Adoro l’albero di natale, le sue luci, i suoi colori, il suo profumo.
Resterei ore incantata a fissare l’intermittenza di quelle mille lucine colorate, mi rilassano, mi distendono.
L’Albero
è un portale attraverso il quale si entra in un altro mondo, quello del
passato, in un momento della mia vita, l’infanzia, dove tutto era vissuto con
gli occhi e il cuore tenero di una bambina.
Una
Vigilia di Natale è rimasta impressa nel mio cuore ed oggi sento il bisogno di
scrivere ciò che ho provato quel natale di tanti anni fa.
Da
tanto desideravo ricevere la mia bambola preferita, Ciccio Bello, era forse il
mio istinto materno che me lo faceva desiderare. Era quello l’unico regalo che
io aspettavo quell’anno, nonostante la mia lettera a Babbo Natale fosse ricca
di richieste.
Tutti i giorni, tornando da scuola andavo in salotto e passavo in rassegna i pacchi sotto l’albero. Niente, non c’era. Sapevo che la scatola sarebbe stata grande, troppe volte avevo studiato nei negozi, ferma lì sperando che qualcuno dei miei familiari avesse capito quanto io desiderassi quella bambola.
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E’ un regalo troppo importante. Non è una cosa che si compra così per
nulla.
Tante
volte mi era stato risposto così, una volta avevo anche ricevuto una bambola
simile “Marcellino” ma non era lui, non era il mio “Ciccio Bello”.
Questa
volta però la mia richiesta l’avevo fatta a Babbo Natale, lui non poteva
deludermi!
Era un pomeriggio, pochi giorni prima della Vigilia di Natale. Entrai nel salotto, era buio, era grande, le sole luci che vedevano erano quelle dell’albero, ancora le ricordo, delle casette, in ognuna di loro una lucetta. Passavo il tempo ad immaginare che in ognuna di loro vivesse una piccola famiglia, in quei 2, 3 centimetri la mia fantasia aveva creato una casa completa di tutto.
Entrai in silenzio a fare il mio solito giro di ricognizione e…..era lì, bella, grande, con la carta rossa, non la potrò mai dimenticare quella scatola, si rifletteva nel marmo del pavimento tirato a lucido.
Era
lei! La scatola che conteneva ciò che avevo sognato e desiderato, nessun regalo
aveva più senso, tutto poteva svanire c’era lui, lì in quella scatola
c’era il mio bambino!
Tutti
gli anni, secondo i nostri usi e costumi familiari, i regali li scartavamo la
sera della Vigilia poco prima della mezzanotte, subito dopo cena.
Perché
quell’anno non fu così ancora non lo so, perché tutti ci dovemmo
sottomettere alle abitudini di una zia americana ancora non lo capisco, sta di
fatto che le cose andarono proprio così.
Dopo
cena, quell’anno, prima e ultima volta in vita mia!, non aprimmo i pacchi ma
dovemmo ascoltare una noiosissima storia , almeno io così la ricordo, su Santa
Claus, ma chi era?! Io conoscevo solo Babbo Natale! Cosa era riuscita ad imporre
quella straniera!
Dovetti aspettare fino al giorno dopo. All’alba mi alzai e corsi in salotto, non aspettai nessuno, diavolo! Aprii il mio regalo da sola, in silenzio e finalmente provai la gioia di stringere fra le mie braccia la mia bambola preferita, il “mio bambino era nato!”.
Ora
nessuno mi poteva dire o imporre nulla, era il mio mento magico.
Avevo sei anni credo e quell’attesa, quell’imposizione e soprattutto quell’impotenza davanti alla volontà altrui, mi sono rimaste dentro.
Non ho mai, nemmeno per un attimo, pensato che quella decisione dei miei genitori di rispettare le usanze di quella persona fosse stata giusta. Ho imparato però poi con il passare del tempo che l’attesa per le cose che desideri è lunga quanto l’intensità del desiderio per essa. Così io aspetto ormai con calma che ciò che desidera il mio cuore si avveri.