Sisto V
DAI CAMPI AL TRONO.
Nel punto più centrale dell’odierna provincia (l’Ascoli, la
quale a sua volta forma il centro dell’antico Piceno, tra le due principali
città Ascoli e Fermo, in luogo « elevato e celeberrimo » sorge Montalto «
l'onoranda città » la culla del Pontefice Sisto V.
Qui viveva (sec. XV), originaria del luogo, la famiglia
Peretti, povera ed oscura, il cui vero cognome era Ricci. Giacomo, il nonno di
Sisto V, adattavasi ai lavori più umili, quali portar lettere nei paesi vicini,
far da facchino coi muratori e trasportar legna o pietre con la sua mula. Lasciò
cinque figliuoli: Piergentile (detto Peretto), Laudenzia, Piacentina, Francesca
e Salvatore. Quest’ultimo entrò nel Convento di S. Francesco di Montalto, e
cantò messa novella nel 1517. Di lì a non molto, avvenne la terribile invasione
delle truppe di Francesco Maria Della Rovere, Duca d’ Urbino, ch’era in guerra
col Papa Leone X. I Peretti fuggirono da Montalto e ripararono temporaneamente a
Grottammare. Quivi, fuori della patria, da Piergentile e dalla consorte Marianna
di Camerino, in un venerdì (13 Dicembre 1521) nasceva Felice Peretti, il futuro
Sisto V.
Sono leggendari i racconti dei suoi primi anni ; vuolsi però
che suo padre lo ponesse per qualche tempo a guardia del gregge.
A nove anni (1530) entrò nel patrio Convento francescano,
dove lo chiamava lo zio Fra Salvatore, Guardiano. Ivi emise la professione
religiosa (1532), e dando saggi d'ingegno pronto ed acuto seguitò gli studi
classici in Montalto fino al 1536. Passò poi a Pesaro, lesi, Ferrara, Bologna:
ebbe il sacerdozio a Siena (1547), e venne chiamato comunemente il Padre
Montalto; l'anno seguente si addottorò a Fermo. Dedicatosi presto alla
predicazione, corse le piccole e le grandi città della penisola, acclamato
dovunque e considerato come uno dei più grandi predicatori del suo tempo. A Roma
predicò nel 1552. L'anno seguente fu eletto reggente nel convento di S. Lorenzo
in Napoli, e nel 1556 di quello dei Frari di Venezia, ove ben presto ebbe la
nomina di Inquisitore. Facile al risentimento e austero di condotta, si attirò
l'odio dei depravati religiosi di quel convento, i quali, contrari a qualsiasi
riforma, progettarono di comprometterlo col governo della repubblica, per
ottenerne in via diplomatica il licenziamento. Montalto era ancor troppo giovane
per poter sottrarsi interamente alle maliziose loro pratiche ma capace però e di
animo tale da affrontare audacemente la lotta che già delineavasi con il
Consiglio de' Dieci. Pio IV accorse a soffocare l'incendio, ma richiamando nel
1560 il Montalto, non potè dispensarsi dal premiare il suo zelo nominandolo
Consultore del S. Uffizio.
Giunto a Roma, fu eletto Teologo del Concilio e Lettore della
Sapienza, e l’anno seguente Procuratore Generale dei Minori Conventuali.
Accompagnò nel 1565 il Card. Boncompagni alla legazione di Spagna: da questo
viaggio datano i primi screzi che divisero poi sempre i due illustri personaggi.
Tenuto in gran conto ed amato dal Papa Pio V, fu creato Vicario Generale dell’
Ordine nel 1566. Avendo manifestato la sua ferma risoluzione di estirpare ogni
abuso, fu mantenuto alla presidenza dell’Ordine anche dopo la sua nomina a
Vescovo di S. Agata del Goti nella Campania (1567). Creato Cardinale nel 1570,
dallo stesso S. Pio V veniva trasferito (1572) alla sede Vescovile di Fermo.
Senonché, in quell’anno, per la morte di Pio V, veniva eletto
Papa il Boncompagni, Gregorio XIII, che trattò il
Card. Montalto con alterigia, lo escluse dagli affari, e più tardi gli tolse
anche la pensione. Caduto così in disgrazia, e ritiratosi a vita privata, il
Peretti si consacrò totalmente alla revisione degli scritti dei SS. Padri, sua
prediletta opera scientifica e a lavori edilizi, quali il suo palazzo di
campagna, il monumento a Nicolò IV, il Ginnasio di Montalto e la cappella del
Presepio in S. Maria Maggiore: le fabbriche procedettero a stento per mancanza
di denaro: l’ultima anzi era tutt’altro che compiuta quando egli entrò nel
conclave da cui doveva uscir Papa.
Due terribili tragedie erano venute ad accrescergli amarezza
negli ultimi anni di cardinalato. In una mattina d’aprile 1581 Francesco Peretti,
unico e diletto suo nipote, era stato trovato cadavere nella strada del
Quirinale! L’avevano assassinato a tradimento alcuni sicari mandati da Paolo
Giordano Orsini, Duca di Bracciano, che con questo delitto si assicurò la mano
di Vittoria Accoramboni, la bella ma colpevole moglie
del Peretti. Il Cardinale, ricevendo questa prova dal Cielo, con rassegnazione e
magnanimità perdonò ai suoi nemici, come sempre aveva fatto in altre circostanze
memorabili; ma il Governo di Gregorio XIII, che avrebbe pur dovuto procedere
contro i rei, agì in modo da far perdere le tracce dei veri autori
dell’assassinio!
Quattro anni dopo (marzo aprile 1585) « il Cardinal Montalto,
percorrendo una mattina la strada a piedi, secondo che usava, seguito da un solo
domestico, d’improvviso si vide inviluppato tra gente armata, che si dava
battaglia: perché il capo degli sbirri aveva catturato nel palazzo Orsini,
sempre brulicante di banditi, uno dei più famosi fra questi: atto necessario, ma
che costituiva una violazione delle franchigie godute dai palazzi dei grandi.
Nel menarlo in prigione, la sua gente si avvenne in un’allegra brigata di
giovani eleganti. Orsini, Savelli, Rusticucci, Capizucchi ed altri, tutti a
cavallo e con seco i loro palafrenieri. Tostamente si fecero addosso al bargello
e s’impegnò una zuffa in cui il Rusticucci, taluno degli Orsiniani e per caso il
domestico del Montalto, perdettero la vita. Il Montalto stesso stentò a mettersi
in salvo entro una casa vicina. Gli Orsini, querelandosi della violazione del
loro domicilio, si fortificarono nei loro palagi: altrettanto fecero i loro
amici: tantoché tre giorni di combattimenti accaniti si succedettero nelle vie e
nelle corti dei palazzi: anzi nel recinto stesso del Vaticano vi ebbero morti e
feriti. Cotalché al Cardinal Montalto per giungere alla sua vigna bisognò una
scorta di cinquanta soldati.
«Frattanto il malcapitato bargello, che non aveva mancato se
non per eccesso di zelo, giustificato però dalle circostanze, conoscendo la
fiacchezza del Governo, se l’era svignata: ma pur venne arrestato, e, per
richiesta degli Orsini, messo a morte! Modo singolare di pacificare la città,
sacrificando chi combatteva per la legge! Eppure gli Orsini avevano dato ordine
alla loro gente tutta di prendere le armi, e oltre la soddisfazione accordatagli
col supplizio del capo degli sbirri, occorsero lunghi negoziati e l’intervento
del Cardinal de’ Medici, molto influente presso la detta famiglia, se si volle
indurre i baroni a disarmare i loro uomini e a licenziare i banditi. Per quattro
giorni interi il Papa e gli abitanti di Roma trepidarono per la loro vita: le
botteghe e gli altri luoghi pubblici erano serrati e guardate le case dei ricchi
da gente in armi » (De Hübner).
La notizia di questi fatti — così frequenti in quei tempi —
si diffuse in un baleno fuori di Roma: nelle Marche e a Montalto si dava per
sicura la morte del Cardinale.
I montaltesi non potevano credere a tanta sciagura, e
mandarono corrieri per ben due volte a Macerata sempre sperando in una buona
notizia. Questa non tardò a venire! Il Cardinale era vivo, non solo, ma di lì a
poco saliva sul trono pontificio, formando il terrore dei banditi e dei
malviventi!
IL CONCLAVE.
Il Conclave era stato aperto il 21 aprile 1585 (Domenica di
Pasqua), scorsi appena dieci giorni dalla morte di Gregorio
XIII. Erano presenti 42 Cardinali, tra i quali annoveravansi quattro
futuri Papi Castagna, Sfrondati,
Facchinetti e Alessandro Medici),
e personaggi insigni per integrità e dottrina, quali il
Paleotto, il Sirleto, l’Albani,
il Colonna ed altri.
I capi più influenti erano: il Farnese,
l’Este, il Bonelli, l’Altemps,
Ferdinando Medici e il San Sisto.
