Il consenso raccolto da "Democrazia è
Libertà" ha premiato un'intuizione prima ancora che essa fosse stata
consapevolmente e criticamente elaborata. Ma quella intuizione ha solide
radici culturali, che è tempo di esplicitare e approfondire. "Democrazia è
Libertà" nasce con l'inizio del nuovo secolo ed è proiettata verso il
futuro. La sua sfida è quella di dare vita a una nuova organizzazione della
politica in Italia, a una nuova visione culturale e civile della democrazia
e della libertà, a programmi e obiettivi capaci di aggregare vasti settori
della società italiana - dopo una lunga crisi della partecipazione politica
- per concorrere in modo decisivo all'affermazione dell'Ulivo, coalizione di
governo e alleanza dei riformatori.
La globalizzazione sfida la politica.
La globalizzazione si presenta come la
dimensione entro la quale la politica deve operare. Anche se difficile,
governarla appare sempre più necessario. "Democrazia è Libertà" apprezza la
globalizzazione in quanto superamento dell'antico regime degli Stati,
realizzazione di codici (diritto, moneta) indisponibili a singole
organizzazioni (Stati, imprese) e possibilità per l'apertura dei mercati e
del commercio internazionale dai paesi arretrati ai paesi più avanzati.
Contesta però la compromissione ecologica e gli squilibri intollerabili di
ricchezza imposti da uno sviluppo economico senza regole, dove la produzione
di beni privati non sia armonizzata con lo sviluppo sociale, cioè con la
fornitura di beni pubblici. La globalizzazione non governata è portatrice di
nuove e più profonde diseguaglianze tra Paesi e all'interno dei Paesi. Un
nuovo terrorismo nasce localmente e agisce globalmente, perché si radica
proprio nei processi di frantumazione e nelle contraddizioni originate da
una globalizzazione senza regole. Urge una risposta globale che agisca anche
localmente.
La globalizzazione può costituire
un'occasione positiva rispetto all'era bipolare delle relazioni tra gli
Stati sovrani, se con essa si coglie l'opportunità di costruire un sistema
di relazioni planetarie differenziate e multipolari, poliarchiche e
policentriche, che rifuggano la logica di un super-Stato. Serve un governo
basato sul multilateralismo, che si esprima nella costruzione di istituzioni
sopranazionali in grado di occuparsi non solo delle regole del commercio,
per renderle più favorevoli ai paesi arretrati, ma della redistribuzione
delle risorse fra i paesi, per sostenere uno sviluppo equilibrato,
l'affermazione dei diritti umani e l'ampliamento dei diritti sociali, per
facilitarne il rispetto da parte dei paesi poveri, per la salvaguardia
dell'ambiente, per la sicurezza internazionale, per prevenire e limitare il
ricorso alla forza nell'affermazione del diritto.
Deve affermarsi un nuovo ordine
internazionale adeguato agli scenari che si sono delineati, di cui si
avverte fortemente l'urgenza, soprattutto dopo l'11 settembre, con la
evidente necessità di porre il mondo al riparo dalla minaccia della violenza
terroristica. In particolare, mentre si va ridisegnando l'architettura
internazionale con nuovi protagonisti che ricercano una collocazione
funzionale alla necessità dei nuovi assetti, l'Unione Europea deve imprimere
un decisivo balzo in avanti al processo di integrazione politica, a partire
dalla realizzazione di una vera politica estera e di sicurezza comune. Su
questo terreno è altresì necessario, anche da parte dell'Italia, una
riscoperta della dimensione internazionale della politica e la ripresa di
un'iniziativa coerente con la sua vocazione europeista.
La globalizzazione esige un di più di
capacità di azione e di comunicazione da parte di una società civile aperta
e riflessiva. Attraverso reti di comunità locali, movimenti sociali,
organizzazioni non governative e libere forme associative ed in particolare
attraverso i movimenti dei giovani e delle donne, emergono in tutti i paesi
domande di estensione sostanziale dei diritti di cittadinanza e di
riconoscimento delle differenze.
