L'attentato ad Hitler

20 luglio 1944 Alle ore 12,42 la Wolfsschanze (“Tana del lupo”), il Quartier Generale di Hitler a Rastenburg, in una foresta della Prussia Orientale, è scossa da una spaventosa deflagrazione: una fiammata e una nube di fumo si alzano dalla baracca dove si tengono,presente il Fuhrer, le quotidiane riunioni dello Stato Maggiore tedesco (quando avviene lo scoppio ne è in corso per l’appunto una, iniziata da pochi minuti).Si sentono i lamenti dei feriti (alcuni sono stati proiettati fuori dalle finestre aperte)e le invocazioni di aiuto; altri giacciono ormai senza vita. E Hitler? Il capo del nazismo è rimasto ferito ma in maniera molto lieve.E', si, sotto shock (la sua prima reazione è stata: “I miei calzoni nuovi...!”), ma a parte il viso annerito, i capelli arruffati e i calzoni a brandelli e qualche escoriazione, è del tutto incolume al punto che qualche ora dopo, alle 16, può ricevere la visita di Mussolini, prevista in un primo tempo per le 14,30. Non ci vuole molto a classificare l’episodio come un attentato alla vita di Hitler: si tratta di smascherare l’autore, o gli autori, che non possono essere lontani, anzi devono essere sicuramente ricercati tra coloro che hanno partecipato alla riunione. A parte i morti, manca all’appello un giovane colonnello di 37 anni, il conte Claus Schenk von Stauffenberg (che in un primo tempo viene creduto tra i feriti ricoverati in ospedale) ed è su di lui che si appuntano i primi sospetti degli investigatori, quando si scopre che il colonnello è uscito dalla stanza dove si teneva la riunione qualche minuto prima dello scoppio. Sospetti che diventano certezza dopo la testimonianza di alcuni ufficiali e soldati delle SS di guardia a Rastenburg: l’attentatore non può essere che lui. Ma chi è von Stauffenberg? ha agito da solo o è semplicemente l’esecutore di un complotto più vasto per eliminare Hitler? Per rispondere, bisogna fare un passo indietro, al 7 aprile 1943, quando il colonnello von Stauffenberg, discendente da una nobile famiglia della Germania meridionale, rimane gravemente ferito in Tunisia saltando in aria, con la sua automobile, su un campo di mine: perde l’occhio sinistro, la mano destra e due dita della sinistra ed è costretto a una lunga convalescenza durante la quale può riflettere sulla situazione dei suo paese giungendo ad alcune gravi e fondamentali decisioni. ‘‘Devo fare qualcosa" scrive alla moglie “per salvare la Germania”; più esplicitamente, in un’altra lettera dichiara: “Anche se il tentativo fosse destinato al fallimento, lo si deve compiere. La cosa importante è dimostrare al mondo e alla storia che il movimento di resistenza tedesco è esistito e che ha osato passare all’azione, a costo della vita”. Entra quindi a far parte di un gruppo di oppositori che si propongono di eliminare il dittatore e di por fine alla guerra salvando quanto è salvabile della Germania. Del gruppo fanno parte, tra gli altri, l’ex borgomastro di Lipsia Cari Gòrdeler, il gen. Ludwig Beck (capo militare del complotto),l’ex ambasciatore a Roma Ulrich von Hassel, il gen. Friedrich Olbricht, il feldmaresciallo Erwin von Witzleben, il gen. Hans Henning von Tresckow, capo di stato maggiore dello Heeresgruppe Centro sul fronte russo, il gen. Erich Fellgiebel, capo delle trasmissioni a Rastenburg, l’ex ambasciatore a Mosca Friedrich Werner von der Schulenburg, il gen. Edward Wagner, il pastore Dietrich Bonhoeffer e il gesuita Alfred Delp, il politico socialdemocratico Julius Leber, il giovane conte Helmuth James von Moltke e altri giovani discendenti di illustri casate prussiane (lo stesso Stauffenberg del resto è un pronipote del conte August von Gneisenau, eroe nazionale della guerra contro Napoleone). Sanno del complotto, anche se non vi prendono parte attivamente, Rommel, von Kluge, nonché il capo dell’A bwehr (il servizio segreto militare) amm. Hans Wilhelm Canaris. Una posizione ambigua tiene il gen. Fritz Fromm, capo delle forze dell’interno, comprendenti l’armata territoriale che presidia Berlino. Nel pomeriggio del 19 luglio von Stauffenberg viene convocato da Hitler a Rastenburg per prendere parte, in qualità di capo di stato maggiore del gen. Frìtz Fromm (comandante in capo delle forze dell’interno) alla riunione dei massimi esponenti militari del Reich, prevista per il giorno dopo alle 13. E' l’occasione che Stauffenberg aspetta e ne informa gli altri congiurati.Il piano (chiamato operazione “Walkiria”) non deve fallire, la preparazione è stata meticolosa, le alleanze e le complicità sono a tutta prova. La mattina del 20 luglio, dunque, von Stauffenberg parte in aereo da Rangsdorf, uno degli aeroporti di Berlino: porta con sé una borsa in cui, tra i documenti, è nascosta una