è
Natale!
di Dino Ticli
(racconto pubblicato su un settimanale, 1999)
Roberto
Landi avanzava con passo svelto lungo una viuzza acciottolata, piuttosto stretta
e silenziosa. Aveva sollevato il bavero del cappotto e lo teneva stretto con la
mano destra per ripararsi dal vento pungente e gelido che quella sera sembrava
avesse scelto il suo stesso tragitto. Il cappello ben calcato fino agli occhi
contribuiva a renderlo una figura anonima nella penombra. I lampioni, fissati ad
un alto muro di pietre, emettevano una luce fioca e rossiccia ed erano così
distanziati l’uno dall’altro che, quando ne aveva lasciato uno dietro alle
spalle, poteva osservare la sua ombra accorciarsi sempre di più fino a vederla
scomparire del tutto nelle zone di buio fitto.
- In che razza di posto mi ha mandato! - brontolò indispettito quando una
raffica improvvisa e più forte delle altre gli fece volare via il cappello. Lo
raccolse e lo calcò con più vigore piegando la testa in direzione del vento e
trattenendolo con la mano sinistra.
- è inutile lamentarsi - si disse
con amarezza. - Me la sono cercata io.
In effetti, quando il direttore aveva chiesto chi avrebbe voluto recarsi in quel
paesino per scrivere l’ultimo articolo sulle tradizioni natalizie, tra lo
stupore dei colleghi, si era offerto volontario. D’altra parte nessuno si era
fatto avanti, comprensibilmente.
- Proprio tu, Landi? - aveva chiesto il direttore con un sorrisetto sulle
labbra, ben conoscendo la sua avversione per quel genere di cose. Ed infatti,
quando il suo capo, tempo prima, aveva proposto alla redazione l’idea di una
serie di articoli da pubblicare nel periodo natalizio, era stato l’unico ad
opporsi fermamente. Era convinto che non si potesse continuare a narcotizzare la
gente con quel genere di cose. Il Natale era per lui solo una grande truffa
ormai priva di significato tranne per i commercianti che si arricchivano
approfittando dell’euforia incosciente che invadeva tutti ma non Roberto Landi,
ovviamente.
- Proprio tu, Landi? - si era sentito ripetere con tono provocatorio, ma si era
limitato a rispondere con un’alzata di spalle.
Nessuno avrebbe rinunciato volentieri ai festeggiamenti in famiglia, di certo
non la vigilia di Natale. Ma lui? Il bello ed elegante Roberto Landi, ammirato
dalle colleghe ed invidiato dai colleghi: cosa lo aspettava a casa?
- Casa - sbottò, chiudendosi ancor più nel bavero.
Anche lui si rendeva conto che una stanza d’albergo non poteva considerarsi
una casa, anche se tante volte si era vantato della sua libertà con i colleghi.
Entrare ed uscire senza dover rendere conto a nessuno, invitare amici ed amiche
a piacimento, avere qualcuno che riordini senza dover nemmeno ringraziare. Bella
vita davvero, ma quella era una sera speciale e non avrebbe trovato nessuno a
tenergli compagnia e così meglio lavorare.
- Comunque sia, se il direttore si aspetta un articolo melenso come quelli
scritti dai miei colleghi, avrà una bella sorpresa.
Sapeva già cosa avrebbe trovato nella chiesetta che lo aspettava in fondo a
quella galleria del vento: uno dei mille insignificanti presepi tutti luci e
stelline, magari uno di quelli con il giorno e la notte che si alternano
cercando di ricreare la vita dove questa non c’è più, da duemila anni. O
addirittura un presepio moderno dove al posto delle pecore ci sono le
automobili, al posto delle case di argilla e mattoni, di legno e paglia, vi sono
edifici in cemento e strade asfaltate.
- Niente stelle, però - ironizzò alzando gli occhi al cielo nuvoloso. - Lo
smog e le luci di una città le rendono invisibili o così poco attraenti che è
meglio guardare altrove.
