FUOCO E GHIACCIO
di
Margot


  Squall non riusciva a dormire. Dopo essersi rigirato innumerevoli volte nel letto, decise che era inutile sforzarsi. Si alzò e si vestì velocemente. Uscì dalla sua camera e si ritrovò nel corridoio deserto: a quell’ora tutti dormivano, le luci erano spente e nessun rumore disturbava la quiete notturna. Cercò di camminare lentamente per non fare troppo rumore, eppure i suoi passi rimbombavano pesantemente sul pavimento,  ed avevano lo stesso suono che sentiva nella sua testa. Dei colpi cupi che battevano contro il suo cervello, nelle sue orecchie, nelle sue tempie. Non sapeva spiegarsi perché quella notte si sentiva così strano, così agitato. Aveva portato con sé il gunblade perché sentiva dentro di sé la smania di combattere. Quando fu nell’hall accelerò il passo, dirigendosi verso il centro addestramento.
Forse eliminare qualche mostro lo avrebbe calmato…
Anche il centro addestramento era vuoto e persino la zona segreta, a quell’ora di notte non poteva che essere deserta: Squall avanzò impettito, con il gunblade in mano, in attesa di qualche attacco improvviso. Il cuore gli batteva velocemente nel petto e tutto il suo corpo fremeva: possibile che la sua vita non avesse senso senza combattere?
Un paio di graat gli si pararono davanti con i loro lunghi e sottili rami. Provarono a colpirlo, ma lui era agile e si muoveva come un felino. Un paio di colpi di gunblade bastarono a mettere fuori combattimento i due mostri. E il silenzio tornò ad avvolgere Squall.
Ma non si sentiva affatto meglio: anzi, era ormai in fibrillazione, non riusciva a star fermo e non riusciva assolutamente a capire cosa avesse.
Forse doveva uscire dal Garden. Forse aveva bisogna di allontanarsi per un momento dall’atmosfera quasi irreale della sua scuola e immergersi nell’aria vera del mondo…Sapeva che era contro le regole uscire di notte, ma non gli importava.  Era il comandante dei seed e in quell’occasione avrebbe sfruttato la sua posizione.
Riuscì comunque ad aggirare la sorveglianza e finalmente si ritrovò fuori: era una notte scura, senza stelle. Grosse nubi danzavano nel cielo' trascinate dal vento gelido proveniente da nord.
Dietro di loro una pallida luna faceva timidamente capolino, per poi scomparire nuovamente dietro quella coltre nuvolosa. Squall inspirò profondamente e sentì il freddo che penetrava nelle sue narici e si irradiava in tutto il suo corpo. Era buio intorno a lui, riusciva a scorgere in lontananza le luci fioche del porto di Balamb. Sentiva il rumore delle foglie agitate dal vento e l’eco della risacca a pochi metri da lui. Mosse qualche passo senza sapere dove andare: - Ma che ci faccio qui?
Si chiese. Aveva fatto tutto senza riflettere: si era alzato dal letto, aveva afferrato il gunblade ed era uscito. Aveva combattuto contro due mostri e poi era sgattaiolato fuori. E perché? Per una sensazione, un fervore che si era impossessato di lui facendogli perdere tutta la sua razionalità. Ma quello che più lo turbava era il fatto di provare quella sensazione, quella specie di insoddisfazione. Cosa gli mancava? Aveva sconfitto la strega Artemisia salvando l’umanità dalla distruzione; aveva degli amici che gli volevano bene e gli erano sempre stati vicini, aveva ritrovato suo padre. E poi aveva Rinoa! Un sorriso gli incurvò le labbra al pensiero di Rinoa: la immaginò addormentata nel suo letto, con i capelli sparsi sul cuscino, le labbra socchiuse, il viso rilassato. E Angelo accucciato ai piedi del letto! La sua dolce Rinoa, che con le sue piccole mani era riuscita a scavare nel muro che lui aveva costruito intorno al suo cuore; lei, con i suoi sorrisi, i suoi sguardi, le sue parole, l’aveva buttato giù quel muro e aveva teneramente accarezzato il suo cuore… E allora cosa gli mancava? Perché quella notte si sentiva così incompleto?
Senza rendersene conto si era addentrato nel bosco. Era giunto ad una piccola radura: per un momento le nuvole si diradarono e la luna illuminò. E fu allora che lo vide.
