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Ultimo aggiornamento:26-07-03

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Carta dei Principi della Margherita

Il consenso raccolto da "Democrazia è Libertà" ha premiato un'intuizione prima ancora che essa fosse stata consapevolmente e criticamente elaborata. Ma quella intuizione ha solide radici culturali, che è tempo di esplicitare e approfondire. "Democrazia è Libertà" nasce con l'inizio del nuovo secolo ed è proiettata verso il futuro. La sua sfida è quella di dare vita a una nuova organizzazione della politica in Italia, a una nuova visione culturale e civile della democrazia e della libertà, a programmi e obiettivi capaci di aggregare vasti settori della società italiana - dopo una lunga crisi della partecipazione politica - per concorrere in modo decisivo all'affermazione dell'Ulivo, coalizione di governo e alleanza dei riformatori.

La globalizzazione sfida la politica.

La globalizzazione si presenta come la dimensione entro la quale la politica deve operare. Anche se difficile, governarla appare sempre più necessario. "Democrazia è Libertà" apprezza la globalizzazione in quanto superamento dell'antico regime degli Stati, realizzazione di codici (diritto, moneta) indisponibili a singole organizzazioni (Stati, imprese) e possibilità per l'apertura dei mercati e del commercio internazionale dai paesi arretrati ai paesi più avanzati. Contesta però la compromissione ecologica e gli squilibri intollerabili di ricchezza imposti da uno sviluppo economico senza regole, dove la produzione di beni privati non sia armonizzata con lo sviluppo sociale, cioè con la fornitura di beni pubblici. La globalizzazione non governata è portatrice di nuove e più profonde diseguaglianze tra Paesi e all'interno dei Paesi. Un nuovo terrorismo nasce localmente e agisce globalmente, perché si radica proprio nei processi di frantumazione e nelle contraddizioni originate da una globalizzazione senza regole. Urge una risposta globale che agisca anche localmente.

La globalizzazione può costituire un'occasione positiva rispetto all'era bipolare delle relazioni tra gli Stati sovrani, se con essa si coglie l'opportunità di costruire un sistema di relazioni planetarie differenziate e multipolari, poliarchiche e policentriche, che rifuggano la logica di un super-Stato. Serve un governo basato sul multilateralismo, che si esprima nella costruzione di istituzioni sopranazionali in grado di occuparsi non solo delle regole del commercio, per renderle più favorevoli ai paesi arretrati, ma della redistribuzione delle risorse fra i paesi, per sostenere uno sviluppo equilibrato, l'affermazione dei diritti umani e l'ampliamento dei diritti sociali, per facilitarne il rispetto da parte dei paesi poveri, per la salvaguardia dell'ambiente, per la sicurezza internazionale, per prevenire e limitare il ricorso alla forza nell'affermazione del diritto.

Deve affermarsi un nuovo ordine internazionale adeguato agli scenari che si sono delineati, di cui si avverte fortemente l'urgenza, soprattutto dopo l'11 settembre, con la evidente necessità di porre il mondo al riparo dalla minaccia della violenza terroristica. In particolare, mentre si va ridisegnando l'architettura internazionale con nuovi protagonisti che ricercano una collocazione funzionale alla necessità dei nuovi assetti, l'Unione Europea deve imprimere un decisivo balzo in avanti al processo di integrazione politica, a partire dalla realizzazione di una vera politica estera e di sicurezza comune. Su questo terreno è altresì necessario, anche da parte dell'Italia, una riscoperta della dimensione internazionale della politica e la ripresa di un'iniziativa coerente con la sua vocazione europeista.

La globalizzazione esige un di più di capacità di azione e di comunicazione da parte di una società civile aperta e riflessiva. Attraverso reti di comunità locali, movimenti sociali, organizzazioni non governative e libere forme associative ed in particolare attraverso i movimenti dei giovani e delle donne, emergono in tutti i paesi domande di estensione sostanziale dei diritti di cittadinanza e di riconoscimento delle differenze.