Ma le sue considerazioni si interruppero bruscamente perché inciampò in un
ciottolo sporgente che gli fece perdere l’equilibrio. Prima di alzarsi, si
permise di imprecare a voce alta, tanto in quel deserto nessuno lo avrebbe
udito. Si spolverò il cappotto e cercò invano il cappello che sembrava essersi
dissolto.
- Al diavolo il cappello - concluse irritato rimettendosi in cammino.
Il vento ne approfittò per arruffargli i capelli ed infilarsi gelido tra il
collo ed il bavero.
Fece gli ultimi metri corsa e spinse con forza una pesante porta di legno. Tirò
un sospiro di sollievo, ma fu subito colpito dal forte odore di incenso, di cera
e di umidità.
Sul fondo, appena illuminato, si intravedeva un altare sormontato da una pala di
legno dipinta. Un Cristo benedicente, sebbene ormai inscurito dal fumo di mille
candele, lo accolse con un sorriso immobile che elargiva da chissà quanto
tempo.
Erano molti anni che non metteva piede in una chiesa e un inaspettato senso di
disagio contribuì a renderlo ancora più inquieto. Si mosse allora lentamente
sul pavimento di pietre irregolari per raggiungere una delle prime panche. Prima
di sedersi, notò come lo scrupoloso lavoro di generazioni di infaticabili tarli
e l’intenso uso, sebbene più deboli, avessero reso austeri quei poveri
sedili. Per questo non lo ritenne un difetto anzi gli parve che tutto facesse
parte di una scenografia che nemmeno il più abile degli architetti sarebbe
stato in grado di creare.
Una luce, solo un po’ meno fioca di quella delle candele che ardevano ovunque,
si accese presso un altare laterale. Ebbe un moto di fastidio, come se un rumore
inopportuno e stonato avesse rotto l’incantesimo di un concerto.
- è il presepio - pensò. - Sarà
meglio che mi sbrighi: non voglio rimanere oltre in questo posto. E devo anche
cercare il parroco per l’intervista.
Ma non lo fece. Si diresse invece verso quella luce, come se si fosse accesa per
lui. Sapeva che sarebbe rimasto deluso nel vedere l’ennesima ricostruzione,
piena di buona e sciocca fede, di un fatto storico in cui troppe persone
riponevano le loro speranze.
Era ormai all’altezza dell’altare laterale, quando le luci, dopo aver
traballato per qualche istante si spensero del tutto.
- Scarse capacità tecnologiche - ironizzò avanzando ancora.
Un odore di muffa e di legno lo avvolse procurandogli dapprima un senso di
fastidio; tuttavia gli risvegliò lontani ricordi e si trasformò rapidamente in
qualcosa di dolce e piacevole: la casa di campagna dei nonni, la loro cantina
piena di mobili polverosi e umidi tra i quali aveva passato ore giocando a
nascondino con i suoi cugini.
- Non è un presepio moderno - commentò compiaciuto. - Questi oggetti devono
essere vecchi almeno come le panche.
Ma la luce della chiesa era troppo fioca e poté distinguere solo le sagome nere
dei personaggi. Erano piuttosto grandi e disposti nelle pose più strane.
- Forza, un po’ di luce - chiese in un bisbiglio, ma la luce non venne.
- Spero che vorrai scusarmi - disse poco dopo, ma senza nessuna ironia, al
Cristo benedicente quando prese una delle candele che ardevano presso l’altare
maggiore.
Tornò quindi rapidamente al presepio, proteggendo la piccola fiamma con una
mano.
- Ed eccomi ancora qua - esclamò infine e liberò la fiamma.
Il personaggio più vicino fu illuminato di rosso e proiettò un’ombra che
danzava al ritmo della fiammella. La statuetta era piuttosto grossa ed
intagliata nel legno, come aveva immaginato. Era stata dipinta con cura e
rappresentava un uomo di una certa età, con la faccia rugosa ed una folta barba
bianca; reggeva una lanterna per illuminare la strada e gridava qualcosa di
incomprensibile nonostante tenesse una mano attorno alla bocca per farsi sentire
meglio.
- Non c’è nessuno ad ascoltarti e la tua luce non splende. Non affaticarti
oltre e lascia che siano gli altri a preoccuparsi delle cose del mondo.