Dopo vari colloqui, restò escluso il Cesi proposto dall’Altemps,
Medici e Bonelli; l’Albani ebbe 13 voti; Sirleto, Castagna, Savelli esclusi. Il
Farnese si riteneva ormai certo della tiara. Ma opponevasi con tutte le forze il
Card. Ferdinando Medici, il quale come ultimo espediente ricorse alla
candidatura del Montalto, che se ne stava dignitosamente in disparte da nessuno
proposto, ma da nessuno avversato di proposito. Messosi all’opera, il Medici
seppe piegare in favore del Montalto l’Este e l’Altemps, e con il loro prezioso
concorso acquistò altri elettori contrari, e vinta infine l’esitazione
dell’autorevole S. Sisto, riuscì prontamente, e quanto meno erasi preveduto, a
spingere i Cardinali a prostrarsi ai piedi del Montalto, acclamandolo Papa.
All’atto di adorazione seguì la conferma dell’ elezione per appello nominale.
Fu il mercoledì di Pasqua (21 aprile 1585), verso le otto del
mattino, che il Card. Montalto, preso il nome di Sisto V in venerazione di Sisto
IV che apparteneva pure all’Ordine dei Minori Conventuali montò sul seggio
apostolico .
«L’elezione di Sisto V, scriveva al doge l’ambasciatore
veneziano Lorenzo Priuli, è stimata opera dello Spirito Santo, avendo tutti i
Cardinali concorso così prontamente alla sua esaltazione. Né l’ inimicizia del
signor Paolo Giordano Orsini, né i passi che questo signore faceva presso il
Collegio dei Cardinali, domandando loro a uno a uno, gettandosi ai loro piedi,
di non far Montalto Papa, né l'avversione di tutta la Corte, che, ricordandosi
la severità di Pio V, non voleva un papa monaco, non hanno potuto prevalere,
poiché simili passi e simili considerazioni e più grandi ancora non possono
nulla contro la volontà di nostro Signore Iddio ».
IL SOVRANO E LA
GIUSTIZIA.
La giustizia. Spezzate le catene del lungo ritiro e salito
sul soglio più augusto della terra, Sisto V poteva ormai esplicare liberamente
la sua rara energia e mandare ad effetto in un lampo e ad un tempo tutte le
imprese che il suo genio poteva aver concepito, e quelle stesse che avevano
atterrito l’animo dei più illustri suoi antecessori
Prima fra tutte, la repressione del brigantaggio: còmpito
supremamente arduo, per non dire impossibile.
Ma Sisto V si accinge all’opera con indomito ardore e con
piena fiducia di riuscirvi. Il quarto giorno dalla sua elezione fa giungere
inesorabile la condanna di morte sopra quattro fratelli di Cori trovati colle
armi in mano contro il divieto della legge; la mattina dopo, i loro cadaveri
appesi al Ponte S. Angelo dicevano chiaramente al mondo i fermi propositi del
Pontefice. Roma accoglie silenziosa e tremante gl' inizi sanguinosi del nuovo
regno, senza peraltro alcun timore e che il sovrano diventi un Caligola o un
Nerone, giacché se ne riconosce da ognuno la dolorosa necessità: più tardi
infatti il Pontefice, ottenuto il suo scopo, concederà generosi e insperati
perdoni; ma ne’ primi momenti è sacro dovere per lui far conoscere che una mano
ferma e vigorosa regge finalmente lo Stato, le cui leggi non si violano
impunemente, sieno pur nobili i trasgressori, sieno pure potenti o protetti da
potenti.
Ai banditi muove guerra senza tregua, e incomincia col
congedare le truppe appositamente assoldate da Gregorio XIII, giacché s’avvede
delle loro segrete intelligenze coi malviventi; rende poi responsabili i popoli
della persecuzione dei banditi e financo dei danni quando mancasse loro il
coraggio di battersi contro di essi; getta infine nelle file dei ribelli la
discordia e addirittura lo spavento e il terrore, col promettere premi e
impunità a chi di loro consegni vivo o morto un qual che compagno. I ribaldi ora
smettono d’ insolentire, ora non si veggono più sicuri, temono da ogni parte
agguati, tradimenti e morte, e son costretti a gettare le armi e i più a
fuggirsene negli Stati limitrofi. Ma anche colà, ombra terrorizzante, li segue
il potete di Sisto, e da ogni parte ritornano a lui per essere giustiziati.
Sisto V, primo in diplomazia, gettava così le basi dell’odierna estradizione!
Sisto V non aveva milizie: i suoi fanti superavauo appena il
numero di 200 in tutto lo Stato pontificio, non compresa la sua guardia composta
di 100 lance e 100 cavalleggeri: ma il suo governo era forte e temuto per la
inesorabile applicazione della legge. «Le bilancie della giustizia, scriveva un
contemporaneo, stanno del pari: tanto è fatta ragione al povero, quanto al
ricco. Ora non si può dire che le leggi sono tele di ragno... sono invece muri
di ferro che ritengono tanto gl’impeti gagliardi quanto le deboli forze. Non c’
è riguardo di ricchezza, di povertà, non si pone mente ai doni e favori, ai
privilegi o dignità, quando si tratta di giustizia ».
Un Conte Pepoli, della primaria nobiltà bolognese, venne
decapitato per essersi opposto alla consegna d’un bandito: il Cardinal
Guastavillani fu arrestato per disubbidienza: l’amabasciatore di Francia
cacciato da Roma: il Governatore di Milano e il Viceré di Napoli minacciati di
scomunica. «Se lo stesso Imperatore venisse a Roma, disse un giorno Sisto V,
dovrebbe osservare le leggi del paese!».
E la sua volontà indomita trionfò di ogni ostacolo, giacché
la pubblica sicurezza venne in breve ristabilita in Italia, tra l’ammirazione e
il plauso dell’intera Europa. Il nome di Papa Sisto risuonava terribile, e nelle
pubbliche strade bastava ricordarlo appena ai maneschi, per toglier loro ogni
ticchio d’accapigliarsi; come pur le mamme se ne valevano per acchetare i
bambini!
La pietà.
Non meno celebre dulla giustizia è la pietà del Pontefice. La
Costituzione sistina
Quamvis infirma, del
1587, onora il Pontificato Romano e dimostra come i Papi precedessero con
l'esempio gli altri principi nel medicare la piaga sociale della miseria. Con
quella Bolla, il Papa, mosso a pietà del gran numero dei poveri vaganti per
Roma, e col sublime intendimento di estirpare la mendicità, ordinò l'apertura
d'un magnifico ospizio, vicino al Ponte Sisto, dove potessero vivere in santa
onestà persone povere dell'uno e dell'altro sesso, ed essere ricoverati i
pellegrini di passaggio a Roma. Ordinò appartamenti separati, ciascuno dei quali
dovesse avere chiesa, dormitorio, refettorio, cortile ed orto. Dotò l'ospizio di
9 mila scudi d'entrata, cui ne aggiunse ben presto altri 6 mila. Del denaro suo
proprio Sisto V spese 30 mila scudi. Questa fondazione venne un secolo dopo
unita ad altre importanti opere di beneficenza, e, cambiando sede, diventò il
grande
Ospizio Apostolico di S. Michele, dove anche oggi sotto il busto
di Sisto V leggesi:
Fundatori optimo.
Anche il
Monte di Pietà può
considerar Sisto V come suo fondatore, porché, privo fino a quel tempo di una
sede propria, l'ebbe dalla munificenza di Sisto, che gli acquistò nella Piazza
di S. Salvatore in Lauro un Palazzo del costo di 7 mila scudi.
Fu per volere di questo Pontefice che sorse un
Collegio di fanciulle povere e vedove oneste di Roma (annesso al
Monastero di S. Bernardo, poi chiostro di S. Susanna), allo scopo di tener
lontana dai pericoli del mondo tanta gioventù femminile.
Egli, il giorno della sua
incoronazione,
fece distribuire a famiglie indigenti e agli ospedali il denaro che per abuso
inveterato gettavasi alla plebe:
riscattò dall'Algeria
200
miseri schiavi cristiani, mediante sborso di 15 mila scudi:
distribuì al popolo
a prezzo ridotto il grano
acquistato dalla Sicilia, rimettendoci del proprio 100 mila scudi: lasciò un
altro fondo di 100 mila scudi da impiegarsi in
dotare le vergini pericolanti
e in
liberare dal carcere i debitori impotenti a pagare: mise nel fondo
dell'Abbondanza
di Roma e dello Stato ecclesiastico 710 mila scudi in sollievo dei poveri: diede
innumerevoli dotalizi manuali alle fanciulle nubili: ai religiosi della Mercede
della
Redenzione degli Schiavi, donò la Chiesa e il Convento di S.
Adriano: commiserando lo stato infelice dei
carcerati, spese
cospicue somme per rendere più comodo e più salubre il loro edificio del
Campidoglio: al sodalizio della Pietà dei carcerati assegnò 2 mila scudi di
rendita, perché due volte l'anno togliesse dal carcere quei miseri che vi si
trovassero per debito inferiore a cento scudi: allo stesso sodalizio e all'altro
di S.