Il confronto ravvicinato con l'Altro, interno ed esterno alla propria cultura, è la sfida antropologica della globalizzazione, che richiede, insieme, un forte senso delle proprie radici ed una reale propensione ad aprire lo spazio pubblico a nuovi linguaggi. In questo senso il riconoscimento della donna, come individuo morale e come cittadina a pieno titolo, è un orizzonte primario nei processi di globalizzazione. Pur nelle espressioni culturali differenti, esso costituisce, per la vita sociale e politica di ogni Paese, una misura della com-prensione dell'Altro e, dunque, del grado sostanziale di democrazia e di aderenza al rispetto dei diritti umani. Nel mondo globalizzato, la convivenza pluri-culturale, pluri-religiosa, pluri-lingue, pluri-nazionale appartiene, e sempre più apparterrà, alla normalità, non all'eccezione .

Scienza, tecnica e cultura del limite

La globalizzazione investe la sperimentazione scientifica, la ricerca applicata, l'intervento sulla vita animale, l'utilizzo delle risorse ambientali. "Democrazia è Libertà" si àncora al principio che fa della persona umana un fine e mai un mero mezzo. Un principio dal quale scaturiscono criteri ed orientamenti in tema di scienza e di sue applicazioni. E' fuori discussione la fiducia nella scienza e in chi la coltiva per i benefici che essa ha portato e porta al progresso umano; così come la convinzione che: a) l'ampliamento delle conoscenze sia obiettivo meritevole e da incoraggiare; b) la libertà della ricerca sia bene prezioso da garantire contro le indebite pretese del potere politico e del potere economico; c) i benefici del progresso tecnico scientifico debbano essere partecipati il più largamente possibile all'umanità tutta e non risolversi in un fattore di dominio di pochi, di disuguaglianza e di emarginazione. E tuttavia da quel principio si ricavano anche limiti non già allo sviluppo della scienza (che è sempre cosa buona), ma alle sue metodiche ed alle sue applicazioni che ledano la dignità e l'integrità della persona umana: di qui la massima secondo la quale non tutto ciò che è tecnicamente possibile è eticamente lecito. Di più: lo sviluppo delle scienze e delle tecniche che si applicano alla natura e, più ancora alla vita umana, sino ai suoi estremi confini (l'inizio e il termine), sono ricchi di promettenti sviluppi ma anche di inquietanti minacce per quel bene non negoziabile che è la dignità e l'integrità della persona umana in ogni suo stadio e condizione. Ne consegue il dovere di affinare il discernimento etico e di elevare la soglia della stessa vigilanza politica, adottando quel "principio di precauzione", che si attiva anche solo quando si è posti di fronte al fondato rischio/possibilità che la vita e la persona umana siano minacciate, alterate o manipolate.

Del resto questa cultura del limite, coltivata a presidio della vita, degli esseri viventi e segnatamente della persona umana, questa esigenza di preservare una "zona di rispetto" per quella misura di mistero che sempre circonda la vita e la morte ci vengono anche dal movimento delle donne, così singolarmente reattive verso il potere, della scienza e della politica, interpretato come dominio e come possesso dispotici, nonché dalle espressioni più mature del movimento ambientalista. La cultura del limite è da acquisire tra i fondamenti della politica perché il mondo che pretendiamo di governare è dato in prestito all'umanità tutta, ma non è il suo dominio.

Una nuova stagione dei diritti

Un ordine mondiale democratico può esser costruito se si ricerca la sintesi tra crescita economica, sviluppo umano, coesione sociale e democrazia reale. Questa prospettiva deve porsi l'obiettivo di coniugare forme della libertà, giustizia sociale ed equità, ed insieme costruzione negoziata di regole e riconoscimento delle differenze culturali. A questo fine sono ugualmente determinanti la democratizzazione degli organismi internazionali e lo sviluppo di forme di autogoverno locale.