Era in piedi a pochi metri da lui e lo stava guardando. I suoi occhi sembravano scintillare come quelli di un lupo famelico. Era fermo, incurante del vento che gli scompigliava i capelli biondi come fili di grano, e che faceva sventolare il suo lungo cappotto grigio. Seifer, rimaneva immobile. Un ghigno gli si dipinse sul viso:
-         Squall. Ti aspettavo Squall capì. La sua smania, la sua agitazione, la sua impazienza. Era tutta colpa di Seifer…..
-         Sono qui adesso. Sei pronto?
Entrambi impugnarono il gunblade con le mani e si prepararono allo scontro. Si guardarono negli occhi. Gli occhi azzurri di Squall erano attenti, ma impenetrabili come sempre. Sembravano cristalli di ghiaccio’ due iceberg persi nell’oceano! Gli occhi di Seifer ruggivano come leoni, fiamme ardenti danzavano in essi….Ghiaccio e fuoco….Ecco cos’erano loro due.
E la battaglia cominciò….Le lame delle loro armi stridevano. Ogni colpo fendeva l’aria producendo un sibilo acuto che si perdeva nel rumore del vento. Loro non perdevano il contatto visivo, ma ogni volta che si accingevano a sferrare un colpo i loro occhi diventavano ancora più penetranti. Combattevano, si muovevano agilmente, schivavano, poi colpivano, si attaccavano, si difendevano. La tensione saliva, l’adrenalina scorreva velocemente nelle vene, un colpo poteva essere quello fatale. I muscoli del corpo dolevano. Ma nessuno dei due avrebbe ceduto…entrambi sapevano che i loro combattimenti avvenuti quando Seifer era sotto il controllo di Artemisia non erano “i loro combattimenti”, quelli veri. Come quello che stavano affrontando adesso. Uno di loro avrebbe potuto morire……
IL gunblade di Squall vibrò un istante nell’aria prima di cadere pesantemente su Seifer. Ma nello stesso attimo la lama tagliente del gunblade di Seifer si abbatté sulla testa di Squall. Entrambi caddero terra, le loro armi caddero lontano. Istintivamente entrambi si portarono la mano alla fronte: sangue. La vecchia ferita che si erano procurati in un lontano combattimento, che sembrava quasi rimarginata, si era riaperta e il sangue che usciva scivolava sui loro visi, sulle guance quasi come una lacrima.
Si guardarono. Il ghiaccio degli occhi di Squall si sciolse per un attimo: Seifer era cresciuto con lui….Seifer era come lui. Erano sempre stati soli, senza una famiglia che avesse voluto curarsi di loro. Bambini costretti a diventare adulti, costretti a difendersi dalla crudeltà del mondo a modo proprio. Con la freddezza. Con l’arroganza. Con qualunque arma, tranne che con l’amore. Seifer era forse la prima persona a cui si sentiva legato. E quella notte, quando si era sforzato inutilmente di dormire, nel suo cuore sapeva già cosa gli mancava, da cosa derivava la sua incompletezza.
Lo aveva sempre detestato, eppure non era mai riuscito a fare a meno di lui.
  Anche Seifer guardò Squall, e il fuoco che bruciava nei suoi occhi per un attimo si spense. Squall da bambino solitario, si era trasformato in un valoroso comandante. Aveva vinto la guerra, aveva trovato l’amore. Eppure adesso era lì, contro di lui. Con lui.
  Il vento si era placato e le prime luci dell’alba avevano rischiarato il cielo. Il canto di qualche uccello echeggiò tra i rami. Qualche foglia svolazzò nell’aria. Nell’aria rosa del primo mattino Seifer e Squall giacevano sul terreno, ancora sanguinanti. Assorti nei loro pensieri, nei loro ricordi. Avvolti dal silenzio e dalla calma del bosco.
Con fatica si sollevarono. Recuperarono le loro armi e si ritrovarono faccia a faccia.
Non dissero nulla. Non fecero alcun gesto. Ma in controluce si riusciva ad intravedere un sottile filo, quasi invisibile che legava i due corpi in un legame trasparente.
Non erano amici.
Non erano neppure nemici.
Erano solo loro: Seifer e Squall. Da sempre. Per sempre.

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