Il confronto ravvicinato con l'Altro,
interno ed esterno alla propria cultura, è la sfida antropologica della
globalizzazione, che richiede, insieme, un forte senso delle proprie radici
ed una reale propensione ad aprire lo spazio pubblico a nuovi linguaggi. In
questo senso il riconoscimento della donna, come individuo morale e come
cittadina a pieno titolo, è un orizzonte primario nei processi di
globalizzazione. Pur nelle espressioni culturali differenti, esso
costituisce, per la vita sociale e politica di ogni Paese, una misura della
com-prensione dell'Altro e, dunque, del grado sostanziale di democrazia e di
aderenza al rispetto dei diritti umani. Nel mondo globalizzato, la
convivenza pluri-culturale, pluri-religiosa, pluri-lingue, pluri-nazionale
appartiene, e sempre più apparterrà, alla normalità, non all'eccezione .
Scienza, tecnica e cultura del limite
La globalizzazione investe la
sperimentazione scientifica, la ricerca applicata, l'intervento sulla vita
animale, l'utilizzo delle risorse ambientali. "Democrazia è Libertà" si
àncora al principio che fa della persona umana un fine e mai un mero mezzo.
Un principio dal quale scaturiscono criteri ed orientamenti in tema di
scienza e di sue applicazioni. E' fuori discussione la fiducia nella scienza
e in chi la coltiva per i benefici che essa ha portato e porta al progresso
umano; così come la convinzione che: a) l'ampliamento delle conoscenze sia
obiettivo meritevole e da incoraggiare; b) la libertà della ricerca sia bene
prezioso da garantire contro le indebite pretese del potere politico e del
potere economico; c) i benefici del progresso tecnico scientifico debbano
essere partecipati il più largamente possibile all'umanità tutta e non
risolversi in un fattore di dominio di pochi, di disuguaglianza e di
emarginazione. E tuttavia da quel principio si ricavano anche limiti non già
allo sviluppo della scienza (che è sempre cosa buona), ma alle sue metodiche
ed alle sue applicazioni che ledano la dignità e l'integrità della persona
umana: di qui la massima secondo la quale non tutto ciò che è tecnicamente
possibile è eticamente lecito. Di più: lo sviluppo delle scienze e delle
tecniche che si applicano alla natura e, più ancora alla vita umana, sino ai
suoi estremi confini (l'inizio e il termine), sono ricchi di promettenti
sviluppi ma anche di inquietanti minacce per quel bene non negoziabile che è
la dignità e l'integrità della persona umana in ogni suo stadio e
condizione. Ne consegue il dovere di affinare il discernimento etico e di
elevare la soglia della stessa vigilanza politica, adottando quel "principio
di precauzione", che si attiva anche solo quando si è posti di fronte al
fondato rischio/possibilità che la vita e la persona umana siano minacciate,
alterate o manipolate.
Del resto questa cultura del limite,
coltivata a presidio della vita, degli esseri viventi e segnatamente della
persona umana, questa esigenza di preservare una "zona di rispetto" per
quella misura di mistero che sempre circonda la vita e la morte ci vengono
anche dal movimento delle donne, così singolarmente reattive verso il
potere, della scienza e della politica, interpretato come dominio e come
possesso dispotici, nonché dalle espressioni più mature del movimento
ambientalista. La cultura del limite è da acquisire tra i fondamenti della
politica perché il mondo che pretendiamo di governare è dato in prestito
all'umanità tutta, ma non è il suo dominio.
Una nuova stagione dei diritti
Un ordine mondiale democratico può esser
costruito se si ricerca la sintesi tra crescita economica, sviluppo umano,
coesione sociale e democrazia reale. Questa prospettiva deve porsi
l'obiettivo di coniugare forme della libertà, giustizia sociale ed equità,
ed insieme costruzione negoziata di regole e riconoscimento delle differenze
culturali. A questo fine sono ugualmente determinanti la democratizzazione
degli organismi internazionali e lo sviluppo di forme di autogoverno locale.