"Democrazia è Libertà" mira a offrire un contributo originale alla creazione di uno spazio pubblico in cui si esprimano cittadini consapevoli, alla promozione della responsabilità della persona a tutti i livelli, alla ricerca dell'integrazione tra forme della responsabilità tipica del sistema politico ed espressioni dell'azione nella società. Proponendo questa globalizzazione si restituisce alla città innanzitutto, ed in generale ai molti livelli politici e sociali del governo locale, una quota di quella sovranità che aveva messo capo allo Stato per molti secoli.

Alla globalizzazione dei mercati deve corrispondere la globalizzazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali. I diritti civili e politici, ormai consolidati nelle democrazie liberali, non possono essere disgiunti dai diritti sociali, se si vuole che le libertà individuali vengano estese al maggior numero possibile di individui. Dallo sviluppo socio-economico e scientifico-tecnico emergono oggi le rivendicazioni dei nuovi diritti attinenti alla qualità dell'ambiente, alla tutela della privacy, alla trasparenza delle funzioni pubbliche, alla equa fruizione dei risultati della ricerca scientifica, alle nuove tecnologie di comunicazione, alla convivenza interculturale.

Per un governo della globalizzazione

La globalità dei nuovi diritti richiede garanzie di ampiezza sovranazionale e quindi mette in crescente risalto il deperimento del formato nazionale dello spazio pubblico, che oggi è avvertito in Europa più che nelle altre parti del mondo. L'Unione Europea rappresenta l'esperimento più avanzato, in termini di risposta politica e di governo, alla sfida della globalizzazione; oggi più di ieri, si rivela preziosa per il mondo intero la peculiare missione storica dell'Europa, imperniata sulla proposta del "modello sociale europeo" e sull'integrazione come via alla pace. L'opzione europeista è dunque la stella polare di "Democrazia è Libertà" che punta ad una vera federazione di popoli, fondata sulla cittadinanza comune degli europei e sull'inserimento nei Trattati della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, essenziale soprattutto nella prospettiva dell'allargamento. L'Italia deve tenersi soprattutto all'unisono con l'Europa. Contestualmente, "Democrazia è Libertà" custodisce e promuove la coscienza e il valore dell'identità nazionale, le ragioni culturali e civili dell'orgoglio di essere italiani ed i vincoli di solidarietà conseguenti nell'alveo della Repubblica una e indivisibile. Tale sentimento naturalmente si dilata in due direzioni: quello appunto della casa comune europea e quello che, muovendo dal senso della nazione, evolve verso un più ricco e comprensivo spirito repubblicano e patriottismo costituzionale. Dunque, una comunità nazionale che affonda le sue radici nella storia - italiana ed europea - ma che, di più, si riconosce positivamente nella tavola di valori civili che vanno sotto il nome di Repubblica e nel patto di convivenza scolpito nella Costituzione. Nel segno di una cittadinanza compiutamente politica e non angustamente circoscritta a fattori naturali, storici, etnici. La globalizzazione domanda quindi un di più di governo. Non un governo qualsiasi, ma un governo che sappia integrare le differenze, facendo leva sul consenso, sulla partecipazione, su un nuovo patto tra genti, generi e generazioni.

L'evoluzione della democrazia italiana.