Più in là trovò una donna con un grande cesto sulla testa, all’interno del
quale vi erano dei pani e dei pesci. Aveva uno sguardo serio e pensieroso che
non lasciava trapelare nulla riguardo al luogo verso cui si stava dirigendo in
tutta fretta.
- Cara, signora, probabilmente non sai nemmeno tu dove andare. Cammina, cammina
e dopo tanti anni sei ancora qua, con i tuoi pani e i tuoi pesci alla ricerca di
una meta. Forse il vecchio è tuo padre che non vedendoti tornare è uscito alla
tua ricerca nel buio della notte.
Ebbe per un attimo la tentazione di spostare la statuetta della donna perché
potesse finalmente ricongiungersi con il padre. Ma si vergognò di quel pensiero
infantile.
Con la candela illuminò allora la strada seguita dalla donna che si inerpicava
verso una collina, ma dovette immaginarla più che vederla. Una sorgente
d’acqua, che la mano esperta di un pittore aveva saputo rendere viva e fresca,
scorreva da una pietra ai piedi della collina e si gettava in una grande vasca.
Un’altra donna era china presso la fonte e attingeva con un secchio. Una serie
di pieghe sulla fronte e la smorfia sul volto non lasciavano dubbi sulla fatica
a cui si stava sottoponendo.
- Non puoi fare altrimenti, lo so. Se avessi potuto scegliere, avresti
sicuramente voluto nascere in una famiglia agiata dove altri avrebbero preso
l’acqua per te. Ma così ha voluto la sorte ed ora ti tocca sollevare quel
secchio che non riuscirai mai a riempire del tutto.
Più staccati, due uomini discutevano animatamente. L’argomento della disputa
erano sicuramente due galline che uno dei due teneva per le zampe, mentre
l’altro, forse un compratore, le indicava con la mano.
- Mi chiedi troppo per due galline. Sono magre e vecchie: ti darò la metà di
quello che pretendi. D’altra parte nessuno te le comprerà e se non le dai a
me le dovrai buttare. Il loro aspetto non inganna: devono essere morte da un
secolo.
- Le ha uccise un cane, proprio stamattina. Erano due splendidi animali che
producevano un mucchio di uova. Le ho sempre nutrite e accudite con cura e
adesso tu vuoi che le regali.
- Calma, signori. Mettetevi finalmente d’accordo: ma sapete da quanto siete
qui a contrattare? Sono sicuro che avete cose più importanti da fare, e a casa
qualcuno vi attende...
- Sono diventato matto - disse a voce alta, interrompendo il flusso dei suoi
pensieri, quando una goccia di cera bollente gli cadde dolorosamente sul dorso
della mano.
Si massaggiò con vigore e fece per spegnere la candela ridotta ormai a un
mozzicone, ma la fiammella, in una delle sue ultime danze, illuminò per un
istante un angolo che altrimenti difficilmente avrebbe potuto vedere. E in
quell’angolo un’immagine comparve per sparire nuovamente nel buio del
presepio.
- Chi sei? - chiese ad un bambino.
Era piccolo, molto più piccolo rispetto alle altre statuine, quasi
sproporzionato, come se l’autore avesse voluto accentuare il senso di fragilità
e di tenerezza che suscitava. Se ne stava rannicchiato dietro a un masso
risultando quasi invisibile. Alte erbe lo nascondevano ancor di più. Lo sguardo
era perso nel vuoto ed un lungo bastone da pastore giaceva ai suoi piedi. Anche
i suoi abiti rendevano chiaro il suo mestiere. Ma non vi erano né pecore né
capre vicino a lui. Roberto diresse la luce tutt’intorno, ma il gregge più
vicino si trovava in un’altra zona del grande presepio ed era accudito da tre
pastori che sembrava sapessero il fatto loro.
- Dove sono le tue bestie?
- Le ho perse.
- Come hai fatto a perderle? - chiese ancora Roberto preoccupato, ben sapendo
quanto fosse grave per un pastore perdere i suoi animali.
- Un canto - rispose il pastorello. - Ho sentito un canto dolce e inaspettato.