"Democrazia è Libertà" mira a offrire un
contributo originale alla creazione di uno spazio pubblico in cui si
esprimano cittadini consapevoli, alla promozione della responsabilità della
persona a tutti i livelli, alla ricerca dell'integrazione tra forme della
responsabilità tipica del sistema politico ed espressioni dell'azione nella
società. Proponendo questa globalizzazione si restituisce alla città
innanzitutto, ed in generale ai molti livelli politici e sociali del governo
locale, una quota di quella sovranità che aveva messo capo allo Stato per
molti secoli.
Alla globalizzazione dei mercati deve
corrispondere la globalizzazione dei diritti umani e delle libertà
fondamentali. I diritti civili e politici, ormai consolidati nelle
democrazie liberali, non possono essere disgiunti dai diritti sociali, se si
vuole che le libertà individuali vengano estese al maggior numero possibile
di individui. Dallo sviluppo socio-economico e scientifico-tecnico emergono
oggi le rivendicazioni dei nuovi diritti attinenti alla qualità
dell'ambiente, alla tutela della privacy, alla trasparenza delle funzioni
pubbliche, alla equa fruizione dei risultati della ricerca scientifica, alle
nuove tecnologie di comunicazione, alla convivenza interculturale.
Per un governo della globalizzazione
La globalità dei nuovi diritti richiede
garanzie di ampiezza sovranazionale e quindi mette in crescente risalto il
deperimento del formato nazionale dello spazio pubblico, che oggi è
avvertito in Europa più che nelle altre parti del mondo. L'Unione Europea
rappresenta l'esperimento più avanzato, in termini di risposta politica e di
governo, alla sfida della globalizzazione; oggi più di ieri, si rivela
preziosa per il mondo intero la peculiare missione storica dell'Europa,
imperniata sulla proposta del "modello sociale europeo" e sull'integrazione
come via alla pace. L'opzione europeista è dunque la stella polare di
"Democrazia è Libertà" che punta ad una vera federazione di popoli, fondata
sulla cittadinanza comune degli europei e sull'inserimento nei Trattati
della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, essenziale
soprattutto nella prospettiva dell'allargamento. L'Italia deve tenersi
soprattutto all'unisono con l'Europa. Contestualmente, "Democrazia è
Libertà" custodisce e promuove la coscienza e il valore dell'identità
nazionale, le ragioni culturali e civili dell'orgoglio di essere italiani ed
i vincoli di solidarietà conseguenti nell'alveo della Repubblica una e
indivisibile. Tale sentimento naturalmente si dilata in due direzioni:
quello appunto della casa comune europea e quello che, muovendo dal senso
della nazione, evolve verso un più ricco e comprensivo spirito repubblicano
e patriottismo costituzionale. Dunque, una comunità nazionale che affonda le
sue radici nella storia - italiana ed europea - ma che, di più, si riconosce
positivamente nella tavola di valori civili che vanno sotto il nome di
Repubblica e nel patto di convivenza scolpito nella Costituzione. Nel segno
di una cittadinanza compiutamente politica e non angustamente circoscritta a
fattori naturali, storici, etnici. La globalizzazione domanda quindi un di
più di governo. Non un governo qualsiasi, ma un governo che sappia integrare
le differenze, facendo leva sul consenso, sulla partecipazione, su un nuovo
patto tra genti, generi e generazioni.
L'evoluzione della democrazia italiana.