Anna concesse il privilegio di poter liberare ogni anno un
condannato a morte: al sodalizio del
Gonfalone che aveva per
incombenza di riscattare gli schiavi sudditi dello Stato pontificio, assegnò
cospicue rendite: a quello dei
12 Apostoli, sorto allo scopo di soccorrere i poveri a domicilio,
diede mirabile incremento con gran sollievo dei poveri, degl'infermi, delle
vedove, delle zitelle...
Pietà adunque e
giustizia furono le due
virtù
egualmente care a Sisto V: i loro bassorilievi si vedono oggi ai
lati del Pontefice nel suo mausoleo.
IL MECENATE.
Sisto V aveva il genio dell'arte, ed emulando la gloria dei
Cesari, abbellì di grandiosi monumenti la città eterna, rendendola degna
capitale del mondo cattolico.
Celebre nella storia e nella leggenda popolare, è rimasto
l'innalzamento del famoso Obelisco Vaticano. Quest'opera, che pure era stata
giudicata inattuabile da Michelangelo e da Sangallo, venne compiuta con mirabile
celerità da Sisto V. Vi lavorarono non meno di 900 operai e gran numero di
cavalli: Sisto V vi spese 37 mila scudi, e dedicò l'Obelisco alla S. Croce
concedendo larghe indulgenze a chiunque, passando, la venerasse con un Pater ed
Ave.
La Cupola di S Pietro, questa meraviglia del mondo, era stata
disegnata da Michelangelo, morto nel 1564. Nessun Papa aveva posto mano ad
erigerla, per difficoltà giudicate insormontabili, giacché le spese si
valutavano un milione di scudi in oro, e dieci anni il tempo richiesto per
eseguire l'opera gigantesca. Sisto V la innalzò in 22 mesi, facendovi impiegare
— sotto la direzione di Giacomo della Porta e Domenico Fontana — 800 muratori,
molti dei quali lavoravano anche di notte. Incominciata il 15 luglio 1588, fu
benedetta da Sisto V nel maggio del 1590. Nell' interno si legge in lingua
latina l'iscrizione dedicatoria: Sisto V alla gloria di San Pietro.
Il Palazzo Vaticano, ai tempi di Sisto V, era vastissimo:
purtuttavia, risultando l'edificio, fatto in varie epoche, di molti appartamenti
oscuri ed imperfetti, il grande Pontefice fabbricò un nuovo palazzo comodo e
magnifico, quale si conveniva ai Papi. Questo palazzo, terminato dopo la sua
morte, è unito al resto del Vaticano solamente in un angolo: sovrasta a Roma
colla sua massa imponente, e forma la residenza attuale del Sommo Pontefice.
Anche a questo Papa illuminato il mondo va debitore di quel
grandioso Palazzo della Biblioteca, che racchiude un incredibile museo di
tesori. La Biblioteca sorge sul colle detto del Belvedere. Sisto V terminò
l'edificio nello spazio di un anno (1588), e vi trasportò da luogo meno acconcio
la Libreria Vaticana, aggiungendovi gran copia di libri e codici preziosi, e
fissando larghi stipendi per i ministri. Il salone principale — sistino — è
lungo m. 69,30 e largo m. 15,50, diviso in due navate per mezzo di due pilastri.
Qui sono raccolti i doni che ai Papi venivano dai principi cristiani loro
ammiratori: sono vasi di porfido, urne di malachite, croci d'oro e candelabri
d'argento massiccio. Nelle pareti veggonsi istoriate le opere compiute da Sisto
V nel suo glorioso pontificato, i principali Concilii della Chiesa, e le più
famose biblioteche del mondo.
Da una sorgente, esistente nelle vicinanze di Palestrina
(Agro Colonna), e lontana da Roma 22 miglia, comprata da Sisto con lo sborso di
25 mila scudi d'oro, venne condotta alla città eterna l'Acqua detta Felice dal
nome di battesimo del gran Papa. Vi lavorarono non meno di 2000 uomini e l'opera
veramente colossale, che al dir dei romani non sarebbe stata vista effettuata né
da loro, né dai loro figli, né dai loro nepoti, fu un fatto compiuto nel breve
spazio di poco più di due anni (1585-1587). L'acqua corre per 15 miglia in
sotterranei e per 7 miglia in archi di non minore maestà e grandezza di quelli
imperiali. Papa Sisto V vi spese più di 300 mila scudi d'oro, traendoli
dall'entrata tutta e propria del Romano Pontefice. Per l'elevatezza della
sorgente dal livello del mare, l'Acqua Felice ha il massimo pregio di poter
scorrere sulle alture di Roma (Colli Esquilino, Viminale, Quirinale, Capitolino,
Palatino e Celio). Le fontane alimentate da quest'acqua sono quelle del Tritone,
di Villa Medici, di Piazza Giudea, delle Tartarughe, della Bocca della Verità,
di Piazza Montanara, di Piazza S. Maria dei Monti, di Piazza S. Maria Maggiore,
di Piazza S. Giovanni in Laterano, del Quirinale, del Campidoglio, di Piazza S.
Maria in Campitelli, di Piazza d'Aracoeli, delle Quattro Fontane, e di Termini a
S. Susanna.
Il Reale Palazzo del Quirinale, incominciato da Gregorio XIII,
fa proseguito in gran parte da Sisto V. E' tutta sua la parte del palazzo che
prospetta la piazza e la strada che conduce a Porta Pia. Fu Sisto V il primo
Papa che morisse al Quirinale. Nella piazza elevasi un monumento unico al mondo:
Castore e Polluce in atto di domare due focosi cavalli (essi portano i nomi di
Fidia e di Prassitele e ne sono certamente degni), e nel mezzo una fontana
d'Acqua Felice. Il gruppo delle due statue coi loro cavalli apparteneva alle
Terme di Costantino. Le trasportò quivi Sisto V.
Sotto la scala del Campidoglio, disegnata da Michelangelo,
Sisto fece erigere la bella fontana, che volle decorata di tre statue antiche:
nel mezzo Minerva assisa, statua di marmo bianco rinvenuta a Cori: ai lati il
Nilo e il Tevere, statue di marmo pario, provenienti dal tempio di Serapide
esistente già sul Quirinale. Sulla piazza dello stesso Campidoglio — come in
luogo illustre e classico — Sisto V fece trasportare i così detti Trofei di
Mario, opere eccellenti die si trovavano sul Castello dell'Acqua Giulia (oggi
Piazza Vittorio Emanuele).
Un altro Obelisco, che è il più alto del mondo e il cui peso
è valutato di 440 tonnellate, sorge sulla Piazza del Laterano. Sisto vi spese 25
mila scudi e lo dedicò alla S. Croce il 10 agosto 1588. Due anni prima aveva
fatto fabbricare, sulle cadenti ruine del famoso Patriarchio, il Palazzo del
Laterano. Chi osserva quella mole non può non ammirare il genio dell'Architetto
Fontana e la magnificenza del Papa. Prodigiosa fu la celerità della costruzione:
i più distinti pittori di quel tempo lo decorarono di affreschi. Sisto V l'abitò
nelle occasioni delle funzioni che facevansi nella Basilica Lateranense. La
facciata meridionale di S. Giovanni in Laterano, innalzata da lui, è detta
Loggia di Sisto V, perché egli vi dava la benedizione al popolo.
La scala del Pretorio di Pilato, dove Gesù salì e discese più
volte nel tempo della sua Passione, e consistente in 33 scalini di marmo di
Tiro, fu spedita a Roma, secondo la tradizione, da S. Elena imperatrice e
collocata nel Palazzo del Laterano, che divenne celeberrimo santuario.
Minacciando ruina, il Palazzo fu demolito da Sisto V, come si è visto, ma la
Scala Santa venne trasportata in apposito edificio da lui costruito (1589) su
disegno del Fontana in luogo più decente e santo, dice la Bolla, e cioè avanti
alla famosa Cappella del Sancta Sanctorum, dove si venera il volto acheropita,
cioè non manufatto, di Gesù Cristo. Nel Sancta Sanctorum Sisto V fece scrivere:
Non est in toto sanctior orbe locus.
Non v'è in tutto il mondo luogo più santo.
Ai lati del santuario fece fabbricare le due Cappelle di S.
Silvestro e di San Lorenzo, dette Aule Sistine. Vi spese 25 mila scudi. Ad
officiare il luogo santo istituì un Capitolo che da lui prese il nome di
Collegio Sistino. Per volere di Pio IX, che restaurò l'edificio, sono succeduti
in quelle mansioni i PP. Passionisti. La Scala Santa è meta desiderata di devoti
pellegrini che vengono da ogni parte del mondo.