Questa domanda di governo incrocia lo stesso percorso di crescita della democrazia italiana, l'evoluzione dei suoi attori politici e del suo assetto istituzionale, la ricerca di un più adeguato equilibrio tra rappresentanza e governo. Nel primo tempo della Repubblica, l'accento è comprensibilmente caduto sulla rappresentanza, anche per rispondere all'esigenza di una piena integrazione in una democrazia liberale di ceti, movimenti e partiti protagonisti della lotta di liberazione ed all'origine della nuova Italia. L'esigenza di stabilità ed efficienza dei governi, già prospettata negli anni cinquanta, diviene ineludibile negli anni ottanta, con il consolidamento della "difficile" democrazia italiana e di fronte ad una società, sempre più mobile e complessa, che invoca sintesi politiche e risposte di governo più tempestive ed efficaci. Prende corpo, dalle città allo Stato nazionale, la spinta a riformare le istituzioni e le regole elettorali, anche per tenere il passo con gli altri paesi, in un mondo e segnatamente in un'Europa sempre più integrati. Dopo l'insuccesso dei tentativi di "grande riforma" operati a più riprese nella sede parlamentare, la legge elettorale a dominante maggioritaria, introdotta sotto la spinta del referendum, ha contribuito a far evolvere la democrazia italiana nella direzione di una democrazia dell'alternanza e fare della contesa politica una competizione tra proposte di governo tra loro alternative. Di pari passo, si è fatta sempre più pressante e diffusa la domanda dei cittadini di esercitare pienamente il loro potere di "arbitri" e di scegliere con il loro voto le coalizioni di governo. E' su questo sfondo e dentro questa linea di sviluppo della democrazia italiana che prendono corpo l'esperienza e il progetto dell'Ulivo, concepito come un'alleanza tra le espressioni migliori delle culture politiche riformatrici, un'alleanza di governo programmaticamente alternativa ad una destra esposta al rischio di derive plebiscitarie e personalistiche. Si tratta di dare compimento al bipolarismo italiano, anche attraverso il rafforzamento delle garanzie democratiche e dello statuto dell'opposizione.

"Democrazia è Libertà": un'opportunità nuova

All'aspirazione, da parte dei popoli, a partecipare al governo della globalizzazione corrisponde quella, da parte dei cittadini, a partecipare allo sviluppo e all'evoluzione delle loro democrazie. Una partecipazione che - tanto più alla luce dell'esperienza drammatica della crisi dello stato liberale pre-fascista - non può risolversi nel momento elettorale. Le formazioni partitiche, nella varietà dei modelli organizzativi cui hanno dato vita, hanno rappresentato, soprattutto alla ripresa della vita democratica, un tentativo di far fronte a questa esigenza. Ma il loro ruolo si è progressivamente logorato e i loro risultati sono diventati contraddittori proprio sul versante della partecipazione, anche per il prevalere di tendenze alla burocratizzazione e di chiusure oligarchiche. L'inadeguatezza e l'inattualità degli strumenti, oltre che delle iniziative politiche, hanno pesato sulla crisi delle forze politiche protagoniste del primo tempo della repubblica. Le vecchie ideologie sono state contraddette dall'evoluzione storico-culturale, le culture politiche tradizionali si sono inaridite, imprigionate dentro forme di organizzazione non più in grado di essere voce della realtà in mutamento. La distanza incolmabile tra partiti, sempre più sclerotizzati, e società, sempre più dinamica ed inquieta, ha reso ancor più insopportabili le pratiche degenerative che aggredivano un sistema politico via via racchiuso in una gestione del potere non funzionale all'interesse della comunità. Il rifiuto dei partiti è stato alimentato anche da venature moralistiche; l'iniziativa della magistratura - necessaria e benefica per la tutela della legalità - vista come strumento principe per smantellare una situazione inaccettabile, è stata salutata come liberatoria. Ben presto tuttavia l'approccio moralistico e la risposta giudiziaria, così come la via referendaria, si sono rivelati inadeguati ad accompagnare la democrazia italiana oltre la crisi; né l'uno né l'altra, infatti, avevano in sé la forza duratura per fondare il necessario nuovo ordine civile. Allo scopo non poteva essere sufficiente la denuncia, per quanto fondata, della caduta della cultura della legalità, né l'esercizio di un potere giurisdizionale che non sapesse distinguere tra degenerazioni politiche e fatti penalmente rilevanti. E' diventato sempre più evidente che un ordine civile diverso, una nuova legalità non possono prescindere da un rilancio del ruolo della politica, che si traduce in una nuova organizzazione delle risposte, nelle istituzioni e nella società. Una democrazia più forte e il radicamento di un'etica pubblica sono fondate, infatti, sulla possibilità che hanno i cittadini di concorrere a deciderne gli sviluppi. La nuova democrazia non potrà affermarsi senza, né contro, i partiti. Ma dovrà esser animata da partiti nuovi, che si legittimano immergendosi tra i cittadini, titolari della sovranità, sia in quanto individui originariamente portatori di diritti di libertà, sia in quanto associati nelle formazioni in cui si svolge la loro vita di comunità. "Democrazia è Libertà" vuole rappresentare, anche da questo punto di vista, un'opportunità nuova in grado di non riproporre limiti e difetti del recente passato e di offrirsi come luogo di partecipazione, di proposta, di elaborazione, di confronto democratico, un po' movimento e un po' partito organizzato, al riparo dai rischi tanto del modello del partito ideologico, quanto di quelli del mero comitato elettorale. Un partito aperto, un partito che metta l'accento sul metodo democratico, che raccolga gli elementi del suo programma dalle esigenze che emergono dal vivo della lotta politica e sociale proponendosi come interlocutore attento e sensibile dei processi di trasformazione della società e della domanda di rappresentanza, impegnato a ridare un'anima alla politica. Un partito attento al tempo stesso alla ricchezza e all'autenticità della dimensione locale, nonché all'orizzonte internazionale, un partito strutturato su basi federali, ma in grado di proporre una sintesi nazionale.