Questa domanda di governo incrocia lo stesso
percorso di crescita della democrazia italiana, l'evoluzione dei suoi attori
politici e del suo assetto istituzionale, la ricerca di un più adeguato
equilibrio tra rappresentanza e governo. Nel primo tempo della Repubblica,
l'accento è comprensibilmente caduto sulla rappresentanza, anche per
rispondere all'esigenza di una piena integrazione in una democrazia liberale
di ceti, movimenti e partiti protagonisti della lotta di liberazione ed
all'origine della nuova Italia. L'esigenza di stabilità ed efficienza dei
governi, già prospettata negli anni cinquanta, diviene ineludibile negli
anni ottanta, con il consolidamento della "difficile" democrazia italiana e
di fronte ad una società, sempre più mobile e complessa, che invoca sintesi
politiche e risposte di governo più tempestive ed efficaci. Prende corpo,
dalle città allo Stato nazionale, la spinta a riformare le istituzioni e le
regole elettorali, anche per tenere il passo con gli altri paesi, in un
mondo e segnatamente in un'Europa sempre più integrati. Dopo l'insuccesso
dei tentativi di "grande riforma" operati a più riprese nella sede
parlamentare, la legge elettorale a dominante maggioritaria, introdotta
sotto la spinta del referendum, ha contribuito a far evolvere la democrazia
italiana nella direzione di una democrazia dell'alternanza e fare della
contesa politica una competizione tra proposte di governo tra loro
alternative. Di pari passo, si è fatta sempre più pressante e diffusa la
domanda dei cittadini di esercitare pienamente il loro potere di "arbitri" e
di scegliere con il loro voto le coalizioni di governo. E' su questo sfondo
e dentro questa linea di sviluppo della democrazia italiana che prendono
corpo l'esperienza e il progetto dell'Ulivo, concepito come un'alleanza tra
le espressioni migliori delle culture politiche riformatrici, un'alleanza di
governo programmaticamente alternativa ad una destra esposta al rischio di
derive plebiscitarie e personalistiche. Si tratta di dare compimento al
bipolarismo italiano, anche attraverso il rafforzamento delle garanzie
democratiche e dello statuto dell'opposizione.
"Democrazia è Libertà": un'opportunità nuova
All'aspirazione, da parte dei popoli, a
partecipare al governo della globalizzazione corrisponde quella, da parte
dei cittadini, a partecipare allo sviluppo e all'evoluzione delle loro
democrazie. Una partecipazione che - tanto più alla luce dell'esperienza
drammatica della crisi dello stato liberale pre-fascista - non può
risolversi nel momento elettorale. Le formazioni partitiche, nella varietà
dei modelli organizzativi cui hanno dato vita, hanno rappresentato,
soprattutto alla ripresa della vita democratica, un tentativo di far fronte
a questa esigenza. Ma il loro ruolo si è progressivamente logorato e i loro
risultati sono diventati contraddittori proprio sul versante della
partecipazione, anche per il prevalere di tendenze alla burocratizzazione e
di chiusure oligarchiche. L'inadeguatezza e l'inattualità degli strumenti,
oltre che delle iniziative politiche, hanno pesato sulla crisi delle forze
politiche protagoniste del primo tempo della repubblica. Le vecchie
ideologie sono state contraddette dall'evoluzione storico-culturale, le
culture politiche tradizionali si sono inaridite, imprigionate dentro forme
di organizzazione non più in grado di essere voce della realtà in mutamento.
La distanza incolmabile tra partiti, sempre più sclerotizzati, e società,
sempre più dinamica ed inquieta, ha reso ancor più insopportabili le
pratiche degenerative che aggredivano un sistema politico via via racchiuso
in una gestione del potere non funzionale all'interesse della comunità. Il
rifiuto dei partiti è stato alimentato anche da venature moralistiche;
l'iniziativa della magistratura - necessaria e benefica per la tutela della
legalità - vista come strumento principe per smantellare una situazione
inaccettabile, è stata salutata come liberatoria. Ben presto tuttavia
l'approccio moralistico e la risposta giudiziaria, così come la via
referendaria, si sono rivelati inadeguati ad accompagnare la democrazia
italiana oltre la crisi; né l'uno né l'altra, infatti, avevano in sé la
forza duratura per fondare il necessario nuovo ordine civile. Allo scopo non
poteva essere sufficiente la denuncia, per quanto fondata, della caduta
