Le candele

di Dino Ticli

 

 

Un giorno, spinto da non so quale impulso, riguardai indietro la mia vita con molta attenzione. Nel bene e nel male, i giorni trascorsi mi apparvero grigi; sapevo bene quale fosse la causa, anche se facevo fatica ad ammetterlo.
- Dio, - dissi allora, - non riesco a sentire la tua voce: mi piacerebbe seguirti, ma non so dove sei. Non ho fede o è talmente piccola che non riesce a illuminare la mia strada e a renderla chiara e facilmente percorribile.
Poi presi una decisione. Avevo una piccolo ripostiglio vuoto e dimenticato: lì posi una grossa candela.
- Il giorno in cui mi darai una fede salda, accenderò quella candela e la stanza non sarà più buia.

                 

Passarono i giorni e gli anni ma la grossa candela rimase spenta. Presi però l'abitudine di accendere una piccola candela per ogni scelta nella mia vita che pensavo potesse condurmi sulla giusta via.
Posi più attenzione al mio lavoro e alle persone che condividevano con me la fatica di tutti i giorni. E accesi una piccola candela.
Invitai più spesso gli amici a casa mia e li accolsi con sincera ospitalità. E accesi una piccola candela.
Condivisi con la mia famiglia i problemi di tutti i giorni e cercai in ogni cosa il lato positivo. E accesi una piccola candela.
Dedicai un po' del mio tempo a chi ne aveva più bisogno di me. E accesi una piccola candela.
Pregai più spesso il Signore perché mi donasse la vera fede. E accesi una piccola candela.
Le piccole candele si moltiplicavano ma, ogni volta, con tristezza e profondo rammarico, uscivo da quella piccolo ripostiglio con un cruccio nel cuore: quello di non avere ancora potuto accendere la candela più grossa.
Poi feci un sogno. 
Camminavo lungo una strada solitaria in compagnia di uno sconosciuto al quale, non so perché, raccontai la mia storia.
- Vuoi portarmi lì dove tieni le tue candele? - mi chiese a un tratto.
Lo guardai solo per un istante, ma non trovai nulla da obiettare. 
- Ecco - dissi quando fummo nel ripostiglio.
Le fiammelle delle piccole candele, che sfrigolavano e spargevano un fumo acre, facevano brillare di rosso e di giallo il grosso cero che immobile e senza vita non restituiva quel piccolo favore.
- Spegni le candeline. 
La sua voce era pacata e l'invito non apparve come un ordine; eppure obbedii prontamente come fa un cagnolino con il suo padrone.
- Adesso accendi il grande cero.
Mi avvicinai con trepidazione e lo accesi. Per la prima volta dopo molti anni di attesa vidi la sua luce.
- Adesso sei contento?
- No - risposi con sincerità dopo un breve istante di smarrimento - il ripostiglio adesso è più buio e solitario.
Lo sconosciuto mi sorrise, come fa il maestro con lo scolaro la cui mente si apre finalmente alla conoscenza. Poco prima di svegliarmi e che l'uomo si dileguasse insieme al buio della notte, riuscii a sentire queste parole che ancora adesso risuonano nella mia vita: - Ricordati che fa molta più luce la fede che hai messo nelle piccole azioni della tua vita che non quella astratta che avevi riposto in un simbolo vuoto.

(racconto dedicato a mia moglie Franca)

 

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(C)
Dino Ticli, 2004