Dal luglio 1944, resosi insicuro il campo di concentramento di Fossoli, nei pressi di Carpi (Modena), le deportazioni continuarono dal nuovo campo di Bolzano. Progettato per 1.500 prigionieri su di un'area di due ettari, con un blocco esclusivamente femminile e 10 baracche per gli uomini, fu successivamente ampliato e raggiunse una capienza massima di circa 4.000 prigionieri. Poté contare sui Lager satelliti di Bressanone, Merano, Sarentino, Campo Tures, Certosa di Val Senales, Colle Isarco, Moso in val Passiria.
Il campo era gestito dalle SS di Verona, comandato dal tenente Titho e dal maresciallo Haage che già avevano svolto gli stessi incarichi a Fossoli. Alle loro dipendenze una guarnigione di tedeschi, sudtirolesi ed ucraini (questi ultimi, giovanissimi, tristemente ricordati per il loro sadismo). Furono internati a Bolzano soprattutto prigionieri politici, partigiani, ebrei, zingari e prigionieri alleati. Tra le donne le ebree, le zingare, le slave e le mogli, le sorelle, le figlie di perseguitati antifascisti. Infine i bambini, provenienti da famiglie ebree, zingare e slave già deportate per motivi razziali.
Pessime le condizioni di vita, massacranti i tempi di lavoro, numerosi i casi di tortura ed assassinio. Non meno di 11.116 persone transitarono da questo campo e almeno sette furono i trasporti che tra l'ottobre '44 e il febbraio '45 partirono per Ravensbruck, Flossenburg, Dachau, Auschwitz, ma soprattutto per Mauthausen.
Il 12 settembre 1944, prelevati alle 4 del mattino, 23 giovani italiani furono condotti alle Caserme Mignon e assassinati a colpi di pistola. Altri morirono sotto le sevizie degli aguzzini ucraini. A Bolzano morirono non meno di 300 persone, molte delle quali ebree.
Tra il 29 e il 30 aprile 1945 gli internati ricevettero un regolare permesso firmato dal comandante del campo e furono accompagnati, a scaglioni, ad alcuni chilometri dalla città e rilasciati. Il 30 aprile stesso tuttavia molti internati si liberarono da soli, mentre le SS si davano alla fuga.
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