della cultura della legalità, né l'esercizio di un potere giurisdizionale
che non sapesse distinguere tra degenerazioni politiche e fatti penalmente
rilevanti. E' diventato sempre più evidente che un ordine civile diverso,
una nuova legalità non possono prescindere da un rilancio del ruolo della
politica, che si traduce in una nuova organizzazione delle risposte, nelle
istituzioni e nella società. Una democrazia più forte e il radicamento di
un'etica pubblica sono fondate, infatti, sulla possibilità che hanno i
cittadini di concorrere a deciderne gli sviluppi. La nuova democrazia non
potrà affermarsi senza, né contro, i partiti. Ma dovrà esser animata da
partiti nuovi, che si legittimano immergendosi tra i cittadini, titolari
della sovranità, sia in quanto individui originariamente portatori di
diritti di libertà, sia in quanto associati nelle formazioni in cui si
svolge la loro vita di comunità. "Democrazia è Libertà" vuole rappresentare,
anche da questo punto di vista, un'opportunità nuova in grado di non
riproporre limiti e difetti del recente passato e di offrirsi come luogo di
partecipazione, di proposta, di elaborazione, di confronto democratico, un
po' movimento e un po' partito organizzato, al riparo dai rischi tanto del
modello del partito ideologico, quanto di quelli del mero comitato
elettorale. Un partito aperto, un partito che metta l'accento sul metodo
democratico, che raccolga gli elementi del suo programma dalle esigenze che
emergono dal vivo della lotta politica e sociale proponendosi come
interlocutore attento e sensibile dei processi di trasformazione della
società e della domanda di rappresentanza, impegnato a ridare un'anima alla
politica. Un partito attento al tempo stesso alla ricchezza e
all'autenticità della dimensione locale, nonché all'orizzonte
internazionale, un partito strutturato su basi federali, ma in grado di
proporre una sintesi nazionale.
Le nostre radici.
La crisi degli attori e dell'assetto
politico tradizionale non intacca l'attualità e il valore di idee, principi
e culture che fanno della libertà e della democrazia la propria insegna. Su
di esse, anzi, può far leva un'iniziativa forte, efficace, nella quale
storie diverse convergano per cimentarsi con la nuova realtà. A partire
dalla fedeltà ai principi ed ai valori richiamati nella Costituzione della
Repubblica Italiana e nella Carta dei diritti fondamentali dell' Unione
Europea ( dignità umana, libertà, uguaglianza, solidarietà, cittadinanza,
giustizia), che di quelle culture sono figlie, "Democrazia è Libertà" aspira
a raccogliere e ad attualizzare il meglio delle tradizioni e delle
sensibilità democratiche e riformatrici che hanno plasmato la storia
politica italiana ed europea. Esse si combinano tra loro nelle storie delle
formazioni che concorrono a darle vita, nel segno di una fedeltà creativa ai
loro principi ispiratori. Tra le nostre radici figurano: il popolarismo con
la centralità che esso conferisce ai valori della persona, della famiglia e
delle comunità originarie; la concezione liberal-democratica, che scommette
sull'autonomia e sul protagonismo del soggetto; nonché la sensibilità
sociale e democratica, che si fa carico dell'effettività e dell'universalità
dei diritti di cittadinanza, e quella ambientalista, espressiva di
un'attenzione sempre più matura alla sostenibilità e alla qualità dello
sviluppo. Tale gene democratico e riformatore fa di "Democrazia è Libertà"
un soggetto particolarmente sensibile, aperto e ricettivo verso ciò che di
vitale scaturisce dai nuovi movimenti che sanno rivisitare i vecchi diritti
e ne propugnano di nuovi, sfidando la politica a misurarsi con la vita
quotidiana e con l'intero spettro dell'esperienza umana. La sintesi tra le
culture riformatrici raccolte all'interno di "Democrazia è Libertà" si
contraddistingue, nell'ambito dell'Ulivo, per una singolare sensibilità
nell'interpretare nuove istanze ed attese: l'accento sulla responsabilità
personale; la dimensione relazionale nella concezione stessa dei diritti
individuali; la sensibilità al valore delle comunità e delle autonomie
sociali; il riconoscimento del carattere originario delle autonomie locali e
delle loro espressioni istituzionali, a cominciare dal Comune; la
consapevolezza dei limiti allo sfruttamento delle risorse naturali.