Le nostre radici.

La crisi degli attori e dell'assetto politico tradizionale non intacca l'attualità e il valore di idee, principi e culture che fanno della libertà e della democrazia la propria insegna. Su di esse, anzi, può far leva un'iniziativa forte, efficace, nella quale storie diverse convergano per cimentarsi con la nuova realtà. A partire dalla fedeltà ai principi ed ai valori richiamati nella Costituzione della Repubblica Italiana e nella Carta dei diritti fondamentali dell' Unione Europea ( dignità umana, libertà, uguaglianza, solidarietà, cittadinanza, giustizia), che di quelle culture sono figlie, "Democrazia è Libertà" aspira a raccogliere e ad attualizzare il meglio delle tradizioni e delle sensibilità democratiche e riformatrici che hanno plasmato la storia politica italiana ed europea. Esse si combinano tra loro nelle storie delle formazioni che concorrono a darle vita, nel segno di una fedeltà creativa ai loro principi ispiratori. Tra le nostre radici figurano: il popolarismo con la centralità che esso conferisce ai valori della persona, della famiglia e delle comunità originarie; la concezione liberal-democratica, che scommette sull'autonomia e sul protagonismo del soggetto; nonché la sensibilità sociale e democratica, che si fa carico dell'effettività e dell'universalità dei diritti di cittadinanza, e quella ambientalista, espressiva di un'attenzione sempre più matura alla sostenibilità e alla qualità dello sviluppo. Tale gene democratico e riformatore fa di "Democrazia è Libertà" un soggetto particolarmente sensibile, aperto e ricettivo verso ciò che di vitale scaturisce dai nuovi movimenti che sanno rivisitare i vecchi diritti e ne propugnano di nuovi, sfidando la politica a misurarsi con la vita quotidiana e con l'intero spettro dell'esperienza umana. La sintesi tra le culture riformatrici raccolte all'interno di "Democrazia è Libertà" si contraddistingue, nell'ambito dell'Ulivo, per una singolare sensibilità nell'interpretare nuove istanze ed attese: l'accento sulla responsabilità personale; la dimensione relazionale nella concezione stessa dei diritti individuali; la sensibilità al valore delle comunità e delle autonomie sociali; il riconoscimento del carattere originario delle autonomie locali e delle loro espressioni istituzionali, a cominciare dal Comune; la consapevolezza dei limiti allo sfruttamento delle risorse naturali.