Spianata e sistemata la Piazza dell' Esquilino, Sisto V vi
eresse un terzo obelisco, dedicandolo parimenti alla S. Croce. Di fronte
all'obelisco è la facciata posteriore della Basilica di S. Maria Maggiore, dove,
nella navata laterale destra (a sinistra di chi guarda dall'obelisco), Sisto V
edificò una sontuosa Cappella, detta dal suo nome Cappella Sistina o del SS.mo
Sacramento o anche del Presepio che ivi si è conservato fino a questi ultimi
tempi. È questa, piu che Cappella, un vero tempio di ordine corintio con un
meraviglioso complesso di ricchezze e bellezze artistiche dovute ai migliori
ingegni di quel tempo. Da semplice Cardinale, aveva egli incominciato ad
innalzare dalle fondamenta questa chiesa, opera — confessa egli stesso —
superiore alle nostre forze. Divenuto Papa, accelerò i lavori « non guardando a
spese anche grandissime », e vi trasportò il S. Presepio che stava in altra
parte della Basilica in luogo meno atto alla venerazione dei fedeli. Con
ingegnose e solide armature e a forza di macchine, « dopo ingente lavoro ed arte
» il Presepio venne sollevato integralmente e portato di peso nel mezzo della
nuova Cappella. La devozione del Papa al Divino Infante è ricordata
dall'iscrizione esistente nella cupola; Sixtus Quintus Pontifex Maximus lesu
Christo Dei Filio de Virgine nato. In questa Cappella volle Sisto V preparare la
propria tomba: e qui volle il corpo di S. Pio V, suo grande protettore. Così in
due superbi e celebri mausolei riposano oggi insieme le ceneri gloriose dei due
amici : Sisto V e S. Pio V.
Il quarto obelisco fu innalzato da Sisto V nella Piazza del
Popolo. Portato a Roma per cura dell' Imperatore Cesare Angusto, l'obelisco
adornava anticamente il Circo Massimo: Sisto V lo tolse da sotterra dove giaceva
e lo trasportò in questa Piazza spaziosa e pittoresca, dedicandolo, come tutti
gli altri, alle vittorie della Croce. Vi spese 20.000 scudi.
Un quinto obelisco, quello della Chiesa della Trinità dei
Monti, non potè innalzare prevenuto dalla morte:è sua per altro la scalinata
della Chiesa: dell'altra più grandiosa scalinata sottostante, detta della
Trinità dei Monti, ebbe appena tempo di gettare le basi.
Le due colonne: Traiana ed Antonina, dedicate agl'imperatori
pagani Traiano e Marco Aurelio Antonino, furono da lui restaurate e trasformate
in monumenti cristiani, col porvi le rispettive statue, in bronzo dorato, di S.
Pietro e di S. Paolo. I lavori costarono 23 mila scudi.
Omettendo altri edifici minori e i restauri costosissimi di
molte chiese, quali S. Sabina, S. Susanna, S. Paolo, ecc., ricordiamo solo la
Chiesa di San Girolamo degli Schiavoni, da lui innalzata dalle fondamenta: vi si
ammirano dipinti di Andrea d'Ancona e di altri valenti artisti. Vuolsi oggi
dagli storici che il gran Papa l'erigesse in memoria della sua origine slava :
ma questa leggenda, ignorata dai contemporanei, e innestata più tardi nella Vita
di Sisto V, manca di serio fondamento. Lo stesso Pontefice, d'altronde, pur così
pronto a ricordare in ogni scritto la sua origine e patria, tace completamente
nelle cinque iscrizioni lasciate in questa Chiesa, e nella Bolla Gloriosae, dopo
aver confessato di venerare la V. e M. S. Lucia « la Santa del suo giorno
natalizio (13 Dicembre) », ricorda l'altra sua devozione verso il grande Dottore
S. Girolamo e ne adduce la ragione:« per essere stato il titolo di S. Girolamo
degli Schiavoni assegnato a Noi nella Nostra promozione al Cardinalato e da Noi
constantemente ritenuto ». Null'altro!
Che dire infine delle strade aperte per ornamento e comodità
della città e per agevolare la visita ai più celebri santuari? Egli le tracciava
lunghe che non le giungeva l'occhio, attraversando vigne e giardini, atterrando
fabbriche e radendo al suolo senza pietà monumenti antichi e chiese, quando si
paravano dinanzi al suo cammino. Le principali furono: Trinità dei Monti - S.
Maria Maggiore - S. Croce di Gerusalemme ; S. Croce - S. Giovanni; San Giovanni
- S. Maria Maggiore; S. Giovanni - Colosseo; Santa Maria Maggiore - S. Lorenzo
fuori le mura; S. Maria Maggiore - Foro Traiano; Porta San Lorenzo - S. Maria
degli Angeli. Progettava le strade: Campidoglio - San Giovanni; S. Giovanni - S.
Paolo; S. Pietro - San Paolo; Quirinale - Vaticano. La strada che dal Quirinale
va a Porta Pia fu da lui rialzata e livellata. Qui, nella Roma alta, sul
Quirinale, dove alla salubrità dell'aria si accoppia l'amenità del panorama,
Sisto V chiamò i Romani ad abitare, concedendo ampi privilegi a chi vi facesse
sorgere fabbriche e case. La quasi nuova città venne chiamata Borgo Felice.
Questo papa può quindi considerarsi come il vero fondatore di Roma moderna. Una
parte dell'antica Via Felice è chiamata anche oggi Via Sistina, ed è quella che,
proseguendo per Via Quattro Fontane congiunge la Trinità dei Monti a Santa Maria
Maggiore e S. Croce di Gerusalemme: è un rettilineo superbo, il più pittoresco
di Roma.
Sisto V era dotto, e, capitanando il movimento scientifico
del suo secolo, non si contentò di aver eretto la Biblioteca Vaticana, suo
principale titolo di gloria in questo campo, ma vi aggiunse la Tipografia
Vaticana, del costo di 40.000 scudi, fornita di caratteri latini, greci,
ebraici, arabi, siriaci, ecc. Molte opere uscirono alla luce nel suo tempo:
rammentiamo l'edizione del grande Bollario Romano, che comprendeva le Bolle dei
Papi da San Leone I (anno 460) al 1585.
Ingrandì con sontuoso edificio l'Università della Sapienza, e
per regolarne gli studi creò un'apposita Congregazione.
A Bologna eresse il Collegio Montalto, per 50 giovani suoi
comprovinciali, otto dei quali dovevano essere montaltesi, e a Roma, annesse
alla chiesa dei SS. Apostoli il Collegio S. Bonaventura, detto anche sistino,
per 25 alunni appartenenti all'ordine francescano, ponendovi anche una ricca
Biblioteca detta Feliciana.
Del Collegio dei Maroniti Sisto V è considerato fondatore
insieme con Gregorio XIII, per averne consolidata l'esistenza e assegnate
cospicue rendite.
Ordinò che ogni provincia, città, terra, borgo, castello,
chiesa metropolitana, cattedrale, monastero, abbazia erigesse il suo Archivio
per conservarvi gelosamente qualsivoglia genere di scritture, a servizio del
pubblico non meno che a vantaggio della scienza.
Fondò Università a Quito (America), a Gratz (Austria), a
Vilna (Polonia), e a Pont-à Mousson (Francia) ; rinnovò quella di Fermo
(Italia), e riformò quella di Valenza nella Spagna.
Sotto di lui il celebre medico Andrea Bacci potè pubblicare
la sua rinomata opera De Thermis; sotto di lui sorsero la Metalloteca Vaticana,
l'Armeria pontificia e lo Stabilimento per lo studio del Mosaico. Dell'Accademia
Romana di S. Luca che è il supremo tribunale delle Belle Arti, Sisto V fu quasi
fondatore per averne approvato gli statuti, concessa la Chiesa di Santa Martina,
fatti segnalati favori e grazie.
Genio moderno, non aveva mancato di promuovere quale fonte di
ricchezza per i popoli l'agricoltura, l'industria e il commercio, ponendo un
fondo di 200.000 scudi per i prestiti agrari, istituendo fiere, costruendo
strade e ponti, rendendo franco il porto d'Ancona e favorendone gli scambi con
Venezia, proteggendo gli ebrei e giovandosi dell'estensione dei loro rapporti
commerciali. L'industria della seta prosperò nello Stato pontificio dopo di lui
che aveva dato ordini tassativi alle comunità e ai privati di fare piantagioni
di gelsi: l'industria della lana era stata da lui introdotta a Roma, a Montalto
e altrove. Per la sicurezza dei mari infestati dai corsari, non meno che per
fini politici, allestì ed armò di tutto punto le dieci galee che ebbero un
assegnamento annuo di oltre 100.000 scudi. Nel 1588 si recò a Civitavecchia con
numeroso corteggio e potè benedire la piccola flotta, che aveva per base il
porto di quella città a questo scopo da lui restaurato e fortificato. Condusse
pure a Civitavecchia per un acquedotto lungo sei miglia una copiosa fonte
d'acqua dolce di cui difettavasi.