L'idea-guida: "Democrazia è Libertà"
La denominazione "Democrazia è Libertà" dà
vita alla sigla DL. I DL non nascondono l'ambizione di ideare e praticare un
riformismo declinato al futuro, affidato al protagonismo di persone,
famiglie, associazioni, imprese, cioè dei soggetti che abitano la società
civile, al riparo da derive stataliste e dirigiste. "Democrazia è Libertà"
potrà fare sintesi tra le tre idee-forza con cui alimentare una politica
all'altezza dell'attuale nuovo stadio della modernizzazione: il protagonismo
di un individuo adulto, l'istanza comunitaria, la tensione all'uguaglianza
possibile. In definitiva, una democrazia più ricca e un riformismo più
moderno, perché affidati meno allo Stato e ai partiti e più agli attori
sociali; o comunque affidati a partiti e istituzioni raccordati a una
società civile fattasi adulta. La libertà è sale e fondamento della
democrazia. La missione dei DL è liberare, promuovere, espandere le risorse
iscritte nelle persone e nelle formazioni sociali. La libertà è valore,
metodo, costume; non può che generare democrazia, nella dinamica interna
alle forze politiche e in quella sviluppata all'esterno di esse. Libertà
chiama democrazia non solo nella sua accezione politica, ma anche in quella
sociale. Essa prescrive concrete politiche mirate all'uguaglianza e
all'estensione delle opportunità. Nel segno della solidarietà e, insieme,
della responsabilità. Dunque, libertà dei singoli e libertà dei gruppi;
libertà negativa (da) e libertà positiva (per); libertà di ciascuno e
libertà di tutti; libertà intesa dinamicamente come processo di progressiva
liberazione. La democrazia, infatti, non è un modello, un progetto definito
di società, ma è il modo più umano fin qui prodotto dalla storia in cui il
potere, necessario in tutte le società, può concorrere alla liberazione
dell'uomo. Il contributo della politica alla liberazione è limitato, non
esclusivo, né totalizzante; è altro e distinto da quello delle formazioni
primarie come la famiglia e la comunità, dell'economia, della scienza, della
religione ed in generale di ogni funzione o sfera sociale, ciascuna delle
quali a sua volta può assumere assetti che più o meno concorrono (o non
concorrono affatto) alla liberazione in una società avanzata. Concorrono
alla liberazione il mercato concorrenziale invece del monopolio, la scienza
fallibile invece della ideologia, il regime familiare di pari responsabilità
e diritti invece delle gerarchie di sottomissione personale della donna, la
religione come scelta di fede personale e libera anziché il fondamentalismo.
Istituzioni ed organizzazioni politiche democratiche provvedono esse stesse
a porre limiti all'esercizio del potere; e ne sottopongono l'uso al
principio di responsabilità imperniato sulla imputabilità personale di ogni
agire politico. La democrazia riconosce a chi ottiene la maggioranza dei
consensi il dovere di assumere le decisioni politiche nel rispetto degli
inalienabili diritti di libertà, nel rispetto della legge e delle condizioni
che possano consentire alla minoranza politica di divenire, a sua volta,
maggioranza. Di conseguenza, la democrazia pratica la costante ricerca della
separazione e del bilanciamento dei poteri. Quello della legalità è un altro
principio-valore cardine per "Democrazia è Libertà". Il nostro paese sembra
incapace di un giusto equilibrio tra sicurezza e garanzie, tra controllo di
legalità e rispetto dei diritti di libertà. Ad una stagione attraversata da
alcune alterazioni giustizialiste, non deve far seguito di nuovo un tempo
esposto al rischio dell'impunità. Tra i punti qualificanti dell'agenda
politica di "Democrazia è Libertà" sta dunque un impegno fattivo e concorde
per la giustizia, nel segno di una legalità forte, equilibrata, serena.
Il primato della società sullo Stato.