bomba confezionata dal gen. Helmut Stieff con uno speciale esplosivo britannico, munita di detonatore a scoppio ritardato. Poco dopo le 10 l’aereo atterra a Rastenburg. La riunione, anticipata di mezz’ora perché Hitler attende l’arrivo di Mussolini, inizia alle 12,30 precise. Stauffenberg entra nella stanza alle 12,36 assieme a Keitel: ha già rotto la capsula del detonatore e di li' a 6 minuti, a meno di qualche inconveniente, la bomba esploderà. Nella stanza, di circa 9 metri per 4,5, hanno già preso posto, attorno a un grande tavolo ovale, oltre a Hitler (che siede voltando le spalle alla porta su uno dei lati lunghi del tavolo), 22 tra alti ufficiali delle tre armi e delle SS: Keitel prende posto alla sinistra e Stauffenberg alla destra del Fuhrer, tra i generali Korten e Brandt, rispettivamente capi di stato maggiore della Luftwaffe e delle operazioni.Stauffenberg, appena seduto, posa la borsa a terra a circa due metri dalle gambe di Hitler, all’interno dello zoccolo che regge la parte destra del tavolo. Sta parlando il gen. Hensinger, capo di stato maggiore aggiunto dell’esercito, che illustra la situazione sul fronte russo facendo frequenti riferimenti alla carta geografica spiegata sul tavolo: sono le 12,37 e i minuti passano inesorabili. Von Stauflenberg si allontana non visto dalla stanza. Tutti prestano la massima attenzione a quanto va riferendo Hensinger: particolarmente interessato è il gen. Brandt che, allungandosi sul tavolo per vedere meglio la carta, urta col piede la borsa di Stauffenberg. Cerca di spostarla con un piede, poi si abbassa e la depone sul lato esterno dello zoccolo di destra che sostiene il tavolo:è questo spostamento che salva, probabilmente, la vita di Hitler. Alle 12,42, l’esplosione. Stauffenberg, che si trova ormai a circa 200 metri, vede saltare letteralmente in aria la baracca e, convinto che l’attentato è andato a segno, lascia Rastenburg. Alle 13 riparte col suo aereo alla volta di Berlino a raccogliere i frutti del suo gesto. Egli non sa ancora che l’attentato è fallito e, soprattutto, il gen. Fellgiebel, capo delle trasmissioni di Rastenburg, non esegue l’ordine di trasmettere immediatamente la notizia ai congiurati a Berlino né quello, ben più importante, di bloccare le comunicazioni tra il Quartier Generale di Hitler e la capitale. I cospiratori quindi, che attendono a Berlino, rimangono all’oscuro di tutto per alcune ore, incerti sul da farsi. Nel frattempo, il complotto è stato scoperto e Himmler è già partito per Berlino con l’ordine di stroncare un’eventuale rivolta. Stauffenberg giunge nella capitale tedesca alle 16,30, quando la notizia che il Fùhrer è sfuggito all’attentato ha già raggiunto i supremi capi militari della città. Il gen. Fromm, comandante in capo delle forze dell’interno, che aveva aderito solo formalmente alla congiura, quando viene a sapere che Hitler non è morto, corre nell’ufficio del gen. Friedrich Olbricht, capo della sezione approvvigionamenti dell’esercito territoriale, dove c’è anche Stauffenberg che sta mettendosi in contatto telefonico con tutti i comandi tedeschi in Europa, e gli comunica senza mezzi termini che deve suicidarsi:per tutta risposta Stauffenberg e Olbricht lo arrestano. Il ministro della Propaganda, Goebbels, è rimasto indisturbato nel suo ufficio alla Wilhelmstrasse.Il comandante della piazza di Berlino, von Hase (altro congiurato), ordina al Wachtbataillon Grossdeutschland, comandato dal magg. Otto Ernst Romer, di presidiare e circondare i ministeri. Ma Goebbels riesce a conferire con Remer e a farlo parlare direttamente con Hitler. Allora il battaglione accorre alla Bendlerstrasse, dove è il quartier generale dei congiurati. Ma l’astuto Fromm (che nel frattempo è stato liberato) per togliere di mezzo pericolosi testimoni, ha già fatto fucilare il colonnello di S.M. Mertz von Quirnheim, il gen. Olbricht e lo stesso col. Stauffenberg nel cortile del Comando Supremo dell’Esercito a Berlino, alla luce dei fari di un camion. Il gen. Beck può invece togliersi la vita da solo. Ma, nonostante il suo zelo, alla fine anche Fromm sarà fucilato. Giudicati da tribunali del popolo, circa 5000 tedeschi saranno fucilati o impiccati nei mesi seguenti.Sono messi a morte tra gli altri il feldmaresciallo Erwin von Witzleben, i generali Hase, Stieff e molti altri ufficiali e alti funzionari, ex diplomatici come von Hassel e von der Schulenburg, ambasciatori, nonché il consigliere di legazione Adam von Trott zu Solz; uomini politici come Goerdeler, l’ex ministro delle finanze di Prussia Johannes Popitz, i politici socialdemocratici Wilhelm Leuschner e iulius Leber, i religiosi Alfred Delp e Dietrich Bonhoefler.


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