Ripopolare il territorio romano, liberarlo dalla malaria e
ridonare quelle terre all'agricoltura mediante il disseccamento delle paludi
pontine, opera tentata invano per il passato, fu questo uno dei più alti
pensieri di Sisto V. Fece pertanto scavare un grande canale che ebbe il nome di
fiume (auche oggi Fiume Sisto) e potè risanare quella plaga per venti miglia di
lunghezza e sette di larghezza. Per incoraggiare l'opera costatagli 200.000
scudi, egli stesso si recò alle paludi nell'ottobre 1589 e vi si trattenne 15
giorni; scalo commerciale di queste nuove fertili terre doveva essere il Porto
di Terracina, da lui disegnato ampio e capace da poter gareggiare con quello di
Civitavecchia. Purtroppo la sua morte avvenuta poco dopo fece sospendere i
lavori delle paludi: e restarono allo stato di progetto il detto porto di
Terracina, il vagheggiato prosciugamento delle Chiane e il canale navigabile che
con immenso vantaggio di Roma, avrebbe dovuto ricongiungere questa città a
Tivoli sull'Aniene. Per la sua morte restarono pure incompiute altre fabbriche
quali il Ponte Felice sul Tevere presso Magliano Sabina che era costato 40.000
scudi, la nuova città Felice a Loreto e la nuova città di Montalto sua patria,
ch'egli aveva amato d'un amore unico nella storia dei Papi e beneficato con doni
e privilegi straordinari.
Tali in breve i grandiosi lavori di Sisto V.
«Noi abbiamo visto, e vediamo ai giorni nostri - dice Hübner
- compiersi opere ben altramente gigantesche: ma se l'impulso ne viene dai
governi, sono il credito, la speculazione, i capitali disponibili e in cerca di
essere impiegati, quelli che se ne addossano la esecuzione. Non era però così
dei lavori di Sisto V. Egli li aveva ideati, egli li dirigeva, egli li pagava,
egli trovava il mezzo di spendere somme vistose facendo nel tempo stesso
lavorare a buoni appalti.
«L'Europa contemporanea, allo scorgere quel che egli aveva
fatto in cinque anni, n'era trasecolata. E ben a ragione, se si consideri il
poco sviluppo delle scienze meccaniche e si rammenti che la forza motrice del
vapore era sconosciuta, che i mezzi di trasporto, di cui noi disponiamo,
mancavano del tutto, che non v'erano ferrovie, anzi si avevano poche strade
carrozzabili ».
LE FINANZE.
Sisto V, per compiere sì straordinari lavori, aveva bisogno
di denaro: gli fu quindi necessario dare una certa estensione ai
Monti
e agli
Uffici vacabili.
I
Monti, cioè i prestiti,
rappresentavano il debito dello Stato: le azioni prese dai privati chiamavansi
luoghi e il loro interesse variava dal 5 al 10 per cento. Tra i nuovi Monti
creati da Sisto V ricorderemo: Monte degli
Archivi, Monte S.
Bonaventura e Monte
Sisto.
Le cariche o
Uffici vacabili -
secondo le usanze di quel secolo - si davano a persone che, pur essendo
meritevoli e capaci, sborsassero all'erario una somma determinata. Quel sistema
ferirebbe oggi la nostra delicatezza: ma nel secolo XVI era d'accordo col
diritto pubblico e coi costumi dei tempi: d'altronde una riforma totale delle
convenzioni fatte nei precedenti pontificati, anche se fosse stata immaginata da
Sisto V, avrebbe recato grave sconvolgimento alla pubblica economia, di cui egli
era tanto geloso. Moltiplicò pertanto le vacanze senza che sotto il suo forte e
vigilante potere avesse a deplorarsi il minimo abuso. Riuscì così e con savie
economie ad accumulare milioni di scudi in oro (dai 40 ai 45 milioni di lire)
ch'egli teneva gelosamente racchiusi in
Castel S. Angelo.
Era un capitale improduttivo che non circolava: in quell'epoca però non si
sapeva che il denaro circolando potesse creare nuovi valori, ed ignoravasi
completamente il credito anche presso le banche di Genova e di Venezia.
L'ammassar capitali era dunque politica saggia e necessaria.
Con quei milioni che lasciò intatti ai suoi successori, egli
passava per il sovrano più ricco d'Europa: il re di Spagna, l'imperatore, Enrico
III avevano certamente più risorse di lui, ma egli non era mai preso alla
sprovvista: quando le circostanze l'esigevano, egli non si trovava mai a corto
di denaro come lo erano spesso quei principi.
Quel denaro doveva servire per i futuri
bisogni della
Chiesa e per
sovvenire i
principi cattolici che combattessero gli eretici o gl'infedeli. Ma
egli, vigile custode, non dava sovvenzioni se non nel caso in cui si fosse
riportato qualche successo iniziale: non apriva crediti se non a ragion veduta.
Gli ambasciatori stranieri si domandavano con inquietudine
quello che il papa contava fare di tutto quel danaro e a quali progetti
misteriosi lo destinava. Essi trovavano: «che il papa aveva torto di far tesori
e di gravare i suoi sudditi di imposte, e sopratutto di fidarsi molto più
dell'oro ben custodito nei suoi forzieri che della Provvidenza divina; e poi non
esponeva egli le sue ricchezze alla cupidigia dei predatori? Del resto i
principi cristiani erano pronti ad esser devoti al Santo Padre: non v'era
bisogno di tanto oro e di tanto argento ». Il papa che conosceva queste
lamentele, se ne impensieriva poco. Sapeva quanto poco dovesse fidarsi della
devozione filiale dei principi ; egli non aveva più paura dei briganti né dei
predoni: per i disegni della Provvidenza egli non voleva che quei diplomatici si
credessero più capaci di lui nel penetrarli. Egli metteva in opera il motto:
aiutati ché il ciel ti aiuta, e in un'epoca in cui l'oro era già una potenza,
non aveva esitato ad accumulare le ricchezze necessarie per fare la
prosperità dei
suoi Stati e facilitare i suoi progetti di politica universale.
IL DIPLOMATICO.
Sisto V, la Spagna e l'Inghilterra.
Sisto V nutrì ottime relazioni con i principi cattolici, e fu
l'intesa reciproca che condusse, come abbiam visto, allo sterminio dei banditi.
Il Pontefice avrebbe voluto una crociata contro i Turchi e vagheggiò spesso dei
colpi di mano contro di loro; ma la realtà della situazione lo richiamava all'
Europa, dove occorreva lottare contro l'eresia, invadente e salvare, se ancora
possibile, il regno d'Inghilterra. Sisto V s'indirizzò al re di Spagna.
Filippo II era o voleva essere il capo laico della
cristianità, il soldato vigilante della Chiesa, e non v'era sovrano che si
mostrasse così zelante, che comprendesse meglio la sua parte di difensore della
fede cattolica. Sisto peraltro non amava il re di Spagna: una segreta antipatia
sembrava dividere questi due grandi uomini. Filippo infatti non voleva che il
papa intervenisse negli affari religiosi del suo paese, ed esercitasse il suo
ministero in Ispagna senza l'autorizzazione del potere reale. Re mistico pensava
di essere un po' sacerdote. Queste non erano le vedute del papa. Per lui i
principi secolari non dovevano avere alcuna parte negli affari eclesiastici;
ammetteva un poco ch'essi indirizzassero ai papi i loro consigli e le loro
preghiere, ma il solo giudice in materia di disciplina e di dogma era e doveva
restare il papa. Numerose lamentele su abusi ed atti arbitrari in questa materia
non cessavano di arrivare a Filippo II da parte di Sisto V.
I loro rapporti non erano dunque cordiali: ma la comunità dei
loro interessi e la saggia moderazione del re, impedirono sempre una rottura,
perché tutti e due avevano uno scopo: l'unità della fede cattolica nel mondo:
soltanto Filippo II voleva realizzarla a proprio profitto creando sé stesso capo
della monarchia universale!
Eppure « la vita di Filippo è ben preziosa», confessava Sisto
V. E lo era difatti: perché, cadute tutte le generose illusioni del Pontefice su
di una probabile conversione della regina Elisabetta d'Inghilterra, non
rimaneva, come misura estrema, che una spedizione militare del potente sovrano
Spagnuolo contro quel regno. Al papa ripugnava molto che Filippo aggiungesse la
corona d'Inghilterra a quella di Spagna; ma non vedevasi altro mezzo per
ristabilire il cattolicesimo in Inghilterra.
La decapitazione dell'infelice Maria Stuarda, eseguita per
ordine della regina Elisabetta (18 febbraio 1587) suscitò un'emozione
considerevole a Roma e a Madrid; il papa pianse molto allorché apprese questo
funesto avvenimento, che era un nuovo trionfo per i protestanti e lanciò la
scomunica contro Elisabetta. Filippo II considerò la giovane regina di Scozia
come una santa, e per vendicarla risolse di mettere insieme una flotta
straordinaria, una colossale squadra: l'Invincibile
Armata. Il papa approvò quest'idea e promise al re una sovvenzione
annuale di 1.000.000 di scudi.
Ma occorreva rapidità d'azione, e Sisto V cercò comunicare al
re la propria energia scrivendogli di propria mano, spronandolo a non frapporre
indugi e non prolungare le sofferenze dei cattolici inglesi.