La storia del XX secolo - che non è stato un
secolo breve - ha sortito soluzioni non previste ad un problema che era e
rimane la questione cruciale della democrazia. Il limite storico delle
istituzioni liberal-democratiche, che ancoravano la partecipazione politica
unicamente al momento elettorale, aveva alimentato, per reazione, la
convinzione che una diversa distribuzione del reddito fosse sufficiente al
riscatto delle classi subalterne. L'allargamento e la crescita del diritto
di cittadinanza - da quella civile a quella politica e quella sociale -
configurano oggi una condizione di garanzia, del tutto nuova rispetto al
passato, per il processo democratico. Diventa così essenziale il modo con il
quale tali diritti vengono riconosciuti e tutelati dall'ordinamento di uno
Stato sociale rinnovato, ma non demolito. Che va ricostruito non tanto sulla
scorta di prestazioni da organizzare, quanto e piuttosto sulla
individuazione di diritti da tutelare. Bisogna allora passare
dall'organizzazione delle prestazioni dentro una rete di strutture
burocratiche alla tutela del bisogno, la cui assenza configura la lesione di
un diritto. Perché solo una persona che venga posta nella condizione di
esercitare pienamente il suo diritto ad essere sana ed istruita ed a godere
di un minimo di tutela sociale è davvero libera di concorrere alla difesa e
alla costruzione del processo democratico. Considerazioni analoghe si devono
fare per la tutela del lavoratore dentro i meccanismi del sistema
produttivo. La struttura dell'impresa è patrimonio non solo
dell'imprenditore, ma anche del lavoratore. Rischio d'impresa e condizione
del lavoratore debbono essere collocati in un contesto comune e insieme
tutelati. Solo in rapporto a questo contesto la flessibilità rappresenta
un'esigenza oggettiva per la vita dell'impresa e non diventa una condizione
di debolezza del lavoratore e quindi di dominio dell'imprenditore. Decisivo
è il ruolo del sindacato nel contrastare la frammentazione individuale della
forza lavoro e dunque la condizione di debolezza dei lavoratori. La
riscoperta del principio di sussidiarietà - che non è il ritorno brutale del
privato, ma una forma più concreta di individuazione dell'interesse comune -
a fronte del deperimento della struttura dello Stato nazionale accentratore
è l'architrave di una nuova concezione dell'ordinamento. A partire da una
nuova visione della statualità, la persona - con la sua nuova dimensione
cultural-giuridica - è il punto di partenza, ma anche il fine del nuovo
ordinamento giuridico. Cellule prime della sovranità sono la persona e la
comunità. Gli ordinamenti superiori non hanno natura gerarchica, ma sono
organizzati al fine di garantirne una tutela che, estendendosi ad altre
persone, configura l'interesse generale o bene comune. Il "pubblico" non
corrisponde più alla tutela di un interesse generale astratto, ma allo
spazio, comunque individuato, del bisogno di una comunità territoriale o di
interessi. Siamo dunque di fronte ad un orizzonte nuovo, ove collocare
l'interesse generale, la cui garanzia è data non tanto da una risposta
uniforme quanto da una regola comune. E' superata così la concezione della
norma come garante di un interesse astratto - in radicale contraddizione con
l'insegnamento romanistico ex facto oritur ius - slegato dalla diversità
delle fattispecie concrete in cui si manifesta. La persona non è garantita
perciò per il grado di libertà cui aspira, ma per le sollecitazioni attive a
misurarsi dentro regole comuni atte ad arbitrare il conflitto con altre
persone. Personalismo e responsabilità sono dunque i termini chiave di un
moderno riformismo, ove il valore della persona e l'assunzione di
responsabilità sono obiettivi della politica. La democrazia legittima la
esistenza di interessi particolari che, rimanendo tali, trovano in essa le
regole necessarie al loro sempre parziale e provvisorio comporsi e
competere. La democrazia ha bisogno di virtù; ma la virtù della democrazia
non è quella di definire l'interesse generale, bensì quella di garantirne la
ricerca . La democrazia è forma, ad oggi la più avanzata, dell'agonismo
delle libertà. Una democrazia vera esige infatti il protagonismo di una
società vivace, ricca di molteplici e variegati legami associativi,
interpretati da persone rispettate nella loro autonomia e differenza. Il
principio di sussidiarietà, nella sua declinazione verticale ed orizzontale,
prescrive una metodica vigilanza contro un ingiustificato slittamento di
poteri verso l'alto e contro una limitazione o soppressione delle diverse
specificità funzionali. La sussidiarietà deve operare non solo nei rapporti
fra Stato e società, bensì anche nei rapporti fra le istituzioni, nel senso
di articolare una pluralità di livelli di governo e di valorizzare le
autonomie locali e funzionali: una articolazione e un federalismo
istituzionale che allargano gli spazi di partecipazione e di responsabilità
dei cittadini e dei gruppi e che contribuiscono così ad arricchire la stessa
azione politica. Il principio di sussidiarietà si applica anche alla
concezione del welfare e stimola a superarne le derive centraliste e
statalistiche, per sviluppare forme articolate di welfare pubblico e
comunitario, cui contribuiscano sia le istituzioni pubbliche ai vari
livelli, in funzione di garanzia, sia le iniziative dei privati, in primo
luogo delle organizzazioni no-profit e di volontariato. Assegniamo al
welfare non tanto una funzione assistenziale, riparatoria dei guasti del
mercato, ma quella di promuovere l'allargamento delle opportunità personali.
