Le fosse Ardeatine
Il 23 marzo 1944 in un’azione di guerra a Roma in via Rasella, un gruppo di partigiani
dei Gap uccideva 33 soldati del battaglione Bozen
e ne feriva 38 facendo scoppiare una carica
esplosiva e attaccando la colonna nemica con armi automatiche e il lancio
di bombe da mortaioleggere. Accuratamente preparata, l’azione
colpiva uno dei battaglioni specializzati in azioni di
rappresaglia e faceva seguito a una serie di massacri perpetrati nei mesi precedenti dai tedeschi
nelle zone intorno alla capitale ai danni di persone innocenti, spesso donne, vecchi e bambini: 18
vittime a Canale Monterano, 32 a Saturnia, 14 a
Blera, 40 a San Martino, 14 a Velletri ecc.
In seguito all’azione partigiana Hitler comunicò che Roma doveva essere
interamente distrutta e tutta la popolazione deportata,
ma subito dopo rettificò che per la vendetta sarebbe stato sufficiente
radere al suolo l’intero quartiere
nel quale si era svolta l’azione. Infine Kesselring
e il comandante della piazza di Roma, Kurt
Maeltzer, stabilirono le modalità della rappresaglia:
dieci italiani per ogni soldato tedesco ucciso. Leccidio avvenne immediatamente e
fu affidato al colonnello Herbert Kappler, coadiuvato
dal capitano Priebke: il giorno dopo l’azione
partigiana, 335 uomini furono uccisi alle fosse Ardeatine, ciascuno con un colpo alla nuca. La
maggior parte delle vittime venne prelevata dal
carcere di Regina Coeli e dal comando di via Tasso, cinquanta furono scelte e consegnate dal
questore fascista Caruso.
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