L'idea-guida: "Democrazia è Libertà"

La denominazione "Democrazia è Libertà" dà vita alla sigla DL. I DL non nascondono l'ambizione di ideare e praticare un riformismo declinato al futuro, affidato al protagonismo di persone, famiglie, associazioni, imprese, cioè dei soggetti che abitano la società civile, al riparo da derive stataliste e dirigiste. "Democrazia è Libertà" potrà fare sintesi tra le tre idee-forza con cui alimentare una politica all'altezza dell'attuale nuovo stadio della modernizzazione: il protagonismo di un individuo adulto, l'istanza comunitaria, la tensione all'uguaglianza possibile. In definitiva, una democrazia più ricca e un riformismo più moderno, perché affidati meno allo Stato e ai partiti e più agli attori sociali; o comunque affidati a partiti e istituzioni raccordati a una società civile fattasi adulta. La libertà è sale e fondamento della democrazia. La missione dei DL è liberare, promuovere, espandere le risorse iscritte nelle persone e nelle formazioni sociali. La libertà è valore, metodo, costume; non può che generare democrazia, nella dinamica interna alle forze politiche e in quella sviluppata all'esterno di esse. Libertà chiama democrazia non solo nella sua accezione politica, ma anche in quella sociale. Essa prescrive concrete politiche mirate all'uguaglianza e all'estensione delle opportunità. Nel segno della solidarietà e, insieme, della responsabilità. Dunque, libertà dei singoli e libertà dei gruppi; libertà negativa (da) e libertà positiva (per); libertà di ciascuno e libertà di tutti; libertà intesa dinamicamente come processo di progressiva liberazione. La democrazia, infatti, non è un modello, un progetto definito di società, ma è il modo più umano fin qui prodotto dalla storia in cui il potere, necessario in tutte le società, può concorrere alla liberazione dell'uomo. Il contributo della politica alla liberazione è limitato, non esclusivo, né totalizzante; è altro e distinto da quello delle formazioni primarie come la famiglia e la comunità, dell'economia, della scienza, della religione ed in generale di ogni funzione o sfera sociale, ciascuna delle quali a sua volta può assumere assetti che più o meno concorrono (o non concorrono affatto) alla liberazione in una società avanzata. Concorrono alla liberazione il mercato concorrenziale invece del monopolio, la scienza fallibile invece della ideologia, il regime familiare di pari responsabilità e diritti invece delle gerarchie di sottomissione personale della donna, la religione come scelta di fede personale e libera anziché il fondamentalismo. Istituzioni ed organizzazioni politiche democratiche provvedono esse stesse a porre limiti all'esercizio del potere; e ne sottopongono l'uso al principio di responsabilità imperniato sulla imputabilità personale di ogni agire politico. La democrazia riconosce a chi ottiene la maggioranza dei consensi il dovere di assumere le decisioni politiche nel rispetto degli inalienabili diritti di libertà, nel rispetto della legge e delle condizioni che possano consentire alla minoranza politica di divenire, a sua volta, maggioranza. Di conseguenza, la democrazia pratica la costante ricerca della separazione e del bilanciamento dei poteri. Quello della legalità è un altro principio-valore cardine per "Democrazia è Libertà". Il nostro paese sembra incapace di un giusto equilibrio tra sicurezza e garanzie, tra controllo di legalità e rispetto dei diritti di libertà. Ad una stagione attraversata da alcune alterazioni giustizialiste, non deve far seguito di nuovo un tempo esposto al rischio dell'impunità. Tra i punti qualificanti dell'agenda politica di "Democrazia è Libertà" sta dunque un impegno fattivo e concorde per la giustizia, nel segno di una legalità forte, equilibrata, serena.

Il primato della società sullo Stato.

