L'operazione "Torch"
Erano mesi che gli Alleati stavano
preparando gli uomini e i mezzi per
poter aprire un nuovo fronte nell’Africa nord-occidentale.
Non si era comunque trattato di
una decisione tranquilla e facile,
tutt’altro: quando il presidente
americano Roosevelt e il premier
inglese Churchill ne avevano parlato per
la prima volta, nel giugno 1942, a Washington,
la situazione militare per gli Alleati
era tutt’altro che rosea su tutti i
fronti: in Africa Rommel marciava sulla strada di Suez, sul fronte
russo la Georgia e il Caspio erano minacciati
dalle truppe tedesche, gli U-Boote infliggevano
perdite catastrofiche alla flotta inglese.
Stalin chiedeva insistentemente l’apertura di un secondo
fronte in Europa, ma né il presidente americano
né il primo ministro britannico potevano seriamente pensare di dare seguito alla
richiesta del dittatore sovietico.
Churchill dal canto suo riteneva
invece molto più utile un’azione
diversiva (sempre sul fronte occidentale)
per conquistare una “base” nel Mediterraneo da cui
prendere la strada dei Balcani dove si
sarebbe potuto aprire il secondo
fronte tanto sospirato da Stalin.
Uno sbarco (nell’Africa nord-occidentale per la precisione) avrebbe
inoltre consentito di prendere
L’Afrikakorps di Rommel tra due
fuochi (a oriente c’era l'8à armata
britannica) e in ogni caso avrebbe
assicurato una minacciosa testa
di ponte verso l’Italia.
Nonostante la netta opposizione
di numerosi collaboratori, il presidente Roosevelt fini' per aderire
all’idea di Churchill: una vittoria,
anche parziale e limitata, sul fronte occidentale
avrebbe rappresentato per l’opinione
pubblica americana, scossa dalle sconfitte nel
Pacifico, una salutare iniezione di
fiducia. L’accordo definitivo i due
statisti Io sottoscrissero il 25 luglio 1942,
Stalin approvò con entusiasmo il piano,
gli Stati Maggiori inglese e americano elaborarono in
dettaglio tempi e modi dell’operazione che
in codice venne battezzata prima “Gymnast”, poi
“Torch”. Sul piano militare l’operazione fu preparata
minuziosamente,non si lasciò nulla all’improvvisazione:
le truppe vennero addestrate alla guerra nel
deserto: problemi particolari comunque non ce n’erano.
Più complesso invece si presentò l’aspetto politico,
e in particolare la ricerca di una personalità in grado
di indurre militari e civili francesi
dell’Africa occidentale ad appoggiare o quanto
meno a non opporsi allo sbarco alleato.
Ma esisteva un simile personaggio? E
dove ricercarlo, in quale schieramento? Non certo tra gli uomini
del governo di Vichy, ma nemmeno tra i seguaci di De Gaulle cui
gli americani non hanno ancora
dato un riconoscimento sul piano
diplomatico. E allora? Questa volta la decisione
la prende Roosevelt il quale invia Robert Murphy,
suo consigliere, e l’ammiraglio
William Leahy, già ambasciatore
statunitense presso il governo di
Vichy dal 5 gennaio 1941 al
maggio 1942, in Africa settentrionale
per sondare il terreno e cercare una personalità disposta ad
aiutare gli anglo-americani. Ma il
compito è arduo. Edouard Herriot, uomo politico di consumata
esperienza, è in carcere perché
inviso al governo collaborazionista,
mentre Alexis Léger, già segretario generale del Quai d’Orsay,
rifiuta. I collaboratori di
Roosevelt propongono il gen.
Henri-Honoré Giraud, evaso
qualche mese prima dal castello
di Kònigstein in Germania, dove
era prigioniero dal 1940, e nascosto nella Francia di Vichy. Il 16
settembre 1942 Roosevelt decide
per Giraud tenendo De Gaulle all’oscuro di tutto, “anche se ne
trarrà un pretesto per irritarsi o
irritarci”, dice il presidente americano. Gli Alleati contano di far
convergere su Giraud l’adesione
sia dei gaullisti che dei pétainisti
dell’Africa settentrionale. Poche
settimane prima della data fissata per l’inizio dell’operazione
“Torch”, il generale statunitense
Mark Clark sbarca clandestinamente in Africa (a Cherchell) dal
sommergibile Seraph e si incontra
con i fautori di Giraud, concordando il
trasferimento di quest’ultimo dalla Francia
all’Africa settentrionale.
lI 7 novembre, verso sera, Eisenhower incontra Giraud
a Gibilterra: il generale francese crede di
essere stato chiamato per assumere il comando
supremo dell’operazione e quando Eisenhower
gli fa intendere che è intenzione
degli Alleati, semmai, affidargli
il comando dei territori francesi
d’Africa che saranno liberati dopo lo sbarco, Giraud insiste; poi,
deluso, esclama: “Ebbene, Giraud farà da spettatore in questa
faccenda”. Ma la notte porta consiglio;
Giraud ci ripensa e l’indomani accetta di assumere
l’amministrazione civile dei territori
francesi liberati in Africa settentrionale. Lo stesso Giraud e il
gen. Clark giungono due giorni
dopo ad Algeri in aereo per ottenere la
cessazione di ogni resistenza in tutta l’Africa settentrionale
francese. Ma Giraud viene accolto con grande freddezza, se non
addirittura ignorato. Solo a questo punto Clark e
Giraud vengono a sapere che Darlan, comandante in capo delle forze armate
francesi, si trova ad Algeri. Egli
potrebbe legittimamente dare l’ordine di
cessare la resistenza e forse, grazie a lui,
gli Alleati potrebbero mettere le mani anche sulla
preziosa flotta francese ormeggiata a Tolone. Darlan si presta al
gioco e, pur sapendo che la flotta
francese non passerà agli Alleati
né si lascerà prendere dai tedeschi,
ordina la cessazione del fuoco in Africa.
Ma è subito sconfessato dal maresciallo Pétain: Darlan allora revoca l’ordine ma in
un secondo tempo, essendo venuto a
conoscenza dell’invasione tedesca della Francia di Vichy, Io
conferma e si dichiara pronto a
collaborare con gli americani. E
infatti il 13 novembre, ad Algeri,
sottoscrive un accordo con Eisenhower in cui si ribadisce che i
francesi cesseranno ogni resistenza ottenendo in cambio di restare
sotto l’amministrazione francese.
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