La proverbiale lentezza spagnuola influì sinistramente in
questa impresa. Il papa se ne mostrava assai malcontento e dolevasi di tanto
denaro sciupato mentre gli armamenti non erano mai al termine: «Quest'Armata di
Spagna ci da dei pensieri» diceva Sisto V: «abbiamo cattivi presentimenti e
temiamo un esito funesto. Invece di farla partire nel settembre dell'anno
passato (1587) come noi avevamo consigliato, perché nella guerra la prontezza è
la cosa principale, il re ha portato a lungo, ha tergiversato e lasciato alla
regina il tempo di difendersi».
E l'Armada
non partiva; Filippo non profittava nemmeno della lontananza del terribile
ammiraglio inglese Drake, allora alle Antille. Sisto V desolato, disse
all'ambasciatore veneto che gli Spagnoli son come il cane del giardiniere, che
non mangia i cavoliflori e non li lascia mangiare dagli altri. L'Armada
finì col partire (agosto 1588), ma per correre incontro al disastro che
l'annientò quasi interamente sui lidi inglesi. L'afflizione fu grande a Madrid,
dove il re divenne triste e amante della solitudine, e a Roma, dove il papa non
volle più dare sussidi alla Spagna. Sisto infatti, misurò tutta la portata del
disastro che aveva subito la Spagna e si lamentò amaramente con Olivares,
ambasciatore spagnolo, che i suoi consigli non fossero stati ascoltati. Mentre
Elisabetta attribuì la sua salvezza alla Provvidenza e Filippo la sua disfatta
agli elementi, il papa solo vide che la vera causa dell'avvenimento, erano stati
l'energia e il senso pratico della regina, aiutata dalla irresoluzione del re di
Spagna.
SISTO V E LA
SAVOIA.
Il Duca Carlo Emanuele I di Savoia, genero di Filippo II,
aveva concepito il progetto d'attaccare Ginevra, ch'era un focolare d'eretici.
Il papa approvò quest'idea e promise delle truppe di rinforzo. Ma il progetto
dispiacque ad Enrico III, re di Francia, che non voleva vedere un parente di
Filippo stabilirsi in Svizzera sulle frontiere francesi e il papa abbandonò
l'impresa (1585).
Ma nel novembre del 1588 Carlo Emanuele s'impadronì
all'improvviso del marchesato di Saluzzo, che apparteneva al re di Francia, e
accusò il Santo Padre d'aver incoraggiato questo colpo di mano. In realtà il
papa aveva fatto firmare dal duca una dichiarazione colla quale questi
s'impegnava a rendere quel territorio « infestato dagli eretici » al re di
Francia, « purché sua Maestà vi mandasse
un personaggio cattolico
con missione di
prenderne possesso ».
(In politica valeva allora il principio:
Cuius regio eius religio).
Il papa alle rimostranze degli ambasciatori francesi e di
Venezia rispose: « II re spedisca il Duca di Maine o il Duca di Guisa
(cattolici) e Saluzzo sarà loro rimesso senz'altro, o dal Duca di Savoia, o se
questi si nega, da noi. Non si vede come vadano colà le cose? Il Delfinato, la
Linguadoca, la Guienna, Metz e la maggior parte degli altri governi sono in
potere degli ugonotti. Non mancherebbe che dar loro Saluzzo per farli entrare in
Italia ».
Quest' incidente passò ben presto in seconda linea per
l'assassinio del Duca di Guisa, che sconvolse la situazione: ma Saluzzo, dopo
lunghi contrasti, restava al Duca di Savoia nella pace di Lione (1601).
SISTO V E LA
FRANCIA.
La Francia era funestata dalla guerra civile detta dei
tre
Enrichi, in cui combattevano cattolici (Santa
Lega) e protestanti (ugonotti)
capitanati i primi da Enrico Duca di Guisa, e i secondi da Enrico re di Navarra,
detto il
Bearnese (poi Enrico
IV): i due partiti si disputavano la prevalenza e il diritto di successione al
trono di Francia ch'era tenuto da Enrico III, re senza prole, debole e dominato
dai suoi favoriti. Ogni partito chiamava in suo aiuto lo straniero: la Lega, il
re di Spagna; il Bearnese, Elisabetta d'Inghilterra e i protestanti di Germania.
Sisto V era imbarazzatissimo. Sicuramente condannava Enrico
di Navarra, eretico: ma qual partito prendere di fronte ad Enrico III, re
legittimo, e il Duca di Guisa, ribelle, ma ardente e vero difensore della fede?
Avvenne nei primi mesi del suo pontificato la pace di Nemours fra questi due
personaggi, e il papa, visti uniti i cattolici e reputando sincero il loro
accordo, lancia la sua scomunica contro il Navarra interdicendolo dal trono
francese. Ma quella di Nemours non era stata vera pace, e Sisto dovette
limitarsi ad osservare gli avvenimenti, raccomandando l'unione e mandando ai due
partiti cattolici (realisti e santa lega) la, sua benedizione.
Nella giornata delle barricate quei della lega entrarono a
Parigi: il re fuggì, ed Enrico di Guisa divenne padrone della città: ma il re,
sullo scorcio di quell'anno, chiamati il Duca e il Cardinale di Guisa al
castello di Blois col pretesto di intavolare un accordo, ve li faceva trucidare
in sua presenza (24 Dicembre 1588). L'emozione di Sisto V fu indicibile, e lo
lasciò ben vedera al concistoro che tenne poco dopo. Purtuttavia non la ruppe
col re se non quando questi, defezionando dalla causa della religione, fece
causa comune col Navarra.
Allora (12 Maggio 1589) mandò la bolla di scomunica al re:
questi di lì a poco (1° Agosto) cadeva pugnalato da Giacomo Clement e
riconosceva, morendo, per suo successore Enrico di Navarra, che ormai non aveva
più a temere valenti competitori. Gli si oppose invece energicamente Sisto V,
mandando in Francia (Settembre) il Legato Cardinale Gaetani con ingente somma di
denaro (300 mila scudi) a favore della Lega, e proponendo a Filippo II
(Dicembre) l'intervento in Francia di un poderoso esercito ispano pontificio. Il
sovrano spagnuolo poteva in quel momento sperare la corona di Francia in
compenso al disastro della sua
Armada. Ma Enrico di
Navarra vegliava: e coll'opera degli ambasciatori veneti, assai accetti a Sisto
V, e del suo ambasciatore a Roma, il Duca di Lussemburgo, riuscì a disporre
prima e a persuadere poi il Papa (Gennaio 1590) della possibilità e della
sincerità della sua abiura. In Francia intanto si notava lo spettacolo di veder
passare al campo di Enrico e avervi ormai la prevalenza, il fiore del clero e
della nobiltà cattolica. Sisto comprese che la Francia non avrebbe perduta la
sua fede unendo i suoi destini a quelli di Enrico di Navarra e cercò di
svincolarsi dalla Spagna; e resistè, resistè finch'ebbe vita con coraggiosa
fierezza alle pressioni della Lega e alle ire, alle proteste e alle minaccie
dell'Olivares. Sisto vide con soddisfazione la vittoria di Enrico ad Ivry: ma
non potè ricordare la sua abiura e il suo ingresso a Parigi, che aveva
desiderato e preparato.
SISTO V, LA
GERMANIA E LA POLONIA.
In Germania la città di Neus (Colonia), fortezza di grande
importanza strategica, era caduta in mano degli eretici, e i principi cattolici
domandavano sussidi a Sisto V per riconquistarla. Il Papa non mandò denaro, ma
invitò Filippo II a fare occupare quella fortezza dall'armata del principe
Alessandro Farnese, generale in capo delle truppe spagnuole nelle Fiandre.
L'operazione venne compiuta rapidissimamente (Luglio 1586). Rodolfo II ne fu
soddisfatto come cattolico; ma come Imperatore, spettatore inerte ed impotente
delle vittorie spagnuole in suolo alemanno, sentì bene che il suo prestigio era
diminuito.
I principi eretici tedeschi tremavano al pensiero che Sisto V
potesse da un momento all'altro sciogliere i loro sudditi dal giuramento di
fedeltà; eppure Rodolfo che non voleva inimicarseli, pregava il Papa di non
procedere contro di essi, di dichiararsi neutrale negli affari di Germania, e
cambiare, nella sua bolla contro i principi protestanti, il futuro condizionale
non incommodaremus (non interverremmo) in un futuro assoluto
non
incommodabimus (non interverremo). Sisto V tenne fermo il
condizionale della sua celebre bolla, non volendo precludersi la via alla
realizzazione di quella ch'egli compiacevasi chiamare « la buona riforma della
Germania » da lui tanto vagheggiata. Ma con la sua grande penetrazione degli
uomini e delle cose, aveva purtroppo compreso che non c' era molto da sperare
sulla cooperazione dell'indolente Rodolfo!
Penosa condizione in cui si trovava Sisto V: vedere nella
immane lotta religiosa che sconvolgeva l'Europa, schierati a favore dell'eresia
due grandi principi ch'egli ammirava: Enrico di Navarra ed Elisabetta
d'Inghilterra, e non trovare nel campo cattolico chi potesse eguagliarne le
doti. Nessuno di questi egli credeva capace di sostenere il peso delle sue idee:
Basterebbe un uomo, esclamava Sisto V,
che il
resto non manca. Manca un principe, un Costantino, un Lotario, un Carlomagno!
gli avrebbe dato ricchezza, potenza, gloria!
