Il
vecchio mercante si girava e rigirava, senza poter prendere sonno.
Gli affari, quel giorno, erano andati benissimo: comprando a dieci, vendendo a
venti, moneta su moneta, aveva fatto un bel mucchietto di denari.
Si levò. Li volle contare. Erano monete passate chissà in quante mani,
guadagnate chissà con quanta fatica. Ma quelle mani e quella fatica a lui non
dicevano niente.
Il mercante non poteva dormire. Uscì di casa e vide gente che andava da tutte
le parti verso lo stesso luogo. Preva che tutti si fossero passati la parola per
partecipare a una festa.
Qualche mano si tese verso di lui. Qualche voce si levò: - Fratello, - gli
gridarono - non vieni?
Fratello, a lui fratello? Ma che erano questi matti? Lui non aveva fratelli. Era
un mercante; e per lui non c'erano che clienti: chi comprava e chi vendeva.
Ma dove andavano?
Si mosse un po' curioso. Si unì a un gruppo di vecchi e di fanciulli.
Fratello! Oh, certo, sarebbe stato anche bello avere tanti fratelli! Ma lui
cuore gli sussurrava che non poteva essere loro fratello. Quante volte li aveva
ingannati? Comprava a dieci e rivendeva a venti. E rubava sul peso. E piangeva
miseria per vender più caro. E speculava sul bisogno dei poveri. E mai la sua
mano si apriva per donare.
No, lui non poteva essere fratello a quella povera gente che aveva sempre
sfruttata, ingannata, tradita.
Eppure tutti gli camminavano a fianco. Ed era giunto, con loro, davanti alla
Grotta di Betlemme. Ora li vedeva entrare e nessuno era a mani vuote; anche i
poveri avevano qualcosa. E lui non aveva niente, lui che era ricco.
Entrò nella grotta insieme con gli altri; s'inginocchio insieme agli altri.
- Signore, - esclamò - ho trattato male i miei fratelli. Perdonami.
E proruppe in pianto.
Appoggiato a un albero, davanti alla grotta, il mercante continuò a piangere, e
il suo cuore cambiò.
Alla prima luce dell'alba quelle lacrime splendettero come perle, in mezzo a due
foglioline.
Era nato il vischio.