"Guado e Matapan"

27 marzo 1941 Ore 13: un ricognitore inglese Sunderland avvista ad est delle coste siciliane la 3à divisione navale italiana, formata dagli incrociatori Trieste, Trento e Bolzano, che procede in direzione sud-est. Sono tre delle unità della squadra navale italiana che si sta portando nel Mediterraneo orientale a sud di Creta per disturbare il traffico delle unità inglesi che riforniscono la Grecia partendo dal porto di Alessandria. Della squadra italiana fanno parte, oltre ai tre incrociatori sopra ricordati, la corazzata Vittorio Veneto, uscita da Napoli la notte tra il 26 e il 27 marzo, con le insegne dell’ammiraglio Angelo Iachino, comandante della flotta in mare; la 1à divisione, formata dagli incrociatori Zara, Pola e Fiume, proveniente da Taranto; gli incrociatori Duca degli Abruzzi e Garibaldi, provenienti da Brindisi e quattro squadriglie di cacciatorpediniere.
L’avvistamento del ricognitore inglese, da un lato mette in stato di aIl’erta la flotta inglese di Alessandria d’Egitto, dall’altro toglie agli italiani il favore dell’elemento sorpresa; si decide comunque di continuare l’azione confidando forse nella superiorità numerica della squadra navale italiana. Alle 7 di sera l’ammiraglio Andrew B. Cunningham, comandante in capo della flotta britannica nel mediterraneo, lascia il porto di Alessandria con tutte le unità disponibili, cioè le corazzate Valiant, Barham e Warspite, la portaerei Formidable e 9 cacciatorpediniere. Dal porto del Pireo sono pronti a salpare gli incrociatori Orion, Ajax, Perth e Gloucester e 4 cacciatorpediniere. Comanda gli incrociatori e i cacciatorpediniere llex, Hasty, Hereward e Vendetta il contrammiraglio Henry D. Pridham-Wippell, imbarcato sull’incrociatore Orion. Per non dare nell’occhio e soprattutto per confondere le idee al console giapponese ad Alessandria (che secondo lui informa i nemici sui movimenti delle unità britanniche), l’ammiraglio Cunningham si presenta nel pomeriggio a terra, al campo di golf, con una valigia, come a voler mostrare l’intenzione di passare la notte a terra. Lo stratagemma riesce, e quando è ormai buio, verso le 18,40,l’ammiraglio raggiunge l’ammiraglia Warspite e salpa verso Creta. La mattina del 28, la flotta italiana si trova nelle acque di Gaudo, un’isoletta a sud di Creta: qui la 3à divisione si scontra con le unità del contrammiraglio Pridham-Wippell che dopo uno scontro a fuoco durato una quarantina di minuti si ritira attirando nella sua scia le unità italiane verso il grosso delle forze inglesi. La precipitosa ritirata inglese non convince l’amm. lachino, che ordina ai suoi incrociatori di desistere dall’inseguimento e di invertire la rotta. Ma la rotta la invertono anche gli inglesi, che da inseguiti diventano inseguitori.
Interviene anche la Vittorio Veneto,ma senza succésso. Nel pomeriggio anzi, sottoposta a un violento bombardamento aereo, la corazzata viene colpita da un siluro lanciato da un cacciabombardiere: sono da poco passate le 15.Alle 16,30 circa la Vittorio Veneto può riprendere la navigazione a velocità ridotta (15 nodi) e protetta dagli incrociatori e dai cacciatorpediniere italiani. Lo scontro si è cosi spostato verso Capo Matapan, all’estremità meridionale del Peloponneso. Al tramonto nuovo attacco aereo inglese: per difendere la corazzata, le unità italiane emettono cortine di nebbia e aprono un violento fuoco di sbarramento contro gli aerosiluranti nemici. L’incrociatore Pola, colpito da un siluro, imbarca grandi quantità di acqua e resta immobile: in suo soccorso l’ammiraglio Iachino manda gli altri due incrociatori della la divisione,lo Zara e il Fiume, e la IX squadriglia di cacciatorpedifiere (AIfieri, Gioberti, Carducci, Oriani), al comando dell’ammiraglio Cattaneo. Dal momento che non si attendono di trovarvi il nemico, le unità italiane non hanno preso nemmeno le più elementari misure di sicurezza, come la protezione di uno schermo avanzato di cacciatorpediniere, normale provvedimento adottato durante la navigazione notturna in tempo di guerra. Dal canto loro i radar delle unità inglesi che seguono da vicino la squadra italiana hanno già rilevato sui loro schermi la sagoma del Pala. Alle 22,30, quando l’incrociatore italiano colpito è a soli 3500 metri dalle corazzate britanniche Valiant, Barham e Warspite e queste stanno puntando i loro cannoni da 381 contro la nave italiana, gli inglesi si accorgono che si stanno avvicinando le unità di soccorso dell’ammiraglio Cattaneo, inviate dal comandante in capo ammiraglio lachino. Dopo pochi minuti le tre corazzate inglesi rovesciano sugli incrociatori e i cacciatorpediniere italiani valanghe di fuoco: lo Zara e il Fiume sono affondati senza che possano sparare un solo colpo. Muore gran parte dei loro equipaggi, compreso lo stesso ammiraglio Cattaneo. Anche l’incrociatore Pala e i cacciatorpediniere Alfieri e Carducci subiscono la stessa sorte. Fallisce invece la caccia notturna alla Vittorio Veneto, che la mattina del 29 riesce a raggiungere il porto di Taranto. Gli inglesi raccolgono i naufraghi (circa 900 uomini) ma devono interrompere le azioni di salvataggio e allontanarsi precipitosamente dal luogo dello scontro dopo essere stati sorvolati da ricognitori tedeschi.
In base alla segnalazione di questi ultimi comunque viene inviata sul posto la nave-ospedale Gradisca che giunge però sul posto solo il 3 1 marzo, riuscendo tuttavia a porre in salvo altri 160 uomini. Dal canto loro unità greche raccolgono giorni dopo ancora 110 naufraghi. Le vittime sono circa 2400. Lo scontro di Capo Matapan rappresenta uno dei più gravi rovesci subiti dagli italiani sul mare e mette in evidenza la superiorità tecnico-tattica degli inglesi che hanno definitivamente sperimentato l’importanza dell’aviazione navale e godono dell’inestimabile vantaggio delle apparecchiature radar.


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