È ben vero che un principe secondo il suo cuore l'aveva
trovato fin dal primo anno nel cavalleresco re di Polonia, Stefano Bathori: e
infatti Sisto V e il Bathori erano nati per intendersi; entrambi ardevano dal
desiderio di abbattere la Turchia ch'era in guerra con la Persia: il momento era
propizio; a Roma si tennero adunanze segrete... Ma il Bathori era morto
improvvisamente (Gennaio 1587) gettando nel lutto il fiero Pontefice che in
pubblico concistoro, dopo essersi diffuso ad elogiare la magnanimità e le
benemerenze cristiane del defunto, aveva detto testualmente: «Questo
principe noi abbiamo perduto e con lui le nostre speranze:
perocché con l'aiuto delle somme che gli avevamo inviate, egli si apprestava a
combattere i Turchi, ad invadere la Moscovia e ad operare così la sua
congiunzione con i Tartari e i Persiani».
Dopo la morte del Bathori, si disputarono il regno di
Polonia, l'arciduca Massimiliano d'Austria e Sigismondo di Svezia. Aperte le
ostilità, Massimiliano venne fatto prigioniero. L'imperatrice vedova, madre di
Massimiliano, il Re Filippo, e il granduca di Toacana, intervennero presso il
Papa, perché domandasse a Sigismondo la liberazione dell'arciduca.
Sisto V mandò in Polonia il nunzio Aldobrandini (poi Clemente
VIII) che eseguì egregiamente la sua difficilissima missione, riuscendo a
concludere la
pace.
Fra i patti firmati, il più importante, secondo Sisto V, fu quello in cui
Austria e Polonia si obbligavano a non stipulare, nelle tregue future col Turco,
clausola veruna in cui potessero nuocersi a vicenda: piccolo germe che,
fecondato in seguito, produceva più tardi l'alleanza dei due stati, la comparsa
improvvisa e vittoriosa del Sobieski sotto le mura insanguinate di Vienna
(1683), e la decadenza definitiva della mezzaluna nella civile Europa.
SISTO V E L'ITALIA.
La sola nazione immune da tanto incendio di guerra era
l'Italia, la sede del Papato: giacché il genio possente di Sisto V sapeva ben
tenerne lontano qualsiasi pericolo. Egli era contrario alle leghe formali che
tante sciagure avevano attirato sulle belle contrade. « Le leghe ci dispiacciono,
diceva il Pontefice: le sole leghe che vogliamo concludere sono queste: se un
principe vuol far guerra ai Turchi, noi l'aiuteremo: se vuol far guerra agli
eretici, l'aiuteremo egualmente, ma le leghe tra più principi non le abbiamo mai
approvate ». E nondimeno non cessava dall' inculcare l'unione fra i diversi
stati italiani, dal fomentarne i buoni rapporti e stringerli tutti — Torino,
Firenze, Venezia, Ferrara, Mantova, l'Ordine di Malta — in unione cordiale
attorno a Roma in difesa dell'indipendenza d'Italia e della Santa Sede. « Se noi
viviamo in buona amicizia, ripeteva Sisto V, nessuno ardirà di molestarci, tutti
avranno in gran rispetto l'Italia, e noi godremo di tranquillità perfetta ».
Anche la politica estera, non occorre dirlo, era diretta da
lui personalmente. Egli era presente a tutto, prevedeva tutto e reggeva lo stato
coadiuvato dal giovane Segretario di Stato, il Cardinale Montalto (II) che egli,
seguendo l'usanza dei tempi, aveva innalzato alla porpora nell'età di quindici
anni.
«Spettacolo meraviglioso e forse inaudito — esclama il De
Hübner — quello di vedere un vegliardo pressoché settuagenario, ed un giovanetto
di appena sedici anni al timone di uno stato, provvedere alla necessità della
situazione, accudire ai più grandi e ai più piccoli affari ; bastare a quest'ardua
impresa l'uno con la chiarezza di mente, la gagliardia di volere e la
intrepidezza che gli costituivano il fondo dell'animo; l'altro con una devozione
corrispondente alla tenerezza di cui era l'oggetto, con un riserbo e una
discrezione a tutta prova, con un'assiduita agli affari mirabile in un
garzone!».
IL PONTEFICE E IL
RIFORMATORE.
Grande
Sovrano e gran Papa!
Non si
comprende Sisto V se si astrae dal sentimento religioso che lo dominava
potentemente: la politica, la giustizia, le lettere, le arti, il denaro stesso,
tutto in Sisto V convergeva allo scopo supremo della gloria di Cristo e della
sua Chiesa.
Fisso il pensiero alla tremenda responsabilità
del suo ufficio di Pastore supremo, aveva implorato lume dall'alto e ordinato
pubbliche preghiere coll'indire un
giubileo
straordinario per tutto il mondo: introdusse così nella Chiesa la pia pratica di
aprire il giubileo al principio di ogni pontificato.
Volendo risvegliare col proprio esempio la devozione nel
popolo, rinnovò l'antico costume di celebrare nelle
sette basiliche di Roma le solenni funzioni pontificie, dette
Cappelle, che prima di lui facevansi in Vaticano. Superfluo il
dire della magnificenza e pompa di quelle
Cappelle, così celebri
e così frequenti sotto Sisto V, alle quali egli non mancò mai d'intervenire, per
quanto il tempo fosse cattivo.
Ebbe una speciale devozione alla SS. Eucaristia, primo fra i
Papi, che usasse portare
a piedi e a capo scoperto il SS. Sacramento nelle processioni
solenni: nel proprio sepolcro volle essere rappresentato in ginocchio in atto di
adorare il SS., conservato in quella cappella.
Della devozione alla Vergine e ai Santi, parlano le sue Bolle
e i suoi monumenti: Egli approvò le
Litanie della B.
Vergine, chiamandole
lauretane. Mise nel
Canone dei Santi
il laico francescano S. Diego della
Diocesi di Siviglia, morto in Alcalà nel 1463, e annoverò fra i
Dottori
il Serafico
S. Bonaventura,
di Bagnorea, il quale, al dire dell'Alighieri (Par. XI-37),
Per sapienza in terra fue
Di cherubica luce uno splendore.
Elevò a rito doppio o istituì le feste: della Presentazione
della B. Vergine, di S. Gennaro Vescovo e M., di S. Placido, protomartire dei
Benedettini, di S. Francesco di Paola, di San Nicola da Tolentino, di S. Antonio
di Padova, e di S. Pietro Martire.
S'occupò molto degli ordini monastici. Approvò l'Ordine dei
Foglianti (frati cisterciensi), degli Agostiniani di S. Ambrogio
ad Nemus, dei Minori Conventuali Riformati, dei Camillini e dei
Chierici Regolari Minori: rese autonomi i benedettini di Monte Vergine, riformò
l'Ordine della Mercede, e quello dei Cavalieri di Malta. Era sul punto di
riformare notevolmente anche la Compagnia di Gesù, e mutarne persino il nome,
quando fu sopraggiunto da morte.
Eresse le diocesi di:
Venden in Livonia,
Funai nel Giappone (la prima di quel lontano regno),
Loreto,
Montalto,
S. Severino
e
Tolentìno:
dichiarò
Fermo sede
Arcivescovile:
Teruel nella Spagna
venne confermata Diocesi con aumento di rendite e nuovi statuti.
Creò 33 Cardinali, i quali emersero tutti per ingegno, per
bontà di costumi e nobiltà di carattere: era assai severo nella scelta, e quando
faceva una promozione amava far valere i titoli e le qualità dei nuovi eletti.
Prima di lui il numero dei Cardinali variava secondo i tempi
e la volontà dei Papi. Sisto V - ad esempio dei 70 seniori da Dio assegnati per
consiglieri a Mosè - fissò a
70 il loro numero,
dividendoli in tre ordini: 6 Vescovi, 50 Preti, 14 Diaconi (Postquam
verus ille, 3 dic. 1586). E i papi, suoi successori, mai hanno
sorpassato questo numero.
Eresse in Titoli Cardinalizi le attuali Chiese: Trinità al
Monte Pincio, S. Maria del Popolo, S. Maria della Pace, S. Maria in Traspontina,
S. Pietro in Montorio, S. Agostino, S. Alessio.
Per confermare maggiormente l' unione fra il Papa e i
Vescovi, e impedire scissioni e nuove eresie nella Chiesa, volle (
Romanus Pontifex, 20 dicembre 1585) che si ritornasse
all'antichissimo costume della Visita
ad Limina, comandò cioè
che tutti i Vescovi e Pastori di anime si presentassero a Roma in determinati
periodi, a prestare ubbidienza al Romano Pontefice, dargli conto di sé e della
propria diocesi e averne così lume, incoraggiamento ed aiuto. Dividendo la
cristianità in zone, prescrisse che i Vescovi d'Italia e adiacenze ne avessero
obbligo ogni tre anni, quelli dell'Europa occidentale ogni quattro: quei della
rimanente Europa e dell'Africa Mediterranea ogni cinque: i Vescovi dalle altre
parti del mondo ogni dieci anni. La Chiesa mantenne questo profondo concetto
sistino, e l'odierno Codice di Diritto Canonico (can. 340-341) ne ha ricopiato
sostanzialmente la divisione geografica.