Attraverso la democratizzazione della politica, tende a ridursi nella
società lo spazio statale e ad allargarsi lo spazio pubblico (ricco di
un'appropriata strutturazione dei principi di sussidiarietà e di
responsabilità). In questo spazio pubblico possono svilupparsi prassi di
concertazione non corporativa, nelle quali attori diversi (politici, sociali
ed economici) collaborano in vista di un interesse condiviso. In questo
quadro può trovare soluzione anche l'annosa questione della scuola non
statale: si tratta di distinguere, in un "sistema pubblico integrato", fra
funzione pubblica, che anche la scuola non statale può svolgere, e gestione
statale, superando l'idea anacronistica secondo la quale la funzione
pubblica della scuola sarebbe necessariamente legata alla sua gestione. La
democrazia, per vivere, necessita di una società vitale e vivace e il
dinamismo di questa, per parte sua, incrementa e qualifica la democrazia.
Laicità, fede religiosa e democrazia.
Una democrazia che si identifica con la
libertà comporta la "riduzione della politica allo stato laicale". Le
esperienze democratiche più avanzate si sono storicamente avvalse del
contributo delle fedi religiose, quando si è creato un ambiente
socio-culturale in cui è stato possibile effettivamente conciliare spirito
religioso e spirito di libertà. Queste stesse esperienze mostrano come sia
necessario annoverare, tra le fedi capaci di sostenere la dinamica
democratica, tradizioni di pensiero laico e pragmatico che si sono
sviluppate storicamente in rapporto con la tradizione culturale e spirituale
giudeo-cristiana. Queste esperienze si oppongono sia alle degenerazioni
ateo-assolutistiche che a quelle integristico-fondamentaliste. "Democrazia è
Libertà" scommette sulla valorizzazione del rapporto fra credenti e non
credenti nel solco del superamento degli "storici steccati". Tocca ai non
credenti riconoscere che l'esperienza religiosa, lungi dall'essere un
residuato storico destinato all'estinzione, può rappresentare un fermento
che vivifica la vita democratica; tocca ai credenti riconoscere che le
convinzioni religiose non possono essere imposte per legge a chi non le
condivida e i valori che scaturiscono da una visione religiosa possono sì
ispirare l'azione politica e legislativa, ma restano pur sempre distinti
dall'ordinamento giuridico: la cornice delle norme deve rispettare il
pluralismo delle convinzioni individuali. Lo Stato non è fonte dell'etica,
ma stabilisce le regole di convivenza fra convinzioni etiche diverse, che
appartengono alla sfera della libertà individuale costituzionalmente
protetta: tutte le libertà consistono in radice nella preservazione di una
sfera interiore esente dal controllo dello Stato.
"Democrazia è Libertà" esprime, in
definitiva, un'autonoma sintesi culturale e politica, finalizzata a
rafforzare l'Ulivo, in un rapporto di cooperazione e di competizione non
conflittuale con gli altri partner, e si qualifica come programmaticamente
alternativa alle culture e alle formazioni politiche di ispirazione
conservatrice e plebiscitaria.