Anzi era un coro di voci così belle che mi sono fermato ad ascoltare. Sarei
rimasto lì tutta la notte se non mi fossi accorto che le mie pecore erano
scappate. Le ho cercate dappertutto, te lo giuro, ma inutilmente. Ed allora mi
sono nascosto dietro questa pietra.
- Perché non chiami qualcuno dei tuoi ad aiutarti?
- Piuttosto che tornare a casa rimango qui per sempre.
- Se vuoi, posso darti io una mano.
- Faresti questo per me? Perché?
- Ho tutto il tempo che voglio e nessuno che mi aspetti...
- Non hai figli?
- No.
- Nemmeno una moglie?
“Ne ho tante”, avrebbe voluto replicare, ma tante significava nessuna e così
gli rispose: - Non ne ho.
- Allora sei proprio solo...
Che impertinenza. Non era solo, Roberto Landi: aveva tanti amici e conosceva un
sacco di persone. Il suo cellulare squillava in continuazione. Quando lo
desiderava, trovava sempre qualcuno che gli tenesse compagnia, e se proprio gli
andava male, c’era pur sempre un buon libro o un film.
- In questo momento ho te - gli rispose con un filo di voce. Poi mosse la
candela verso la parte destra del presepio. Si era accorto infatti che,
nonostante la loro immobilità, tutte le statuine erano rivolte verso quella
direzione, attratte da un richiamo al quale non si poteva non rispondere.
- Lì c’è sicuramente la capanna.
In effetti, i personaggi divennero sempre più numerosi: trovò un falegname, un
arrotino, un venditore di olive, una lavandaia con un cesto sulla testa, un uomo
in groppa a un asino, una signora anziana tutta curva... - Eccola! - esclamò
quando la candela gli mostrò una stalla con un bue e un asino all’interno.
In un angolo, vicino ad una mangiatoia vuota, le statuine di Maria e Giuseppe
erano già in adorazione, come ormai facevano da chissà quanti anni.
- Cosa cerchi?
Aveva illuminato un personaggio vestito di azzurro che dall’alto della capanna
osservava la gente arrivare. Le ali spiegate e i lunghi capelli biondi
dichiaravano la sua natura.
- Un gregge disperso.
- Sei un pastore?
- No, ma ne conosco uno.
- Guarda di fianco alla stalla.
Quattro pecore gonfie di lana se ne stavano beatamente sdraiate ai bordi della
capanna. Le illuminò, ma il loro sguardo sembrava dire: “Guai se osi
toccarci! Qui siamo a casa nostra”.
Tornò dal bambino, Roberto Landi, e senza pensarci troppo lo sollevò dal suo
nascondiglio e lo portò con delicatezza fino alla capanna. Lo sistemò tra le
sue pecore e gli parve, con soddisfazione, che l’espressione triste fosse
scomparsa dal suo volto. Il pastorello aveva ritrovato il suo gregge e Roberto
Landi aveva riscoperto qualcosa che pensava di aver perso per sempre.
- Ha ragione lei, signore. Il posto di quella statuina è proprio quello, lì
tra le sue pecore. Qualcuno sbadatamente deve averlo dimenticato altrove.
Quella voce inattesa lo fece girare di scatto, sorpreso.
- Devo averla spaventata. Mi scusi, ma pensavo che mi avesse sentito arrivare.
Comunque, io sono il parroco.
Il giornalista si guardò ancora attorno, smarrito; la chiesa infatti non era più
vuota, ma numerose persone erano già sedute sulle panche.
- Sono qui in attesa della messa di mezzanotte - gli spiegò il sacerdote avendo
colto lo stupore nel suo sguardo.
Intanto le luci del presepio si erano accese e avevano restituito alle statuine
la staticità e l’impassibilità per loro naturali.
- Lei è venuto per quell’articolo sul nostro vecchio presepio, vero? - chiese
ancora imbarazzato il parroco non avendo ottenuto alcuna risposta.
Roberto Landi si sentì pervadere da un senso di sollievo. Spense la candela, si
passò, con un gesto a lui abituale, una mano nei folti capelli e finalmente
rispose sorridendo: - Non più, credo che stasera sia Natale anche per me.