La storia del XX secolo - che non è stato un secolo breve - ha sortito soluzioni non previste ad un problema che era e rimane la questione cruciale della democrazia. Il limite storico delle istituzioni liberal-democratiche, che ancoravano la partecipazione politica unicamente al momento elettorale, aveva alimentato, per reazione, la convinzione che una diversa distribuzione del reddito fosse sufficiente al riscatto delle classi subalterne. L'allargamento e la crescita del diritto di cittadinanza - da quella civile a quella politica e quella sociale - configurano oggi una condizione di garanzia, del tutto nuova rispetto al passato, per il processo democratico. Diventa così essenziale il modo con il quale tali diritti vengono riconosciuti e tutelati dall'ordinamento di uno Stato sociale rinnovato, ma non demolito. Che va ricostruito non tanto sulla scorta di prestazioni da organizzare, quanto e piuttosto sulla individuazione di diritti da tutelare. Bisogna allora passare dall'organizzazione delle prestazioni dentro una rete di strutture burocratiche alla tutela del bisogno, la cui assenza configura la lesione di un diritto. Perché solo una persona che venga posta nella condizione di esercitare pienamente il suo diritto ad essere sana ed istruita ed a godere di un minimo di tutela sociale è davvero libera di concorrere alla difesa e alla costruzione del processo democratico. Considerazioni analoghe si devono fare per la tutela del lavoratore dentro i meccanismi del sistema produttivo. La struttura dell'impresa è patrimonio non solo dell'imprenditore, ma anche del lavoratore. Rischio d'impresa e condizione del lavoratore debbono essere collocati in un contesto comune e insieme tutelati. Solo in rapporto a questo contesto la flessibilità rappresenta un'esigenza oggettiva per la vita dell'impresa e non diventa una condizione di debolezza del lavoratore e quindi di dominio dell'imprenditore. Decisivo è il ruolo del sindacato nel contrastare la frammentazione individuale della forza lavoro e dunque la condizione di debolezza dei lavoratori. La riscoperta del principio di sussidiarietà - che non è il ritorno brutale del privato, ma una forma più concreta di individuazione dell'interesse comune - a fronte del deperimento della struttura dello Stato nazionale accentratore è l'architrave di una nuova concezione dell'ordinamento. A partire da una nuova visione della statualità, la persona - con la sua nuova dimensione cultural-giuridica - è il punto di partenza, ma anche il fine del nuovo ordinamento giuridico. Cellule prime della sovranità sono la persona e la comunità. Gli ordinamenti superiori non hanno natura gerarchica, ma sono organizzati al fine di garantirne una tutela che, estendendosi ad altre persone, configura l'interesse generale o bene comune. Il "pubblico" non corrisponde più alla tutela di un interesse generale astratto, ma allo spazio, comunque individuato, del bisogno di una comunità territoriale o di interessi. Siamo dunque di fronte ad un orizzonte nuovo, ove collocare l'interesse generale, la cui garanzia è data non tanto da una risposta uniforme quanto da una regola comune. E' superata così la concezione della norma come garante di un interesse astratto - in radicale contraddizione con l'insegnamento romanistico ex facto oritur ius - slegato dalla diversità delle fattispecie concrete in cui si manifesta. La persona non è garantita perciò per il grado di libertà cui aspira, ma per le sollecitazioni attive a misurarsi dentro regole comuni atte ad arbitrare il conflitto con altre persone. Personalismo e responsabilità sono dunque i termini chiave di un moderno riformismo, ove il valore della persona e l'assunzione di responsabilità sono obiettivi della politica. La democrazia legittima la esistenza di interessi particolari che, rimanendo tali, trovano in essa le regole necessarie al loro sempre parziale e provvisorio comporsi e competere. La democrazia ha bisogno di virtù; ma la virtù della democrazia non è quella di definire l'interesse generale, bensì quella di garantirne la ricerca . La democrazia è forma, ad oggi la più avanzata, dell'agonismo delle libertà. Una democrazia vera esige infatti il protagonismo di una società vivace, ricca di molteplici e variegati legami associativi, interpretati da persone rispettate nella loro autonomia e differenza. Il principio di sussidiarietà, nella sua declinazione verticale ed orizzontale, prescrive una metodica vigilanza contro un ingiustificato slittamento di poteri verso l'alto e contro una limitazione o soppressione delle diverse specificità funzionali. La sussidiarietà deve operare non solo nei rapporti fra Stato e società, bensì anche nei rapporti fra le istituzioni, nel senso di articolare una pluralità di livelli di governo e di valorizzare le autonomie locali e funzionali: una articolazione e un federalismo istituzionale che allargano gli spazi di partecipazione e di responsabilità dei cittadini e dei gruppi e che contribuiscono così ad arricchire la stessa azione politica. Il principio di sussidiarietà si applica anche alla concezione del welfare e stimola a superarne le derive centraliste e statalistiche, per sviluppare forme articolate di welfare pubblico e comunitario, cui contribuiscano sia le istituzioni pubbliche ai vari livelli, in funzione di garanzia, sia le iniziative dei privati, in primo luogo delle organizzazioni no-profit e di volontariato. Assegniamo al welfare non tanto una funzione assistenziale, riparatoria dei guasti del mercato, ma quella di promuovere l'allargamento delle opportunità personali. Attraverso la democratizzazione della politica, tende a ridursi nella società lo spazio statale e ad allargarsi lo spazio pubblico (ricco di un'appropriata strutturazione dei principi di sussidiarietà e di responsabilità). In questo spazio pubblico possono svilupparsi prassi di concertazione non corporativa, nelle quali attori diversi (politici, sociali ed economici) collaborano in vista di un interesse condiviso. In questo quadro può trovare soluzione anche l'annosa questione della scuola non statale: si tratta di distinguere, in un "sistema pubblico integrato", fra funzione pubblica, che anche la scuola non statale può svolgere, e gestione statale, superando l'idea anacronistica secondo la quale la funzione pubblica della scuola sarebbe necessariamente legata alla sua gestione. La democrazia, per vivere, necessita di una società vitale e vivace e il dinamismo di questa, per parte sua, incrementa e qualifica la democrazia.