Altre sue Bolle celebri sono:
Coeli et terrae Creator
(5 Gennaio 1586) che condanna l'astrologia giudiziaria e l'arte della
divinazione:
Detestabilis (21
ottobre 1586) che regola la materia dei contratti:
Cum frequenter (22
Giugno 1587) che dichiara nullo il matrimonio degli eunuchi:
Cum de
omnibus (26 novembre 1587) che esclude dagli Ordini religiosi
gl'illegittimi e bastardi.
La meravigliosa dottrina ed attività di Sisto V, risplende
maggiormente nella edizione della Bibbia, allacui revisione prescritta dal
Concilio di Trento, niuno fino a quel tempo aveva atteso di proposito.
Sisto V affidò tal lavoro ad alcuni Cardinali; ma poco
soddisfatto dell'opera loro, vi pose mano egli stesso. Compiuto un foglio, lo
passava al Padre Toledo e ad alcuni Padri Agostiniani, valentissimi in tali
materie: questi lo rivedevano e quindi lo spedivano alla Tipografia. Senonchè il
Papa, esaminando l'edizione che fu compiuta negli ultimi mesi di sua vita e di
cui si erano tirati cinquanta esemplari, vi trovo non pochi errori di stampa, e
si vide necessitato di proibirne la vendita. Stava per tornare sull'opera sua
con una nuova ristampa, quando venne colto dalla morte. L'edizione venne fuori
due anni dopo (1592), sotto il Papa Clemente VIII, col nome di
Bibbia
Sisto- Clementina: è l'edizione ufficiale della
Volgata,
tuttora in uso nella Chiesa Cattolica.
Tutto ciò basterebbe per rendere veramente insigne la figura
di Sisto V come Pontefice. Ma ad un'altra opera immortale e legato il suo nome:
e cioè alla nuova organizzazione della S. Sede ordinata da lui con la Bolla:
Immensa aeterni Dei, del 23 Gennaio 1587.
Fino al secolo XVI, il Papa governava la Chiesa insieme con i
Cardinali riuniti in
concistoro. In queste
assemblee, i Cardinali deliberavano sulle questioni proposte dal Papa; il quale,
dopo aver udito il loro parere, decideva in ultimo appello. I concistori si
tenevano ordinariamente ogni settimana, e su di essi gravava il peso immenso del
governo ecclesiastico.
Ma con lo sviluppo della potenza della Chiesa, questo sistema
non era più sufficiente. Già Paolo III al tempo della Riforma, aveva creato la
prima congregazione di Cardinali: quella del S. Ufficio o dell' Inquisizione che
s'occupava soprattutto delle questioni di dogma. Gregorio XIII aveva anch'egli
istituite alcune congregazioni: ma non erano esse che un rimedio transitorio a
bisogni permanenti.
Sisto V risolse di dare alla Chiesa una nuova costituzione,
stabilendo una divisione organica di lavoro tra i Cardinali fuori di concistoro.
Questa riforma di Sisto V, ancora in vigore, è contenuta nella detta Bolla
Immensa
aeterni Dei, che è indubbiamente un prodotto della sua penna.
Sul principio della Bolla il Pontefice parla dell'ammirabile
armonia che Dio ha posto nella sua opera della creazione in cui le creature
tutte si servono e si completano mutualmente. Come v'è nella Gerusalemme celeste
una certa gerarchia tra gli spiriti dei beati, cosi deve esservene una tra i
pastori che sulla terra vegliano con cura sulle proprie pecorelle. Vi sono
intorno al Sommo Pontefice settanta Cardinali, i più illustri membri della
Chiesa, incaricati d'assisterlo coi loro consigli, di portar con lui il peso
immenso della cristianità. Ma la Bolla fa risaltare come il Papa solo ha la
pienezza del potere e che i voti dei Cardinali hanno un carattere puramente
consultivo. Poi la Bolla mostra che la necessità di facilitare il disbrigo degli
affari, spiega la creazione delle Congregazioni dei Cardinali.
Le
Congregazioni stabilite
sono quindici:
1a del Santo Uffizio, istituita da Paolo III e riorganizzata da Sisto V, munita dei pieni poteri per inquisire su tutte le cause relative alla fede, dall'eresia fino all' abuso dei sacramenti;
2a della Segnatura delle grazie per esaminare le domande di grazie e di favori non dipendenti dai tribunali ordinari;
3a dell' Erezione delle chiese e provvedimenti concistoriali per le domande di stabilire chiese patriarcali, metropolitane, cattedrali e capitoli;
4a dell'Abbondanza dello Stato Ecclesiastico per l'approvvigionamento di Roma e delle provincie;
5a dei Riti e Cerimonie per la liturgia, canonizzazioni, ecc.;
6a dell'Armata navale per la direzione della marina pontificia creata da Sisto V;
7a dell' Indice per compilare la lista dei libri proibiti;
8a del Concilio di Trento per interpretare gli atti di quel famoso Concilio in ciò che riguarda i costumi e la disciplina;
9a Congregazione per alleviare il popolo dello stato ecclesiastico;
10a Congregazione per dirigere l'Università detta la Sapienza, che Leone X aveva fondata e Sisto V riorganizzò;
11a Congregazione dei Regolari per giudicare le contese fra i diversi ordini monastici;
12a dei Vescovi per ricevere le domande dei patriarchi, primati, arcivescovi, vescovi e prelati non regolari, e giudicare le loro contestazioni;
13a del mantenimento delle strade, dei ponti, degli acquedotti;
14a della Stamperia, per la sorveglianza della tipograna vaticana;
15" della Consulta di Stato, per rivedere i processi criminali e civili, salvo sempre la decisione definitiva del Papa.
Di tutte queste Congregazioni, quelle otto che hanno
attinenza al governo della Chiesa, aumentate o modiflcate secondo i bisogni dei
tempi, sussistono ancora e alcune ne ritengono anche il nome primitivo: le altre
che riguardano l'amministrazione temporale dello Stato, corrispondono ai
Ministeri moderni degli
Approvvigionamenti, Sgravio del
popolo, Marina, Grazia e Giustizia, Istruzione pubblica, Lavori pubblici,
ecc. Stato e Chiesa adunque governano oggi col sistema introdotto da Sisto V, da
ciò il valore immenso di quell'organamento che ha fatto la sua gran prova
reggendo all'urto dei secoli. «A Sisto V - esclama il De Hübner - torna l'onore
di aver organizzato il lavoro della Chiesa!».
EPILOGO.
Un pontificato così mirabilmente fecondo ed operoso, cui non
erano mancate aspre lotte e guerre sorde e feroci, non poteva non produrre
effetti deleterii sulla forte fibra del Papa: egli nella primavera del quinto
anno di regno, deperiva ad occhio; ben presto il suo stato inspirò seria
inquietudine. Ma Sisto V era un malato indocile: ostinavasi a non farsi tastare
il polso, riflutavasi di stare in letto, e fin quasi alla vigilia della morte,
egli era in piedi, al suo lavoro, ripetendo il detto dell'antico Augusto:
Oportet
imperatorem stantem mori.
E, purtroppo, il giorno che doveva segnare il suo tramonto
arrivò fatalmente assai presto. Sisto V moriva il 27 agosto 1590, dopo aver
regnato 5 anni, 4 mesi e 3 giorni; ultimo papa politico che avesse fatto sentire
il peso della sua autorità nei grandi avvenimenti europei: se meno breve fosse
stata la sua vita, il Papato avrebbe forse riacquistato con lui il prestigio
degli antichi tempi di Gregorio VII e Innocenzo III.
Ch'egli morisse avvelenato dagli spagnuoli, che meditasse di
far guerra alla Spagna, che rompesse un crocifisso che tramandava sangue,
incredulo ad un miracolo, che s' impadronisse del Papato con finzioni ed
astuzie, che da Cardinale simulasse acciacchi e malanni, questi ed altri simili
racconti ed aneddoti sono pure invenzioni sconosciute ai contemporanei, e dovute
all' ignoranza o malafede di tempi posteriori. La critica moderna, risalita alle
fonti, ha fatto giustizia ed ha rimesso nel suo seggio di gloria il grande
Pontefice.
Il quale è oggi più che mai il
Mons tutus in quo stat lex Dei,
il « gigante della storia », «uno degli uomini più straordinari che siano
comparsi al mondo». La fervida immaginazione popolare lo concepisce come un
essere sovrumano; dinanzi a lui si chinano reverenti i più alti e consapevoli
scrittori che l'acclamano
immortale: le sue lodi
furono pronunziate in tutte le favelle: città e regioni gì'innalzarono monumenti
e ricordi, e Montalto, la patria adorata, compendiò magistralmente l'opera vasta
di questo suo figlio, scolpendo sulla pietra i due mirabili distici:
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