n° 2 del 2006 http://www.caifirenze.it |
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aggiornamento ottobre 2007 |
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