Laicità, fede religiosa e democrazia.

Una democrazia che si identifica con la libertà comporta la "riduzione della politica allo stato laicale". Le esperienze democratiche più avanzate si sono storicamente avvalse del contributo delle fedi religiose, quando si è creato un ambiente socio-culturale in cui è stato possibile effettivamente conciliare spirito religioso e spirito di libertà. Queste stesse esperienze mostrano come sia necessario annoverare, tra le fedi capaci di sostenere la dinamica democratica, tradizioni di pensiero laico e pragmatico che si sono sviluppate storicamente in rapporto con la tradizione culturale e spirituale giudeo-cristiana. Queste esperienze si oppongono sia alle degenerazioni ateo-assolutistiche che a quelle integristico-fondamentaliste. "Democrazia è Libertà" scommette sulla valorizzazione del rapporto fra credenti e non credenti nel solco del superamento degli "storici steccati". Tocca ai non credenti riconoscere che l'esperienza religiosa, lungi dall'essere un residuato storico destinato all'estinzione, può rappresentare un fermento che vivifica la vita democratica; tocca ai credenti riconoscere che le convinzioni religiose non possono essere imposte per legge a chi non le condivida e i valori che scaturiscono da una visione religiosa possono sì ispirare l'azione politica e legislativa, ma restano pur sempre distinti dall'ordinamento giuridico: la cornice delle norme deve rispettare il pluralismo delle convinzioni individuali. Lo Stato non è fonte dell'etica, ma stabilisce le regole di convivenza fra convinzioni etiche diverse, che appartengono alla sfera della libertà individuale costituzionalmente protetta: tutte le libertà consistono in radice nella preservazione di una sfera interiore esente dal controllo dello Stato.

"Democrazia è Libertà" esprime, in definitiva, un'autonoma sintesi culturale e politica, finalizzata a rafforzare l'Ulivo, in un rapporto di cooperazione e di competizione non conflittuale con gli altri partner, e si qualifica come programmaticamente alternativa alle culture e alle formazioni politiche di ispirazione conservatrice e plebiscitaria.

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