dai racconti 
dell'
ATTESO
di Dino Ticli
Edizioni Il Messaggero di Padova

 II edizione  I edizione (esaurita)
Nella mia famiglia, come in molte altre, vi è la consuetudine di aprire, dal primo giorno di dicembre fino alla sera del 24, le caselline di un calendario natalizio sotto le quali vi sono disegni e motti che ricordano la festività del Natale. Una preghiera conclude il modesto ma significativo rito. Proprio per rendere ancora più ricco e personale questo momento, abbiamo deciso, qualche anno fa, di sostituire le classiche preghiere con altre personali, scritte per l’occasione. Da parte mia sono nati, così, quasi per caso, questi ventiquattro racconti. Ho immaginato che a parlare fossero i personaggi del presepio a tutti noti: pastori, mercanti, venditori, gente umile o meno umile. Ciascuno racconta un frammento della propria storia mentre, guidato dalla stella cometa, si muove o sta per muoversi in direzione della grotta. Piccole storie comuni che offrono sicuramente numerosi spunti per meditare sull’importanza del Natale e sull’invito che Dio ha rivolto e continua a rivolgere a ciascuno di noi: “lasciati amare”.
Questi racconti potrebbero risultare un invito a tutte le famiglie che lo desiderino, a raccogliersi ogni sera intorno al presepio, non certo oggetto d’arredo, per pregare insieme alle statuette che, pur immobilizzate nei loro gesti quotidiani, sono lì a ricordarci l’importanza della risposta alla chiamata che il Signore rivolge a ciascuno, personalmente. 
Scrivetemi.

IL TAGLIAPIETRE

Ho la pelle più dura della pietra che intaglio. Il mio braccio destro è grosso come il tronco di un albero che un tempo avrei potuto abbattere con un solo pugno. Il martello nelle mie mani si trasforma in un distruttore implacabile: le schegge di pietra saltano via come frecce scagliate da un arco da battaglia. La polvere mi ricopre di un velo bianco difficile da eliminare dal corpo e dai capelli, tanto che non so più se è l’età o la pietra ad avermi trasformato in un vecchio.

Il palazzo di Erode deve anche alla mia abilità, che ho trasmesso a molti giovani, le sue magnifiche colonne. Sono tutte perfettamente dritte e decorate con attenzione, anche lì dove solo l’occhio di un attento osservatore può posarsi.

Ma la cura maggiore l’ho messa nel tempio di Gerusalemme. Erode volle sostituire il precedente Tempio con uno che potesse superare in maestosità addirittura quello di Salomone. Ci sono voluti vent’anni e forse ce ne vorranno altrettanti prima che possa dirsi finito. C’è sempre un pannello da aggiungere, un muro da terminare, un’incisione da preparare.

Ho lavorato, ma non per la gloria di Erode, mettendo in ogni colpo di martello una preghiera, una lode, un ringraziamento. Anche se sarà distrutto dalla furia degli eserciti, o se gli uomini dimenticheranno, anche per un solo istante, di santificare il tuo nome, o Signore, saranno le pietre a farlo al loro posto.

Ho messo la stessa cura anche nelle lapidi che ho preparato per i miei migliori amici. La vita di un uomo passa rapida e presto il suo nome e la sua esistenza vengono cancellate per sempre. Le preghiere che ho inciso sulle pietre che hanno ricoperto le loro spoglie mortali, sono rivolte alla tua misericordia e sono un monito per gli uomini: coloro che cercate non sono qui, ma presso Dio!

Non so fare altro e queste mie braccia, un tempo più forti e muscolose del collo di un toro, hanno costruito questo piccolo scrigno. Forse non sono più così abile come un tempo, ma te lo porterò in dono lì dove la stella cometa mi indicherà. Ti prego, so che il ricordo delle mie opere svanirà come la polvere sollevata dai miei scalpelli, ma tu non scordarti di me e, quando vorrai, accoglimi nel tuo regno, anche se non hai bisogno di uno scalpellino.